SENTENZA N. 92
ANNO 1975
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Avv. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
Dott. Michele ROSSANO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5, primo comma, della legge 3 maggio 1967, n. 315 (trattamento di quiescenza della Cassa per le pensioni ai sanitari), promosso con ordinanza emessa il 29 gennaio 1972 dalla Corte dei conti - sezione III pensioni civili - sul ricorso di De Castro Ugo contro la Direzione generale degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro, iscritta al n. 360 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 329 del 20 dicembre 1972.
Visti gli atti di costituzione di De Castro Ugo e della Direzione generale degli Istituti di previdenza;
udito nell'udienza pubblica del 5 febbraio 1975 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;
uditi l'avv. Renato Alessi, per il De Castro, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per gli Istituti di previdenza.
Ritenuto in fatto
Nei procedimenti riuniti relativi ai ricorsi proposti dal dott. Ugo De Castro avverso i provvedimenti di liquidazione della pensione emessi dal Direttore generale degli Istituti di previdenza del Ministero del tesoro, la Corte dei conti, terza sezione giurisdizionale, con ordinanza 29 gennaio 1972, ha proposto d'ufficio questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, primo comma, della legge 3 maggio 1967, n. 315, nella parte in cui non contempla che, nella serie delle retribuzioni pensionabili annue costituenti la pensione teorica degli iscritti alla Cassa per le pensioni ai sanitari, sia inclusa anche la retribuzione effettivamente corrisposta agli interessati alla data della cessazione del servizio.
Secondo il giudice a quo, la norma impugnata, che stabilisce i criteri per la determinazione della pensione teorica spettante ai sanitari alla data della cessazione dal servizio, é in contrasto con l'art. 36 della costituzione, perché la omessa valutazione, agli effetti del trattamento di quiescenza, degli emolumenti effettivamente corrisposti al sanitario alla data del collocamento a riposo, inciderebbe illegittimamente sulla retribuzione differita, in violazione del precetto costituzionale che garantisce il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato.
Inoltre, l'art. 5, primo comma, della legge n. 315 del 1967, contrasterebbe con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, non essendo giustificata la disparità di trattamento tra le categorie di dipendenti assoggettati a contribuzione a favore delle Casse pensioni amministrate dalla Direzione generale degli Istituti di previdenza. Al riguardo la Corte dei conti osserva che, diversamente dalla norma impugnata, nei confronti degli iscritti alla Cassa per le pensioni ai dipendenti degli enti locali e alla Cassa per le pensioni agli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate (amministrate anche esse dalla Direzione generale degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro), l'art. 3 della legge 26 luglio 1965, n. 965, stabilisce che debba essere valutata, ai fini del trattamento di quiescenza, la intera retribuzione annua contributiva riferita alla data di cessazione dal servizio.
L'ordinanza é stata notificata, comunicata e pubblicata ai sensi di legge.
Nel giudizio dinanzi alla Corte si sono costituiti il Ministero del tesoro - Direzione generale degli Istituti di previdenza - a mezzo della Avvocatura generale dello Stato, e il dott. De Castro, rappresentato e difeso dagli avvocati Renato Alessi e Adriano Pallottino.
La difesa dello Stato, dopo aver osservato che la misura del trattamento di quiescenza degli iscritti alle Casse di previdenza dipende in linea di principio dalla situazione tecnico finanziaria delle singole Casse, rileva che il carattere retributivo della pensione, quale compenso differito per il lavoro prestato, non comporta ai fini della determinazione del quantum il riferimento automatico alla retribuzione percepita alla data di cessazione del servizio.
Ora, prosegue l'Avvocatura, é vero che l'esigenza di adeguare il trattamento di quiescenza al livello economico della retribuzione di fine servizio ha trovato pratica attuazione in altri sistemi di pensionamento e, recentemente, anche a favore degli iscritti alla Cassa per le pensioni ai sanitari, per i quali, relativamente al personale cessato dal servizio a partire dal 1 luglio 1971, la legge 11 agosto 1972, n. 485, ha collegato il trattamento di quiescenza alla retribuzione annua riferita alla data di cessazione dal servizio; tuttavia va considerato che a tale risultato si é potuti pervenire solo in base alle risultanze dei bilanci compilati successivamente all'entrata in vigore della legge n. 315 del 1967. D'altra parte, la disposizione denunciata deve essere esaminata nella sua collocazione temporale: in questa prospettiva essa rappresenta addirittura un miglioramento della precedente disciplina, in quanto al sistema che prevedeva la dipendenza della misura delle pensioni dagli stipendi percepiti nell'intera attività di servizio, é stato sostituito il criterio di valutare i servizi resi anteriormente al 1 gennaio 1967 sulla base della retribuzione raggiunta a tale data. Alla stregua di tali considerazioni, l'Avvocatura ritiene che non sussista la dedotta violazione dell'art. 36 della Costituzione.
Anche per quanto riguarda il preteso contrasto tra la norma impugnata e il principio di eguaglianza, la difesa dello Stato esclude che la censura sia fondata, perché l'art. 5, primo comma, della legge n. 315 del 1967 contiene una norma di carattere generale, valevole quindi per tutti gli interessati. Inoltre la autonomia amministrativa delle singole Casse pensioni amministrate dalla Direzione generale degli Istituti di previdenza, non consente un raffronto tra i diversi sistemi pensionistici, perché la attuazione della tendenza di adeguare il trattamento di quiescenza al livello economico di attività, non può avvenire per tutti i dipendenti amministrati dalle singole Casse subito e contemporaneamente, ma richiede, in relazione ai diversi gruppi non omogenei di dipendenti, una opportuna diversificazione in relazione a condizioni tecnico finanziarie obbiettive e meritevoli di diversa considerazione.
Per contro, la difesa del dott. De Castro, pur rilevando che il giudizio dinanzi alla Corte dei conti avrebbe potuto essere deciso in senso favorevole al ricorrente, anche senza l'incidente di legittimità costituzionale sulla base di una corretta applicazione delle norme vigenti, osserva che, alla stregua della interpretazione data dal giudice a quo alla norma impugnata, e per le stesse considerazioni contenute nella ordinanza di rinvio, la questione proposta deve ritenersi fondata.
All'udienza di discussione le parti hanno ulteriormente il lustrate le loro deduzioni e richieste.
Considerato in diritto
1. - La legge 3 maggio 1967, n. 315, stabilisce all'art. 5 che, ai fini del calcolo dell'importo della pensione spettante ai sanitari al loro collocamento a riposo, si prende per base la successione delle retribuzioni pensionabili annue attribuite all'iscritto per ogni anno solare, a partire dalla data di inizio del servizio utile.
Il conteggio riferito all'anno solare implica (artt. 12 e 17 legge 11 aprile 1955, n. 379) che l'importo da tener presente per ogni annualità da computare é quello goduto dall'iscritto alla Cassa per le pensioni dei sanitari all'inizio di ciascun anno e cioé al 1 gennaio, con la conseguenza che, degli aumenti eventualmente concessi nel corso dell'anno, si debba tener conto, ai fini del calcolo per la pensione, solo al 1 gennaio dell'anno successivo. Questo criterio risulta temperato dalla disposizione di cui all'art. 3 della citata legge n. 315 del 1967, il quale, relativamente ai sanitari in servizio al 1 gennaio 1967, stabilisce che le annualità anteriori a quella data sono computate non sulla base delle retribuzioni percepite all'inizio di ciascun anno, ma di quanto loro dovuto al 1 gennaio 1967. La norma prevede, inoltre, l'ulteriore accorgimento di computare nel calcolo anche gli aumenti successivamente concessi ed ai quali fosse stato dato, nelle relative deliberazioni, valore retroattivo, sempre che tali aumenti derivassero però o da promozioni, o da leggi, oppure da regolamenti organici.
2. - Nel giudizio relativo al ricorso di un sanitario, collocato in pensione il 31 luglio 1969, che, con deliberazione presa il 9 giugno dello stesso anno, aveva conseguito sensibili aumenti di stipendio per effetto della maggiore anzianità riconosciutagli a seguito della unificazione dei servizi prestati anche presso altri enti ospedalieri (deliberazione adottata ai sensi dell'art. 34, secondo comma, del d.P.R. 27 maggio 1969, numero 130), la Corte dei conti, sezione III giurisdizionale (pensioni civili), ha ritenuto di sollevare, con riferimento agli articoli 36 e 3 della Costituzione, questione di costituzionalità dell'art. 5, primo comma, della legge n. 315 del 1967, "nella parte in cui non contempla che, nella serie delle retribuzioni pensionabili annue, costituenti la pensione teorica degli iscritti alla Cassa per le pensioni ai sanitari, sia inclusa anche la retribuzione effettivamente corrisposta agli interessati alla data della cessazione del servizio".
3. - Secondo l'ordinanza di rimessione, l'art. 5 impugnato, spostando, ai fini pensionistici, al 1 gennaio dell'anno successivo l'efficacia di miglioramenti economici concessi nel corso dell'anno precedente, violerebbe innanzi tutto l'art. 36 della Costituzione. Argomenta in proposito il giudice a quo che la pensione, la cui natura di retribuzione differita é stata costantemente affermata da questa Corte, non potrebbe ritenersi proporzionata alla quantità e qualità del lavoro fornito dal sanitario qualora non fosse computata anche con riferimento all'ammontare della retribuzione effettivamente corrisposta alla data di cessazione dal servizio.
Ma la questione non é fondata.
Come esattamente osserva la difesa dello Stato, l'affermazione circa il carattere retributivo riconosciuto alla pensione quale compenso differito per il lavoro prestato, non comporta, ai fini della determinazione del quantum, che il calcolo debba sempre farsi con riferimento, in tutto o in parte, all'importo della retribuzione percepita a quella data, ma esprime solo l'esigenza di un graduale adeguamento del trattamento di quiescenza al livello economico di attività.
Al riguardo é da osservare innanzi tutto che la legge n. 315 del 1967 non ha affatto ignorato tale esigenza, allorché, in un sistema pensionistico sostanzialmente fondato sulla media dei valori delle retribuzioni e delle contribuzioni annue riferiti all'intero periodo di servizio, ha introdotto adeguati correttivi, come quello di assumere quale dato fisso per ciascuno degli anni anteriori al 1967,l'ammontare dello stipendio e del contributo di quell'anno, o quello di tener conto di aumenti successivi cui fosse stato dato dagli organi competenti effetto retroattivo, nei casi contemplati dalla legge.
Né, ai fini della risoluzione della questione, può avere alcuna rilevanza il dato di fatto che, nel giudizio a quo, il ricorrente non potesse far risalire gli effetti della deliberazione concessiva degli aumenti a data anteriore a quella (8 maggio 1969) dell'entrata in vigore del d.P.R. 27 maggio 1969, n. 130, che li aveva autorizzati e che era posteriore alla data (1 gennaio 1969) per lui utile ai fini del computo della pensione.
In termini più generali, va poi considerato che l'esigenza di avvicinare l'ammontare del trattamento di quiescenza a quello del servizio attivo, implicante un giudizio di merito che é, per altro, prerogativa del Parlamento, va trovando pratica attuazione, secondo le possibilità della pubblica finanza, ed in rapporto anche alle disponibilità dei singoli Istituti e Casse autonome nelle quali si strutturano i vari settori della pubblica azione previdenziale. Così, per i dipendenti dello Stato, é stata raggiunta la base pensionabile dell'80% della retribuzione di fine servizio, per gli iscritti all'INPS, quella del migliore triennio, mentre per gli iscritti alla Cassa per le pensioni ai dipendenti degli enti locali e a quella degli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate, il riferimento, con effetto dal 1 luglio 1965, é collegato all'ammontare dell'ultimo stipendio percepito.
Il che, con la legge 11 agosto 1972, n. 485, é stato poi disposto anche per gli iscritti alla Cassa pensione dei sanitari, ma a vantaggio del solo personale collocato a riposo dal 1 luglio 1971. Di tale disposizione non possono pertanto beneficiare coloro che sono stati collocati in pensione anteriormente a quella data, tra essi compreso anche il sanitario ricorrente nel giudizio che ha dato luogo alla dedotta questione di costituzionalità.
4. - Questa varietà di strutturazione del sistema pensionistico tra i vari organismi previdenziali e le relative modificazioni nel tempo offrono all'ordinanza di rimessione argomento per una ulteriore censura di incostituzionalità dello stesso art. 5, con riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione. La differenza di trattamento che ovviamente discende dalla varietà di regolamentazione esistente anche in rapporto alle varie Casse amministrate dallo stesso Ministero del tesoro, violerebbe il principio di eguaglianza.
Ma nemmeno sotto questo profilo la questione può ritenersi fondata.
Le anzidette Casse pensioni hanno in comune solo l'organo che le amministra, ma sono fra di loro distinte ed autonome, ciascuna con un proprio bilancio, in cui le entrate, rappresentate dai contributi, e le spese, costituite dalle erogazioni per pagamento pensioni, variano da cassa a cassa, in rapporto al vario ammontare delle retribuzioni, su cui gravano differenziati oneri contributivi. Ne consegue che il diverso trattamento pensionistico fra gli iscritti alle varie casse, trovando giustificazione nelle diversità della strutturazione di esse fondata sulla differenza di base esistente fra le varie categorie di iscritti, non può dar luogo a censure sul rispetto del principio di eguaglianza, il quale può ritenersi violato solo quando un trattamento differenziato é applicato a situazioni che abbiano caratteristiche identiche o almeno analoghe.
Né può contrastare il principio di eguaglianza un differenziato trattamento applicato alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, perché lo stesso fluire di questo costituisce di per sé un elemento diversificatore in rapporto a situazioni concernenti sia gli stessi soggetti come gli altri componenti dell'aggregato sociale.
Il che é stato dalla Corte affermato proprio in tema di trattamento di quiescenza, allorché (sent. n. 57 del 1973) ha ritenuto che le situazioni dei collocati a riposo sono legittimamente differenziate in riferimento alla data di cessazione dal servizio.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, primo comma, della legge 3 maggio 1967, numero 315 (trattamento di quiescenza della Cassa per le pensioni ai sanitari); questione proposta, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 36 e 3, comma primo, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 aprile 1975.
Francesco Paolo BONIFACIO – Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 29 aprile 1975.