Sentenza n.322 del 1985

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 322

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7 della legge 29 aprile 1976, n. 177 ("Collegamento delle pensioni del settore pubblico alla dinamica delle retribuzioni. Miglioramento del trattamento di quiescenza del personale statale e degli iscritti alle casse pensioni degli istituti di previdenza"), indicata per evidente errore materiale, come "legge 26 aprile 1976, n. 176", promosso con ordinanza emessa il 16 novembre 1977 dal Pretore di Pescara nel procedimento civile vertente tra Tinaro Antonio c/E.N.P.A.S., iscritta al n. 268 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 243 dell'anno 1978.

Visto l'atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 22 ottobre 1985 il Giudice relatore Alberto Malagugini;

udito l'Avvocato dello Stato Franco Chiarotti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ricorso depositato presso la cancelleria della Pretura di Pescara in data 26 luglio 1977, il sig. Antonio Tinaro nella sua qualità - recita l'ordinanza di rimessione - "di coniuge superstite della signora Rachele Orsatti, insegnante elementare di ruolo presso la locale scuola di via Regina Elena (terzo circolo), cessata dal servizio, in seguito a morte avvenuta il 27 ottobre 1975, con i diritti e i benefici della legge 336/70 e succ. mod.", ha convenuto innanzi al Pretore di Pescara "l'Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza dipendenti Enti Statali (ENPAS) - Fondo di previdenza per il personale civile e militare dello Stato - per ottenerne la condanna a corrispondergli l'indennità di buonuscita a norma dell'art. 7, quarto comma, della legge 26 aprile 1976, n. 176" (rectius: l. 29 aprile 1976, n. 177) "che ha modificato il primo comma dell'art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1032, sollevando questione di legittimità costituzionale dell'ultimo comma di detto art. 7, che limita la retroattività della nuova normativa alle cessazioni dal servizio con decorrenza dal 1 gennaio 1976 e successive, per violazione degli artt. 3, 3 e 36, 3 e 29 della Costituzione".

Il Pretore rilevava la manifesta infondatezza "del dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 7, quarto comma, della legge 26 aprile 1976, n. 176", (rectius: l. 29 aprile 1976, n. 177) "con riferimento al combinato disposto degli artt. 3, 29 e 36 della Costituzione per le ragioni affermate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 82 del 19 giugno 1979".

Riteneva invece non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale afferente all'ult. comma del detto art. 7, della l. 26 aprile 1976, n. 176 (rectius: l. 29 aprile 1976, n. 177), nella parte in cui esso, modificando in melius (per i beneficiari della nuova normativa) il disposto dell'art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, limitava la propria efficacia retroattiva al 1 gennaio 1976, ingenerando così disparità di trattamento - violativa dell'art. 3 Cost. - tra situazioni identiche o analoghe, distinte in virtù di una (si assume, irragionevole) mera demarcazione temporale.

Con atto presentato presso la Cancelleria di questa Corte in data 16 settembre 1978 interveniva in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, assistito dall'Avvocatura generale dello Stato, che sosteneva la piena legittimità di una demarcazione temporale nella produzione degli effetti della legge impugnata, anche in funzione della opportuna gradualità dell'estensione delle garanzie pubbliche di protezione sociale.

Non si sono costituite parti private.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'art. 7 della legge 29 aprile 1976, n. 177 (indicata nell'ordinanza di rimessione per evidente errore materiale, come "legge 26 aprile 1976, n. 176") ha sostituito il primo comma sia dell'art. 3 che dell'art. 5 del d.P.R. n. 1032 del 1973.

Mentre l'art. 3, primo comma, del d.P.R. n. 1032/1973 attribuiva l'indennità di buonuscita, purché il servizio fosse durato almeno un biennio compiuto, al dipendente statale che fosse cessato dal servizio stesso con diritto alla pensione, anche se successivamente riconosciuta, normale e privilegiata, il testo sostitutivo riconosce tale diritto all'iscritto al Fondo di previdenza per il personale civile e militare dello Stato, gestito dall'Ente Nazionale previdenza e assistenza per i dipendenti statali, che cessi dal servizio per qualunque causa dopo almeno un anno di iscrizione al Fondo.

A sua volta, l'art. 5, primo comma, del d.P.R. in esame stabiliva che in caso di morte del dipendente statale in attività di servizio, l'indennità di buonuscita, nella misura che sarebbe spettata al dipendente, compete nell'ordine al coniuge superstite e agli orfani, ai genitori, ai fratelli e sorelle, che conseguano il diritto alla pensione di riversibilità.

Il testo sostitutivo del precitato art. 7, quarto comma, della legge n. 177/1976 recita, invece, che in caso di morte del dipendente statale in attività di servizio, l'indennità di buonuscita, nella misura che sarebbe spettata al dipendente, compete, nell'ordine, al coniuge superstite e agli orfani, ai genitori, ai fratelli e sorelle.

Il quinto comma del medesimo art. 7 statuisce, infine, che "le disposizioni di cui al presente articolo si applicano per le cessazioni dal servizio con decorrenza dal 1 gennaio 1976 e successive".

2. - In presenza di questa normativa che modifica i presupposti ed i requisiti per conseguire da parte del dipendente statale cessato dal servizio e dei suoi familiari superstiti il diritto all'indennità di buona uscita, il Pretore di Pescara dubita che "la demarcazione temporale - retroattività limitata al 1 gennaio 1976 -", stabilita dall'ultimo comma del succitato art. 7 della legge n. 177 del 1976, contrasti con l'art. 3 Cost.. Ciò perché il legislatore, così disponendo, avrebbe travalicato il "generalissimo limite di ragionevolezza" cui sarebbe tenuto, introducendo "rispetto a situazioni identiche o semplicemente analoghe, trattamenti differenziali".

3. - L'infondatezza della proposta questione risulta di piana evidenza sol che si consideri come il giudice remittente censuri, per usare parole sue, la "demarcazione temporale" adottata dal legislatore, vale a dire la fissazione di un termine a partire dal quale si applicano, retroattivamente, alcune delle disposizioni contenute nel testo normativo in esame. In altre parole, il Pretore di Pescara non contesta che rientri nella discrezionalità del legislatore l'attribuire efficacia retroattiva a leggi od a disposti di legge, ovviamente in materia diversa da quella penale, ma dubita, invece, della legittimità costituzionale della specifica determinazione della data a far tempo dalla quale si applicano talune disposizioni della legge, per questo solo aspetto denunziata.

É allora agevole rilevare che una siffatta "demarcazione temporale" é connaturale alla generalità delle leggi, sì che, secondo la prospettazione del Pretore di Pescara, potrebbe dubitarsi della legittimità costituzionale di ciascuna di esse perché la data di entrata in vigore, fissata dal legislatore secondo la specifica previsione costituzionale (art. 73, ultimo comma, Cost.), discrimina tra situazioni identiche o semplicemente analoghe in ragione del mero dato cronologico che, all'evidenza, il rimettente considera estraneo alle situazioni considerate e poste a raffronto. Infatti, che il legislatore, nel caso in esame, abbia attribuito una limitata efficacia retroattiva alle disposizioni sopra riferite non muta i termini sostanziali in cui é stata posta la questione concernente sempre e soltanto la legittimità costituzionale della norma che determina la data dalla quale si applicano alcune disposizioni, più favorevoli, contenute nella legge de qua.

Vero é che il legislatore ha agito nell'ambito della propria discrezionalità e senza incorrere in arbitrio di sorta, quando ha fissato un termine per l'applicabilità di disposizioni che, comportando maggiori oneri per l'ente previdenziale (e cioé in definitiva per la finanza pubblica), presuppongono un giudizio di compatibilità soltanto ad esso spettante.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, ultimo comma, della legge 29 aprile 1976, n. 177, sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost. dal Pretore di Pescara con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 1985.

Livio PALADIN - Alberto MALAGUGINI

Depositata in cancelleria l'11 dicembre 1985.