SENTENZA N. 203
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON
”
- Franco MODUGNO ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 15, comma 14, del decreto-legge
6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa
pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento
patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135,
promossi dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con ordinanze del
27 febbraio (due ordinanze), del 28 febbraio, del 14 marzo, del 28 febbraio,
del 27 febbraio (due ordinanze), del 28 febbraio (cinque ordinanze), del 14
marzo (quattro ordinanze) e del 27 febbraio 2014 (due ordinanze),
rispettivamente iscritte ai nn. 160, 161, 162, 212, 213, 214, 215, 262, 263, 264, 265 e 266
del registro ordinanze 2014 e ai nn. 23, 24, 25, 26, 27 e 28 del
registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 42 e 49, prima serie speciale, dell’anno 2014 e nn. 5 e 10, prima serie speciale, dell’anno 2015.
Visti gli atti di costituzione della San Raffaele spa e
San Raffaele Roma srl (quale gestore dell’IRCCS San Raffaele Pisana),
dell’Associazione Italiana Ospedalità Privata per la
Regione Lazio ed altri, dell’Istituto di ricovero e cura a carattere
scientifico Fondazione Santa Lucia, della Casa di cura privata S. Anna srl,
dell’Istituto Figlie di San Camillo – Ospedale Madre Giuseppina Vannini, dell’ARIS, Associazione religiosa istituti-socio
sanitari – Regione Lazio, della Provincia religiosa di San Pietro, Ordine
ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli –
Ospedale Villa San Pietro, della Poligest spa, della
Casa di cura Marco Polo srl, dell’Ospedale Israelitico – Ospedale Provinciale
Specializzato Geriatrico, della Casa generalizia dell’Ordine Ospedaliero di San
Giovanni di Dio Fatebenefratelli – Ospedale San
Giovanni Calibita, della Casa di cura Città di Roma spa,
dell’Aurelia 80 spa, dell’European Hospital spa, de
La Panoramica srl nonché gli atti di intervento della Regione Lazio e del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nell’udienza pubblica del 31 maggio
2016 e nella camera di consiglio del 1° giugno 2016 il Giudice relatore Daria
de Pretis;
uditi gli avvocati Gianluigi Pellegrino per la San
Raffaele spa e San Raffaele Roma srl (quale gestore dell’IRCCS San Raffaele
Pisana), per l’Associazione Italiana Ospedalità
Privata per la Regione Lazio ed altri e per l’Istituto ricovero e cura a
carattere scientifico Fondazione Santa Lucia, Silvio Bozzi per la Casa di cura
privata S. Anna srl, per l’Istituto Figlie di San Camillo – Ospedale Madre
Giuseppina Vannini, per l’ARIS, Associazione
religiosa istituti socio-sanitari – Regione Lazio, per la Provincia religiosa
di San Pietro, Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli
– Ospedale Villa San Pietro e per l’Ospedale Israelitico – Ospedale Provinciale
Specializzato Geriatrico, Francesco Saverio Marini per la Poligest
spa, Beniamino Caravita di Toritto
per la Casa di cura Marco Polo srl, Domenico Ielo per
la Casa generalizia dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli, Ospedale San Giovanni Calibita,
Matteo Di Raimondo per La Panoramica srl, Massimo Luciani
per la Regione Lazio e l’avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con diciotto ordinanze, sei delle
quali pronunciate il 27 febbraio 2014 (iscritte ai nn.
160, 161, 214 e 215 del registro ordinanze 2014 e ai nn.
27 e 28 del registro ordinanze 2015), sette pronunciate il 28 febbraio 2014
(iscritte ai nn. 162, 213, 262, 263, 264, 265 e 266
del registro ordinanze 2014) e cinque il 14 marzo 2014 (iscritte al n. 212 del
registro ordinanze 2014 e ai nn. 23, 24, 25 e 26 del
registro ordinanze 2015), il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha
sollevato plurime questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma
14, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la
revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché
misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012,
n. 135.
1.1.– Le questioni sono sorte nel corso
di giudizi promossi da soggetti che gestiscono strutture sanitarie accreditate
dalla Regione Lazio per prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e
ospedaliera, al fine di ottenere l’annullamento del decreto n. 349 del 22
novembre 2012, con il quale il Commissario ad acta
per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della
Regione Lazio ha disposto che le previsioni di spesa per il 2012 delle
prestazioni ospedaliere sono rideterminate in diminuzione nella misura del
6,8519 per cento.
Il provvedimento è stato emesso in
attuazione del citato art. 15, comma 14, del d.l. n. 95 del 2012, a norma del
quale, nel testo vigente al momento della proposizione dei ricorsi, «[a] tutti
i singoli contratti e a tutti i singoli accordi vigenti nell’esercizio 2012, ai
sensi dell’articolo 8-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.
502, per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati
per l’assistenza specialistica ambulatoriale e per l’assistenza ospedaliera, si
applica una riduzione dell’importo e dei corrispondenti volumi d’acquisto in
misura percentuale fissa, determinata dalla regione o dalla provincia autonoma,
tale da ridurre la spesa complessiva annua, rispetto alla spesa consuntivata
per l’anno 2011, dello 0,5 per cento per l’anno 2012, dell’1 per cento per
l’anno 2013 e del 2 per cento a decorrere dall’anno 2014 […]».
In taluni dei giudizi a quibus la richiesta di annullamento è estesa: al decreto
commissariale n. 348 del 22 novembre 2012, che, in attuazione della stessa
disposizione, ha disposto la riduzione della previsione di spesa per il 2012
per le prestazioni ambulatoriali nella misura dello 0,4245 per cento; al
decreto commissariale n. 100 del 9 aprile 2013, che ha definito la previsione
di spesa per il 2013 per le prestazioni ospedaliere operando una riduzione
dello 0,5 per cento di quella già stabilita per il 2012, e al decreto
commissariale n. 183 del 2013, con il quale è stato approvato lo schema tipo di
contratto-accordo per la definizione dei rapporti giuridici tra le aziende
sanitarie del Lazio e i soggetti erogatori di prestazioni sanitarie a carico
del Servizio sanitario nazionale.
2.– In tutte le ordinanze – a eccezione
di quella iscritta al n. 28 del registro ordinanze 2015 – sono sollevate
questioni di illegittimità per violazione degli artt. 117, terzo comma,
e 41 della
Costituzione. Sono comuni anche le censure per violazione del principio di
irretroattività, evocato in alcune ordinanze senza specifici riferimenti a
norme costituzionali (reg. ord. nn. 160, 161, 214 e
215 del 2014 e nn. 27 e 28 del 2015) e nelle altre in
riferimento agli artt.
3 e 97 Cost.
Sono parzialmente comuni le censure per
violazione degli artt.
32 (reg. ord. nn. 162, 212, 213, 262, 263, 264,
265, 266 del 2014 e nn. 23, 24, 25, 26 e 28 del 2015)
e 117, primo comma,
Cost. (reg. ord. nn. 162 e 213 del 2014 e nn. 23, 24, 25 e 26 del 2015), quest’ultimo in relazione
all’art. 1 del Protocollo
addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo
e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
Superate – là dove sono state sollevate
– le questioni di difetto di giurisdizione del giudice adito (reg. ord. n. 212
del 2014) e di inapplicabilità della norma denunciata agli ospedali
"classificati”, in quanto equiparabili a quelli pubblici (reg. ord. nn. 215, 262, 263, 264, 265 e 266 del 2014), il rimettente
lamenta, innanzi tutto, la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.,
richiamando la competenza concorrente dello Stato e delle regioni in materia di
sanità.
A suo avviso, l’art. 15, comma 14, nel
prevedere un taglio generalizzato della spesa per il 2012 e per gli anni
successivi che esse sono chiamate a sostenere sulla base di accordi
precedentemente stipulati con le singole strutture accreditate, non può
ritenersi norma che fissa principi fondamentali, e risulta pertanto in
contrasto con il richiamato art. 117, terzo comma, Cost.
Il TAR ricorda la giurisprudenza
costituzionale secondo la quale obiettivi di finanza pubblica complessiva e di
contenimento della spesa possono comportare limiti all’autonomia legislativa
concorrente delle regioni nel settore della tutela della salute e in
particolare nell’ambito della gestione del servizio sanitario, per cui il
legislatore statale può legittimamente imporre vincoli alla spesa corrente
delle regioni. A suo giudizio, tuttavia, l’art. 15, comma 14, violerebbe l’art.
117, terzo comma, Cost., in quanto individua specificatamente i settori ove
conseguire (con imposizione di tagli «lineari» e senza alternative), i risparmi
nella spesa sanitaria, senza limitarsi ad una mera quantificazione in via
generale dei suddetti risparmi, lasciando alla discrezionalità
dell’amministrazione regionale l’individuazione dei comparti di spesa dove
ottenerli e delle modalità per conseguirli (magari differenziando i destinatari
dei tagli di spesa secondo propri criteri apprezzati discrezionalmente come più
rispondenti all’interesse e alle peculiarità regionali).
Il rimettente lamenta, altresì, la
violazione dei principi costituzionali in tema di irretroattività della legge
extrapenale, evocando (anche se non in tutte le ordinanze, come ricordato) i
parametri di cui agli artt. 3 e 97 Cost.
A suo avviso, la norma censurata e i
decreti commissariali impugnati – questi ultimi adottati a fine novembre 2012,
quando il limite della previsione di spesa annuale sarebbe stato ormai sostanzialmente
raggiunto – avrebbero inciso sul legittimo affidamento delle singole strutture
sanitarie ad erogare le prestazioni e a ricevere il corrispettivo stabilito nei
contratti anteriormente stipulati e per la corretta esecuzione dei quali le
medesime strutture sanitarie avevano predisposto le necessarie risorse
organizzative ed effettuato i relativi investimenti.
Il giudice rimettente non ignora che la
giurisprudenza del Consiglio di Stato ha ritenuto legittima l’introduzione
retroattiva di tetti di spesa in materia sanitaria (cita la sentenza
dell’adunanza plenaria n. 4 del 2012), ma osserva che, secondo la stessa
giurisprudenza, un intervento di questo tipo è rispettoso della tutela
dell’affidamento solo a condizione che i soggetti interessati possano avere
riguardo ai tetti di spesa previsti per l’anno precedente, tenendo
contemporaneamente conto degli ulteriori limiti imposti dalle disposizioni
finanziarie conoscibili all’inizio e nel corso dell’anno. Questa condizione –
ad avviso del rimettente – non si sarebbe realizzata nel caso della norma
censurata, che impone i tagli delle previsioni di spesa già approvate «con
parziale decorrenza retroattiva dall’1.1.2012», senza «alcun preesistente
parametro da cui i destinatari abbiano potuto preavvertire l’intervento della
disposta riduzione».
In continuità con la censura appena
illustrata, il giudice a quo prospetta la violazione dell’art. 117, primo
comma, Cost., per il tramite dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU
quale norma interposta, «stante la lesione con effetto retroattivo di un bene
acquisito in presenza di un affidamento legittimamente ingenerato da budget
attribuiti e relativi contratti stipulati».
La norma in questione contrasterebbe
anche con l’art. 41 Cost., in quanto, impedendo la remunerazione di prestazioni
già erogate, lederebbe la libertà di iniziativa economica privata.
Contrasterebbe, infine, con l’art. 32
Cost., perché le riduzioni delle previsioni di spesa, giustificate solo da
ragioni economico-finanziarie e aggiuntive rispetto ad analoghe misure,
adottate in precedenza, potrebbero determinare una compromissione del diritto
alla salute.
La rilevanza delle questioni sembra, ad
avviso del TAR, «del tutto evidente» in tutti i giudizi a quibus,
in quanto esse investono la disciplina normativa in applicazione della quale
sono stati adottati i contestati decreti del Commissario ad acta.
3.– Si sono costituite nei giudizi di
costituzionalità – a eccezione di quelli promossi con le ordinanze iscritte al
n. 215 del registro ordinanze 2014 e ai nn. 26 e 28
del registro ordinanze 2015 – le parti ricorrenti nei giudizi principali, che
hanno chiesto l’accoglimento delle questioni sollevate dal TAR nei rispettivi
processi.
Gli atti di costituzione della San
Raffaele spa e della San Raffaele Roma srl (quale gestore dell’IRCCS San
Raffaele Pisana), dell’Associazione Italiana Ospedalità
Privata per la Regione Lazio e altri e dell’Istituto di Ricovero e Cura a
carattere scientifico Fondazione Santa Lucia hanno analogo contenuto. In essi
si sottolinea la natura puntuale della norma censurata, là dove impone una
riduzione in misura percentuale fissa delle previsioni di spesa risultanti dai
singoli contratti e accordi stipulati dalle regioni con le case di cura. Si
evidenzia, poi, che la norma inciderebbe in modo retroattivo sui rapporti
contrattuali in corso nel 2012, precludendo ogni possibilità di riprogrammare
l’attività per il brevissimo periodo residuo dell’anno e così ledendo
l’affidamento legittimamente sorto in capo ai contraenti a erogare le
prestazioni e ricevere il compenso fissato al momento della sottoscrizione del
contratto.
La norma contrasterebbe anche con l’art.
41 Cost., in quanto nemmeno un atto legislativo potrebbe negare a un
imprenditore la remunerazione di prestazioni sanitarie già eseguite sulla base
di contratti stipulati con il Servizio sanitario nazionale, finendosi
altrimenti con l’addossare a carico delle strutture private una quota delle
spese per l’assistenza sanitaria.
Nei loro atti di costituzione, aventi
tutti analogo contenuto, la Casa di cura privata S. Anna srl, l’Ospedale
Israelitico – Ospedale Provinciale Specializzato Geriatrico, l’Istituto Figlie
di San Camillo – Ospedale Madre Giuseppina Vannini,
l’ARIS, Associazione religiosa istituti socio sanitari – Regione Lazio e la
Provincia religiosa di San Pietro, Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli – Ospedale Villa San Pietro lamentano la
violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. Secondo gli intervenienti la norma
in questione integrerebbe una legge provvedimento a contenuto dettagliato,
destinata a produrre i suoi effetti su specifici aspetti del sistema sanitario
regionale. Richiamando la giurisprudenza costituzionale sul rapporto tra
normativa statale di principio e normativa statale di dettaglio nelle materie
concorrenti, essi negano che la riduzione lineare disposta dall’art. 15, comma
14, stia in rapporto di coessenzialità e di
necessaria integrazione rispetto all’obiettivo del contenimento della spesa
relativa all’acquisto di prestazioni da soggetti privati. Il legislatore
statale avrebbe sostituito «con una legge provvedimento l’esercizio di una
funzione amministrativa regionale […] finalizzata espressamente ad allocare in
maniera efficiente – attraverso una comparazione tra le qualità dei diversi
soggetti erogatori – la spesa per l’acquisto di prestazioni da parte di
soggetti privati». La riduzione lineare della spesa dei soggetti erogatori,
disposta dall’art. 15, comma 14, sarebbe quindi irragionevole, perché in
contrasto con quanto dispone l’art. 8-quinquies, comma 2, del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia
sanitaria, a norma dell’articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421), che
prevede una valutazione comparativa della qualità e dei costi prima della
stipulazione dei contratti con le strutture accreditate. Risulterebbe così
confermato che la norma non è «coessenziale al principio di competenza
nazionale del contenimento della spesa».
L’incidenza retroattiva su un rapporto
contrattuale di durata renderebbe manifesta, ad avviso delle parti private, la
lesione dell’affidamento nella stabilità di una situazione giuridica acquisita,
e quindi il contrasto con l’art. 3 Cost., in assenza di una causa normativa
adeguata. Il legislatore avrebbe infatti anche omesso di operare un
bilanciamento tra le esigenze contrapposte, riducendo, se non eliminando per il
periodo dell’anno già trascorso, la diminuzione di spesa per il 2012, e
aumentando le percentuali previste per gli anni successivi.
Un ulteriore profilo di irragionevolezza
sarebbe ravvisabile nel fatto che la norma, determinando in concreto una
riduzione della spesa per il 2012 pari al 6,85 per cento, avrebbe eliminato
ogni margine residuo di utile per le strutture private accreditate, così
violando l’art. 41 Cost.
Il contrasto con l’art. 117, primo
comma, Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU,
deriverebbe dalla qualificazione del diritto di credito maturato dalle
strutture accreditate come «bene» tutelato da tale disposizione convenzionale,
nonché dalla mancanza di una «base legale interna» idonea a operare il giusto
equilibrio tra le esigenze di interesse generale e gli imperativi di
salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo, sicché anche per questa
via l’efficacia retroattiva della norma dovrebbe ritenersi lesiva del legittimo
affidamento.
Infine, le parti private prospettano
sotto un diverso profilo la violazione degli artt. 3, 41 e 97, in relazione
all’art. 32 Cost. La norma discriminerebbe gli operatori sanitari privati a
discapito di quelli pubblici, benché si tratti di soggetti assimilabili dal
punto di vista della definizione delle previsioni di spesa per l’erogazione
delle prestazioni, senza alcuna valutazione circa il miglior modo per garantire
l’efficienza della spesa residua, al netto delle riduzioni disposte. Ne
conseguirebbe il sacrificio del diritto alla salute.
L’interveniente Poligest
spa sviluppa gli argomenti offerti dal TAR a sostegno delle censure di
violazione dell’art. 41 Cost., osservando che la norma «è andata ad incidere
sui contratti già sottoscritti, a prestazioni già irrogate in forza di una
precedente e più favorevole determinazione del tetto di spesa da parte delle
regioni, quando il budget annuale del 2012 era già stato raggiunto». Ne
risulterebbe così lesa la libertà imprenditoriale, costituendo la
determinazione preventiva della previsione di spesa elemento fondamentale della
programmazione economica della casa di cura.
Aggiunge che l’affidamento nella
sicurezza dei rapporti giuridici è gravemente leso allorché l’intervento
legislativo incida sulle condizioni essenziali del contratto e non potrebbe
trovare giustificazione, secondo la giurisprudenza costituzionale, in una
«generalizzata» esigenza di contenimento della finanza pubblica (cita la sentenza n. 94 del
2009).
Quanto alla violazione dell’art. 117,
terzo comma, Cost., la parte privata nega la natura di principio fondamentale
di «coordinamento della finanza pubblica» della norma censurata. Essa non
lascia alcun margine di discrezionalità alla regione nella riduzione in misura
fissa dell’importo e prevede una misura puntuale e esaustiva. L’offerta
«minimale» dei servizi sanitari, inoltre, non potrebbe essere unilateralmente
imposta dallo Stato, ma dovrebbe essere concordata per taluni aspetti con le
regioni, formando «oggetto di concertazione».
Quanto alla violazione degli artt. 3 e
32 Cost., lamenta che non vi sarebbe stato un ragionevole bilanciamento tra la
tutela del diritto alla salute e la limitatezza delle risorse della spesa
sanitaria. La norme in esame non supererebbe il vaglio di ragionevolezza e non
arbitrarietà, poiché le misure da essa disposte si aggiungerebbero
retroattivamente ad altre già in essere e contrasterebbero con i principi
stabiliti dalla sentenza
n. 309 del 1999, secondo la quale le esigenze della finanza pubblica non
possono assumere, nel bilanciamento, un peso talmente preponderante da
comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute. La misura, inoltre,
pregiudicherebbe la funzionalità e l’efficienza delle strutture private
essenziali nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, così violando l’art.
32 Cost.
Analogo contenuto presentano gli atti di
costituzione delle intervenienti Casa di cura Città di Roma spa, Aurelia 80 spa
e European Hospital spa. Vi si lamenta che il decreto
del Commissario ad acta è intervenuto quando le
prestazioni erano già state erogate, negandone il pagamento, e che la riduzione
è stata determinata in misura fissa per tutte le strutture, mentre la norma si
riferirebbe ai singoli contratti o alle singole convenzioni. Inoltre i dati
messi a confronto nel decreto impugnato non sarebbero omogenei.
Con riferimento alla violazione
dell’art. 117, terzo comma, Cost., si sostiene che l’art. 15, comma 14, del
d.l. n. 95 del 2012 è una norma di dettaglio, produttiva degli effetti di una
«legge provvedimento».
Con riferimento alla violazione degli
artt. 3 e 97 Cost., la norma avrebbe carattere retroattivo, incidendo su
diritti acquisiti e modificando la disciplina dei contratti in corso, e
determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento fra le strutture
interessate dal provvedimento, penalizzando quelle che – come le strutture
gestite dalle intervenute – conseguono volumi di produzione più elevati ed
esauriscono o superano i livelli massimi di spesa già assegnati.
Quanto alla violazione dell’art. 117,
primo comma, Cost., le parti richiamano quale norma interposta anche l’art. 6
del Protocollo addizionale alla CEDU (recte: art. 6
della CEDU). Inoltre, prospettano il contrasto con l’art. 11 Cost., in
relazione ai principi comunitari di cui agli artt. 49, 56, 63 e 10 del Trattato
sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), sottoscritto a Roma il 25 marzo
1957.
Infine, con riferimento agli artt. 41 e
32 Cost., deducono che la norma realizzerebbe l’esproprio dei loro crediti,
mediante una sorta di prelievo forzoso sproporzionato e irragionevole, e
ribadiscono che essa priva le strutture accreditate delle risorse necessarie a
garantire i livelli essenziali di assistenza.
Le intervenienti Casa di Cura Marco Polo
srl, Casa Generalizia dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli – Ospedale San Giovanni Calibita e La Panoramica srl, nel costituirsi in giudizio,
hanno chiesto l’accoglimento delle questioni sollevate dal rimettente, senza
esporre argomenti a sostegno delle loro conclusioni.
4.– Nei giudizi di costituzionalità
promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 160, 161 e
162 del registro ordinanze 2014 si è costituita anche la Regione Lazio (parte
resistente nei rispettivi giudizi a quibus), con atti
depositati il 28 ottobre 2014 di analogo tenore.
In via preliminare, la Regione eccepisce
l’inammissibilità delle questioni per carenza assoluta di motivazione della
rilevanza. A suo avviso, il giudice a quo avrebbe dovuto dimostrare
l’infondatezza dei motivi di impugnazione con i quali i ricorrenti nei processi
principali hanno lamentato i vizi di violazione di legge e di eccesso di potere
dei provvedimenti impugnati, giacché, qualora tali censure fossero fondate, il
TAR dovrebbe accogliere le domande, senza necessità di sollevare le questioni
di legittimità costituzionale.
Altro profilo di inammissibilità
deriverebbe dalla lacunosa e insufficiente individuazione dell’oggetto delle
questioni, in quanto il rimettente non avrebbe indicato quali, tra le plurime
disposizioni contenute nell’art. 15, comma 14 – diverse per ambito di
efficacia, validità nel tempo, strumenti amministrativi predisposti – siano
investite dai dubbi di legittimità sollevati.
L’inadeguata identificazione
dell’oggetto delle questioni determinerebbe, altresì, l’inammissibilità per
difetto di motivazione, sia della rilevanza, che della non manifesta
infondatezza, non avendo il giudice a quo motivato «partitamente
circa il nesso di rilevanza e circa i dubbi di legittimità di ogni singola
norma risultante dal vasto complesso di disposizioni di cui al comma in
oggetto».
Infine, le questioni sarebbero
inammissibili per omesso esperimento del tentativo di interpretazione costituzionalmente
orientata.
Nel merito, la Regione sostiene la
possibilità di interpretare l’art. 15, comma 14, in senso conforme a
Costituzione, sulla scia di quanto fatto dalla Corte costituzionale con le
sentenze n. 182
del 2011 e n.
139 del 2012, in relazione all’art. 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n.
78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività
economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30
luglio 2010, n. 122. Dunque, l’art. 15, comma 14, garantirebbe alle regioni «un
adeguato margine di apprezzamento quanto al governo della spesa sanitaria, ben
potendo esse articolare, per ciascun anno finanziario, le opportune poste di
bilancio, fermo restando il "taglio” disposto dal legislatore statale». La
Regione, poi, rileva che la norma in questione ricadrebbe nell’ambito del
«coordinamento della finanza pubblica» prima ancora che in quello della «tutela
della salute». La sua legittimità risulterebbe anche «dalla limitazione
temporale e dalla eccezionalità delle restrizioni previste».
5.– Nei giudizi di costituzionalità – a
eccezione di quelli promossi con le ordinanze iscritte ai nn.
27 e 28 del registro ordinanze 2015 – è intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso l’Avvocatura generale dello Stato, con
atti di analogo tenore depositati il 28 ottobre 2014.
In primo luogo, la difesa dello Stato
eccepisce l’inammissibilità della questione fondata sull’art. 117, terzo comma,
Cost. I giudizi a quibus hanno ad oggetto atti
adottati dal Presidente della Regione in qualità di Commissario ad acta, per cui non sarebbe «rilevante la questione della
lesione di prerogative regionali (…), vertendosi in
un contenzioso in cui vengono impugnati provvedimenti riferibili sostanzialmente
allo Stato».
Quanto al merito, l’Avvocatura generale
osserva che, in base alla giurisprudenza costituzionale, l’autonomia regionale
in materia di tutela della salute potrebbe essere limitata per esigenze di
contenimento della spesa. La norma censurata sarebbe legittima in quanto
emanata per garantire «l’efficienza nell’uso delle risorse destinate al settore
sanitario e l’appropriatezza nell’erogazione delle prestazioni sanitarie».
Inoltre, l’art. 15, comma 14, lascerebbe
alle regioni «un margine di autonomia e di manovra», riservando loro «il potere
di stabilire quali sono le prestazioni sanitarie di assistenza specialistica
ambulatoriale ed assistenza ospedaliera sulle quali incidere, riducendole». Le
regioni potrebbero dunque prevedere «riduzioni maggiori o minori in relazione a
particolari prestazioni o a determinate strutture o in base alle peculiarità
dei propri servizi sanitari».
Con riferimento alle questioni fondate
sugli artt. 3 e 97 Cost., l’intervenuto contesta che la norma abbia efficacia
retroattiva, in quanto essa è inserita in un provvedimento che, nella sua
versione definitiva a seguito della conversione in legge del d.l. n. 95 del
2012, risale al mese di agosto del 2012. Ciò avrebbe reso possibile per le
strutture accreditate la «rimodulazione dei volumi delle prestazioni per la
restante parte del 2012», sicché sarebbe da escludere la lesione
dell’affidamento e dei crediti già maturati.
L’intervenuto eccepisce, altresì,
l’inammissibilità delle questioni fondate sugli artt. 32, 41 e 97 Cost., in
quanto non si comprenderebbe «quali siano esattamente i parametri e i precetti
costituzionali (tra quelli richiamabili dai richiamati articoli della Carta
costituzionale) oggetto di violazione, né quale sia l’iter motivazionale che
induca a ritenere che l’art. 15, comma 14, del D.L. 95/2012 vada interpretato
esclusivamente nel senso della sua efficacia retroattiva ovvero della non remunerabilità di prestazioni già erogate […] o come possa
seriamente incidere sul nucleo essenziale del diritto alla salute dei
cittadini».
Nel merito, sostiene che la modesta
riduzione della spesa in misura percentuale fissa non sarebbe manifestamente
irragionevole, considerata l’eccezionalità del dissesto finanziario nel settore
sanitario. Inoltre, l’intervento legislativo non sembrerebbe idoneo a
compromettere il diritto alla salute dei cittadini.
Infine, la difesa statale richiama le
competenze statali esclusive nelle materie «ordinamento civile» e «livelli
essenziali delle prestazioni», previste all’art. 117, secondo comma, lettere l)
ed m), Cost., che legittimerebbero lo Stato a incidere sui rapporti giuridici
sorti da contratti o accordi tra enti del Servizio sanitario nazionale e
soggetti privati.
6.– Nell’imminenza dell’udienza hanno
depositato memorie illustrative, aventi analogo contenuto, la Casa di cura
privata S. Anna srl, l’Ospedale Israelitico – Ospedale Provinciale
Specializzato Geriatrico, l’Istituto Figlie di San Camillo – Ospedale Madre
Giuseppina Vannini, l’ARIS, Associazione religiosa
istituti socio-sanitari – Regione Lazio e la Provincia Religiosa di San Pietro,
Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli
– Ospedale Villa San Pietro.
Le intervenienti contestano la tesi, sostenuta
dal Presidente del Consiglio dei ministri, che nega l’efficacia retroattiva
della norma, in quanto essa consentirebbe ai soggetti privati accreditati di
rimodulare le prestazioni per la restante parte del 2012, senza lesione
dell’affidamento e dei crediti già maturati. A questo proposito, deducono che
la riduzione di spesa incide su un assetto di interessi regolato in rapporto
all’intera durata annuale dell’accordo e vale anche per le strutture private
che al momento dell’entrata in vigore della disposizione avessero già superato
il volume delle prestazioni corrispondente alla previsione di spesa del 2011
decurtata dello 0,5 per cento, cosicché le prestazioni eccedenti questo limite
non sarebbero remunerate.
Inoltre, osservano che la norma prevede
un taglio complessivo in ragione d’anno e non su base semestrale. Pertanto la
riduzione non può che gravare su tutte le prestazioni eseguite nel 2012, alle
quali la misura sarebbe stata irrazionalmente estesa.
Le intervenienti ribadiscono che il
taglio in questione avrebbe natura "lineare”, non consentendo alle regioni
alcun margine di apprezzamento nella scelta dei soggetti, privati o pubblici ai
quali applicare le misure di contenimento della spesa, e negano che l’adozione
dei provvedimenti da parte del Commissario ad acta,
quale organo statale, costituisca una circostanza rilevante ai fini del
giudizio sulla costituzionalità della norma in questione.
Anche la Casa di cura Marco Polo srl e
la Casa generalizia dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli – Ospedale San Giovanni Calibita hanno depositato memorie illustrative
nell’imminenza dell’udienza.
La Casa di cura Marco Polo srl contesta
innanzitutto che l’autonomia legislativa delle regioni subisca deroghe per il
fatto che i provvedimenti impugnati nei giudizi a quibus
siano stati emanati dal Commissario ad acta quale
organo dello Stato.
Nel merito, osserva che la norma in
questione, non lasciando margini di intervento alternativo alle regioni,
avrebbe natura dettagliata, incompatibile con la natura di previsione che fissa
un principio fondamentale della materia.
Ad avviso dell’interveniente, anche a
volere ammettere che le regioni possano scegliere le prestazioni da ridurre nei
vari settori, come sostiene l’Avvocatura dello Stato, la disposizione sarebbe
lesiva dell’art. 3 Cost. per disparità di trattamento fra le strutture private.
Esse sarebbero infatti esposte a un potere discrezionale illimitato delle
regioni, in totale assenza di criteri per la rimodulazione delle riduzioni di
spesa, successivamente introdotti dall’art. 1, comma 574, lettere a) e b),
della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2016), solo a
decorrere dal 2016.
Neppure si potrebbe invocare la
competenza esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile» e di
«determinazione dei livelli essenziali» di assistenza, dal momento che in
questo caso non si tratterebbe della regolazione contrattuale dei rapporti
privati, «né l’intervento statale potrebbe investire singoli e specifici
profili organizzativi senza ledere l’autonomia legislativa delle Regioni».
La norma in questione contrasterebbe,
altresì, con i principi costituzionali e convenzionali sull’efficacia retroattiva
delle leggi, modificando retroattivamente i rapporti contrattuali in essere e
incidendo così sul legittimo affidamento delle strutture private nella
sicurezza giuridica. Sotto tale profilo, l’interveniente osserva che le
riduzioni devono essere attuate con provvedimenti amministrativi, e che nel
2012 le strutture private hanno potuto conoscere l’effettiva decurtazione
subita solo a fine anno, quando la previsione di spesa era già completamente
esaurita, senza che fosse stato previsto un meccanismo di riequilibrio per la
perdita dei loro diritti di credito. Osserva inoltre che anche i crediti devono
essere qualificati come «beni» ai sensi dell’art. 1 del Protocollo addizionale
alla CEDU, con la conseguenza che l’applicazione retroattiva delle riduzioni di
spesa a tutti gli accordi vigenti nel 2012 pregiudicherebbe un bene acquisito
in virtù di un legittimo affidamento, senza trovare idonea giustificazione
nelle esigenze finanziarie dello Stato.
L’incisione retroattiva sui rapporti
contrattuali in corso nel 2012, e quindi sui crediti sorti dalle prestazioni
già erogate, comporterebbe anche la lesione dell’art. 41 Cost. – che il
rimettente avrebbe adeguatamente illustrato –, in assenza di ragioni
giustificatrici della limitazione dell’iniziativa economica privata.
Infine, la norma contrasterebbe con
l’art. 32 Cost., prevedendo tagli generalizzati e indifferenziati per tutte le
strutture private, senza distinguere in base al fabbisogno sul territorio e al
tipo di prestazioni. Sarebbero così penalizzate le strutture che, come quella
gestita dall’interveniente, erogano cure altamente specialistiche, con rischi
di diminuzione delle garanzie di cure adeguate e efficienti ai cittadini, non
sufficientemente soddisfatte dalle strutture pubbliche, caratterizzate da lunghe
liste d’attesa.
La Casa generalizia dell’Ordine
Ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli –
Ospedale San Giovanni Calibita deduce che l’art. 3
Cost. è violato dall’art. 15, comma 14, sotto il duplice profilo della
disparità di trattamento, incidendo solo sulle strutture sanitarie private e
non su quelle pubbliche, e della lesione del legittimo affidamento, per avere
introdotto una modifica in peius degli accordi
contrattuali vigenti nel 2012, con efficacia retroattiva.
Dall’indicata disparità di trattamento
conseguirebbe anche la violazione dell’art. 41 Cost., per l’illegittimo limite
apportato dalla riduzione della previsione di spesa all’esercizio della libertà
di iniziativa economica privata, e dell’art. 32 Cost., per la riduzione dell’offerta
sanitaria che la norma comporta.
La parte privata sostiene, altresì, che
il contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., sotto il profilo
dell’invasione della competenza concorrente delle regioni in materia di «tutela
della salute» e di «coordinamento della finanza pubblica», deriverebbe
dall’impossibilità di qualificare la norma censurata come un principio
fondamentale nelle materie indicate, considerata la durata non transitoria
della misura di contenimento della spesa pubblica, essendone prevista
l’applicazione anche a decorrere dal 2014, e la sua natura dettagliata, che non
lascerebbe margini di intervento alle regioni.
La San Raffaele spa, l’Associazione
Italiana Ospedalità Privata per la Regione Lazio e
altri e l’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico Fondazione Santa
Lucia hanno depositato memorie fuori termine.
6.1.– Hanno depositato memorie
illustrative anche la Regione Lazio e il Presidente del Consiglio dei ministri.
La prima insiste nelle eccezioni già
formulate di inammissibilità delle questioni per insufficiente individuazione
del loro oggetto, per difetto di motivazione sulla rilevanza e per omesso
esperimento del tentativo di interpretazione conforme.
Nel merito, ribadisce che la natura
puntuale della disposizione non elimina il margine di manovra delle regioni
nella scelta dei singoli settori di intervento e contesta che la riduzione
degli importi e dei volumi di acquisto si debba necessariamente eseguire in
percentuale fissa. Essa potrebbe invece essere modulata dalle singole regioni.
L’intervenuta rileva, altresì, che l’entità della riduzione per il 2012 è
oggettivamente modesta e non si riferisce alle prestazioni già erogate, sicché
non vi sarebbe lesione del legittimo affidamento dei soggetti accreditati, come
avrebbe ritenuto anche la giurisprudenza amministrativa, in linea con quella
costituzionale (è citata TAR Molise, sezione prima, sentenza 27 giugno 2013, n.
436).
Infine, sarebbe da escludere anche la
violazione dell’art. 41 Cost., in quanto i privati interessati dalla misura
avevano a disposizione un arco di tempo idoneo ad assorbirne gli effetti. Tali
effetti sarebbero comunque percentualmente molto limitati.
Il Presidente del Consiglio dei ministri
ribadisce, a sua volta, le eccezioni di inammissibilità già formulate e
sottolinea, nel merito, che la legittimità della norma deriva, sotto tutti i
profili evocati, dal corretto bilanciamento degli interessi in gioco eseguito
dal legislatore, diretto ad assicurare la realizzazione degli obiettivi di
finanza pubblica riservando al contempo alle regioni il potere di selezionare
le prestazioni sanitarie da ridurre.
Considerato in diritto
1.– Con diciotto ordinanze di rimessione
il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sottoposto a questa Corte
le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 14, del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della
spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di
rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135.
1.1.– I giudizi vanno riuniti per essere
definiti con un’unica pronuncia, avendo ad oggetto la medesima disposizione,
censurata in riferimento a parametri e per motivi in gran parte coincidenti.
1.2.– L’art. 15, comma 14, del d.l. n.
95 del 2012, nel testo vigente all’epoca della pronuncia delle ordinanze di
rimessione, così recitava: «A tutti i singoli contratti e a tutti i singoli
accordi vigenti nell’esercizio 2012, ai sensi dell’articolo 8-quinquies del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, per l’acquisto di prestazioni
sanitarie da soggetti privati accreditati per l’assistenza specialistica
ambulatoriale e per l’assistenza ospedaliera, si applica una riduzione
dell’importo e dei corrispondenti volumi d’acquisto in misura percentuale
fissa, determinata dalla regione o dalla provincia autonoma, tale da ridurre la
spesa complessiva annua, rispetto alla spesa consuntivata per l’anno 2011, dello
0,5 per cento per l’anno 2012, dell’1 per cento per l’anno 2013 e del 2 per
cento a decorrere dall’anno 2014. Qualora nell’anno 2011 talune strutture
private accreditate siano rimaste inoperative a causa
di eventi sismici o per effetto di situazioni di insolvenza, le indicate
percentuali di riduzione della spesa possono tenere conto degli atti di
programmazione regionale riferiti alle predette strutture rimaste inoperative, purché la regione assicuri, adottando misure
di contenimento dei costi su altre aree della spesa sanitaria, il rispetto
dell’obiettivo finanziario previsto dal presente comma. La misura di
contenimento della spesa di cui al presente comma è aggiuntiva rispetto alle
misure eventualmente già adottate dalle singole regioni e province autonome di
Trento e Bolzano e trova applicazione anche in caso di mancata sottoscrizione
dei contratti e degli accordi, facendo riferimento, in tale ultimo caso, agli
atti di programmazione regionale o delle province autonome di Trento e Bolzano
della spesa sanitaria. Il livello di spesa determinatosi per il 2012 a seguito
dell’applicazione della misura di contenimento di cui al presente comma
costituisce il livello su cui si applicano le misure che le regioni devono
adottare, a decorrere dal 2013, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera a),
terzo periodo del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con
modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111».
1.3.– Le questioni sono sorte nel corso
di giudizi promossi da soggetti che gestiscono strutture sanitarie accreditate
dalla Regione Lazio per prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e
ospedaliera, al fine di ottenere l’annullamento del decreto n. 349 del 22
novembre 2012. Con tale decreto il Commissario ad acta
per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della
Regione Lazio ha disposto che, in attuazione del citato art. 15, comma 14, le
previsioni di spesa per il 2012 delle prestazioni ospedaliere sono
rideterminate in diminuzione nella misura del 6,8519 per cento. In taluni dei
giudizi a quo la richiesta di annullamento è estesa: al decreto commissariale
n. 348 del 22 novembre 2012, che, in attuazione della stessa disposizione, ha
disposto la riduzione della previsione di spesa per il 2012 per le prestazioni
ambulatoriali nella misura dello 0,4245 per cento; al decreto commissariale n.
100 del 9 aprile 2013, che ha definito la previsione di spesa per il 2013 per
le prestazioni ospedaliere operando una riduzione dello 0,5 per cento di quello
già stabilito per il 2012; al decreto commissariale n. 183 del 2013, con il
quale è stato approvato lo schema tipo di contratto-accordo per la definizione
dei rapporti giuridici tra le Aziende sanitarie del Lazio e i soggetti
erogatori di prestazioni sanitarie a carico del Servizio sanitario nazionale
(SSN).
1.4.– Il rimettente lamenta innanzitutto
la violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, richiamando la
competenza concorrente dello Stato e delle regioni in materia di sanità.
A suo avviso l’art. 15, comma 14,
laddove prevede un taglio generalizzato della spesa per il 2012 e per gli anni
successivi che esse sono chiamate a sostenere sulla base di accordi
precedentemente stipulati con le singole strutture accreditate, non può ritenersi
norma che fissa principi fondamentali. La previsione risulta pertanto in
contrasto con il richiamato art. 117, terzo comma, Cost.
Il rimettente lamenta, altresì, la
violazione dei principi costituzionali in tema di irretroattività della legge
extrapenale, evocando (anche se non in tutte le ordinanze) gli artt. 3 e 97
Cost.
A suo avviso la norma censurata e i
decreti commissariali impugnati – questi ultimi adottati a fine novembre 2012,
quando il limite della previsione di spesa annuale sarebbe stato ormai
sostanzialmente raggiunto – avrebbero inciso negativamente sul legittimo
affidamento delle singole strutture sanitarie a erogare le prestazioni e a
ricevere il corrispettivo stabilito nei contratti anteriormente stipulati e per
la corretta esecuzione dei quali le medesime strutture sanitarie avevano
predisposto le necessarie risorse organizzative ed effettuato i relativi
investimenti.
In continuità con la censura appena
illustrata, il giudice a quo prospetta la violazione dell’art. 117, primo comma,
Cost., per il tramite, quale norma interposta, dell’art. 1 del Protocollo
addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo
e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, «stante la lesione
con effetto retroattivo di un bene acquisito in presenza di un affidamento
legittimamente ingenerato da budget attribuiti e relativi contratti stipulati».
La norma contestata contrasterebbe anche
con l’art. 41 Cost., in quanto, impedendo la remunerazione di prestazioni già
erogate, lederebbe la libertà di iniziativa economica privata.
Si porrebbe infine in contrasto con
l’art. 32 Cost., perché le riduzioni delle previsioni di spesa, giustificate
solo da ragioni economico-finanziarie e aggiuntive rispetto ad analoghe misure
adottate in precedenza, potrebbero compromettere il diritto alla salute.
2.– Al fine di delimitare l’oggetto del
giudizio di costituzionalità, va esaminata in limine l’ammissibilità di alcune
deduzioni svolte dalle parti private costituitesi nel giudizio costituzionale,
le quali tendono ad ampliare il thema decidendum.
La Casa di cura privata S. Anna srl,
l’Ospedale Israelitico – Ospedale Provinciale Specializzato Geriatrico,
l’Istituto Figlie di San Camillo – Ospedale Madre Giuseppina Vannini, l’ARIS, Associazione religiosa istituti
socio-sanitari – Regione Lazio e la Provincia Religiosa di San Pietro, Ordine
Ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli –
Ospedale Villa San Pietro lamentano la violazione degli artt. 3, 41 e 97, in
relazione all’art. 32 Cost., sotto un profilo dichiaratamente diverso da quello
prospettato nelle ordinanze di rimessione. A loro avviso la norma
discriminerebbe gli operatori sanitari privati a discapito di quelli pubblici,
non colpiti dai tagli, senza operare alcuna comparazione diretta a garantire
l’efficienza della spesa residua al netto delle riduzioni disposte. Ne
risulterebbe sacrificato il diritto alla salute dei cittadini.
Analoghe censure, con riferimento agli
artt. 3, 41 e 32 Cost., sono illustrate dalla Casa generalizia dell’Ordine
Ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli –
Ospedale San Giovanni Calibita nella memoria
depositata nell’imminenza dell’udienza. In essa si prospetta anche la
violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., sotto il profilo – non
prospettato dal giudice a quo – della non transitorietà della misura di
contenimento della spesa sanitaria, che ne impedirebbe la qualificazione come
norma di principio nelle materie di «tutela della salute» e di «coordinamento
della finanza pubblica».
Un’autonoma violazione dell’art. 3 Cost.
per disparità di trattamento fra le strutture private è sollevata anche dalla
Casa di cura Marco Polo srl. A suo giudizio, se la norma contestata dovesse
essere interpretata nel senso di consentire alle regioni di scegliere quali
specifiche prestazioni sanitarie ridurre, le strutture accreditate sarebbero
esposte a un eccessivo potere discrezionale delle regioni.
La Poligest
spa sostiene, tra l’altro, che l’offerta «minimale» dei servizi sanitari non
potrebbe essere unilateralmente imposta dallo Stato, come avviene con la norma
denunciata, ma dovrebbe essere concordata per taluni aspetti con le regioni
mediante «concertazione» (sono citate le sentenze n. 203 del 2008,
n. 98 del 2007
e n. 168 del
2004). L’interveniente sembra lamentare la violazione del principio di
leale collaborazione tra Stato e regioni nella determinazione mediante
procedure non legislative dei cosiddetti LEA (livelli essenziali di assistenza
nel settore sanitario), come si desume dai richiamati precedenti
giurisprudenziali. La censura attiene a un profilo non sollevato dal giudice
rimettente. Peraltro essa sarebbe inconferente nel
caso di specie nel quale non si fa questione di determinazione dei LEA mediante
procedure non legislative.
La Casa di cura Città di Roma spa
sostiene che la norma determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento
fra le strutture sanitarie interessate dal provvedimento, penalizzando quelle
che conseguono volumi di produzione più elevati e pertanto esauriscono – e anzi
superano, come la interveniente avrebbe superato – i livelli massimi di spesa
già assegnati. Nemmeno questa censura è prospettata dal rimettente, che ha
denunciato il contrasto con l’art. 3 Cost. sotto il diverso profilo della
lesione dell’affidamento.
A proposito della violazione dell’art.
117, primo comma, Cost., la stessa interveniente invoca quale parametro
interposto, oltre all’art. 1 già indicato dal TAR, anche l’art. 6 del Protocollo
addizionale alla CEDU, che riguarda la firma e la ratifica del trattato
internazionale. È probabile che la parte intenda più correttamente riferirsi
all’art. 6 della CEDU, sia perché la deduzione si affianca ad argomenti
difensivi che trattano del principio di irretroattività, sia perché a suo
sostegno è richiamata la giurisprudenza della Corte EDU formatasi sull’art. 6
della Convenzione. Anche questa censura è estranea a quelle sollevate dal
giudice a quo.
L’interveniente lamenta, infine, la violazione
dell’art. 11 Cost. in relazione agli artt. 10, 49, 56 e 63 del Trattato sul
funzionamento dell’Unione europea (TFUE), sottoscritto a Roma il 25 marzo 1957,
da considerare quali parametri interposti. Stando al tenore letterale delle
deduzioni, sembrano richiamati i principi comunitari di libertà di stabilimento
e di certezza del diritto, ancorché i riferimenti normativi non siano del tutto
corretti (l’art. 10 del TFUE, ad esempio, concerne il divieto di
discriminazione per ragioni di sesso, razza, origine etnica, religione,
convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale, che nel caso
concreto non rileva). Nemmeno queste violazioni sono state prospettate dal
giudice a quo.
Tutte le censure indicate si traducono
in questioni non sollevate dal rimettente e in quanto tali inammissibili. In
relazione al thema decidendum,
l’oggetto del giudizio di costituzionalità in via incidentale è limitato alle
norme e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione. Secondo la
costante giurisprudenza di questa Corte, non possono essere presi in
considerazione, oltre i limiti in queste fissate, ulteriori questioni o profili
di costituzionalità dedotti dalle parti, sia che siano stati eccepiti ma non
fatti propri dal giudice a quo, sia che siano diretti ad ampliare o modificare
successivamente il contenuto delle stesse ordinanze (ex plurimis, sentenze n. 271 del 2011,
n. 236 del 2009,
n. 56 del 2009,
n. 86 del 2008).
3.– L’interveniente Regione Lazio
solleva plurime eccezioni di inammissibilità delle questioni che vanno
esaminate in via preliminare.
In primo luogo deduce la carenza
assoluta di motivazione sulla rilevanza. A suo avviso, il giudice a quo avrebbe
dovuto dimostrare l’infondatezza dei motivi con i quali i ricorrenti nei
processi principali lamentano i vizi di violazione di legge e di eccesso di
potere, poiché, qualora tali censure fossero fondate, il TAR dovrebbe
accogliere le impugnazioni e non vi sarebbe necessità di sollevare le questioni
di legittimità costituzionale.
L’eccezione è infondata.
È vero che i provvedimenti del
Commissario ad acta sono impugnati anche per vizi
diversi dall’illegittimità derivata che li colpirebbe nel caso di accoglimento
delle questioni di costituzionalità. Alcune ordinanze di rimessione che meglio
descrivono le fattispecie concrete precisano che tali vizi – di violazione di
legge e di eccesso di potere – conseguirebbero alla scorretta applicazione
dell’art. 15, comma 14, in quanto i decreti commissariali sarebbero stati
emanati sulla base di dati incongrui e non definitivi e tratterebbero tutte le
strutture accreditate senza distinzioni.
Secondo il costante orientamento di
questa Corte, tuttavia, nel giudizio di costituzionalità non è sindacabile
l’ordine logico secondo il quale il rimettente reputa, in modo non
implausibile, di affrontare le varie questioni o motivi di ricorso portati al
suo esame (ex plurimis,
sentenze n. 132
del 2015, n.
272 del 2007, n.
409 e n. 226
del 1998).
Le questioni di costituzionalità
sollevate rivestono natura ictu oculi
pregiudiziale nel giudizio a quo, in quanto hanno ad oggetto la norma che,
fungendo da presupposto dei provvedimenti impugnati, deve essere
necessariamente applicata per decidere la controversia. Occupandosi della
rilevanza, il rimettente sottolinea come tale natura pregiudiziale sia «del
tutto evidente» in tutti i giudizi a quibus, poiché
le questioni investono la norma in applicazione della quale sono stati adottati
i decreti impugnati, e fornisce così una motivazione non implausibile della
ritenuta rilevanza, che non impone ulteriori illustrazioni della scelta operata
nell’affrontare i vari motivi di ricorso.
Un altro profilo di inammissibilità
deriverebbe, secondo l’interveniente, dalla individuazione lacunosa e
insufficiente dell’oggetto delle questioni. Il rimettente non avrebbe indicato
quali, tra le plurime disposizioni contenute nell’art. 15, comma 14 – diverse
per ambito di efficacia, validità nel tempo, strumenti amministrativi
predisposti – siano investite dai dubbi di legittimità costituzionale sollevati.
L’inadeguata identificazione dell’oggetto delle questioni determinerebbe,
altresì, l’inammissibilità per difetto di motivazione sia della rilevanza che
della non manifesta infondatezza, non avendo il giudice a quo motivato «partitamente circa il nesso di rilevanza e circa i dubbi di
legittimità di ogni singola norma risultante dal vasto complesso di
disposizioni di cui al comma in oggetto».
Anche questa eccezione è, nel suo
complesso, infondata.
L’oggetto del giudizio costituzionale
deve essere individuato interpretando il dispositivo dell’ordinanza di
rimessione con la sua motivazione.
Nonostante il TAR sollevi le questioni
con generico riferimento al comma 14 nella sua interezza, senza distinguere tra
le varie disposizioni in esso contenute, dalla motivazione delle ordinanze di
rimessione si evince con chiarezza che è intenzione del rimettente
circoscrivere le censure al solo primo periodo, id
est alla disposizione che prevede il contenimento della spesa sanitaria
mediante la riduzione degli importi e dei corrispondenti volumi d’acquisto
stabiliti nei contratti e negli accordi vigenti nell’esercizio 2012 per
l’acquisto di prestazioni sanitarie dai soggetti privati accreditati.
Infine le questioni sarebbero
inammissibili per omesso esperimento del tentativo di interpretazione
costituzionalmente orientata.
Per il suo stretto collegamento con il
tema della violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., questa eccezione verrà
esaminata nel prosieguo.
4.– Sempre in via preliminare occorre
verificare quale influenza esplica nel presente giudizio lo ius
superveniens. Infatti, l’art. 15, comma 14, del d.l. n. 95 del 2012 è stato
modificato (dopo l’adozione di tutte le ordinanze di rimessione) dall’art. 1,
comma 574, lettere a) e b), della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di
stabilità 2016).
Per effetto della lettera a) del comma
574, «[a]ll’articolo 15, comma 14, […] al primo periodo,
le parole: "A tutti i singoli contratti e a tutti i singoli accordi” sono
sostituite dalle seguenti: "Ai contratti e agli accordi” e le parole:
"percentuale fissa,” sono soppresse». Dunque, a differenza della disposizione
contenuta alla lettera b) del comma 574 (che, pur aggiungendo diversi periodi
all’interno dell’art. 15, comma 14, non ha intaccato né il testo né il
significato della disposizione oggetto del presente giudizio), le modifiche
introdotte dalla lettera a) hanno inciso sulla disposizione censurata dal
giudice a quo, abrogando due suoi incisi.
Tale abrogazione non impone la
restituzione degli atti al giudice a quo, essendo essa palesemente ininfluente
nei giudizi a quibus, che hanno ad oggetto atti
amministrativi da valutare in base al principio tempus
regit actum (sentenze n. 49, n. 44 e n. 30 del 2016).
D’altro canto, la novella presenta un’incidenza solo parziale sulla
disposizione della cui costituzionalità si dubita, riguardando frammenti
normativi che rilevano esclusivamente ai fini della prima questione sollevata
dal giudice a quo (quella fondata sull’art. 117, terzo comma, Cost.), e, a
questi fini, come si vedrà meglio nel prosieguo, non è comunque idonea a mutare
i termini della questione così come è stata posta dal giudice a quo.
5.– Venendo all’esame della prima delle
questioni proposte, riguardante la violazione dell’art. 117, terzo comma,
Cost., e segnatamente della competenza concorrente della Regione in materia di
«tutela della salute», occorre verificare in primo luogo la sua ammissibilità
alla luce dell’argomentazione utilizzata dal giudice rimettente.
Come visto, il TAR invoca esclusivamente
la competenza regionale in materia di «tutela della salute», lamentando in
particolare il superamento dei limiti di intervento statale in questa materia,
ma poi argomenta richiamando i limiti del potere statale in materia di
«coordinamento della finanza pubblica», materia questa peraltro mai nominata
nelle ordinanze di rimessione.
L’ambiguità – sotto questo profilo –
delle ordinanze di rimessione non si traduce tuttavia in una ragione di
inammissibilità delle questioni. In diverse pronunce, questa Corte ha fatto
riferimento sia alla materia della «tutela della salute» sia alla materia del
«coordinamento della finanza pubblica», al fine di collocare "materialmente”
norme statali aventi l’obiettivo di ridurre la spesa sanitaria (sentenze n. 125 del 2015,
n. 278 del 2014,
n. 91 del 2012,
n. 330 del 2011,
n. 240 e n. 162 del 2007).
Ciò conferma che norme di questo tipo creano un intreccio inscindibile fra le
due materie, nessuna delle quali può ritenersi prevalente. Dunque, da un lato
il riferimento operato dal giudice a quo alla competenza regionale in materia
di «tutela della salute» è plausibile, dall’altro la mancata considerazione espressa
della competenza concorrente in materia di «coordinamento della finanza
pubblica» non determina incertezza sulla portata della questione, i cui termini
risultano con sufficiente chiarezza nelle singole ordinanze di rimessione: il
giudice a quo lamenta un’eccessiva limitazione della competenza regionale in
materia di «tutela della salute», che è sì comprimibile tramite l’esercizio del
potere statale di coordinamento finanziario in funzione di riduzione della
spesa, ma a condizione che questa funzione non si esprima in norme dettagliate.
5.1.– Sempre con riferimento alla
questione di legittimità costituzionale fondata sull’art. 117, terzo comma,
Cost., la Regione Lazio ne ha eccepito l’inammissibilità – come detto – per
omesso esperimento del tentativo di interpretazione costituzionalmente
orientata.
L’eccezione è fondata.
Il giudice a quo non ha argomentato per
nulla sull’impossibilità di un’interpretazione alternativa dell’art. 15, comma
14, del d.l. n. 95 del 2012, idonea a rendere tale disposizione conforme a
Costituzione. In particolare, ha omesso completamente di motivare
l’impossibilità di intendere la previsione nel senso che essa non costringa le
regioni ad applicare la medesima riduzione (dell’importo e del volume di
acquisto) a tutti i contratti e a tutte le strutture private accreditate. La
possibilità, invece, per le regioni, di modulare le riduzioni è stata
sostenuta, non solo dalla Regione Lazio, ma anche dall’Avvocatura generale
dello Stato e non sembra esclusa dalla lettera della disposizione. Da un lato,
questa precisa che la percentuale della riduzione deve essere «determinata
dalla regione», con ciò affidando alla regione stessa un evidente margine di
scelta nelle sue determinazioni. Dall’altro, l’aggettivo «fissa» non esclude
necessariamente l’interpretazione "adeguatrice”, potendo esso essere inteso nel
senso che la percentuale della riduzione può variare fra contratto e contratto,
sebbene non nell’ambito delle prestazioni oggetto di un singolo contratto (tale
vincolo è poi venuto meno, come visto, con il citato art. 1, comma 574, lettera
a, della legge n. 208 del 2015).
La giurisprudenza di questa Corte è
costante nel ritenere necessario che il giudice a quo motivi sulla
impraticabilità di un’interpretazione adeguatrice, salvo il caso in cui
sussista un diritto vivente (sentenze n. 85 del 2016
e n. 262 del
2015, ordinanza
n. 15 del 2016) o il caso in cui l’interpretazione conforme risulti
«incompatibile con il disposto letterale della disposizione» o «eccentrica e
bizzarra» (sentenza
n. 36 del 2016). Nel caso di specie, il giudice non attesta l’esistenza di
un diritto vivente (in effetti assente), né fornisce altri elementi (ad
esempio, tratti dalla prassi applicativa della disposizione nelle diverse
regioni, o dalla giurisprudenza che si è formata su tale prassi) idonei ad
escludere la plausibilità di un’interpretazione alternativa, che invece, per le
ragioni esposte, non pare incompatibile con la lettera dell’art. 15, comma 14.
Dunque, la totale assenza di motivazione
sulla impossibilità di un’interpretazione conforme a Costituzione determina
l’inammissibilità della questione fondata sull’art. 117, terzo comma, Cost.
5.2.– L’accoglimento dell’eccezione
sollevata dalla Regione Lazio conduce a dichiarare assorbita l’eccezione
sollevata – sempre con riferimento alla prima questione – dalla difesa dello
Stato, sulla base della considerazione che i giudizi a quibus
hanno ad oggetto atti adottati dal Presidente della Regione in qualità di
Commissario ad acta, cioè come organo statale, per cui
la questione della lesione di prerogative regionali non sarebbe rilevante.
6.– Il TAR censura l’art. 15, comma 14,
del d.l. n. 95 del 2012 anche per violazione dell’art. 3 Cost., sotto il
profilo della lesione del principio di irretroattività della legge. Il
principio è evocato in qualche ordinanza di rimessione senza espressi
riferimenti a parametri costituzionali. Ad avviso del rimettente la norma
censurata sarebbe intervenuta quando i limiti delle previsioni di spesa per
l’anno 2012 erano stati ormai sostanzialmente raggiunti dalle strutture
sanitarie accreditate e avrebbe così inciso sul legittimo affidamento delle
singole strutture a erogare le prestazioni e a ricevere il corrispettivo
concordato nei contratti anteriormente stipulati. La questione è sollevata
anche in riferimento all’art. 97 Cost., ma senza che vengano esposte specifiche
ragioni di contrasto con tale parametro, che è pertanto da considerare evocato
in stretta connessione con l’art. 3 Cost.
Il TAR ritiene inoltre che la riduzione
degli importi e dei volumi di acquisto contrattualmente stabiliti vìoli, altresì, l’art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, perché la norma
contestata produrrebbe la lesione con effetto retroattivo di un «bene» che le
strutture sanitarie private avrebbero acquisito sulla base di un legittimo
affidamento ingenerato dalle previsioni di spesa ad esse attribuite per il
2012.
Il giudice a quo muove dal presupposto,
comune a tutte le censure appena esposte, che l’art. 15, comma 14, abbia
prodotto effetti retroattivi, là dove prescrive una riduzione delle spese per
l’acquisto delle prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati anche in
relazione ai contratti vigenti nel 2012.
Tale presupposto tuttavia non è
condivisibile.
La norma si presta infatti a essere
interpretata nel senso che essa incide sì sui contratti già stipulati, ma con
decorrenza successiva alla sua entrata in vigore, ovvero con esclusivo riguardo
alle prestazioni sanitarie non ancora eseguite dai soggetti accreditati.
Secondo questo significato essa produce effetti solo ex nunc
(il credito nei confronti del Servizio sanitario nazionale sorge in capo
all’operatore privato solo dopo che la prestazione sanitaria è stata
concretamente erogata), anche se con riferimento a contratti stipulati in
precedenza e operanti nel 2012.
Nel senso dell’interpretazione proposta
depone innanzitutto il tenore letterale della disposizione, la quale parla di
«riduzione dell’importo e dei corrispondenti volumi d’acquisto». La previsione
della «riduzione» dei volumi di «acquisto» consente di considerare riferito
l’ambito di operatività della riduzione stessa alle prestazioni ancora da
erogare, che saranno conseguentemente ridotte, e non alle prestazioni già
erogate, per le quali soltanto si potrebbe parlare propriamente di
retroattività. Una volta erogata nei limiti dei tetti di spesa determinati nel
contratto, infatti, la prestazione fa sorgere l’obbligazione del SSN di
corrisponderne il prezzo concordato. E un intervento retroattivo
sull’obbligazione è escluso dal fatto che la previsione parla appunto di
«riduzione» (riferendola ai volumi di acquisto) e non di «estinzione» –
eventualmente parziale – ex lege, come sarebbe stato
necessario, se essa avesse inteso incidere anche sulle obbligazioni già sorte.
In questo stesso contesto assumono
ancora rilievo l’epoca di entrata in vigore della norma (6 luglio 2012) e
l’esiguità della riduzione percentuale disposta (0,5 per cento). Sulla scorta
di quanto sostengono i ricorrenti nei processi principali, il rimettente
lamenta che i tagli sarebbero sopravvenuti quando le strutture accreditate
avevano ormai esaurito o stavano esaurendo le previsioni di spesa assegnate nel
2012 e ne trae la conclusione che l’art. 15, comma 14, non potrebbe non avere
inciso con efficacia retroattiva anche sulla remunerazione dovuta dagli enti
del SSN per le prestazioni già eseguite. Tuttavia, non solo le ordinanze non
offrono elementi a sostegno del fatto che ciò sia accaduto, ma, se anche effettivamente
così fosse stato, l’effetto paventato nell’ordinanza di rimessione non sarebbe
da attribuire alla norma contestata, come visto intervenuta a metà dell’anno di
riferimento, e quindi in un momento nel quale la prevista esigua riduzione
delle previsioni di spesa (dello 0,5 per cento) avrebbe potuto essere
facilmente assorbita nella restante parte dell’anno. Solo successivamente
all’entrata in vigore della norma le amministrazioni sono vincolate a non
remunerare le prestazioni erogate dopo quella data, in superamento degli
importi di spesa rideterminati.
In questo primo senso, dunque, le
censure riguardanti la lesione dell’affidamento non sono fondate, in quanto,
secondo l’interpretazione prospettata, va escluso che la norma incida – con
effetti retroattivi in senso proprio – sui crediti per prestazioni sanitarie
già erogate al momento della sua entrata in vigore.
6.1.– La lesione dell’affidamento è
riferita dal TAR anche alla incisione dell’aspettativa delle strutture
sanitarie a erogare effettivamente tutte le prestazioni rientranti nella
previsione di spesa concordata e a percepire il relativo corrispettivo. Sempre
presupponendo la retroattività dell’art. 15, comma 14, il rimettente fa leva
sull’aspettativa delle singole strutture sanitarie di poter «erogare le
prestazioni e […] ricevere il relativo corrispettivo stabilito nei contratti
anteriormente stipulati, per la corretta esecuzione dei quali le medesime
strutture sanitarie hanno allestito le relative risorse organizzative ed
effettuato i correlati investimenti in materiali, personale e attrezzature». La
lesione si concreterebbe dunque nella sopravvenuta impossibilità di erogare
quanto convenuto – e percepirne il corrispettivo – una volta raggiunto il
minore volume di acquisto risultante dalla riduzione imposta dalla previsione.
Con riferimento a questo secondo profilo occorre dunque verificare se la norma
contestata rispetti il principio del legittimo affidamento.
Gli indici sintomatici della lesione di
tale principio elaborati da questa Corte e dalla Corte EDU in gran parte
convergono e ciò consente di esaminare congiuntamente la lamentata violazione
degli artt. 3 e 117, primo comma, Cost.
6.2.– Secondo la costante giurisprudenza
costituzionale, l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica è un
«elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto» (sentenze n. 822 del 1988
e n. 349 del
1985). Il principio della tutela dell’affidamento non comporta che, nel
nostro sistema costituzionale, sia assolutamente interdetto al legislatore di
emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei
rapporti di durata, e ciò «anche se il loro oggetto sia costituito da diritti
soggettivi perfetti, salvo, qualora si tratti di disposizioni retroattive, il
limite costituzionale della materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.)», ma
esige tuttavia che «[d]ette disposizioni [...] al
pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un
regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali,
poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche l’affidamento del
cittadino nella sicurezza giuridica […]» (sentenza n. 349 del
1985; in senso analogo, ex plurimis, sentenze n. 302 del 2010;
n. 236, n. 206 e n. 24 del 2009;
n. 409 e n. 264 del 2005;
n. 446 del 2002;
n. 416 del 1999).
L’esame della norma in contestazione e
della sua ratio conduce a escludere che il
legislatore abbia operato una scelta irragionevole e arbitraria alla stregua
del principio evocato.
Le ragioni che hanno giustificato la
riduzione degli importi e dei volumi d’acquisto delle prestazioni vanno
individuate nella finalità, espressamente dichiarata dal legislatore, di far
fronte all’elevato e crescente deficit della sanità e alle esigenze ineludibili
di bilancio e di contenimento della spesa pubblica, da valutare nello specifico
contesto di necessità e urgenza indotto dalla grave crisi finanziaria che ha
colpito il Paese a partire dalla fine del 2011. Un contesto nel quale le misure
di riequilibrio dell’offerta sanitaria per esigenze di razionalizzazione della
spesa pubblica costituiscono una «"causa” normativa adeguata», che giustifica
la penalizzazione degli operatori privati (sentenze n. 34 del 2015
e n. 92 del 2013).
Nello scrutinare la legittimità
costituzionale di disposizioni finalizzate al contenimento della spesa pubblica
nel settore sanitario, questa Corte ha avuto più volte modo di ribadire la
necessità che la spesa sanitaria sia resa compatibile con «la limitatezza delle
disponibilità finanziarie che annualmente è possibile destinare, nel quadro di
una programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e
sociale, al settore sanitario» (sentenze n. 203 del 2008
e n. 111 del
2005). In particolare, ha osservato che «non è pensabile di poter spendere
senza limite, avendo riguardo soltanto ai bisogni quale ne sia la gravità e
l’urgenza; è viceversa la spesa a dover essere commisurata alle effettive
disponibilità finanziarie, le quali condizionano la quantità ed il livello
delle prestazioni sanitarie, da determinarsi previa valutazione delle priorità
e delle compatibilità e tenuto ovviamente conto delle fondamentali esigenze
connesse alla tutela del diritto alla salute, certamente non compromesse con le
misure ora in esame» (sentenza n. 356 del
1992). La giurisprudenza costituzionale ha chiarito, altresì, che, anche
nel regime dell’accreditamento introdotto dall’art. 8, comma 5, del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia
sanitaria, a norma dell’articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421), il
principio di concorrenzialità tra strutture pubbliche e strutture private e di
libera scelta dell’assistito «non è assoluto e va contemperato con gli altri
interessi costituzionalmente protetti, in considerazione dei limiti oggettivi
che lo stesso legislatore ordinario incontra in relazione alle risorse
finanziarie disponibili (sentenze n. 267 del 1998,
n. 416 del 1996)»
(sentenza n. 94
del 2009).
Le risorse disponibili per la copertura
della spesa sanitaria costituiscono quindi un limite invalicabile non solo per
l’amministrazione ma anche per gli operatori privati, il cui superamento
giustifica l’adozione delle necessarie misure di riequilibrio finanziario (in
tale senso Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenze 12 aprile 2012, n. 3
e n. 4).
Anche sul versante della disciplina
convenzionale, l’espresso collegamento operato dalla norma contestata tra le
esigenze di contenimento della spesa pubblica e l’intervento sugli importi e i
volumi di acquisto dei contratti sanitari consente di considerare integrato il
requisito del legittimo interesse pubblico, il quale, ai sensi dell’art. 1 del
Protocollo addizionale alla CEDU, può giustificare l’ingerenza da parte di
un’autorità pubblica nel pacifico godimento dei «beni». Più precisamente la
Corte EDU ‒ dopo aver premesso che le autorità nazionali sono
generalmente nella migliore posizione per decidere cosa sia di pubblico
interesse nell’attuazione degli interventi di razionalizzazione della spesa
pubblica ‒ ha a sua volta anch’essa più volte espressamente affermato che
il pubblico interesse può consistere anche nella necessità di ridurre la spesa
pubblica in ragione della particolarità della situazione economica (sentenza 19 giugno 2012, Khoniakina contro Georgia, paragrafo 76; sentenza 20 marzo 2012, Panfile contro Romania, paragrafi 11 e 21; sentenza 6 dicembre 2011, Šulcs contro Latvia, paragrafi 25
e 29; sentenza 7 giugno
2001, Leinonen contro Finlandia).
6.3.– Sotto un altro profilo, facendo
riferimento a quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale circa il
fatto che una mutazione ex lege dei rapporti di
durata deve ritenersi illegittima quando incide sugli stessi in modo
«improvviso e imprevedibile» (sentenze n. 64 del 2014
e n. 302 del
2010, entrambe relative alla incidenza sui rapporti in corso dei nuovi
criteri di determinazione dei canoni concessori di beni demaniali), va rilevato
che la disposizione censurata non si presta a tale rilievo.
Per un verso, infatti, si deve considerare
che, nel contesto del mercato "amministrato” delle prestazioni sanitarie, «la
sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva
all’inizio di erogazione del servizio» ha carattere «fisiologico» (ex plurimis, Consiglio di Stato, sezione terza, 30 gennaio
2013, n. 598; Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenze 12 aprile 2012,
n. 3 e n. 4; Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 2 maggio 2006, n.
8), con la conseguenza che l’operatore prudente e accorto non può non sapere di
essere esposto a correttivi dei contenuti economici del contratto imposti in
corso d’anno.
Per altro verso, va sottolineato che,
come ricordato, l’art. 15, comma 14, è entrato in vigore il 6 luglio 2012, in
un momento dunque nel quale, nel corso dell’anno di riferimento, era ancora a
disposizione degli operatori privati il tempo necessario per porre in essere
tutte le misure organizzative e strategiche necessarie a evitare o attenuare,
nell’arco temporale dello stesso anno, le conseguenze negative dell’intervento
legislativo, mentre non può essere dato rilievo in questa sede, nello scrutinio
di costituzionalità della norma contestata dal rimettente, ai tempi dei
provvedimenti amministrativi di attuazione successivamente adottati dalle amministrazioni
competenti.
6.4.– Da ultimo, questa Corte ha
sottolineato che il legislatore deve compiere un «necessario bilanciamento» tra
il perseguimento dell’interesse pubblico sotteso al mutamento normativo e la
tutela da riconoscere al legittimo affidamento di coloro che hanno conseguito
una situazione sostanziale consolidata sulla base della normativa previgente (sentenza n. 236 del
2009). L’intervento normativo in esame proporziona in maniera non
irragionevole il peso imposto agli operatori privati al fine che il legislatore
intende con esso realizzare. La misura di riduzione che i privati sono chiamati
a sopportare non può essere ritenuta un onere individuale eccessivo, sia per i
tempi con i quali è stata imposta, sia perché, come visto, non va intesa come
riferita alle prestazioni già legittimamente erogate, prima della sua entrata
in vigore, oltre la previsione di spesa massima rideterminata ai sensi della
norma in contestazione, sia ancora perché essa comporta riduzioni quantitative
alquanto modeste e calibrate in considerazione delle aspettative di credito
degli operatori sanitari, in una percentuale minore per il periodo più
ravvicinato e un progressivo (pur sempre ridotto) aumento per i periodi
successivi.
Per questi stessi motivi si deve
ritenere salvaguardato il giusto equilibrio che, secondo la giurisprudenza
della Corte EDU, deve sussistere tra le esigenze dell’interesse generale della
comunità e l’obbligo di proteggere i diritti fondamentali della persona (ex plurimis, sentenza 13 gennaio 2015, Vékony contro Ungheria, paragrafo 32; sentenza 30 giugno 2005, Jahn e altri contro Germania, paragrafi 93-95; sentenza 3 luglio 2003,
Buffalo srl in liquidazione contro Italia, paragrafo 32; sentenza 5 gennaio 2000, Beyeler contro Italia, paragrafo 114).
6.5.– Alla luce delle considerazioni fin
qui esposte, le questioni sollevate con riferimento agli artt. 3, 97 e 117,
primo comma, Cost. sono da ritenere infondate.
7.– Ad avviso del TAR, la norma
contestata viola l’art. 41 Cost., poiché impedirebbe la remunerazione di
prestazioni già erogate dalle strutture sanitarie accreditate, ledendo così la
libertà di iniziativa economica privata delle stesse.
La questione è infondata.
La censura muove dal presupposto, come
visto erroneo, secondo il quale le riduzioni di spesa previste dal comma 14
inciderebbero anche sulle prestazioni sanitarie già erogate dalle strutture
private accreditate in esecuzione degli accordi contrattuali stipulati con gli
enti del SSN.
Inoltre, va escluso che la previsione
determinerebbe il venir meno di ogni residuo margine di utile con conseguente
compromissione della libertà di iniziativa economica privata – come lamentano
alcune parti ricorrenti nel processo principale –, essendo indimostrato che il
contenuto precettivo della norma produca un tale effetto.
Va peraltro ricordato che la tutela
costituzionale della sfera dell’autonomia privata non è assoluta. Secondo la
costante giurisprudenza costituzionale, non è configurabile una lesione della
libertà d’iniziativa economica allorché l’apposizione di limiti di ordine
generale al suo esercizio corrisponda all’utilità sociale, come sancito
dall’art. 41, secondo comma, Cost., purché, per un verso, l’individuazione di
quest’ultima non appaia arbitraria e, per altro verso, gli interventi del
legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue (ex plurimis,
sentenze n. 56
del 2015, n.
247 e n. 152
del 2010 e n.
167 del 2009).
In un caso analogo, relativo a uno
sconto imposto ex lege ai produttori di farmaci,
questa Corte ha ritenuto che la lamentata compressione nella determinazione del
prezzo non sia costituzionalmente illegittima per lesione dell’art. 41 Cost.,
quando si riveli preordinata, in maniera né sproporzionata, né inidonea, a
consentire il soddisfacimento contestuale di una pluralità di interessi
costituzionalmente rilevanti, tra i quali va annoverato anche l’obiettivo di
contenere la spesa sanitaria (sentenza n. 279 del
2006).
8.– È infondata anche la questione
sollevata con riferimento all’art. 32 Cost.
Ad avviso del rimettente, le riduzioni
delle previsioni di spesa potrebbero compromettere il diritto alla salute
garantito dall’art. 32 Cost., in quanto sarebbero giustificate solo da ragioni
economico-finanziarie e si aggiungerebbero ad analoghe misure adottate in
precedenza.
Questa Corte ha ripetutamente affermato
che «la tutela del diritto alla salute non può non subire i condizionamenti che
lo stesso legislatore incontra nel distribuire le risorse finanziarie delle
quali dispone», con la precisazione che «le esigenze della finanza pubblica non
possono assumere, nel bilanciamento del legislatore, un peso talmente
preponderante da comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute
protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana» (sentenza n. 309 del
1999; nello stesso senso, sentenze n. 267 del 1998,
n. 416 del 1995,
n. 304 e n. 218 del 1994, n. 247 del 1992
e n. 455 del
1990). In questi termini, «nell’ambito della tutela costituzionale
accordata al "diritto alla salute” dall’art. 32 della Costituzione, il diritto
a trattamenti sanitari "è garantito a ogni persona come un diritto
costituzionale condizionato dall’attuazione che il legislatore ordinario ne dà
attraverso il bilanciamento dell’interesse tutelato da quel diritto con gli altri
interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo
stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle
risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento” (v. sent. n. 455 del
1990; v. anche sentt. nn.
218 del 1994,
247 del 1992,
40 del 1991,
1011 del 1988,
212 del 1983,
175 del 1982)»
(sentenza n. 304
del 1994; nello stesso senso, sentenza n. 200 del
2005).
Come rilevato, le riduzioni della spesa
complessiva disposte dalla norma in esame sono relativamente esigue in termini
percentuali e gravano esclusivamente sui contratti o sugli accordi vigenti nel
2012 per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati.
Nonostante esse si risolvano in una riduzione del volume annuo complessivo
delle prestazioni erogabili da tali soggetti, non vi è alcuna evidenza che il
diritto alla salute dei cittadini sia inciso dalla norma – considerata in sé o
insieme a non meglio precisate misure anteriori evocate dal rimettente – al
punto tale da comprimere il suo nucleo irriducibile, né che l’opera di
bilanciamento perseguita dal legislatore, al fine di conseguire l’obiettivo di
risparmio, abbia irragionevolmente commisurato la concreta attuazione del
diritto alla salute alle risorse esistenti e al rispetto dei vincoli di
bilancio pubblico.
In definitiva, l’affermazione della
possibilità che, a causa delle misure in esame, la funzionalità del SSN sia
compromessa con conseguente pregiudizio del diritto alla salute dei cittadini
si risolve «in un’argomentazione meramente ipotetica che, appunto perché tale,
è inidonea a dare consistenza alla censura» (sentenza n. 94 del
2009).
per
questi motivi
riuniti i giudizi,
1) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma
14, del decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95 (Disposizioni urgenti per la
revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché
misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito,
con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135,
sollevate, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dal
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con le ordinanze indicate in
epigrafe;
2) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 14,
del d.l. n. 95 del 2012, sollevate , in riferimento agli artt. 3, 32, 41, 97 e
117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo
addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo
e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 giugno 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Daria de PRETIS, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 luglio
2016.