SENTENZA N. 207
ANNO 2012
Commento alla decisione di
Maurizio Malo
(per gentile concessione del Forum di Quaderni Costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
-
-
-
-
-
-
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di
attribuzione tra enti sorto a seguito dell’articolo
6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 139
(Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica
per gli interventi di lieve entità, a norma dell’articolo 146, comma 9, del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni), promosso dalla Provincia autonoma di Trento con ricorso
notificato il 25 ottobre 2010, depositato in cancelleria il 27 ottobre 2010 ed
iscritto al n. 9 del registro conflitti tra enti 2010.
Visto l’atto di costituzione di Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 18 ottobre 2011 il Giudice
relatore
uditi l’avvocato Giandomenico Falcon per
Ritenuto in fatto
1.― Con ricorso notificato il 25
ottobre 2010 e depositato nella cancelleria della Corte il successivo 27
ottobre,
L’art. 6, comma 2, infatti, secondo la
ricorrente, sarebbe in contrasto con l’art. 8, primo comma, numeri 1), 5), 6),
«nonché integrativamente numeri 2), 3), 4), 7), 8), 11), 14), 16), 17), 18),
21), 22), 24)», e con l’art. 16 del decreto del Presidente della Repubblica 31
agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige); nonché con le
norme di attuazione dello statuto di autonomia di cui: a) al decreto del
Presidente della Repubblica 20 gennaio 1973, n. 115 (Norme di attuazione dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di trasferimento alle
province autonome di Trento e di Bolzano dei beni demaniali e patrimoniali
dello Stato e della Regione); b) al decreto del Presidente della Repubblica 1°
novembre 1973, n. 690 (Norme di attuazione dello statuto speciale per
1.1.―
La norma oggetto di conflitto concerne il procedimento semplificato di
autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità e stabilisce
che
1.2.―
Tali competenze, sottolinea la
ricorrente, sarebbero state riconosciute anche dal decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del
paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137),
che, all’art. 8, dispone una specifica salvaguardia, stabilendo che «nelle
materie disciplinate dal presente codice restano ferme le potestà attribuite
alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano
dagli statuti e dalle relative norme di attuazione». In ossequio a tale disposizione,
recentemente,
Le previsioni statutarie, poi, prosegue
la ricorrente, sono state attuate da una speciale normativa, tra cui, in
particolare il d.P.R. n. 381 del 1974, il d.P.R. n. 115 del 1973, nonché il
d.P.R. n. 690 del 1973. Per completezza, la ricorrente ricorda che tali
competenze sono state esercitate dalla Provincia autonoma con proprie leggi,
tra le quali, in particolare, segnala la legge provinciale 4 marzo 2008, n. l (Pianificazione urbanistica e governo del
territorio), che, al Titolo
III, disciplina la tutela del paesaggio e, specificamente, all’art. 68,
individua gli interventi assoggettati ad autorizzazione
paesaggistica. Inoltre, prosegue
1.3.―
1.4.― Non varrebbe a salvare la norma impugnata dalla lamentata
illegittimità, il rilievo che essa viene a qualificare le disposizioni del
d.P.R. 9 luglio 2010, n. 139, come norme «di grande riforma economico sociale»,
«inerenti ai livelli essenziali delle prestazioni», di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera m), della
Costituzione.
Tale generica qualificazione, difatti, di un intero corpo normativo
sarebbe – a detta della Provincia – illegittima, oltre che per l’evidente
incongruità ed arbitrarietà, anche perché non corrisponderebbe alla natura del
provvedimento.
Ammesso, poi, che le norme sulla autorizzazione semplificata possano
effettivamente attenere ai «livelli essenziali delle prestazioni» di cui alla
lettera m) dell’art. 117, secondo
comma, Cost. – affermazione della quale, secondo la ricorrente, si deve
dubitare dal momento che nelle sentenze n. 10 e n. 207 del 2010
si è precisato che «la lettera m)
consente allo Stato solo di fissare standard strutturali e qualitativi delle
prestazioni da garantire agli aventi diritto», mentre, con le disposizioni
sulla autorizzazione semplificata, non si stabilisce alcuno standard quantitativo
o qualitativo di prestazioni, dato che la norma regolamentare oggetto del
presente conflitto ha l’esclusiva finalità di regolare lo svolgimento della
attività amministrativa in una materia di competenza provinciale – le Province
autonome non sarebbero, comunque, neppure in questo caso, tenute ad adeguarsi a
tali norme, poiché, se così fosse, si restringerebbe illegittimamente la
potestà legislativa provinciale. A conforto, la ricorrente richiama quanto
ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 45 del
2010 (e già affermato nella sentenza n. 145 del
2005), cioè che le limitazioni specifiche che il nuovo Titolo V della Parte
seconda della Costituzione pone alle competenze regionali nelle proprie materie
(come, ad esempio, il limite dei livelli essenziali) «operano in relazione
alle Regioni speciali nel quadro dei vincoli posti dal sistema statutario, ad
esempio come principi di riforma economico-sociale e non come titolo autonomo
di limitazione della potestà legislativa provinciale».
1.5.― Ugualmente illegittimo e lesivo sarebbe l’art. 6, comma 2, nella parte in cui richiama i vincoli derivanti alle autonomie
speciali dalla presunta «natura
di grande riforma economico sociale del Codice e delle norme di semplificazione
procedimentale in esso previste».
Infatti, pur volendo ammettere che nel decreto legislativo n. 42 del 2004
vi possano essere norme siffatte, queste non sembrano poter essere quelle
relative alla semplificazione delle procedure per gli interventi di lieve
entità.
1.6.― Infine, e in via subordinata, la ricorrente ritiene la norma
impugnata illegittima – anche qualora la si considerasse come atto di indirizzo
e di coordinamento – dal momento che essa violerebbe l’art. 3 del d.lgs. n. 266
del 1992, il quale stabilisce, per gli atti statali di indirizzo e di
coordinamento, forme specifiche «di consultazione diretta con la regione o le
province autonome secondo le rispettive competenze». Il Governo, difatti, –
prosegue la ricorrente – non ha acquisito lo specifico parere della Provincia,
come appunto richiesto dall’art. 3, comma
3, del citato d.lgs., non potendo risultare sufficiente il coinvolgimento della
Conferenza unificata, sia perché in questa ultima la posizione della Provincia
non è decisiva (dato che le decisioni vengono prese a maggioranza), sia perché
l’intesa della Conferenza non surroga la consultazione individuale della
Provincia.
In ogni caso, conclude
2.― Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che il ricorso presentato dalla Provincia
autonoma di Trento sia dichiarato inammissibile o, comunque, rigettato.
2.1.― La difesa dello Stato
osserva, preliminarmente, che è da disattendere la prima delle censure avanzate
dalla ricorrente, relativa alla natura regolamentare e non legislativa della
norma impugnata, in quanto il d.P.R. n. 139 del 2010 sarebbe un «regolamento di
delegificazione», previsto e regolato dall’art. 146, comma 9, del d.lgs. n. 42
del 2004, il quale stabilisce, altresì, una «procedura aggravata» per la sua
approvazione, richiedendo la previa intesa del Ministro con
Né il ricorso – prosegue l’Avvocatura –
a tale tipologia di fonte normativa, secondo la scelta operata dal Governo,
presenta profili di illegittimità, poiché sia secondo l’art. 20 della legge 15
marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti
alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e
per la semplificazione amministrativa), sia secondo la giurisprudenza
costituzionale è consentito utilizzare un regolamento di delegificazione, salvo
ipotesi di riserva assoluta di legge, proprio allo scopo di venire a
disciplinare materie che possano essere qualificate come «norme di grande
riforma» (sentenza
n. 164 del 2009).
2.2.― Peraltro, prosegue l’Avvocatura
dello Stato, l’impugnativa sarebbe, in ogni caso, inammissibile, in quanto
2.3.― Inammissibili, prosegue la
resistente, risulterebbero anche i primi tre motivi di censura avanzati dalla
ricorrente, in quanto essi si fonderebbero «sul contenuto sostanziale del
regolamento in esame, e quindi, sulla sua intrinseca capacità di dettare norme
con contenuto sostanziale di legge». In ciò vi sarebbe un evidente contrasto
con la premessa fatta propria dalla Provincia per dimostrare la non
vincolatività nei suoi confronti dell’atto impugnato, premessa che si fonda
proprio sulla forma giuridica dello stesso, trattandosi di un regolamento e non
di una legge.
2.4.― Nel merito, la censura relativa alla qualificazione della
norma come «norma di grande riforma economico sociale» e «inerente ai livelli
essenziali delle prestazioni», sarebbe infondata, avendo
Al contrario, per la difesa erariale, «la materia su cui incide la normativa censurata deve essere riguardata
secondo il suo intrinseco contenuto, e non in considerazione degli effetti
finali che essa sarà in grado di produrre e degli interessi ultimi che potrà
soddisfare»; pertanto, essa sarebbe attinente alla disciplina dei livelli essenziali delle prestazioni
relative ai diritti civili e sociali, riguardando esclusivamente
il procedimento da adottare, in un’ottica di semplificazione amministrativa,
per ottenere la autorizzazione paesaggistica, escludendo, conformemente alla
giurisprudenza della Corte, le questioni di carattere sostanziale attinenti
alla tutela paesaggistica.
Quindi, il d.P.R. n. 139 del 2010, sia se lo si consideri riconducibile
alla materia disciplinata dall’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., ovvero a normativa di grande
riforma economico-sociale, può legittimamente vincolare la potestà legislativa
delle Regioni a statuto ordinario e a statuto speciale, nonché quella delle
Province autonome, potendo lo Stato legittimamente emanare regolamenti di
delegificazione nelle materie di propria competenza esclusiva, vincolanti anche
per le Province autonome (sentenze n. 101 del 2010
e n. 61 del 2009).
2.5.― Conclusivamente, la disposizione in esame non recherebbe vulnus
alcuno alla potestà
legislativa primaria della ricorrente, che – in base all’intesa raggiunta – ha
goduto, peraltro, di un termine ragionevole (180 giorni) per uniformare la
propria normativa alle regole di semplificazione del procedimento previsto dal
d.P.R. in esame.
3.―
3.1.― Preliminarmente,
Da disattendere sarebbe, anche, l’ulteriore profilo di inammissibilità,
relativo alla partecipazione della Provincia autonoma ai lavori della Conferenza
unificata, esprimendo la propria intesa. Infatti, la ricorrente sottolinea di
non aver partecipato a tale riunione, come risulta dalla documentazione
presentata.
Infondato sarebbe anche il terzo profilo di inammissibilità eccepito dalla
difesa erariale, basato su una errata lettura del ricorso della Provincia, ove
si afferma di «non aver ragione di censurare tale regolamento, nella parte in
cui esso detta la procedura semplificata». Con questa affermazione – come
appare evidente –
3.2.― Nel merito, la ricorrente ribadisce le ragioni dedotte nell’atto di costituzione in ordine alla fondatezza del ricorso.
4.― Anche il Presidente del Consiglio dei ministri, in
data 6 ottobre
Considerato in diritto
1.―
1.1.― La disposizione oggetto di conflitto concerne il procedimento
semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità
e stabilisce che in ragione dell’attinenza delle disposizioni del suddetto
decreto ai livelli essenziali delle prestazioni amministrative, di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e della natura di grande riforma economico
sociale del Codice dei beni culturali e del paesaggio e delle norme di
semplificazione procedimentale in esso previste, le Regioni a statuto speciale e
le Province autonome di Trento e di Bolzano, in conformità agli statuti ed alle
relative norme di attuazione, adottano, entro centottanta giorni, le norme
necessarie a disciplinare il procedimento di autorizzazione paesaggistica
semplificata in conformità ai criteri del citato decreto.
1.2.― Secondo la ricorrente, la disposizione impugnata sarebbe in
contrasto con l’art. 8, primo comma, numeri 1), 5), 6), «nonché
integrativamente numeri 2), 3), 4), 7), 8), 11), 14), 16), 17), 18), 21), 22),
24)», e con l’art. 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo
unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige), nonché con le norme di attuazione dello statuto di
autonomia di cui: a) al decreto del Presidente della Repubblica 20 gennaio
1973, n. 115 (Norme di attuazione dello statuto speciale per
1.3.― La ricorrente – richiamate le proprie competenze statutarie,
sia legislative primarie sia amministrative, competenze riconosciute anche dal
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice
dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6
luglio 2002, n. 137), che, all’art. 8, dispone una specifica
salvaguardia, stabilendo che «nelle materie disciplinate dal presente codice
restano ferme le potestà attribuite alle regioni a statuto speciale ed alle
province autonome di Trento e Bolzano dagli statuti e dalle relative norme di attuazione»
– lamenta che, con il provvedimento impugnato, il legislatore statale sarebbe
venuto a vincolare in concreto, sia relativamente ai tempi della propria
legislazione, sia in relazione allo stesso contenuto, la potestà legislativa
primaria provinciale in tema di tutela paesaggistica, peraltro con un atto
statale di natura regolamentare, laddove la suddetta potestà potrebbe, nei casi
previsti, essere condizionata soltanto con atti di normazione primaria dello
Stato.
In tal modo, prosegue
2.― Preliminarmente devono essere
esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso.
2.1.― Ritiene la difesa statale, innanzitutto, che l’inammissibilità
del ricorso in esame si baserebbe sulla considerazione che l’art. 6, comma 2,
del d.P.R. n. 139 del 2010 (come, del resto, l’intero regolamento) non avrebbe
carattere innovativo, ma sarebbe meramente attuativo dell’art. 146, comma 9,
del d.lgs. n. 42 del 2004, norma primaria, alla quale sarebbe riconducibile
l’asserita lesione delle prerogative della ricorrente, che, dunque, avrebbe
dovuto, nei termini, essere oggetto del ricorso in via principale.
2.1.1.― L’eccezione non è fondata.
Questa Corte ha ripetutamente
sottolineato «l’inammissibilità dei ricorsi per conflitto di attribuzione
proposti contro atti meramente conseguenziali (confermativi, riproduttivi,
esplicativi, esecutivi, etc.) rispetto ad atti anteriori, non impugnati, con i
quali era già stata esercitata la competenza contestata. In tali
ipotesi, infatti, secondo la giurisprudenza costituzionale, si verificherebbe
una decadenza dall’esercizio dell’azione, per il fatto che, in siffatta
evenienza, attraverso l’impugnazione dell’atto meramente conseguenziale, si
tenterebbe in modo surrettizio, di contestare giudizialmente l’atto di cui
quello impugnato è mera conseguenza e, per il quale, è già inutilmente spirato
il termine» (tra le ultime, sentenza n. 369 del
2010).
Tuttavia, nel caso di specie, tali principi non risultano applicabili.
Infatti, il d.P.R. n. 139 del 2010
impugnato non costituisce pedissequa attuazione della norma primaria. L’art.
146 del Codice dei beni culturali disciplina l’autorizzazione in materia
paesaggistica e al comma 9 – nella parte che qui interessa – prevede che con «regolamento da emanarsi ai sensi
dell’articolo 17, comma 2, della legge
23 agosto 1988, n. 400, entro il 31 dicembre 2008, su proposta del
Ministro d’intesa con
Poiché l’art. 8 del d.lgs. n. 42 del 2004 prevedeva che nelle materie
«disciplinate dal presente codice restano ferme le potestà attribuite alle
regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano dagli
statuti e dalle relative norme di attuazione», sussistevano ampi margini di
dubbio sull’estensione della specifica disciplina relativa al rilascio
dell’autorizzazione in relazione ad interventi di lieve entità anche alla
ricorrente Provincia autonoma e, quindi, non può ritenersi che si realizzino le
condizioni per una decadenza dell’esercizio dell’azione nei confronti
dell’impugnato regolamento.
2.1.2.― Pertanto, poiché la
menomazione delle attribuzioni lamentata dalla Provincia autonoma ricorrente «è
autonomamente imputabile al provvedimento impugnato, e non già a questo quale
mero e puntuale provvedimento attuativo ed esecutivo della norma censurata di
incostituzionalità» (sentenza n. 386 del
2005), secondo costante giurisprudenza costituzionale, non è precluso
l’esame del merito dell’odierno conflitto.
2.2.― Ulteriore ragione di
inammissibilità del ricorso – secondo la difesa dello Stato – risiederebbe
nella partecipazione della Provincia autonoma di Trento alla Conferenza
unificata che ha approvato il d.P.R. n. 139 del 2010 e che vincolerebbe la
ricorrente all’esito maturato in quella sede.
2.2.1.― Anche questa eccezione deve essere disattesa, essendo
ampiamente documentato il dissenso della ricorrente all’approvazione del testo
nella formulazione poi divenuta definitiva, accompagnato dalla richiesta di
introdurre emendamenti. Al riguardo,
La ricorrente ricorda, altresì, di aver precedentemente manifestato il
proprio dissenso e richiesto modifiche all’attuale testo, prima della
approvazione (come risulta dal primo "Considerato” dell’Intesa), prove che
renderebbero inconferente ogni deduzione sul comportamento della Provincia
autonoma in tale sede.
La giurisprudenza costante di questa
Corte ha ritenuto che il dissenso manifestato anteriormente all’approvazione di
normative oggetto di concertazione implica la perdurante ammissibilità del
ricorso per conflitto ad opera della parte dissenziente (da ultimo, sentenza n. 275 del 2011; v. anche sentenze n. 39 del 2003,
n. 507 del 2002
e n. 206 del 2001).
2.3.― Ugualmente da respingere, in
quanto non fondato, è l’ulteriore motivo di inammissibilità del ricorso,
relativo ad una presunta attestazione di non lesività del regolamento impugnato
«nella parte in cui esso detta
la procedura semplificata», ricavabile da quanto avrebbe affermato
Tale eccezione si basa unicamente su una capziosa ed errata lettura del
contenuto del ricorso, in quanto
3. — Nel merito, il conflitto non è
fondato.
3.1.― L’art. 6, comma 2, del d.P.R. n. 139 del 2010 – come sopra
ricordato – concerne il procedimento semplificato di autorizzazione
paesaggistica per gli interventi di lieve entità e stabilisce che
3.2.–– La prima valutazione da compiere
riguarda la fondatezza delle censure della Provincia in ordine alla lesione
delle specifiche attribuzioni che le derivano dallo statuto di autonomia. La
ricorrente lamenta, infatti, la violazione di quanto previsto dall’art.8, primo
comma, numero 6), del d.P.R. n. 670 del 1972 che le conferisce potestà
legislativa primaria nella materia della «tutela del paesaggio», al quale vanno
collegate altre disposizioni statutarie e della normativa di attuazione. Fa
altresì presente che non si verte in una normativa statale costituente riforma
economico sociale della Repubblica, né che ad essa può essere opposto il nuovo
testo del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, dato che una
limitazione delle sue competenze legislative che derivasse dall’applicazione
del nuovo testo dell’art. 117 Cost. verrebbe a porsi in contrasto con quanto
previsto dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), che vieta che
dalle disposizioni di tale novella costituzionale possa derivare una "reformatio in pejus” della normativa prevista dagli statuti di autonomia speciale.
La affermazione della ricorrente circa
l’insussistenza, da parte delle disposizioni impugnate, dei requisiti formali
perché queste possano essere ascritte nell’ambito «delle norme fondamentali
delle riforme economico-sociali della Repubblica» è esatta. Già nella sentenza n. 376 del
2002 questa Corte, esaminando – alla luce dell’assetto costituzionale
precedente alla revisione del 2001 – la posizione che, nella gerarchia delle
fonti di produzione del diritto, venivano ad assumere i regolamenti di
delegificazione, affermava che «la sostituzione di norme legislative con norme
regolamentari esclude(va) di per sé che da queste ultime (potessero) trarsi
principi vincolanti per le regioni». È evidente che in nulla queste conclusioni
sono mutate dopo la modifica del Titolo V della Parte seconda della
Costituzione, e che, quindi, deve escludersi che il regolamento di
delegificazione sia un veicolo normativo idoneo a delineare le grandi riforme
economico-sociali che si impongono alla potestà legislativa della Provincia
autonoma.
Sono, invece, erronee le altre
argomentazioni della ricorrente.
Il più volte citato art. 8, primo comma,
numero 6), dello statuto di autonomia riconosce una competenza legislativa
primaria alla Provincia nelle questioni di merito relative alla «tutela del
paesaggio». Infatti, nella sentenza n. 226 del
2009, questa Corte, affrontando la questione della legittimità
costituzionale dell’art. 131, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, con
riferimento al parametro rappresentato dalla lettera s) del novellato secondo comma dell’art. 117 della Costituzione,
vale a dire operando un raffronto di merito tra la «tutela dell’ambiente,
dell’ecosistema e dei beni culturali» e la «tutela del paesaggio» dello statuto
di autonomia, precisò che «la competenza statale esclusiva di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost. non
può operare nei confronti della Provincia autonoma di Trento in materia di
tutela del paesaggio, giacché essa è espressamente riservata alla sua
competenza legislativa primaria, nei limiti segnati dall’art. 4 dello statuto,
i quali – come già evidenziato per l’analoga previsione statutaria della
Regione Valle d’Aosta – comportano che
Invece, nel caso in esame, la questione
non riguarda aspetti sostanziali, ma concerne profili di carattere procedurale:
quali, cioè, debbano essere le regole che disciplinano, con riferimento alle
procedure semplificate in materia di autorizzazione paesaggistica per
interventi di lieve entità, il rapporto tra la pubblica amministrazione e
coloro che richiedono una prestazione rientrante in questo ambito. Si tratta di
un aspetto che è estraneo alla previsione della più volte citata disposizione
dello statuto speciale, il quale, quindi, da questa normativa non subisce
alcuna violazione per ciò che riguarda le attribuzioni legislative che
conferisce alla Provincia (né, per il parallelismo previsto dall’art.16, per le
attribuzioni amministrative).
Al riguardo, è opportuno ricordare che
nell’art. 4 dello statuto è ancora presente (a differenza di ciò che è avvenuto
per le regioni a statuto ordinario con la modifica dell’art. 117) il limite
alla potestà legislativa rappresentato dal «rispetto […] degli interessi
nazionali». Si tratta di un’espressione che può avere molteplici significati,
tra i quali va sicuramente ricondotto (in quanto è la disposizione
costituzionale stessa che, nell’inciso, riconoscendo un fondamentale diritto
della popolazione, evidenzia che il riferimento è anche rivolto allo "Stato
comunità”) quello che tutti i destinatari delle leggi della Repubblica hanno il
diritto di fruire, in condizioni di parità sull’intero territorio nazionale, di
una procedura uniforme nell’esame di loro istanze volte ad ottenere un
provvedimento amministrativo.
4.–– Poiché la normativa statutaria non
impedisce questo intervento da parte dello Stato, che si pone al di fuori delle
competenze legislative fissate dall’art. 8, primo comma, numero 6), del d.P.R.
n. 670 del 1972 – che costituisce il presupposto logico delle altre
disposizioni statutarie ed attuative invocate, le quali, quindi, non possono in
modo autonomo essere poste a sostegno della tesi della Provincia – occorre
effettuare un ulteriore esame per valutarne la legittimità costituzionale.
La ricorrente aveva paventato il rischio
che la mancata, o erronea, applicazione dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del
2001 avesse portato lo Stato a far valere nei suoi confronti la normativa
contenuta nel novellato art. 117 della Costituzione. Se a queste argomentazioni
già si è data una risposta, resta da valutare un diverso, per certi versi
opposto, dubbio, se cioè questo tipo di intervento sia consentito allo Stato
dal nuovo art. 117. Infatti, l’art. 10 della legge di revisione costituzionale,
se da una parte vieta che le disposizioni contenute nella suddetta legge costituzionale possano
limitare le attribuzioni contenute negli statuti speciali, dall’altra le
estende a questi ultimi «per le parti in cui prevedono forme di autonomia più
ampia rispetto a quelle già attribuite». A questo, del resto, fa implicito ma
chiaro riferimento la ricorrente, laddove afferma che «il divieto di
regolamenti statali nelle materie regionali […] vale anche per le Regioni
ordinarie». Tralasciando, in quanto non rilevanti ai fini della presente
decisione, le complesse questioni interpretative che questa disposizione fa
sorgere, sulle quali
4.1.― È necessario, innanzitutto,
individuare, con riferimento al riparto di competenze previsto per le Regioni a
statuto ordinario, l’ambito materiale al quale ricondurre la disciplina oggetto
dell’impugnazione della Provincia autonoma di Trento, avendo riguardo
all’oggetto ed alla ratio della norma
medesima, così da identificare correttamente l’interesse da essa tutelato.
4.2.— Secondo l’autoqualificazione
compiuta dal legislatore statale con il sopra citato articolo, la disciplina in
esame è riconducibile alla materia «determinazione
dei livelli essenziali delle prestazioni amministrative, di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera m), Cost.»,
attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Nella giurisprudenza di questa Corte si
è più volte affermato che, ai fini del giudizio di legittimità costituzionale,
la qualificazione legislativa non vale ad attribuire alle norme una natura
diversa da quella ad esse propria, quale risulta dalla loro oggettiva sostanza.
Per individuare la materia alla quale devono essere ascritte le disposizioni
oggetto di censura, non assume rilievo la qualificazione che di esse dà il
legislatore, ma occorre fare riferimento all’oggetto e alla disciplina delle
medesime, tenendo conto della loro ratio
e tralasciando gli effetti marginali e riflessi, in guisa da identificare
correttamente anche l’interesse tutelato (da ultimo, sentenza n. 164 del
2012, vedi anche: sentenze n. 207 del 2010,
n. 1 del 2008,
n. 169 del 2007
e n. 447 del
2006).
4.3.― Nel caso in oggetto,
l’autoqualificazione operata dal legislatore statale, benché priva di efficacia
vincolante per quanto prima rilevato, è corretta.
Va infatti ricordato che l’affidamento
in via esclusiva alla competenza legislativa statale della determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni è previsto in relazione ai «diritti civili
e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»; e che,
pertanto, «si collega al fondamentale principio di uguaglianza di cui all’art.
3 Cost.», essendo «strumento indispensabile per realizzare quella garanzia» (sentenza n. 164 del
2012).
In questo quadro, si deve ribadire che,
secondo la giurisprudenza di questa Corte, «l’attribuzione allo Stato della
competenza esclusiva e trasversale di cui alla citata disposizione
costituzionale si riferisce alla determinazione degli standard strutturali e
qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti
civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di generalità, a tutti
gli aventi diritto» (ex plurimis: sentenze n. 248 del 2011,
n. 207 del 2010,
n. 322 del 2009,
n. 168 e n. 50 del 2008).
Questo titolo di legittimazione
dell’intervento statale è invocabile «in relazione a specifiche prestazioni
delle quali la normativa statale definisca il livello essenziale di erogazione»
(sentenza n. 322
del 2009, citata; e sentenze n. 328 del 2006,
n. 285 e n. 120 del 2005),
nonché «quando la normativa al riguardo fissi, appunto, livelli di prestazioni
da assicurare ai fruitori dei vari servizi» (sentenza n. 92 del
2011), attribuendo «al legislatore statale un fondamentale strumento per
garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano
dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello
di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto» (sentenze n. 8 del 2011, n. 10 del 2010
e n. 134 del
2006).
4.4.― Si tratta, pertanto, come
già precisato più volte da questa Corte, «non tanto di una «materia» in senso
stretto, quanto di una competenza del legislatore statale idonea ad investire
tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le
norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il
godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti,
senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle» (sentenze n. 322 del 2009
e n. 282 del
2002).
Alla stregua di tali principi, la
disciplina in questione va ricondotta all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
In questa prospettiva, infatti, anche
l’attività amministrativa (quindi, anche i procedimenti amministrativi in
genere), come la stessa giurisprudenza costituzionale ha avuto modo di evidenziare,
può assurgere alla qualifica di «prestazione» della quale lo Stato è competente
a fissare un «livello essenziale» a fronte di una specifica pretesa di
individui, imprese, operatori economici ed, in generale, di soggetti privati
(si vedano le sentenze n. 322 del 2009,
n. 399 e n. 398 del 2006).
La disciplina oggetto della norma qui
impugnata dalla Provincia ricorrente rientra, pertanto, in quella evoluzione in
atto nel sistema amministrativo tesa ad una accentuata semplificazione di
talune tipologie procedimentali. La riconducibilità ai livelli essenziali delle
prestazioni della disciplina dettata dall’art. 6, comma 2, del d.P.R. n. 139
del 2010, è, pertanto, desumibile dall’oggettiva necessità di dettare regole
del procedimento, valide in ogni contesto geografico della Repubblica, le
quali, adeguandosi a canoni di proporzionalità e adeguatezza, si sovrappongano
al normale riparto di competenze contenuto nel Titolo V della Parte seconda
della Costituzione.
L’esigenza comune, che caratterizza
questo tipo di attività procedurale, è quella di impedire che le funzioni
amministrative risultino inutilmente gravose per i soggetti amministrati ed è
volta a semplificare le procedure, evitando duplicazione di valutazioni, in
un’ottica di bilanciamento tra l’interesse generale e l’interesse particolare all’esplicazione
dell’attività.
4.4.1.― Del resto, più volte
questa Corte ha affermato, sottoponendo a scrutinio le disposizioni della legge
7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e
di diritto di accesso ai documenti amministrativi), che esse definivano livelli
essenziali delle prestazioni. È opportuno ricordare, al riguardo, che il
legislatore statale, con l’art. 29 della legge n. 241 del 1990 – come
modificato dall’art. 10 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo
sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di
processo civile) – al comma 2-bis, ha
previsto che afferiscano ai livelli essenziali delle prestazioni le norme di
legge concernenti gli obblighi per la pubblica amministrazione di assicurare la
partecipazione dei soggetti interessati al procedimento, sia quelle tese
all’individuazione di un responsabile ed alla conclusione del procedimento
stesso entro il termine prefissato, sia quelle relative alla durata massima dei
procedimenti.
Fin dalla sentenza n. 282 del
2002, questa Corte ha sottolineato che alla base dei livelli essenziali vi
è l’esigenza, che giustifica la competenza esclusiva statale, di «porre le
norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il
godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti,
senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle».
Particolarmente significativa, con
riferimento al presente conflitto, è la già citata sentenza n. 322 del
2009, relativa alla certificazione ambientale o di qualità rilasciata da
soggetto certificatore accreditato, nella quale si afferma che la disposizione
allora impugnata «mira […] ad assicurare che tutte le imprese fruiscano, in
condizioni di omogeneità sull’intero territorio nazionale, ad uno stesso
livello, della possibilità di avvalersi di una prestazione, corrispondente
all’ottenimento di una delle certificazioni di qualità dalla stessa previste,
concernenti molteplici ambiti e scopi, da parte di appositi enti certificatori,
accreditati in ragione del possesso di specifici requisiti», affidando «ad un
regolamento governativo (da adottarsi previo parere della Conferenza
Stato-Regioni) [il] compito di individuare "le tipologie dei controlli”». Dato
che la «disciplina è […] riconducibile alla materia "determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, attribuita dall’articolo
117, secondo comma, lettera m), Cost.
alla competenza legislativa esclusiva dello Stato», a quest’ultimo spetta,
dunque, «anche la potestà normativa secondaria, con la naturale conseguenza
della attribuzione del potere regolamentare».
La disposizione regolamentare oggetto
del conflitto ha l’evidente finalità di predisporre modelli procedurali semplificati,
in grado di accelerare i tempi che siano, nel contempo, uniformi su tutto il
territorio nazionale. Chiare ed inequivocabili sono, quindi, le esigenze di
uniformità della disciplina in tema di autorizzazione paesaggistica su tutto il
territorio nazionale, tanto da giustificare – grazie al citato parametro (art.
117, secondo comma, lettera m, Cost.)
– che si impongano anche all’autonomia legislativa delle Regioni.
5.― Nella disposizione censurata si ravvisa l’esigenza (comune, per gli argomenti sopra esposti, ai provvedimenti di semplificazione amministrativa, a prescindere dalla materia sulla quale vengano ad incidere) «di determinare livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, compreso quello delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome» (sentenza n. 164 del 2012).
6.―
In conclusione, la materia esula dall’ambito di applicazione dello statuto di
autonomia della Provincia e la riconduzione della disciplina in esame all’art.
117, secondo comma, lettera m), Cost.
comporta la non fondatezza del conflitto in oggetto.
per
questi motivi
dichiara che spettava allo Stato disciplinare, nei confronti
della Provincia autonoma di Trento, il procedimento semplificato di
autorizzazione paesaggistica, come regolato dall’articolo 6, comma 2, del
decreto del Presidente della Repubblica 9 luglio 2010, n. 139 (Regolamento
recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli
interventi di lieve entità, a norma dell’articolo 146, comma 9, del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni), impugnato
dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso per conflitto di attribuzione
indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio
2012.
F.to:
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