Sentenza n.378 del 1994

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SENTENZA N. 378

ANNO 1994

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA Presidente

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 49, terzo comma, della legge 9 marzo 1989, n. 88 (Ristrutturazione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) promosso con ordinanza emessa il 12 febbraio 1993 dal Pretore di Latina nel procedimento civile vertente tra Speed Cleaning s.a.s. e l'I.N.P.S., iscritta al n. 334 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visti gli atti di costituzione della Speed Cleaning s.a.s. e l'I.N.P.S., nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 luglio 1994 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

uditi l'avvocato Leonardo Lironcurti per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento civile vertente tra la Speed Cleaning s.a.s. e l'I.N.P.S., il Pretore di Latina ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, dell'art. 49, terzo comma, della legge 9 marzo 1989, n. 88 (Ristrutturazione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro)

A parere del giudice a quo, la predetta disposizione, secondo l'interpretazione comunemente accolta e fatta propria anche dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, fa salvi, rispetto alla classificazione di cui al primo comma dello stesso articolo, non solo gli inquadramenti nei settori del commercio, dell'industria e dell'agricoltura derivanti da leggi speciali, ma anche tutti gli inquadramenti comunque in atto nei settori in questione al momento dell'entrata in vigore della legge. In forza di ciò la società ricorrente nel giudizio a quo, operante nel settore di pulizia degli stabili, opifici, uffici, ecc., viene inquadrata tra le società commerciali, essendo per essa l'inquadramento effettuato per la prima volta successivamente all'entrata in vigore della legge n. 88 del 1989. Al contrario, tutte le altre imprese, operanti nel medesimo settore, ma già iscritte nel settore industriale prima dell'entrata in vigore della suddetta legge, continuano ad essere inquadrate nel settore industriale.

Tale differente inquadramento, che non è soltanto nominalistico (giacchè le attività inquadrate nel settore industriale godono di agevolazioni contributive sia generali che sociali, con conseguente maggior costo del servizio svolto dalle une rispetto alle altre), creerebbe una disparità di trattamento, poichè identiche attività ricevono una differente disciplina giuridica ed economica, con conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione.

La disposizione oggetto del presente giudizio sarebbe altresì in contrasto con l'art. 41 della Costituzione, ove si consideri che l'impresa di pulizie inquadrata nel settore commerciale dopo l'entrata in vigore della legge n. 88 del 1989 trova ostacoli ad esercitare liberamente l'attività economica, in presenza di aziende concorrenti che esercitano la stessa attività e che possono praticare prezzi minori per effetto del diverso trattamento normativo, del diverso inquadramento e del diverso regime contributivo.

2. - Nel giudizio davanti a questa Corte si è costituita la Speed Cleaning s.a.s., ricorrente nel giudizio a quo, concludendo per l'accoglimento della questione ovvero per una richiesta di pronuncia interpretativa nei termini sotto indicati.

Ritiene la parte che il differente inquadramento si traduce sempre in un diverso trattamento economico e comporta necessariamente un diverso prezzo di offerta del servizio, quantificabile in un maggior costo pari al 30/40 per cento rispetto alle imprese inquadrate nel settore industriale: con evidente violazione sia dell'art. 3 che dell'art. 41 della Costituzione.

Tale situazione sarebbe eliminabile o dichiarando l'illegittimità della disposizione impugnata, ovvero interpretando la stessa nel senso che continuano a mantenere l'inquadramento nel settore industria non già le imprese ma le attività esercitate dalle imprese: con ciò uniformando, sotto il profilo normativo, previdenziale e contributivo il trattamento riservato ad imprese che esercitano la medesima attività e pertanto gli stessi servizi, sia che la loro iscrizione sia precedente, sia che sia successiva all'entrata in vigore della legge n. 88 del 1989.

3. - Si è costituito anche l'I.N.P.S., concludendo per la dichiarazione di non fondatezza in via interpretativa della questione sollevata dal Pretore di Latina.

Sostiene l'Istituto che l'interpretazione della disposizione impugnata prospettata dal Pretore di Latina non possa essere accolta, e che essa non possa ritenersi "diritto vivente" in quanto in senso contrario sono infatti orientate alcune decisioni della Corte di Cassazione.

A parere dell'I.N.P.S., la disposizione deve essere interpretata nel senso che gli inquadramenti che rimangono immutati sono soltanto quelli derivanti da leggi speciali di inquadramento dei datori di lavoro, ovvero derivanti da decreti ministeriali di aggregazione: la seconda parte del comma avrebbe una funzione non transitoria ma residuale, in quanto tale inidonea ad incidere sull'efficacia di quanto in precedenti commi stabilito in via di norma. Tale funzione consisterebbe nell'indicare alcuni casi di preesistenti inquadramenti che rimangono comunque validi, e che tali rimarrebbero non in via transitoria ma definitiva. Da ciò conseguirebbe che i casi di inquadramento che la norma ha inteso conservare siano soltanto quelli concretamente indicati dalla stessa, senza alcuna intenzione di applicare alla situazione esistente una disciplina transitoria. La diversa interpretazione significherebbe presumere, come già sostenuto dalla Corte di Cassazione, che l'art. 49 sia stato scritto in violazione della più elementare tecnica legislativa.

Qualora invece si accogliesse una diversa interpretazione della disposizione, quale quella fatta propria da altre pronunce della stessa Corte di Cassazione, l'eccezione di disparità di tratta mento avrebbe un fondamento intrinseco: e tali profili di incostituzionalità verrebbero addirittura esaltati con riferimento al fatto che un'impresa di servizi che abbia iniziato la propria attività dopo l'entrata in vigore della legge n. 88 del 1989 dovrebbe essere inquadrata nel settore terziario dell'I.N.P.S. per il personale dipendente e, contemporaneamente, inquadrata nell'I.N.P.D.A.I. (come impresa industriale) per il personale dirigente.

Siccome dunque detta interpretazione si tradurrebbe in un'ingiustificata disparità di trattamento basata sull'insufficiente criterio della data di inizio dell'attività, sembra pacifico ritenere che tra due possibili interpretazioni si debba privilegiare quella esente da consistenti profili di incostituzionalità.

4. - É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità ovvero per l'infondatezza della questione.

Ad avviso della difesa erariale l'ordinanza di rimessione difetterebbe, quanto alla prima richiesta, della motivazione circa la rilevanza, soprattutto in considerazione del fatto che la questione sembra formulata non già con riferimento alla nuova disciplina, che impone un certo inquadramento all'impresa ricorrente, ma con riferimento alla vecchia disciplina, che stabiliva per le attività simili a quella dell'impresa ricorrente un inquadramento diverso ai fini contributivi e previdenziali.

Nel merito, la questione sarebbe non fondata in quanto la supposta disparità di trattamento si giustificherebbe per effetto della successione delle leggi nel tempo: elemento che la Corte ha sempre dichiarato inidoneo a rappresentare un profilo di censura dell'art. 3 della Costituzione. Per quanto attiene poi all'art. 41 della Costituzione la prospettazione data dal giudice a quo non infrangerebbe con la libertà di iniziativa economica, perchè le imprese classificate come commerciali in base all'art.49 della legge n. 88 del 1989 potrebbero affrontare il mercato con costi non maggiori rispetto alle stesse imprese classificate come industriali in base al regime previgente.

5. - In prossimità dell'udienza ha presentato ulteriore memoria l'I.N.P.S., con cui l'ente previdenziale, oltre a ribadire le conclusioni già illustrate nella memoria di costituzione, contesta l'eccezione di irrilevanza prospettata dall'Avvocatura dello Stato, sostenendo al contrario che la rilevanza della stessa discende automaticamente dal fatto che due imprese, che hanno iniziato l'attività l'una prima e l'altra dopo l'entrata in vigore della legge n. 88 del 1989, vengono ad essere classificate a fini contributivi e previdenziali in modo differente, con conseguente sensibile diversità di oneri contributivi.

Rileva inoltre l'Istituto che la questione dovrebbe accogliersi (se si accedesse al'interpretazione fatta propria dal giudice a quo) prescindendo dalla questione del diritto agli sgravi contributivi, in quanto la disparità di trattamento si realizza nel caso in esame in virtù di percentuali contributive differenziate, di diversi criteri per la fruizione della fiscalizzazione, nonchè di obblighi contributivi esistenti nel settore industriale e non in quello terziario.

Anche la richiesta pronuncia di infondatezza, avanzata dalla difesa erariale, dovrebbe non essere accolta, in quanto la presente ipotesi è del tutto diversa da quella di "situazioni disomogenee per ragioni temporali": allorchè infatti si debba classificare, come nel caso presente, una attività che perdura nel tempo, è pacifico che detta attività vada classificata alla stregua della normativa vigente nel tempo. Tanto premesso, ne conseguirebbe che in un "momento dato" le attività identiche che vengono svolte in quel "momento dato" non possono che essere classificate allo stesso modo da una norma, quale che sia il diverso momento in cui le identiche attività sono iniziate.

Considerato in diritto

 

1. - La questione di costituzionalità sollevata dal Pretore di Latina, sulla base delle argomentazioni sopra esposte, può così sintetizzarsi: se l'art. 49, terzo comma, della legge 9 marzo 1989, n. 88 (Ristrutturazione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), nella parte in cui, dopo aver indicato i criteri di classificazione dei datori di lavoro a tutti i fini previdenziali ed assistenziali, fa salvi gli inquadramenti già in atto nei settori dell'industria, del commercio e dell'agricoltura al momento dell'entrata in vigore della legge stessa, sia in contrasto con gli artt. 3 e 41 della Costituzione.

2. - Deve preliminarmente valutarsi l'eccezione di inammissibilità dedotta dalla difesa erariale. Rileva l'Avvocatura che l'impresa contesta dinanzi al Pretore il suo inquadramento nel settore terziario (con la qualifica di impresa commerciale), non in quanto dubita della legittimità costituzionale della corrispondente norma (primo comma dell'art.49 della legge n. 88 del 1989), ma per il motivo che altre imprese, concorrenti in quanto operanti nella stessa attività, vengono diversamente inquadrate nel settore industriale in forza della norma transitoria contenuta nel terzo comma del citato articolo. Dal che la difesa erariale deduce che la questione sollevata in ordine al citato terzo comma non avrebbe alcuna rilevanza nel processo in corso, relativo invece all'applicazione della disciplina prevista dal primo comma.

L'eccezione non può essere accolta, sia perchè la varie disposizioni contenute nei tre commi dell'art. 49 fanno tra loro sistema, tanto che l'eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale del terzo comma farebbe venir meno la lamentata disparità di trattamento, sia perchè il Pretore prospetta, insieme a quest'ultima, anche la violazione del principio di libero e paritario esercizio dell'attività economica (art.41 della Costituzione) in presenza di aziende concorrenti che verrebbero diversamente inquadrate proprio in forza della norma denunciata (terzo comma del citato art. 49). V'è in altre parole un preciso interesse dell'impresa ricorrente -che pure non contesta la legittimità dell'inquadramento riservatole dalla legge- a veder rimossa la parte della disposizione che perpetua gli inquadramenti precedenti riservati a imprese di identica natura e attività. Ne deriva conclusivamente che la questione ha indubbia rilevanza nel giudizio a quo.

3. - La questione deve tuttavia ritenersi inammissibile sotto un differente profilo.

Va premesso che se la norma impugnata fosse interpretata restrittivamente, nel senso cioé di riconoscere la validità transitoria dei soli precedenti inquadramenti stabiliti da leggi speciali o da decreti ministeriali di aggregazione, la questione di costituzionalità si svuoterebbe di contenuto, in quanto anche il giudice rimettente e la stessa parte privata riconoscono che la diversa disciplina limitata a queste due ipotesi sarebbe giustificata per l'effettiva specialità delle stesse.

Ma questa interpretazione non è prospettabile dopo che non solo lo stesso giudice a quo, ma anche le sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza n. 4837 del 1994) hanno ritenuto che l'ultrattività riconosciuta dalla norma del terzo comma dell'art. 49 va intesa nel senso onnicomprensivo, e cioé che detta disposizione ha sottratto al nuovo regime classificatorio non soltanto gli inquadramenti previsti da leggi speciali o da specifici decreti ministeriali, ma anche quelli "comunque già in atto" e quindi tutti quelli pregressi.

4. - Se allora non è possibile discostarsi da questa interpretazione della norma denunciata, occorre esaminare la sua conformità ai principi costituzionali.

La dedotta illegittimità discenderebbe, secondo il giudice rimettente, dalla considerazione che nello stesso periodo di tempo -successivo alla entrata in vigore della legge n. 88 del 1989- imprese operanti nello stesso campo di attività sarebbero qualificate diversamente, con intollerabili disparità giuridiche e di mercato non giustificate in quanto fondate sulla mera differenza relativa alla data di iscrizione, in violazione quindi degli artt. 3 e 41 della Costituzione.

A contrastare siffatta prospettazione va richiamata la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex plurimis, le sentenze n.243 del 1993; n. 95 del 1992; n. 403 del 1991) secondo cui non può dirsi irrazionale lo stabilire da parte del legislatore, nel caso di modificazione della normativa, differenziazioni temporali agevolative nell'ambito di una stessa categoria di soggetti, potendo costituire il fluire del tempo l'elemento diversificatore giustificativo.

Deve anche osservarsi in proposito che, per salvaguardare posizioni acquisite e temperare le conseguenze dell'impatto di una nuova normativa, "rientra nella discrezionalità del legislatore dettare norme transitorie intese a mantenere ferme disposizioni abrogate per situazioni precedenti alla data d'entrata in vigore della nuova legge" (ordinanza n. 419 del 1990 e sentenze n. 268 e 301 del 1988).

Senonchè questi due principi non possono avere valore assoluto, indipendentemente cioé dalla previsione di alcuni limiti e condizioni che ne precisino la portata. Occorre, invero, considerare che, nell'esercizio di questi due aspetti della discrezionalità, il legislatore, per non ricadere nell'irrazionalità e non ledere norme costituzionali, dovrebbe evitare, per un verso, che la differenziata disciplina si estenda a categorie così vaste e senza limiti di tempo -con l'effetto di realizzare non il graduale e sollecito subentro della nuova normativa, ma un notevole svuotamento del contenuto di quest'ultima, lasciando nell'ordinamento sine die una duplicità di discipline diverse e parallele per le stesse situazioni-; per altro verso, il differente trattamento delle stesse imprese per meri motivi temporali non dovrebbe essere tale da determinare effetti gravemente distorsivi sull'equilibrio dei mercati.

Nella specie, da una parte va riconosciuto che l'applicazione contestuale ed indiscriminata del nuovo sistema classificatorio nei confronti di tutte le imprese -anche di quelle con posizioni previdenziali da tempo acquisite- avrebbe potuto avere, come rilevato in questa sede dall'I.N.P.S., un notevole impatto giuridico, economico ed organizzativo per i datori di lavoro, per i dipendenti e per gli istituti previdenziali, nonchè per l'eventuale aumento del contenzioso; per cui si imponevano norme transitorie circa gli inquadramenti precedenti all'entrata in vigore della legge.

Per evitare dunque gli eccessivi effetti distorsivi e le opposte conseguenze di illegittimità costituzionale sopra indicate, l'ultima disposizione del terzo comma dell'art. 49 avrebbe dovuto stabilire un termine ragionevole per il superamento del regime transitorio, e cioé per il venir meno degli effetti ultrattivi conseguenti ai precedenti inquadramenti (tenendo conto soprattutto delle posizioni assicurative dei dipendenti) in modo da pervenire in tempi brevi ed in modo razionale alla graduale applicazione generalizzata della nuova normativa a tutte le imprese operanti nello stesso settore di attività.

Tuttavia, la determinazione di detto termine non può essere operata da questa Corte, essendo essa riservata alla scelta discrezionale del legislatore: in questi termini, la presente questione va pertanto dichiarata inammissibile. Spetta ora al legislatore stabilire, in tempi ragionevoli, un termine per il superamento del regime transitorio, con conseguente definitivo esaurimento degli effetti ultrattivi connessi alla norma in esame. Qualora il legislatore non intervenga nei tempi sopra indicati, e nell'eventualità in cui la Corte sia chiamata ad esaminare in futuro altre questioni in tale materia, essa non potrà sottrarsi- verificata la permanente vigenza della disposizione e considerato esaurito il congruo tempo connaturato alla transitorietà della disciplina- dal ritenere superate le esigenze giustificatrici della disposizione, mediante una decisione che applichi rigorosamente i precetti costituzionali sopra richiamati.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 49, terzo comma, della legge 9 marzo 1989, n. 88 (Ristrutturazione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, dal Pretore di Latina con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/10/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 07 Novembre 1994.