SENTENZA N. 304
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA Presidente
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 14 della legge della Regione Campania 15 marzo 1984, n. 11 (Norme per la prevenzione, cura e riabilitazione degli handicaps e per l'inserimento nella vita sociale), dell'articolo unico della legge della Regione Campania 8 marzo 1985, n. 12 (Autorizzazione ai cittadini residenti nella Regione Campania per cure presso case di cura non convenzionate operanti sul territorio nazionale), degli artt. 1, 2, 5 e 6, primo comma, della legge della Regione Campania 27 ottobre 1978, n. 46 (Autorizzazione ai cittadini residenti nella Regione Campania per cure presso strutture ospedaliere site in Paesi non regolamentati da accordi C.E.E. con lo Stato italiano) e dell'art. 7, primo comma, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), promosso con ordinanza emessa il 5 maggio 1993 dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania sul ricorso proposto da Mazzone Osvaldo contro la U.S.L. n. 4 di Avellino ed altra, iscritta al n. 701 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1993.
Visto l'atto di intervento del Presidente della Regione Campania;
udito nella camera di consiglio del 27 aprile 1994 il Giudice relatore Antonio Baldassarre.
Ritenuto in fatto
1.- Il giudizio di legittimità costituzionale sottoposto a questa Corte con l'ordinanza indicata in epigrafe proviene dal Tribunale amministrativo regionale della Campania, al quale si era rivolto il Signor Osvaldo Mazzone per ottenere dalla Unità sanitaria locale competente il rimborso delle spese o, quantomeno, un contributo per far fronte ai costi sostenuti dal ricorrente a seguito del ricovero della propria figlia, affetta da sclerosi a placche, presso un centro di riabilitazione non convenzionato con il servizio sanitario nazionale. Più precisamente, il giudice rimettente, in riferimento agli artt. 2, 3, 32, 97 e 117 della Costituzione, dubita della legittimità costituzionale dell'art. 14 della legge della Regione Campania 15 marzo 1984, n. 11 (Norme per la prevenzione, cura e riabilitazione degli handicaps e per l'inserimento nella vita sociale), dell'articolo unico della legge della stessa Regione 8 marzo 1985, n. 12 (Autorizzazione ai cittadini residenti nella Regione Campania per cure presso case di cura non convenzionate operanti sul territorio nazionale), degli artt. 1, 2, 5 e 6, primo comma, della legge della medesima Regione 27 ottobre 1978, n. 46 (Autorizzazione ai cittadini residenti nella Regione Campania per cure presso strutture ospedaliere site in Paesi non regolamentati da accordi C.E.E. con lo Stato italiano) e dell'art. 7 della legge statale 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate).
Il giudice a quo premette che l'art. 14 della legge regionale n.11 del 1984 prevede, in materia di riabilitazione, la possibilità di ricorrere a strutture esterne soltanto per consulenze sul programma terapeutico- riabilitativo e per interventi specifici sul paziente, con esplicita esclusione delle prestazioni curative con carattere di continuità e prolungate nel tempo, anche se si riferiscono, come nel caso, a una grave patologia la cui cura non è peraltro caratterizzata da assoluta urgenza. Nello stesso tempo, l'articolo unico della legge regionale n. 12 del 1985 e gli artt. 1, 2, 5 e 6, primo comma, della legge regionale n.46 del 1978 prevedono la possibilità di rivolgersi a strutture non convenzionate ed operanti nel territorio nazionale, ma limitano tale possibilità soltanto alle cure mediche e chirurgiche. Secondo il tribunale rimettente, il citato art. 14, nella parte in cui prevede l'esclusione dell'assistenza in diretta per le prestazioni curative con carattere di continuità e prolungate nel tempo, e le altre disposizioni di legge regionale prima ricordate, nella parte in cui limitano il ricorso a strutture esterne al servizio nazionale soltanto alle cure mediche e chirurgiche, con esclusione di quelle riabilitative, contrasterebbero con l'art. 117 della Costituzione, per violazione del principio fondamentale della materia contenuto nell'art. 3 della legge statale 23 ottobre 1985, n. 595 (Norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario triennale 1986-1988).
Quest'ultimo articolo, infatti, nell'affermare che di norma le prestazioni sanitarie debbono essere erogate in forma diretta, demanda alle leggi regionali di stabilire quali prestazioni possano essere erogate in forma indiretta in relazione ai casi in cui sia impossibile per il servizio nazionale e per le strutture convenzionate erogarle in modo tempestivo e nei limiti della spesa prevista per le cure erogate presso strutture convenzionate.
Oltre agli articoli di legge regionale prima indicati, il giudice a quo contesta la legittimità costituzionale dell'art. 7, primo comma, della legge statale 5 febbraio 1992, n. 104, nella parte in cui non prevede l'eseguibilità degli interventi di cura e di riabilitazione anche presso strutture non convenzionate, quando le strutture pubbliche e quelle convenzionate siano nell'impossibilità di assicurare tempestivamente prestazioni indispensabili per la tutela della salute.
L'insieme delle norme legislative contestate contrasterebbe, in primo luogo, con l'art. 32 della Costituzione, il quale, pur garantendo con norma programmatica il diritto alla salute come diritto condizionato dall'attuazione che il legislatore ne dà attraverso il bilanciamento con altri interessi costituzionali (inclusi quelli inerenti all'equilibrio del bilancio), risulterebbe in ogni caso violato quando, come nel caso, le leggi escluderebbero in assoluto le prestazioni riabilitative.
In secondo luogo, le stesse norme contestate si porrebbero in contrasto con gli artt. 2 e 3 della Costituzione, dal momento che l'esclusione dall'assistenza indiretta delle prestazioni riabilitative comporterebbe, oltrechè la violazione degli inderogabili doveri di solidarietà economica e sociale, un'ingiusta ed irragionevole discriminazione in danno delle persone più deboli e vulnerabili a causa della propria invalidità. In particolare, l'irragionevolezza dell'art.14 della legge regionale n. 11 del 1984, nella parte contestata, risulterebbe evidente allorchè condiziona l'esclusione dall'assistenza indiretta al mero ed estrinseco presupposto del carattere continuativo e prolungato nel tempo delle prestazioni.
Secondo il giudice a quo, anche l'art. 7 della legge statale n. 104 del 1992 appare irragionevole, laddove esclude il ricorso a strutture esterne o non convenzionate, tanto più ove si raccordi tale previsione con il successivo art. 11 della stessa legge, il quale consente alle persone handicappate l'assistenza in forma indiretta presso centri di altissima specializzazione all'estero. La stessa norma contenuta nell'art. 7 appena citato violerebbe, poi, l'art. 97 della Costituzione sotto il profilo del principio di buon andamento della pubblica amministrazione, poichè costringerebbe il servizio sanitario ad assicurare in via diretta le prestazioni riabilitative anche nel caso in cui sarebbe più conveniente lasciare agli utenti l'opportunità di avvalersi dell'iniziativa privata senza maggiori oneri per lo Stato.
2.- É intervenuta in giudizio la Regione Campania, la quale, premesso che l'art. 3 della legge statale n. 595 del 1985 demanda alla legge regionale la disciplina delle prestazioni sanitarie erogabili in forma indiretta, chiede che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili, poichè, in sostanza, il giudice rimettente domanderebbe alla Corte una sentenza additiva in un'ipotesi in cui manca la possibilità di una soluzione unica. In ogni caso, precisa la Regione, le questioni sarebbero anche infondate, dal momento che, nel loro complesso, presupporrebbero una nozione di diritto alla salute contrastante con il consolidato orientamento della Corte costituzionale, per il quale il diritto del cittadino a ottenere trattamenti sanitari è condizionato alle determinazioni del legislatore circa i tempi, gli strumenti e i modi di attuazione.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale amministrativo regionale della Campania solleva, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale nei confronti dei seguenti articoli di legge: a) l'art. 14 della legge della Regione Campania 15 marzo 1984, n. 11 (Norme per la prevenzione, cura e riabilitazione degli handicaps e per l'inserimento nella vita sociale), nella parte in cui prevede l'esclusione dall'assistenza indiretta delle prestazioni sanitarie con caratteri di continuità e prolungate nel tempo; b) l'articolo unico della legge della Regione Campania 8 marzo 1985, n. 12 (Autorizzazione ai cittadini residenti nella Regione Campania per cure presso case di cura non convenzionate operanti sul territorio nazionale) e gli artt. 1, 2, 5 e 6, primo comma, della legge della Regione Campania 27 ottobre 1978, n. 46 (Autorizzazione ai cittadini residenti nella Regione Campania per cure presso strutture ospedaliere site in Paesi non regolamentati da accordi C.E.E. con lo Stato italiano), nella parte in cui, limitando il ricorso a strutture esterne al servizio sanitario soltanto riguardo alle cure mediche e chirurgiche, escludono la medesima possibilità per le prestazioni di riabilitazione;c) l'art. 7 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), nella parte in cui non prevede l'eseguibilità degli interventi di cura e di riabilitazione anche presso strutture private non convenzionate quando le strutture pubbliche o convenzionate siano nell'impossibilità di assicurare tempestivamente prestazioni di carattere indispensabile per la tutela della salute.
Quest'ultimo articolo, inoltre, è ritenuto di dubbia compatibilità con gli artt. 3 e 97 della Costituzione. Sotto il primo profilo, il giudice a quo prospetta un'irragionevole disparità di trattamento con la fattispecie regolata dall'art. 11 della stessa legge n. 104 del 1992, che consente l'assistenza indiretta per cure presso centri di altissima specializzazione, mentre la norma contestata escluderebbe le prestazioni riabilitative da qualsiasi forma di assistenza indiretta. Sotto il secondo profilo, lo stesso giudice ritiene violato il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, poichè l'impugnato art. 7 costringerebbe il servizio pubblico a erogare prestazioni riabilitative anche nei casi in cui sarebbe più conveniente lasciare agli utenti l'opportunità di avvalersi dell'iniziativa privata senza maggiori oneri per lo Stato.
Infine, le norme di legge regionali indicate sopra alle lettere a) e b) sono sospettate d'illegittimità costituzionale per violazione dell'art. 117 della Costituzione, poichè appaiono al giudice a quo in contrasto con il principio fondamentale della materia contenuto nell'art. 3 della legge 23 ottobre 1985, n. 595 (Norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario triennale 1986-1988), secondo il quale le leggi regionali debbono determinare le prestazioni da erogare eccezionalmente in forma indiretta, allorchè sia impossibile per le strutture pubbliche e per quelle convenzionate erogare in modo tempestivo prestazioni indispensabili per la tutela della salute.
2.- Tutte le questioni sollevate non sono fondate.
Questa Corte ha ripetutamente affermato - e il giudice a quo non contesta affatto tale affermazione - che, nell'ambito della tutela costituzionale accordata al "diritto alla salute" dall'art. 32 della Costituzione, il diritto a trattamenti sani tari "è garantito a ogni persona come un diritto costituzionale condizionato dall'attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento dell'interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento" (v. sent. n. 455 del 1990; v. anche sentt. nn. 218 del 1994, 247 del 1992, 40 del 1991, 1011 del 1988, 212 del 1983, 175 del 1982). Ciò comporta, come questa Corte ha precisato nelle decisioni appena menzionate, che, al pari di ogni altro diritto costituzionale a prestazioni positive, il diritto a trattamenti sanitari, essendo basato su norme programmatiche che impongono al legislatore un obbligo costituzionale all'attuazione della tutela della salute, diviene per il cittadino "pieno e incondizionato" nei limiti in cui lo stesso legislatore, attraverso una non irragionevole opera di bilanciamento fra i valori costituzionali e di commisurazione degli obiettivi conseguentemente determinati alle risorse esistenti, predisponga adeguate possibilità di fruizione delle prestazioni sanitarie.
Analizzando l'attuazione che il legislatore ha conferito al diritto costituzionale all'assistenza sanitaria, occorre precisare, innanzitutto, che, ai sensi dell'art. 19 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), le prestazioni riabilitative sono considerate prestazioni sanitarie a tutti gli effetti e che, in base all'art. 26 della medesima legge n. 833 del 1978, le stesse prestazioni sono erogate dalle unità sanitarie locali attraverso i propri servizi ovvero, quando queste non siano in grado di fornire direttamente le prestazioni, da istituti convenzionati con le predette unità sanitarie, i quali operino nella regione in cui abita l'utente o anche in altre regioni. Il quadro legislativo rilevante ai fini della decisione in esame è, poi, completato dall'art. 25, ultimo comma, della legge n. 833 del 1978, il quale demandava alle Regioni di stabilire, per le sole prestazioni di cura, "i casi nei quali potranno essere consentite forme straordinarie di assistenza indiretta", e dall'art. 3 della legge n.595 del 1985, il quale dispone che "le prestazioni sanitarie sono erogate, di norma, in forma diretta attraverso le strutture pubbliche o convenzionate" e, inoltre, prevede che "le leggi regionali e provinciali stabiliscono quali tra dette prestazioni possono essere erogate anche in forma indiretta, nel caso in cui le strutture pubbliche o convenzionate siano nella impossibilità di erogarle tempestivamente in forma diretta", rinviando alle medesime leggi per la determinazione delle modalità di accesso a tali prestazioni e del concorso dell'utente alla spesa sostenuta (fermo restando il limite massimo di questo concorso pari all'ammontare della tariffa prevista per la medesima prestazione dalle convenzioni vigenti).
3.- La Regione Campania, nell'esercizio delle proprie competenze in materia, ha dettato il complesso di disposizioni, della cui legittimità costituzionale dubita il giudice a quo.
In particolare, nell'individuare le prestazioni erogabili anche in forma indiretta, l'art. 14 della legge regionale n.11 del 1984 consente che le strutture sanitarie regionali possano autorizzare il ricorso a strutture esterne altamente qualificate limitatamente alle consulenze sul programma terapeutico-riabilitativo e ad interventi specifici sul paziente, con esclusione delle prestazioni curative con carattere di continuità e prolungate nel tempo.
Con le altre norme impugnate, poi, il legislatore della Regione Campania ha previsto la medesima autorizzazione anche per le cure mediche e chirurgiche prestate presso le strutture ospedaliere e case di cura non specificamente convenzionate operanti sul territorio nazionale (articolo unico della legge n. 12 del 1985) e ha, inoltre, stabilito che i cittadini residenti nella Regione aventi titolo all'assistenza ospedaliera, in casi di comprovata necessità, possono essere autorizzati dalla Giunta regionale a recarsi presso strutture ospedaliere site in Stati ove non vigono accordi della Comunità Europea al fine di sottoporsi a cure mediche e chirurgiche (artt. 1, 2, 5 e 6 della legge n. 46 del 1978).
Questo complesso di norme regionali, che, in alcuni casi, escludono le prestazioni riabilitative da quelle erogabili in forma indiretta e, in altri casi, ne limitano la fruizione a consulenze sul programma terapeutico od a interventi specifici non aventi carattere di continuità o prolungati nel tempo, non sono in contrasto con l'art. 117 della Costituzione sotto il profilo della presunta violazione del principio fondamentale posto dall'art. 25 della legge n. 833 del 1978 e di quello successivamente affermato dall'art. 3 della legge n. 595 del 1985. Infatti, a differenza di quanto suppone il giudice rimettente, quest'ultimo articolo non impone affatto che tutte le prestazioni sanitarie, incluse quelle riabilitative, debbano essere ammesse a forme di assistenza indiretta, nè impone che le medesime prestazioni siano ammesse allo stesso regime in un'identica misura, ma demanda al legislatore regionale (o provinciale) di stabilire "quali fra (le) dette prestazioni" possono essere erogate in forma indiretta, nel caso in cui le strutture pubbliche o quelle convenzionate siano nell'impossibilità di erogarle tempestivamente in forma diretta. Nell'esercizio della indicata potestà, spetta ovviamente allo stesso legislatore regionale fissare i limiti entro i quali includere le prestazioni riabilitative fra quelle ammesse all'assistenza indiretta, limiti la cui determinazione discrezionale è soggetta allo scrutinio di ragionevolezza da parte di questa Corte in riferimento all'esigenza costituzionale di tutela del diritto alla salute, garantito a ogni cittadino dall'art. 32 della Costituzione, compatibilmente con la protezione da accordare agli altri valori costituzionali rilevanti.
4.- Anche sotto il profilo da ultimo menzionato risultano, tuttavia, non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice a quo tanto in relazione alle norme di legge regionale citate nel punto precedente, quanto in relazione all'art. 7 della legge n. 104 del 1992.
Innanzitutto, occorre rilevare che il giudice rimettente muove da una premessa interpretativa errata allorchè presume che l'insieme delle norme legislative oggetto di contestazione non prevedano la possibilità di ricorso a strutture esterne al servizio sanitario e alle case di cura convenzionate in relazione a prestazioni di riabilitazione. In realtà, come si è già avuto modo di ricordare, l'art. 14 della legge della Regione Campania n. 11 del 1984 consente il predetto ricorso sia riguardo a consulenze sul programma terapeutico- riabilitativo, sia riguardo a interventi specifici, con esclusione delle prestazioni aventi carattere di continuità e prolungate nel tempo. Pertanto, risulta non fondata la censura che il giudice a quo ha ritenuto di proporre in riferimento all'art. 32 della Costituzione, sulla base dell'argomentazione che la totale esclusione delle prestazioni riabilitative dal novero di quelle ammesse all'assistenza in forma indiretta costituirebbe una violazione dell'obbligo costituzionale gravante sul legislatore di dare attuazione al "diritto condizionato" a trattamenti sanitari a favore delle persone disabili.
Tale dichiarazione di non fondatezza assorbe altresì le censure proposte dal giudice a quo in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione - concernenti, rispettivamente, la pretesa violazione degli inderogabili doveri di solidarietà economica e sociale e l'asserita disparità di trattamento a danno delle persone disabili -, dal momento che l'una e l'altra muovono dalla medesima premessa interpretativa riconosciuta come errata.
5.- Resta, invece, da esaminare la questione attinente alla pretesa irragionevolezza della esclusione dall'assistenza in forma indiretta delle prestazioni sanitarie aventi carattere di continuità e prolungate nel tempo, contenuta nell'art. 14 della legge della Regione Campania n. 11 del 1984. In realtà, una volta che la legislazione assicuri le prestazioni sanitarie indispensabili e indifferibili ovvero ammetta, riguardo alle prestazioni riabilitative, il ricorso a strutture esterne per consulenze sul programma terapeutico- riabilitativo o per interventi specifici autorizzati dalla competente unità sanitaria, non è manifestamente irragionevole l'esclusione delle prestazioni continuative e prolungate nel tempo, tenuto conto del rilevante onere finanziario connesso alla fruizione di queste ultime prestazioni presso strutture esterne al servizio sanitario, non convenzionate con quest'ultimo, e alla contestuale possibilità di poter fruire delle medesime prestazioni presso le strutture del servizio sanitario nazionale o quelle convenzionate.
Come si è precedentemente ricordato, questa Corte ha ripetutamente affermato che nel bilanciamento dei valori costituzionali che il legislatore deve compiere al fine di dare attuazione al "diritto ai trattamenti sanitari" (art. 32 della Costituzione) entra anche la considerazione delle esigenze relative all'equilibrio della finanza pubblica. Non v'è dubbio che, se queste ultime esigenze, nel bilanciamento dei valori costituzionali operato dal legislatore, avessero un peso assolutamente preponderante, tale da comprimere il nucleo essenziale del diritto alla salute connesso all'inviolabile dignità della persona umana, ci si troverebbe di fronte a un esercizio macroscopicamente irragionevole della discrezionalità legislativa. Ma, se si considera la norma contestata nell'ambito del complessivo ordinamento legislativo, si deve ritenere che così non è, dal momento che, nel caso in cui la disabilità dovesse comportare esigenze terapeutiche indifferibili (caso che, a detta del giudice a quo, non corrisponde a quello sottoposto al suo esame), il nucleo essenziale del diritto alla salute sarebbe salvaguardato da quelle disposizioni di legge (v. art. 3 della legge n. 595 del 1985 nonchè le norme regionali di attuazione) che legittimano il ricorso a forme di assistenza indiretta, anche all'estero, nelle ipotesi in cui le strutture del servizio sanitario, incluse quelle convenzionate, non fossero in grado di assicurare un tempestivo intervento sanitario, reso indifferibile dalle con dizioni di salute della persona bisognosa di prestazioni riabilitative.
Nè, sempre al fine di negare la fondatezza delle censure relative alla presunta irragionevolezza della esclusione contestata, è inutile ricordare che l'ordinamento legislativo consente alle persone disabili il ricorso a cure di altissima specializzazione presso strutture esterne al servizio sanitario e alle strutture convenzionate (v. art. 11 della legge n. 104 del 1992) e garantisce alle medesime, nel caso in cui all'esigenza di prestazioni riabilitative si accompagni uno stato d'invalidità grave, forme particolari di intervento e di sostegno economico (v., ad esempio, le leggi 30 marzo 1971, n. 118 e 11 febbraio 1980, n. 18).
6.- Da ultimo, non può riconoscersi alcun fondamento alla asserita irragionevole disparità di trattamento che il giudice a quo individua fra l'art. 7 della legge n. 104 del 1992, nella parte in cui limita gli interventi riabilitativi alle prestazioni erogate dal servizio sanitario nazionale tramite le strutture proprie o convenzionate, e l'art. 11 della stessa legge, che, come si è già ricordato, garantisce alle persone disabili cure di altissima specializzazione presso strutture esterne al servizio stesso. Le due situazioni poste a confronto, infatti, non sono omogenee e non possono, quindi, essere utilmente comparate, dal momento che gli interessi sottostanti alle prestazioni aventi carattere di continuità e prolungate nel tempo sono sostanzialmente diversi da quelli connessi alle prestazioni non ottenibili nel nostro Paese tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico (v. art. 3, quinto comma, della legge n. 595 del 1985, come attuato dal decreto del Ministro della sanità 3 novembre 1989).
Tantomeno, poi, si può sostenere che il citato art. 7 della legge n.104 del 1992 contrasti con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, contenuto nell'art. 97 della Costituzione, nella parte in cui non consente per le prestazioni riabilitative la facoltà del cittadino di utilizzare strutture private non convenzionate con conseguente vantaggio per le finanze dello Stato. Infatti, pur a non voler considerare il fatto che la questione è prospettata dal giudice a quo in modo meramente ipotetico, non risulta irragionevole che il legislatore, ferma restando la libertà del privato di ricorrere a strutture esterne al servizio sanitario, abbia ritenuto il ricorso a strutture proprie del servizio sanitario nazionale e a quelle in regime di convenzionamento meno oneroso per le finanze pubbliche del ricorso a strutture esterne private nella forma dell'assistenza indiretta. Ciò tanto più vale in quanto l'eventuale ricorso a forme di assistenza indiretta, come quelle auspicate dal giudice a quo, non farebbe, comunque, venir meno l'obbligo dello Stato di mantenere strutture per la erogazione delle prestazioni sanitarie in favore dei cittadini meno abbienti.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
- dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 14 della legge della Regione Campania 15 marzo 1984, n. 11 (Norme per la prevenzione, cura e riabilitazione degli handicaps e per l'inserimento nella vita sociale), dell'articolo unico della legge della Regione Campania 8 marzo 1985, n. 12 (Autorizzazione ai cittadini residenti nella Regione Campania per cure presso case di cura non convenzionate operanti sul territorio nazionale), degli artt. 1, 2, 5 e 6, primo comma, della legge della Regione Campania 27 ottobre 1978, n.46 (Autorizzazione ai cittadini residenti nella Regione Campania per cure presso strutture ospedaliere site in Paesi non regolamentati da accordi C.E.E. con lo Stato italiano), sollevate, con l'ordinanza indicata in epigrafe, dal Tribunale amministrativo regionale della Campania, per violazione dell'art. 117 della Costituzione, in relazione all'art. 3 della legge 23 ottobre 1985, n. 595 (Norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario triennale 1986-1988);
- dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli di legge regionale menzionati al capo precedente e dell'art.7 della legge 5 febbraio 1992, n.104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe, dal Tribunale amministrativo regionale della Campania;
- dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 7 della citata legge n. 104 del 1992, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe, dal Tribunale amministrativo regionale della Campania.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 06/07/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Antonio BALDASSARRE, Redattore
Depositata in cancelleria il 15 Luglio 1994.