SENTENZA N. 507
ANNO 2002
Commento alla decisione
di Roberto Bin
Le deboli istituzioni della leale cooperazione (nota a Corte cost. 507/2002: per "Giur.cost." 2002)
per gentile concessione del Forum di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Francesco AMIRANTE
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto 8 ottobre 1998 del Ministro dei lavori pubblici, recante "Promozione di programmi innovativi in ambito urbano denominati "Programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio"" al connesso bando e relativi allegati, promosso con ricorso della Regione Veneto, notificato il 26 gennaio 1999, depositato in cancelleria il 5 febbraio 1999 ed iscritto al n. 7 del registro conflitti 1999.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 4 giugno 2002 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;
uditi gli avvocati Alfredo Bianchini e Luigi Manzi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.1. Con ricorso notificato il 26 gennaio 1999 la Regione Veneto ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento al decreto del Ministro dei lavori pubblici in data 8 ottobre 1998, recante: "Promozione di programmi innovativi in ambito urbano denominati "Programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio"", al connesso bando ed ai relativi allegati "A" e "B", per violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione, degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa), degli artt. 1, 52, 54 e 98 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), e degli artt. 79, 80, 81 e ss. del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’articolo 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), e successive modificazioni.
La ricorrente premette che con il decreto impugnato il Ministero dei lavori pubblici ha approvato, d’intesa con la Conferenza unificata, una disciplina di promozione di programmi innovativi in ambito urbano, denominati "programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio" (PRUSST), richiamando gli artt. 52 e 54 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, che conservano allo Stato le funzioni relative a tali programmi, nonché l’art. 98 del medesimo decreto, che tra le funzioni mantenute allo Stato individua la pianificazione pluriennale della viabilità, la programmazione, progettazione, realizzazione e gestione della rete stradale ed autostradale e la determinazione dei criteri relativi alla fissazione dei canoni delle licenze e delle concessioni.
Ad avviso della Regione Veneto il decreto del Ministro dei lavori pubblici invaderebbe la sfera di attribuzioni, sia legislative che amministrative, delle Regioni nella materia della urbanistica, loro riservata dall’art. 117 della Costituzione, e in quella della difesa del suolo e dell’assetto del territorio, già trasferita alle Regioni dagli artt. 79, 80 e ss. del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e successive modificazioni, e ricondurrebbe alla materia, mantenuta allo Stato, dei programmi innovativi funzioni ed attività che non si identificherebbero con i compiti di rilievo nazionale definiti dall’art. 1, comma 4, lettera c), della legge n. 59 del 1997 e dallo stesso art. 52 del d.lgs. n. 112 del 1998, ma si sostanzierebbero in "normalissimi interventi sul territorio", come tali rientranti, in base alla citata normativa, nella competenza regionale.
1.2. — Secondo la ricorrente il Ministro avrebbe omesso la definizione non solo dei contenuti dei programmi innovativi, ma anche dei principî o criteri di carattere generale che dovrebbero consentirne l’individuazione, giacché, in base al primo comma dell’art. 2 del decreto censurato, tali programmi sono concepiti come "un metodo (sperimentale) di azione amministrativa allo scopo di attivare finanziamenti sulle aree urbane". Il bando allegato al decreto (che doveva limitarsi, ai sensi dell’art. 2, comma 3, del decreto stesso, a stabilire le modalità di presentazione e di selezione di programmi innovativi) ne individuerebbe, invece, i possibili contenuti, che non riguarderebbero tanto e soltanto la sperimentazione sulle azioni amministrative e sui moduli operativi (come prescritto dal citato art. 2), ma contemplerebbero interventi concreti riguardanti strutture direzionali, ricettive, sanitarie, interventi di edilizia residenziale ed abitativa, opere di urbanizzazione, insediamenti produttivi, recupero di aree e di edilizia degradata. Il vero contenuto dei cosiddetti programmi innovativi consisterebbe, quindi, nell’essere "per lo più programmi edilizi di normalissimo assetto del territorio", senza nessuna particolare connotazione che li possa far ricondurre a quei compiti di rilievo nazionale dello Stato o a quel carattere di innovazione, che avrebbero potuto giustificare il mantenimento delle relative funzioni allo Stato stesso.
1.3. — La Regione Veneto rileva inoltre come, in base agli artt. 4 e 5 del bando allegato al decreto ministeriale, il soggetto promotore dei programmi innovativi non sarebbe lo Stato, ma il Comune, il quale dovrebbe coordinarli con i propri strumenti di pianificazione, mentre le Regioni sarebbero relegate (come le Province, le Comunità montane, lo stesso Stato, varie amministrazioni pubbliche e soggetti privati) tra i soggetti proponenti, legittimati soltanto ad avanzare le proprie proposte ai "Comuni promotori". Ne risulterebbe così capovolto il sistema della riserva allo Stato della promozione di programmi innovativi e le disposizioni citate determinerebbero "una sorta di impropria sub-delega dallo Stato ai Comuni", con relativa sottrazione di competenza alle Regioni.
1.4. — Ad avviso della Regione Veneto l’invasione delle competenze regionali si realizzerebbe anche con riferimento ai mezzi per attuare i citati programmi innovativi. Tanto il decreto ministeriale (art. 1) che il bando (artt. 1, 6-9 e 14) – osserva la ricorrente - disciplinano la modalità di finanziamento dei programmi e sottopongono il finanziamento stesso all’esame ed all’approvazione del Ministero: si tratterebbe, perciò, di erogazioni gestite dallo Stato in una materia di competenza regionale. Lo stesso sistema di finanziamento disciplinato dal decreto ministeriale impugnato non sarebbe riconducibile alla funzione di promozione dei programmi, mantenuta allo Stato dall’art. 54 del d.lgs. n. 112 del 1998, e finirebbe con l’invadere il campo della gestione amministrativa di competenza regionale, come sarebbe dimostrato, tra l’altro, dalla dettagliata procedura per la valutazione dei programmi innovativi che attribuisce al Ministro tutta la fase propriamente amministrativa e gestionale dei programmi stessi, compresa la predisposizione dei modelli per la loro presentazione da parte dei proponenti.
2.1. — Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque respinto.
Ad avviso della difesa erariale il decreto ministeriale impugnato, attuativo degli artt. 52 e 54, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 112 del 1998, dovrebbe essere qualificato come "strumento fondamentale di programmazione e promozione" e sarebbe del tutto inidoneo a ledere le sfere di attribuzioni regionali in materia di urbanistica, difesa del suolo e assetto del territorio, con conseguente inammissibilità del ricorso.
In ogni caso, il ricorso sarebbe anche infondato perchè, contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, l’oggetto del decreto sarebbe quello di fissare le modalità di individuazione dei contenuti dei programmi innovativi attraverso una articolata e definita procedimentalizzazione, all’interno della quale non sarebbe stato trascurato l’apporto delle istanze centrali o locali interessate.
2.2. Secondo l’Avvocatura la scelta dei Comuni (e, d’intesa con essi, anche delle Province e delle Regioni) come enti promotori dei programmi sarebbe "coerente con gli assetti istituzionali vigenti" e non potrebbe essere considerata come una "sub-delega statale", giacché il decreto non intende trasferire funzioni scavalcando soggetti gerarchicamente sovraordinati, ma utilizzare una metodologia di ricognizione delle esigenze prioritarie, anche al fine di reperire i relativi finanziamenti, senza che ciò significhi abdicare a compiti istituzionalmente appartenenti alla amministrazione centrale e sovvertire l’assetto delle competenze istituzionali.
Né risponderebbe a verità l’affermazione secondo cui le Regioni sarebbero relegate al mero ruolo di proponenti, in quanto il decreto distinguerebbe opportunamente i soggetti "promotori" dai soggetti "proponenti" (artt. 4 e 5 del bando), ricomprendendo nei primi i soli enti territoriali (tra cui sarebbe inclusa anche la Regione).
2.3. L’Avvocatura dello Stato rileva poi che le risorse finanziarie destinate direttamente dal decreto non atterrebbero alla realizzazione dei contenuti dei programmi, ma sarebbero invece finalizzate all’attuazione della fase programmatoria, come dimostrato dal fatto che l’art. 6 del bando attribuisce l’importo massimo stanziato per ogni programma (quattro miliardi di lire) alla sola copertura dei costi relativi all’assistenza tecnica per la predisposizione dei programmi medesimi e alla copertura, anche parziale, dei costi relativi alla progettazione, oltre che al concorso alla realizzazione di infrastrutture pubbliche e ad incentivi per il recupero del patrimonio edilizio residenziale.
2.4. Secondo la difesa erariale, infine, lo Stato, con il decreto oggetto di ricorso, avrebbe individuato, proprio nella sua veste di promotore, un meccanismo organizzatorio generale per giungere alla definizione dei programmi e avrebbe coerentemente regolato anche le fasi successive a quelle meramente promozionali, garantendo, con un procedimento concorsuale a modalità rigidamente predeterminate, la selezione delle sole esigenze primarie, in base alla loro rispondenza ai criteri prefissati. In questo quadro anche la predisposizione di moduli dettagliati, da utilizzare da parte dei proponenti, sarebbe soltanto strumentale alle finalità promozionali e programmatorie proprie del decreto, che punterebbe in definitiva a porre in essere un coordinato strumento di supporto formativo, culturale e finanziario per gli enti locali.
3.1. — In prossimità dell’udienza pubblica del 12 dicembre 2000 hanno depositato memorie tanto la Regione Veneto quanto il Presidente del Consiglio dei ministri.
3.2. — La Regione Veneto, ribadite le deduzioni e le argomentazioni già svolte nell’atto introduttivo del giudizio, afferma che il meccanismo procedimentale previsto nel decreto ministeriale 8 ottobre 1998 per i programmi in questione evidenzierebbe una compressione ingiustificata ed illegittima delle competenze regionali attuata sia "dall’alto" che "dal basso".
Sotto il primo profilo, la procedura di valutazione e selezione dei programmi (art. 13 del bando) attribuirebbe alla Regione un ruolo tutt’altro che preminente, essendo previsto un solo rappresentante per ciascuna Regione nel comitato di valutazione e selezione, a fronte della massiccia partecipazione delle amministrazioni centrali, e potendo le Regioni esprimere in sede di valutazione, su un punteggio complessivo pari a 100, soltanto 20 punti.
Quanto al secondo profilo, la ricorrente rileva che le esigenze prioritarie sulle quali, a detta dell’Avvocatura dello Stato, dovrebbe operarsi la selezione dei programmi verrebbero individuate da enti locali sottordinati, e cioè dai Comuni, che sarebbero i veri (e sostanzialmente unici) soggetti promotori dei programmi medesimi.
La Regione Veneto, infine, a dimostrazione del fatto che le risorse finanziarie previste dal decreto ministeriale atterrebbero all’attuazione non solo della fase programmatoria, ma anche dei contenuti del programma, segnala che l’art. 2 del bando ne individua gli obiettivi nella realizzazione, nell’adeguamento e nel completamento di attrezzature finalizzate allo sviluppo economico, ambientale e sociale, o nella messa in opera di un sistema integrato di attività dirette all’ampliamento e alla realizzazione di insediamenti industriali, commerciali e artigianali, o ancora alla riqualificazione di zone urbane, e che l’art. 6 dello stesso bando destina i finanziamenti anche al "concorso alla realizzazione di infrastrutture", prevedendo "incentivi per il recupero del patrimonio edilizio", che implicherebbero "veri e propri obiettivi di intervento".
3.3. — Nella propria memoria, l’Avvocatura generale dello Stato ribadisce che i PRUSST non sarebbero altro che programmi economici di sostegno finanziario e non configurerebbero strumenti di governo del territorio, tant’è che l’art. 4 del bando precisa che gli interventi devono essere "in coerenza" con gli strumenti urbanistici e che, in mancanza di tale coerenza, occorre una intesa cui partecipino anche la Regione o la Provincia interessate.
Una volta sgomberato il campo dall’erroneo riferimento alla materia "urbanistica", l’Avvocatura osserva che l’alternativa al finanziamento statale dei programmi in questione non potrebbe essere il dirottamento dei fondi presso le casse delle Regioni, ma, semmai, la soppressione dell’intervento finanziario dello Stato a favore degli enti locali, soppressione che nessun parametro costituzionale imporrebbe.
4.1. In prossimità della successiva udienza pubblica del 25 settembre 2001, alla quale il giudizio era stato nel frattempo rinviato, hanno depositato ulteriori memorie la Regione Veneto e il Presidente del Consiglio dei ministri.
4.2. Nella propria memoria la Regione Veneto eccepisce che dal verbale in data 10 settembre 1998 emerge che la Conferenza unificata aveva sancito l’intesa sullo schema di decreto del Ministro dei lavori pubblici a condizione che fossero recepite alcune richieste di modifica avanzate in corso di seduta, fra le quali, espressamente, l’eliminazione del comma 3 dell’art. 11 e dei commi 6, 7 ed 8 dell’art. 13 del bando, disposizioni che riguardavano la disciplina del procedimento e i criteri di valutazione dei PRUSST. Ad avviso della ricorrente l’amministrazione centrale non avrebbe però tenuto in alcuna considerazione le istanze correttive avanzate ed avrebbe anzi "mantenuto nel testo definitivo del corpus anche le norme alla cui eliminazione era stata tuttavia condizionata la stessa intesa della Conferenza unificata".
4.3. Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva che dal raffronto tra l’intesa raggiunta in data 10 settembre 1998 in sede di Conferenza unificata e il decreto ministeriale oggetto di conflitto emergerebbe che quest’ultimo ha puntualmente recepito le modifiche richieste e che sul testo così concordato sarebbe stato acquisito l’assenso di Regioni ed enti locali; né il verbale attestante la raggiunta intesa recherebbe menzione di alcun dissenso o riserva da parte della Regione Veneto.
Ad avviso dell’Avvocatura un atto statale emanato in piena conformità con un’intesa multilaterale regolarmente raggiunta in seno alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza unificata non potrebbe essere oggetto di un conflitto di attribuzione da parte di una soltanto delle Regioni partecipanti alla Conferenza. Tale atto, infatti, sarebbe solo formalmente riferibile allo Stato, poiché nella sostanza esso sarebbe espressione di una convenzione, della quale – se multilaterale - sarebbero parti stipulanti anche le altre Regioni. Agli accordi ed alle intese andrebbe riconosciuta, quindi, la capacità di produrre impegni e vincoli giuridici e non soltanto una valenza politica, sicché nel caso in cui una Regione, dopo avere partecipato alla Conferenza unificata, rimanendo in quella sede isolata, non accetti la volontà ivi collegialmente espressa e proponga un individuale ricorso per conflitto di attribuzione tendente a demolire quella volontà, tale ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile.
Nel merito, l’Avvocatura dello Stato ribadisce che i PRUSST non sarebbero strumenti urbanistici e non conformerebbero il territorio, dovendo anzi in linea di principio (salva l’intesa di cui all’art. 4, comma 1, del bando tra Comune proponente, Regione e Provincia) essere "in coerenza" con le vigenti previsioni urbanistiche; con il che sarebbe esclusa ogni lesione delle competenze regionali in materia di urbanistica.
La difesa erariale conclude, quindi, ricordando che numerosi programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio (PRUSST) sono già stati finanziati e sono in corso di realizzazione o già realizzati in varie Regioni italiane, e tra questi anche un programma proposto dalla Regione Veneto, e che dall’annullamento del decreto impugnato non potrebbe giammai discendere l’attribuzione dei fondi alle Regioni
4.4. In data 11 settembre 2001 il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato copia del provvedimento in data 19 settembre 2000, n. 1354, della Direzione generale coordinamento territoriale del Ministero dei lavori pubblici, avente ad oggetto la definizione dei criteri di valutazione dei programmi di iniziativa comunitaria per promuovere uno sviluppo urbano sostenibile (URBAN II), analoghi ai PRUSST.
5. All’esito dell’udienza pubblica del 25 settembre 2001, questa Corte ha disposto l’acquisizione, tramite la Presidenza del Consiglio dei ministri, dello schema di decreto del Ministro dei lavori pubblici, recante "Programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio", in attuazione dell’art. 54 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, nel testo trasmesso con nota 7 agosto 1998, così come modificato con la successiva nota del 2 settembre 1998, oggetto dell’intesa sancita in sede di Conferenza unificata in data 10 settembre 1998.
6. In prossimità della nuova udienza pubblica del 4 giugno 2002, la sola Regione Veneto ha depositato memoria, con la quale contesta la tesi del Presidente del Consiglio dei ministri secondo cui dalla propria partecipazione alla Conferenza unificata discenderebbe il difetto di legittimazione a proporre conflitto. La veste definitiva del provvedimento rappresenterebbe, infatti, il prodotto di una concertazione e non certo la posizione dichiarata di un soggetto specifico e, in ogni caso, tale soggetto non sarebbe l’organo di concertazione (la Conferenza unificata) né un suo componente (una Regione), ma piuttosto lo Stato nell’espletamento esclusivo della funzione legislativa.
Nella memoria, peraltro, si ricorda che la Regione Veneto aveva espresso voto contrario in sede di Conferenza unificata, così anticipando con il proprio dissenso le doglianze manifestate nel successivo ricorso, la cui proposizione rappresenterebbe il presupposto di un potere autonomo rispetto a quello esercitato in sede di concertazione.
La documentazione trasmessa dalla Presidenza del Consiglio dei ministri a seguito della ordinanza istruttoria di questa Corte, in ogni caso, non consentirebbe di verificare se i commi espunti dal testo definitivo del decreto siano effettivamente quelli cui faceva riferimento la Conferenza unificata, del che, anzi, si potrebbe dubitare, giacché le disposizioni residue rappresenterebbero buona parte della disciplina operativa che riguarda una serie di procedimenti di estremo dettaglio, alla eliminazione delle quali ragionevolmente la Conferenza aveva condizionato l’intesa.
Considerato in diritto
1. La Regione Veneto ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento al decreto del Ministro dei lavori pubblici in data 8 ottobre 1998, recante: "Promozione di programmi innovativi in ambito urbano denominati "Programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio"", al connesso bando ed ai relativi allegati "A" e "B", per violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione, degli artt. 1, 2, 3 e 4 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa), degli artt. 1, 52, 54 e 98 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), e degli artt. 79, 80, 81 e ss. del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’articolo 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), e successive modificazioni.
Ad avviso della ricorrente gli atti impugnati, nel loro complesso e nelle singole previsioni, invaderebbero la sfera di attribuzioni, sia legislative che amministrative, delle Regioni nella materia della urbanistica, loro riservata dall’art. 117 della Costituzione, e in quella della difesa del suolo e dell’assetto del territorio, già trasferita alle Regioni dagli artt. 79, 80 e ss. del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e successive modificazioni, in quanto farebbero rientrare nella materia, mantenuta allo Stato, dei programmi innovativi funzioni ed attività che in realtà non potrebbero essere ricomprese tra i compiti di rilievo nazionale definiti dall’art. 1, comma 4, lettera c), della legge n. 59 del 1997 e dallo stesso art. 52 del decreto legislativo n. 112 del 1998, ma si sostanzierebbero in "normalissimi interventi sul territorio", come tali riconducibili, sulla base della citata normativa, alla competenza regionale.
2. L’Avvocatura dello Stato ha eccepito l’inammissibilità del ricorso poiché sarebbe stata raggiunta in sede di Conferenza unificata un’intesa con le Regioni e gli enti locali. A tale eccezione ha replicato la Regione Veneto asserendo, da un lato, di avere espresso voto contrario in sede di Conferenza unificata, ciò che renderebbe comunque proponibile il ricorso per conflitto innanzi a questa Corte, e dall’altro che l’intesa raggiunta era condizionata al recepimento di alcune modifiche, richieste dalle Regioni e dagli enti locali, che non sarebbero state trasfuse nell’impugnato decreto del Ministro.
Entrambe le allegazioni della Regione Veneto sono, in fatto, prive di fondamento. Dal verbale della seduta del 10 settembre 1998, data in cui l’intesa è stata raggiunta, non risulta che la Regione Veneto fosse presente e che avesse in quella sede espresso voto contrario, né la Regione stessa ha allegato un suo dissenso, manifestato in una qualche forma, in data anteriore. La documentazione trasmessa dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, in ottemperanza alla ordinanza istruttoria in data 24 ottobre 2001, conferma inoltre la veridicità della prospettazione dell’Avvocatura, secondo cui tutte le modificazioni concordate in sede di Conferenza unificata e che costituivano condizioni esplicite dell’intesa sono state effettivamente trasfuse nel decreto impugnato.
I documenti in atti smentiscono gli assunti della ricorrente in ordine al mancato perfezionamento di una valida intesa. Anche a prescindere dalla questione se in simili casi sia consentito alla Regione promuovere conflitto di attribuzione a tutela delle proprie competenze costituzionali, il ricorso è inammissibile.
3. Va premesso che il ricorso deve essere scrutinato alla luce delle disposizioni costituzionali sulla competenza vigenti nel momento in cui il decreto impugnato è stato adottato, a nulla rilevando il successivo mutamento del parametro conseguente all’entrata in vigore del nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione. Il procedimento predisposto dal decreto per l’ammissione al finanziamento e la conseguente allocazione delle risorse si è esaurito prima dell’entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, né a questa è data la capacità di rendere invalidi atti posti in essere in conformità al previgente riparto di competenze.
4. E’ del resto alla disciplina previgente che la Regione Veneto ha affidato il suo ricorso, evitando anche nei più recenti scritti difensivi qualsiasi attualizzazione, seppure lessicale, delle censure alla luce del nuovo Titolo V e continuando, quindi, ad indicare come materia di propria competenza l’urbanistica, alla quale la difesa del suolo e l’assetto del territorio accederebbero in virtù dei successivi trasferimenti operati sotto il vigore del "vecchio" articolo 117.
Ma l’impugnato decreto è privo di qualsiasi attitudine lesiva delle competenze della Regione in materia urbanistica.
Gli artt. 52 e 54 del decreto legislativo n. 112 del 1998, che individuano, nell’ambito della materia urbanistica, i compiti di rilievo nazionale e, rispettivamente, le funzioni mantenute allo Stato, tra le quali espressamente, alla lettera e), quelle relative alla promozione di programmi innovativi in ambito urbano che implichino un intervento coordinato di diverse amministrazioni, non sarebbero stati rispettati dal decreto impugnato, in quanto, ad avviso della ricorrente, i programmi in esso individuati non afferirebbero a compiti di rilievo nazionale e non avrebbero alcunché di innovativo, ma si risolverebbero in normali interventi sul territorio rientranti nelle competenze regionali in materia urbanistica.
Così argomentando, la Regione Veneto trascura il fatto che, a mente dell’art. 4, comma 1, del decreto impugnato, i programmi che i Comuni hanno la facoltà di promuovere devono essere conformi agli strumenti urbanistici di pianificazione e programmazione territoriale e che, se difformi, devono essere promossi d’intesa con l’amministrazione provinciale o regionale, titolare di tali strumenti. Se dunque il programma è conforme, la sua realizzazione ricade nella competenza dei Comuni promotori e le competenze urbanistiche della Regione non ricevono alcun pregiudizio dall’apporto finanziario dello Stato. Se invece è difforme, tali competenze non subiscono menomazione, poiché esso non può essere realizzato in assenza di un’intesa: tanto basta per affermare che le attribuzioni regionali in materia urbanistica sono salvaguardate. Non mette conto a questo punto indagare oltre sulle singole prescrizioni del decreto e dei suoi allegati, che la Regione assume illegittime. Poiché il conflitto di attribuzione innanzi a questa Corte è preordinato alla tutela di competenze costituzionali, una volta accertato che l’atto impugnato, per il suo contenuto, non è idoneo a incidere sulle rivendicate competenze della Regione Veneto in materia urbanistica, ne risulta dimostrata l’inammissibilità del ricorso. Ulteriori censure che non si attengano alla difesa di attribuzioni costituzionali non possono essere infatti introdotte in questa sede.
5. Alcune argomentazioni difensive della stessa ricorrente pongono peraltro in evidenza il reale interesse che ha mosso la Regione al ricorso per conflitto: esso è inteso a provocare, quale conseguenza dell’eventuale annullamento del decreto, l’acquisizione alle Regioni delle risorse finanziarie destinate a sostenere i programmi in questione.
Ma una simile conseguenza non avrebbe alcun fondamento normativo. Va, infatti, ricordato che l’art. 1 del decreto ministeriale impugnato stabilisce che i programmi di riqualificazione urbana e di sviluppo sostenibile del territorio (PRUSST) sono finanziati con le disponibilità del Ministero dei lavori pubblici – Direzione generale del coordinamento territoriale, derivanti dalle somme non utilizzate per i precedenti programmi di riqualificazione urbana di cui al decreto ministeriale 21 dicembre 1994, provenienti a loro volta dal fondo di lire 288 miliardi di cui all’art. 2, comma 2, della legge 17 febbraio 1992, n. 179 (Norme per l’edilizia residenziale e pubblica) e successive modificazioni ed integrazioni. L’art. 61 del decreto legislativo n. 112 del 1998 stabilisce che dal 1° gennaio 1999 sono accreditate alle singole Regioni le disponibilità finanziarie concernenti le funzioni conferite in materia di edilizia residenziale pubblica relativamente agli impegni di spesa previsti da una serie di disposizioni di legge specificamente elencate, tra le quali non è inclusa quella del menzionato art. 2, comma 2, della legge n. 179 del 1992; tali disponibilità restano pertanto di pertinenza dello Stato.
Se dunque l’interesse che sostiene il ricorso consiste soprattutto nell’acquisizione e nella disponibilità delle somme da parte della Regione Veneto, ne è evidente l’inconsistenza. Esso è infatti basato su una erronea rappresentazione della disciplina finanziaria della materia. L’eventuale accoglimento del ricorso non potrebbe giammai comportare il dirottamento dei fondi statali verso le casse della Regione, ma al più la soppressione dell’intervento finanziario dello Stato e il dovere di rifondere le somme percepite in virtù di un titolo invalido.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione di cui in epigrafe, proposto dalla Regione Veneto.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 4 dicembre 2002.