SENTENZA N. 64
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale dell’art. 29 della legge della
Provincia autonoma di Bolzano 8 aprile 2004, n. 1 (Disposizioni per la
formazione del bilancio di previsione per l’anno finanziario 2004 e per il
triennio 2004-2006 e norme legislative collegate − Legge finanziaria
2004), e dell’art. 3, commi
1 e 2, della legge della
Provincia autonoma di Bolzano 29 agosto 2000, n. 13 (Disposizioni finanziarie
in connessione con l’assestamento del bilancio di previsione della Provincia di
Bolzano per l’anno finanziario 2000 e per il triennio 2000-2002 e norme
legislative collegate), promosso dal Tribunale superiore delle acque
pubbliche nel procedimento vertente tra l’Azienda Energetica Spa - Etschwerke A.G. (AE-EW) e la Provincia autonoma di Bolzano
con ordinanza
del 15 maggio 2012, iscritta al n. 147 del registro ordinanze 2012 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale,
dell’anno 2012.
Visti gli atti di
costituzione della Azienda Energetica Spa - Etschwerke
A.G. (AE-EW) e della Provincia autonoma di Bolzano;
udito nell’udienza
pubblica dell’11 febbraio 2014 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;
uditi gli avvocati
Damiano Florenzano e Luigi Manzi per l’Azienda
Energetica Spa - Etschwerke A.G. (AE-EW), Giuseppe
Franco Ferrari e Roland Riz per la Provincia autonoma
di Bolzano.
Ritenuto in
fatto
1.− Il Tribunale superiore delle
acque pubbliche ha sollevato − in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 41, 97, 113, 117, commi primo,
secondo, lettere e) ed s), e terzo, e 120 della Costituzione,
nonché agli artt. 5, 9 e 13 del d.P.R.
31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), ed agli artt.
1 e 1-bis del d.P.R.
26 marzo 1977, n. 235 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione
Trentino-Alto Adige in materia di energia), − questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 29 della legge della Provincia autonoma di
Bolzano 8 aprile 2004, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio di
previsione per l’anno finanziario 2004 e per il triennio 2004-2006 e norme
legislative collegate – Legge finanziaria 2004), nella parte in cui,
modificando l’art. 1, comma 1, lettera c),
della legge della Provincia autonoma di Bolzano 29 marzo 1983, n. 10
(Adeguamento della misura dei canoni per le utenze di acqua pubblica), fissa
l’ammontare del canone delle concessioni per le derivazioni di acqua pubblica
ad uso idroelettrico, che sviluppano oltre 3.000 chilowatt di potenza nominale,
in 24 euro per ogni chilowatt, stabilendo, al comma 3, la decorrenza di detto
aumento dal 1° luglio 2004.
1.1.− In relazione ai parametri
sopra indicati, il rimettente solleva, altresì, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 3, commi 1 e 2, della legge della Provincia autonoma
di Bolzano 29 agosto 2000, n. 13 (Disposizioni finanziarie in connessione con
l’assestamento del bilancio di previsione della Provincia di Bolzano per l’anno
finanziario 2000 e per il triennio 2000-2002 e norme legislative collegate),
nella parte in cui, modificando l’art. 1, commi 1 e 2, della medesima legge
prov. n. 10 del 1983, ha per la prima volta introdotto, a decorrere dal 1°
gennaio 2000, il criterio dell’aumento progressivo del canone per l’uso
idroelettrico, fissando, altresì, importi differenziati all’interno della
stessa tipologia di uso.
1.2.− Il giudice a quo premette di essere investito dei
ricorsi promossi in grado di appello dalla Azienda Energetica Spa - Etschwerke A.G. (AE-EW), società interamente partecipata
dai Comuni di Bolzano e Merano, che in regime di concessione produce e
distribuisce energia elettrica nel territorio dell’Alto Adige, avverso le
sentenze n. 927 e n. 928 del 2008 con le quali il Tribunale regionale delle
acque pubbliche presso la Corte d’appello di Venezia ha rigettato le domande
dalla stessa azionate nei confronti della Provincia autonoma di Bolzano.
Con il primo ricorso la società chiedeva
di accertare, previa disapplicazione della normativa censurata, la non debenza del canone di derivazione idroelettrica alla
Provincia di Bolzano per l’importo contestato per l’anno 2004, e per l’effetto
invocava l’annullamento dei provvedimenti dell’Ufficio delle entrate della
Provincia autonoma di Bolzano e la restituzione di quanto pagato in eccedenza.
1.3.− Secondo quanto riferito dal
rimettente, la società deduceva che il canone, come rideterminato, costituiva
di fatto una tassa avente effetto equivalente ai dazi di importazione ed
esportazione di merci, vietati dagli artt. 23 e 25 del Trattato CE, e che la
disciplina provinciale, comportando un aumento del costo dell’energia che aveva
l’effetto di ridurre la competitività dell’azienda sul mercato, era quindi
contraria al principio comunitario della libera circolazione delle merci, e
dunque agli artt. 2, 3, 4, 14.2 e da 23 a 31 del Trattato.
Sollevava, inoltre, numerose eccezioni
di illegittimità costituzionale delle norme in riferimento agli artt. 120 e 41
Cost., perché hanno frapposto barriere al libero commercio tra le Regioni e
hanno limitato la libertà di iniziativa economica; agli artt. 117, secondo
comma, lettera s), Cost. e 11, comma
4, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva
96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica),
perché hanno determinato un minor utilizzo di fonti di energia rinnovabili e
violato la riserva statale in materia di legislazione ambientale; all’art. 117,
secondo comma, lettera e), Cost., in
quanto in un mercato liberalizzato un aumento del prezzo dell’energia in una
sola parte del territorio nazionale produce effetti sulla concorrenza.
Sosteneva, infine, che l’art. 1-bis,
comma 16, del d.P.R. n. 235 del 1977 «è inapplicabile per il principio di
sussidiarietà verticale in quanto l’intera materia è attratta nella competenza
legislativa statale, sicché i canoni di derivazione dovrebbero essere
determinati, anche nella provincia di Bolzano, ai sensi della legge n. 36 del
1994, del d.m. n. 90 del 1997 e del d.m. 24.11.2000».
Identiche domande la società proponeva
con il secondo ricorso, in relazione ai canoni di derivazione idroelettrica per
l’anno 2005.
La Provincia autonoma di Bolzano si
costituiva in entrambi i giudizi, eccependo il difetto di giurisdizione del
giudice adito e contestando, nel merito, la fondatezza delle domande.
1.4.− Quanto al secondo grado di
giudizio, il rimettente rappresenta che la società reitera le contestazioni
avverso la richiesta della Provincia autonoma di Bolzano di pagamento dei
canoni di derivazione idroelettrica calcolati, per l’anno 2005, sulla base
dell’art. 29 della legge prov. n. 1 del 2004 che ne ha innalzato ingiustificatamente
l’importo per lo scaglione di potenza superiore a 3.000 chilowatt, portandolo a
24 euro, pari a circa il doppio della media dei canoni applicati dalle altre
Regioni italiane nonché dalla Provincia autonoma di Trento.
Deduce la violazione e falsa applicazione
di numerose disposizioni di legge, e, in particolare, dell’art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977; degli
artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 (Norme sui giudizi di
legittimità costituzionale e sulle garanzie d’indipendenza della Corte
costituzionale), e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), in riferimento
all’illegittimità dell’art. 1 della legge prov. n. 10 del 1983, come modificato
prima dall’art. 3, commi 1 e 2, della legge prov. n. 13 del 2000 e poi
dall’art. 29 della legge prov. n. 1 del 2004, per violazione degli artt. 3, 23,
41, 117 e 120 Cost.; dei principi fondamentali della legislazione statale
vigente; dell’art. 117, primo comma, Cost., per violazione dei principi
dell’ordinamento comunitario di certezza del diritto e dell’affidamento. Ha
reiterato le censure in ordine alla violazione e falsa applicazione degli artt.
2, 3, 4, 14.2 e da 23 a 31 del Trattato CE; dell’art. 1 della legge costituzionale
n. 1 del 1948 e dell’art. 23 della legge n. 87 del 1953, in riferimento
all’illegittimità dell’art. 1 della legge prov. n. 10 del 1983, come modificato
dalle leggi prov. n. 13 del 2000 e n. 1 del 2004, per violazione degli artt. 3,
41 e 120 Cost. Ha infine dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art.
1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977;
degli artt. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e 23 della legge n. 87
del 1953, in riferimento alla illegittimità dell’art. 1 della legge prov. n. 10
del 1983, come modificato dalle leggi prov. n. 13 del 2000 e n. 1 del 2004, per
violazione degli artt. 3, 23, 41 e 117 Cost.; degli artt. 5, 9 e 13 dello
Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige; degli artt. 1 e 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977; dei principi
fondamentali della legislazione statale vigente e dell’art. 117, primo comma,
Cost., per violazione degli obblighi internazionali.
1.5.− Aggiunge il Tribunale
rimettente che con distinto ricorso la società ha promosso appello avverso la
sentenza n. 928 del 2008, svolgendo analoghi motivi e argomentazioni in
riferimento ai canoni di derivazione per l’anno 2004; che in entrambi i giudizi
si è costituita la Provincia autonoma di Bolzano «chiedendo la dichiarazione di
inammissibilità o il rigetto degli appelli»; che, con ordinanza collegiale
emessa il 7 luglio 2010, i procedimenti sono stati riuniti e che, in pari data,
gli atti sono stati trasmessi alla Corte costituzionale sollevando questione di
legittimità costituzionale in riferimento ai parametri sopra indicati; che con ordinanza n. 178
del 2011, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale del 15 giugno 2011, la Corte costituzionale ha ordinato la
restituzione degli atti per un nuovo esame della rilevanza delle questioni
poiché successivamente alla deliberazione dell’ordinanza di rimessione l’art.
31, lettera a), della legge
provinciale 23 dicembre 2010, n. 15 (Disposizioni per la formazione del
bilancio di previsione per l’anno finanziario 2011 e per il triennio 2011-2013 −
legge finanziaria 2011), ha abrogato l’art. 1, comma 1, lettera c), della legge prov. n. 10 del 1983;
che con ricorso del 19 ottobre 2011 la società appellante ha chiesto la
prosecuzione del giudizio e che la Provincia ha depositato memoria difensiva.
2.− Il giudice a quo ricostruisce il quadro normativo
di riferimento anche alla luce della giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 1 del 2008 e
n. 133 del 2005)
e di legittimità (sentenza n. 15234 del 2009 delle sezioni unite civili della
Corte di cassazione), secondo cui, con riferimento alle Province autonome, il
decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463 (Norme di attuazione dello statuto
speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di demanio idrico, di
opere idrauliche e di concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico,
produzione e distribuzione di energia elettrica), ha realizzato l’adeguamento
dello Statuto speciale al nuovo sistema dettato dal decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15
marzo 1997, n. 59), modificando l’art. 8, comma 1, lettera e), del d.P.R. 20 gennaio 1973, n. 115 (Norme di attuazione dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di trasferimento alle
province autonome di Trento e di Bolzano dei beni demaniali e patrimoniali
dello Stato e della Regione), e trasferendo alle due Province il demanio idrico
dello Stato.
Lo stesso d.lgs. n. 463 del 1999 ha
modificato l’art. 14 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione
dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di
urbanistica ed opere pubbliche), concernente l’ambito territoriale di
competenza per le concessioni di grande derivazione, eliminando il riferimento
allo statuto speciale della Regione, ed ha infine introdotto l’art. 1-bis nel d.P.R. n. 235 del 1977, in base
al quale «dal 1 gennaio 2000 è delegato alle Province autonome di Trento e di
Bolzano, per il rispettivo territorio, l’esercizio delle funzioni statali in
materia di concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico».
È quindi intervenuta la riforma del
Titolo V della Parte seconda della Costituzione che ha, tra l’altro,
riconosciuto alle Regioni ordinarie la competenza concorrente in materia di
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» (art. 117, terzo
comma), sicché, in forza dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), le
Province autonome hanno visto ampliata la propria competenza statutaria,
diventando anch’esse titolari di competenza concorrente in materia di
produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia.
Successivamente, con il decreto
legislativo 15 aprile 2003, n. 118 (Norme di attuazione dello statuto speciale
della regione Trentino-Alto Adige che integrano e modificano disposizioni in
materia di concessioni di grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico), e
quindi con il decreto legislativo 7 novembre 2006, n. 289 (Norme di attuazione
dello statuto speciale della regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, recanti modifiche al D.P.R. 26 marzo 1977, n.
235, in materia di concessioni di grandi derivazioni d’acqua a scopo
idroelettrico), − che hanno modificato il d.P.R. n. 235 del 1977 −
è stato attribuito alle Province autonome di Trento e di Bolzano l’esercizio
delle funzioni già esercitate dallo Stato in materia di grandi derivazioni per
uso idroelettrico e la potestà legislativa in materia di disciplina delle
grandi derivazioni di acque pubbliche a scopo idroelettrico.
2.1.− Quanto ai principi
fondamentali della legislazione statale in materia di canoni di concessione per
le derivazioni ad uso idroelettrico, il rimettente muove dal dettato dell’art.
35 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni
di legge sulle acque e impianti elettrici), che ha sancito il principio della
onerosità della concessione di derivazione di acque pubbliche, distinguendo, ai
fini della determinazione del diverso ammontare del canone annuo, tra
derivazioni per «acqua potabile o di
irrigazione» (per le quali il canone era fissato per ogni modulo, pari a
cento litri al minuto secondo) e quelle «per
forza motrice» (per le quali il canone era fissato per ogni
cavallo nominale di forza motrice).
Tali criteri sono stati confermati
dall’art. 10 del decreto-legge 2 ottobre 1981, n. 546 (Disposizione in materia
di imposte di bollo e sugli atti e formalità relativi ai trasferimenti degli
autoveicoli, di regime fiscale delle cambiali accettate da aziende e istituti
di credito nonché di adeguamento della misura dei canoni demaniali),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 1° dicembre 1981, n.
692, e dall’art. 18 della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia
di risorse idriche).
A detta del rimettente, anche l’art. 171
del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) − in relazione alle
grandi derivazioni in corso di sanatoria ricadenti nel territorio della Sicilia
nelle more del trasferimento a tale Regione del patrimonio idrico −
rideterminava retroattivamente i canoni dal l°
gennaio 2002, differenziandoli, di nuovo, unicamente in relazione al tipo di
utilizzazione e fissandoli in somme diverse, a seconda dei diversi usi.
Secondo la legislazione statale, infine,
la distinzione tra piccole e grandi derivazioni non ha mai assunto rilievo ai
fini della determinazione del canone, ma per altri aspetti, concernenti le
modalità e i criteri per il rilascio della concessione e soprattutto per gli
oneri relativi ai sovracanoni.
I suindicati criteri sono stati recepiti
e confermati dalla normativa dettata dalla legge prov. n. 10 del 1983, vigente
fino alle modifiche introdotte con le disposizioni sospettate di illegittimità
costituzionale ed ispirata ai principi dell’unicità del canone per ogni tipo di
fruizione ed alla sua proporzionalità in relazione all’unità di misura.
2.2.− Così ricostruito il quadro
normativo nazionale e provinciale, il Tribunale superiore delle acque pubbliche
reputa «che sia certamente plausibile – e molto probabilmente esatta –
l’individuazione nella legislazione statale, oltre a quello della onerosità
della concessione, anche di altri principi fondamentali, ed in particolare: a)
del principio della differenziazione dei canoni esclusivamente in base alla
tipologia della fruizione […]; b) il principio della proporzionalità del canone
all’effettiva entità dello sfruttamento delle risorse pubbliche che la
concessione comporta; c) il principio della non previsione di una tariffa
progressiva nell’ambito della medesima utilizzazione».
Eccepisce, pertanto, l’illegittimità
costituzionale dell’art. 29 della legge prov. n. 1 del 2004, che ha sostituito
la lettera c) del comma 1 dell’art. 1
della legge prov. n. 10 del 1983, e dell’art. 3, commi 1 e 2, della legge prov.
n. 13 del 2000, che aveva in precedenza modificato l’art. 1, commi 1 e 2, della
legge prov. n. 10 del 1983, in relazione all’art. 117, terzo comma, Cost., per
contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale, in quanto la
differenziazione dei canoni all’interno della medesima fruizione dell’acqua,
sulla base degli scaglioni di potenza concessa o riconosciuta, contrasterebbe
con il principio secondo il quale i canoni vengono differenziati solo in base
alla tipologia della fruizione, mentre la differenziazione del canone su base
progressiva non troverebbe fondamento su alcuna valutazione riferibile alla
tipologia della concessione o degli impianti, non essendo collegata né al diverso
impatto ambientale né al diverso rendimento o ad altra circostanza incidente
sul depauperamento delle risorse della collettività.
3.− Ad avviso del Tribunale
superiore delle acque pubbliche, la legislazione statale conterrebbe, altresì,
il principio fondamentale secondo cui i canoni non possono essere aumentati
indiscriminatamente, ma solo aggiornati periodicamente con provvedimento
adottato dall’autorità amministrativa e sulla base di un criterio
predeterminato generalmente collegato al tasso di inflazione o, comunque,
all’aumento del costo della vita.
3.1.− In particolare, la normativa
statale di riferimento dimostrerebbe che i canoni sono stati sempre adeguati
con atto amministrativo, e che sarebbero eccezionali i casi in cui detto
adeguamento sarebbe stato attuato con provvedimenti normativi (art. 10 del d.l.
n. 546 del 1981 e art. 18 della legge n. 36 del 1994). Il comma 5 dell’art. 18,
da ultimo citato, enunciava espressamente il principio della cadenza triennale
dell’aggiornamento con decreto ministeriale sulla base dei tassi di inflazione
programmati, principio ribadito, da ultimo, dall’art. 154, comma 3, del d.lgs.
n. 152 del 2006.
3.2.− La legislazione provinciale
si è poi uniformata al criterio ispiratore della normativa statale con l’art.
34 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 3 maggio 1999, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione
per l’anno finanziario 1999 e per il triennio 1999-2001 e norme legislative
collegate − legge finanziaria 1999), che ha introdotto il comma 13
dell’art. 1 della legge prov. n. 10 del 1983, fissando il principio che gli
importi dei canoni annui erano determinati dalla Giunta provinciale ed
aggiornati ogni biennio. L’art. 41, comma 2, della legge della Provincia
autonoma di Bolzano 9 gennaio 2003, n. 1 (Disposizioni per la formazione del
bilancio di previsione per l’anno finanziario 2003 e per il triennio 2003-2005
e norme legislative collegate − legge finanziaria 2003), ha ancora più
adeguato la suddetta previsione, non solo stabilendo che «Gli importi dei canoni annui e minimi per le
singole utenze di acqua pubblica possono essere aggiornati ogni biennio dalla
giunta provinciale», ma che ciò avveniva «in base alle variazioni del costo
della vita secondo gli indici ISTAT I relativi importi vengono arrotondati per
eccesso o per difetto a unità di 10 cent».
3.3.− Sostiene dunque il
rimettente, sempre in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., che l’art.
29 della legge prov. n. 1 del 2004 e l’art. 3 della legge prov. n. 13 del 2000
si pongono in contrasto con il principio fondamentale della legislazione
statale che impone l’aggiornamento dei canoni con provvedimento amministrativo,
in tempi prestabiliti e secondo criteri prefissati, in modo che all’insorgere
del rapporto il concessionario sia in grado di conoscere, sia pure
approssimativamente, quando ed in che limite il canone
potrà aumentare.
4.– Il Tribunale superiore delle acque
pubbliche dubita della costituzionalità dell’art. 29 della legge prov. di
Bolzano n. 1 del 2004, in riferimento agli artt. 3, 23, 41 e 117, primo comma,
Cost., per violazione dei principi generali dell’ordinamento comunitario di
certezza del diritto e dell’affidamento, in quanto l’aumento dei canoni
disposto anche per le concessioni in corso e a solo un anno di distanza dalla
legge prov. n. 1 del 2003 che aveva ribadito il principio dell’aggiornamento
biennale sulla base dell’aumento del costo della vita, avrebbe leso il
legittimo affidamento dei concessionari all’invarianza dei canoni, con
pregiudizio della libertà di iniziativa economica nella sua accezione più
estesa.
5.− Il rimettente prosegue
ritenendo che le disposizioni provinciali censurate avrebbero natura di
legge-provvedimento, e che, pertanto, secondo la giurisprudenza della Corte
costituzionale devono essere sottoposte ad uno stretto scrutinio di
costituzionalità. Denunzia l’assenza di plausibili ragioni per cui l’aumento
dei canoni sia stato attuato con legge provinciale anziché con atto della
giunta provinciale, nei tempi e secondo i criteri prefissati in via generale
dallo stesso legislatore provinciale, e avanza il «non manifestamente infondato
sospetto» che l’intervento sia stato adottato per sottrarre agli interessati il
diritto costituzionalmente garantito di invocare il sindacato del giudice
ordinario ed amministrativo. Solleva, pertanto, questione di illegittimità
costituzionale delle disposizioni provinciali, in quanto leggi provvedimento
adottate in assenza dei «presupposti per legiferare» (sentenza n. 205 del
1996), per violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’arbitrarietà
delle norme, nonché degli artt. 97, 24 e 113, Cost., ritenendo che l’adozione
di un atto legislativo venga a realizzare un’elusione del diritto di
impugnazione spettante ai concessionari.
6.− Nel differenziare il canone
nell’ambito della stessa categoria di utilizzazione dell’acqua, il legislatore
provinciale ne ha ancorato l’aumento al mero criterio della progressione della
potenza nominale concessa, «Ma, se così è, non è comprensibile né logico un
canone-corrispettivo che è sottoposto ad un criterio di determinazione
progressivo, giacché un tale criterio progressivo non è ancorato ad alcun
valore o elemento che muti con modalità non proporzionali (ma progressive)
all’elevazione della potenza concessa». Sostiene il rimettente che tale
criterio finirebbe per incentivare la proliferazione di piccoli impianti a
basso rendimento, che risultano complessivamente di maggior impatto ambientale
rispetto a pochi, grandi impianti di nuova generazione: per questa ragione
dubita della legittimità costituzionale delle disposizioni provinciali per
contrasto con l’art. 3, Cost., sotto il principio della ragionevolezza della
disciplina.
7.− Il Tribunale superiore delle
acque pubbliche censura, poi, le disposizioni provinciali per violazione degli
artt. 3, 41 e 120 Cost., nonché dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione
ai principi generali dell’ordinamento comunitario in tema di tutela del libero
commercio, della libertà di iniziativa economica e della concorrenza.
In particolare, il rimettente condivide
la prospettazione della società appellante secondo la
quale la determinazione di un importo del tutto disancorato dal valore della
concessione trasforma il canone in «strumento di politica economica o fiscale,
con finalità di incidere sul mercato della generazione idroelettrica».
Il contrasto con le regole
concorrenziali risiederebbe nella circostanza che l’art. 4, comma 1, della
stessa legge provinciale n. 1 del 2004 ha autorizzato la sottoscrizione
dell’aumento di capitale della SEL s.p.a., che è la società attraverso la quale
la Provincia autonoma di Bolzano opera nell’ambito dello stesso mercato
dell’energia elettrica che provvede a regolamentare disciplinando i canoni
dovuti dai concessionari. In questo contesto, la società facente capo alla
Provincia sarebbe la sola in grado di pagare i canoni fuori mercato,
alternativi alla distribuzione degli utili a favore dell’ente proprietario.
La rideterminazione dei canoni in
difetto di qualsiasi ancoramento alla disciplina di principio statale ed ai
valori delle concessioni creerebbe, altresì, una divaricazione rispetto ai
canoni applicati nelle altre Regioni del Paese, con pregiudizio per i
produttori operanti nel territorio della Provincia autonoma di Bolzano ed
ostacolo al libero commercio tra Regioni ed alla libera circolazione
dell’energia elettrica.
8.− Il giudice a quo richiama il dettato dell’art. 154
del d.lgs. n. 152 del 2006, che prevede che con decreto del Ministero
dell’economia, di concerto con quello dell’ambiente, devono essere indicati i
criteri generali per la determinazione, da parte delle Regioni, dei canoni di
concessione per l’utenza di acqua pubblica, tenuto conto dei costi ambientali e
dei costi della risorsa, e rimarca che la regola risponde all’esigenza di
assicurare un’omogenea disciplina sul territorio nazionale. Ricorda, altresì,
che l’art. 171 del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006 aveva fissato, con
decorrenza dal 2002, il canone per le concessioni di grandi derivazioni ad uso
idroelettrico in 12,00 euro per ogni chilowatt di potenza nominale assentita,
con una disposizione che − seppur formalmente riferita solo ad alcune
particolari concessioni di grande derivazione quali quelle in corso di
sanatoria ricadenti nel territorio della Regione siciliana −
dimostrerebbe come il legislatore nazionale, nell’anno 2006, stimasse congruo
un canone medio di 12,00 euro.
La normativa provinciale, che nel 2004
determinava il canone per le grandi derivazioni in un importo pari al doppio di
quello appena indicato senza giustificazioni legate a particolari esigenze
locali, violerebbe la riserva statale in materia di legislazione ambientale
prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., determinando un minore utilizzo delle fonti di energia
rinnovabili. Per simili considerazioni, la disciplina provinciale sarebbe in
contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che riserva alla competenza esclusiva dello Stato la
disciplina della concorrenza, in quanto al maggior importo del canone
necessariamente segue un aumento del costo dell’energia elettrica prodotta nel
territorio provinciale, con effetti «riflessi» in tema di concorrenza.
A supporto dei profili di illegittimità
appena indicati il giudice a quo richiama
i principi affermati da questa Corte con le sentenze n. 142 e n. 29 del 2010
in materia di tariffa dei servizi idrici, sostenendo che, anche nel settore
delle concessioni di acqua pubblica, l’omogeneità del canone è finalizzata a
«preservare il bene giuridico ambiente dai rischi derivanti da una disciplina
non uniforme ed a garantire uno sviluppo concorrenziale del settore della
produzione idroelettrica».
9.− Con ulteriore censura, il
giudice rimettente solleva questione di legittimità costituzionale delle
disposizioni provinciali per contrasto con gli artt. 1 e 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977, nonché con gli artt. 5, 9 e 13 del
d.P.R. n. 670 del 1972, in relazione all’art. 3 Cost., sotto il profilo della
manifesta irragionevolezza e dell’eccesso di potere legislativo.
Evidenzia, in proposito, che le
modifiche statutarie introdotte nel 1972 e con la riformulazione dell’art. 1
del d.P.R. n. 235 del 1977, hanno espressamente attribuito ai soli enti locali
(tra i quali non erano comprese le Province autonome) la facoltà di svolgere
attività nel settore dell’energia elettrica nelle forme ivi previste. Aggiunge
che l’art. 13 dello statuto speciale ha riconosciuto alle Province autonome una
cospicua quota di energia prodotta dai concessionari di grandi derivazioni
nella forma del sovracanone, avente finalità
solidaristica. Sostiene, dunque, che l’introduzione del nuovo elevato canone si
sarebbe tradotto in una sottrazione di ricchezza degli enti locali da parte
della Provincia di Bolzano, in violazione dello statuto speciale che, peraltro,
implicitamente esclude l’acquisizione di parte del valore prodotto dalla
concessione con altra modalità, qual è lo «snaturamento dell’istituto del
canone concessorio».
10.− Il Tribunale superiore delle
acque pubbliche dubita, infine, della legittimità costituzionale delle norme
provinciali in riferimento all’art. 1 del d.P.R. n. 235 del 1977, nonché agli
artt. 3, 41 e 120 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento poiché
la nuova disciplina del canone pregiudicherebbe esclusivamente gli enti locali
concessionari − che non possono, di regola, delocalizzare
la produzione perché istituzionalmente chiamati a gestire le attività
elettriche, almeno in forma prevalente, nel territorio provinciale −
rispetto alle imprese private. Sotto connesso profilo, l’aumento del canone in
misura significativamente superiore alla media nazionale provoca una
ingiustificata discriminazione in danno dei concessionari della Provincia
autonoma di Bolzano, nei confronti di coloro che operano fuori dal territorio
provinciale.
11.− Con atto depositato l’11
settembre 2012 si è costituita in giudizio la Provincia autonoma di Bolzano, in
persona del Presidente pro tempore, che
ha concluso per l’inammissibilità, ovvero, in ogni caso, per l’infondatezza
della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale superiore
delle acque pubbliche per le ragioni di seguito esposte.
11.1.− In via preliminare, la
difesa provinciale ha eccepito l’inammissibilità per difetto di incidentalità
della questione, sull’assunto che il ricorso introduttivo del giudizio
principale sarebbe direttamente rivolto a contestare la normativa provinciale e
non, invece, gli atti paritetici con i quali l’Ufficio Entrate – Ripartizione
n. 5, Finanze e Bilancio, della medesima Provincia ha richiesto il pagamento
dei canoni di concessione di derivazione idroelettrica.
11.2.− Ad avviso della Provincia,
non sarebbe condivisibile l’individuazione dei principi fondamentali, come
effettuata dal Tribunale rimettente a sostegno della questione di
costituzionalità.
Sostiene, a tale proposito, che l’art.
35 del r.d. n. 1775 del 1933 sancisce il principio della onerosità delle utenze
di acqua pubblica e che il pagamento del canone ha lo scopo di ripagare la
devoluzione a fini utilitaristici di un bene proprio della generalità. La
distinzione tra grandi e piccole derivazioni assume, poi, un significato
meramente descrittivo teso all’individuazione del procedimento per il rilascio
della concessione, per cui la classificazione delle derivazioni non
costituirebbe un principio di rango costituzionale. Analogamente, il criterio
di imputazione previsto dall’art. 35 sopra citato costituisce «una mera
misurazione della tariffa, suscettibile di variazioni in base a valutazioni
discrezionali della P.A., purché rispondenti a precetti di logica ed
imparzialità» che nella specie non risultano violati né con la diversificazione
della tariffa secondo fasce di utenza né con la scelta di disancorare la
quantificazione del canone dal criterio della proporzionalità.
La legittimità della scelta provinciale
deriverebbe, dunque, dall’impossibilità di elevare a principio fondamentale una
previsione avente la sola funzione di consentire la "misurazione” del canone,
mentre la ragionevolezza dell’aumento del canone attuato con le disposizioni
censurate sarebbe da individuare nella scarsità della risorsa idrica che non
rende illogico che ad un aumento del quantitativo di risorsa sottratta all’uso
generale corrisponda un aumento del canone in misura progressiva.
11.3.− La difesa provinciale
critica la ricostruzione del Tribunale rimettente secondo cui le disposizioni
censurate costituirebbero leggi-provvedimento, deducendo che si tratti,
piuttosto, di «disposizioni giuridiche in senso proprio» che trovano
applicazione nei confronti di ogni concessionario che utilizzi l’acqua per impieghi
di natura idroelettrica sulla scorta della «nuova modalità di quantificazione
del canone», richiamando, a tal fine, la sentenza di questa
Corte n. 47 del 2003. Le modifiche «sono intervenute al fine di introdurre
una nuova modalità di "quantificazione”
del canone (innovando la precedente disposizione legislativa a ciò
deputata). Le modalità di "aggiornamento” sono rimaste, invece, invariate,
tanto è vero che il comma 13 dell’art. 1 della legge provinciale n. 10/1983,
diretto a disciplinare le modalità di adeguamento periodico del canone,
individuando la competenza giuntale a provvedere in merito, è tuttora valido ed
efficace e non ha subito modificazioni per effetto delle disposizioni
censurate».
11.4.− Non sussisterebbe, ad
avviso della difesa provinciale, neppure la prospettata lesione dei principi
dell’affidamento e di certezza del diritto, in quanto è l’art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977 che
demanda al legislatore provinciale la determinazione dei canoni demaniali e ne
sancisce la competenza ad intervenire, così escludendo profili di arbitrarietà
dell’intervento legislativo.
Analogamente, la determinazione dei
canoni è esclusivamente finalizzata ad assicurare che il prelievo della risorsa
da parte del concessionario e la distrazione del bene dall’uso collettivo
trovino adeguato corrispettivo, per cui deve escludersi che la misurazione dei
canoni di concessione sia annoverabile tra le misure di sostegno alle fonti
energetiche rinnovabili, previste dalla direttiva 27 settembre 2001, n.
2001/77/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione
dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato
interno dell’elettricità).
11.5.− Quanto ai riflessi
indiretti della determinazione dei canoni sulle materie «trasversali» della
tutela dell’ambiente e della tutela della concorrenza, la difesa provinciale
evidenzia come le inevitabili interferenze sulle competenze legislative di
matrice concorrente e residuale non possano comportare l’illegittimità degli
interventi del legislatore provinciale «sintonizzati sulla realtà produttiva
territoriale», nei quali il diretto coinvolgimento del territorio nella
gestione delle risorse rende opportuna la loro regolamentazione in sede locale.
A tale scopo richiama le sentenze di questa Corte n. 383 del 2005
e n. 14 del 2004.
Sotto connesso profilo, contesta
l’applicazione, invocata dal rimettente, dei principi affermati dalla Corte
costituzionale nelle pronunce n. 142 e n. 29 del 2010: sostiene, infatti, che,
nel caso in esame, le competenze legislative provinciali discendono dall’art.
1-bis, comma 16, del d.P.R. n. 235
del 1977, che demanda al legislatore provinciale la determinazione
dell’ammontare dei «canoni demaniali di concessione».
Evidenzia, altresì, la contraddittorietà
dell’assunto del giudice rimettente, che ritiene non manifestamente infondato
il dubbio sul contrasto tra la normativa provinciale e l’art. 117, secondo
comma, lettere e) ed s), Cost., affermando,
contemporaneamente, che la determinazione del canone delle concessioni di acqua
pubblica appartiene alla competenza legislativa concorrente e che il canone
dovrebbe essere determinato secondo parametri omogenei su tutto il territorio
nazionale.
11.6.− La Provincia eccepisce
l’inammissibilità, e, comunque, l’infondatezza delle argomentazioni del
rimettente sulla distorsione dell’istituto della concessione, che verrebbe
indebitamente utilizzato per sottrarre reddito ai concessionari.
Contesta che l’esercizio della potestà
di determinazione del canone possa essere limitata dal disposto dell’art. 13
dello statuto speciale che prevede che i concessionari cedano annualmente a
titolo gratuito alla Provincia una quota dell’energia prodotta rilevando, in
proposito, che il doppio onere di natura solidaristica non è stato introdotto
con le disposizioni censurate, essendo risalente al 1983.
Quanto alla portata discriminatoria
delle disposizioni censurate in relazione al sollevato contrasto con gli artt.
3, 41 e 120 Cost., deduce che la rideterminazione dei canoni concessori non
costituisce un ostacolo alla commerciabilità dell’energia elettrica anche al di
fuori del territorio provinciale e non produce indebite differenziazioni tra
soggetti pubblici (che non possono delocalizzare gli
impianti) e soggetti privati produttori di energia elettrica, in quanto il
presupposto dell’obbligazione al pagamento del canone «prescinde dalle
caratteristiche del destinatario della disciplina, ed ha natura obiettiva,
dovendosi identificare, come rilevato, nell’utilizzo della risorsa, cui
consegue l’obbligo di "risarcire” la collettività del depauperamento subito».
12.− Con memoria depositata l’11
settembre 2012, l’Azienda Energetica Spa – Etschwerke
A.G. ha svolto considerazioni a sostegno della questione di illegittimità
costituzionale della disciplina provinciale, argomentando, per ciascuna censura,
in termini sostanzialmente coincidenti con quelli del giudice rimettente.
13.− In data 21 gennaio 2014 le parti private
hanno depositato ulteriori memorie, nelle quali hanno nuovamente ripercorso gli
argomenti a sostegno delle richieste rassegnate negli atti di costituzione.
Considerato
in diritto
1.− Con ordinanza depositata il 15
maggio 2012, il Tribunale superiore delle acque pubbliche ha sollevato −
in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 41, 97, 113, 117, commi primo, secondo,
lettere e) ed s), terzo, e 120 della Costituzione, nonché agli artt. 5, 9 e 13
del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi
costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), ed
agli artt. 1 e 1-bis del d.P.R. 26 marzo
1977, n. 235 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione
Trentino-Alto Adige in materia di energia), − questione di legittimità
costituzionale dell’art. 29 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 8
aprile 2004, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione
per l’anno finanziario 2004 e per il triennio 2004-2006 e norme legislative
collegate – legge finanziaria 2004), nella parte in cui, modificando l’art. 1,
comma 1, lettera c), della legge
della Provincia autonoma di Bolzano 29 marzo 1983, n. 10 (Adeguamento della
misura dei canoni per le utenze di acqua pubblica), fissa l’ammontare del
canone delle concessioni per le derivazioni di acqua pubblica ad uso
idroelettrico, che sviluppano oltre 3.000 chilowatt di potenza nominale, in 24
euro per ogni chilowatt di potenza
nominale concessa o riconosciuta, stabilendo, al comma 3, la decorrenza di
detto aumento dal 1° luglio 2004. In relazione ai parametri sopra indicati, lo
stesso rimettente solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 3,
commi 1 e 2, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 29 agosto 2000, n.
13 (Disposizioni finanziarie in connessione con l’assestamento del bilancio di
previsione della Provincia di Bolzano per l’anno finanziario 2000 e per il
triennio 2000-2002 e norme legislative collegate), nella parte in cui
modificando l’art. 1, commi 1 e 2, della medesima legge prov. n. 10 del 1983,
aveva per la prima volta introdotto, a decorrere dal 1° gennaio 2000, il
criterio dell’aumento progressivo, anziché proporzionale, del canone per l’uso
idroelettrico, fissando, altresì, importi differenziati all’interno della
stessa tipologia di uso.
2.− Preliminarmente, si precisa
che il giudice rimettente è stato investito dei ricorsi promossi in appello
dalla società Azienda Energetica Spa – Etschwerke
A.G. (AE-EW) nei confronti della Provincia di Bolzano e che nelgiudizio
a quo si discute dei canoni richiesti
alla società concessionaria per gli anni 2004 e 2005 sulla base delle
disposizioni provinciali che hanno modificato, succedendosi nel tempo, la
disciplina contenuta nell’art. 1, commi 1 e 2, della legge prov. n. 10 del 1983
in materia di «Adeguamento della misura dei canoni per le utenze di acqua
pubblica», che sono, come si è detto, l’art. 29, commi 1 e 3, della legge prov.
n. 1 del 2004 per il periodo compreso tra il 1° luglio 2004 e il 31 dicembre
2005, e l’art. 3, commi l e 2, della legge prov. n. 13 del 2000, per il periodo
compreso tra il 1° gennaio e il 30 giugno 2004. 2.1.− La Provincia
autonoma di Bolzano ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per carenza
del requisito dell’incidentalità, sull’assunto che il ricorso introduttivo del
giudizio principale sarebbe direttamente rivolto a contestare le disposizioni
contenute nelle leggi provinciali n. 1 del 2004 e n. 13 del 2000 e non, invece,
gli atti con i quali l’Ufficio delle entrate ha richiesto il pagamento dei
canoni di concessione di derivazione idroelettrica in applicazione dei criteri
previsti dall’art. 1, comma 1, lettera c),
della legge prov. n. 10 del 1983, come modificato dalla normativa censurata.
L’eccezione non è fondata.
In proposito, si deve rilevare come il
giudizio a quo sia connotato da un petitum distinto e autonomo rispetto alle
questioni di legittimità costituzionale sollevate, in quanto, nel giudizio
principale, la ricorrente Azienda Energetica Spa Etschwerke
A.G. chiede, per gli importi dei canoni di cui contesta la debenza,
l’annullamento dei provvedimenti emessi dall’Ufficio Entrate della Provincia di
Bolzano e la restituzione di quanto pagato in eccedenza.
3.− Per un compiuto inquadramento
delle articolate questioni sollevate dal Tribunale superiore delle acque
pubbliche è necessario ripercorrere l’evoluzione normativa delle competenze in
materia di grandi derivazioni a scopo idroelettrico (sentenze n. 1 del 2008 e
n. 133 del 2005
di questa Corte).
Fino al decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato
alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo
1997, n. 59), relativamente alle grandi derivazioni site nel territorio delle
Regioni a statuto ordinario la competenza in materia apparteneva allo Stato, al
quale spettavano, a titolo dominicale, i canoni di concessione, in quanto le
grandi derivazioni afferivano al demanio statale. Lo statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige escludeva le grandi derivazioni dalla competenza
legislativa delle Province autonome di Trento e Bolzano (art. 9, comma 1,
numero 9, del d.P.R. n. 670 del 1972), prevedendo unicamente un coinvolgimento
procedimentale delle suddette Province, alle quali l’art. 71 del medesimo
statuto speciale attribuiva i nove decimi dei canoni riscossi per le grandi
derivazioni relative al proprio territorio. L’art. 4 del decreto legislativo 16
marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), chiariva
che il predetto art. 71 si riferiva alle concessioni relative al demanio idrico
statale, spettando alle Province autonome l’intero canone delle concessioni
relative al proprio demanio idrico.
3.1.− Il quadro normativo è mutato
con il d.lgs. n. 112 del 1998, che, all’art. 86, ha conferito alle Regioni
competenti per territorio l’intera gestione del demanio idrico, e al successivo
art. 89 ha specificato che la suddetta gestione comprende tutte le funzioni amministrative
relative alle derivazioni di acqua pubblica, alla ricerca, estrazione e
utilizzazione delle acque sotterranee, alla tutela del sistema idrico
sotterraneo, nonché alla determinazione dei canoni di concessione e
all’introito dei relativi proventi. Da tale trasferimento era rimasto
temporaneamente escluso il settore delle grandi derivazioni per uso
idroelettrico (art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 112 del 1998) in quanto, in
attesa del recepimento della direttiva 19 dicembre 1996, n. 96/92/CE (Direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio concernente norme comuni per il mercato
interno dell’energia elettrica), le concessioni continuavano ad essere
rilasciate dallo Stato secondo la procedura dell’intesa con la Regione
interessata. Successivamente, con il decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79
(Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato
interno dell’energia elettrica), e con il decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri 12 ottobre 2000 (Individuazione dei beni e delle risorse
finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire alle regioni ed
agli enti locali per l’esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi in
materia di demanio idrico), adottato ai sensi della legge 15 marzo 1997, n. 59
(Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed
enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la
semplificazione amministrativa), si è provveduto ad attuare il trasferimento
alle Regioni, a decorrere dal 1° gennaio 2001, del personale, dei mezzi ed
anche degli atti relativi agli affari pendenti in materia di derivazioni di
acque pubbliche.
3.2.− Con riferimento alla Regione
Trentino-Alto Adige, il decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463 (Norme di
attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia
di demanio idrico, di opere idrauliche e di concessioni di grandi derivazioni a
scopo idroelettrico, produzione e distribuzione di energia elettrica), ha
realizzato l’adeguamento dello statuto speciale alle innovazioni introdotte con
i decreti legislativi del 1998 e del 1999, modificando l’art. 8, comma 1,
lettera e), del d.P.R. 20 gennaio
1973, n. 115 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige in materia di trasferimento alle province autonome di Trento e di Bolzano
dei beni demaniali e patrimoniali dello Stato e della Regione), e trasferendo
il demanio idrico dello Stato.
Il d.lgs. n. 463 del 1999 ha inoltre
modificato l’art. 14 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione
dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di
urbanistica ed opere pubbliche), concernente l’ambito territoriale di
competenza per le concessioni di grande derivazione, eliminando il riferimento
allo statuto speciale della Regione.
Il d.lgs. n. 463 del 1999 ha infine
introdotto l’art. 1-bis nel corpo
delle norme di cui al d.P.R. n. 235 del 1977, che al comma 1 prevede che a
decorrere «dal 1° gennaio 2000 è delegato alle Province autonome di Trento e di
Bolzano, per il rispettivo territorio, l’esercizio delle funzioni statali in
materia di concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico», e al comma
16, rilevante nel caso di specie, prevede che «I proventi derivanti
dall’utilizzo delle acque pubbliche, ivi compresi i canoni demaniali di
concessione di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, spettano alla
provincia competente per territorio. Le concessioni di grande derivazione a
scopo idroelettrico, ivi compresi i canoni demaniali di concessione, sono disciplinati
con legge provinciale nel rispetto dell’articolo 117, secondo comma, della
Costituzione, nonché dei principi fondamentali delle leggi dello Stato e deg1i
obblighi comunitari».
3.3.− Con l’entrata in vigore
delle modifiche del Titolo V della Parte II della Costituzione, alle Regioni
ordinarie è stata attribuita la competenza concorrente in materia di
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» (art. 117, terzo
comma, Cost.). Come affermato da questa Corte nella sentenza n. 383 del
2005, 1e competenze spettanti in materia di energia alle Province autonome
di Trento e di Bolzano in base allo statuto di autonomia del Trentino-Alto
Adige sono meno ampie rispetto a quelle riconosciute nella stessa materia alle
Regioni ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., sicché le Province stesse
possono, sulla base dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), rivendicare
una propria competenza legislativa concorrente nella materia della «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» identica a quella delle
Regioni ad autonomia ordinaria. 3.4.− Con il decreto legislativo 15
aprile 2003, n. 118 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione
Trentino-Alto Adige che integrano e modificano disposizioni in materia di
concessioni di grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico), e il d.lgs. 7
novembre 2006, n. 289 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione
autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, recanti
modifiche al D.P.R. 26 marzo 1977, n. 235, in materia di concessioni di grandi
derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico), i commi 1 e 2 dell’art. 1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977 sono
stati riformulati. È stato riconosciuto alle Province autonome di Trento e di
Bolzano, per il rispettivo territorio «secondo quanto disposto dall’articolo 01
e nel rispetto degli obblighi comunitari, l’esercizio delle funzioni già esercitate
dallo Stato in materia di grandi derivazioni a scopo idroelettrico» ed è stato ribadito che «con legge provinciale, nel rispetto
degli obblighi derivanti dall’ordinamento comunitario e degli accordi
internazionali, dell’art. 117, secondo comma, della Costituzione, nonché dei
principi fondamentali delle leggi dello Stato, sono disciplinate le grandi
derivazioni di acque pubbliche a scopo idroelettrico».
4.− Quanto alla disciplina dei
canoni di concessione, l’art. 35 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775
(Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici), ha
sancito il principio di onerosità delle utenze di acqua pubblica e ha
introdotto la fondamentale distinzione, in base alla tipologia di
utilizzazione, tra derivazioni «di acqua
potabile o di irrigazione» per le quali ha fissato il canone annuo per
ogni modulo, pari a cento litri al minuto secondo, e derivazioni per forza
motrice, per le quali ha fissato il canone annuo «per ogni cavallo dinamico
nominale di forza motrice».
Secondo gli stessi criteri, l’art. 10
del decreto-legge 2 ottobre 1981, n. 546 (Disposizione in materia di imposte di
bollo e sugli atti e formalità relativi ai trasferimenti degli autoveicoli, di
regime fiscale delle cambiali accettate da aziende e istituti di credito nonché
di adeguamento della misura dei canoni demaniali), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1 della legge 1° dicembre 1981, n. 692,
nell’introdurre l’adeguamento dei canoni annui relativi alle utenze di acqua
pubblica ne ha fissato l’ammontare in relazione alle diverse utilizzazioni,
differenziando per ogni modulo di acqua (o per ettaro) ad uso di irrigazione,
ad uso potabile, igienico e simili, ad uso industriale e per pescicoltura e per
ogni chilowatt di potenza nominale concessa o riconosciuta per
uso forza motrice. Analogamente, l’art. 18 della legge 5 gennaio 1994, n. 36
(Disposizioni in materia di risorse idriche), cosiddetta «legge Galli», nel
ribadire il principio che i canoni «costituiscono
il corrispettivo per gli usi delle acque prelevate», ne harideterminato nuovamente gli importi sempre in base al
modulo, per l’uso di irrigazione, per il consumo umano, per l’uso industriale,
per la pescicoltura, e «per ogni kilowatt di potenza nominale concessa o
riconosciuta, per le concessioni di derivazione ad uso idroelettrico». Al comma
5, l’art. 18 stabiliva che, con decreto del Ministro delle finanze di concerto
con il Ministro del tesoro, sarebbero state, tra l’altro, definite le modalità
«per l’aggiornamento triennale dei canoni tenendo conto del tasso di inflazione
programmato e delle finalità di cui alla presente legge».
5.− Per la Provincia autonoma di
Bolzano, il più volte citato art. 1 della legge prov. n. 10 del 1983 ha
riprodotto i criteri fissati dalla legislazione statale, diversificando gli
importi del canone per ogni litro al secondo per l’uso potabile, domestico ed
antincendio, irriguo, per uso industriale, pescicoltura ed altro, e per ogni
chilowatt di potenza nominale
concessa o riconosciuta per l’uso idroelettrico.
L’art. 3, comma 1, della legge prov. n.
13 del 2000 ha sostituito, come si è detto, il comma 1 dell’art. 1 della legge
prov. n. 10 del 1983 e ha rideterminato gli importi del canone, per uso forza
motrice, in lire 10.500 per ogni chilowatt di potenza nominale concessa o
riconosciuta. Il comma 2 dell’art. 3 in esame, nel sostituire il comma 2
dell’art. 1 della legge prov. n. 10 del 1983, ha previsto che «A decorrere dal
1 gennaio 2000 il canone annuo per l’uso idroelettrico oltre 3.000 chilowatt è
stabilito nella misura di lire 30.000 per ogni chilowatt di potenza nominale
concessa o riconosciuta» ed ha così operato, per la prima volta, la
differenziazione del canone in base ad un criterio progressivo nell’ambito
della stessa tipologia d’uso.
L’art. 29, comma 1, della legge prov. n.
1 del 2004 ha sostituito la lettera c)
del comma 1 dell’art. 1 della legge prov. n. 10 del 1983 e − secondo gli
stessi criteri introdotti dalla legge prov. n. 13 del 2000 − ha
rideterminato i canoni per uso idroelettrico: «1) fino a 220 kW: 8,00 euro per
ogni Kilowatt di potenza nominale concessa o riconosciuta, con una quota annua
esente di 50,00 euro; 2) da 220 kW a 3.000 kW: 10 euro per ogni Kilowatt di
potenza nominale concessa o riconosciuta; 3) oltre 3.000 kW: 24 euro per ogni
Kilowatt di potenza nominale concessa o riconosciuta», stabilendo, al comma 3,
la decorrenza degli aumenti dal 1° luglio 2004.
5.1.− Sulla scia dei principi
dettati dal legislatore statale in materia di aggiornamento dei canoni, l’art.
34 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 3 maggio 1999, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione
per l’anno finanziario 1999 e per il triennio 1999-2001 e norme legislative
collegate − legge finanziaria 1999), ha introdotto il comma 13
dell’art. 1 della legge prov. n. 10 del 1983, riconoscendo la competenza della
Giunta provinciale in materia di aggiornamento dei canoni in base alle
variazioni del costo della vita secondo gli indici ISTAT.
L’art. 3, comma 3, della legge prov. n.
13 del 2000, inserendo il comma 2-bis
dell’art. 1 della legge prov. n. 10 del 1983 prevedeva che gli importi dei
canoni e dei sovracanoni potevano essere aggiornati
annualmente dalla Giunta provinciale in base alle variazioni del costo della
vita secondo gli indici ISTAT. In seguito, il comma 2-bis in esame è stato abrogato dall’art. 36 della legge prov.
Bolzano 28 luglio 2003, n. 12 (Disposizioni in connessione con l’assestamento
del bilancio di previsione della Provincia di Bolzano per l’anno finanziario
2003 e per il triennio 2003-2005).
La disciplina dell’aggiornamento del
canone continuava, dunque, ad esseredettata dal comma
13 dell’art. 1 della legge prov. n. 10 del 1983, introdotto dall’art. 34 della
legge prov. n. 1 del 1999, successivamente sostituito dall’art. 41, comma 2,
della legge prov. n. 1 del 2003, secondo cui: «Gli importi dei canoni annui e minimi per le singole utenze di acqua
pubblica possono essere aggiornati ogni biennio dalla giunta provinciale in
base alle variazioni del costo della vita secondo gli indici ISTAT. I relativi
importi vengono arrotondati per eccesso o per difetto a unità di 10 cent».
6.− Venendo all’esame delle
singole questioni, il Tribunale superiore delle acque pubbliche censura l’art.
29 della legge prov. n. 1 del 2004 e l’art. 3 della legge prov. n. 13 del 2000
in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., poiché determinando il canone
di concessione in base ad un criterio progressivo, e in modo differenziato all’interno
della stessa tipologia di uso delle acque, le disposizioni si porrebbero in
contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale di
proporzionalità del canone all’effettiva entità dello sfruttamento della
risorsa, della unicità del canone nell’ambito della stessa utilizzazione delle
acque e dell’aggiornamento biennale del canone in virtù di provvedimento
amministrativo.
6.1.– Le censure prospettate dal
rimettente devono essere valutate nel quadro della potestà normativa spettante
alla Provincia autonoma di Bolzano nella determinazione dei canoni di
concessione, che come affermato da questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 383 del 2005,
n. 8 del 2004
e n. 303 del
2003) è riconducibile, sulla base dell’art. 10 della legge costituzionale
n. 3 del 2001, alla competenza legislativa concorrente in materia di
«produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» identica a
quella spettante alle Regioni ad autonomia ordinaria, il cui esercizio deve
avvenire nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale,
come previsto dall’art. 117, terzo comma, Cost.6.2.– Si è detto che la
disciplina statale in materia di grandi derivazioni di acque pubbliche detta il
principio dell’onerosità delle concessioni, le quali sono soggette al pagamento
di un canone, definito come il «corrispettivo per gli usi delle acque
prelevate» dall’art. 18 della legge n. 36 del 1994 (cosiddetta «legge Galli»),
e avente lo scopo di ripagare la collettività per la devoluzione utilitaristica
di un bene comune. L’art. 35 del r.d. n. 1775 del 1933 (Testo unico sulle
acque) aveva stabilito, nell’ambito di ciascuna tipologia di utilizzazione, la
proporzionalità del canone alla fruizione della risorsa sulla base del modulo
(pari a cento litri al minuto secondo) per l’uso potabile e irriguo, e «per
ogni cavallo dinamico nominale di forza motrice» per l’uso delle acque come fonte diretta di produzione
dell’energia. La successiva legislazione statale non si è discostata dai
principi dettati dal testo unico, confermando, per quel che rileva nel caso in
esame, la previsione generale del canone «per ogni kilowatt di potenza nominale
concessa o riconosciuta, per le concessioni di derivazione ad uso
idroelettrico» (così l’art. 18, della
legge n. 36 del 1994, sopra citato).6.3.– Ad avviso del giudice rimettente,
dalla legislazione statale innanzi indicata deriverebbero i principi della
differenziazione dei canoni esclusivamente in base alla tipologia della
fruizione e del divieto di una tariffa progressiva nell’ambito della medesima
utilizzazione.
La censura non è fondata.
Si è già affermato che, come precisato
dal rimettente, la questione riguarda gli anni 2004/2005 e che in tale periodo
alle Province autonome già erano state trasferite le funzioni relative al
demanio idrico statale (che comprendevano la «determinazione dei canoni di
concessione» relativi «alle derivazioni di acqua pubblica») e che era stata
loro riconosciuta la potestà legislativa concorrente in tale materia. Occorre,
quindi, valutare se detta potestà legislativa era vincolata da principi
fondamentali che ostassero alle scelte effettuate.
Al riguardo, le conclusioni del
rimettente non possono essere condivise, essendo emerso, dall’esame
dell’evoluzione normativa, che i soli principi della legislazione statale, nel
cui perimetro doveva essere esercitata la potestà legislativa concorrente in
materia di energia di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., si compendiavano
nella onerosità della concessione e nella determinazione del canone in base
all’effettiva entità dello sfruttamento della risorsa idrica (sentenza della
Corte di cassazione civile, sezioni unite, 30 giugno 2009, n. 15234, in una
controversia tra la Provincia autonoma di Bolzano e la odierna società, in materia di canoni per le derivazioni
di acqua pubblica a scopo idroelettrico).
Non può, di contro, qualificarsi come
espressione di un principio fondamentale il criterio di determinazione del
canone in base ad un importo fisso e non progressivo, in quanto la legislazione
statale non vietava che un maggior uso del bene pubblico potesse essere
assoggettato a costi maggiori. La misurazione del corrispettivo dovuto per la
concessione ad uso idroelettrico costituiva una delle concrete modalità di
esercizio della potestà normativa provinciale (sentenza della Corte di
cassazione civile, sezioni unite, 11 luglio 2011, n. 15144).
Per tutte le considerazioni svolte, la
questione non è fondata, in quanto le disposizioni provinciali che hanno
fissato importi differenziati del canone all’interno della stessa tipologia di
uso idroelettrico, sulla base di una tariffa di tipo progressivo in relazione
al crescere dei chilowatt di potenza nominale concessa o riconosciuta, non
erano in contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale.
7.− Sostiene il giudice rimettente
che un altro principio fondamentale espressodalla
legislazione statale sarebbe «quello secondo cui i canoni non possono essere
aumentati indiscriminatamente, bensì aggiornati ogni certo numero di anni con
provvedimento amministrativo adottato dalla autorità amministrativa che deve
attenersi ad un criterio predeterminato, generalmente costituito dal tasso di
inflazione, o dall’aumento del costo della vita, o da simili parametri».
Non pertinente, tuttavia, si rivela il
richiamo – come se esprimesse un principio non derogabile dal legislatore
provinciale − al disposto dell’art. 1, comma 13, della legge prov. n. 10
del 1983 (introdotto dall’art. 34 della legge prov. n. 1 del 1999), come
sostituito dall’art. 41, comma 2, della legge prov. n. 1 del 2003, secondo il
quale «Gli importi dei canoni annui e
minimi per le singole utenze di acqua pubblica possono essere aggiornati ogni
biennio dalla giunta provinciale in base alle variazioni del costo della vita
secondo gli indici ISTAT», in
quanto atto pariordinato a quello che lo ha
sostituito. Per ciò che riguarda poi il contenuto di quest’ultimo, occorre
osservare che, con ogni evidenza, esso non assolve alla stessa finalità
dell’adeguamento biennale del canone in base al costo della vita, che −
all’infuori dei casi previsti dall’art. 10 del decreto-legge n. 546 del 1981, e
dall’art. 18 della legge n. 36 del 1994 − è stato sempre attuato con
provvedimento della Giunta provinciale (delibere n. 2008 del 2012, n. 177 del
2011, n. 27 del 2009, n. 4500 del 2006 e n. 4819 del 2004).
Ne consegue, anche sotto il profilo in
esame, la non fondatezza della censura.
8.− Quanto detto al paragrafo
precedente porta a ritenere del pari non fondata la censura in base alla quale
l’art. 29 della legge prov. n. 1 del 2004, intervenendo a distanza di un solo
anno da quando lo stesso legislatore provinciale aveva ribadito la regola dell’aggiornabilità biennale del canone con la legge prov. n. 1
del 2003, e disponendo, anche per le concessioni in corso, l’aumento del canone
da 15,00 euro a 24,00 euro al chilowatt per le potenze medie maggiori di 3.000
chilowatt, si porrebbe in contrasto con i principi dell’ordinamento comunitario
dell’affidamento all’invarianza dei canoni e della certezza del diritto cui il
legislatore provinciale deve uniformarsi ai sensi dell’art. 117, primo comma,
Cost., e arrecherebbe, di conseguenza, pregiudizio alla libertà di iniziativa
economica sancita dall’art. 41 Cost.
Ed, infatti, anche in questo caso la prospettazione del Tribunale rimettente si presta
all’osservazione critica di aver accomunato il criterio di determinazione del
canone dettato dalla normativa censurata, all’attività amministrativa di
competenza della Giunta provinciale, di adeguamento biennale del canone al
costo della vita.
Va poi rimarcato che, come evidenziato
al paragrafo 6, la previsione avente la funzione di consentire la misurazione
del canone non è espressione di un principio fondamentale della legislazione
statale, costituendo la modalità concreta di esercizio della potestà normativa
provinciale.
8.1.− Né può valere l’affermazione
con cui si invoca una specie di immodificabilità del
sistema tariffario, in quanto, come affermato da questa Corte, «nel nostro
sistema costituzionale non è affatto interdetto al legislatore di emanare
disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i
beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi
sia costituito da diritti soggettivi perfetti (salvo, ovviamente, in caso di
norme retroattive, il limite imposto in materia penale dall’art. 25, secondo
comma, della Costituzione). Unica condizione essenziale è che tali disposizioni
non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a
situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento del
cittadino nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale
dello Stato di diritto»(sentenza n. 264 del
2005, e, in senso conforme, sentenze n. 236 e n. 206 del 2009).
Si deve richiamare, in proposito, anche
la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, che ha
sottolineato che una mutazione dei rapporti di durata deve ritenersi
illegittima quando incide sugli stessi in modo «improvviso e imprevedibile»
senza che lo scopo perseguito dal legislatore imponga l’intervento (sentenza
del 29 aprile 2004, in cause C-487/01 e C-7/02).
In tale solco, con la sentenza n. 302 del
2010 questa Corte ha reputato legittimo l’intervento legislativo teso alla
«variazione dei criteri di calcolo dei
canoni dovuti dai concessionari di beni demaniali» e volto ad adeguare i
canoni di godimento di beni pubblici con lo scopo di consentire allo Stato una
maggiorazione delle entrate e di rendere i canoni più equilibrati rispetto a
quelli pagati a favore di locatori privati.
8.2.− Né si può ritenere che
l’effetto dell’aumento del canone prodottodalla
disposizione legislativa censurata sia giunto inaspettato, in quanto l’adozione
del criterio della graduazione del canone sulla base degli scaglioni di potenza
«non è frutto di una decisione
improvvisa ed arbitraria del legislatore, ma si inserisce in una precisa linea
evolutiva nella disciplina dell’utilizzazione dei beni demaniali» (sentenza n. 302 del
2010).
A sostegno di tale conclusione milita,
nel caso in esame, il dato storico della reiterazione nel tempo dell’intervento
normativo sospettato di illegittimità costituzionale, adottato per la prima
volta nel 2000, confermato nel 2004 e ribadito, da ultimo, dall’art. 31, comma
l, lettera a), della legge prov. 23
dicembre 2010, n. 15 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione
per l’anno finanziario 2011 e per il triennio 2011-2013 − Legge
finanziaria 2011). Quest’ultima disposizione, pur estranea al presente
giudizio, come ha affermato il rimettente, oltre ad abrogare l’art. l, comma l,
lettera c), della legge prov. n. 10
del 1983, ha contemporaneamente inserito l’art. 19-bis della legge della Provincia autonoma di Bolzano 20 luglio 2006,
n. 7 (Disposizioni in connessione con l’assestamento del bilancio di previsione
della Provincia Autonoma di Bolzano per l’anno finanziario 2006 e per il triennio
2006-2008), che al comma 2 ha previsto, ancora una volta, che «i canoni annui relativi alle utenze di acqua
pubblica per uso idroelettrico sono rideterminati in 9,65 euro per ogni
Kilowatt di potenza nominale concessa o riconosciuta fino a 220 kW, con una
quota annua esente di 50,00 euro, in 11,95 euro per ogni Kilowatt di potenza
nominale concessa o riconosciuta da 220 kW fino a 3.000 kW e in 27,15 euro per
ogni Kilowatt di potenza nominale concessa o riconosciuta oltre 3.000 kW».
Quanto precede consente di ritenere non
irragionevole l’opzione normativa di rideterminazione del canone sulla base di
fasce di utenza commisurate alla potenza nominale degli impianti di derivazione
idroelettrica, sulla quale si è assestato nel tempo il legislatore provinciale
allo scopo di attuare un maggiore prelievo al progredire della risorsa
sottratta all’uso della collettività, nell’ottica della più idonea
preservazione delle risorse idriche.
9.− Il Tribunale superiore delle
acque pubbliche solleva questione di illegittimità costituzionale dell’art. 29
della legge prov. n. 1 del 2004, e dell’art. 3, commi l e 2, della legge prov.
n. 13 del 2000, anche in quanto il legislatore provinciale avrebbe adottato
leggi provvedimento arbitrariamente e in assenza dei presupposti per legiferare
in violazione degli artt. 3 e 97 Cost., nonché per sottrarre agli interessati
il diritto, garantito dagli artt. 24 e 113 Cost., di impugnare l’aumento del
canone dinanzi al giudice ordinario o amministrativo.
9.1.− L’esame delle censure sollevate
presuppone, in primo luogo, la verifica della riconducibilità delle
disposizioni censurate alla categoria delle leggi provvedimento, che, secondo
la tesi del rimettente, sarebbero state adottate con un contenuto sostitutivo
degli atti amministrativi di adeguamento del canone disciplinati dallo stesso
legislatore provinciale.
Nella giurisprudenza costituzionale sono
state definite leggi provvedimento quelle che «contengono disposizioni dirette
a destinatari determinati» (sentenze n. 154 del 2013,
n. 137 del 2009
e n. 2 del 1997),
ovvero «incidono su un numero determinato e limitato di destinatari» (sentenza n. 94 del
2009), che hanno «contenuto particolare e concreto» (sentenze n. 20 del 2012,
n. 270 del 2010,
n. 137 del 2009,
n. 241 del 2008,
n. 267 del 2007
e n. 2 del 1997),
«anche in quanto ispirate da particolari esigenze» (sentenze n. 270 del 2010
e n. 429 del
2009), e che comportano l’attrazione alla sfera legislativa «della
disciplina di oggetti o materie normalmente affidati all’autorità
amministrativa» (sentenze n. 94 del 2009
e n. 241 del
2008).
Questa Corte ha, peraltro, da sempre
affermato la compatibilità della legge provvedimento con l’assetto dei poteri
stabilito dalla Costituzione, in quanto nessuna disposizione costituzionale
comporta una riserva agli organi amministrativi o esecutivi degli atti a
contenuto particolare e concreto (sentenze n. 275 del 2013,
n. 85 del 2013
e n. 143 del
1989), pur ribadendo, al contempo, che le leggi provvedimento devono
soggiacere ad uno scrutinio stretto di
costituzionalità, sotto i profili della non arbitrarietà e della non
irragionevolezza della scelta del legislatore (sentenze n. 20 del 2012, n. 429 del 2002
e n. 2 del 1997).
9.2.– La
censura non è fondata.
Nel senso della non ascrivibilità
delle norme provinciali in scrutinio alla categoria delle leggi provvedimento
depone, in primo luogo, la considerazione che le impugnate disposizioni in materia di determinazione dei canoni
costituiscono espressione della potestà normativa riconosciuta alla Provincia
dalla normativa di attuazione dello statuto, vale a dire dal comma 16 dell’art.
1-bis del d.P.R. n. 235 del 1977,
aggiunto dall’art. 11 del d.lgs. n. 463 del 1999, ai sensi del quale «Le
concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico, ivi compresi i canoni
demaniali di concessione, sono disciplinati con legge provinciale nel rispetto
dell’art. 117, secondo comma, della Costituzione, nonché dei principi
fondamentali delle leggi dello Stato e deg1i obblighi comunitari».
Si è, altresì, posto in luce che il
potere di determinazione dei canoni di concessione è stato esercitato dalla
Provincia nel rispetto dei principi fondamentali delle leggi dello Stato e che
la modalità di quantificazione del canone costituisce atto di esercizio di
potestà normativa, da tenere distinto dal provvedimento amministrativo di
adeguamento biennale del canone in base al costo della vita. Anche sul piano
soggettivo, infine, la platea dei destinatari è indeterminata, essendo la
disciplina provinciale rivolta a qualunque concessionario che utilizzi l’acqua
per impieghi di natura idroelettrica nell’ambito territoriale di riferimento.
9.3.– L’inquadramento dell’intervento
normativo provinciale sulla scorta delle considerazioni svolte rende ultroneo il vaglio di costituzionalità imposto dalla
giurisprudenza della Corte per gli atti aventi natura di leggi provvedimento,
non essendo configurabile né la violazione del principio di buon andamento
della pubblica amministrazione prospettata dal rimettente in relazione
all’arbitrarietà ed alla non ragionevolezza della disciplina denunciata, né la
lamentata lesione del diritto dei concessionari alla tutela giurisdizionale
dinanzi al giudice ordinario e amministrativo.
10.− Il giudice rimettente dubita,
ancora, della legittimità costituzionale dell’art. 29 della legge prov. n. 1
del 2004 e dell’art. 3, commi l e 2, della legge prov. n. 13 del 2000, in
riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’eccesso di potere in cui
sarebbe incorso il legislatore provinciale ancorando l’aumento del canone
soltanto alla quantità di acqua di
cui si consente l’utilizzazione, secondo il criterio della progressione della
potenza concessa o riconosciuta, prescindendo da altri valori o elementi
(quali, ad esempio, il diverso impatto ambientale o il diverso rendimento degli
impianti), con l’effetto di incentivare la proliferazione di piccoli impianti a
basso rendimento che risultano di maggior impatto ambientale rispetto a pochi,
grandi impianti di nuova generazione.
10.1.− La censura non è fondata.
Per quanto evidenziato nei paragrafi che
precedono, la finalità della disciplina provinciale porta ad escludereche la ragionevolezza dei criteri dettati per la
misurazione dei canoni possa essere ancorata alla valutazione di altri
elementi, quali il diverso impatto ambientale o il diverso rendimento degli
impianti, del tutto estranei all’intervento teso esclusivamente ad assicurare −
sulla base della linea di indirizzo politico-economico seguita dal legislatore
provinciale − l’adeguatezza del corrispettivo dovuto per il prelievo
della risorsa da parte del concessionario in relazione alla distrazione della
risorsa idrica dall’uso della collettività.
11.− Non è del pari fondata la
questione di legittimità costituzionale delle disposizioni provinciali per
contrasto con gli artt. 3, 41 e 120 Cost., nonché con l’art. 117, primo comma,
Cost., in relazione ai principi generali dell’ordinamento comunitario in tema
di tutela del libero commercio, della libertà di iniziativa economica e della
concorrenza.
In questo caso,il rimettente argomenta
sostenendo la portata discriminatoria delle norme censurate e gli effetti distorsivi dalle stesse prodotti sul mercato dell’energia
elettrica, sia sotto il profilo dell’indebito vantaggio che nello stesso
settore che provvede a regolamentare deriverebbe alla Provincia di Bolzano −
quale proprietaria della società SEL spa, che sarebbe il solo operatore in
grado di pagare canoni definiti esorbitanti ed alternativi alla distribuzione
degli utili a favore dell’ente proprietario − sia per il pregiudizio ai
produttori di energia operanti nel territorio provinciale, che subirebbero un
costo quasi raddoppiato rispetto a quello sostenuto dagli operatori nazionali e
delle altre Regioni.
11.1.− La prospettazione
in esame àncora il vulnus alla concorrenza, vale a dire alla lesione del diritto di
iniziativa economica, e alla libera circolazione dell’energia elettrica,
all’assunto secondo il quale le indebite differenziazioni tra operatori
pubblici e privati nell’ambito del territorio provinciale, nonché nei confronti
dei produttori di energia non gravati da un costo così elevato, deriverebbero
dallo snaturamento del canone concessorio dalla
natura di corrispettivo, attuato con le disposizioni censurate.
L’erroneità di tale approccio
ricostruttivo deriva da quanto si è rimarcato in ordine al carattere non
arbitrario dell’intervento del legislatore provinciale, in relazione alla non
irragionevolezza delle finalità perseguite nel dettare la disciplina dei canoni
concessori. Le lamentate differenze di trattamento trovano, ancora una
volta,ampia giustificazione nell’esercizio del potere determinativo con cui la
Provincia, senza violare i principi fondamentali della legislazione statale, ha
adottato i criteri per la misurazione delle prestazioni dovute dai
concessionari delle grandi derivazioni idroelettriche operanti nel proprio
territorio, criteri che − come detto al paragrafo precedente −
prescindono dalle caratteristiche dei destinatari ed hanno natura oggettiva,
essendo rapportati all’entità dell’utilizzo della risorsa idrica ed all’obbligo
di risarcire la collettività locale per la crescente devoluzione utilitaristica
di un bene comune.
12.− Ad avviso del giudice a quo, l’art. 29 della legge prov. n. 1
del 2004, e l’art. 3, commi l e 2, della legge prov. n. 13 del 2000, si
porrebbero in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost., in relazione all’art. 154 del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in quanto l’introduzione,
con legge provinciale, di un canone particolarmente gravoso rispetto a quello
applicato nel restante territorio nazionale invaderebbe la competenza esclusiva
dello Stato nelle materie «trasversali» della
tutela della concorrenza e della tutela dell’ambiente, contrastando con il
principio dell’omogeneità del canone su tutto il territorio nazionale,
disincentivando l’utilizzo delle fonti di energia rinnovabili qual è quella
idroelettrica, e provocando un aumento del costo dell’energia con effetti
riflessi in tema di concorrenza.
Il rimettente invoca anche il dettato
dell’art. 171 del d.lgs. n. 152 del 2006, in materia di determinazione del
canone idroelettrico per le grandi derivazioni in corso di sanatoria della
Regione siciliana, che dimostrerebbe quale fosse, all’epoca, l’entità del
canone medio stimato congruo dal legislatore nazionale.
12.1.− A sostegno delle suindicate censure, il Tribunale
superiore delle acque pubbliche richiama i principi affermati da questa Corte
nelle sentenze n.
142 e n. 29
del 2010, secondo cui la disciplina
della tariffa del servizio idrico integrato contenuta nell’art. 154 del d.lgs.
n. 152 del 2006 è ascrivibile, «in prevalenza, alla tutela dell’ambiente e alla
tutela della concorrenza, materie di competenza legislativa esclusiva dello
Stato». Sostiene che se attraverso la determinazione della tariffa nell’ambito
territoriale ottimale il legislatore statale ha fissato livelli uniformi di
tutela dell’ambiente, anche in riferimento alle concessioni di acqua pubblica
attribuite alla competenza concorrente della Provincia di Bolzano l’omogeneità
del canone sarebbe «finalizzata
a preservare il bene giuridico ambiente dai rischi derivanti da una disciplina
non uniforme e a garantire uno sviluppo concorrenziale del settore della
produzione idroelettrica».
12.2.− La questione non è fondata in relazione alla dedotta
violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., essendo stata prospettata sulla base di una normativa,
utilizzata come parametro interposto, che è inconferente
nel giudizio a quo.
Anche
tralasciando la questione relativa al diverso ambito di applicazione dell’art. 154 del d.lgs. n. 152 del 2006, è sufficiente
ricordare che la questione oggetto del giudizio da parte del rimettente si
riferisce − come chiarito dallo stesso Tribunale superiore laddove
precisa la non riferibilità al suo caso del novum normativo rappresentato
dalla legge prov. n. 15 del 2010 − agli anni 2004-2005 ed alla normativa
allora vigente, precedente, quindi, alla data (29 aprile 2006) in cui sono
entrate in vigore, salvo il caso di cui al successivo paragrafo 12.3., le
«Norme in materia ambientale».
12.3.− La questione è, per lo
stesso dirimente motivo, parimenti non fondata sotto i connessi profili
relativi al contrasto delle disposizioni provinciali con l’art. 171 del d.lgs.
n. 152 del 2006, ed alla disincentivazione dell’utilizzo di fonti di energia
rinnovabili paventata dal rimettente.
Non giova, invero, il richiamo all’art.
171 del d.lgs. 152 del 2006, che dettando le disposizioni per fronteggiare una
situazione specifica, e cioè «Nelle more del trasferimento alla regione Sicilia
del demanio idrico, per le grandi derivazioni in corso di sanatoria di cui
all’articolo 96, comma 6, ricadenti nel territorio di tale regione […]», fissava retroattivamente solo per tale
realtà regionale, a decorrere dal 1° gennaio 2002, il canone per le concessione
di grandi derivazioni ad uso idroelettrico in 12,00 euro per ogni chilowatt di
potenza nominale assentita. Il dato letterale e la dichiarata finalità della
previsione impediscono infatti di trarre dalla norma una generale valutazione
di retroattività della disciplina nonché di congruità del canone valevole per
tutto il territorio nazionale.
12.4.– Venendo
al dedotto contrasto delle disposizioni provinciali con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., va premesso che secondo la costante giurisprudenza di
questa Corte la nozione di concorrenza «riflette quella operante in ambito
comunitario e comprende: a) sia gli interventi regolatori che a titolo
principale incidono sulla concorrenza, quali le misure legislative di tutela in
senso proprio, che contrastano gli atti ed i comportamenti delle imprese che
incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati […]; b) sia le
misure legislative di promozione, che mirano ad aprire un mercato o a
consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata, riducendo o
eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della
competizione tra imprese, rimuovendo, cioè, in generale, i vincoli alle
modalità di esercizio delle attività economiche (ex multis: sentenze n. 270 e n. 245 del 2010,
n. 160 del 2009,
n. 430 e n. 401 del 2007)» (sentenza n. 38 del
2013). La materia «tutela
della concorrenza», per il suo carattere finalistico, non ha estensione certa e
delimitata, ma ha carattere «trasversale» in relazione «ai mercati di
riferimento delle attività economiche incise dall’intervento e in grado di
influire anche su materie attribuite alla competenza legislativa, concorrente o
residuale, delle regioni» (sentenza n. 38 del
2013 e le sentenze, ivi richiamate, n. 80 del 2006,
n. 175 del 2005,
n. 272 e n. 14 del 2004).
12.5.– Anche sotto il profilo in esame
la censura non è fondata.
Ed infatti, come si è già rilevato, con
le norme in oggetto la Provincia, nell’esercizio della propria competenza in
materia di produzione, trasporto e distribuzione di energia, ha attuato la
quantificazione del corrispettivo delle concessioni per l’utilizzazione delle
acque a scopo idroelettrico.
Va peraltro osservato che in tale
settore il legislatore statale ha espressamente affrontato l’esigenza di
tutelare la concorrenza garantendo l’uniformità della disciplina sull’intero
territorio nazionale soltanto con il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure
urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134, dettando, all’art. 37, in vigore
dal 12 agosto 2012, una serie di disposizioni che, come affermato da questa
Corte nella recente sentenza n. 28 del
2014, mirano ad agevolare l’accesso degli operatori economici al mercato
dell’energia secondo condizioni uniformi sul territorio nazionale. È, pertanto,
solo da tale data che lo Stato ha ritenuto di attrarre nell’ambito della
lettera e) del secondo comma dell’art. 117, Cost., la suddetta disciplina.
13.− La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 29 della legge prov. n. 1 del 2004 e dell’art. 3,
commi l e 2, della legge prov. n. 13 del 2000, non è fondata anche in relazione
al dedotto contrasto con le previsioni dello Statuto speciale di autonomia del
Trentino-Alto Adige (artt. 5, 9 e 13 del d.P.R. n. 670 del 1972) e con le norme
di attuazione dello statuto speciale in materia di energia (artt. 1 e 1-bis, del d.P.R. n. 235 del 1977), nonché
con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della manifesta irragionevolezza e
dell’eccesso di potere legislativo.
13.1.− Il giudice a quo muove dell’assunto che la
Provincia autonoma di Bolzano abbia legiferato in violazione della normativa di
attuazione statutaria che ha espressamente attribuito il potere di svolgere
attività nel settore elettrico agli enti locali, senza ricomprendervi le
Province autonome.
Tale ricostruzione non può essere
condivisa, poichési basa su un’interpretazione della
normativa richiamata che omette di considerare che l’art. 1 del d.P.R. n. 235
del 1977 − sostituito dall’art. 10 del d.lgs. n. 463 del 1999 −
nello stabilire che gli enti locali (Comuni e unioni di Comuni, loro consorzi o
altre forme associative previste dall’ordinamento degli enti locali, ivi
compresi gli enti di cui all’art. 7 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 279, recante
«Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige
in materia di minime proprietà colturali, caccia e pesca, agricoltura e
foreste») hanno facoltà di esercitare le attività elettriche nelle forme
previste, fa salvo quanto disposto, tra l’altro, dall’art. 1-bis − aggiunto, contestualmente,
dal medesimo d.lgs. n. 463 del 1999 − che disciplina le competenze della
Provincia in materia di canoni di concessione.
13.2.− Sotto connesso profilo, il
rimettente sottolinea che l’art. 13 dello statuto speciale riconosce alle
Province autonome una cospicua quota di energia prodotta dai concessionari di
grandi derivazioni nella forma del sovracanone, e da
ciò fa discendere il divieto implicito per la Provincia autonoma di Bolzano di
acquisire parte del valore della concessione con altra modalità.
Neppure tale approccio
può essere condiviso in ragione della diversa natura degli istituti posti a
confronto dal giudice a quo. Ed
infatti, come questa Corte ha avuto mododi rilevare a proposito della disciplina dettata dall’art. 1, comma 2-bis, della legge
prov. n. 10 del 1983 (abrogato, come si è detto, dall’art. 36 della legge prov.
n. 12 del 2003), «la disciplina dei sovracanoni non
attiene […] alla materia della utilizzazione delle acque» (sentenza n. 533 del
2002) e il solo canone ha natura di provento, «esulando la disciplina dei sovracanoni dall’ambito delle competenze provinciali»
(ordinanza n. 21
del 2004). Nello stesso solco, con la citata sentenza n. 533 del
2002, questa Corte ha posto in luce che «La giurisprudenza di legittimità ha infatti affermato che il sovracanone richiesto ad un concessionario di utenza idrica
configura una prestazione patrimoniale (così anche questa Corte con le sentenze
n. 257 del 1982
e n. 132 del
1957), non ha carattere indennitario ed è
correlato solo all’esistenza attuale e non all’uso effettivo della concessione
di derivazione, la quale costituisce così il presupposto materiale di
un’imposizione finalizzata ad integrare le risorse degli enti territoriali
interessati, nel quadro di un’esigenza di sostegno dell’autonomia locale».
Ne consegue,
pertanto, la non fondatezza della questionesotto
tutti i profili esaminati.
14.− Sempre in riferimento all’art.
1 del d.P.R. n. 235 del 1977, il Tribunale superiore delle acque pubbliche
censura entrambe le disposizioni provinciali per contrasto con l’art. 3 Cost.,
sotto il profilo dell’irragionevole disparità di trattamento, e con gli artt.
41 e 120 Cost., sostenendo che la disciplina dei canoni pregiudicherebbe
esclusivamente gli enti locali concessionari, che essendo istituzionalmente
chiamati a gestire le attività elettriche, almeno in forma prevalente, nel
territorio provinciale, non possono, di regola, delocalizzare
la produzione rispetto alle imprese private. Lamenta, inoltre, che l’aumento
del canone in misura significativamente superiore alla media nazionale
introdurrebbe un’ingiustificata discriminazione in danno dei concessionari
della Provincia autonoma di Bolzano, a favore di coloro che operano fuori dal
territorio provinciale.
14.1.− La questione non è fondata.
Si richiamano, in proposito, le
considerazioni svolte ai paragrafi 8 e 9 sulla finalità dell’intervento del
legislatore provinciale, che, nell’esercizio della potestà normativa
concorrente, è intervenuto dettando le modalità di determinazione del canone in
sintonia con il principio di corrispettività e a prescindere dalle
caratteristiche dei titolari delle concessioni.
Le presunte differenze di trattamento a discapito
degli operatori territoriali trovano, dunque, ancora una volta il loro
fondamento nel carattere oggettivo dei criteri dettati per la misurazione delle
prestazioni dovute dai concessionari delle grandi derivazioni idroelettriche.
Per il superamento delle censure relative alla discriminazione attuata in
ambito provinciale è inoltre dirimente il rilievo che i criteri adottati dalla
Provincia conducono alla quantificazione del canone concessorio
non solo in relazione all’entità della fruizione della risorsa, ma anche per
risarcire la collettività locale per la devoluzione utilitaristica di un bene
comune.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29 della legge
della Provincia autonoma di Bolzano 8 aprile 2004, n. 1 (Disposizioni per la
formazione del bilancio di previsione per l’anno finanziario 2004 e per il
triennio 2004-2006 e norme legislative collegate – Legge finanziaria 2004), e
dell’art. 3, commi 1 e 2, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 29
agosto 2000, n. 13 (Disposizioni finanziarie in connessione con l’assestamento
del bilancio di previsione della Provincia di Bolzano per l’anno finanziario
2000 e per il triennio 2000-2002 e norme legislative collegate), sollevata, in
riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale
superiore delle acque pubbliche con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29 della
legge prov. n. 1 del 2004, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 23, 41 e
117, primo comma, Cost., dal Tribunale superiore delle acque pubbliche con
l’ordinanza indicata in epigrafe;
3)
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art.
29 della legge prov. n. 1 del 2004 e dell’art. 3, commi 1 e 2, della legge
prov. n. 13 del 2000, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il
profilo dell’arbitrarietà delle norme, ed agli artt. 97, 24 e 113, Cost., dal
Tribunale superiore delle acque pubbliche con l’ordinanza indicata in epigrafe;
4) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29 della
legge prov. n. 1 del 2004 e dell’art. 3, commi 1 e 2, della legge prov. n. 13
del 2000, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il principio della
ragionevolezza della disciplina, dal Tribunale superiore delle acque pubbliche
con l’ordinanza indicata in epigrafe;
5) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29 della
legge prov. n. 1 del 2004 e dell’art. 3, commi 1 e 2, della legge prov. n. 13
del 2000, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 41 e 120 Cost., ed all’art.
117, primo comma, Cost., dal Tribunale superiore delle acque pubbliche con
l’ordinanza indicata in epigrafe;
6) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29 della
legge prov. n. 1 del 2004 e dell’art. 3, commi 1 e 2, della legge prov. n. 13
del 2000, sollevata, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere e) ed s), Cost., in relazione agli artt. 154 e 171 del d.lgs. 3 aprile
2006, n. 152, dal Tribunale superiore delle acque pubbliche con l’ordinanza
indicata in epigrafe;
7) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29 della
legge prov. n. 1 del 2004 e dell’art. 3, commi 1 e 2, della legge prov. n. 13
del 2000, sollevata, in riferimento agli artt. 1 e 1-bis del d.P.R. 26 marzo 1977, n. 235 (Norme di attuazione dello
statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di energia), agli
artt. 5, 9 e 13 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico
delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige), e in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo della manifesta
irragionevolezza e dell’eccesso di potere legislativo, dal Tribunale superiore
delle acque pubbliche con l’ordinanza indicata in epigrafe;
8) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29 della
legge prov. n. 1 del 2004 e dell’art. 3, commi 1 e 2, della legge prov. n. 13
del 2000, sollevata, in riferimento all’art. 1 del d.P.R. n. 235 del 1977,
all’art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento, ed agli
artt. 3, 41 e 120 Cost., dal Tribunale superiore delle acque pubbliche con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo
2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'1 aprile 2014.