SENTENZA N.168
ANNO 2004REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 2 e 7, del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 255 (Disposizioni urgenti per assicurare l’ordinato avvio dell’anno scolastico 2001/2002), convertito, con modificazioni, nella legge 20 agosto 2001, n. 333, promossi dal Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia-Romagna, sede di Bologna, seconda sezione, con ordinanze del 18 febbraio, del 5 febbraio, del 28 gennaio e del 4 giugno 2003, rispettivamente iscritte ai nn. 256, 289, 552 e 790 del registro ordinanze 2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 19, 21, 33 e 40, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visti l’atto di costituzione di F. P. ed altre, nonché gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 aprile 2004 e nella camera di consiglio del 7 aprile 2004 il Giudice relatore Francesco Amirante;
uditi gli avvocati Corrado Mauceri e Fausto Buccellato per F. P. ed altre, Massimo Luciani per P. R. e l’avvocato dello Stato Chiarina Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.— Nel corso di un giudizio promosso con diversi ricorsi riuniti da alcuni docenti, già inseriti nelle graduatorie permanenti degli abilitati (terza fascia di cui ai decreti ministeriali 27 marzo 2000, n. 123 e 18 maggio 2000), per ottenere l’annullamento delle graduatorie medesime, il Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia-Romagna, sede di Bologna, seconda sezione, ha sollevato (r.o. n. 552 del 2003), in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 2 e 7, del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 255 (Disposizioni urgenti per assicurare l’ordinato avvio dell’anno scolastico 2001/2002), convertito, con modificazioni, nella legge 20 agosto 2001, n. 333, nelle parti in cui dispone che i docenti già inseriti nella terza e quarta fascia di cui al citato decreto ministeriale n. 123 del 2000 confluiscano in un unico scaglione e che siano fatte salve le nomine in ruolo già conferite nei casi in cui gli interessati non siano più in posizione utile ai fini delle nomine stesse.
Premette il giudice a quo che i ricorrenti erano stati collocati nella terza fascia delle graduatorie permanenti degli abilitati di cui ai citati decreti ministeriali e che, a seguito dell’accorpamento tra la terza e la quarta fascia disposto dall’art. 1, comma 2, del d.l. n. 255 del 2001, sono stati sopravanzati da altri docenti i quali, appartenenti in precedenza alla quarta fascia, avevano potuto far valere, grazie alla norma impugnata, il punteggio conseguito presso scuole non statali, in tal modo superando i ricorrenti nella nuova graduatoria unificata. Aggiunge il TAR che i ricorsi sono fondati su numerosi profili di violazione di legge e di illegittimità costituzionale di varie norme, precisando tuttavia di condividere (e di fare propria) soltanto la presunta illegittimità costituzionale della norma impugnata.
A tale proposito il remittente nota che l’art. 1, comma 2, impugnato – qualificandosi come norma di interpretazione autentica dell’art. 2 della legge 3 maggio 1999, n. 124, e perciò applicandosi retroattivamente – ha in realtà alterato la posizione dei ricorrenti i quali, a seguito dell’accorpamento tra la terza e la quarta fascia, pur conservando lo stesso punteggio attribuito loro pochi mesi prima, si sono di fatto trovati superati da docenti che erano collocati nella quarta fascia, ossia in posizione deteriore. Da tanto deriva la sicura rilevanza della presente questione, perché una declaratoria di illegittimità costituzionale nei termini sollecitati determinerebbe il recupero dell’originaria posizione in graduatoria.
Per dare conto della non manifesta infondatezza della questione, il TAR premette una breve ricostruzione delle principali tappe normative che hanno condotto alla situazione attuale, a partire dalla legge n. 124 del 1999. Questa, nel modificare gli artt. 399 e 401 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, ha stabilito che le graduatorie dei concorsi per soli titoli venissero trasformate in graduatorie permanenti, dalle quali attingere il cinquanta per cento degli insegnanti da nominare in ruolo, rimanendo il restante cinquanta per cento da coprire con concorsi per titoli ed esami. Nell’individuare, all’art. 2, commi 1, 2 e 3, i docenti aventi diritto all’inserimento in sede di prima integrazione delle graduatorie permanenti, la legge n. 124 del 1999 rimandava ad un successivo decreto ministeriale la definizione delle relative modalità applicative; in esecuzione di tale previsione, sono stati quindi emanati nel 2000 i due decreti ministeriali già menzionati. Questi ultimi, come si è detto, articolando le graduatorie permanenti dei docenti in quattro fasce, hanno tenuto distinta la posizione degli insegnanti che, oltre ad avere l’abilitazione, potevano anche vantare un periodo di precariato presso scuole statali di 360 giorni nell’ultimo triennio, rispetto a quella dei docenti che non avevano tale anzianità di insegnamento presso le scuole statali. A seguito dell’annullamento – operato da alcune sentenze del giudice amministrativo (TAR Lazio, sezione III-bis, sentenze n. 2838 e n. 3411 del 2001) – dei suddetti decreti, nella parte in cui prevedevano la suddivisione delle graduatorie in quattro fasce, è poi intervenuta la norma impugnata la quale, ad avviso del remittente, non possiede le caratteristiche dell’interpretazione autentica benché si qualifichi in tali termini (viene richiamata, in proposito, la sentenza n. 525 del 2000 di questa Corte).
Essa, infatti, in contrasto con l’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza e della tutela del principio dell’affidamento, è andata a modificare con efficacia retroattiva le disposizioni regolamentari del 2000 (che tenevano distinte la terza e la quarta fascia) senza che traesse alcuna giustificazione né dall’esigenza di chiarire il significato dell’art. 2, comma 1, della legge n. 124 del 1999 (che aveva già sancito una differenza tra i docenti abilitati a seconda che avessero svolto o meno presso scuole statali un periodo di precariato di 360 giorni nell’ultimo triennio) né da quella del bilanciamento di interessi costituzionalmente protetti.
Peraltro, secondo quanto affermato nelle sentenze di questa Corte n. 136 del 2001 e n. 229 del 1999, anche a prescindere dal carattere interpretativo della disposizione stessa, la sua portata retroattiva si porrebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza non tanto per la prevista modifica della disciplina transitoria in questione, quanto per l’incidenza di tale modifica su situazioni già definite in conformità dei criteri contenuti nell’indicata normativa regolamentare.
Ad avviso del giudice a quo, l’art. 1, comma 2, del d.l. n. 255 del 2001 sarebbe, inoltre, lesivo anche del principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., in quanto l’accorpamento dei docenti appartenenti alle precedenti terza e quarta fascia condurrebbe ad effettuare nomine in ruolo non coerenti con il curriculum degli insegnanti e con i requisiti richiesti fino al 1999 per poter partecipare ai soppressi concorsi per soli titoli.
Per le stesse ragioni individuate a proposito del comma 2, il TAR dell’Emilia-Romagna ritiene di dover sottoporre allo scrutinio di questa Corte anche il comma 7 del medesimo art. 1 del d.l. n. 255 del 2001. Secondo il remittente, infatti, tale norma, nel prevedere che le graduatorie permanenti vengano “riarticolate” in ossequio ai criteri ivi fissati, stabilisce pure che la riarticolazione non abbia alcun effetto sulle nomine in ruolo già conferite, «che sono fatte salve nei casi in cui gli interessati non siano più in posizione utile ai fini delle nomine stesse». In altre parole, ciò comporta che i docenti collocati nella disciolta terza fascia e già nominati in ruolo, o perché situati nelle posizioni più alte della graduatoria o semplicemente perché l’amministrazione è stata più sollecita, vedono salvaguardata la loro posizione; ma tale limitata tutela dell’affidamento realizza un’irragionevole disparità di trattamento con gli altri docenti che, invece, perdono analoga possibilità pur facendo parte della medesima fascia di insegnanti abilitati.
2.— E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile ovvero infondata.
Osserva in primo luogo la difesa erariale che l’art. 1 del d.l. n. 255 del 2001 contiene una norma di interpretazione autentica priva di ogni carattere innovativo rispetto all’art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 124 del 1999. Entrambe le norme, infatti, prevedono – alle lettere a) e b) – solo due sub-graduatorie: alla prima hanno titolo a partecipare i docenti già in possesso dei requisiti richiesti dalla normativa precedente per la partecipazione ai soppressi concorsi per soli titoli (ossia aver superato un precedente concorso per titoli ed esami anche a soli fini di abilitazione ed aver svolto un periodo di insegnamento precario non inferiore a 360 giorni nell’ultimo triennio); alla seconda sono invece ammessi i docenti che hanno la medesima qualificazione professionale (perché hanno superato un precedente concorso per titoli ed esami anche a soli fini di abilitazione) senza però poter vantare il precariato di servizio; analogamente la legge valuta coloro che hanno conseguito l’abilitazione tramite la sessione riservata di cui all’art. 2, comma 4, della medesima legge n. 124 del 1999. L’impugnato art. 1, comma 2, non fa altro che specificare quanto già contenuto nella norma precedente, in particolare prescrivendo che nel nuovo “secondo scaglione” confluiscano i docenti che hanno maturato i requisiti richiesti per la partecipazione ai soppressi concorsi per soli titoli alla data di scadenza del termine per la presentazione delle domande di inclusione nella graduatoria permanente, in precedenza previsti dall’art. 2, comma 4, lettera a2), del d.m. n. 123 del 2000. Risulta evidente che, con tale statuizione, la norma interpretativa si limita a chiarire il senso della precedente disciplina introdotta dalla legge n. 124 del 1999, la cui sola vera innovazione è rappresentata dalla previsione della possibilità di inserimento nelle graduatorie permanenti (e, quindi, di ingresso in ruolo) anche per i docenti che non possono far valere alcun titolo di servizio in aggiunta al conseguimento dell’abilitazione.
La questione prospettata si fonda essenzialmente sul fatto che i ricorrenti, a seguito dell’unificazione nel secondo scaglione delle precedenti terza e quarta fascia, sono stati posti sul medesimo piano di quei docenti che hanno maturato i requisiti per partecipare alla sessione riservata di abilitazione (360 giorni di precariato: art. 2, comma 4, della legge n. 124 del 1999) grazie ad insegnamenti svolti nelle scuole non statali (parificate, pareggiate o legalmente riconosciute). Ma tale questione è, a detta dell’Avvocatura dello Stato, infondata.
Com’è stato già osservato dal TAR del Piemonte (sentenza 21 novembre 2001, n. 2163), infatti, il legislatore del 2001, pur ammettendo che potessero essere fatti valere i periodi di insegnamento presso scuole non statali, ha tuttavia mantenuto una differente modalità di valutazione delle due situazioni; l’art. 1, comma 3, del d.l. n. 255 del 2001 stabilisce che, in sede di prima integrazione delle graduatorie permanenti, i titoli posseduti dai vari aspiranti vengano valutati secondo quanto previsto dalla tabella di cui all’allegato A del d.m. n. 123 del 2000; tabella che prevede per il servizio svolto nelle scuole statali (B) un valore doppio rispetto a quello prestato nelle scuole non statali (C). Il legislatore, dunque, non ha integralmente uguagliato i due tipi di servizio, limitandosi a fissare, nell’ambito della sua discrezionalità, la rispettiva valutazione di due situazioni oggettivamente diverse.
L’Avvocatura dello Stato, perciò, conclude nel senso che alla luce della giurisprudenza costituzionale non sia possibile invocare, come fa il giudice remittente, alcun divieto a che gli insegnanti della scuola privata e quelli della scuola pubblica vengano posti sullo stesso piano ai fini dell’ingresso in ruolo.
3.— Si sono costituite in giudizio alcune delle ricorrenti del giudizio principale chiedendo l’accoglimento della prospettata questione.
4.— Nel corso di altri giudizi amministrativi di analogo contenuto, tutti promossi da docenti già inseriti nelle graduatorie permanenti degli abilitati (terza fascia di cui ai decreti ministeriali 27 marzo 2000, n. 123 e 18 maggio 2000), per ottenere l’annullamento delle graduatorie medesime, il Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia-Romagna, sede di Bologna, seconda sezione, con altre tre ordinanze di contenuto pressoché uguale, ha sollevato identica questione di legittimità costituzionale, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali (r.o. n. 256, n. 289 e n. 790 del 2003).
5.— Anche negli altri tre giudizi che si sono instaurati dinanzi alla Corte ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con tre atti identici a quello relativo al giudizio di cui si è detto sopra, rassegnando le medesime conclusioni.
Considerato in diritto
1.— Il TAR dell’Emilia-Romagna dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., dell’articolo 1, comma 2, del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 255 (Disposizioni urgenti per assicurare l’ordinato avvio dell’anno scolastico 2001/2002), convertito, con modificazioni, nella legge 20 agosto 2001, n. 333, in quanto, modificando con efficacia retroattiva il regolamento ministeriale n. 123 del 2000 e il decreto ministeriale 18 maggio 2000 ed eliminando ogni distinzione tra coloro che avevano i requisiti per essere iscritti nella terza fascia e coloro che, viceversa, non li avevano, avrebbe del tutto irragionevolmente leso il diritto degli iscritti nella terza fascia all’affidamento riguardo al godimento di una posizione prioritaria rispetto a coloro che erano stati inclusi nella quarta fascia.
Il giudice remittente sospetta egualmente della legittimità costituzionale del comma 7 dello stesso articolo 1, il quale, facendo salve le assunzioni già avvenute sulla base dell’originaria formulazione del regolamento, avrebbe creato una distinzione fondata su un elemento estrinseco, in tal modo procurando irragionevolmente vantaggio a taluni e correlativamente svantaggio ad altri.
2.–– Le questioni vengono sollevate con quattro ordinanze di contenuto identico: pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti per essere definiti con unica pronuncia.
3.— Le questioni non sono fondate.
A proposito delle c.d. leggi di interpretazione autentica, questa Corte ha più volte affermato che «il legislatore può porre norme che retroattivamente precisino il significato di altre norme preesistenti, ovvero impongano una delle possibili varianti di senso del testo originario, purché compatibile con il tenore letterale di esso». La Corte ha anche precisato che «in tali casi il problema da affrontare riguarda non tanto la natura della legge, quanto piuttosto i limiti che la sua portata retroattiva incontra alla luce del principio di ragionevolezza e del rispetto di altri valori ed interessi costituzionalmente protetti» (v., ex plurimis, sentenze n. 291 del 2003, n. 525 del 2000, n. 229 del 1999, n. 421 e n. 376 del 1995).
Riguardo a questi ultimi ed a ciò che più in particolare concerne la prima delle questioni in esame, questa Corte ha affermato che «in linea generale, l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica – essenziale elemento dello Stato di diritto – non può essere leso da disposizioni retroattive, che trasmodino in regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori» (v., ex plurimis, sentenza n. 446 del 2002).
4.— Nel caso di specie l’affidamento che, ad avviso del remittente, sarebbe leso dalla norma censurata trova il suo fondamento non sulla legge, bensì su di una normativa secondaria costituita dal regolamento n. 123 del 2000 e dal decreto ministeriale 18 maggio 2000. Le ordinanze di rimessione, infatti, non indicano le disposizioni della legge n. 124 del 1999, fonte di legittimità del regolamento, che avrebbero previsto la distribuzione dei precari in quattro scaglioni o fasce ed, in particolare, la inclusione in terza o quarta fascia a seconda che gli interessati avessero prestato o meno servizio di insegnamento negli istituti statali per il tempo prescritto.
Inoltre gli atti amministrativi suindicati, che dovrebbero costituire la base dell’affidamento e giustificarne la tutela, sono stati immediatamente impugnati ed annullati dal giudice di primo grado. Né può considerarsi diversa la conclusione cui è pervenuto il Consiglio di Stato il quale, decidendo sugli appelli contro tali sentenze, ha ritenuto che la norma ora in esame, costituente jus superveniens in quei giudizi, avesse realizzato l’interesse che si voleva tutelare con l’azione giudiziaria.
Le difese delle parti private, per dare sostegno alla invocata tutela dell’affidamento, hanno richiamato il decreto-legge 28 agosto 2000, n. 240, convertito, con modificazioni, nella legge 27 ottobre 2000, n. 306, il cui articolo 1, in sede di disciplina di prima integrazione delle graduatorie permanenti, regola le assunzioni in ruolo del «personale incluso negli scaglioni di graduatoria, approvati in via definitiva in data successiva al 31 agosto 2000...». Questa disposizione costituirebbe il sicuro fondamento legislativo del sistema degli scaglioni previsto dagli atti amministrativi menzionati e sarebbe idonea a fondare l’affidamento sulla stabilità di tale sistema.
L’argomentazione non può essere condivisa.
Il sistema degli scaglioni, disciplinato da atti amministrativi all’epoca ancora efficaci nel loro testo originario, costituisce il presupposto e non l’oggetto della disposizione citata del d.l. n. 240 del 2000. E’ quindi improprio parlare di «legificazione» del sistema stesso.
5.— Il giudice remittente, che pure ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità della stessa norma (poi censurata per altre ragioni) per non aver nettamente distinto i possessori del requisito della prestazione dell’insegnamento in istituti statali da coloro che ne erano privi, sostiene però che la norma sarebbe tuttavia irragionevole perché la omissione di ogni distinzione darebbe luogo all’adozione di criteri disomogenei di classificazione dei docenti.
Anche tale tesi non può essere accolta.
A prescindere dalla sua contraddittorietà, l’infondatezza di tale affermazione risulta palese ove si noti che l’art. 1, comma 3, del d.l. n. 255 del 2001 stabilisce che, in sede di prima integrazione delle graduatorie permanenti, i titoli dei candidati vengono valutati, all’interno dei (residui) due scaglioni, secondo la vecchia tabella approvata con decreto ministeriale 29 marzo 1993 e modificata con decreto ministeriale 29 gennaio 1994, allegata al regolamento del 2000. In tale tabella al servizio prestato in istituti statali viene attribuito un punteggio doppio rispetto a quello riconosciuto al servizio prestato in istituti non statali.
Ne consegue che nel complesso normativo applicabile nei giudizi a quibus l’equiparazione tra i due suddetti servizi di insegnamento non vi è stata, in quanto nella prima integrazione delle graduatorie si è tenuto conto della diversità esistente, ai fini del precariato, tra i vari tipi di scuola. Infatti, solo a decorrere dal 1° settembre 2000 tale differenziazione è stata abbandonata per «i servizi di insegnamento prestati … nelle scuole paritarie di cui alla legge 10 marzo 2000, n. 62» (art. 2, comma 2, del d.l. n. 255 del 2001).
6.–– Per quel che riguarda la questione relativa al comma 7 dell’art. 1 dello stesso d.l. n. 255 del 2001, a dimostrarne l’infondatezza è sufficiente il rilievo che la norma è ispirata all’esigenza di tutelare l’affidamento di coloro che hanno conseguito l’immissione in ruolo, sulla base della normativa regolamentare nella sua versione originaria e delle graduatorie formate in applicazione di tale normativa.
E’ contraddittoria la tesi del remittente secondo la quale mentre – in riferimento al comma 2 del medesimo art. 1 – sarebbe degno di tutela l’affidamento di chi, avendo una certa posizione in una graduatoria, avrebbe potuto confidare di non essere, in futuro, scavalcato da alcuni di coloro che nella medesima lo seguivano, viceversa – con riguardo al comma 7 della medesima disposizione – sarebbe irragionevole la salvaguardia dei diritti di coloro che hanno effettivamente ottenuto l’immissione in ruolo, così conseguendo una posizione rispetto alla quale la collocazione in graduatoria poteva dar luogo solo ad una qualche aspettativa. Infatti di ben diversa consistenza sono le ragioni che giustificano la salvaguardia di una situazione (l’acquisizione di un posto di ruolo) caratterizzata nella attualità dal diritto alla sua permanenza – jus in officio – rispetto a quelle che possono essere addotte per rivendicare la conservazione di una posizione per sua natura virtuale (collocamento in una graduatoria).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 2 e 7, del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 255 (Disposizioni urgenti per assicurare l’ordinato avvio dell’anno scolastico 2001/2002), convertito, con modificazioni, nella legge 20 agosto 2001, n. 333, sollevate, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia-Romagna, sede di Bologna, seconda sezione, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2004.
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Depositata in Cancelleria l'11 giugno 2004.