SENTENZA N. 92
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Alfio FINOCCHIARO Giudice
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi per conflitti di attribuzione tra enti sorti a seguito degli articoli 2, commi 4 e 6, 3, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89 (Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del Primo ciclo di istruzione ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), promossi con ricorsi delle Regioni Toscana e Piemonte, notificati il 10 e il 16 settembre 2009, depositati in cancelleria il 16 ed il 24 settembre 2009 ed iscritti ai nn. 6 e 8 del registro conflitti tra enti 2009.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, di cui uno fuori termine;
udito nell’udienza pubblica del 22 febbraio 2011 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;
uditi gli avvocati Nicoletta Gervasi per la Regione Toscana e l’avvocato dello Stato Michele Dipace per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso notificato il 10 settembre 2009 e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 16 settembre, la Regione Toscana ha promosso conflitto di attribuzione tra enti nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, avente ad oggetto il decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89 (Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del Primo ciclo di istruzione ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), con riguardo agli articoli 2, commi 4 e 6, 3, comma 1, per contrasto con gli articoli 117 e 118 della Costituzione e con i principi di leale collaborazione e di sussidiarietà.
2.— La Regione Toscana, preliminarmente, richiama il contenuto delle disposizioni oggetto del conflitto.
L’art. 2, comma 4, stabilisce «l’istituzione di nuove scuole e di nuove sezioni avviene in collaborazione con gli enti territoriali, assicurando la coordinata partecipazione delle scuole statali e delle scuole paritarie al sistema scolastico nel suo complesso».
L’art. 2, comma 6, prevede che «le sezioni della scuola dell’infanzia con un numero di iscritti inferiore a quello previsto in via ordinaria, situate in comuni montani, in piccole isole e in piccoli comuni, appartenenti a comunità privi di strutture educative per la prima infanzia, possono accogliere piccoli gruppi di bambini di età compresa tra i due e i tre anni, la cui consistenza è determinata nell’annuale decreto interministeriale sulla formazione dell’organico. L’inserimento di tali bambini avviene sulla base di progetti attivati, d’intesa e in collaborazione tra istituzioni scolastiche e i comuni interessati, e non può dar luogo a sdoppiamenti di sezioni».
L’art. 3, comma 1, infine, dispone che «l’istituzione e il funzionamento di scuole statali del I ciclo devono rispondere a criteri di qualità ed efficienza del servizio, nel quadro della qualificazione dell’offerta formativa e nell’ambito di proficue collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e i comuni interessati anche tra di loro consorziati».
3.— La ricorrente sottolinea che il d.P.R. in questione è stato adottato in attuazione dell’art. 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. Tale comma è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, nelle lettere f-bis) ed f-ter), con la sentenza di questa Corte n. 200 del 2009.
In particolare, le suddette lettere f-bis) ed f-ter) prevedevano, rispettivamente, che i regolamenti di attuazione avrebbero dovuto attenersi ai seguenti criteri:
definizione di criteri, tempi e modalità per la determinazione e articolazione dell’azione di ridimensionamento della rete scolastica prevedendo, nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, l’attivazione di servizi qualificati per la migliore fruizione dell’offerta formativa (lettera f-bis);
nel caso di chiusura o accorpamento degli istituti scolastici aventi sede nei piccoli comuni, lo Stato, le Regioni e gli enti locali possono prevedere specifiche misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti (lettera f-ter).
4.— La ricorrente Regione Toscana ritiene che le norme del citato d.P.R., in ordine alle quali ha promosso conflitto, intervengano illegittimamente in ambiti di competenza regionale (programmazione scolastica e iniziative per ridurre il disagio degli utenti di zone svantaggiate) e diano attuazione alle disposizioni sopra richiamate, di cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale, ponendosi, dunque, in contrasto con la citata sentenza n. 200 del 2009.
5.— In particolare, la difesa regionale assume che l’art. 2, comma 4, e l’art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 89 del 2009, violerebbero gli artt. 117 e 118 Cost., nonché il principio di leale collaborazione.
Tali disposizioni, infatti, interverrebbero su profili organizzativi della rete scolastica, rientranti nella potestà legislativa delle Regioni ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.
Le stesse norme, per un verso, esulerebbero dall’ambito delle norme generali sull’istruzione o dei principi fondamentali della materia, per altro verso, non esprimerebbero esigenze di carattere unitario che potrebbero legittimare l’intervento statale.
Con le disposizioni censurate, le Regioni verrebbero, di fatto, private del ruolo primario nell’istituzione di nuove scuole – dell’infanzia e del Primo ciclo − che rappresenta senz’altro l’aspetto più rilevante nell’ambito della programmazione e dell’organizzazione della rete scolastica.
Ciò anche in considerazione del fatto che la sussistenza di competenze in capo alle Regioni sull’organizzazione scolastica e sul dimensionamento degli istituti andrebbe ricondotta agli artt. 138, comma 1, lettere a), b), c), e 143, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).
Sarebbe palese, quindi, la violazione dell’art. 117 Cost., poiché le norme impugnate disciplinano aspetti organizzativi, con riferimento alla determinazione ed articolazione dell’azione di ridimensionamento della rete scolastica, senza prevedere un adeguato coinvolgimento delle Regioni.
Né potrebbe essere invocato l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., dal momento che le disposizioni in esame non fissano standard minimi di prestazioni scolastiche.
Afferma, quindi, la ricorrente che le suddette disposizioni del d.P.R. n. 89 del 2009 sarebbero da ricondurre alle previsioni delle lettere f-bis) ed f-ter) del comma 4 dell’art. 64 del d.l. n. 112 del 2008, oggetto di pronuncia di incostituzionalità con la già citata sentenza n. 200 del 2009.
In ragione di quanto sopra, le disposizioni del d.P.R. medesimo, intervenendo in materia di organizzazione e di dimensionamento della rete scolastica, sarebbero in contrasto con l’art. 117 Cost. sotto due profili: il primo, perché lo Stato disciplina funzioni regionali (in violazione, quindi, dell’art. 117, terzo comma, Cost.); il secondo, perché tale disciplina è dettata con regolamento (in violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost.).
Le norme sarebbero ulteriormente lesive delle attribuzioni regionali poiché, attenendo ad ambiti di competenza regionale, il regolamento nel quale sono state inserite avrebbe dovuto contenere, con riferimento all’istituzione di nuove scuole, la previsione dell’intesa con le Regioni interessate, mentre, nell’un caso (art. 2, comma 4), si richiamano genericamente forme di collaborazione con gli enti territoriali per l’istituzione delle scuole dell’infanzia; nell’altro (art. 3, comma 1), addirittura, non si prevede alcun ruolo delle Regioni nella istituzione e nel funzionamento delle scuole del Primo ciclo.
Le norme in questione, quindi, invaderebbero le competenze delle Regioni anche per violazione dell’art. 118 Cost. e del principio della leale collaborazione e non si giustificherebbero neppure alla luce del principio di sussidiarietà.
6.— Anche in merito all’art. 2, comma 6, del d.P.R. n. 89 del 2009 la ricorrente ravvisa la violazione degli artt. 117 e 118 Cost., e del principio di leale collaborazione.
Tale disposizione, in quanto avrebbe la finalità di prevenire e/o ridurre il disagio per quell’utenza che si trova in zone più svantaggiate del territorio, riguarderebbe un profilo di competenza concorrente regionale, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, che non può formare oggetto di normativa regolamentare statale.
Anche in ordine a detta questione, la Regione richiama, a sostegno delle proprie argomentazioni, la sentenza n. 200 del 2009.
Mancherebbe, anche in questa ipotesi, la previsione di idonee forme di concertazione con le Regioni, violandosi, in tal modo, gli artt. 117 e 118 Cost., nonché il principio di leale collaborazione.
7.— In data 21 ottobre 2010 si è costituito, fuori termine, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
8.— Con ricorso notificato il 16 settembre 2009 e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 24 settembre, anche la Regione Piemonte ha impugnato l’art. 2, commi 4 e 6, e l’art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 89 del 2009, assumendone il contrasto con gli artt. 117 (commi terzo e sesto) e 118 Cost., e con i principi di sussidiarietà, di adeguatezza e di leale collaborazione.
8.1.— Ad avviso della ricorrente, che prospetta censure analoghe a quelle formulate dalla Regione Toscana, le disposizioni in esame interverrebbero su profili organizzativi della rete scolastica di competenza delle Regioni ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., come affermato dalla Corte con la sentenza n. 200 del 2009.
8.2.— In particolare, con riguardo all’art. 2, comma 4, e all’art. 3, comma 1, è dedotta la violazione degli artt. 117 e 118 Cost., nonché del principio di leale collaborazione.
Nelle disposizioni citate manca ogni riferimento ai compiti delle Regioni. Queste vengono, di fatto, private del ruolo primario nell’istituzione di nuove scuole – dell’infanzia e del Primo ciclo − che rappresenta senz’altro l’aspetto più rilevante nell’ambito della programmazione e dell’organizzazione della rete scolastica.
Le norme del d.P.R n. 89 del 2009 disciplinerebbero aspetti organizzativi, con riferimento alla determinazione ed articolazione dell’azione di ridimensionamento della rete scolastica, senza prevedere un adeguato coinvolgimento delle Regioni.
L’assetto organizzativo del sistema scolastico non potrebbe essere ricondotto alle norme generali sull’istruzione e, pertanto, non potrebbe essere oggetto di regolamento statale, poiché, ai sensi dell’art. 117, sesto comma, Cost., il potere regolamentare dello Stato esiste solo nelle materie di sua potestà legislativa esclusiva.
Le norme impugnate sarebbero da ricondurre, sostanzialmente, alle previsioni dell’art. 64, comma 4, dichiarate incostituzionali con la sentenza n. 200 del 2009.
In particolare, con riguardo a tale norma, la Corte ha affermato principi riferibili anche alle disposizioni del regolamento ora censurate.
Infatti, le norme in esame, dettate con regolamento e pertanto in violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., intervengono in materia di dimensionamento e di organizzazione della rete scolastica, in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost.
Le norme sarebbero ulteriormente lesive delle attribuzioni regionali, poiché non prevedono alcun ruolo delle Regioni, ledendo così l’art. 118 Cost. ed il principio della leale collaborazione.
9.— In data 22 ottobre 2010 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo la inammissibilità e la non fondatezza del ricorso.
9.1.— Le disposizioni regolamentari impugnate costituirebbero diretta attuazione di norme generali in materia di istruzione, di competenza esclusiva dello Stato (artt. 33, 34 e 117, secondo comma, Cost.), contenute nella legge 28 marzo 2003, n. 53 (Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale), la cui attuazione è avvenuta con i relativi decreti legislativi delegati e con l’art. 64 del decreto-legge n. 112 del 2008.
Peraltro, tale ultima norma è stata ritenuta, quanto alle disposizioni di principio in essa contenute, costituzionalmente legittima (citata sentenza n. 200 del 2009), poiché esse costituiscono norme generali sull’istruzione.
Sempre nella sentenza sopra richiamata, precisa l’Avvocatura dello Stato, un distinto titolo di legittimazione dello Stato a disciplinare la materia, è ravvisato nella competenza legislativa esclusiva relativa alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.).
Quindi, alla luce dei principi enunciati nella citata sentenza, non vi sarebbe alcun dubbio che le disposizioni del d.P.R. n. 89 del 2009, impugnate dalla Regione, rientrino tra le norme generali sull’istruzione scolastica e tra i livelli essenziali delle prestazioni in materia di organizzazione scolastica e di utilizzazione del personale dirigente e docente della scuola; norme rientranti, dunque, nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, per l’attuazione delle quali sussiste la potestà statale di emanare i relativi regolamenti (art. 117, secondo comma, lettere n ed m, e sesto comma).
9.2.— Per quanto concerne, in particolare, l’articolo 2, relativo alla scuola dell’infanzia, il testo dello stesso confermerebbe, quale riferimento di base, la disciplina che regola il settore della scuola dell’infanzia, richiamando integralmente il decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59 (Definizione delle norme generali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, a norma dell’articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53), attuativo della riforma introdotta dalla citata legge n. 53 del 2003. Tale riferimento di base viene integrato dalle nuove disposizioni, conformi alle indicazioni fissate dall’articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008.
La disposizione contenuta nel comma 4, della cui legittimità costituzionale la Regione Toscana dubita, riguarda la generalizzazione del servizio reso dalle scuole dell’infanzia e prevede che l’amministrazione scolastica periferica metta in atto intese con gli enti locali, secondo una logica collaborativa e programmatoria che include anche il sistema delle scuole paritarie.
La disposizione contestata, di cui al comma 6, prevede poi che le sezioni della scuola dell’infanzia con un numero di iscritti inferiore a quello previsto in via ordinaria, site in comuni prive di strutture educative per la prima infanzia, possono accogliere piccoli gruppi di bambini di età compresa tra i due e i tre anni e che l’inserimento di tali bambini avviene sulla base di progetti attivati d’intesa e in collaborazione tra le istituzioni scolastiche e i comuni interessati e non può dar luogo a sdoppiamenti di sezioni.
L’articolo 3, anch’esso oggetto di impugnativa, concernente il Primo ciclo di istruzione, si limiterebbe a riprendere, senza modifiche sostanziali, quanto previsto, in materia, dal decreto legislativo n. 59 del 2004, contenente norme generali sull’istruzione, specificandone le finalità generali e la durata complessiva, e confermando la necessità di proficue collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e gli enti locali.
Pertanto, quest’ultima deve essere considerata una norma programmatica, che riguarda il sistema scolastico complessivo del Primo ciclo; essa, dunque, non attiene alla determinazione della rete scolastica o alla programmazione della stessa. Tenuto conto del riparto delle competenze tra Stato e Regioni delineato dalla Corte con la sentenza n. 200 del 2009, risulterebbe evidente che la disposizione dell’art. 2, comma 4, stabilisce alcuni principi generali, nel prevedere l’istituzione di nuove scuole dell’infanzia, di indirizzo alla programmazione della rete scolastica regionale, la cui disciplina compete alle singole Regioni per il rispettivo territorio.
9.3.— La difesa dello Stato aggiunge che la riprova che non sono state toccate competenze regionali sarebbe data dal decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81 (Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola, ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), con il quale è stata data attuazione all’articolo 64, comma 4-quinquies, del citato d.l. n. 112 del 2008.
Sarebbe, pertanto, da escludere che, mediante le norme regolamentari contestate dalla ricorrente, sia stata data attuazione all’articolo 64, comma 4, lettera f-bis), del d.l. n. 112 del 2008, dichiarato incostituzionale. Tale norma, comunque, ancor prima della declaratoria di incostituzionalità, era da ritenersi implicitamente abrogata per effetto di quanto previsto dall’articolo 64, comma 4-quinquies, già citato.
9.4.— Anche la previsione del comma 6 del medesimo articolo 2, in ordine alla possibilità di accoglienza di bambini di età compresa tra i due e i tre anni nelle sezioni di scuola dell’infanzia in specifiche realtà territoriali, non potrebbe considerarsi lesiva delle attribuzioni regionali e del principio di leale collaborazione.
Tale disposizione non appare, infatti, preordinata ad ovviare a disagi derivanti dalla chiusura di istituzioni scolastiche e, quindi, il richiamo all’articolo 64, comma 4, lettera f-ter), sarebbe inconferente.
La norma si riferisce ad un servizio aggiuntivo che si vuole garantire e per la cui erogazione è necessario disporre del relativo organico sulla base del quale, poi, esso potrà essere dimensionato.
9.5.— Le disposizioni in questione sarebbero, altresì, rivolte ad assicurare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale, di esclusiva potestà legislativa dello Stato, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), Cost.
Non sembra, infatti, dubbio che la normativa in esame sia intesa a prevedere che agli utenti del servizio scolastico venga garantito un adeguato livello di fruizione delle prestazioni formative sulla base di standard uniformi valevoli per l’intero territorio nazionale. La stessa normativa non esclude la possibilità che le singole Regioni, nell’ambito della loro competenza concorrente in materia, possano migliorare i livelli delle prestazioni adeguandoli alle esigenze peculiari del territorio.
9.6.— Analoghe considerazioni sono prospettate dalla difesa dello Stato in ordine all’articolo 3, comma 1, del d.P.R. n. 89 del 2009, che non comporterebbe lesioni alle attribuzioni proprie delle Regioni, posto che non introduce alcuna nuova disciplina in un ambito ad esse riservato e non mette in alcun modo in discussione la spettanza alle medesime delle funzioni inerenti al dimensionamento della rete scolastica, ma si limita a riprendere, senza modifiche sostanziali, quanto previsto dal decreto legislativo n. 59 del 2004, relativo al Primo ciclo di istruzione, confermando la necessità di proficue collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e gli enti locali per l’istituzione e il funzionamento di scuole che devono rispondere a criteri di qualità e di efficienza.
Invero, il riferimento a tali criteri non costituirebbe altro che una esplicitazione del principio fondamentale di buon andamento dell’amministrazione, di cui all’art. 97 Cost.
Considerato in diritto
1.— Con distinti ricorsi la Regione Toscana e la Regione Piemonte hanno promosso conflitto di attribuzione tra enti nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in ordine all’articolo 2, commi 4 e 6, e all’articolo 3, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89 (Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del Primo ciclo di istruzione ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), deducendo la lesione delle attribuzioni costituzionalmente garantite alle Regioni, in ragione della violazione dagli articoli 117 e 118 della Costituzione, nonché dei principi di leale collaborazione e di sussidiarietà.
2.— Le ricorrenti, prospettando censure sostanzialmente identiche, deducono, nel complesso, che le disposizioni del d.P.R. in questione invaderebbero ambiti di esclusiva competenza regionale (programmazione scolastica e iniziative per ridurre il disagio degli utenti delle zone svantaggiate), dando attuazione a disposizioni legislative dichiarate costituzionalmente illegittime con la sentenza di questa Corte n. 200 del 2009.
In particolare, l’art. 2, comma 4, e l’art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 89 del 2009, interverrebbero in materia di dimensionamento e di organizzazione della rete scolastica, così ledendo l’art. 117 Cost. sotto un duplice profilo: da un lato, lo Stato disciplinerebbe funzioni regionali, in contrasto con il citato art. 117, terzo comma, Cost.; dall’altro, tale disciplina sarebbe introdotta con regolamento, in violazione del sesto comma dell’art. 117 Cost. Le disposizioni in questione contrasterebbero, altresì, con l’art. 118 Cost. e con il principio di leale collaborazione, attesa la mancata previsione della necessaria intesa con le Regioni interessate, nonché con il principio di sussidiarietà.
A sua volta, l’art. 2, comma 6, del citato d.P.R. n. 89 del 2009, in quanto avrebbe la finalità di prevenire e/o ridurre il disagio per quell’utenza che si trova nelle zone più svantaggiate del territorio, riguarderebbe un profilo di competenza concorrente regionale, così ledendo l’art. 117, commi terzo e sesto, nonché l’art. 118 Cost. ed il principio di leale collaborazione, mancando la previsione di idonee forme di concertazione con le Regioni.
3.— In ragione dell’oggetto comune, i due ricorsi devono essere riuniti ai fini di una trattazione congiunta.
4.— La questione promossa con i suddetti ricorsi per conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni deve essere risolta alla luce della pronuncia resa da questa Corte (citata sentenza n. 200 del 2009) sulla legittimità costituzionale delle disposizioni contenute nell’art. 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133; pronuncia di cui, all’evidenza, non si è tenuto conto nell’adozione del regolamento governativo di delegificazione emanato, ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), con il d.P.R. n. 89 del 2009, recante − tra le altre − le censurate disposizioni di cui all’art. 2, commi 4 e 6, e all’art. 3, comma 1, e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 15 luglio 2009, n. 162.
5.— Questa Corte, con la citata sentenza, nel pronunciarsi sulla questione di fondo concernente la distinzione tra le norme generali sull’istruzione, riservate in via esclusiva allo Stato dall’art. 117, comma secondo, lettera n), Cost., e i principi fondamentali della materia istruzione, rientrante questa nella competenza legislativa concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., ha affermato, testualmente, che rientrano tra le norme generali sull’istruzione «quelle disposizioni statali che definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario ed uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell’istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale), nonché la libertà di istituire scuole e la parità tra le scuole statali e non statali».
Sono, invece, espressione di principi fondamentali della materia dell’istruzione «quelle norme che, nel fissare criteri, obiettivi, direttive o discipline, pur tese ad assicurare la esistenza di elementi di base comuni sul territorio nazionale in ordine alle modalità di fruizione del servizio dell’istruzione, da un lato, non sono riconducibili a quella struttura essenziale del sistema d’istruzione che caratterizza le norme generali sull’istruzione, dall’altra, necessitano, per la loro attuazione (e non già per la loro semplice esecuzione) dell’intervento del legislatore regionale».
6.— Per stabilire, dunque, se, con le impugnate norme regolamentari, lo Stato abbia effettivamente invaso una sfera di competenza legislativa regionale, occorre partire dalle suindicate affermazioni di fondo, fatte da questa Corte, osservando, in particolare, che, nella stessa sentenza, si è precisata la non spettanza allo Stato dell’adozione di disposizioni regolamentari, ancorché contenute in un regolamento di delegificazione, che fossero esorbitanti dall’ambito della competenza legislativa esclusiva in tema di determinazione delle norme generali sull’istruzione; ciò in applicazione, in particolare, di quanto previsto dall’art. 117, sesto comma, Cost.
Sulla base delle indicate premesse, la Corte, con la citata pronuncia, ha, in particolare, dichiarato l’illegittimità costituzionale, proprio con riferimento a quanto previsto dall’art. 117, commi secondo, lettera n), terzo e sesto, Cost., delle disposizioni contenute nelle lettere f-bis) ed f-ter) del citato art. 64, comma 4, del d.l. n. 112 del 2008, aggiunte dalla relativa legge di conversione. Le disposizioni recate dalle lettere f-bis) ed f-ter) sono state ritenute estranee all’area della materia rientrante nella locuzione norme generali sull’istruzione.
Da quanto innanzi, deriva che devono essere ritenute esorbitanti dall’ambito della competenza esclusiva statale in tema di norme generali sull’istruzione e lesive della potestà legislativa concorrente della Regione in materia di istruzione pubblica, le disposizioni del regolamento governativo che, in qualche modo, possono essere considerate dipendenti, derivanti o comunque connesse a quelle dichiarate incostituzionali con la citata sentenza n. 200 del 2009.
7.— Passando all’esame delle singole disposizioni oggetto dei conflitti, viene, innanzitutto, in rilievo quella contenuta nell’art. 2, comma 4, del citato regolamento governativo, di cui le ricorrenti assumono la illegittimità.
La censura è fondata.
Il suddetto comma, con riferimento alla “Scuola dell’infanzia”, dispone che «l’istituzione di nuove scuole e di nuove sezioni avviene in collaborazione con gli enti territoriali, assicurando la coordinata partecipazione delle scuole statali e delle scuole paritarie al sistema scolastico nel suo complesso».
7.1.— Orbene, la istituzione di nuove scuole e di nuove sezioni nelle scuole dell’infanzia già esistenti, attiene, in maniera diretta, al dimensionamento della rete scolastica sul territorio; attribuzione che la sentenza n. 200 del 2009 ha riconosciuto spettare al legislatore regionale, in quanto non riconducibile, nel contesto generale del citato art. 64, comma 4, del d.l. n. 112 del 2008, all’ambito delle norme generali sull’istruzione. Ciò comporta che, con la disposizione inserita nel predetto comma 4 dell’art. 2 del regolamento governativo, lo Stato ha invaso la competenza delle ricorrenti sul punto specifico di adattamento della rete scolastica alle esigenze socio-economiche di ciascun territorio regionale, «che ben possono e devono essere apprezzate» in ciascuna Regione, con la precisazione che non possono, al riguardo, «venire in rilievo aspetti che ridondino sulla qualità dell’offerta formativa e, dunque, sulla didattica» (citata sentenza n. 200 del 2009). In tale contesto, anche la finalità di assicurare la coordinata partecipazione delle scuole statali e delle scuole paritarie al sistema scolastico complessivo, cui il medesimo comma 4 fa espresso riferimento, è funzionale al dimensionamento della rete.
Né, d’altra parte, in senso contrario può essere addotta la circostanza – prospettata dalla difesa dello Stato − che analoghe disposizioni sono contenute nel d.P.R. 20 marzo 2009, n. 81 (Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola, ai sensi dell’art. 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133).
Da un sommario esame di tale regolamento governativo può evincersi che la disciplina in esso prevista è, in larga misura, estranea al dimensionamento della rete scolastica sul territorio, come conferma la circostanza che la maggior parte delle sue disposizioni è finalizzata ad un razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola, investendo, in sostanza, il tema della didattica, piuttosto che quello sopra indicato relativo al dimensionamento della rete scolastica. Comunque, il suddetto regolamento non ha formato oggetto di impugnazione, né può essere invocato in questa sede perché sia ritenuta immune dai vizi denunciati la disposizione oggetto di censura con i ricorsi in esame.
7.2.— Infine, la norma regolamentare ora impugnata non può essere ascritta all’area dei principi fondamentali della materia concorrente della istruzione, in quanto la fonte regolamentare, anche in forza di quanto previsto dall’art. 117, sesto comma, Cost., sarebbe comunque inidonea a porre detti principi. Ed inoltre (ma ciò si osserva solo ad abundantiam) risulterebbe violato, in modo palese, il principio di leale collaborazione per la mancata previsione di ogni forma di coinvolgimento regionale nella adozione delle relative misure di riordinamento della rete.
8.— Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi per quanto attiene alla disposizione contenuta nel comma 6 del medesimo art. 2 del regolamento governativo.
La relativa censura, pertanto, è fondata.
Detto comma prevede che «le sezioni della scuola dell’infanzia con un numero di iscritti inferiore a quello previsto in via ordinaria, situate in comuni montani, in piccole isole e in piccoli comuni, appartenenti a comunità privi di strutture educative per la prima infanzia, possono accogliere piccoli gruppi di bambini di età compresa tra i due e i tre anni, la cui consistenza è determinata nell’annuale decreto interministeriale sulla formazione dell’organico». Il suddetto comma prosegue disponendo che «l’inserimento di tali bambini avviene sulla base di progetti attivati, d’intesa e in collaborazione tra istituzioni scolastiche e i comuni interessati, e non può dar luogo a sdoppiamento di sezioni».
8.1.— Al riguardo, deve essere rilevato che, come si è già innanzi precisato, questa Corte, con la sentenza n. 200 del 2009, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 64, comma 4, lettera f-ter), del d.l. n. 112 del 2008, in quanto demandava all’allora emanando regolamento governativo di prevedere, «nel caso di chiusura o di accorpamento degli istituti scolastici nei piccoli comuni», «specifiche misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti».
A fondamento della suindicata declaratoria di illegittimità costituzionale questa Corte ha affermato che «la disposizione contenuta in tale lettera opera una estensione allo Stato di una facoltà di esclusiva pertinenza delle Regioni, mediante l’attribuzione allo stesso di un compito che non gli compete, in quanto quello della chiusura o dell’accorpamento degli istituti scolastici nei piccoli Comuni costituisce un ambito di sicura competenza regionale proprio perché strettamente legato alle singole realtà locali, il cui apprezzamento è demandato agli organi regionali».
A ciò la Corte ha significatamente aggiunto che è in facoltà delle Regioni e degli enti locali «prevedere misure volte a ridurre, nei casi in questione, il disagio degli utenti del servizio scolastico, proprio per l’impatto che tali eventi hanno sulle comunità insediate nel territorio e con riguardo alle necessità dell’utenza delle singole realtà locali».
8.2.— Orbene, l’impugnata disposizione del regolamento governativo, approvato con il d.P.R. n. 89 del 2009, non può essere considerata attuazione delle norme generali sull’istruzione, di specifica competenza legislativa esclusiva dello Stato, contenute nel citato art. 64, comma 4, del d.l. n. 112 del 2008. Le misure previste dal comma in questione del suddetto regolamento sono chiaramente volte ad eliminare o ridurre il disagio dell’utenza del servizio scolastico nei piccoli comuni, con una valutazione che non può prescindere dalle particolari condizioni in cui versano le comunità locali di ridotte dimensioni, perché insediate in territori montani o in piccole isole ovvero comunque in comuni di dimensioni tali da essere privi di strutture educative per la prima infanzia. Si tratta, dunque, di misure specificamente volte a ridurre il disagio degli utenti del servizio scolastico in un settore, quale quello delle scuole per l’infanzia, in cui esso può assumere una notevole importanza proprio con riferimento alle peculiari esigenze di «bambini di età compresa tra i due e i tre anni».
È, dunque, del tutto ovvio che spetta alle Regioni, nell’esercizio della loro competenza legislativa concorrente in materia di istruzione pubblica, non disgiunta (è bene aggiungere) da rilevanti aspetti di competenza regionale, di carattere esclusivo, in tema di servizi sociali, l’adozione di misure volte alla riduzione del disagio di tali particolari utenti del servizio scolastico.
8.3.— Né è senza significato, d’altronde, che, come già rilevato dalla sentenza n. 200 del 2009, le Regioni, anche prima del d.l. n. 112 del 2008 e della stessa riformulazione dell’art. 117 Cost. ad opera della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), erano titolari di competenze attinenti alla programmazione della rete scolastica e alla attribuzione di contributi alle scuole non statali. Ciò in base, fondamentalmente, a quanto, a suo tempo, previsto dall’art. 138 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) e delle altre disposizioni legislative richiamate dalla stessa citata sentenza n. 200 del 2009.
8.4.— Anche con riferimento alla contestata disposizione regolamentare deve essere ribadito quanto prima osservato con riguardo al precedente comma 4, e cioè che le prescrizioni contenute nel riportato comma 6 non possono essere considerate espressione di principi fondamentali della materia concorrente della istruzione, per la inidoneità della fonte regolamentare a fissare detti principi e, in ipotesi, per la violazione, comunque, dell’art. 117, comma sesto, Cost., oltre che per la radicale mancanza di ogni forma di coinvolgimento regionale, in violazione del canone della leale collaborazione tra istituzioni.
9.— La difesa dello Stato, con riferimento ad entrambe le questioni relative ai commi 4 e 6 dell’art. 2 del regolamento, ha richiamato, da un lato, l’art. 118, primo comma, Cost., osservando che i suddetti commi, oggetto dell’impugnazione regionale, troverebbero fondamento anche nella attrazione in sussidiarietà, da parte dello Stato, della competenza a provvedere in materia, e, dall’altro, l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., osservando che le misure previste dai medesimi commi sarebbero ascrivibili alla materia della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
Entrambe le deduzioni, da esaminare congiuntamente con riferimento ai due commi oggetto di contestazione da parte delle ricorrenti, non possono essere condivise.
Sotto il primo profilo, quello relativo cioè alla chiamata in sussidiarietà, è sufficiente osservare che, a prescindere da ogni altra e diversa considerazione ostativa e comunque dalla questione concernente la utilizzabilità a tale fine della fonte regolamentare, la allocazione al superiore livello statale di attribuzioni spettanti alle Regioni, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, presuppone che siano previste adeguate forme di coinvolgimento delle Regioni al fine di tutelare le istanze regionali costituzionalmente garantite in un ambito che involge indubbiamente profili di competenza concorrente (sentenza n. 303 del 2003, alla quale ha fatto seguito una giurisprudenza costante; da ultimo sentenza n. 16 del 2010).
Sotto il secondo profilo, è sufficiente osservare che per la giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 282 del 2002) si è in presenza di una normazione attinente ai livelli essenziali delle prestazioni, quando la normativa al riguardo fissi, appunto, livelli di prestazioni da assicurare ai fruitori dei vari servizi; fattispecie questa che certamente esula dallo spettro di applicazione delle norme regolamentari in ordine alle quali sono stati proposti i ricorsi, ora in esame, per conflitto di attribuzioni.
10.— Infine, quanto alla impugnazione dell’art. 3, comma 1, del regolamento governativo de quo, la cui rubrica è “Primo ciclo di istruzione”, occorre rilevare che, secondo detto comma, l’istituzione e il funzionamento di scuole statali del Primo ciclo «devono rispondere a criteri di qualità ed efficienza del servizio, nel quadro della qualificazione dell’offerta formativa e nell’ambito di proficue collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e i comuni interessati anche tra di loro consorziati».
Le ricorrenti denunciano l’illegittimità costituzionale della suddetta disposizione sulla base dei medesimi parametri sopra richiamati.
10.1.— La censura non è fondata.
Deve essere, innanzitutto, rilevato che la citata disposizione regolamentare, nella sua prima parte, si limita, in realtà, ad una mera affermazione di principio relativamente ad una generale ed ineludibile esigenza, qual è quella relativa alla fondamentale necessità che anche l’istituzione e il funzionamento delle scuole statali del Primo ciclo (come, del resto, per tutti gli ordini di scuole) rispondano a criteri di qualità ed efficienza del servizio scolastico.
Sotto questo aspetto, la disposizione censurata, essendo priva di un reale contenuto precettivo, non sarebbe idonea, per sé sola considerata, a recare alcun vulnus alle competenze regionali in materia di istruzione.
Nella sua seconda parte, però, la disposizione di cui al comma 1 dell’art. 3 contiene una prescrizione, la quale ha, invece, un suo specifico contenuto precettivo.
Essa precisa che l’obiettivo della qualità ed efficienza del servizio scolastico nel Primo ciclo deve essere perseguito «nel quadro della qualificazione dell’offerta formativa e nell’ambito di proficue collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e i comuni interessati anche tra di loro consorziati».
Considerata nel suo complesso, la disposizione impugnata, inserita nel citato comma 1 dell’art. 3 del regolamento governativo di delegificazione, può essere ricondotta, per il suo contenuto sostanziale, all’attuazione di disposizioni che questa Corte ha riconosciuto come ascrivibili alla materia delle norme generali sull’istruzione, riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera n, Cost.). Ciò in quanto essa tende concretamente a dare attuazione a disposizioni, d’ordine appunto generale, e come tali operanti in tutto il territorio nazionale, contenute nell’art. 64, comma 4, del d.l. n. 112 del 2008 e qualificate, con la citata sentenza n. 200 del 2009, come norme generali sull’istruzione.
Infatti, proprio per l’espresso riferimento alle esigenze specifiche della «qualificazione dell’offerta formativa», la disposizione impugnata concorre − per quanto attiene particolarmente al Primo ciclo dell’istruzione, che per sua natura riveste un fondamentale rilievo nella formazione delle nuove generazioni di scolari al loro primo contatto con il mondo della scuola − a delineare quel sistema nazionale dell’istruzione, il quale necessariamente deve essere caratterizzato da elementi di unitarietà ed uniformità su tutto il territorio nazionale.
A ciò va aggiunto che la disposizione del comma 1 in questione, specificamente per il suo riferimento ai «criteri di qualità ed efficienza del servizio» scolastico del Primo ciclo dell’istruzione, ai fini del miglioramento dell’offerta formativa, non è in contrasto, ma anzi ne rappresenta il necessario presupposto, con quanto previsto dal d.lgs. 19 febbraio 2004, n. 59, recante la «Definizione delle misure generali relative alla scuola dell’infanzia e al Primo ciclo dell’istruzione, a norma dell’articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53».
Quanto, infine, ai profili attinenti alla leale collaborazione, con riguardo alle deduzione delle ricorrenti circa la illegittimità della mancata previsione nella norma censurata di un coinvolgimento regionale, deve osservarsi che, vertendosi in materia di competenza statale esclusiva, non sussisteva per lo Stato alcun obbligo a tale riguardo. Nondimeno, la norma regolamentare in esame si è data carico del coinvolgimento delle istituzioni locali e ha corrispondentemente previsto che la qualificazione dell’offerta formativa deve svolgersi comunque «nell’ambito di proficue collaborazioni tra l’amministrazione scolastica e i comuni interessati», eventualmente tra loro consorziati; con ciò prevedendo, appunto, un meccanismo di leale collaborazione con le istituzioni locali rappresentative degli interessi delle comunità territoriali e soddisfacendo la relativa esigenza di coordinamento interistituzionale.
11.— Alla luce, pertanto, delle considerazioni innanzi svolte, in parziale accoglimento dei due ricorsi regionali indicati in epigrafe, deve essere dichiarato che non spettava allo Stato emanare le disposizioni regolamentari contenute nell’art. 2, commi 4 e 6, del d.P.R. n. 89 del 2009. Di tali disposizioni deve essere disposto l’annullamento.
12.— I due ricorsi devono essere, invece, respinti nella parte in cui censurano l’art. 3, comma 1, del medesimo regolamento governativo con la conseguenza che deve essere dichiarato che spettava allo Stato l’adozione della citata disposizione contenuta nel medesimo d.P.R. n. 89 del 2009.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
a) dichiara che non spettava allo Stato disciplinare l’istituzione di nuove scuole dell’infanzia e di nuove sezioni della scuola dell’infanzia, nonché la composizione di queste ultime, nei termini stabiliti dall’art. 2, commi 4 e 6, del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89 (Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del Primo ciclo di istruzione ai sensi dell’articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133), e per l’effetto annulla l’articolo 2, commi 4 e 6, del suddetto d.P.R. n. 89 del 2009;
b) dichiara che spettava allo Stato stabilire i criteri ai quali devono rispondere l’istituzione e il funzionamento di scuole statali del Primo ciclo, nei termini stabiliti dall’art. 3, comma 1, del suddetto d.P.R. n. 89 del 2009.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Alfonso QUARANTA , Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 marzo 2011.