SENTENZA
N. 236
ANNO 2009
Commento alla decisione di
Alfonso Celotto, Fuori ruolo dei professori universitari:
quando il legislatore cambia idea
(su www.giustamm.it) per gentile
concessione della Rivista telematica
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco
AMIRANTE
Presidente
-
Ugo
DE SIERVO
Giudice
- Paolo
MADDALENA
"
-
Alfio
FINOCCHIARO
"
-
Franco
GALLO
"
-
Luigi
MAZZELLA
"
-
Gaetano
SILVESTRI
"
-
Giuseppe TESAURO
"
- Paolo Maria
NAPOLITANO
"
-
Giuseppe FRIGO
"
- Alessandro
CRISCUOLO
"
- Paolo
GROSSI
"
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 2,
comma 434, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008),
promossi dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione
staccata di Catania, con ordinanza del 30 maggio 2008 e dal Tribunale
amministrativo regionale del Lazio, con otto ordinanze del 30 luglio 2008,
ordinanze rispettivamente iscritte al n. 345 ed ai nn.
350, 351, 352, 353, 354, 355, 356 e 357 del registro ordinanze 2008 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie
speciale, dell’anno 2008.
Visti gli atti di costituzione di Maria
Pia Albanese, di Antonino Cataudella, di Mario Comporti, di Francesco
Salvatore, di Pierfrancesco Grossi, di Gaetano Fara, di Francesco Orlando, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 luglio 2009
e nella camera di consiglio dell’8 luglio 2009 il Giudice relatore Alessandro
Criscuolo;
uditi gli avvocati
Massimo Luciani per Pierfrancesco Grossi, Fabio Merusi per Francesco Orlando,
Antonio Lamberti per Francesco Salvatore, Eugenio Picozza per Mario Comporti,
Maria Alessandra Sandulli per Antonino Cataudella, Mario Sanino e Paola
Salvatore per Gaetano Fara, Salvatore Raimondi per Maria Pia Albanese e
l’avvocato dello Stato Ettore Figliolia per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1. — Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia,
sezione staccata di Catania, con ordinanza del 30 maggio 2008 (r.o. n. 345 del
2008), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 434, della legge 24
dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge finanziaria 2008), «nella parte in cui troverebbe
applicazione anche per i professori per i quali sia stato
già disposto con formale provvedimento amministrativo il collocamento fuori
ruolo».
1.1. — La norma
impugnata dispone che «A decorrere dal 1° gennaio
2008, il periodo di fuori ruolo dei professori universitari precedente la
quiescenza è ridotto a due anni accademici e coloro che alla medesima data sono
in servizio come professori nel terzo anno accademico fuori ruolo sono posti in
quiescenza al termine dell’anno accademico. A decorrere dal 1° gennaio 2009, il
periodo di fuori ruolo dei professori universitari precedente la quiescenza è
ridotto a un anno accademico e coloro che alla medesima data sono in servizio
come professori nel secondo anno accademico fuori ruolo sono posti in
quiescenza al termine dell’anno accademico. A decorrere dal 1° gennaio 2010, il
periodo di fuori ruolo dei professori universitari precedente la quiescenza è
definitivamente abolito e «coloro che alla medesima data sono in servizio come
professori nel primo anno accademico fuori ruolo sono posti in quiescenza al
termine dell’anno accademico».
1.2. — Il
rimettente riferisce che il giudizio a quo è stato promosso dalla professoressa
Maria Pia Albanese, nei confronti dell’Università degli studi di Messina, per
l’annullamento (previa misura cautelare): a) della nota rettorale prot. n. 8890 del 6 febbraio 2008, con la quale si
comunicava che, in applicazione dell’art. 2, comma 434, della legge n. 244 del
2007, la ricorrente sarebbe cessata anticipatamente dal servizio con effetto
dal 1° novembre 2008; b) del decreto rettorale n. 841
del 13 marzo 2008, con il quale si stabiliva che la medesima ricorrente «con
effetto dal 1° novembre 2008 cesserà anticipatamente dal servizio».
1.3 — Il giudice a
quo riassume l’evoluzione della normativa in tema di collocamento fuori ruolo
dei professori universitari, prendendo le mosse dal decreto legislativo del
Capo provvisorio dello Stato 26 ottobre 1947, n. 1251 (Disposizioni per il
collocamento fuori ruolo dei professori universitari che hanno raggiunto i
limiti di età), ratificato, con modificazioni, dalla legge 4 luglio 1950, n.
498, in forza del quale i professori universitari, compiuto il settantesimo
anno di età, «assumono la qualifica di professori fuori ruolo fino a tutto
l’anno accademico durante il quale compiono il
settantacinquesimo anno (art. 1, primo comma)».
Secondo tale normativa, le cattedre e i relativi posti di ruolo erano
considerati vacanti; i professori fuori ruolo conservavano le prerogative
accademiche inerenti allo stato di professori di ruolo, con l’integrale
trattamento economico ad esso relativo, ed erano
tenuti a svolgere attività scientifica e didattica, avuto riguardo alle
disponibilità degli istituti e dei mezzi e specialmente in relazione alle
esigenze delle ricerche sperimentali; infine, con l’inizio dell’anno accademico
successivo a quello in cui avevano compiuto i settantacinque anni, essi erano
collocati a riposo.
Tale disciplina
era confermata dalla legge 18 marzo 1958, n. 311 (Norme sullo stato giuridico
ed economico dei professori universitari), alla stregua della quale, ai fini
della determinazione del numero legale richiesto per la validità delle adunanze
del corpo accademico e del Consiglio di facoltà, si teneva conto dei professori
fuori ruolo soltanto se intervenuti all’adunanza. Essi potevano essere eletti
all’ufficio di rettore o di preside, dal quale cessavano all’atto del
collocamento a riposo, se si trattava della carica di preside, mentre, per
l’ufficio di rettore, il professore che lo ricopriva al momento del
collocamento a riposo poteva continuare a mantenere il suddetto ufficio fino
alla scadenza del triennio per il quale era stato eletto (art.
14, quinto comma, della legge citata).
Il TAR rimettente
prosegue osservando che, con legge-delega 21 febbraio 1980, n. 28 (Delega al
Governo per il riordinamento della docenza universitaria e relativa fascia di
formazione, e per la sperimentazione organizzativa e didattica), veniva stabilito tra i criteri direttivi (art. 12, primo comma, lettera p) che, per i professori ordinari
da inquadrare in ruolo a seguito di concorsi successivi a quelli banditi alla
data di entrata in vigore della legge, il collocamento fuori ruolo decorresse
dall’anno accademico successivo al compimento del sessantacinquesimo anno di
età, mentre il pensionamento doveva avere luogo cinque anni dopo il
collocamento fuori ruolo. Invece, per i professori ordinari in servizio alla
data di entrata in vigore della legge e per quelli da inquadrare a seguito di
concorsi già banditi alla stessa data, il collocamento fuori ruolo dopo il
compimento del sessantacinquesimo anno di età, sarebbe stato disposto soltanto
a domanda.
In sede di
esercizio della delega, con decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio
1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di
formazione nonché sperimentazione organizzativa e
didattica), in base al richiamato criterio direttivo veniva stabilito il
collocamento fuori ruolo dei professori ordinari al compimento del
sessantacinquesimo anno di età e il collocamento a riposo cinque anni dopo il
collocamento fuori ruolo, mentre, per i professori ordinari in servizio alla
data di entrata in vigore della legge n. 28 del 1980 e per quelli nominati in
ruolo a seguito di concorsi già banditi alla medesima data, si stabiliva che
sarebbero state applicate «le norme già vigenti», salva la richiesta anticipata
di collocamento fuori ruolo (art. 110 del d.P.R. citato).
Con legge 7 aprile
(recte: agosto) 1990, n. 239 (Disposizioni sul collocamento fuori ruolo dei
professori universitari), si stabiliva che il collocamento fuori ruolo dei
docenti di cui all’art. 19 del d.P.R. n. 382 del 1980 «è opzionale, fermo
restando il collocamento a riposo dall’inizio dell’anno accademico successivo
al compimento del settantesimo anno di età». La norma escludeva dal proprio
ambito applicativo i professori già in servizio alla data di entrata in vigore
della legge n. 28 del 1980, o inquadrati in ruolo a seguito di concorso bandito
entro tale data, per i quali rimaneva fermo il disposto di cui all’art. 110 del
d.P.R. n. 382 del 1980.
Con l’art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il
riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici,
a norma dell’art. 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), si dava facoltà ai
dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici (compresi i
professori universitari) di permanere in servizio per
un periodo massimo di un biennio oltre i limiti del collocamento a riposo.
Con legge 28
dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), la
durata del collocamento fuori ruolo dei professori universitari veniva ridotta a tre anni, sia per i vincitori di concorsi
successivi all’entrata in vigore della legge n. 28 del 1980, sia per quanti
beneficiavano della disposizione transitoria di cui all’art. 110 del d.P.R. n.
382 del 1980, sicché questi ultimi, nel cui novero rientra la parte ricorrente
nel giudizio principale, erano collocati fuori ruolo, con il prolungamento del
biennio, a settantadue anni, ed in quiescenza a
settantacinque anni.
Con legge 4
novembre 2005, n. 230 (Nuove disposizioni concernenti i professori e i
ricercatori universitari e delega al Governo per il riordino del reclutamento
dei professori universitari), il collocamento a riposo dei professori
universitari (ordinari e associati), nominati secondo le disposizioni della
legge stessa, era previsto al termine dell’anno accademico nel quale si compiva
il settantesimo anno di età, compreso il biennio di cui all’art. 16 del d.lgs.
n. 503 del 1992. Inoltre, veniva abolito il
collocamento fuori ruolo (art. 1, comma 17); ma, per i
professori in servizio alla data di entrata in vigore della legge, era fatto
salvo lo stato giuridico e il trattamento economico in godimento.
Infine, con la
citata legge n. 244 del 2007 (art. 2, comma 434), si
stabilisce che il periodo di fuori ruolo dei professori universitari, a
decorrere dal 1° gennaio 2008, è ridotto a due anni accademici, a decorrere dal
1° gennaio 2009 è ridotto ad un anno accademico, a
decorrere dal 1° gennaio 2010 è abolito.
1.4 — Così
ricostruito il quadro normativo nel suo profilo diacronico, il rimettente
esclude che la norma da ultimo richiamata possa ritenersi applicabile soltanto
per il futuro, quindi eccettuando i soggetti già collocati fuori ruolo, avuto
riguardo al chiaro tenore di essa, da cui emerge con evidenza come il
legislatore abbia inteso disporre, anche per quanti avessero già ottenuto il
fuori ruolo, il progressivo collocamento a riposo anticipato, in coerenza, del
resto, con la ratio della normativa, mirante alla progressiva e totale
abolizione dell’istituto.
Da ciò deriva, ad
avviso del giudice a quo, la rilevanza, sia ai fini della decisione sull’istanza cautelare, sia per la pronunzia sul merito, della
questione di legittimità costituzionale in argomento. La
norma censurata, infatti, proprio perché applicabile anche ai professori
per i quali (come la ricorrente) sia stato già disposto, con formale
provvedimento amministrativo, il collocamento fuori ruolo alla fine dell’anno
accademico nel quale si raggiungono i settantadue anni di età e il collocamento
in quiescenza alla fine dell’anno accademico nel quale si raggiungono i
settantacinque anni, si porrebbe in contrasto con i principi di ragionevolezza,
d’imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione, introducendo
«un regolamento irrazionale ed arbitrario che comporterebbe il travolgimento
della situazione sostanziale posta in essere da un formale provvedimento
amministrativo adottato alla stregua della disciplina a tale momento vigente, e
frustrerebbe l’affidamento dell’interessato nella sicurezza giuridica, elemento
fondamentale dello stato di diritto» (sono richiamate varie sentenze di questa
Corte).
In particolare, il
collocamento a riposo anticipato dell’interessata, e di coloro i quali si
trovano nella sua stessa situazione, contrasta, in primo luogo, per le ragioni
appena esposte, con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.
Contrasta,
inoltre, col principio di eguaglianza sancito dallo stesso
art. 3, in quanto comporta un eguale
trattamento di situazioni differenti (cioè quella di coloro per i quali
l’Università di appartenenza non abbia ancora adottato alcun provvedimento e
quella di coloro per i quali è stato adottato il provvedimento).
Infine, contrasta
col principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., in quanto
la parte ricorrente si vedrebbe costretta, con pregiudizio per l’interesse
superiore degli studi, ad interrompere i programmi e l’attività di docenza, con
danno anche per i giovani studiosi.
2. — La
professoressa Albanese, ricorrente nel processo principale, si è costituita nel
giudizio davanti alla Corte costituzionale.
Premesso che, con
decreto rettorale del 28 febbraio 2003, le era stato concesso il prolungamento
del servizio attivo per due anni, previsto dall’art. 16 d.lgs. n. 503 del 1992
ed erano stati disposti il suo collocamento fuori ruolo per un triennio (fino
al 31 ottobre 2009) e il suo collocamento a riposo a far data
dal 1° novembre 2009, la parte privata osserva che «il Consiglio di facoltà di
scienze MM. FF. NN. dell’Università di Messina, con
delibera del 9 novembre 2006, aveva approvato la proposta da lei avanzata,
relativa all’attività didattica, scientifica e formativa che si proponeva di
svolgere quale professore fuori ruolo». La detta Università, a seguito
dell’entrata in vigore dell’art. 2, comma 434, della legge n. 244 del 2007,
aveva modificato il suddetto decreto rettorale disponendo il suo collocamento
in quiescenza a far tempo dal 1° novembre 2008.
Conseguentemente ella aveva presentato ricorso al
giudice amministrativo, e questi, accogliendo una eccezione dell’interessata,
aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale in oggetto.
Dopo aver chiarito
che il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in
accoglimento del suo appello, aveva disposto la sospensione cautelare del
provvedimento impugnato, la professoressa Albanese sostiene la fondatezza della
suddetta questione, richiamando il principio generale di irretroattività
dettato dall’art. 11 delle preleggi, da qualificare come fondamento dello Stato
di diritto, elemento essenziale di civiltà giuridica e di certezza del diritto.
La parte privata
prosegue osservando di essere consapevole che la Costituzione sancisce
l’irretroattività soltanto per le norme penali punitive (art.
25, secondo comma), e tuttavia ricorda, come questa Corte ha già affermato, che
l’emanazione di leggi con efficacia retroattiva incontra una serie di limiti,
concernenti valori fondamentali di civiltà giuridica, nel cui novero sono
compresi il principio di ragionevolezza e di uguaglianza, nonché
la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei destinatari.
Tali limiti nel
caso in esame sarebbero stati violati, sia perché, in materia di collocamento
fuori ruolo e di quiescenza dei professori universitari, sussiste una tradizione
normativa – sempre rispettata – secondo la quale le nuove disposizioni non sono
applicabili ai professori già in servizio alla data in cui esse sono introdotte
(tradizione che verrebbe nella specie irragionevolmente travolta), sia perché i
provvedimenti delle Università con i quali era stato
disposto il collocamento fuori ruolo degli interessati, e poi, dopo tre anni,
il collocamento a riposo, hanno consolidato in capo agli stessi una situazione
giuridica qualificabile non in termini di mera aspettativa, bensì come vero e
proprio diritto quesito.
Infatti, in base
alla giurisprudenza costituzionale, è da ritenere ammissibile un intervento
legislativo che modifichi la disciplina del pensionamento dei pubblici
dipendenti, ma tale intervento non è consentito ad libitum. In particolare, non
può ritenersi consentita una modifica legislativa che, intervenendo in una fase
in cui il dipendente ha tutte le ragioni per ritenere certo il collocamento a
riposo ad una certa data, muti la disciplina
vanificando le sue legittime aspettative, come avvenuto nel caso di specie.
La disposizione
censurata, dunque, si risolve in «un regolamento irrazionale ed
arbitrario che comporta il travolgimento della situazione sostanziale posta in
essere da un formale provvedimento amministrativo, adottato alla stregua della
disciplina a tale momento vigente, e frustra l’affidamento dell’interessata
nella sicurezza giuridica, elemento fondamentale dello stato di diritto», con
conseguente violazione del principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3
Cost., nonché del principio di eguaglianza dettato
dalla stessa norma, in quanto comporta una parità di trattamento di situazioni
differenti, tali essendo, rispettivamente, quella di coloro per i quali non sia
stato adottato dalle Università alcun provvedimento del tipo di quello
sopraindicato e quella di coloro per i quali, viceversa, il provvedimento sia
stato adottato.
Inoltre, la norma
di cui si tratta contrasterebbe col principio di buon andamento della pubblica
amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., per il fatto di determinare
l’interruzione dei programmi di ricerca di cui era
stata prevista la conclusione nel periodo del fuori ruolo e dei progetti di
crescita e di affermazione degli allievi dei professori interessati.
3.— Il Tribunale
amministrativo regionale del Lazio, con otto ordinanze d’identico tenore (r.o. n. 350, n. 351, n. 352, n. 353, n. 354, n. 355, n. 356,
n. 357 del 2008), del 30 luglio 2008, ha sollevato questione di legittimità
costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., del medesimo articolo.
Il rimettente
espone di essere chiamato a pronunciare su otto separati ricorsi, proposti dai professori universitari Antonino Cataudella, Mario
Comporti, Francesco Marmo, Francesco Salvatore, Pierfrancesco Grossi, Gaetano
Fara, Romano Cipollini, Luciano Caglioti, Domenico Misiti, Francesco Orlando,
tutti già collocati fuori ruolo dal 1° novembre 2006 al 1° novembre 2009,
tranne che il professore Comporti, a sua volta, collocato fuori ruolo dal 1°
novembre 2007 al 1° novembre 2010. Con tali ricorsi sono stati impugnati i
decreti rettorali con i quali, in applicazione del citato art.
2, comma 434, il collocamento a riposo per limiti di età dei ricorrenti è stato
anticipato di un anno rispetto a quanto originariamente stabilito.
Il giudice a quo,
premesso che tra le varie doglianze è stata anche dedotta la questione di
legittimità costituzionale del detto art. 2, comma
434, ritiene che tale questione sia rilevante, perché il provvedimento
impugnato si basa soltanto sulla riduzione del periodo di fuori ruolo operata
dalla norma censurata, che non può essere interpretata in senso conforme ai
principi costituzionali, «avendo un contenuto assolutamente stringente ed una disciplina espressa per i rapporti pendenti».
Il rimettente
prosegue sostenendo che la questione è non manifestamente infondata sotto
diversi profili.
Infatti, la norma
impugnata sembra porsi in violazione dell’art. 3 Cost «per la retroattività dei
suoi contenuti precettivi».
Questa Corte ha
affermato più volte che l’irretroattività della legge è principio di carattere
costituzionale soltanto per le norme penali, in quanto
sancito dall’art. 25 Cost. Per le norme non penali la retroattività delle leggi
è consentita, ma nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza.
In questo quadro sono, in primo luogo, legittimamente retroattive sul piano
costituzionale le norme interpretative, in quanto
affermano una delle possibili varianti di senso già desumibili dalla lettera
della disposizione interpretata. Anche norme innovative con efficacia
retroattiva sono legittime (ad eccezione delle norme penali punitive), purché
la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza
e non contrasti con altri valori ed interessi
costituzionalmente protetti, tra i quali, oltre ai principi sopra richiamati,
va inclusa anche la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei
destinatari, in quanto principio connaturato allo Stato di diritto.
Nella specie, la
disposizione ha introdotto una nuova disciplina per il collocamento fuori ruolo
dei professori universitari. Ad avviso del rimettente si tratta di una norma a
carattere innovativo, della cui retroattività non si può dubitare, perché viene
ad incidere su posizioni giuridiche in atto, in quanto
i ricorrenti hanno subito la riduzione di un anno del periodo di fuori ruolo
già in corso.
La retroattività
non può essere giustificata in relazione al fatto che
la norma ha spiegato efficacia sul futuro svolgimento del periodo di fuori
ruolo, in quanto questo deve ritenersi unitario, sicché la valutazione va
compiuta con riguardo alla disciplina vigente al momento in cui è stato
disposto.
Il collocamento
fuori ruolo determina una posizione giuridica autonoma che comprende il diritto
al completamento di tale periodo, sicché la relativa riduzione di un anno
incide in maniera irragionevole su un affidamento qualificato degli
interessati, riguardante vari aspetti dell’attività
professionale svolta nel periodo medesimo.
Né la
retroattività può essere giustificata dalla riforma complessiva della
disciplina riguardante i professori universitari, operata
con legge n. 230 del 2005, la quale ha abolito il periodo di collocamento fuori
ruolo e previsto il limite di età di settant’anni per il collocamento a riposo.
L’art. 1, comma 17, di tale legge, infatti, ha
stabilito l’applicabilità di tale regime soltanto ai professori nominati in
base alla nuova disciplina.
Anche la
disciplina di diritto transitorio di cui si tratta risulta
irragionevole. Invero, da un lato, essa denota – nella parte in cui fa
decorrere la completa abolizione del fuori ruolo dal 1° gennaio 2010 – la
consapevolezza del legislatore di non potere incidere in maniera immediata
sulle situazioni in corso, dall’altro, stabilisce la riduzione del periodo
fuori ruolo, sia per coloro che sono già in tale
posizione da uno o due anni (applicando ad entrambe le suddette categorie di
soggetti la riduzione a due anni), sia per coloro che, al momento di entrata in
vigore della legge, sono ancora in servizio di ruolo, essendo previsto il
periodo fuori ruolo di un anno, sia per i collocati fuori ruolo nel novembre
2008, sia per i collocati fuori ruolo nel novembre 2009. Peraltro, continua il
rimettente, per i professori non ancora posti fuori ruolo al momento di entrata
in vigore della legge – non titolari, dunque, di un affidamento qualificato –
il periodo fuori ruolo avrebbe potuto anche essere disciplinato diversamente,
senza alcuna salvaguardia di posizioni giuridiche, ma
simile salvaguardia era invece necessaria nei confronti dei ricorrenti. Ne
consegue che la disciplina di diritto transitorio in argomento tratta, dunque,
nello stesso modo, salva la differenza della entità
della riduzione (rispettivamente di un anno o di due anni), situazioni
radicalmente diverse e, precisamente, posizioni di stato in atto (quelle di
coloro che già si trovavano in posizione di fuori ruolo) e mere aspettative
(quelle dei professori ancora in servizio).
La
norma censurata appare altresì in contrasto anche con il principio di buon
andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 Cost.,
perché, anche in relazione all’efficienza
organizzativa delle Università, la previsione dell’immediata riduzione del
fuori ruolo per tutti i professori ordinari, i quali sono già in detta
posizione, comporta l’immediata perdita di risorse intellettuali,
l’interruzione di programmi di ricerca, la dispersione dell’attività
scientifica.
4. — Il professore Antonino Cataudella si è costituito in giudizio
chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata
ammissibile e fondata.
Il professore
Mario Comporti, a sua volta, ha depositato memoria di costituzione, nella quale, dopo aver richiamato il quadro normativo in cui
è intervenuta la norma censurata, sostiene la necessità di ampliare la
questione con riferimento all’intera categoria dei professori universitari che
hanno acquisito il diritto al collocamento fuori ruolo in forza del d.P.R. n.
382 del 1980, prescindendo dal fatto che il relativo collocamento sia stato già
disposto. La parte deduce la fondatezza di detta questione non soltanto per
violazione degli artt. 3 e 97 Cost., ma anche per
contrasto con gli artt. 1, 2, 4, 9, 11, 38, 98 e 117 della medesima, «ob
relationem (cioè quale normativa interposta) alla Convenzione sui diritti e le
libertà fondamentali di Roma 4.11.1950 (CEDU), in particolare per violazione
degli articoli 1, 6 e 7 della CEDU e violazione dell’art. 6 del Trattato UE, nonché per violazione degli articoli 15 e 52 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea».
Il professor
Comporti chiede, infine, che la dichiarazione d’illegittimità costituzionale
sia estesa all’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992; all’art. 1, comma 30, della legge n. 549 del 1995; alla legge 23 dicembre
1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica).
Anche i professori Francesco Salvatore e Pierfrancesco Grossi si
sono costituiti con atti depositati, chiedendo l’accoglimento della questione
sollevata dal TAR del Lazio.
Si è pure
costituito il professor Gaetano Fara, chiedendo che la questione sia dichiarata
fondata, per ragioni nella sostanza analoghe a quelle esposte nell’ordinanza di
rimessione.
Infine, si è
costituito il professore Francesco Orlando,
articolando, anche con richiami a precedenti pronunzie di questa Corte,
argomentazioni analoghe a quelle svolte nell’ordinanza di rimessione, cui
aggiunge un’ulteriore censura ex art. 3 Cost., per ingiustificata disparità di
trattamento rispetto al trattamento pensionistico dei
magistrati. Deduce, altresì, che è costituzionalmente illegittima la norma di
legge che abolisce l’istituto stesso del fuori ruolo per i professori
universitari, individuando come ulteriore parametro
costituzionale violato l’art. 38 Cost. In subordine chiede che questa Corte,
qualora ritenga di non dover dichiarare l’incostituzionalità della norma
censurata, pronunci sentenza interpretativa dell’art. 2, comma 434, della legge
n. 244 del 2007, in guisa da renderlo compatibile con gli artt. 3, 38 e 97 Cost.
5. — In tutti i
giudizi sopra indicati ha spiegato intervento la Presidenza del Consiglio dei
ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, la quale
ha chiesto che la sollevata questione di legittimità costituzionale sia
dichiarata non fondata.
Ad
avviso dell’interveniente, «la norma censurata è riconducibile alla
discrezionalità propria del legislatore, il quale ben può limitare la durata
del collocamento fuori ruolo dei professori universitari in applicazione del
principio, già affermato dalla Corte costituzionale, secondo cui nel sistema
costituzionale è consentito al legislatore di emanare disposizioni le quali
modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, anche se
l’oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti», salvo, qualora si
tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionale della materia
penale (art. 25, secondo comma, Cost.).
Questa Corte,
infatti, ha posto in evidenza al riguardo il solo
limite dell’irrazionalità e dell’arbitrio che, nella specie, non ricorre,
trattandosi di provvedimento diretto al contenimento delle spese, di carattere
riduttivo e non soppressivo.
In altri termini,
i giudici rimettenti non hanno colto la ratio della disposizione impugnata, da
identificare nell’avvertita esigenza del sistema universitario italiano, di
agevolare – nell’ambito di un quadro di finanza pubblica critico – il ricambio
generazionale dei docenti universitari, considerato uno degli obiettivi in
grado di dare nuovo slancio, tra l’altro, alle attività di ricerca scientifica
che si svolgono nelle università.
Il legislatore non
si è limitato ad abolire l’istituto del fuori ruolo per tutti i professori
universitari, ma, proprio per evitare d’incorrere in censure sotto il profilo
della legittimità costituzionale, ha operato una graduale riduzione del
relativo periodo fino alla sua totale eliminazione. In tale contesto
deve essere considerata la disposizione per la quale la predetta riduzione si
applica a coloro che già sono stati collocati fuori ruolo.
La norma, infatti,
mira ad evitare la disparità di trattamento tra
categorie di docenti che si sarebbe creata se si fosse proceduto ad abolire il
fuori ruolo soltanto per i docenti in servizio, senza incidere sulla posizione
anche di quelli già collocati fuori ruolo. La disparità sarebbe stata ancor più
evidente, in quanto basata soltanto sull’atto di
collocamento fuori ruolo. In altri termini, il legislatore, al fine di evitare
disparità di trattamento tra professori universitari in servizio e in fuori
ruolo, ha abolito l’istituto per tutti i docenti, peraltro prevedendo, per
quelli già fuori ruolo, la graduale riduzione del relativo periodo.
Pertanto, la
scelta del legislatore non viola il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., né sotto il profilo della disparità di trattamento, né
sotto quello della ragionevolezza.
La norma stessa,
non si pone neppure in contrasto con il canone costituzionale del buon
andamento della pubblica amministrazione, in quanto i
programmi di ricerca ben possono essere proseguiti dalla struttura scientifica
di riferimento dei docenti collocati in quiescenza. D’altra parte, la
gradualità dell’abolizione dell’istituto in argomento consente alle Università,
proprio nell’ottica del buon andamento delle attività
accademiche, di programmare le stesse, tenendo conto della posizione lavorativa
dei propri docenti.
6. — In prossimità
dell’udienza di discussione, i professori Albanese, Cataudella, Orlando,
Comporti, Grossi hanno depositato articolate memorie,
con le quali riprendono e sviluppano le argomentazioni già esposte negli atti
di costituzione.
Inoltre, i
ricorrenti professori Grossi e Cataudella chiedono che questa Corte estenda il
proprio sindacato di costituzionalità, comprendendo in esso non soltanto la
parte della disposizione impugnata relativa ai professori già collocati fuori
ruolo al momento dell’entrata in vigore della legge censurata, ma anche quella relativa ai professori nominati in seguito a concorsi
banditi in data anteriore all’entrata in vigore della legge n. 28 del 1980, non
ancora in posizione di fuori ruolo a quel momento, a loro volta titolari del
diritto quesito a rimanere in servizio per un triennio. Essi sostengono, poi,
che la norma in questione sarebbe contraria alle prescrizioni della direttiva
comunitaria sulla parità di trattamento in materia di occupazione e, in
generale, ai principi comunitari di parità di trattamento e di tutela del
legittimo affidamento.
L’accertamento del
contrasto con la normativa comunitaria sarebbe pregiudiziale all’accertamento
del contrasto con la disciplina costituzionale. Pertanto, questa Corte – ove
ritenesse di condividere il suddetto profilo di censura - dovrebbe rimetterne
l’esame alla Corte di giustizia CE.
Considerato in diritto
1.— Il Tribunale
amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, con
l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 345 del
2008), dubita, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione, della
legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 434, della legge 24 dicembre
2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge finanziaria 2008), nella parte in cui «troverebbe
applicazione anche per i professori per i quali sia stato già disposto con
formale provvedimento amministrativo il collocamento fuori ruolo».
La norma impugnata
stabilisce che il periodo di fuori ruolo dei professori universitari,
precedente alla quiescenza, è ridotto a due anni accademici a decorrere dal 1°
gennaio 2008 e coloro che, alla data indicata, sono in servizio come professori
nel terzo anno accademico fuori ruolo, sono posti in quiescenza al termine
dell’anno accademico. A decorrere dal 1°gennaio 2009,
il detto periodo di fuori ruolo è ridotto ad un anno accademico e coloro che,
alla medesima data, sono in servizio come professori nel secondo anno
accademico fuori ruolo, sono posti in quiescenza al termine dell’anno
accademico. Infine, a decorrere dal 1° gennaio 2010, il periodo di fuori ruolo
dei professori universitari è definitivamente abolito e coloro che, alla
medesima data, sono in servizio come professori nel primo anno accademico fuori
ruolo sono posti in quiescenza al termine di tale anno.
Il giudice a quo
riferisce che davanti a quel Tribunale amministrativo è in corso un giudizio,
promosso da una professoressa ordinaria, già collocata fuori ruolo per un
triennio a decorrere dal 1° novembre 2006, e perciò fino al 31 ottobre 2009, la
quale ha impugnato i provvedimenti rettorali con cui le è stata comunicata – in
applicazione dell’art. 2, comma 434, della legge n. 244 del
2007 – la cessazione anticipata dal servizio con effetto dal 1° novembre 2008.
Il rimettente
ritiene palese, in base al testuale tenore della disposizione censurata, che il
legislatore ha inteso disporre «anche per coloro che avessero
già ottenuto il fuori ruolo, il progressivo collocamento a riposo anticipato, e
ciò, tra l’altro, in piena coerenza con la ratio della normativa», mirante alla
totale abolizione dell’istituto del collocamento fuori ruolo dei professori
universitari prima della quiescenza. Da questo assunto
il giudice desume l’infondatezza dei primi due motivi del ricorso e la
rilevanza della questione di legittimità costituzionale della norma suddetta.
Quanto alla non
manifesta infondatezza, il Tribunale amministrativo osserva che la disposizione
impugnata, per il suo carattere irrazionale ed
arbitrario, si pone in contrasto con l’art. 3 Cost. – sotto il profilo del
principio di ragionevolezza – in quanto la sua
applicazione condurrebbe a travolgere la situazione sostanziale posta in essere
da un formale provvedimento amministrativo, adottato nel rispetto della
disciplina vigente al momento della sua emanazione e, conseguentemente,
frustrerebbe l’affidamento dell’interessato nella sicurezza giuridica, elemento
fondamentale dello Stato di diritto. Essa, violerebbe, altresì, il principio di
eguaglianza dettato dalla stessa norma, in quanto
comporta una parità di trattamento di situazioni differenti, tali essendo,
rispettivamente, quella di coloro per i quali non sia stato adottato dalle
Università alcun provvedimento del tipo di quello sopraindicato e quella di
coloro per i quali, viceversa, il provvedimento sia stato adottato.
Inoltre, ad avviso
del rimettente, la disposizione sarebbe lesiva anche del principio di buon
andamento della pubblica amministrazione di cui
all’art. 97 Cost., in quanto determina l’interruzione
dei programmi di ricerca intrapresi dal docente e i processi di crescita e di
affermazione dei suoi allievi.
2. — Il Tribunale
amministrativo regionale del Lazio, con le otto ordinanze d’identico tenore
indicate in epigrafe, solleva a sua volta, in
riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., questione di legittimità costituzionale
del medesimo art. 2, comma 434, della legge n. 244 del 2007, nella parte in cui
stabilisce la riduzione progressiva del periodo di fuori ruolo per i professori
universitari già collocati in tale posizione.
Nei giudizi di cui alle ordinanze di
rimessione r.o. n. 350, n. 352, n. 353, n. 354, n.
355, n. 356 e n. 357 del 2008 i ricorrenti, collocati fuori ruolo dal 1°
novembre 2006, hanno impugnato i decreti rettorali emessi dalle rispettive
Università, con i quali è stata ridotta l’originaria durata triennale del
periodo fuori ruolo ed è stato stabilito il loro collocamento a riposo dal 1°
novembre 2008. Nel giudizio di cui all’ordinanza r.o.
n. 351 del 2008, il ricorrente, collocato fuori ruolo a far data dal 1°
novembre 2007, ha impugnato il decreto rettorale col quale l’Università ha
ridotto il periodo fuori ruolo già disposto in precedenza, stabilendo il suo
collocamento a riposo dal 1° novembre 2009.
Il giudice a quo svolge argomenti
analoghi a quelli già esposti nell’ordinanza n. 345 del 2008, ritenendo la
norma denunciata in contrasto con l’art. 3 Cost. «per la
retroattività dei suoi contenuti precettivi», non suscettibili di essere
interpretati in modo conforme ai principi costituzionali. Inoltre,
osserva che l’irretroattività della legge trova tutela costituzionale soltanto
per le leggi penali, nell’ambito dell’art. 25 Cost. Il legislatore, dunque, in
altri settori ben può emanare leggi con efficacia retroattiva, ma è necessario
che l’esercizio di tale potere trovi giustificazione sul piano della
ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente
protetti, tra cui l’affidamento legittimamente sorto, quale principio
connaturato allo Stato di diritto (è richiamata la sentenza di questa
Corte n. 282 del 2005).
Nei casi di specie, la norma censurata
sarebbe di carattere innovativo e verrebbe ad incidere
su posizioni giuridiche in atto, senza che tale retroattività trovi
giustificazione ragionevole, ponendosi anzi in contrasto col principio generale
di eguaglianza e con l’affidamento legittimamente sorto negli interessati.
Infine, sussisterebbe anche contrasto
col principio di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art.
97 Cost.
3. — Entrambi i rimettenti dubitano
della legittimità costituzionale della stessa norma di
legge, con riferimento ai medesimi parametri costituzionali, e svolgono
argomentazioni in larga parte coincidenti. Pertanto, tutti i relativi giudizi
devono essere riuniti e definiti con unica pronunzia.
4. — In premessa si deve rilevare che,
per giurisprudenza costante di questa Corte, l’oggetto del giudizio di
costituzionalità in via incidentale è limitato alle disposizioni e ai parametri
indicati nelle ordinanze di rimessione, non potendo essere presi in
considerazione, oltre i limiti in queste fissati,
ulteriori questioni o profili di costituzionalità dedotti dalle parti, sia che
siano stati eccepiti, ma non fatti propri dal giudice a quo, sia che siano
diretti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto delle stesse ordinanze.
Sono quindi inammissibili, e non possono essere prese in esame in questa sede,
le deduzioni di alcune parti private (indicate in narrativa), dirette ad
estendere il thema decidendum non soltanto attraverso l’invocazione di
ulteriori parametri costituzionali, ma anche attraverso la denuncia di
disposizioni ulteriori rispetto a quelle sospettate di illegittimità
costituzionale dai giudici rimettenti (ex plurimis,
sentenze n. 56
del 2009; n.
86 del 2008; n.
244 del 2005; ordinanze n. 174 del 2003
e 379 del 2001).
5. —Nella stessa
prospettiva, va osservato che,
mentre l’ordinanza del TAR per la Sicilia solleva la questione di legittimità
costituzionale del citato art. 2, comma 434, «nella parte in cui troverebbe
applicazione anche per i professori per i quali sia stato
già disposto con formale provvedimento amministrativo il collocamento fuori
ruolo», il petitum delle ordinanze del TAR del Lazio non contiene la stessa precisazione.
Da ciò, tuttavia, non può desumersi che in tali ordinanze si sia inteso
estendere la questione anche ai docenti universitari non ancora in posizione di
fuori ruolo al momento dell’entrata in vigore della legge censurata (1° gennaio
2008). Premesso che, a questa data, tutti i ricorrenti nei giudizi principali
erano già collocati in detta posizione ed avevano
iniziato il relativo periodo, basta considerare la motivazione delle ordinanze
medesime (in riferimento alla quale il dispositivo va interpretato) per
convincersi che in esse la questione è stata circoscritta negli stessi limiti
del Tribunale amministrativo siciliano.
In particolare, si afferma che la
disposizione censurata stabilisce la riduzione del periodo fuori ruolo, sia per
coloro che sono già in tale posizione da uno o due
anni (applicando ad entrambe le suddette categorie di soggetti la riduzione a
due anni), sia per coloro che, al momento di entrata in vigore della legge,
sono ancora in servizio di ruolo, essendo previsto il periodo fuori ruolo di un
anno, sia per i collocati fuori ruolo nel novembre 2008, sia per i collocati
fuori ruolo nel novembre 2009. Peraltro, per i professori non ancora posti
fuori ruolo al momento di entrata in vigore della legge – non titolari, dunque,
di un affidamento qualificato – il periodo fuori ruolo avrebbe potuto anche
essere disciplinato diversamente, senza alcuna salvaguardia
di posizioni giuridiche, ma simile salvaguardia era invece necessaria nei
confronti dei ricorrenti. Ne consegue che la disciplina di diritto transitorio
in argomento tratta, dunque, nello stesso modo, salva la differenza della entità della riduzione (rispettivamente di un anno o
di due anni), situazioni radicalmente diverse e, precisamente, posizioni di
stato in atto (quelle di coloro che già si trovavano in posizione di fuori
ruolo) e mere aspettative (quelle dei professori ancora in servizio). E più
avanti si aggiunge che, anche in relazione all’efficienza
organizzativa dell’Università, la previsione dell’immediata riduzione della
durata del fuori ruolo per tutti i professori universitari che sono già in tale
posizione comporta la immediata perdita di risorse intellettuali, la
interruzione di programmi di ricerca, la dispersione dell’attività scientifica.
Risulta evidente, dunque, che anche per il TAR del Lazio la
questione di legittimità costituzionale è posta con riguardo all’art. 2, comma
434, della legge n. 244 del 2007, nella parte in cui si applica ai professori
universitari per i quali sia stato già disposto, con
formale provvedimento amministrativo, il collocamento fuori ruolo e questo sia
iniziato.
6. — La detta questione di legittimità
costituzionale è fondata, nei sensi di seguito precisati.
6.1. — L’istituto del fuori ruolo dei professori
universitari – la cui disciplina giuridica, per quanto riguarda i profili
diacronici, è stata richiamata in narrativa – presenta caratteri peculiari che
lo distinguono dall’analoga posizione di altri dipendenti pubblici.
Il docente universitario in tale
posizione, infatti, pur non essendo più titolare di cattedra, durante il
triennio di fuori ruolo può svolgere attività didattica, scientifica e di
ricerca, conserva le prerogative accademiche e il trattamento economico,
interviene alle adunanze del corpo accademico e del Consiglio di facoltà, può
essere eletto all’ufficio di rettore o di preside. Si tratta, dunque, di un
autonomo, unitario e ben definito status professionale, collegato al successivo
collocamento in quiescenza, ma da questo distinto, sul quale la disposizione
censurata ha inciso, introducendo per il futuro una modificazione peggiorativa
del rapporto di durata, ma determinando anche una contrazione del momento
finale di quello status che si riflette negativamente sulla posizione giuridica
già acquisita dall’interessato (cosiddetta retroattività impropria).
6.2. — Questa Corte, con riferimento ai
rapporti di durata, ha più volte affermato il principio secondo cui il
legislatore, in materia di successione di leggi, dispone di
ampia discrezionalità e può anche modificare in senso sfavorevole la disciplina
di quei rapporti, ancorché l’oggetto sia costituito da diritti soggettivi
perfetti, salvo – in caso di norme retroattive – il limite imposto in materia
penale dall’art. 25, secondo comma, Cost., e comunque a condizione che la
retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e
non si ponga in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente
protetti (ex plurimis,
sentenze n. 162
del 2008; n.
74 del 2008; n.
11 del 2007; n.
409 del 2005; n.
374 del 2002 e n. 525 del 2000).
Nella giurisprudenza di questa Corte,
poi, è consolidato il principio del legittimo affidamento nella sicurezza
giuridica, che costituisce elemento fondamentale dello Stato di diritto e non
può essere leso da disposizioni retroattive, che trasmodino in regolamento
irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori (ex plurimis,
sentenze n. 24
del 2009; n.
11 del 2007; n.
409 del 2005; n.
446 del 2002; n.
416 del 1999 e n.
390 del 1995).
6.3 — Si tratta quindi di verificare,
alla luce dei suddetti orientamenti, la ragionevolezza della disposizione
censurata sulla base del principio di tutela
dell’affidamento, quale parametro alla stregua del quale scrutinare la
legittimità della norma medesima, con riguardo all’art. 3 Cost.
Orbene, fermo quanto esposto in
precedenza circa lo stato professionale dei professori universitari in
posizione di fuori ruolo, si deve ribadire che esso
certamente non si esaurisce in una mera aspettativa, ma si concreta in una
posizione giuridica consolidata, in quanto radicata non soltanto su un
provvedimento amministrativo che l’ha disposta (peraltro sulla base di una
specifica opzione, non più revocabile dopo il collocamento fuori ruolo, ai
sensi della legge 7 agosto 1990, n. 239), ma anche sull’esercizio effettivo
delle attribuzioni connesse a quella posizione (come si è notato, tutti i
ricorrenti nei giudizi principali avevano già intrapreso il corso del triennio
fuori ruolo prima dell’entrata in vigore della norma de qua).
Inoltre, la durata del fuori ruolo è
breve, essendo contenuta in un triennio, sicché essa non è equiparabile a
quella di altri rapporti, come quelli inerenti a trattamenti pensionistici,
destinati a protrarsi vita natural durante. Rispetto ad
essa, dunque, non sono ravvisabili esigenze, tanto meno inderogabili, idonee a
giustificare la compressione del legittimo affidamento nutrito dagli
interessati sulla regolare scadenza del relativo periodo.
Proprio sotto questo profilo, anzi, si
coglie in modo chiaro il vulnus inferto dalla norma censurata alla
ragionevolezza dell’intervento legislativo di cui si tratta.
Invero, come si è detto, ad avviso della
Presidenza del Consiglio dei ministri, i rimettenti non avrebbero colto la
ratio della disposizione impugnata, «da identificarsi nella avvertita
esigenza del sistema universitario italiano nell’ambito di un quadro di finanza
pubblica critico, di agevolare il ricambio generazionale, considerato uno degli
obiettivi in grado di dare nuovo slancio, tra l’altro, alle attività di ricerca
scientifica che si svolgono nelle università». In questa situazione, il
legislatore non si sarebbe limitato ad abolire l’istituto del fuori ruolo per
tutti i professori universitari, ma «proprio per evitare d’incorrere in censure
di illegittimità costituzionale» avrebbe «operato una
graduale riduzione del periodo di fuori ruolo fino alla sua totale
eliminazione; ed è in tale contesto che deve essere considerata la norma per la
quale la predetta riduzione si applica anche a coloro che sono stati già
collocati in fuori ruolo».
Al riguardo si deve osservare che, senza
dubbio, il fine di abolire per il futuro l’istituto del collocamento fuori
ruolo per tutti i professori universitari rientra nella discrezionalità del
legislatore e, del resto, s’inserisce in un indirizzo legislativo già in
precedenza perseguito (artt. 17 e 19 della legge n.
230 del 2005, la quale tuttavia fece salvo lo stato giuridico e il trattamento
economico in godimento per i professori in servizio alla data di entrata in
vigore della legge stessa). Qui non è in discussione tale obiettivo, bensì il
necessario bilanciamento che si deve compiere tra il suo perseguimento e la
tutela da riconoscere al legittimo affidamento nella sicurezza giuridica,
nutrito da quanti, sulla base della normativa previgente, hanno conseguito una
situazione sostanziale consolidata.
In questa
prospettiva va notato che la contrazione del periodo di fuori ruolo, già in
corso di svolgimento, operata dalla norma censurata, riguarda una posizione
giuridica concentrata nell’arco di un triennio, interessa una categoria di
docenti numericamente ristretta, non produce significative
ricadute sulla finanza pubblica, non risponde allo scopo di salvaguardare
equilibri di bilancio o altri aspetti di pubblico interesse e neppure può
definirsi funzionale all’esigenza di ricambio generazionale dei docenti
universitari, ove si consideri che essi, con l’inizio del fuori ruolo, perdono
la titolarità della cattedra che rimane vacante. Il sacrificio imposto ai
docenti interessati, che già si trovano nello stato di
fuori ruolo, dunque, si rivela ingiustificato e perciò irragionevole,
traducendosi nella violazione del legittimo affidamento – derivante da un
formale provvedimento amministrativo – riposto nella possibilità di portare a
termine, nel tempo stabilito dalla legge, le funzioni loro conferite e, quindi,
nella stabilità della posizione giuridica acquisita (nei sensi sopra indicati).
Né può
condividersi l’ulteriore argomento dell’Avvocatura
dello Stato, secondo cui la norma censurata mirerebbe «ad evitare la disparità
di trattamento tra categorie di docenti che si sarebbe creata se si fosse
proceduto ad abolire il fuori ruolo solo per i docenti in servizio, senza
incidere anche sulla posizione dei docenti già collocati in fuori ruolo». È
vero il contrario, perché la norma pone sullo stesso piano posizioni giuridiche
non omogenee, in quanto trascura di considerare che il
professore già in fuori ruolo è titolare in atto di uno specifico stato
professionale, sul quale la norma medesima viene ad incidere in senso
peggiorativo con effetto immediato, mentre il professore in servizio di ruolo,
titolare di uno stato giuridico diverso, può vantare al riguardo soltanto una
mera aspettativa. In realtà, quindi, l’equiparazione suddetta realizza una
disparità di trattamento (rappresentata dalla previsione dello stesso trattamento per situazioni giuridiche diverse), costituente
autonoma violazione dell’art. 3 Cost.
Alla stregua delle
considerazioni esposte, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale
dell’art. 2, comma 434, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nella parte in
cui si applica ai professori universitari per i quali sia stato
disposto il collocamento fuori ruolo con formale provvedimento amministrativo e
che hanno iniziato il corso del relativo periodo.
Ogni ulteriore profilo di censura resta assorbito.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 2, comma 434, della legge 24 dicembre 2007, n. 244
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– legge finanziaria 2008), nella parte in cui si applica ai professori
universitari per i quali sia stato disposto il
collocamento fuori ruolo con formale provvedimento amministrativo e che hanno
iniziato il corso del relativo periodo.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 luglio
2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 luglio
2009.