SENTENZA N. 201
ANNO 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
- Paolo GROSSI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 8, comma 1, lettera f), 10, comma 1, lettere a) e b), 11, comma 1, lettere b) e f), 12, comma 1, lettere b) e c), 19 e 27, comma 7, della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), promosso dalla Regione Siciliana con ricorso notificato il 6 luglio 2009, depositato in cancelleria il 10 luglio 2009 ed iscritto al n. 47 del registro ricorsi 2009.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’11 maggio 2010 il Giudice relatore Franco Gallo;
uditi l’ avvocato Michele Arcadipane per la Regione Siciliananonchè l’avvocato dello Stato Glauco Nori per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. − Con ricorso notificato il 6 luglio e depositato il 10 luglio 2009, la Regione Siciliana ha promosso questioni di legittimità costituzionale dei seguenti articoli della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione): 8, comma 1, lettera f); 10, comma 1, lettere a) e b); 11, comma 1, lettere b) e f); 12, comma 1, lettere b) e c); 19; 27, comma 7. Quali parametri dell’impugnativa costituzionale, vengono evocati: a) gli articoli 81 e 119, quarto comma, della Costituzione; b) gli artt. 32, 33, 36, 37, 43 dello statuto della Regione Siciliana (Regio decreto legislativo 15 maggio 1946 n. 455, recante «Approvazione dello Statuto della Regione siciliana», convertito in legge costituzionale dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2); c) l’art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria); d) l’intero d.P.R. 1° dicembre1961, n. 1825 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia di demanio e patrimonio).
La Regione ricorrente premette che la citata legge n. 42 del 2009 − nel fissare i princípi ed i criteri direttivi cui il Governo deve ispirarsi nell’adottare uno o piú decreti legislativi attuativi dell’art. 119 Cost. − stabilisce che «alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano si applicano, in conformità con gli statuti, esclusivamente le disposizioni di cui agli artt. 15, 22 e 27» (art. 1, comma 2) e che, dunque, tra le disposizioni oggetto di impugnativa, è solo l’art. 27, comma 7, a spiegare efficacia nei confronti di essa ricorrente. Tuttavia, nonostante tale statuizione, secondo la ricorrente tutte le disposizioni denunciate «appaiono direttamente applicabili anche alla Regione siciliana» o comunque incidono sulle sue potestà regionali, «in violazione delle prerogative statutarie alla Regione assegnate».
1.1. − Un primo gruppo di censure ha per oggetto gli artt. 8, comma 1, lettera f), e 10, comma 1, lettere a) e b), numero 1) e numero 2), della legge n. 42 del 2009.
L’art. 8, comma 1, lettera f), prevede − quale principio e criterio direttivo della delega, «al fine di adeguare le regole di finanziamento alla diversa natura delle funzioni spettanti alle regioni, nonché al principio di autonomia di entrata e di spesa fissato dall’articolo 119 della Costituzione» − la «soppressione dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese» delle funzioni esercitate dalle Regioni, «ad eccezione dei contributi erariali in essere sulle rate di ammortamento dei mutui contratti dalle regioni».
L’art. 10, comma 1, lettera a), prevede, quale ulteriore criterio di delega, la cancellazione degli «stanziamenti di spesa, comprensivi dei costi del personale e di funzionamento, nel bilancio dello Stato», sempre con riferimento al finanziamento delle funzioni trasferite alle regioni, nelle materie di loro competenza legislativa ai sensi dell’articolo 117, terzo e quarto comma, Cost.
Il medesimo art. 10, comma 1, lettera b), n. 1) e n. 2), prevede, inoltre, che gli emanandi decreti legislativi siano ispirati al principio della riduzione delle aliquote dei tributi erariali e − per il finanziamento delle spese connesse alle materie di competenza legislativa di cui all’articolo 117, terzo e quarto comma, Cost. nonché delle spese relative alle materie di competenza esclusiva statale, in relazione alle quali le Regioni esercitano competenze amministrative − al principio del corrispondente aumento: a) dei tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle Regioni; b) delle addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali; c) del gettito derivante dall’aliquota media di equilibrio dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche, stabilito sul livello sufficiente ad assicurare al complesso delle Regioni un ammontare di risorse tale da pareggiare esattamente l’importo complessivo dei trasferimenti soppressi.
La ricorrente assume che tali previsioni, anche se non direttamente applicabili ad essa Regione, «interferiscono sull’impianto dell’art. 36 dello Statuto e sulle risorse sinora attribuite alla Sicilia», poiché incidono «sul complesso sistema di definizione dei rapporti tributari finalizzato all’attribuzione di gettito finanziario al sistema del federalismo fiscale regionale». Si osserva infatti nel ricorso che le impugnate disposizioni − in ragione della cessazione dei trasferimenti statali e della riduzione delle aliquote di imposizione fiscale − determinano, «tendenzialmente», una notevole contrazione dei mezzi finanziari regionali, che non è possibile compensare «con un gettito compartecipativo dell’IVA e dell’IRPEF, che la Sicilia ha già come risorse proprie». Ad avviso della Regione ricorrente, tale circostanza − unitamente al rilievo che, attualmente, la finanza della Regione siciliana «è direttamente ancorata all’imposizione fiscale statale» − «potrebbe determinare un notevole squilibrio» delle risorse finanziarie disponibili, pregiudicando la stessa possibilità per la Regione di esercitare le proprie funzioni per carenza delle risorse finanziarie, «in violazione, quindi, anche dei principi derivanti dagli artt. 81 e 119, quarto comma, della Costituzione».
1.2. − Un secondo gruppo di censure ha per oggetto l’art. 11, comma 1, lettere b) ed f), e l’art. 12, comma 1, lettere b) e c), della legge di delegazione n. 42 del 2009, per la pretesa violazione: a) degli artt. 36 e 37 dello statuto speciale della Regione Siciliana; b) delle relative norme di attuazione di cui al d.P.R. n. 1074 del 1965; c) degli artt. 81 e 119, quarto comma, Cost.
L’art. 11, comma 1, prevede − quali princípi e criteri direttivi dei futuri decreti legislativi in materia di finanziamento delle funzioni di comuni, province e città metropolitane − che si garantisca il finanziamento integrale in base al fabbisogno standard e che esso sia «assicurato dai tributi propri, da compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali, da addizionali a tali tributi» (lettera b) ed inoltre che «il gettito delle compartecipazioni a tributi erariali e regionali» sia «senza vincolo di destinazione» (lettera f).
L’art. 12, comma 1, prevede, quale principio di delega, che le spese dei comuni relative alle funzioni fondamentali siano «prioritariamente finanziate»: a) dal gettito derivante da una compartecipazione all’IVA; b) dal gettito derivante da una compartecipazione all’imposta sul reddito delle persone fisiche; c) dalla imposizione immobiliare, con esclusione della tassazione patrimoniale sull’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo (lettera b). La stessa disposizione prevede altresí che le medesime spese delle province siano prioritariamente finanziate «dal gettito derivante da tributi il cui presupposto è connesso al trasporto su gomma e dalla compartecipazione ad un tributo dello Stato» (lettera c).
La ricorrente evidenzia che, anche per tali previsioni, la compartecipazione è relativa al gettito dei tributi riferibili al territorio, «trattandosi di attuazione dell’art. 119 della Costituzione» e che tale sistema di finanziamento determina una sottrazione di parte del gettito tributario spettante alla Regione in base all’art. 36 dello statuto ed al d.P.R. n. 1074 del 1965. Infatti − argomenta la ricorrente − la Regione Siciliana è titolare «di tutto il gettito dei cespiti tributari secondo il sistema delineato dalle disposizioni richiamate», parte del quale dovrebbe alimentare anche il finanziamento degli enti locali. La ricorrente afferma, in proposito, che la normativa impugnata, per finanziare le spese degli enti locali, prevede il ricorso a risorse non dello Stato, ma della Regione, la quale subisce, pertanto, una riduzione del gettito tributario a causa delle predette compartecipazioni, senza che siano previsti «meccanismi compensativi della forte contrazione delle entrate regionali». Inoltre − si evidenzia ancora nel ricorso − l’onere finanziario di tale compartecipazione ai tributi erariali in favore degli enti locali a carico della Regione risulta indeterminato, con la conseguenza che il meccanismo in questione − già in sé lesivo degli artt. 36 e 37 dello statuto speciale e delle relative norme attuative − «pregiudicherebbe la possibilità per la Regione di esercitare le proprie funzioni per carenza di risorse finanziarie», cosí violando anche gli artt. 81 e 119, quarto comma, Cost.
1.3. − Con un terzo gruppo di censure viene impugnato l’intero art. 19 della legge n. 42 del 2009, per contrasto con gli artt. 32 e 33 dello statuto di autonomia e con le «relative norme di attuazione approvate con D.P.R. 1 dicembre 1961, n. 1825».
L’art. 19 fissa i princípi ed i criteri direttivi di delega per l’attribuzione alle Regioni ed agli enti locali di un proprio patrimonio, in attuazione dell’art. 119, comma sesto, Cost. La norma − nel prevedere l’attribuzione a titolo non oneroso, ad ogni livello di governo, di distinte tipologie di beni commisurate alle dimensioni territoriali, alle capacità finanziarie ed alle competenze e funzioni effettivamente svolte o esercitate dalle diverse Regioni ed enti locali − fa salva «la determinazione da parte dello Stato di apposite liste che individuino nell’ambito delle citate tipologie i singoli beni da attribuire» (art. 19, comma 1, lettera a). Inoltre, la successiva lettera b) del comma 1 del medesimo art. 19 prevede, quale criterio di delega con riguardo alla formazione del patrimonio degli enti locali situati in Sicilia, l’«attribuzione dei beni immobili sulla base del criterio di territorialità».
Secondo la ricorrente, tali disposizioni violano gli artt. 32 e 33 dello statuto siciliano, i quali attribuiscono alla Regione tutti i beni, demaniali e patrimoniali, dello Stato, con l’eccezione dei beni riguardanti la difesa o i servizi di carattere nazionale. Le citate disposizioni statutarie infatti, per un verso, vietano allo Stato di sottrarre alla Regione beni ad essa già trasferiti, come invece avverrebbe applicando i criteri di delega censurati; per altro verso, individuano nella Regione medesima la titolare esclusiva dei beni non ancora trasferiti o non piú utili alla difesa o ai servizi nazionali.
1.4 − Il quarto ed ultimo gruppo di censure è rivolto all’art. 27, comma 7, della medesima legge di delega, in relazione al quale si denuncia la violazione dell’art. 43 dello statuto regionale.
L’art. 27, comma 7, della legge n. 42 del 2009 istituisce presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione del principio di leale collaborazione, «un tavolo di confronto tra il Governo e ciascuna regione a statuto speciale e ciascuna provincia autonoma». Esso è costituito dai Ministri per i rapporti con le regioni, per le riforme per il federalismo, per la semplificazione normativa, dell’economia e delle finanze e per le politiche europee nonché dai Presidenti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome. Il tavolo individua linee guida, indirizzi e strumenti per assicurare il concorso delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome agli obiettivi di perequazione e di solidarietà e per valutare la congruità delle attribuzioni finanziarie ulteriori intervenute successivamente all’entrata in vigore degli statuti, verificandone la coerenza con i princípi contenuti nella legge di delega n. 42 del 2009 e con i nuovi assetti della finanza pubblica. L’ultimo inciso del comma impugnato prevede poi che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della suddetta legge, è assicurata l’organizzazione del tavolo.
A parere della Regione ricorrente, i cómpiti e le funzioni attribuiti a tale «tavolo di confronto», «potrebbero rivelarsi» o una duplicazione della Commissione paritetica prevista dall’art. 43 dello statuto ovvero condizionarne comunque i lavori, «determinando linee guida ed indirizzi al fine della determinazione di nuove forme attuative dello Statuto». In ogni caso − conclude la Regione Siciliana − ne discenderebbe la violazione dell’art. 43 dello statuto regionale, che attribuisce alla Commissione paritetica ivi prevista anche l’attuazione dei rapporti finanziari correlati all’attuazione dello statuto.
2. − Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che tutte le questioni siano dichiarate inammissibili, ad eccezione dell’ultima, avente ad oggetto l’art. 27, comma 7, da dichiararsi non fondata
2.1. – Con riferimento ai profili di inammissibilità, la difesa dello Stato evidenzia che il non impugnato art. 1, comma 2, della legge n. 42 del 2009 dispone che «alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano si applicano, in conformità con gli statuti, esclusivamente le disposizioni di cui agli articoli 15, 22 e 27» della medesima legge. In conseguenza − eccepisce ancora l’Avvocatura −, tutte le censure prospettate dalla ricorrente, ad eccezione di quella avente ad oggetto l’art. 27, comma 7, hanno ad oggetto norme la cui applicazione per la Regione Siciliana è espressamente esclusa dalla stessa legge censurata. In ogni caso, secondo la difesa dello Stato, quand’anche le norme denunciate dovessero ritenersi applicabili anche alla Regione ricorrente, da ciò non discenderebbe l’effetto del «notevole squilibrio» delle risorse finanziarie regionali denunciato in ricorso, trattandosi comunque di princípi di delega il cui effetto eventualmente lesivo «potrebbe essere prodotto solo dalle norme delegate».
2.2. − La difesa dello Stato evidenzia, dunque, che è ammissibile solo la censura riguardante il comma 7 dell’art. 27 della legge n. 42 del 2009, cioè l’unica disposizione, tra quelle censurate, applicabile alle Regioni a statuto speciale. Nondimeno, tale censura, a parere dell’Avvocatura, non è fondata. In proposito, la difesa statale muove dal rilievo che la ricorrente ha prospettato solo come “possibile” l’effetto da cui discende la denuncia di incostituzionalità, e cioè che il «tavolo di confronto» tra il Governo e le Regioni a statuto speciale e le Province di Trento e Bolzano, previsto dalla norma impugnata, costituisca una duplicazione della Commissione paritetica istituita dall’art. 43 dello statuto oppure uno «strumento che ne condizioni i lavori». Per la medesima Avvocatura, la previsione normativa di tale «procedimento operativo» non concreta la creazione di un ulteriore organo e si colloca ad un «livello politico», diverso dal «livello prevalentemente amministrativo» proprio della Commissione paritetica statutaria. La particolare vastità ed incisività della riforma del federalismo fiscale − conclude la difesa dello Stato − ha richiesto la creazione, da parte del legislatore, di un procedimento nel quale la paritetica partecipazione del Governo e di ciascuna Regione a statuto speciale e Provincia autonoma garantisca l’individuazione consensuale delle linee guida, le quali, peraltro, non «avranno nessun effetto vincolante, che la norma non attribuisce».
2.3. − Con successiva memoria, depositata in prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha ribadito le proprie conclusioni, con ulteriori argomentazioni.
Considerato in diritto
1. − La Regione Siciliana ha promosso questioni di legittimità degli articoli 8, comma 1, lettera f); 10, comma 1, lettere a) e b); 11, comma 1, lettere b) e f); 12, comma 1, lettere b) e c); 19; 27, comma 7, della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), in riferimento agli articoli 81 e 119, quarto comma, della Costituzione; agli artt. 32, 33, 36, 37, 43 dello statuto della Regione Siciliana (Regio decreto legislativo 15 maggio 1946 n. 455, recante «Approvazione dello Statuto della Regione siciliana», convertito in legge costituzionale dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2); all’art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria); all’intero d.P.R. 1° dicembre 1961, n. 1825 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia di demanio e patrimonio).
1.1. − Con un primo gruppo di censure, la ricorrente impugna gli artt. 8, comma 1, lettera f), e 10, comma 1, lettere a) e b), numero 1) e numero 2), della legge di delegazione n. 42 del 2009, denunziando la violazione dell’art. 36 dello statuto speciale regionale e degli artt. 81 e 119, quarto comma, Cost.
Queste norme prevedono, quali princípi e criteri direttivi della delega: a) la «soppressione dei trasferimenti statali diretti al finanziamento delle spese» delle funzioni esercitate dalle Regioni (art. 8, comma 1, lettera f); b) la «cancellazione degli […] stanziamenti di spesa, comprensivi dei costi del personale e di funzionamento, nel bilancio dello Stato», sempre con riferimento al finanziamento delle funzioni trasferite alle Regioni, nelle materie di loro competenza legislativa ai sensi dell’articolo 117, terzo e quarto comma, Cost. (art. 10, comma 1, lettera a); c) il «corrispondente aumento» sia dei tributi propri derivati, istituiti e regolati da leggi statali, il cui gettito è attribuito alle Regioni, sia delle addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali, sia, infine, del gettito derivante dall’aliquota media di equilibrio dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche, sufficiente ad assicurare al complesso delle Regioni un ammontare di risorse tale da pareggiare esattamente l’importo complessivo dei trasferimenti soppressi (art. 10, comma 1, lettera b, numeri 1 e 2).
La ricorrente impugna tali norme sul presupposto che esse, interferendo «sull’impianto dell’art. 36 dello Statuto e sulle risorse sinora attribuite alla Sicilia», incidono «sul complesso sistema di definizione dei rapporti tributari finalizzato all’attribuzione di gettito finanziario al sistema del federalismo fiscale regionale», perché le soppressioni dei trasferimenti statali di spesa non risultano compensate «con un gettito compartecipativo dell’IVA e dell’IRPEF, che la Sicilia ha già come risorse proprie». Ciò determinerebbe, «tendenzialmente», una notevole contrazione dei mezzi finanziari regionali ed un «notevole squilibrio» delle risorse finanziarie disponibili, pregiudicando la stessa possibilità per la Regione di esercitare le proprie funzioni per carenza delle risorse finanziarie, in violazione anche dei princípi derivanti dagli artt. 81 e 119, quarto comma, della Costituzione.
1.2. − Con un secondo gruppo di censure, la Regione Siciliana assume che gli artt. 11, comma 1, lettere b) ed f), e 12, comma 1, lettere b) e c), della legge di delegazione n. 42 del 2009, víolino gli artt. 36 e 37 dello statuto speciale della Regione Siciliana e le relative norme di attuazione di cui al d.P.R. n. 1074 del 1965, nonché gli artt. 81 e 119, quarto comma, Cost.
Le norme impugnate, fissando ulteriori princípi di delega, stabiliscono che: a) in materia di finanziamento delle funzioni di comuni, province e città metropolitane, si debba garantire il finanziamento integrale in base al fabbisogno standard e che esso sia «assicurato dai tributi propri, da compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali, da addizionali a tali tributi» (art. 11, lettera b del comma 1); b) «il gettito delle compartecipazioni a tributi erariali e regionali» sia «senza vincolo di destinazione» (art. 11, lettera f del comma 1); c) le spese dei comuni relative alle funzioni fondamentali siano «prioritariamente finanziate» dal gettito derivante da una compartecipazione all’IVA, dal gettito derivante da una compartecipazione all’imposta sul reddito delle persone fisiche, dalla imposizione immobiliare (art. 12, lettera b del comma 1); d) le spese delle province siano prioritariamente finanziate «dal gettito derivante da tributi il cui presupposto è connesso al trasporto su gomma e dalla compartecipazione ad un tributo dello Stato» (art. 12, lettera c del comma 1).
La ricorrente denuncia che tali norme determinano l’effetto di una sottrazione di parte del gettito tributario spettante alla Regione in base all’art. 36 dello statuto ed al d.P.R. n. 1074 del 1965. Infatti, essendo la Regione Siciliana già titolare «di tutto il gettito dei cespiti tributari secondo il sistema delineato dalle disposizioni richiamate», parte di esso, secondo gli impugnati princípi di delega, dovrebbe alimentare anche il finanziamento degli enti locali. Tale finanziamento è posto non a carico dello Stato, ma della Regione stessa, la quale subisce, pertanto, una riduzione del gettito tributario, senza alcun meccanismo compensativo. Inoltre, tale compartecipazione ai tributi erariali in favore degli enti locali a carico della Regione risulta indeterminata e, pertanto, il meccanismo in questione − già in sé lesivo degli artt. 36 e 37 dello statuto speciale e delle relative norme attuative − «pregiudicherebbe la possibilità per la Regione di esercitare le proprie funzioni per carenza di risorse finanziarie», con violazione anche degli artt. 81 e 119, quarto comma, Cost.
1.3. − Un terzo gruppo di censure ha ad oggetto l’intero art. 19 della legge n. 42 del 2009, di cui viene denunciato il contrasto con gli artt. 32 e 33 dello statuto di autonomia e con le «relative» norme di attuazione approvate con il d.P.R. n. 1825 del 1961.
L’art. 19 − nel fissare i princípi ed i criteri direttivi di delega per l’attribuzione alle Regioni ed agli enti locali di un proprio patrimonio, in attuazione dell’art. 119, comma sesto, Cost. − prevede l’attribuzione a titolo non oneroso, ad ogni livello di governo, di distinte tipologie di beni commisurate alle dimensioni territoriali, alle capacità finanziarie ed alle competenze e funzioni effettivamente svolte o esercitate dalle diverse regioni ed enti locali e fa salva «la determinazione da parte dello Stato di apposite liste che individuino nell’ambito delle citate tipologie i singoli beni da attribuire» (art. 19, comma 1, lettera a). Inoltre, la norma impugnata prevede l’«attribuzione dei beni immobili sulla base del criterio di territorialità», quale ulteriore criterio di delega con riferimento alla formazione del patrimonio degli enti locali (art. 19, comma 1, lettera b).
La ricorrente denuncia, in proposito, la violazione degli artt. 32 e 33 dello statuto siciliano, i quali − attribuendo alla Regione tutti i beni, demaniali e patrimoniali, dello Stato, con l’eccezione dei beni riguardanti la difesa o i servizi di carattere nazionale − vietano allo Stato di sottrarre alla Regione beni ad essa già trasferiti ed individuano nella Regione medesima la titolare esclusiva dei beni non ancora trasferiti o non piú utili alla difesa o ai servizi nazionali.
1.4. − Con un quarto ed ultimo gruppo di censure, la ricorrente deduce, in riferimento all’art. 43 dello statuto speciale, l’illegittimità costituzionale dell’art. 27, comma 7, della legge n. 42 del 2009.
La norma denunciata istituisce – in seno alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano – «un tavolo di confronto tra il Governo e ciascuna regione a statuto speciale e ciascuna provincia autonoma», i cui cómpiti e funzioni – secondo la ricorrente – «potrebbero» rivelarsi una duplicazione di quelli della Commissione paritetica prevista dall’evocato art. 43 dello statuto speciale o, comunque, indebitamente condizionare i lavori di detta Commissione.
2. − Occorre innanzitutto esaminare l’eccezione preliminare dell’Avvocatura dello Stato, secondo cui tutte le censure avanzate nel ricorso − salvo quella avente ad oggetto l’art. 27, comma 7, della legge n. 42 del 2009 − sono inammissibili, perché le norme impugnate non sono applicabili alla Regione Siciliana, per il disposto del non impugnato art. 1, comma 2, della medesima legge, il quale stabilisce che «alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano si applicano, in conformità con gli statuti, esclusivamente le disposizioni di cui agli articoli 15, 22 e 27».
L’eccezione di inammissibilità è fondata.
Infatti, la “clausola di esclusione” contenuta nel citato art. 1, comma 2, della legge n. 42 del 2009 stabilisce univocamente che gli unici princípi della delega sul federalismo fiscale applicabili alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome sono quelli contenuti negli artt. 15, 22 e 27. Di conseguenza, non sono applicabili alla Regione Siciliana gli indicati princípi e criteri di delega contenuti nelle disposizioni censurate. Né può sostenersi in contrario quanto addotto dalla ricorrente, secondo cui le disposizioni impugnate, ancorché ad essa non applicabili, «interferiscono sull’impianto dell’art. 36 dello Statuto e sulle risorse sinora attribuite alla Sicilia», poiché incidono «sul complesso sistema di definizione dei rapporti tributari finalizzato all’attribuzione di gettito finanziario al sistema del federalismo fiscale regionale». Trattasi, all’evidenza, di un’affermazione che, per la sua genericità ed indeterminatezza, non è idonea a modificare la conclusione testè enunciata, che è fondata su una sicura esegesi del dato normativo, priva di plausibili alternative.
3. – È invece ammissibile la questione avente ad oggetto l’art. 27, comma 7, della legge n. 42 del 2010, trattandosi di norma applicabile anche alle Regioni a statuto speciale (e alle Province autonome), e perciò alla ricorrente. La norma impugnata, in attuazione del principio di leale collaborazione: a) prevede l’istituzione, presso la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, di «un tavolo di confronto tra il Governo e ciascuna regione a statuto speciale e ciascuna provincia autonoma», costituito dai Ministri per i rapporti con le regioni, per le riforme per il federalismo, per la semplificazione normativa, dell’economia e delle finanze e per le politiche europee nonché dai Presidenti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome; b) attribuisce a detto «tavolo di confronto» la competenza ad individuare «linee guida, indirizzi e strumenti per assicurare il concorso delle regioni a statuto speciale e delle province autonome agli obiettivi di perequazione e di solidarietà e per valutare la congruità delle attribuzioni finanziarie ulteriori intervenute successivamente all’entrata in vigore degli statuti, verificandone la coerenza con i princípi» contenuti nella legge di delega n. 42 del 2009 «e con i nuovi assetti della finanza pubblica».
La Regione ricorrente assume che i cómpiti e le funzioni attribuiti al “tavolo di confronto” potrebbero: a) rivelarsi una duplicazione di quelli della Commissione paritetica prevista dall’art. 43 dello statuto speciale e deputata a determinare le norme di attuazione dello statuto stesso; b) condizionare indebitamente i lavori di detta Commissione. Ne risulterebbe violato – sempre secondo la Regione – il citato art. 43, «che attribuisce alla Commissione paritetica ivi specificata anche l’attuazione dei rapporti finanziari correlati all’attuazione dello Statuto regionale».
La questione non è fondata.
Infatti, il «tavolo di confronto» istituito dalla norma censurata e la «Commissione paritetica» prevista dall’art. 43 dello statuto della Regione Siciliana non solo risultano del tutto diversi quanto alla composizione, ma hanno anche àmbiti operativi e funzioni diversi.
L’organo statutario − composto da quattro membri nominati dall’Alto Commissario della Sicilia e dal Governo dello Stato − è titolare di una speciale funzione di partecipazione al procedimento legislativo, in quanto, secondo la formulazione del citato art. 43, esso «determinerà le norme» relative sia al passaggio alla Regione degli uffici e del personale dello Stato sia all’attuazione dello statuto stesso. Detta Commissione rappresenta, dunque, un essenziale raccordo tra la Regione e il legislatore statale, funzionale al raggiungimento di tali specifici obiettivi.
Il «tavolo di confronto» − cui intervengono gli indicati membri del Governo e i Presidenti delle Regioni a statuto speciale − non ha, invece, alcuna funzione di partecipazione al procedimento di produzione normativa, perché la disposizione censurata si limita ad attribuirgli cómpiti e funzioni politico-amministrativi non vincolanti per il legislatore, di carattere esclusivamente informativo, consultivo e di studio («linee guida, indirizzi e strumenti»), nell’àmbito della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Il «tavolo» rappresenta, dunque, il luogo in cui si realizza, attraverso una permanente interlocuzione, il confronto tra lo Stato e le autonomie speciali per quanto attiene ai profili perequativi e finanziari del federalismo fiscale delineati dalla citata legge di delegazione, secondo il principio di leale collaborazione espressamente richiamato dalla stessa disposizione censurata.
Dall’evidenziata diversità di funzioni discende che – contrariamente all’assunto della ricorrente – il tavolo tecnico non costituisce una “duplicazione” della Commissione paritetica prevista dall’art. 43 dello statuto speciale. La disposizione denunciata non può avere, pertanto, alcuna attitudine lesiva delle prerogative statutarie della Regione.
Conferma tale conclusione il fatto che – come sopra visto – l’art. 1, comma 2, della legge n. 42 del 2009 subordina l’applicazione dell’art. 27 alle Regioni a statuto speciale – e quindi anche l’istituzione e il funzionamento del «tavolo di confronto» – alla condizione che tale applicazione avvenga «in conformità con gli statuti» regionali. Ciò significa che la disposizione deve essere interpretata nel senso che le «linee guida, indirizzi e strumenti», adottati in sede di «tavolo di confronto», non possono interferire con la determinazione delle norme di attuazione dello statuto della Regione Siciliana, che rimane riservata alla Commissione paritetica.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8, comma 1, lettera f), 10, comma 1, lettere a) e b), 11, comma 1, lettere b) e f), 12, comma 1, lettere b) e c), e 19 della legge 5 maggio 2009 n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), promosse dalla Regione Siciliana, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento agli articoli 81 e 119, quarto comma, della Costituzione; agli artt. 32, 33, 36, 37 dello statuto della Regione Siciliana (Regio decreto legislativo 15 maggio 1946 n. 455, recante «Approvazione dello Statuto della Regione siciliana», convertito in legge costituzionale dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2); all’art. 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria) ed al d.P.R. 1° dicembre1961, n. 1825 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia di demanio e patrimonio);
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 7, della medesima legge 5 maggio 2009, n. 42, promossa dalla Regione Siciliana, con il medesimo ricorso, in riferimento all’art. 43 dello statuto della Regione Siciliana.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2010.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 giugno 2010.