Sentenza n. 409/98

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SENTENZA N.409

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1, commi 1 e 2, e 2, comma 7, del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80 (Attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela di lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro), promosso con ordinanza emessa l'11 aprile 1996 dal Tribunale di Verbania sui ricorsi riuniti proposti da Rocco Pangallo ed altri contro l'Inps iscritta al n. 1344 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell'anno 1997.

Visti gli atti di costituzione di Rocco Pangallo ed altri e dell'Inps, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 29 settembre 1998 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;

uditi l'avv.to Antonio Todaro per l'Inps e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Verbania, con ordinanza dell’11 aprile 1996, previa riunione di tre giudizi di appello aventi ad oggetto altrettante sentenze di rigetto di domande di lavoratori subordinati dirette ad ottenere la condanna dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps), quale gestore del Fondo di garanzia istituito con il d. lgs. 27 gennaio 1992, n. 80 (Attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela di lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro), al pagamento dei crediti di lavoro maturati nei tre mesi precedenti la data del pignoramento negativo eseguito in danno del loro datore di lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale <<del combinato disposto di cui agli articoli 1, commi 1 e 2, e 2 comma 7 del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80>> nella parte in cui non prevede l'intervento del Fondo di garanzia a favore dei lavoratori subordinati, per i crediti di lavoro che abbiano maturato prima dell’entrata in vigore di detto decreto legislativo nei confronti di datori di lavoro non assoggettabili a procedure concorsuali, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione.

1.1. Il giudice a quo premette che l’identificazione dei lavoratori subordinati che godono della garanzia stabilita dall'art. 2, comma 7, del d.lgs. n. 80 del 1992 ha carattere preliminare rispetto ad ogni altra questione. Secondo il Tribunale di Verbania, la lettera della norma ed il rinvio all’art. 1, comma 1, dimostrano che possono beneficiarne soltanto coloro i quali espletano attività alle dipendenze di datori di lavoro non assoggettabili a procedure concorsuali. Dunque, prosegue il giudice di merito, la questione di costituzionalità é rilevante, poichè dal suo accoglimento deriverebbe l’affermazione del diritto degli appellanti, salva la successiva verifica concernente l’avvenuto esperimento dell’azione entro il termine pure stabilito dalla norma.

Ad avviso del Tribunale, <<l’attuale esclusione dell’intervento a favore dei soggetti dipendenti da datori di lavoro non assoggettabili a procedure concorsuali realizza un’evidente ed ingiustificata disparità di trattamento previdenziale rispetto ai lavoratori i cui crediti siano maturati successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 80 del 1992, i quali, a differenza dei primi, beneficiano dell’istituto sia nelle ipotesi di cui all’art. 1, comma 1, sia di quelle di cui al comma 2>>. La disparità di trattamento, si sostiene nell’ordinanza, non é giustificata dalla circostanza che la direttiva 80/987/CEE prevede la garanzia soltanto in favore dei lavoratori dipendenti da datori assoggettabili a procedure concorsuali, in quanto il legislatore nazionale, una volta determinatosi, nell’esercizio della sua discrezionalità, ad estendere la tutela anche a favore di quelli dipendenti da datori soggetti soltanto ad esecuzione individuale, avrebbe dovuto ampliarla in modo coerente e omogeneo, senza <<introdurre ingiustificate distinzioni basate sulla data di maturazione del credito>>. Pertanto, conclude il giudice a quo, <<la disciplina enucleata dal combinato disposto di cui all'art. 1 commi 1 e 2 e all'art. 2 comma 7>> del d.lgs. n. 80 del 1992 realizza una disparità di trattamento la cui irragionevolezza, a fronte di situazioni omogenee, conforta, pur nell'estrema frammentarietà che contraddistingue l'ordinamento previdenziale, il giudizio di non manifesta infondatezza della questione.

2. Nel giudizio innanzi alla Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

La direttiva 80/987/CEE, premette la difesa erariale, mira al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di tutela dei lavoratori subordinati dipendenti da datori di lavoro assoggettabili a procedure concorsuali, e riconosce agli Stati membri la facoltà di introdurre disposizioni più favorevoli. La Corte di giustizia della Comunità europea ha accertato l'inadempimento dell'Italia all'obbligo di conformarsi alla direttiva nel termine da essa fissato (Corte di giustizia, 2 febbraio 1989, C-22/87) e, successivamente, ha affermato l’obbligo degli Stati membri di risarcire i danni derivati ai singoli dal mancato recepimento delle disposizioni comunitarie (Corte di giustizia, 19 novembre 1991, C-6 e 9/90). Il d. lgs. n. 80 del 1992, prosegue l’interveniente, nell’attuare la direttiva, ha esteso la tutela anche ai dipendenti di datori di lavoro non soggetti a procedure concorsuali, ma soltanto per il futuro e, allo scopo di adempiere gli obblighi sanciti dalla Corte di giustizia, ha attribuito ai lavoratori dipendenti da imprese assoggettabili a procedure concorsuali un’indennità per il danno eventualmente subito per il ritardo nel recepimento della direttiva.

Pertanto, osserva ancora l’Avvocatura dello Stato, poichè la Corte di giustizia ha ritenuto che la limitazione della tutela non lede il principio della parità di trattamento in ambito comunitario (Corte di giustizia, 9 novembre 1995, C-479-93) e la diversa data di maturazione dei crediti costituisce elemento sufficiente a rendere disomogenee le situazioni poste in comparazione, non sussiste la denunziata disparità di trattamento. Infine, conclude l’interveniente, neppure é irragionevole che il decreto legislativo abbia ampliato il livello minimo di tutela previsto dalla direttiva CEE e, con norma transitoria, abbia attribuito soltanto ai lavoratori che hanno subito un danno dalla sua mancata attuazione il diritto ad ottenere le garanzie di cui avrebbero goduto nel caso di tempestivo recepimento delle norme comunitarie.

3. Nel giudizio innanzi alla Corte si é costituito l’Inps, convenuto nel giudizio principale, il quale ha eccepito l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della questione.

Secondo l’Istituto, il Tribunale non ha preliminarmente accertato se le azioni siano state promosse entro il termine stabilito dall’art. 2, comma 7, del d. lgs. n. 80 del 1992 e tale omissione rende la questione di costituzionalità meramente ipotetica ed inammissibile per difetto di rilevanza. In ogni caso, a suo avviso, le censure sollevate dal Tribunale sono infondate, in quanto le situazioni poste in comparazione sono disomogenee. Le procedure concorsuali presuppongono infatti, normalmente, il concorso dei creditori ed impediscono la prosecuzione delle azioni individuali, che é invece possibile nei confronti dei datori di lavoro non assoggettati alle prime. La responsabilità patrimoniale del debitore, senza i limiti del concorso - sostiene la parte - configura una più intensa garanzia delle ragioni del singolo creditore e ciò é sufficiente a dimostrare l’incongruità del richiamo degli artt. 3 e 38 della Costituzione, dato che esso si basa sulla omologazione di situazioni non omogenee.

La circostanza che il legislatore ha ritenuto di estendere anche ai lavoratori dipendenti da datori non assoggettabili a procedure concorsuali la garanzia disciplinata dal d.lgs. n. 80 del 1992, conclude infine l’Inps, é irrilevante nel senso prospettato dal Tribunale, perchè frutto di una scelta riservata alla discrezionalità del legislatore, non sindacabile nel giudizio di costituzionalità.

4. Gli appellanti nel processo principale si sono anch’essi costituiti nel giudizio innanzi alla Corte ed hanno chiesto che la questione di costituzionalità sia dichiarata fondata.

  Le parti private ripercorrono le argomentazioni svolte nell’ordinanza di rimessione e sostengono che il legislatore, nel disciplinare le fattispecie perfezionatesi anteriormente al recepimento della direttiva Cee, avrebbe potuto configurare il risarcimento del danno derivato dalla sua mancata attuazione come una fattispecie autonoma ovvero regolamentarla con modalità identiche alla prestazione a regime. Realizzata questa seconda soluzione é, a loro avviso, irragionevole che la garanzia non sia stata estesa anche ai crediti maturati anteriormente all’entrata in vigore del d. lgs. n. 80 del 1992 e vantati dai lavoratori subordinati dipendenti da datori non assoggettabili a procedure concorsuali.

Dunque, concludono le parti, il legislatore italiano, poichè ha tutelato con identiche modalità i crediti di tutti i lavoratori subordinati sin dalla legge 29 maggio 1982, n. 297, non poteva successivamente distinguere le due categorie e prevedere la garanzia per quelli maturati anteriormente alla data di entrata in vigore del d. lgs. n. 80 del 1992 soltanto in favore dei lavoratori dipendenti da datori di lavoro assoggettabili a procedure concorsuali.

5. All’udienza pubblica la difesa erariale e l’Inps hanno insistito per la dichiarazione di infondatezza della questione di costituzionalità.

Considerato in diritto

1. La questione di legittimità costituzionale, sollevata dall'ordinanza in epigrafe in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, concerne il "combinato disposto di cui agli artt. 1, commi 1 e 2, e 2, comma 7, del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80" (Attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela di lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro), "nella parte in cui non prevedono l'intervento del Fondo di Garanzia a favore dei lavoratori che abbiano maturato crediti di lavoro, nel periodo anteriore all'entrata in vigore del d. lgs. citato, nei confronti di datori di lavoro non assoggettabili a procedure concorsuali".

Secondo il giudice rimettente, invero, la limitazione temporale, riferita alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 80 del 1992, della garanzia in favore dei lavoratori subordinati dipendenti da datori di lavoro non assoggettabili a procedure concorsuali costituisce un'ingiustificata disparità di trattamento a danno di quelli di essi che vantano crediti non riconducibili alla predetta data. Il giudice a quo ritiene altresì irragionevole che i lavoratori dipendenti da datori di lavoro assoggettabili a procedure concorsuali godano invece della stessa garanzia anche relativamente ai crediti da ultimo indicati. Nè, secondo il giudice rimettente, tale disparità di trattamento può essere giustificata dalla considerazione che la direttiva 80/987/CEE riguarda solo quella categoria di lavoratori, poichè una volta che la discrezionalità del legislatore aveva disposto quella tutela anche per i dipendenti da datori di lavoro non assoggettabili a procedure concorsuali, avrebbe dovuto estenderla in modo coerente ed omogeneo, senza introdurre ingiustificate distinzioni basate sulla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo.

2. In via preliminare va esaminata l'eccezione dell'INPS di inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, in quanto il Tribunale rimettente avrebbe omesso di accertare, in limine, se le azioni proposte dai lavoratori siano state promosse entro il termine fissato dall'art. 2, comma 7, del d.lgs. n. 80 del 1992.

L'eccezione é infondata.

Premesso che non é sindacabile, nel giudizio di costituzionalità, l'ordine logico con il quale il rimettente affronta le questioni sottoposte al suo esame (sentenze nn. 267 e 226 del 1998), nel caso di specie il Tribunale, dopo avere affermato che la questione di legittimità costituzionale sollevata "riveste carattere preliminare rispetto ad ogni altro profilo di controversia", ha sostenuto, in modo non implausibile, che la questione stessa appare rilevante, in quanto il suo eventuale accoglimento determinerebbe l'estensione della fattispecie normativa anche riguardo ai ricorrenti.

3. Nel merito la questione é infondata, sotto i diversi profili prospettati.

Il giudice rimettente dubita, innanzi tutto, che le norme denunziate violino l'art. 3 in collegamento con l'art. 38 della Costituzione, in quanto la garanzia per i crediti di lavoro previsti nel citato art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 80 del 1992, vantati dai lavoratori subordinati dipendenti da datori di lavoro non assoggettabili alle procedure concorsuali, opererebbe soltanto per i crediti relativi alle procedure intervenute successivamente all'entrata in vigore del decreto legislativo stesso.

Secondo il costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, il fluire del tempo costituisce, di per sè, idoneo elemento di differenziazione delle situazioni soggettive, anche nella specifica materia previdenziale, cosicchè é stato escluso che possa giudicarsi in sè irragionevole, in quanto riferibile a situazioni non omogenee tra di loro, la previsione di una disciplina normativa diversificata ratione temporis, dal momento che differenziazioni temporali agevolative nell'ambito di una stessa categoria di soggetti si giustificano con la necessità di bilanciamento con le disponibilità delle risorse indispensabili a tal fine e con le connesse esigenze finanziarie (ex plurimis, sentenze n. 175 del 1997, n. 311 del 1995, nn. 385 e 378 del 1994, n. 243 del 1993, nn. 455 e 95 del 1992).

Deve quindi escludersi che, sotto questo aspetto, vi sia una lesione del principio di parità di trattamento tra lavoratori appartenenti ad una stessa categoria, poichè non si tratta di situazioni omogenee.

4. L'ordinanza di rimessione prospetta un ulteriore profilo di violazione dell'art. 3 in collegamento con l'art. 38 della Costituzione, in quanto le norme censurate, attribuendo ai soli lavoratori dipendenti da datori di lavoro, assoggettati a procedure concorsuali intervenute anteriormente all'entrata in vigore del decreto legislativo, un'indennità per i crediti di cui al comma 1, realizzerebbero un'ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai lavoratori dipendenti da datori assoggettati soltanto ad esecuzione individuale, giacchè essi non godrebbero di alcuna garanzia per crediti dello stesso tipo.

Anche sotto questo profilo, la proposta questione di costituzionalità non appare fondata. In proposito, va premesso che l'attuale sistema di tutela dei crediti dei lavoratori subordinati dipendenti da datori di lavoro soggetti a procedure concorsuali trae origine dalla direttiva 80/987/CEE, concernente appunto "il ravvicinamento" -da effettuarsi entro il termine ultimo del 23 ottobre 1983- delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro. La Corte di giustizia delle Comunità europee, chiamata a pronunciarsi in questa vicenda, ha, dapprima, giudicato l'attuazione di questa direttiva, contenuta nella legge 29 maggio 1982, n. 297, inidonea all'adempimento dell'obbligo di conformarsi e successivamente ha statuito che lo Stato italiano era comunque tenuto a risarcire i danni derivanti ai singoli da questo mancato adempimento nei termini prefissati (Corte di giustizia, 2 febbraio 1989 C-22/87 e 19 novembre 1991, cause riunite C-6 e 9/90).

Il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80, emanato nell'esercizio della delega conferita al Governo dalla legge comunitaria per il 1990, ha infine dato attuazione alla predetta direttiva, determinando un quadro normativo, che, da un lato, estende, per il futuro, l'ambito di tutela non solo ai dipendenti da datori di lavoro assoggettabili a procedure concorsuali, ma anche ai dipendenti da qualsiasi datore di lavoro (art. 1, rispettivamente commi 1 e 2); dall'altro lato, invece, riconosce ai soli lavoratori dipendenti da datori di lavoro soggetti a procedure concorsuali il diritto al pagamento dell'indennità di cui all'art. 2, comma 7, del citato decreto n. 80, in riferimento alle situazioni venute a maturazione dopo la data ultima di attuazione della direttiva, ma prima dell'entrata in vigore del predetto decreto. Questo quadro normativo, che prevede trattamenti differenziati per categorie di soggetti e per situazioni temporali, si conforma quindi, in linea di principio, alla direttiva comunitaria che recepisce, anche se é evidente che la scelta di tutelare, per il futuro, pure i crediti dei lavoratori dipendenti da datori di lavoro non assoggettabili a procedura concorsuale non deriva da vincoli comunitari, ma é imputabile unicamente alla mera discrezionalità del legislatore italiano.

Era invece doveroso, per lo stesso legislatore italiano, prevedere il soddisfacimento degli obblighi risarcitori conseguenti alla tardiva attuazione della direttiva in oggetto, proprio perchè la Corte di giustizia aveva statuito che "é nell'ambito delle norme del diritto nazionale relative alla responsabilità che lo Stato é tenuto a riparare le conseguenze del danno provocato" dalle violazioni del diritto comunitario, quali, tra l'altro, l'inadempimento accertato da una sentenza (Corte di giustizia, 19 novembre 1991, C-6 e 9/90). In questa ottica, pertanto, é stata formulata la norma dell'art. 2, comma 7, del decreto in oggetto, la quale é coerentemente limitata a quei soli lavoratori dipendenti, che la direttiva voleva garantire e nei confronti dei quali soltanto era perciò configurabile la responsabilità dello Stato per la tardiva attuazione della direttiva stessa.

In questo senso é appunto l'orientamento della Corte costituzionale, che ha in particolare statuito che il lavoratore, il quale agisce per il pagamento dell'indennità prevista dal comma 7 dell'art. 2, non fa valere un credito di lavoro, bensì un diritto risarcitorio, diversamente da quanto disposto dal comma 1. Coerentemente, secondo la Corte, l'intervento dell'INPS, quale gestore del Fondo di garanzia, si articola secondo "due forme distinte, corrispondenti al diverso titolo e alla diversa natura dei diritti del lavoratore" previsti appunto dai due commi citati (sentenza n. 512 del 1993). Il rinvio che il comma 7 dell'art. 2 fa ai commi 1, 2 e 4 non é pertanto indice di omogeneità tra le due situazioni, dato che mediante l'azione prevista dal comma 7 il lavoratore fa valere un danno, la cui causa petendi non é costituita dal rapporto di lavoro, bensì dalla mancata attuazione della direttiva (sentenza n. 285 del 1993).

Gli stessi principi, del resto, sono stati affermati e più volte ribaditi anche dalla Corte di cassazione, la quale, in conformità alle pronunce della Corte costituzionale, ha osservato che non sussiste identità di natura tra le diverse prestazioni previste dall'art. 2 del decreto, giacchè quella disciplinata dal comma 7 ha natura non previdenziale, ma risarcitoria -anzi più esattamente indennitaria- del danno derivante dalla tardiva attuazione della direttiva comunitaria.

La diversità di natura e di contenuto tra le predette prestazioni e la circostanza che soltanto nei confronti della categoria di lavoratori contemplati dall'art. 2, comma 7, del decreto legislativo n. 80 del 1992 sussiste la responsabilità dello Stato italiano per il ritardo nel recepimento della direttiva e, di conseguenza, ad essi soli può essere riconosciuto il relativo diritto risarcitorio, dimostrano dunque che si tratta di una situazione assolutamente peculiare, la cui disciplina non é irragionevole che sia limitata, per la ratio che la ispira, a quella sola categoria di lavoratori, senza estensioni ulteriori. Non si può pertanto procedere ad alcuna forma di comparazione per difetto di omogeneità con altre situazioni previste dalle stesse norme denunciate, e quindi si deve escludere che la loro differente disciplina si ponga in contrasto con il principio di eguaglianza.

5.  profili di censura contenuti nell'ordinanza di rimessione in riferimento all'art. 38 della Costituzione non hanno una motivazione autonoma, ma comune con quelli relativi alla censura dell'art. 3, cosicchè l'infondatezza della questione in ordine al principio di eguaglianza comporta anche l'insussistenza della lesione, così come prospettata, dell'art. 38.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto di cui agli articoli 1, commi 1 e 2, e 2, comma 7, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80 (Attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela di lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro) sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Verbania con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Relatore: Piero Alberto CAPOTOSTI

Depositata in cancelleria il 16 dicembre 1998.