SENTENZA N. 275
ANNO 2013
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16
(Disposizioni
urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento
e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni,
dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, promossi dal Tribunale amministrativo
regionale per il Lazio con cinque sentenze del 30 gennaio
2013, con una sentenza del 5 febbraio 2013 e
con undici sentenze ed un’ordinanza del 30
gennaio 2013, rispettivamente iscritte ai nn. 85, 86,
87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 101 e 102 del registro
ordinanze 2013 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 19 e 20, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visti gli atti di
costituzione della s.a.s. Il Bagatto di Valiani Alessandro & C., dell’Agenzia Ippica Monza
s.r.l. ed altri, della SNAI s.p.a. ed altra, dell’Agenzia Ippica Mosti s.n.c.,
della Società Bingo ed altri, della Sisal Match Point s.p.a., della Cogetech s.p.a. ed altra, della Beach Bet
s.r.l. ed altri, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza
pubblica dell’8 ottobre 2013 e nella camera di consiglio del 9 ottobre 2013 il
Giudice relatore Giancarlo Coraggio;
uditi gli avvocati
Fabio Lorenzoni per l’Agenzia Ippica Monza s.r.l. ed
altri, per la SNAI s.p.a. ed altra e per la Agenzia Ippica Mosti s.n.c.,
Annalisa Lauteri e Luigi Medugno
per la Sisal Match Point s.p.a., Filippo Lattanzi per
la Cogetech s.p.a. ed altra e per la Beach Bet s.r.l. ed altri, Raffaele Bifulco
per la Società Bingo ed altri, Paolo Mazzoli per la s.a.s. Il Bagatto di Valiani Alessandro
& C. e l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per
il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.− Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con sentenza del 30 gennaio 2013, iscritta al n. 85
del registro ordinanze
1.1.− Il rimettente premette che le ricorrenti, società titolari di
concessioni per la raccolta di scommesse ippiche, ai sensi del decreto del
Presidente della Repubblica 8 aprile 1998, n. 169 (Regolamento recante norme
per il riordino della disciplina organizzativa, funzionale e fiscale dei giochi
e delle scommesse relativi alle corse dei cavalli, nonché per il riparto dei
proventi, ai sensi dell’art. 3, comma 78, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), avevano agito in giudizio per ottenere
l’annullamento dei provvedimenti con cui l’Amministrazione autonoma dei
monopoli di Stato (di seguito AAMS) aveva richiesto il versamento
dell’integrazione dei cosiddetti minimi garantiti per gli anni dal 2006 al
2010, lamentandone l’illegittimità – oltre che per altri motivi – per
violazione e falsa applicazione dell’art. 38, comma 4, del decreto-legge 4
luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale,
per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché
interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale),
convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, nonché
dell’art. 1-bis, del decreto-legge 25
settembre 2008, n. 149 (Disposizioni urgenti per assicurare adempimenti
comunitari in materia di giochi), convertito, con modificazioni, dalla legge 19
novembre 2008, n. 184.
1.1.1.− Prosegue il Tribunale rimettente, evidenziando che nel
giudizio a quo le ricorrenti avevano
riferito che: a) secondo ciascuna convenzione di concessione il concessionario
è tenuto a versare all’Unione nazionale incremento razze equine (UNIRE) −
poi Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI) − una quota annuale
della raccolta ex art. 12 del d.P.R. n. 169 del 1998, fermo restando che, qualora essa
non raggiunga la soglia annuale dovuta, il concessionario è tenuto, ai sensi
dell’art. 4 della predetta convenzione, ad integrare i versamenti fino a
raggiungere il cosiddetto minimo garantito annuo, determinato ai sensi del
decreto interdirigenziale del 10 ottobre 2003; b) con il decreto-legge 4 luglio
2006, n. 223 il legislatore aveva previsto l’indizione di bandi di gara per
l’assegnazione di un considerevole numero di nuove concessioni per la raccolta
del gioco pubblico, sia su base ippica che sportiva, e ciò aveva determinato la
saturazione del mercato ed una drastica riduzione degli incassi dei
concessionari ricorrenti; c) anche in ragione di quanto precede, l’AAMS, con
comunicazione del 28 giugno 2007, aveva sospeso il pagamento dei minimi
garantiti per l’anno 2006; d) con provvedimenti emessi nel 2009, aveva quindi
richiesto alle società ricorrenti il pagamento dei minimi garantiti per l’anno
2008; e) tali provvedimenti erano stati impugnati innanzi al Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio, che, con la sentenza n. 7469 del 2009,
aveva accolto il ricorso, evidenziando in motivazione che i provvedimenti di
riscossione delle somme dovute a titolo di minimi garantiti non avrebbero
potuto essere adottati prima della definizione delle cosiddette misure di
salvaguardia previste dall’art. 38, comma 4, lettera l), del decreto-legge n. 223 del 2006; f) stessa sorte era toccata
ai provvedimenti con cui l’AAMS aveva richiesto i minimi garantiti per l’anno
2009; g) nonostante tali precedenti arresti giurisprudenziali,
l’amministrazione, con i provvedimenti impugnati con il ricorso principale,
aveva richiesto il versamento dei minimi garantiti per gli esercizi dal 2006 al
2010, dando atto in parte motiva dell’avvenuta convocazione di una conferenza
di servizi con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali
finalizzata alla individuazione delle "misure di salvaguardia”, e del fatto
che, all’esito di tale conferenza, si era ritenuto non possibile procedere a
tale individuazione.
1.1.2.− Riferisce ancora il giudice a quo che, con ordinanza cautelare resa in corso di causa, aveva
accolto la domanda di sospensione degli atti impugnati, poiché
l’Amministrazione era ancora inadempiente all’obbligo di adozione delle citate
misure di salvaguardia.
1.1.3.− Le ricorrenti proponevano, quindi, motivi aggiunti per
contestare la tesi, sostenuta dalla difesa erariale, secondo la quale nella sentenza
della Corte di giustizia dell’Unione
europea, 16 febbraio 2012, nelle cause riunite C-72/10 e C-77/10, Costa-Cifone, sarebbero state trattate tematiche connesse all’adozione delle misure
di salvaguardia ed evidenziavano, per contro, che ivi sarebbe stato messo in
luce come la rete del gioco lecito fosse stata di fatto penalizzata
dall’esistenza di altra rete illecita e parallela.
1.1.4.– Soggiunge il remittente che, nelle more della definizione del
giudizio, era sopravvenuto il citato art. 10, comma 5, e che, sulla scorta del
mutato quadro normativo, l’AAMS, preso atto dell’eliminazione delle misure di
salvaguardia, aveva notificato alle ricorrenti nuove richieste di pagamento
delle somme dovute a titolo di minimi garantiti, ricalcolate con una riduzione
equitativa del 5 per cento.
1.1.5.– Tali richieste erano state quindi impugnate con ulteriori motivi
aggiunti volti a fare valere la loro illegittimità per i motivi già spiegati
con il ricorso principale, nonché per asserita violazione dell’art. 10, comma
5, del decreto-legge n. 16 del
1.1.6.– L’AMMS, prosegue il rimettente, si era costituita in giudizio,
eccependo che la norma sopravvenuta non sarebbe lesiva degli interessi delle
ricorrenti, perché, anzi, risolverebbe la materia controversa, stabilendo una
misura economica delle somme dovute e non versate, e abrogando la disposizione
fonte delle misure di salvaguardia, in linea con i principi enunciati nella
citata sentenza
della Corte di giustizia Costa-Cifone del 16 febbraio
2012.
1.1.7.− Dopo avere così ricostruito i fatti di causa, il TAR Lazio
osserva, in punto di rilevanza, che il più volte citato art. 10, comma 5, nella
misura in cui impone alle amministrazioni interessate «un vero e proprio
obbligo di procedere alla definizione, anche in via transattiva, delle
controversie relative all’integrazione dei c.d. minimi garantiti», ha
determinato l’inefficacia delle precedenti richieste di pagamento impugnate con
il ricorso principale e i primi motivi aggiunti, sicché essi devono essere
dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse.
Quanto ai provvedimenti impugnati con i secondi motivi aggiunti ed
adottati dall’amministrazione in forza del predetto art. 10, comma 5, osserva
il rimettente che tale disposizione non può essere interpretata nel senso,
proposto dalle società ricorrenti, che disponga solo per il futuro e, quindi,
non debba trovare applicazione nei giudizi pendenti.
Il TAR, in altri termini, «condivide la tesi (su cui si fondano le
richieste di pagamento formulate dall’AAMS, secondo la quale – a fronte della
mancata definizione in via amministrativa delle misure di salvaguardia previste
dall’art. 38, comma 4, lettera l),
del decreto-legge n. 223 del 2006 e delle numerose controversie insorte a
seguito delle richieste di pagamento dei minimi garantiti formulate dall’AAMS
all’inizio del 2012 nonostante la mancata definizione in via amministrativa
delle predette misure di salvaguardia – il legislatore è intervenuto con una
legge provvedimento […] destinata ad incidere sulle controversie pendenti,
abrogando il meccanismo di salvaguardia previsto dall’art. 38, comma 4, lettera
l), del decreto-legge n. 223 del 2006
e sostituendo tale meccanismo con un diverso meccanismo, costituito
essenzialmente da una riduzione, predeterminata per legge in misura non
superiore al 5 per cento, delle somme ancora dovute dai concessionari a titolo
di minimi garantiti».
1.2.− Il giudice rimettente, quindi, passa ad illustrare i dubbi di
costituzionalità della disposizione impugnata.
Rammenta, in primo luogo, come la giurisprudenza costituzionale ed
amministrativa sia ormai consolidata, in punto di compatibilità costituzionale
delle anzidette leggi-provvedimento, nel ritenere che: a) esse sono
astrattamente legittime, non sussistendo nel nostro ordinamento una riserva di
amministrazione; b) i diritti di difesa del soggetto leso non vengono «ablati», ma si trasferiscono dalla giurisdizione
amministrativa a quella costituzionale, per il tramite del sindacato sulla
ragionevolezza; c) se è vero, fermo restando il limite invalicabile del
giudicato, che la mera presenza di un ricorso giurisdizionale non impedisce
l’approvazione di una legge-provvedimento, è anche vero, però, che l’eventuale
e comprovata esclusiva finalizzazione della legge alla «sottrazione
dell’oggetto del sindacato giurisdizionale» costituirebbe un indice sintomatico
della sua irragionevolezza.
Alla luce di tali considerazioni e della precedente giurisprudenza dello
stesso TAR Lazio in punto di necessità della previa adozione delle misure di
salvaguardia per l’esazione dei minimi garantiti, al rimettente la disposizione
impugnata appare illogica ed irrazionale, quindi in contrasto con il principio
di ragionevolezza (art. 3 Cost.), perché il legislatore avrebbe apprestato uno
strumento evidentemente inadeguato a tutelare l’equilibrio economico dei
concessionari storici.
Tale inadeguatezza si apprezzerebbe ancora di più considerando «il mutato
assetto del mercato delle scommesse ippiche» e la «riconfigurazione
dell’assetto distributivo territoriale dell’offerta di gioco, come ridisegnati
dalla riforma introdotta dall’art. 38 del decreto-legge n. 223 del 2006, che ha
determinato l’apertura del mercato dei giochi pubblici e l’attivazione di nuove
concessioni secondo una diffusione capillare sul territorio e con più
favorevoli condizioni di esercizio e di redditività», nonché «gli effetti del
"mercato parallelo” gestito dai centri trasmissione dati (CTD), ossia gli
effetti della presenza nel mercato italiano delle scommesse di operatori
economici di altri stati membri che agiscono attraverso i predetti CTD, in
assenza di concessione […]».
In secondo luogo, la disposizione sopravvenuta avrebbe quale unico scopo
quello di sottrarre al sindacato giurisdizionale i provvedimenti dell’AAMS
impugnati con i ricorsi principali, così vanificando il diritto alla tutela
giurisdizionale dei concessionari storici.
1.3.– Con memoria depositata il 22 maggio 2013 è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della
questione sollevata.
1.3.1.– Osserva l’interveniente che la disposizione oggetto di sindacato
di costituzionalità va vista nell’ottica complessiva dell’evoluzione normativa
che ha caratterizzato il settore economico delle scommesse ippiche; che, in
particolare, in base all’art. 2 della legge 24 marzo 1942, n. 315
(Provvedimenti per la ippicoltura) e successivamente
a norma dell’art. 6 del decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496 (Disciplina
delle attività di giuoco), la gestione dei giochi e delle scommesse sulle corse
dei cavalli e sugli eventi sportivi era riservata, rispettivamente, all’UNIRE
ed al Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), i quali potevano scegliere
tra la gestione diretta o l’affidamento a terzi e che l’UNIRE aveva affidato la
gestione alle agenzie ippiche, rinnovando le concessioni in capo ai titolari
per un periodo di oltre sessanta anni; che, come ridisciplinate
dal d.P.R. n. 169 del 1998, le nuove concessioni
erano state messe a concorso ed aggiudicate per sei anni a partire dal gennaio
2000, mentre le restanti 329 concessioni "storiche”, con decreto ministeriale
del 21 dicembre 1999, erano state rinnovate, a domanda degli interessati, fino
al 1° gennaio 2006.
Rammenta, poi, la difesa dello Stato che, a seguito di difficoltà
economiche emerse nel settore di riferimento, l’art. 8 del decreto-legge 28
dicembre 2001, n. 452 (Disposizioni urgenti in tema di accise, di gasolio per
autotrazione, di smaltimento di oli usati, di giochi e scommesse, nonché sui
rimborsi IVA, sulla pubblicità effettuata con veicoli, sulle contabilità
speciali, sui generi di monopolio, sul trasferimento di beni demaniali, sulla
giustizia tributaria, sul funzionamento del servizio nazionale della
riscossione dei tributi e su contributi ad enti ed associazioni), convertito, con modificazioni, dalla legge 27
febbraio 2002, n. 16, aveva attribuito all’amministrazione il compito di
ridefinire le condizioni economiche delle concessioni in parola e che, in
attuazione di tale disposizione, con decreti ministeriali del 6 giugno e del 2
agosto 2002 del Ministero dell’economia e delle finanze-AAMS e del Ministero delle
politiche agricole e forestali, si era provveduto in tal senso.
Ulteriori modalità di versamento dei corrispettivi erano state poi
stabilite dall’art. 8, del decreto-legge 24 giugno 2003, n. 147 (Proroga di
termini e disposizioni urgenti ordinamentali), convertito,
con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 200, e con il decreto
interdirigenziale del 10 ottobre 2003.
L’UNIRE aveva quindi provveduto a concedere una proroga delle concessioni
storiche fino al 31 dicembre 2011, mentre nel corso del 2005 quelle assegnate
con gara pubblica nel 1999 erano state rinnovate, sulla base di appositi
decreti ministeriali, fino al 30 giugno 2012.
Nel corso del
Rammenta, ancora, la difesa statale che nel 2001
Con il decreto-legge n. 223 del 2006, poi, era stato liberalizzato il
mercato delle scommesse, con l’attuazione di procedure concorsuali di rilievo
comunitario conclusesi con l’affidamento, anche ad operatori stranieri, di 158
nuove concessioni ippiche e sportive, con scadenza 30 giugno 2016, per un
totale di circa 14.000 punti aggiuntivi di raccolta.
Alla citata sentenza di condanna del 13 settembre 2007 ci si era
conformati dapprima con l’art. 4-bis
del decreto-legge, 8 aprile 2008, n. 59 (Disposizioni urgenti per l’attuazione
di obblighi comunitari e l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia
delle Comunità europee), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno
2008, n. 101, e poi con l’art. 1-bis
del decreto-legge 25 settembre 2008, n. 149 (Disposizioni urgenti per
assicurare adempimenti comunitari in materia di giochi), convertito, con
modificazioni, dalla legge 19 novembre 2008, n. 184; disposizioni, queste, che
avevano previsto l’attribuzione tramite procedura ad evidenza pubblica di
3.000negozi di gioco su base ippica. La gara si era conclusa con l’affidamento
di più di 800negozi ippici fino al 30 giugno 2016 ed alla procedura avevano
partecipato diversi concessionari storici e rinnovati, aderendo così alle nuove
disposizioni e al nuovo disciplinare di concessione, recanti un diverso sistema
di oneri economici con abbandono dei minimi garantiti.
Osserva ancora la difesa dello Stato che il punto nodale della questione
odierna sta nel fatto che la riforma realizzata dal decreto-legge n. 223 del
2006 aveva rinviato a provvedimenti attuativi, che, tra l’altro, avrebbero
dovuto provvedere alla «definizione delle modalità di salvaguardia dei
concessionari delle raccolte di scommesse ippiche disciplinate dal regolamento
di cui al d.P.R. n. 169 del 1998»: in altri termini,
«era previsto un meccanismo tendente ad un complessivo riequilibrio delle
condizioni di esercizio delle concessioni antecedenti, a fronte dell’incremento
dell’offerta di gare sul canale dell’ippica nazionale introdotto con la citata
riforma».
Sul piano sovranazionale, ancora, la
sentenza della Corte di giustizia, 6 marzo 2007, grande sezione, in causa
C-338/04, C-359/04 e C-360/04, Placanica, aveva affermato l’incompatibilità
con il diritto comunitario della normativa italiana, che «impone una sanzione
penale a soggetti quali gli imputati nelle cause principali per avere
esercitato un’attività organizzata di raccolta di scommesse in assenza della
concessione o dell’autorizzazione di polizia richieste dalla normativa
nazionale, allorché questi soggetti non hanno potuto ottenere le dette
concessioni od autorizzazioni a causa del rifiuto di tale Stato membro, in violazione
del diritto comunitario del diritto di concederle loro»: di qui una nuova
totale apertura del mercato delle scommesse ippiche, cui in precedenza non era
pervenuta nemmeno la liberalizzazione del decreto-legge n. 223 del 2006.
Decisiva, tuttavia, in questa complessa vicenda sarebbe, secondo il
Presidente del Consiglio, la sentenza della Corte di giustizia, 16 febbraio
2012, nelle cause riunite C-72/10 e C-77/10, Costa-Cifone,
che, in un’ottica di completa rilettura del sistema concessorio
vigente in Italia in materia di giochi, precluderebbe ogni ulteriore vantaggio
ai concessionari storici.
1.3.2.– Così ricapitolata l’intera evoluzione normativa del settore,
l’Avvocatura generale osserva, in primo luogo, che l’abrogazione della norma
che prevedeva le misure di salvaguardia avrebbe effetto solo per il periodo
successivo all’entrata in vigore della legge: di qui la sua irrilevanza nei
giudizi in corso.
In ogni caso la ratio
dell’intervento normativo starebbe nel fatto che «il debito a titolo di
integrazione delle quote di prelievo […] possa essere compensato con eventuali
crediti derivanti dai lodi arbitrali attivati da un gran numero di
concessionari ippici».
Infine, alla luce della citata sentenza
Costa-Cifone, l’unica misura di salvaguardia
applicabile secondo il diritto europeo sarebbe proprio la riduzione, in sede
transattiva, degli importi ancora dovuti dai concessionari a titolo di quote di
prelievo.
2.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con sentenze n.
1050 e n. 1052 del 30 gennaio 2013, rispettivamente iscritte al n. 86 ed al n.
89 del registro ordinanze
Anche in questo caso il rimettente premette di essere stato investito di
ricorsi proposti da società titolari di concessioni per la raccolta di
scommesse ippiche ai sensi del d.P.R. n. 169 del 1998
e volti ad ottenere l’annullamento dei
provvedimenti con cui l’AMMS aveva richiesto il versamento dell’integrazione
dei minimi garantiti per gli anni dal 2006 al 2010.
2.1.– Dopo avere riferito i fatti di causa, il giudice a quo illustra le ragioni della
rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, riproducendo
le motivazioni dell’analogo atto di rimessione iscritto al n. 85 del registro
ordinanze 2013.
2.2.– Con memoria depositata il 22 maggio 2013 è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della
questione sollevata ed in particolare illustrando eccezioni e difese identiche
a quelle già svolte nell’atto di intervento nel giudizio di costituzionalità
iscritto al n. 85 del registro ordinanze 2013.
3.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con le sentenze n.
1057 e n. 1049 del 30 gennaio 2013, rispettivamente iscritte ai n. 87 ed al n.
95 del registro ordinanze
Anche in questo caso il rimettente premette di essere stato investito di
ricorsi proposti da società titolari di concessioni per la raccolta di
scommesse ippiche ai sensi del d.P.R. n. 169 del 1998
e volti ad ottenere l’annullamento dei provvedimenti con cui l’AMMS aveva
richiesto il versamento dell’integrazione dei minimi garantiti per gli anni dal
2006 al 2010.
3.1.– Dopo avere riferito i fatti di causa, il rimettente illustra le
ragioni della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di
costituzionalità, prospettando le medesime motivazioni dell’analogo atto di
rimessione iscritto al n. 85 del registro ordinanze 2013.
Il TAR Lazio, tuttavia, nella parte motiva della sentenza (e non in quella
dispositiva) evoca gli ulteriori parametri di cui agli artt. 97, 111 e 117, primo
comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma
il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848
(d’ora in avanti: «CEDU»), nella misura in cui la disposizione censurata
inciderebbe sul giusto processo, privando i concessionari del diritto di agire
in giudizio «per tutelare il proprio equilibrio economico a fronte del mutato
assetto delle scommesse» ed eliminando il sindacato giurisdizionale sulla
mancata adozione delle misure di salvaguardia.
3.2.– Con memoria depositata il 22 maggio 2013 è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della
questione sollevata, ed in particolare prospettando eccezioni e difese
identiche a quelle già svolte nell’atto di intervento nel giudizio di
costituzionalità iscritto al n. 85 del
registro ordinanze 2013.
4.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con sentenza n.
1051 del 30 gennaio 2013, iscritta al n. 88 del registro ordinanze
Anche in questo caso il rimettente premette di essere stato investito di
un ricorso proposto da una società titolare di concessione per la raccolta di
scommesse ippiche ai sensi del d.P.R. n. 169 del 1998
e volto ad ottenere l’annullamento dei
provvedimenti con cui l’AMMS aveva richiesto il versamento dell’integrazione
dei minimi garantiti per gli anni dal 2006 al 2010.
4.1.– Dopo avere riferito i fatti di causa, il giudice a quo illustra le ragioni della
rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, riproponendo
le motivazioni dell’analogo atto di rimessione iscritto al n. 85 del registro
ordinanze 2013.
4.2.– Con memoria depositata il 22 maggio 2013 è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della
questione sollevata, ed in particolare prospettando eccezioni e difese
identiche a quelle già svolte nell’atto di intervento nel giudizio di
costituzionalità iscritto al n. 85 del
registro ordinanze 2013.
4.3.– Si è costituita anche la s.a.s. Il Bagatto
di Valiani Alessandro & C., ricorrente nel
giudizio principale, con atto depositato nella cancelleria di questa Corte il
22 maggio 2013.
4.4.– La società ha depositato in data 17 settembre 2013 una memoria
illustrativa per «evidenziare taluni elementi di criticità» della disposizione
scrutinata che spiegherebbe un diverso effetto sui rapporti pendenti e pro futuro, in entrambi i casi
confliggendo con diversi parametri costituzionali.
Sottolinea la società come il regime dei minimi garantiti avesse una
ragion d’essere nel momento storico in cui l’ordinamento consentiva
esclusivamente la raccolta fisica del gioco nel settore dell’ippica e
limitatamente a 899 concessionari, mentre l’apertura a nuovi operatori, alle
scommesse sportive ed all’on line,
unitamente alla previsione per i nuovi concessionari di oneri meno gravosi,
aveva condotto ad una trasformazione radicale del sistema che aveva inciso
profondamente sui flussi economici della raccolta: per questo motivo il
legislatore del 2006 aveva previsto l’introduzione delle misure di
salvaguardia, che avrebbero dovuto essere adottate dall’amministrazione sulla
base di un’adeguata ponderazione del mutato contesto, al dichiarato fine di
salvaguardare l’equilibrio economico dei concessionari storici.
Questa essendo la ratio della
norma abrogata, è evidente – prosegue la società concessionaria –
l’irragionevolezza della disposizione abrogante, che, prevedendo un meccanismo
rigido, è completamente inidonea a scongiurare il collasso del sistema e non
legifera pro futuro, con la conseguenza
di lasciare inalterato per gli anni a venire il regime dei minimi garantiti.
La disciplina introdotta dall’art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16
del 2012, inoltre, inibirebbe il sindacato giurisdizionale sulla mancata
adozione delle misure di salvaguardia e sui provvedimenti di riscossione dei
minimi garantiti, privando i concessionari delle garanzie costituzionali della
difesa ed incidendo sulla tutela giurisdizionale del cittadino nei confronti
degli atti della pubblica amministrazione.
5.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con sentenza n.
1218 del 5 febbraio 2013, iscritta al n. 90 del registro ordinanze
Anche in questo caso il rimettente premette di essere stato investito di
ricorsi proposti da società titolari di concessioni per la raccolta di
scommesse ippiche ai sensi del d.P.R. n. 169 del 1998
e volti ad ottenere l’annullamento dei provvedimenti con cui l’AMMS aveva
richiesto il versamento dell’integrazione dei minimi garantiti per gli anni dal
2006 al 2009.
5.1.– Dopo avere riferito i fatti di causa, il giudice a quo ha quindi illustrato le ragioni
della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di
costituzionalità, riproponendo le motivazioni dell’analogo atto di rimessione
iscritto al n. 85 del registro ordinanze 2013.
5.2.– Con memoria depositata il 22 maggio 2013 è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della
questione sollevata, ed in particolare prospettando eccezioni e difese
identiche a quelle già svolte nell’atto di intervento nel giudizio di
costituzionalità iscritto al n. 85 del
registro ordinanze 2013.
5.3.– Si sono costituite 46 società concessionarie, ricorrenti nel
giudizio principale, con atto depositato nella cancelleria della Corte il 28
maggio 2013, evidenziando, in primis,
come la materia del contendere concerna i termini di esigibilità di una
peculiare componente economica del sinallagma concessorio:
i c.d. minimi garantiti, cioè l’obbligazione di versare all’erario un importo
certo, predeterminato e comunque garantito nel minimo, salvi maggiori esiti di
redditività proporzionati alla massa di gioco raccolto dagli scommettitori.
5.3.1.– Osservano le società come il minimo garantito, in origine, fosse
stato predeterminato in maniera sostanzialmente indifferente rispetto al
generale andamento della raccolta di gioco, costituendo una soglia di garanzia
nei casi di patologica flessione della raccolta imputabili a inadeguata
capacità operativa del singolo concessionario.
5.3.2.– Il mercato di settore presupposto da tale regolamentazione –
proseguono le società – negli ultimi anni è stato tuttavia sconvolto da un
andamento decrescente della raccolta, in ragione, da un lato, degli sviluppi
tecnologici innovativi che hanno introdotto nuovi canali telematici di raccolta
e, dall’altro, dell’avvento di nuove forme di gioco.
Tale mutamento del mercato avrebbe «trasfigurato la natura stessa del
minimo garantito, dato che nessun operatore riesce più a raggiungere la soglia
fisiologica della raccolta e il minimo garantito da essere una misura limite di
correzione di sporadiche situazioni individuali di occasionale criticità si
viene a configurare come una generalizzata pura fonte di prelievo erariale
indifferente alla capacità di raccolta».
5.3.3.– Più precisamente, proseguono le concessionarie, a partire dal 2002
ed alle prime avvisaglie di un significativo scostamento tra l’andamento del
mercato programmato e quello meno roseo riscontrato nel concreto, era stata
operata, dal decreto interdirettoriale del 6 giugno 2002, una prima
ridefinizione dei criteri di computo del minimo garantito in senso più «oggettivizzato»: l’importo dovuto era parametrato alla
raccolta media provinciale.
La disciplina del corrispettivo della concessione era stata poi modificata
nel corso del 2006, quando vennero a sovrapporsi, da un lato, il rinnovo delle
concessioni aggiudicate nel 2000 e, dall’altro, l’entrata in vigore del
decreto-legge n. 223 del 2006, di riforma del mercato della raccolta di giochi
pubblici, comportante l’apertura di diverse migliaia di nuovi punti vendita
diffusi sul territorio.
All’atto del rinnovo dei rapporti concessori instaurati nel 2000 e
soltanto pochi mesi prima della predetta apertura massiccia del mercato, i
concessionari avevano quindi stipulato appositi atti convenzionali integrativi,
che, all’art. 4, comma 3, prevedevano un nuovo meccanismo di commisurazione dei
minimi garantiti, sganciandolo dalla somma offerta in sede di gara e sancendo
la regola della garanzia del prelievo dell’anno precedente, in modo da
sterilizzare per l’erario il crollo dei volumi di raccolta registrato anno su
anno.
5.3.4.– Sottolineano ancora le società come l’effetto distorsivo del
minimo garantito sia conseguito non solo al crollo del mercato ma anche e
soprattutto alla riconfigurazione della rete distributiva territoriale degli
esercizi pubblici di raccolta ad opera della riforma realizzata nel 2006: non
solo si è ridotto il volume di gioco in assoluto, ma è stato frazionato in una
rete di concessionari che alle 800 agenzie preesistenti ha visto aggiungersi
ulteriori 8.077 punti di vendita.
Proprio in ragione di tale mutamento epocale del mercato di riferimento il
legislatore dell’epoca aveva imposto all’amministrazione di riconsiderare la
situazione dei concessionari preesistenti, adottando nei loro confronti
specifiche «modalità di salvaguardia».
Lamentano le società concessionarie che tale precetto normativo in realtà
non sia mai stato osservato dall’amministrazione, il cui silenzio rispetto
all’obbligo di individuazione delle misure di salvaguardia aveva ingenerato un
articolato contenzioso davanti al giudice amministrativo.
Il TAR Lazio, infatti, sempre secondo le parti private, era intervenuto,
in prima battuta, ad annullare le richieste di integrazioni dei minimi
garantiti per il 2006 ed il 2007; poi aveva accolto i ricorsi di alcuni
concessionari volti all’accertamento dell’obbligo della pubblica amministrazione
di adottare le misure di salvaguardia ed alla conseguente condanna a
provvedere; erano quindi seguite numerose altre pronunce di annullamento delle
richieste di pagamento per gli anni 2008 e 2009, tutte incentrate sulla
necessità della previa adozione delle misure di salvaguardia; l’ultimo capitolo
della vicenda era rappresentato proprio dai ricorsi proposti dai concessionari
per ottenere l’annullamento delle ulteriori richieste di pagamento per il
quinquennio 2006-2011.
5.3.5.– Ciò premesso in punto di fatto e di ricostruzione del quadro
normativo, le società aderiscono alle considerazioni già svolte dal giudice
rimettente in punto di rilevanza della questione di costituzionalità, avendo la
norma impugnata inciso sulla loro pretesa, giudizialmente avanzata, di
condizionare il richiesto pagamento dei minimi garantiti alla previa adozione
delle predette misure di salvaguardia.
5.3.6.– Nel merito le società concessionarie deducono in primo luogo che,
con l’art. 10, comma 5, citato, il legislatore, da un lato, ha violato il
fondamentale limite esterno all’utilizzo delle leggi-provvedimento,
rappresentato dall’incisione su situazioni soggettive coperte da giudicato,
dall’altro, ha sacrificato il loro diritto ad una tutela giurisdizionale piena
ed effettiva (artt. 24, 111 e 113 Cost.), al contempo incidendo sulle
prerogative di pieno e libero esercizio del potere giurisdizionale da parte del
giudice amministrativo (artt. 101 e 103 Cost.).
La sostanziale vanificazione della tutela già apprestata dal legislatore
del 2006 con le misure di salvaguardia sarebbe resa evidente dalla «concreta
sostanza delle misure transattive sopravvenute», ovverosia dall’esiguità dello
«sconto» fissato dal legislatore (peraltro con una palese discriminazione
rispetto ai nuovi concessionari non tenuti al pagamento del minimo garantito).
La predetta esiguità e l’incongruenza del risultato rispetto agli
obiettivi prefissati, poi, da un lato, sarebbero misura di irragionevolezza ed
irrazionalità della norma, in violazione dell’art. 3 Cost., dall’altro,
azzerando i margini di utile dei concessionari ed espellendoli dal settore,
determinerebbero minori guadagni per l’amministrazione, con conseguente
violazione anche del principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.
Il minimo garantito, non accompagnato da ragionevoli misure di
salvaguardia, si configurerebbe, infine, come «un generalizzato e diffuso
obbligo dell’operatore a versare ingenti somme all’erario […] anche oltre la
soglia di redditività della raccolta, e quindi come forma di prelievo forzoso
del tutto sganciato dal benché minimo parametro di capacità contributiva […] »:
di qui la violazione anche degli artt. 53, 41 e 43 Cost.
Le società concessionarie, quindi, hanno concluso chiedendo alla Corte di dichiarare
l’illegittimità costituzionale della norma impugnata per contrasto con gli
artt. 3, 24, primo comma, 41, 43, 53, 97, 103, primo comma, 111, 113 e 117,
primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della CEDU.
5.3.7.– Le società hanno depositato in data 16 settembre 2013 una memoria
illustrativa, ribadendo le deduzioni già svolte nell’atto di intervento ed in
particolare sottolineando come il mutamento radicale dello scenario economico e
normativo del mercato delle scommesse abbia determinato l’insostenibilità
economica dei minimi garantiti sganciati dall’adozione di misure di
salvaguardia, finendo con «l’elidere lo stesso margine di corrispettività
connaturata allo schema contrattuale di concessione».
6.− Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con sentenza
n. 1065 del 30 gennaio 2013, iscritta al n. 91 del registro ordinanze
Anche in questo caso il rimettente premette di essere stato investito di
ricorsi proposti da società titolari di concessioni per la raccolta di
scommesse ippiche ai sensi del d.P.R. n. 169 del 1998
e volti ad ottenere l’annullamento dei provvedimenti con cui l’AMMS aveva
richiesto il versamento dell’integrazione dei minimi garantiti per gli anni dal
2006 al 2010.
6.1.– Dopo avere riferito i fatti di causa, il TAR Lazio illustra le
ragioni della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di
costituzionalità, parzialmente riportando le motivazioni dell’analogo
atto di rimessione iscritto al n. 85 del registro ordinanze 2013.
Con tale atto di promovimento, in punto di ragionevolezza, risulta altresì
dedotto che «la misura stabilita direttamente dal legislatore […] appare del
tutto slegata dalla realtà fattuale, tanto che nemmeno dagli atti parlamentari
è possibile capire quale tipo di istruttoria sia stata compiuta».
Né appare al rimettente che la necessità, richiamata dalla difesa statale,
di adeguarsi ai principi di parità di trattamento e di tutela della concorrenza
di matrice comunitaria sia incompatibile con la «riduzione ad equità» delle
condizioni delle convenzioni accessive alle
cosiddette concessioni storiche; l’individuazione del punto di equilibrio tra
un eventuale vantaggio competitivo goduto in passato dai titolari di
concessioni e l’attuale assetto del mercato avrebbe dovuto essere, a giudizio
del rimettente, frutto, quantomeno, di una compiuta analisi, di cui non vi è
alcuna traccia.
Il giudice a quo, nel ribadire,
con le medesime argomentazioni di cui agli altri atti di rimessione sopra
indicati, l’incidenza della norma sospettata d’incostituzionalità sui diritti
dei concessionari e sull’esercizio della funzione giurisdizionale, aggiunge che
tale intervento violerebbe anche il principio del giusto processo di cui agli
artt. 111 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della
CEDU.
6.2.– Con memoria depositata il 22 maggio 2013 è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della
questione sollevata, ed in particolare prospettando eccezioni e difese
identiche a quelle già svolte nell’atto di intervento nel giudizio di
costituzionalità iscritto al n. 85 del registro ordinanze 2013.
6.3.– Si sono costituite tre delle società concessionarie ricorrenti nel
giudizio principale, con atto depositato nella cancelleria della Corte il 28
maggio 2013, aderendo alle censure di incostituzionalità sollevate dal giudice
rimettente.
6.4.– Le società hanno quindi depositato in data 17 settembre 2013 una
memoria illustrativa volta, in primo luogo, a delineare l’evoluzione del quadro
normativo di riferimento dal 1996 al 2012, come già fatto dalle intervenienti
nel giudizio di costituzionalità iscritto al n. 90 del registro ordinanze 2013.
Le concessionarie hanno poi dedotto l’irragionevolezza ed arbitrarietà
della legge-provvedimento censurata, che sarebbe volta ad eludere un precedente
giudicato del giudice amministrativo e a incidere su procedimenti in corso.
Hanno evidenziato, in particolare, come dalle schede di lettura di
accompagnamento al disegno di legge «A.A. n. 3184» si evincano palesi le reali
intenzioni del legislatore, ossia quella di sottrarre ai concessionari,
mediante l’eliminazione delle misure di salvaguardia, «l’elemento che ne
determinò la vittoria in giudizio con sentenza del TAR Lazio della II sezione –
Roma 7 novembre 2011», e ancora quella di «concludere una vicenda relativa ai
minimi garantiti dai concessionari delle scommesse ippiche, in relazione a cui
esistono diverse pronunce di lodo arbitrale, sfavorevoli all’amministrazione
pubblica, per le quali è stato proposto appello».
Sempre in punto di irragionevolezza, hanno altresì sottolineato che la
novella, non solo ha sostituito le misure di salvaguardia con un irrisorio
sconto del 5 per cento sulle somme dovute per il passato, ma ha anche, pro futuro, implicitamente escluso
qualsiasi altra misura a tutela dei concessionari, che quindi si vedranno
esposti al versamento in misura integrale dei minimi garantiti.
A sostegno delle proprie tesi, poi, le parti private hanno ricordato come
l’adozione delle misure di salvaguardia sia necessaria «in considerazione del
mutamento radicale della situazione di mercato dei vecchi concessionari» e
della profonda crisi del mercato delle scommesse ippiche, testimoniata dal
rapporto Nomisma, Osservatorio gioco & giovani, dalle relazioni annuali
dell’AAMS degli anni 2008 e 2009, ed infine dall’annuario statistico di ASSI
relativo al 2010, da cui emergerebbe, in particolare, nel quinquennio dal 2005
al 2010, una perdita in termini di volume di gioco pari al 54,21 per cento.
Evidente sarebbe l’irragionevolezza della riduzione fino al 5 per cento a
fronte di tale drastico calo del volume di gioco e della circostanza che esso,
a far data dal 2007, è stato ripartito non più tra 928 operatori ma tra un
novero di punti vendita comprensivo dei nuovi 13.600 punti accettazione immessi
sul mercato ai sensi della riforma del 2006.
Una situazione del genere, proseguono le intervenienti, rafforza la
profonda discriminazione tra i vecchi ed i nuovi concessionari, che non sono
tenuti a versare alcuna somma a titolo di minimi garantiti ma solo un canone di
concessione annuale a base fissa.
La disposizione oggetto di scrutinio di costituzionalità sarebbe, infine,
in palese contrasto con la giurisprudenza della Corte costituzionale e della
Corte europea dei diritti dell’uomo in punto di giusto processo e divieto di
interferenza sui procedimenti in corso, non sussistendo alcuna «ragione
imperativa di interesse generale» atta a giustificare l’ingerenza dello Stato
nei procedimenti in cui esso è parte, se non quella meramente economica di
riscuotere le somme richieste a titolo di minimi garantiti o comunque
compensare con lo «sconto» i propri debiti derivanti dai lodi arbitrali.
7.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con sentenza n.
1054 del 30 gennaio 2013, iscritta al n. 92 del registro ordinanze
Anche in questo caso il rimettente premette di essere stato investito di
un ricorso proposto da una società titolare di concessioni per la raccolta di
scommesse ippiche ai sensi del d.P.R. n. 169 del 1998
e volto ad ottenere l’annullamento dei provvedimenti con cui l’AMMS aveva
richiesto il versamento dell’integrazione dei minimi garantiti per gli anni dal
2006 al 2010.
7.1.– Dopo avere riferito i fatti di causa, il rimettente illustra le
ragioni della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di
costituzionalità, riproponendo le motivazioni dell’analogo atto di rimessione
iscritto al n. 91 del registro ordinanze 2013.
Il giudice a quo, tuttavia,
nella parte motiva della sentenza (e non in quella dispositiva) evoca gli
ulteriori parametri di cui agli artt. 97, 111 e 117, primo comma, Cost., in
relazione all’art. 6 della CEDU, nella misura in cui la disposizione censurata
inciderebbe sul giusto processo, privando i concessionari del diritto di agire
in giudizio «per tutelare il proprio equilibrio economico a fronte del mutato
assetto delle scommesse» ed eliminando il sindacato giurisdizionale sulla
mancata adozione delle misure di salvaguardia.
7.2.– Con memoria depositata il 22 maggio 2013 è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della
questione sollevata, ed in particolare prospettando eccezioni e difese
identiche a quelle già svolte nell’atto di intervento nel giudizio di
costituzionalità iscritto al n. 85 del registro ordinanze 2013.
7.3.– Si è costituita
7.4.– La società ha depositato in data 17 settembre 2013 una memoria
illustrativa contenente le medesime deduzioni svolte dalle concessionarie nel
giudizio di costituzionalità iscritto al n. 90 del registro ordinanze 2013.
8.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con sentenza n.
1055 del 30 gennaio 2013, iscritta al n. 93 del registro ordinanze
Anche in questo caso il rimettente premette di essere stato investito di
un ricorso proposto da una società titolare di concessioni per la raccolta di
scommesse ippiche ai sensi del d.P.R. n. 169 del 1998
e volto ad ottenere l’annullamento dei provvedimenti con cui l’AMMS aveva
richiesto il versamento dell’integrazione dei minimi garantiti per gli anni dal
2006 al 2010.
8.1.– Dopo avere riferito i fatti di causa, il rimettente illustra le
ragioni della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità,
riproponendo le motivazioni dell’analogo atto di rimessione iscritto al n. 92
del registro ordinanze 2013.
8.2.– Con memoria depositata il 22 maggio 2013 è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della
questione sollevata, ed in particolare prospettando eccezioni e difese
identiche a quelle già svolte nell’atto di intervento nel giudizio di
costituzionalità iscritto al n. 85 del registro ordinanze 2013.
8.3.– Si è costituita
8.4.– La concessionaria ha quindi depositato in data 16 settembre 2013 una
memoria illustrativa volta a ricostruire, in primo luogo, le vicende
processuali su cui si è innestato il giudizio incidentale di costituzionalità.
In punto di non manifesta infondatezza, ha poi dedotto l’illegittimità
costituzionale della norma censurata, in quanto diretta ad incidere
sull’esercizio in corso della funzione giurisdizionale, a mezzo di una
regolamentazione arbitraria e irrazionale, secondo le medesime traiettorie
argomentative sviluppate dal giudice rimettente.
9.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con ordinanza n.
1056 del 30 gennaio 2013, iscritta al n. 94 del registro ordinanze
Anche in questo caso il rimettente premette di essere stato investito di
ricorsi proposti da società titolari di concessioni per la raccolta di
scommesse ippiche ai sensi del d.P.R. n. 169 del 1998
e volti ad ottenere l’annullamento dei provvedimenti con cui l’AMMS aveva
richiesto il versamento dell’integrazione dei minimi garantiti per gli anni dal
2006 al 2010.
9.1.– Dopo avere riferito i fatti di causa, il rimettente illustra le
ragioni della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di
costituzionalità, riproponendo le motivazioni dell’analogo atto di rimessione
iscritto al n. 92 del registro ordinanze 2013.
9.2.– Con memoria depositata il 22 maggio 2013 è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della
questione sollevata, ed in particolare prospettando eccezioni e difese
identiche a quelle già svolte nell’atto di intervento nel giudizio di
costituzionalità iscritto al n. 85 del registro
ordinanze 2013.
9.3.– Si sono costituite
9.4.– Le società concessionarie hanno quindi depositato in data 17
settembre 2013 una memoria illustrativa contenente le medesime deduzioni svolte
dalle parti private nel giudizio di costituzionalità iscritto al n. 90 del
registro ordinanze 2013.
10.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con sentenza n.
1058 del 30 gennaio 2013, iscritta al n. 96 del registro ordinanze
Anche in questo caso il rimettente premette di essere stato investito di
ricorsi, da parte di società titolari di concessioni per la raccolta di
scommesse ippiche ai sensi del d.P.R. n. 169 del
1998, volti ad ottenere l’annullamento
dei provvedimenti con cui l’AMMS aveva richiesto il versamento
dell’integrazione dei minimi garantiti per gli anni dal 2006 al 2010.
10.1.– Dopo avere riferito i fatti di causa, il rimettente illustra le
ragioni della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di
costituzionalità, riproponendo le motivazioni dell’analogo atto di rimessione
iscritto al n. 91 del registro ordinanze 2013.
10.2.– Con memoria depositata il 22 maggio 2013 è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza
della questione sollevata, ed in particolare prospettando eccezioni e difese
identiche a quelle già svolte nell’atto di intervento nel giudizio di
costituzionalità iscritto al n. 85 del registro ordinanze 2013.
10.3.– Si sono costituite alcune delle ricorrenti nel giudizio innanzi al
TAR, con atto depositato nella cancelleria della Corte il 4 giugno 2013,
aderendo alle censure di incostituzionalità sollevate dal giudice rimettente.
Le società richiamano i fatti e le vicende giudiziarie precedenti
l’adozione della norma sospettata di incostituzionalità, evidenziando, in
particolare, che dal
Proseguono le concessionarie sottolineando come le mai adottate misure di
salvaguardia fossero state pensate, unitamente al correttivo delle distanze
minime, proprio per eliminare l’evidente sperequazione tra i concessionari
storici e i nuovi.
Nel ripercorrere adesivamente le considerazioni
svolte dal giudice rimettente prima in punto di rilevanza e poi di non
manifesta infondatezza, le società ricorrenti prospettano le medesime
considerazioni in diritto svolte dalle società nel giudizio iscritto al n. 91
del registro ordinanze 2013.
11.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con le sentenze nn. 1059, 1060, 1063 (non definitive), 1061 e 1062 del 30
gennaio 2013, rispettivamente iscritte ai nn. 97, 98,
101, 99 e 100 del registro ordinanze
Anche in questo caso il rimettente premette di essere stato investito di
ricorsi proposti da società titolari di concessioni per la raccolta di
scommesse ippiche ai sensi del d.P.R. n. 169 del 1998
e volti ad ottenere l’annullamento dei
provvedimenti con cui l’AMMS aveva richiesto il versamento dell’integrazione
dei minimi garantiti per gli anni dal 2006 al 2010.
11.1.– Dopo avere riferito i fatti di causa, il rimettente illustra le
ragioni della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di
costituzionalità, riproponendo le motivazioni dell’analogo atto di rimessione
iscritto al n. 91 del registro ordinanze 2013.
11.2.– Con memoria depositata il 30 maggio 2013 è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza
della questione sollevata, ed in particolare prospettando eccezioni e difese
identiche a quelle già svolte nell’atto di intervento nel giudizio di
costituzionalità iscritto al n. 85 del registro ordinanze 2013.
12.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con sentenza non
definitiva n. 1064 del 30 gennaio 2013, iscritta al n. 102 del registro
ordinanze
Anche in questo caso il rimettente premette di essere stato investito di
ricorsi proposti da società titolari di concessioni per la raccolta di
scommesse ippiche ai sensi del d.P.R. n. 169 del 1998
e volti ad ottenere l’annullamento dei provvedimenti con cui l’AMMS aveva
richiesto il versamento dell’integrazione dei minimi garantiti per gli anni dal
2006 al 2010.
12.1.– Dopo avere riferito i fatti di causa, il rimettente illustra le
ragioni della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di
costituzionalità, riproponendo le motivazioni dell’analogo atto di rimessione
iscritto al n. 91 del registro ordinanze 2013.
12.2.– Con memoria depositata il 30 maggio 2013 è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza
della questione sollevata, ed in particolare prospettando eccezioni e difese
identiche a quelle già svolte nell’atto di intervento nel giudizio di
costituzionalità iscritto al n. 85 del registro ordinanze 2013.
12.3.– Si sono costituite alcune delle ricorrenti nel giudizio a quo, con atto depositato nella
cancelleria della Corte il 4 giugno 2013, aderendo alle censure di
incostituzionalità sollevate dal giudice rimettente e svolgendo difese e deduzioni
identiche a quelle svolte dalle società costituite nel giudizio iscritto al n.
96 del registro ordinanze 2013.
Considerato in diritto
1.– Sono sottoposti all’esame della Corte diciotto atti di rimessione iscritti ai nn.
85, 86, 87, 88, 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 101 e 102
del registro ordinanze 2013,
con i quali il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 5,
del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni
tributarie, di efficientamento e potenziamento delle
procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dalla legge 26
aprile 2012, n.
Tutti gli atti di rimessione hanno ad oggetto la stessa
disposizione, censurata con argomentazioni in larga misura coincidenti, e, quindi,
va disposta la riunione dei giudizi.
2.– I ricorsi proposti dinanzi al TAR Lazio da società titolari
di concessioni per la raccolta di scommesse ippiche ai sensi del decreto del
Presidente della Repubblica 8 aprile 1998, n. 169 (Regolamento recante norme
per il riordino della disciplina organizzativa, funzionale e fiscale dei giochi
e delle scommesse relativi alle corse dei cavalli, nonché per il riparto dei
proventi, ai sensi dell’art. 3, comma 78, della legge 23 dicembre 1996, n. 662)
sono volti ad ottenere l’annullamento dei provvedimenti con cui
l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) aveva richiesto, prima
dell’entrata in vigore dell’art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16 del
2012, il versamento dell’integrazione
dei cosiddetti minimi garantiti per gli anni dal 2006 al 2010.
Il Tribunale sospendeva l’efficacia dei provvedimenti impugnati,
osservando come l’amministrazione avesse richiesto il pagamento senza la previa
adozione delle misure di salvaguardia (rectius: modalità di salvaguardia), previste dall’art. 38,
comma 4, lettera l), del
decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio
economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa
pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione
fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, la
cui imprescindibilità, ai fini dell’esazione dei crediti in questione, era
stata affermata in numerosi precedenti dello stesso TAR Lazio.
Questa norma, infatti, sul presupposto dell’esistenza di uno squilibrio
economico, provocato nei rapporti concessori in questione dall’apertura del
mercato delle scommesse ippiche a nuovi concessionari, e dalla nascita del
"mercato parallelo” gestito dai centri di trasmissione dati (CTD), prevedeva
che, con provvedimenti del Ministero delle finanze − AAMS, fossero
stabilite le nuove modalità di distribuzione del gioco su base ippica, nel
rispetto dei seguenti criteri: «definizione delle modalità di salvaguardia dei
concessionari della raccolta di scommesse ippiche disciplinate dal regolamento
di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 8 aprile 1998, n. 169»
(i cosiddetti concessionari storici).
Nelle more dei giudizi sopravveniva la disposizione sospettata d’incostituzionalità,
secondo cui, «al fine di perseguire maggiore efficienza ed economicità
dell’azione nei settori di competenza, il Ministero dell’economia e delle
finanze − Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, il Ministero
delle politiche agricole alimentari e forestali e l’Agenzia per lo sviluppo del
settore ippico − ASSI, procedono alla definizione, anche in via
transattiva, sentiti i competenti organi, con abbandono di ogni controversia
pendente, di tutti i rapporti controversi nelle correlate materie e secondo i
criteri di seguito indicati; […] b) relativamente alle quote di prelievo di cui
all’art. 12 del d.P.R.
n. 169 del 1998, ed alle relative integrazioni, definizione, in via
equitativa, di una riduzione non superiore al 5 per cento delle somme ancora
dovute dai concessionari di cui al citato decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 1998 con individuazione delle modalità di
versamento delle relative somme e adeguamento delle garanzie fideiussorie». La
disposizione conclude poi: «Conseguentemente, all’articolo 38, comma 4, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223,
convertito, con modificazioni, dalla legge
4 agosto 2006, n. 248, la
lettera l) è soppressa».
È in applicazione di queste norme che
l’amministrazione chiedeva nuovamente il pagamento dei minimi garantiti con la
riduzione del 5 per cento per gli anni dal 2006 al 2011 e le relative
ingiunzioni venivano impugnate dalle società concessionarie con motivi
aggiunti, a seguito dei quali il TAR Lazio, con diciassette "sentenze” (rectius:
ordinanze), ha sollevato le indicate questioni di legittimità costituzionale.
Anche l’ordinanza di rimessione iscritta al n. 94 del 2013 è stata emessa
nel corso di un giudizio promosso da società titolari di concessioni ai sensi
del d.P.R. n. 169 del 1998, ma avente ad oggetto
l’annullamento dei soli provvedimenti emessi dall’AMMS in applicazione della
citata disposizione di cui all’art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16 del 2012.
2.1.– La tesi di fondo comune a tutti gli atti di
promovimento è che il legislatore avrebbe sostituito, con legge-provvedimento
avente efficacia retroattiva, le modalità di salvaguardia con un nuovo
meccanismo che, alla luce della giurisprudenza costituzionale elaborata con
riferimento a questo tipo di leggi, sarebbe illogico e irrazionale perché in
contrasto con il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.).
In particolare, si contesta che il potere di riduzione dei minimi
garantiti sia configurato con il limite del cinque per cento, laddove nel
sistema precedente non era previsto alcun tetto, «dando per scontata l’esigenza
di parametrare le misure di salvaguardia all’andamento del mercato delle
scommesse». In tal modo, sempre secondo il Tribunale rimettente, si renderebbe
impossibile adeguare i rapporti concessori in questione al mutamento del
mercato delle scommesse ippiche.
2.2.– Il TAR censura la disposizione oggetto di scrutinio anche per
illegittima interferenza sui procedimenti in corso.
Deduce al riguardo la violazione degli artt. 24, primo comma, 103, primo
comma, e 113 Cost., con riferimento ai «principi in materia di tutela
giurisdizionale avverso i provvedimenti dell’amministrazione», cui si aggiunge
l’evocazione, in alcuni atti di rimessione, degli artt. 111 e 117, primo comma,
Cost., in relazione al principio del giusto processo previsto dall’art. 6 della
CEDU.
Sostiene il rimettente che scopo unico della disposizione sarebbe in
realtà «quello di sottrarre i provvedimenti già impugnati con il ricorso
principale al sindacato giurisdizionale. Ne consegue che essa vanifica il
diritto dei concessionari storici di agire in giudizio per tutelare il proprio
equilibrio economico a fronte del mutato assetto del mercato delle scommesse ed
integra, altresì, la violazione del diritto al giusto processo, quale consacrato
nell’art. 111 della Costituzione e nell’art. 6 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali […]».
3.– Preliminarmente si deve rilevare che dei diciotto
atti di promovimento uno solo ha forma di ordinanza (quello iscritto al n. 94 del registro
ordinanze 2013), mentre gli altri hanno la veste di sentenza ed alcune recano
l’indicazione «non definitiva».
Le sentenze sono,
peraltro, tutte non definitive: con esse, infatti, il Tribunale amministrativo
non si è spogliato integralmente delle controversie, ma, dichiarati
improcedibili i ricorsi aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti
adottati sotto il vigore della precedente normativa, ha poi sollevato questione
di costituzionalità dell’art. 10, comma 5, del decreto-legge n. 16 del 2012,
sospendendo i giudizi per la parte rimanente.
È noto tuttavia che,
secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la circostanza che gli atti
di promovimento abbiano la forma di sentenza anziché di ordinanza non comporta
la inammissibilità della questione, dal momento che «il giudice a
quo – dopo la positiva valutazione concernente la rilevanza e la non
manifesta infondatezza della stessa – ha disposto la sospensione del
procedimento principale e la trasmissione del fascicolo alla cancelleria di
questa Corte; sicché a tali atti, anche se assunti con la forma di sentenza,
deve essere riconosciuta sostanzialmente natura di ordinanza, in conformità a
quanto previsto dall’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87» (sentenza n. 256 del
2010; nello stesso senso, sentenze n. 151 del
2009 e n. 452
del 1997).
4.– Sempre in via preliminare, deve essere esaminata l’eccezione di
inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo cui la
questione di costituzionalità difetterebbe di rilevanza, dal momento che
l’abrogazione della norma che prevedeva le modalità di salvaguardia avrebbe
effetto solo per il periodo successivo all’entrata in vigore della legge: di
qui l’irrilevanza nei giudizi in corso, aventi ad oggetto un tratto del
rapporto concessorio che resterebbe assoggettato alla
disciplina previgente.
L’eccezione va respinta.
Il giudice rimettente ha infatti evidenziato l’incidenza sui giudizi in
corso, argomentando sulla base dell’esame del dato normativo, e la tesi trova
conforto nel tenore letterale della disposizione, che fa riferimento ai «rapporti controversi», alle
«controversie pendenti» e alle «somme ancora dovute» dai concessionari, e
quindi, in modo inequivoco, alle vicende oggetto dei giudizi amministrativi.
L’applicabilità della disposizione ai processi in corso è, poi,
corroborata, in primo luogo, dal fatto che l’AAMS, come si evince dalla nota
del 12 maggio 2008 (non prodotta agli atti del giudizio di costituzionalità, ma
citata dalla stessa Avvocatura dello Stato alla pagina 8 dell’atto d’intervento),
stava valutando la possibilità di predisporre «un testo di modifica normativa
inteso a definire in via legislativa la portata delle misure di salvaguardia
menzionate»; e, in secondo luogo, dal rilievo che l’intervento legislativo
consegue alla presa d’atto della stessa AAMS (contenuta nei provvedimenti
impugnati con i ricorsi principali) della impossibilità di procedere alla
individuazione in via amministrativa delle misure di salvaguardia. Non è senza
rilievo, infine, la circostanza che l’amministrazione abbia fondato proprio
sulla disposizione in parola i nuovi provvedimenti impugnati con motivi
aggiunti.
Ancora plausibile è l’assunto del rimettente, secondo cui la portata
retroattiva della disposizione censurata riguarderebbe non solo la rideterminazione
del corrispettivo, ma anche l’abrogazione della norma relativa alle modalità di
salvaguardia, essendovi tra i due tratti normativi una stretta connessione
teleologica, come si evince dall’utilizzo dell’avverbio «conseguentemente».
Alla luce delle considerazioni che precedono, la tesi del giudice
rimettente della portata sostitutiva e retroattiva della disposizione censurata
e, quindi, della sua rilevanza, supera il vaglio esterno di non palese implausibilità rimesso alla Corte (tra le altre, sentenze n. 280 del
2012, n. 41
del 2011 e n.
63 del 2009).
5.– Sempre in via preliminare, vanno dichiarate inammissibili le deduzioni
delle parti private volte ad estendere il thema decidendum fissato negli atti di
promovimento (sentenze
n. 271 del 2011, n. 236 del 2009,
n. 56 del 2009,
n. 86 del 2008
e n. 244 del
2005; ordinanze
n. 174 del 2003 e n. 379 del 2001).
Non possono, quindi, essere prese in considerazione le censure sviluppate
negli atti di intervento con riferimento al principio di eguaglianza di cui
all’art. 3 Cost., per disparità di trattamento con i "nuovi” concessionari (espressamente
esclusa negli atti di rimessione), nonché con riferimento ai parametri di cui
agli artt. 41, 43 e 53 Cost.
6.– Nel merito, la questione è parzialmente fondata.
6.1.– L’esame delle censure sollevate presuppone, in primo luogo, la verifica
dell’ascrivibilità o meno della disposizione in esame
alla categoria delle leggi-provvedimento.
Nella giurisprudenza di questa Corte sono state così definite quelle che
«contengono disposizioni dirette a destinatari determinati» (sentenze n. 154 del
2013, n. 137
del 2009 e n.
2 del 1997), ovvero «incidono su un numero determinato e limitato di
destinatari» (sentenza
n. 94 del 2009), che hanno «contenuto particolare e concreto» (sentenze n. 20 del
2012, n. 270
del 2010, n.
137 del 2009, n.
241 del 2008, n.
267 del 2007 e n.
2 del 1997), «anche in quanto ispirate da particolari esigenze» (sentenze n. 270 del
2010 e n. 429 del 2009), e che comportano l’attrazione alla sfera
legislativa «della disciplina di oggetti o materie normalmente affidati
all’autorità amministrativa» (sentenze n. 94 del
2009 e n.
241 del 2008).
Questa Corte è poi costante nell’affermare la compatibilità della
legge-provvedimento con l’assetto dei poteri stabilito dalla Costituzione,
poiché nessuna disposizione costituzionale comporta una riserva agli organi
amministrativi o esecutivi degli atti a contenuto particolare e concreto (sentenze n. 85 del
2013 e n.
143 del 1989).
6.2.– Ebbene, nel senso dell’ascrivibilità della
disposizione oggetto di scrutinio alla categoria delle leggi-provvedimento
depone, in primo luogo, la sua ratio,
che, come si è visto, è quella di superare in via legislativa l’inerzia
dell’amministrazione nella individuazione delle modalità di salvaguardia.
Il legislatore, infatti, a fronte di tale inadempimento, conclamato in
sede giudiziaria con diverse sentenze di primo grado passate in giudicato ed
ammesso dalla stessa AAMS nel corpo dei provvedimenti impugnati, ha deciso di
attrarre alla sfera legislativa la definizione dei rapporti controversi, e −
ciò che va sottolineato fin d’ora − solo di questi.
Esso ha così provveduto direttamente alla determinazione del contenuto
delle misure di riequilibrio, sia quanto alla loro tipologia, individuata nel
profilo strettamente economico, sia quanto alla definizione quantitativa
dell’assetto patrimoniale dei rapporti concessori, definizione «normalmente
affidata all’autorità amministrativa» (sentenze n. 94 del
2009, riguardante un caso analogo di determinazione concreta della misura
di un corrispettivo ordinariamente rimesso alla sede amministrativa, e n. 241 del 2008).
Il contenuto oggettivo della disposizione risponde, dunque, ai requisiti
richiesti da questa Corte per la qualificazione dell’atto normativo come
legge-provvedimento.
Dal punto di visto soggettivo, infine, la platea dei destinatari è determinata
e limitata, considerato che – come anticipato − la disposizione si
rivolge esclusivamente a quei concessionari "storici” che, al momento della sua
entrata in vigore, avessero rapporti controversi con l’amministrazione.
7.– Ascritta la disposizione censurata alla categoria delle
leggi-provvedimento, occorre valutare se essa rispetti i limiti tracciati dalla
giurisprudenza costituzionale e, in primo luogo, quello della ragionevolezza e
non arbitrarietà (sentenze
n. 85 del 2013, n. 143 del 1989,
n. 346 del 1991
e n. 429 del 1995).
Si deve premettere, al riguardo, che queste leggi devono soggiacere ad un
rigoroso scrutinio di legittimità costituzionale per il pericolo di disparità
di trattamento insito in previsioni di tipo particolare e derogatorio (sentenze n. 85 del
2013; in senso conforme sentenze n. 20 del
2012 e n. 2
del 1997), con l’ulteriore precisazione che «tale sindacato deve essere
tanto più rigoroso quanto più marcata sia […] la natura provvedimentale
dell’atto legislativo sottoposto a controllo (sentenza n. 153 del
1997)» (sentenza
n. 137 del 2009; in senso conforme sentenze n. 241 del
2008 e n.
267 del 2007).
7.1.− Per applicare questi criteri di scrutinio al caso di specie,
occorre prendere le mosse dalle finalità enunciate dalla norma, al di là
dell’eventuale intento, attribuito al legislatore storico, di interferenza con
la funzione giurisdizionale.
Al riguardo, la disposizione è esplicita: essa, «al dichiarato fine di
perseguire maggiore efficienza ed economicità dell’azione» (amministrativa), si
propone di ricondurre ad equità i rapporti economici con i concessionari.
Inoltre, di «una risoluzione equitativa» della controversia parlano anche i
lavori preparatori e, in particolare, la «nota di lettura» del 20 marzo 2012 citata
dalle parti private.
Si tratta di una finalità di per sé non incongrua, ed anzi condivisibile,
dal punto di vista sia dell’interesse pubblico alla riscossione delle entrate
in questione, sia di quello privato dei concessionari, indubbiamente danneggiati
dal prolungato stato di paralisi dell’azione amministrativa.
Ebbene, l’intervento sostitutivo della norma che in precedenza definiva la
materia appare del tutto coerente con tali finalità. Esso non solo non può
considerarsi irragionevole, ma, al contrario, è stato reso necessitato
dall’inadempimento dell’amministrazione e dal suo espresso riconoscimento
dell’impossibilità di individuare misure di salvaguardia diverse dal riequilibrio "interno” del rapporto concessorio,
anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenza
16 febbraio 2012, resa in cause riunite C-72/10 e C-77/10, Costa-Cifone;
nello stesso senso, sentenza
11 marzo 2010, C-384/08, Attanasio Group), che ha escluso interventi sul mercato delle scommesse in una
logica anticoncorrenziale.
Per concludere sul punto, si deve osservare che non è rilevante in questa
sede la circostanza che la nuova disciplina, a differenza di quella abrogata,
preveda la riduzione dei minimi garantiti solo in relazione ai rapporti
«controversi» e quindi senza efficacia pro
futuro: tale eventualità, lamentata dalle società concessionarie, non
emerge, né potrebbe emergere, dagli atti di rimessione, data la sua irrilevanza
rispetto ai relativi giudizi.
In questi termini generali, pertanto, la censura non è fondata.
7.2.− Così ricostruita la natura e la ratio dell’intervento legislativo, emerge anche l’infondatezza, in
questa parte, della censura di violazione degli artt. 24, primo comma, 103,
primo comma, 111, 113 e 117, primo comma, Cost., in relazione al principio del
giusto processo previsto dall’art. 6 della CEDU, atteso che, di per sé, il
nuovo meccanismo di riequilibrio, analogamente a quello abrogato, non sottrae,
né condiziona il potere decisorio del giudice (sentenze n. 160 del
2013, n. 137
e n. 94 del 2009,
n. 267 del 2007
e n. 397 del
1994).
7.3.− È al contrario fondata la questione di costituzionalità,
laddove si censura lo sbarramento del cinque per cento alla riduzione delle
somme dovute dai concessionari, sbarramento su cui in realtà si incentrano le
osservazioni del rimettente.
Lo stesso quadro, sia finalistico che strumentale, fin qui delineato,
evidenzia la irragionevolezza di questa parte della disposizione.
Esiste, infatti, una evidente rottura della consequenzialità logica fra la
pretesa di pervenire ad un equilibrato riassetto delle prestazioni economiche
dei concessionari e la fissazione del tetto in modo apodittico, prescindendo
cioè da quell’attenta e ponderata valutazione delle mutate circostanze di fatto
(i pacifici minori introiti conseguenti all’evoluzione in senso concorrenziale
del mercato delle scommesse ippiche), che costituiva la premessa indispensabile
della determinazione delle modalità di salvaguardia e che rimane non meno
indispensabile per l’applicazione del nuovo meccanismo di riequilibrio.
Questa carenza è del resto riconosciuta nella citata
«nota di lettura» del 20 marzo 2012, ove si legge: «Per quanto riguarda la definizione delle
controversie di cui al comma 5, lettera b),
si evidenzia che esse non siano esenti da possibili riflessi di natura
finanziaria, rispetto ai quali sarebbe utile disporre di una stima».
Al riguardo questa Corte, ha precisato che la legittimità costituzionale
delle leggi-provvedimento va valutata in relazione al loro specifico contenuto
e che devono emergere i criteri che ispirano le scelte con esse realizzate,
nonché le relative modalità di attuazione (sentenze n. 85 del
2013, n. 137
del 2009, n.
267 del 2007 e n.
492 del 1995), criteri e modalità che è sufficiente siano comunque
desumibili dalla norma stessa in base agli ordinari strumenti ermeneutici (sentenze n. 85 del
2013 e n.
270 del 2010).
Ebbene, dalla norma impugnata (e anche dagli atti parlamentari) non
emergono le ragioni che inducono a ritenere il tetto congruente con l’obiettivo
prefissato dallo stesso legislatore, e cioè – si ripete − la riconduzione
ad equità dei rapporti concessori nel rispetto dei principi di efficienza ed
economicità.
8.− Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 10, comma 5, lettera b), del decreto-legge n. 16 del 2012, limitatamente alle parole «non
superiore al 5 per cento».
Restano assorbite le altre censure.
per questi motivi
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 5,
lettera b), del decreto-legge 2 marzo
2012, n. 16 (Disposizioni
urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento
e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile
2012, n. 44, limitatamente alle parole «non superiore al 5 per cento».
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 novembre 2013.
F.to:
Gaetano
SILVESTRI, Presidente
Giancarlo
CORAGGIO, Redattore
Gabriella
MELATTI, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 20 novembre 2013.