Sentenza n. 512 del 1993

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SENTENZA N. 512

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80 (Attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela dei lavori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro), promossi con n. 3 ordinanze emesse il 21 aprile, il 29 giugno ed il 23 aprile 1993 dal Pretore di Brescia nei procedimenti civili vertenti tra Assoni Daniele ed altri e l'I.N.P.S. ed altri, iscritte ai nn. 343, 568 e 569 del registro ordinanze 1993 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 27 e 40, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visti gli atti di costituzione di Amadei Emanuela e Cameletti Giovanni Battista e dell'I.N.P.S. nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 14 dicembre 1993 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

uditi l'avv. Rina Sarto per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

l. Nel corso di un giudizio civile promosso da Daniele Assoni contro l'INPS e la Presidenza del Consiglio dei ministri per ottenere - previo accertamento della responsabilità dello Stato italiano per la mancata tempestiva attuazione della direttiva CEE n. 80/987 in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro - la condanna dell'INPS al paga mento dell'indennità prevista dall'art. 2, comma 7, del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, il Pretore di Brescia, con ordinanza del 21 aprile 1993, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 6, del citato decreto legislativo (erroneamente indicato nel dispositivo come decreto- legge) per contrasto con l'art. 3 Cost.

Il d.lgs. n. 80 del 1992, che ha attuato la menzionata direttiva comunitaria, è stato emanato in base alla delega conferita al Governo dall'art.48 della legge 29 dicembre 1990, n. 428 (legge comunitaria per il 1990).

Essendo intervenuta, nel corso del termine della delega, la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee 19 novembre 1991 (cause riunite C-6/90 e C-9/90), che ha dichiarato la responsabilità dello Stato italiano per i danni derivati ai singoli della mancata adozione entro il termine prescritto (23 ottobre 1983) dei provvedimenti occorrenti per l'attuazione della direttiva, l'art. 2, comma 7, della legge delegata ha previsto una regola speciale per la determinazione del danno, che viene commisurato alla prestazione corrisposta nel sistema a regime dal Fondo di garanzia istituito dalla legge 29 maggio 1982, n. 297, e un'altra regola speciale che assoggetta l'azione per ottenere l'indennità risarcitoria al termine di decadenza di un anno dalla data di entrata in vigore del decreto.

Dagli artt. 2, comma 6, e 4 il giudice remittente argomenta che "il Fondo è ex lege tenuto a sostituirsi all'insolvente datore di lavoro nel pagamento delle tre ultime mensilità di retribuzione soltanto per le ipotesi previste nell'art. 1 verificatesi dopo l'entrata in vigore del decreto, mentre per il periodo precedente viene affermato l'obbligo del risarcimento del danno a carico dello Stato italiano". Dovrebbe conseguirne, a suo avviso, un giudizio di illegittimità costituzionale del comma 7 per violazione dell'art. 81 Cost., non essendo "prevista alcuna copertura finanziaria in relazione agli oneri ricadenti direttamente sullo Stato". Tuttavia, poichè la caducazione del comma 7 comporterebbe una ingiustificata discriminazione a danno dei lavoratori coinvolti in procedure concorsuali contro datori di lavoro insolventi iniziate anteriormente all'entrata in vigore del decreto n.80 del 1992, l'ordinanza preferisce censurare il precedente comma 6 di violazione del principio di eguaglianza, in quanto esclude i detti lavoratori dal campo di intervento del Fondo di garanzia gestito dall'INPS.

Per tal via sarebbe assicurato il rispetto sia dell'art. 3 Cost., perchè anche i lavoratori cui si riferisce il comma 7 potrebbero far valere il loro diritto contro il Fondo di garanzia, sia dell'art. 81 Cost., perchè l'onere finanziario troverebbe copertura nell'art. 4 del decreto.

2. Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è costituito l'INPS concludendo per l'inammissibilità della questione in conseguenza della sopravvenuta sentenza di questa Corte n. 285 del 1993, che ha interpretato il comma 7 individuando nell'INPS, in qualità di gestore del Fondo di garanzia, il soggetto passivo del diritto di indennizzo ivi previsto.

3. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata alla stregua della sentenza richiamata.

4. Con successiva ordinanza del 23 aprile 1993 lo stesso Pretore - nel corso di analogo giudizio promosso da Giovanni Cameletti - ha impugnato gli artt.2 e 4 del d.lgs. n. 80 del 1992 per contrasto: a) con l'art. 3 Cost., perchè discriminano in giustificatamente i lavoratori dipendenti da imprese in stato di insolvenza a seconda del momento di inizio delle procedure indicate nell'art. 1; b) con gli artt. 24 e 25 Cost., perchè escludono l'intervento del Fondo di garanzia nel caso di inizio delle procedure anteriormente all'entrata in vigore del decreto senza individuare il soggetto tenuto al pagamento dell'indennità di cui al comma 7, rendendo così impossibili o gravemente difficoltosi l'esercizio del diritto e la determinazione del giudice competente; c) con l'art. 81 Cost., perchè, anche ammesso che l'esclusione dell'obbligo a carico del Fondo possa essere intesa come obbligo gravante direttamente sullo Stato e, per esso, sul Governo, insorgerebbe l'ostacolo della mancanza di copertura dell'onere finanziario.

5. Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si è costituita la parte privata chiedendo in principalità che la questione di legittimità costituzionale, così come prospettata dall'ordinanza di rimessione, sia dichiarata manifestamente in fondata in conformità della sentenza n. 285 del 1993; in subordine, che la Corte sollevi d'ufficio davanti a sè questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, commi 6 e 7, per contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 76 Cost., in guisa da rimuovere ogni differenza di trattamento in ordine ai periodi anteriore e posteriore all'entrata in vigore del decreto n. 80.

6. Si è pure costituito l'INPS ed è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo, rispettivamente, una dichiarazione di inammissibilità o di manifesta infondatezza.

7. Infine, successivamente alla sentenza n. 285 del 1993 di questa Corte, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 6, per violazione dell'art. 3 Cost., è stata nuovamente sollevata dal Pretore di Brescia con ordinanza del 29 giugno 1993. Premesso di non poter condividere l'interpretazione che attribuisce all'INPS, in qualità di gestore del Fondo di garanzia, la legittimazione passiva all'azione indennitaria prevista dal comma 7, il giudice remittente chiede che l'obbligo dell'INPS sia stabilito con una sentenza caducatoria del comma 6, la quale "dirima la questione senza margini di equivoco e senza interpretazioni inaccettabili in diritto".

8. Nel giudizio davanti alla Corte si è costituita la parte privata chiedendo in principalità una dichiarazione di manifesta infondatezza della questione, in quanto sostenuta da "argomenti in larga misura formalistici, centrati soprattutto su una contestabile esegesi della disposizione concernente la copertura finanziaria". Ritiene tuttavia che la situazione di diritto sarebbe meglio chiarita ove la Corte, sollevando d'ufficio la questione davanti a sè, dichiarasse l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, commi 6 e 7, per contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 76 Cost.

9. Si è costituito pure l'INPS ed è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri con conclusioni analoghe a quelle formulate nei due giudizi precedenti.

Considerato in diritto

l. Con la prima e la terza (in ordine di data) delle ordinanze indicate in epigrafe (R.O. nn. 343 e 568/93) il Pretore di Brescia solleva questione di legittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 3 Cost., dell'art. 2, comma 6, del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, interpretato nel senso di escludere la legittimazione passiva dell'INPS, in qualità di gestore del Fondo di garanzia di cui all'art. 1, alla pretesa di indennizzo riconosciuta dal comma 7 ai lavoratori dipendenti da imprese divenute insolventi dopo la scadenza del termine (23 ottobre 1983) per l'attuazione della direttiva CEE n. 80/987 e assoggettate a una procedura concorsuale o di amministrazione straordinaria anteriormente all'entrata in vigore del provvedimento attuativo.

Con la seconda ordinanza (R.O. n. 569/93) lo stesso Pretore impugna l'art. 2 del medesimo decreto legislativo (in relazione ai commi 6 e 7), per contrasto, oltre che con l'art. 3 Cost., con gli artt. 24 e 25 Cost., in quanto "impedisce la tutela giudiziale dei diritti dei detti lavoratori" non individuando il soggetto debitore dell'indennità prevista dal comma 7 e rendendo così difficoltosa anche la determinazione del giudice competente; nonchè l'art. 4, per violazione dell'art. 81 Cost., in quanto non prevede la copertura finanziaria del relativo onere finanziario, "sicuramente non ricadente sul predetto Fondo, ma in generale ricadente sullo Stato italiano".

2. I giudizi instaurati dalle tre ordinanze hanno per oggetto questioni analoghe, e pertanto è opportuno disporne la riunione affinchè siano decisi con unica sentenza.

3. Le questioni non sono fondate.

Esse dipendono interamente dalla soluzione del dubbio interpretativo circa il soggetto obbligato al pagamento dell'indennità risarcitoria di cui all'art. 2, comma 7, del d.lgs. n. 80 del 1992. La sentenza n. 285 del 1993 di questa Corte ha accolto l'interpretazione - già adottata dall'INPS con circolare n. 44 del 18 febbraio 1993 - che attribuisce la legittimazione passiva allo stesso INPS per il tramite del Fondo di garanzia di cui all'art. 1 del decreto. Gli argomenti esegetici opposti dal Pretore di Brescia non sono tali da indurre la Corte a mutare avviso.

L'art. 1, comma 1, del decreto dispone a carico del Fondo di garanzia istituito dalla legge 29 maggio 1982, n. 297, l'accollo (ex lege) - entro certi limiti, precisati dall'art. 2, comma 1 - del pagamento dei crediti di lavoro (diversi da quelli spettanti a titolo di trattamento di fine rapporto) dei dipendenti di imprese assoggettate a procedure concorsuali o di amministrazione straordinaria.

Poichè il Fondo si sostituisce al datore di lavoro insolvente in attuazione della menzionata direttiva comunitaria, di per sè non suscettibile di applicazione immediata, s'intende che l'intervento del Fondo in veste di obbligato a titolo di accollo, a norma del comma 1 e con le modalità indicate nei commi 2, 3, 4 e 5, non opera - come precisa il comma 6 - se non nei casi in cui le dette procedure siano state avviate posteriormente all'entrata in vigore del decreto. La caducazione del comma 6, prospettata dal giudice a quo, non risolverebbe la questione, posto che non si tratta di estendere al caso del comma 7 l'intervento sostitutivo del debitore originario in ordine alle retribuzioni spettanti ai prestatori di lavoro: in quest'altro caso - che il comma 6 ha la funzione di tenere distinto da quello regolato "dalle disposizioni che precedono" - il lavoratore non fa valere un credito di lavoro, bensì un diritto risarcitorio nei confronti di un organo o un ente (che occorre individuare) dell'apparato statale, investito della correlativa obbligazione a titolo originario.

Dal comma 6 si può argomentare soltanto che nel caso in cui la procedura concorsuale o di amministrazione straordinaria sia intervenuta prima dell'entrata in vigore del decreto n. 80 il Fondo di garanzia non si accolla il pagamento dei crediti di lavoro ai sensi delle disposizioni dei commi precedenti; nessun argomento negativo si può trar ne, invece, in merito all'ipotesi interpretativa che lo stesso INPS, gestore del Fondo, sia a diverso titolo passivamente legittimato (per volontà di legge) all'azione di indennizzo accordata in questo caso dal comma 7 in esecuzione della sentenza della Corte di giustizia. La collocazione della norma nel corpo dell'art. 2, sotto il titolo "intervento del Fondo di garanzia", fornisce piuttosto un'indicazione - non decisiva, ma orientativa - nel senso dell'articolazione dell'intervento in due forme di stinte, corrispondenti al diverso titolo e alla di versa natura dei diritti del lavoratore previsti dal comma 1 e dal comma 7.

Questa indicazione trova conferma nell'art. 48, lett. g), della legge delega n. 428 del 1990, secondo cui "l'attuazione della direttiva del Consiglio 80/987/CEE non dovrà comportare oneri a carico del bilancio dello Stato e degli enti del settore pubblico allargato". Considerato che, in virtù del criterio generale impartito dall'art. 2 lett. f), della legge medesima, il potere legislativo conferito al Governo si estende all'attuazione della sentenza 19 novembre 1991 della Corte di giustizia (cfr. sent. n. 285 del 1993 cit.), l'art. 48, lett. g), esclude che la legittimazione passiva all'azione risarcitoria prevista dall'art. 2, comma 7, della legge delegata possa essere individuata in capo a un organo dell'amministrazione dello Stato impegnando una spesa direttamente gravante sul bilancio statale; in pari tempo qualifica il richiamo dell'intero art. 2, operato dall'art. 4, come indice dell'intenzione del legislatore di porre a carico del Fondo di garanzia anche gli oneri derivanti dall'applicazione dell'art. 2, comma 7.

Invero, una volta escluso che l'indennità possa onerare il bilancio dello Stato, il canone della totalità ermeneutica, e per altro verso anche il divieto di non liquet, non ammettono se non l'alternativa della responsabilità dell'INPS (in qualità di gestore del Fondo di garanzia), essa pure finanziata a norma dell'art. 4, mediante ripartizione dell'onere tra i datori di lavoro, con possibilità di revisione dell'aliquota contributiva, per gli anni successivi al 1992, in relazione all'andamento gestionale del Fondo.

Non varrebbe obiettare che in tal modo si fa ricadere sui datori di lavoro l'onere del risarcimento del danno derivato da un fatto illecito ad essi non imputabile, considerato che l'indennità prevista dall'art. 2, comma 7, è commisurata alla responsabilità debitoria che, anche per il periodo di cui si discute, sarebbe accollata al Fondo se la direttiva comunitaria fosse stata tempestivamente attuata.

4. La conferma di questa interpretazione implica un giudizio di infondatezza di tutte le censure rivolte nelle ordinanze di rimessione contro gli artt.2, commi 6 e 7, e 4 del decreto in esame, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 81 Cost.

Ne risulta chiarita e semplificata anche la domanda subordinata formulata dalla parte privata nel secondo e nel terzo dei giudizi riuniti, la quale si appunta in sostanza sul termine di decadenza stabilito dall'art. 2, comma 7, ritenuto contrastante col precetto della sentenza comunitaria di non prevedere condizioni tali da rendere eccessivamente difficile l'esercizio dell'azione. Ma la medesima ragione sottesa alla dichiarazione di inammissibilità di tale questione nella sentenza n.285 del 1993, impedisce che essa possa essere sollevata d'ufficio dalla Corte davanti a se medesima. In tutti i giudizi a quibus l'azione risarcitoria è stata tempestivamente esercitata dai lavoratori interessati entro l'anno dalla data di entrata in vigore del decreto n. 80, di guisa che la questione risulta irrilevante.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 6, del d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80 (Attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro), sollevata, in riferimento all'art.3 della Costituzione, dal Pretore di Brescia con le ordinanze in epigrafe, iscritte in R.O. nn. 343 e 568/1993;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt.2, commi 6 e 7, e 4 del citato decreto legislativo, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 81 della Costituzione, dal medesimo Pretore con l'ordinanza in epigrafe, iscritta in R.O. n. 569/1993.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29/12/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 31/12/93.