Sentenza n.57 del 1973
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SENTENZA N. 57

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni   BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo  VOLTERRA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, secondo comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080 (Norme sulla nuova disciplina del trattamento economico dei magistrati), promosso con ordinanza emessa il 18 aprile 1972 dalla Corte dei conti - sezione III pensioni civili - sul ricorso di Della Corte Giuseppe, iscritta al n. 322 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 296 del 15 novembre 1972.

Visti gli atti di costituzione di Della Corte Giuseppe e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 4 aprile 1973 il Giudice relatore Angelo De Marco;

uditi l'avv. Gino Lanzara, per il Della Corte, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Al Presidente di sezione della Corte dei conti dott. Giuseppe Della Corte, collocato a riposo per limiti di età con decorrenza 24 febbraio 1971, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 18 novembre 1970, veniva liquidata la pensione in base allo stipendio goduto al 30 giugno 1970 e non in base a quello goduto dal 1 luglio 1970 ed alla data del collocamento a riposo, in applicazione dell'art. 4, secondo comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080.

Avverso il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di liquidazione della pensione il dott. Della Corte proponeva ricorso alla Corte dei conti sostenendo essere principio generale, corrispondente alla natura di retribuzione differita riconosciuta alla pensione dalla giurisprudenza di questa Corte, quello, in base al quale la pensione stessa deve essere liquidata sulla base dell'ultimo stipendio goduto dall'interessato e che, in conseguenza, l'art. 4 del d.P.R. n. 1080 del 1970, in quanto deroga a tale principio, viola l'art. 36, comma primo, e l'art. 3 della Costituzione.

Con ordinanza 18 aprile 1972, la Corte dei conti - sezione III giurisdizionale - riconosceva la questione di legittimità costituzionale, prospettata dal ricorrente, rilevante e non manifestamente infondata e, sospeso il giudizio di sua competenza, rimetteva gli atti a questa Corte.

Secondo l'ordinanza di rinvio:

1) la rilevanza della questione risulta evidente in quanto, solo dichiarando illegittimo costituzionalmente il denunziato art. 4 del d.P.R. n. 1080 del 1970 sarebbe possibile l'accoglimento della domanda del ricorrente di aver liquidata la pensione, con decorrenza 24 febbraio 1971, in base allo stipendio in quella data ed a decorrere dal 1 luglio 1970 goduto;

2) la non manifesta infondatezza risulterebbe:

a) in riferimento all'art. 36, comma primo, della Costituzione dalla considerazione che, in base al principio generale, riaffermato anche dall'art. 1 del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1081, la pensione deve essere liquidata sulla base dello stipendio fruito nell'ultimo giorno di servizio, il ricorrente aveva legittimamente acquisito il diritto alla liquidazione su tale base e che, in conseguenza, l'art. 4 impugnato, disconoscendo tale diritto quesito, non solo si é posto, senza razionale giustificazione, contro la legislazione ordinaria in materia, ma, data la natura di retribuzione posticipata riconosciuta alla pensione dalla giurisprudenza di questa Corte, ha palesemente violato anche il principio di proporzionalità della retribuzione alla qualità e quantità del servizio prestato, sancito dall'art. 36, primo comma, della Costituzione;

b) in riferimento all'art. 3 della Costituzione, in quanto sarebbe evidente e non razionalmente giustificata la disparità di trattamento tra personale che, pur godendo al 1 luglio 1970 lo stesso trattamento economico, a seconda della data di collocamento a riposo, ha liquidata una pensione maggiore o minore, con la conseguenza economica, non riparata dalla riliquidazione a decorrere dal 1 settembre 1971, disposta dall'art. 2 del d.P.R. n. 1081 del 1970 (dato che la riliquidazione non copre il periodo anteriore al 1 settembre 1971) che, come nel caso del ricorrente, rimane fermo, fino al 1 settembre 1971 ed a decorrere dal 24 febbraio 1971, ossia per circa sei mesi, il minore importo della liquidazione della pensione sulla base dello stipendio goduto al 30 giugno 1970.

Dopo gli adempimenti di legge, le questioni, così sollevate, vengono ora alla cognizione della Corte.

É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato che, con l'atto d'intervento, depositato il 19 novembre 1972, chiede che le prospettate questioni vengano dichiarate non fondate, deducendo al riguardo, in sostanza, quanto segue:

Il principio che la pensione debba essere liquidata sulla base dell'ultima retribuzione é innegabile, ma risulta soltanto dalla legislazione ordinaria, senza che vi sia alcun riconoscimento, sia pure indiretto, nella Costituzione.

In particolare, come risulta dalla sentenza di questa Corte n. 124 del 1968, l'applicazione al trattamento pensionistico dell'art. 36 della Costituzione, che si connette al carattere retributivo della pensione, pone al legislatore due soli limiti: che al pensionato ed alla sua famiglia sia assicurata una esistenza libera e dignitosa e che sia, in ogni caso, applicato il criterio della proporzionalità rispetto alla qualità ed alla quantità del servizio prestato.

Da questi principi non può trarsi la conseguenza che al legislatore ordinario sia inibita, nel disporre i mezzi e determinare i modi di attuazione dell'ordinamento pensionistico, la valutazione discrezionale della base sulla quale la pensione debba essere liquidata.

Con la riliquidazione della pensione, a decorrere dal 1 settembre 1971, disposta dall'art. 2 del d.P.R. n. 1081 del 1970, nei confronti di tutti coloro che siano stati collocati a riposo tra il 1 luglio 1970 ed il 31 agosto 1971, viene, poi, sanata la disparità di trattamento di tutto il personale, quale che sia la data di cessazione dal servizio e quale che sia la categoria di appartenenza.

In considerazione che i miglioramenti del trattamento economico di servizio, disposti con il decreto n. 1080, non si riflettono - per il periodo 1 luglio 1970, 31 agosto 1971 - sul trattamento pensionistico del personale cessato dal servizio nel medesimo periodo potrebbe, quindi, fare ipotizzare una disparità di trattamento soltanto tra personale in servizio e personale in pensione, ossia tra personale in posizioni obbiettivamente diverse, cui corrisponda una diversa disciplina giuridica del rispettivo trattamento.

Si é costituito il dott. Della Corte, il di cui patrocinio, con memoria depositata il 29 novembre 1972, richiamati ed illustrati i vari argomenti contenuti nell'ordinanza di rinvio, chiede che venga dichiarata la fondatezza delle questioni, con l'ordinanza stessa prospettate.

Con altra memoria depositata il 20 marzo 1973, il patrocinio della parte privata insiste nel chiedere che la questione proposta con l'ordinanza di rinvio venga accolta ed, a confutazione delle deduzioni dell'Avvocatura generale dello Stato, oppone, in sostanza, quanto segue:

1) già questa Corte, con numerose sentenze, nel riconoscere alla pensione il carattere di retribuzione differita, ha affermata la conseguente applicabilità, anche al trattamento di quiescenza, dei principi sanciti dall'art. 36 della Costituzione. A tali principi, pertanto, il legislatore deve attenersi pure allorquando, nella sua discrezionale valutazione, determina i modi ed i mezzi di attuazione dell'ordinamento pensionistico;

2) la stessa Corte dei conti ha più volte negato che vi sia violazione del principio di eguaglianza quando, in fase di riliquidazione di pensioni, non si tiene conto a vantaggio del pensionato di benefici e miglioramenti accordati al personale rimasto in servizio. Ma nella fattispecie non di riliquidazione si tratta, bensì di liquidazione che si chiede venga effettuata, non sulla base di miglioramenti sopravvenuti dopo la cessazione dal servizio, ma sulla base del trattamento economico del quale l'interessato godeva alla data del collocamento a riposo.

Considerato in diritto

1. - Come si é posto in rilievo in narrativa, viene contestata davanti a questa Corte, in riferimento agli artt. 36 e 3 della Costituzione, la legittimità dell'art. 4, comma secondo, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080, in forza del quale, ai fini dei trattamenti ordinari di quiescenza, normali e privilegiati, continuano ad essere computati gli stipendi e gli altri emolumenti pensionabili spettanti al 30 giugno 1970, fino al 31 agosto 1971.

2. - Le questioni così proposte risultano infondate sotto entrambi i profili della violazione dell'art. 36, comma primo, e dell'art. 3 della Costituzione.

Sotto il primo di tali profili deve rilevarsi:

Con le sentenze n. 105 del 1963, n. 3 del 1966, n. 78 del 1967, n. 112 del 1968, sia pure ad altri fini (conservazione del trattamento di quiescenza ai pensionati colpiti da condanna penale implicante interdizione dai pubblici uffici o da misure disciplinari), muovendo dal carattere retributivo del trattamento di quiescenza spettante in conseguenza di un rapporto di lavoro e dalla articolata protezione di cui nel vigente ordinamento costituzionale viene fatta oggetto, sul piano morale e su quello patrimoniale la retribuzione dei prestatori d'opera, questa Corte é pervenuta, in sostanza, all'affermazione dell'applicabilità dei principi sanciti dall'art. 36, comma primo, della Costituzione non solo alla retribuzione spettante in attività di servizio, ma anche a quella differita spettante dopo il collocamento in quiescenza.

Con ciò, peraltro, anche se si é pervenuti all'affermazione della intangibilità della pensione alla quale si sia acquisito il diritto ed al riconoscimento che debba essere assicurato al pensionato ed alla sua famiglia come all'impiegato in attività di servizio "un'esistenza libera e dignitosa" non si é giunti fino a stabilire criteri e limiti ai quali l'Amministrazione sia obbligata, in base alla Costituzione, ad attenersi nello stabilire come a quella assicurazione debba provvedersi.

Si é, anzi, riconosciuto che appartiene alle valutazioni del legislatore ordinario disporre i mezzi per attuare tale principio, applicando in ogni caso il criterio della proporzionalità rispetto alla qualità e quantità del lavoro prestato durante il servizio attivo.

Ed, infatti, il legislatore ordinario, pur avendo stabilito il principio che la pensione debba essere liquidata sulla base dell'ultima retribuzione conseguita in servizio attivo, ne stabilisce la misura in rapporto alla durata di tale servizio con opportune graduazioni, a seconda che gli anni di servizio attivo dal minimo necessario per acquisire il diritto al trattamento di pensione giungano al massimo (di regola 40 anni) nel qual caso, comunque, la pensione non può superare l'80 per cento dell'ultima retribuzione pensionabile conseguita.

Ma tutto questo implica, dal punto di vista della costituzionalità, soltanto l'obbligo di tener presente il principio da attuare, ma non preclude, nell'ambito di una razionale discrezionalità, il potere del legislatore di stabilire le modalità ed i criteri, anche quantitativi, della disciplina concernente la materia.

Ne consegue che specie nella ipotesi di vaste ed onerose innovazioni, come quella introdotta con i decreti nn. 1080 e 1081 del 1970, anche in relazione alle esigenze di bilancio, si adotti un criterio di gradualità nello estendere al trattamento di quiescenza le maggiorazioni accordate per quello di attività, tanto più quando questa gradualità sia mantenuta, come nella specie, in un ristretto limite di tempo.

3. - Questo criterio di gradualità, di per sé non illegittimo sul piano costituzionale, concorre a dimostrare come la dedotta violazione del principio di eguaglianza non sussista: ed infatti non é dubbio che le situazioni dei collocati a riposo sono legittimamente differenziate in riferimento alla data di cessazione dal servizio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma secondo, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1970, n. 1080: "Norme sulla nuova disciplina del trattamento economico del personale di cui alla legge 24 maggio 1951, n. 392", sollevate con l'ordinanza di cui in epigrafe, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 maggio 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE - Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA – Edoardo VOLTERRA

Arduino  SALUSTRI – Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 9 maggio 1973.