Ordinanza n. 419 del 1990

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ORDINANZA N.419

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 234 e 248, quarto comma, delle norme d'attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271) promosso con ordinanza emessa il 12 dicembre 1989 dal Pretore di Genova nel procedimento penale a carico di Bonelli Grazia Maria, iscritta al n. 295 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22/1a s.s. dell'anno 1990. Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell'11 luglio 1990 il Giudice relatore Renato Dell'Andro.

Ritenuto che il Pretore di Genova, con ordinanza emessa il 12 dicembre 1989 nel corso di un procedimento penale a carico di Bonelli Maria Grazia, imputata di emissione continuata di assegni a vuoto, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma e 77, primo comma, Cost., degli artt. 234 e 248, quarto comma, delle norme d'attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271);

che, in primo luogo, il giudice a quo ritiene che il citato art. 234 (con il quale sono stati abrogati gli artt. da 77 ad 80 della legge 24 novembre 1981, n. 689, relativi all'applicazione di sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato) contrasti con l'art. 77, primo comma, Cost., per avere il legislatore delegato ecceduto dalla delega conferitagli dall'art. 6 della legge di delegazione 16 febbraio 1981, n. 81, in quanto, anzichè limitarsi a dettare una disciplina di coordinamento delle nuove norme processuali con la previgente legislazione statale, avrebbe abrogato, con effetto retroattivo, norme, vigenti al momento della commissione del fatto, aventi carattere ed efficacia di diritto sostanziale e non meramente processuale;

che, in secondo luogo, a parere del Pretore di Genova, si determinerebbe anche una violazione dell'art. 25, secondo comma, Cost., poichè- avendo l'impugnato art. 248, quarto comma, previsto che le disposizioni relative all'applicazione di sanzioni sostitutive su richiesta dell'imputato a norma della legge n. 689 del 1981 continuano ad applicarsi soltanto se la richiesta medesima è stata formulata anteriormente all'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale-la disciplina sanzionatoria dettata dagli artt. 444 e seguenti del vigente codice di procedura penale (la quale, come nella specie, può produrre effetti sostanziali più sfavorevoli per l'imputato di quella prevista dalla citata norma della legge n. 689 del 1981) viene ad applicarsi anche in relazione a reati commessi anteriormente alla sua entrata in vigore;

che, infine, sempre a parere del giudice a quo, le disposizioni impugnate, in violazione del principio d'eguaglianza, determinerebbero un'ingiustificata disparità di trattamento tra chi si è potuto avvalere della facoltà di richiedere l'applicazione di sanzioni sostitutive in data anteriore al 24 ottobre 1989 e chi invece non è stato in grado d'avvalersi di tale facoltà per avere-com'è accaduto nel caso di specie-ricevuto contestazione del reato solo successivamente alla predetta data;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall' Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Considerato, quanto al preteso contrasto dell'impugnato art. 234 con l'art. 77, primo comma, Cost., che non sussiste alcun eccesso di delega in quanto le disposizioni di cui agli artt. da 77 ad 80 della legge n. 689 del 1981 hanno carattere non già di norme di diritto sostanziale bensì di norme processuali, i cui effetti di natura sostanziale hanno funzione esclusivamente strumentale rispetto alla finalità di giungere ad una rapida definizione dei processi, sollecitando la richiesta dell'imputato d'applicazione delle sanzioni sostitutive;

che, d'altra parte, anche se rispetto all'istituto del c.d. patteggiamento, disciplinato dagli artt. 77 e seguenti della legge n. 689 del 1981, il nuovo istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti di cui agli artt. 444 e seguenti del vigente codice di procedura penale presenta alcune differenze che ne sottolineano il carattere di <procedimento semplificato>, non può tuttavia dubitarsi che esso abbia completamente assorbito ed ampliato l'area d'applicazione del precedente istituto, del quale ha altresì recepito e rafforzato gli aspetti premiali;

che deve quindi ritenersi che nel nuovo sistema processuale l'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti abbia sostituito il previgente istituto del c.d. patteggiamento, tanto che sarebbe difficile, se non impossibile, configurare la contemporanea vigenza dei due istituti;

che, di conseguenza, il legislatore delegato, nel ritenere incompatibile con l'applicazione delle norme del nuovo codice di procedura penale l'ultravigenza delle norme processuali di cui agli artt. da 77 ad 80 della legge n. 689 del 1981, a prescindere dagli effetti dispiegati sul piano sostanziale, si è certamente mantenuto nei limiti della potestà di coordinamento conferitagli dall'art. 6 della legge di delegazione;

che, quanto al preteso contrasto delle disposizioni impugnate con l'art. 25, secondo comma, Cost., è giurisprudenza di questa Corte (cfr., sentenza n. 15 del 1982) che il principio dell'irretroattività della legge penale, ivi proclamato, si applica soltanto alle norme di carattere sostanziale e non anche alle norme processuali penali;

che, del resto-a parte la circostanza che l'art. 25, secondo comma, Cost., si è limitato a conferire rango costituzionale al principio dell'irretroattività della norma penale incriminatrice ed a parte il problema del valore da attribuirsi al principio dell'applicabilità della legge più favorevole al reo, di cui all'art. 2, terzo comma, del codice penale-questa Corte, nella recente sentenza n. 277 del 1990, ha osservato che si è fuori dell'ambito d'applicazione del principio di cui al terzo comma dell'art. 2 del codice penale nelle ipotesi in cui non si sia verificata una mutata valutazione sociale rispetto al fatto tipico incriminato, come accade allorchè la nuova norma processuale preveda effetti sostanziali più favorevoli per l'imputato soltanto al fine di stimolare la richiesta d'applicazione di un dato istituto processuale senza assurgere a mutata valutazione sociale, in senso favorevole al reo, del fatto oggetto del giudizio, previsto e punito dalla norma penale sostanziale;

che, quanto al preteso contrasto delle norme impugnate con l'art. 3 Cost., è insegnamento costante di questa Corte che non contrasta col principio d'eguaglianza un differenziato trattamento applicato alla stessa categoria di soggetti ma in momenti diversi nel tempo, giacchè lo stesso fluire di questo costituisce di per sè elemento differenziatore (cfr. sentenze n. 57 del 1973, n. 92 del 1975, n. 138 del 1977, nn. 65 e 138 del 1979, n. 122 del 1980, n. 38 del 1984, n. 322 del 1985, nn. 101, 158 e 618 del 1987, nn. 6, 504, 1018 e 1032 del 1988) e che in particolare rientra nella discrezionalità del legislatore dettare norme transitorie intese a mantenere ferme disposizioni abrogate per situazioni precedenti alla data d'entrata in vigore della nuova legge (cfr. sentenze nn. 268 e 301 del 1986);

che, d'altra parte, nel caso di specie, non può ritenersi che la discrezionalità del legislatore sia stata esercitata in modo irragionevole, avendo le disposizioni impugnate previsto, in via generale, un criterio atto ad assicurare la graduale sostituzione della nuova alla vecchia disciplina senza individuare particolari situazioni nell'ambito d'una medesima categoria di soggetti bensì facendo riferimento ad inevitabili fattori naturali esterni, quale l'iter temporale dei singoli procedimenti penali;

che, di conseguenza, le sollevate questioni di legittimità costituzionale vanno dichiarate manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 234 e 248, quarto comma, delle norme d'attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale (testo approvato con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271) sollevate, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 77, primo comma, Cost., dal Pretore di Genova con ordinanza del 12 dicembre 1989.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/09/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Renato DELL'ANDRO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 27/09/90.