SENTENZA N. 124
ANNO 2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice
- Giuseppe FRIGO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 36, lettere c), d) ed e), 44, lettera a), 51, 127, lettere b) e c), 140 e 183, della legge della Regione Campania 6 maggio 2013, n. 5, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013-2015 della Regione Campania (Legge finanziaria regionale 2013)» pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Campania n. 24 del 7 maggio 2013, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso spedito per la notifica il 4 luglio 2013, depositato in cancelleria l’11 luglio 2013 ed iscritto al n. 75 del registro ricorsi 2013.
Visto l’atto di costituzione della Regione Campania;
udito nell’udienza pubblica del 12 maggio 2015 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;
uditi l’avvocato dello Stato Ettore Figliolia per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Campania.
Ritenuto in fatto
1.– Con il ricorso in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto questione di legittimità costituzionale di talune disposizioni della legge della Regione Campania 6 maggio 2013, n. 5, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013-2015 della Regione Campania (Legge finanziaria regionale 2013)».
È stato, in particolare, denunciato l’art. 1, in relazione ai seguenti commi:
1) 127, lettere b) e c), sulla destinazione alla Regione di un indennizzo per i casi di utilizzazione di beni del demanio marittimo senza titolo ovvero in modo da questo difforme, per contrasto con gli artt. 117, secondo comma, lettere l) ed e) e 119, secondo comma, della Costituzione;
2) 140, che attribuirebbe all’autorità regionale competente in materia di VIA un potere discrezionale sanzionatorio (sospensione dei lavori) in quelle stesse ipotesi (mancanza della verifica di assoggettabilità o di valutazione o di difformità sostanziali dal provvedimento finale) che la disciplina statale (comma 4 dell’art. 29 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale») sanziona con l’obbligo della sospensione dei lavori, per dedotta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.;
3) 183, sulla revisione dei prezzi contrattuali per l’acquisto di beni e servizi alla stregua dei parametri utilizzati dalla CONSIP, per contrasto con l’art. 117, terzo comma Cost., nella parte in cui tale adeguamento è differito alla data di scadenza dei contratti in essere;
4) 36, lettere c), d) ed e) – relativamente, quanto a quest’ultima, alla verifica dei requisiti per l’accreditamento definitivo delle strutture sanitarie private da parte delle commissioni locali − alla cui impugnativa il ricorrente ha successivamente rinunciato con atto depositato il 21 aprile 2015;
5) 36, lettera e), nella parte, esclusa dalla rinunzia di cui sopra, relativa alla decadenza dei direttori generali delle aziende sanitarie della Regione «In caso di mancato rispetto del termine di centoquaranta giorni per la verifica del possesso dei requisiti […] per l’accreditamento istituzionale», che violerebbe l’art. 117, terzo comma Cost., in relazione all’art. 3-bis, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421);
6) 44, lettera a), prevedente l’adozione di un regolamento regionale per l’organizzazione dell’Agenzia regionale sanitaria (ARSAN), quale struttura tecnica di supporto all’attività della Giunta e del Consiglio regionali in materia sanitaria, per contrasto con gli artt. 117, terzo comma, 118 e 120, secondo comma, Cost.;
7) 51, sul finanziamento delle attività assistenziali del Centro di ricerca di ingegneria genetica – Biotecnologie avanzate società consortile srl (CEINGE), non ancora accreditato, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
2.− Si è costituita la Regione Campania contestando la fondatezza, in ogni sua parte, della impugnativa dello Stato e, preliminarmente, eccependone l’inammissibilità per tardività quanto, in particolare, alla denuncia che, «pur essendo formalmente rivolta contro l’art. 1, comma 127, lettere b) e c), della legge regionale n. 5 del 2013, di modifica dell’art. 12 della legge regionale n. 1 del 2012, in realtà colpisce tale ultima norma in parti che non sono state toccate dalle modifiche apportate dalla legge regionale n. 5 del 2013».
3.− Nelle more del giudizio, la Regione Campania ha adottato la legge 7 agosto 2014, n. 16 (Interventi di rilancio e sviluppo dell’economia regionale nonché di carattere ordinamentale e organizzativo − collegato alla legge di stabilità regionale 2014), il cui art. 1, al comma 173, abroga l’art. 1, comma 183, della legge regionale 6 maggio 2013, n. 5, oggetto della presente impugnativa.
Considerato in diritto
Con ricorso, resistito dalla Regione Campania, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato − per denunciato contrasto con gli artt. 117, comma secondo, lettere c), l), ed s), e comma terzo; 118; 119, secondo comma, e 120, secondo comma, della Costituzione – la legge della Regione Campania 6 maggio 2013, n. 5, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013-2015 della Regione Campania (Legge finanziaria regionale 2013)», relativamente all’art. 1, e con riguardo, nell’ordine, ai suoi commi 127, lettere b) e c); 140; 183; 36, lettere c), d) ed e); 44, lettera a), e 51.
1.– La disposizione di cui al comma 127, lettere b) e c), della legge in esame – modificativa di quella di cui all’art. 12, comma 2, della precedente legge regionale 27 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Regione Campania − Legge finanziaria 2012) – prevede la destinazione alla Regione di un indennizzo, variamente parametrato in relazione ai casi di utilizzazione di beni del demanio marittimo senza titolo ovvero in modo da questo difforme.
Il ricorrente denuncia, al riguardo, la violazione degli artt. 117, secondo comma, lettere l) ed e), e 119, secondo comma, Cost., sul rilievo che l’indennizzo anzidetto rappresenti «una duplicazione dell’indennizzo dovuto allo Stato» ai sensi dell’art. 8 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, ponendosi, quindi, in contrasto con lo stesso art. 8 citato, nonché con l’art. 1, comma 257, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)» e con le disposizioni del codice della navigazione (artt. 32 e seguenti), che riservano allo Stato la potestà di imposizione e riscossione degli indennizzi in quanto inerenti alle funzioni dominicali ad esso spettanti in base all’art. 822 del codice civile.
1.1.− La questione è ammissibile, non rilevando in contrario che, come eccepito dalla resistente, non sia stata, a suo tempo, impugnata dallo Stato la disposizione originaria modificata da quella ora oggetto di censura, poiché – a prescindere dal contenuto di novità riconducibile alla modifica in questione – viene, nella specie, in rilievo il principio di inapplicabilità dell’istituto dell’acquiescenza nei giudizi in via principale (ex plurimis, sentenze n. 139 del 2013, n. 71 del 2012 e n. 187 del 2011).
1.2.− Nel merito, la questione è fondata, in relazione al profilo, assorbente, della inerenza della disciplina impugnata alla materia «ordinamento civile», di competenza esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.).
E ciò alla stregua anche della prospettazione della stessa Regione Campania, per la quale l’indennizzo in questione rappresenterebbe una misura di «natura risarcitoria, costituendo una quantificazione predeterminata di un danno subito dall’Ente regionale»: una misura, dunque, di natura innegabilmente civilistica, che rimanda, appunto, agli istituti tipici della responsabilità civile e della forfetizzazione del danno.
2.− La disposizione di cui al comma 140 − per la quale «Se sono state accertate le violazioni di cui ai commi 138 e 139, l’autorità competente in materia di VIA, come individuata dalla normativa regionale, può disporre la sospensione dei lavori […]» – è censurata per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (sulla competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema»), per contrasto con l’art. 29 del d.lgs. n. 152 del 2006.
Secondo il ricorrente – con il rimettere ad una scelta discrezionale dell’autorità competente la sospensione dei lavori con riguardo alle violazioni previste dai citati commi 138 e 139 – la Regione avrebbe dettato una disciplina difforme da quella posta dal legislatore statale, la quale, là dove si tratti di realizzazione di opere ed interventi effettuati in assenza della sottoposizione alle fasi di verifica di assoggettabilità o di valutazione, impone all’autorità competente, «valutata l’entità del pregiudizio ambientale arrecato e quello conseguente alla applicazione della sanzione, […] l’obbligo di disporre la sospensione dei lavori, eventualmente prevedendo la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale».
2.1.− La resistente non nega, peraltro, che detta disposizione attribuisca un potere discrezionale all’autorità regionale, ma sostiene che la stessa costituisca, in realtà, «una forma di adeguamento alla disciplina nazionale», e risponda «ad un’esigenza di razionalità per quei casi in cui l’eventuale mancanza del provvedimento di VIA sia talmente irrilevante da rendere irragionevole l’applicazione della sanzione dell’automatica sospensione dei lavori».
2.2.− La tesi difensiva della Regione Campania non vale, però, a porre la disposizione in esame al riparo dalla censura di illegittimità costituzionale.
È pur vero, infatti, che le Regioni, nell’esercizio delle proprie competenze, possono aumentare lo standard di tutela dell’ambiente (sentenze n. 92 del 2013 e n. 225 del 2009, per tutte), ma tale principio (su cui evidentemente fa leva la resistente) non è utilmente invocato nel caso di specie, nel quale non è dato ravvisare – e neppure è dedotto – quale maggior grado di tutela ambientale apporti la disciplina regionale, che oggettivamente privilegia, invece, le esigenze dell’utilizzatore rispetto a quelle del bene tutelato dalla Costituzione.
2.3.− Per l’innegabile invasione della competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela dell’ambiente», la disposizione di cui al comma 140 dell’art. 1 della legge regionale in esame è, quindi, costituzionalmente illegittima.
3.− Il comma 183, dell’art. 1 della legge impugnata, testualmente prevede che, «Nel rispetto della vigente normativa in materia di scelta del contraente, la Giunta regionale e il Consiglio regionale procedono, a partire dal primo rinnovo contrattuale successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, ad una revisione dei prezzi contrattuali per l’acquisto di beni e servizi comparabili, in modo da adeguare gli stessi alle singole voci di costo applicate in base ai parametri di prezzo-qualità utilizzati da Consip […]».
Nella prospettazione del ricorrente, detta norma violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di «coordinamento della finanza pubblica», poiché, con il differire alla data di scadenza dei contratti in essere il predetto adeguamento, si porrebbe in contrasto con il principio fondamentale desumibile dall’art. 1, comma 13, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, il quale ha introdotto, «con effetti di automatica inserzione nei contratti in essere, il diritto di recesso della pubblica amministrazione contraente, da esercitarsi prima della scadenza contrattuale nel caso in cui i parametri delle convenzioni stipulate da Consip successivamente alla sottoscrizione del contratto siano migliorativi e l’appaltatore non acconsenta ad una modifica delle condizioni economiche tale da adeguare l’onere contrattuale ai citati parametri».
3.1.− La disposizione denunciata è stata abrogata dal comma 173 dell’art. 1 della legge della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16 (Interventi di rilancio e sviluppo dell’economia regionale nonché di carattere ordinamentale e organizzativo − collegato alla legge di stabilità regionale 2014), con effetto, ai sensi del comma 240 del medesimo art. 1 citato, dall’8 agosto 2014 (giorno successivo alla pubblicazione della stessa legge regionale nel Bollettino Ufficiale della Regione Campania).
Poiché non si può, però, escludere – ed è logico anzi ritenere – che nel periodo (1 anno e 3 mesi) di vigenza della norma censurata questa abbia consentito, nei contratti in corso, il differimento dell’adeguamento ai parametri CONSIP, la questione va, dunque, scrutinata nel merito.
3.2.− L’esame della censura induce a ritenerne la fondatezza.
La norma di cui all’art. 1, comma 13, del d.l. n. 95 del 2012, come convertito dalla legge n. 135 del 2012 – oltre ad essere per struttura e contenuto riconducibile alla potestà legislativa esclusiva statale in materia di «ordinamento civile», di cui alla lettera l) dell’art. 117, secondo comma, Cost. – riveste anche il carattere di principio fondamentale di coordinamento di finanza pubblica, in una prospettiva funzionale − teleologica che la porta ad incidere sulla spesa pubblica al fine del conseguimento di obiettivi di risparmio.
Con detta norma statale interposta confligge manifestamente la disposizione regionale censurata (non a caso poi dalla stessa Regione abrogata), la quale va, pertanto, dichiarata costituzionalmente illegittima relativamente al periodo di sua vigenza.
4.− In conseguenza della rinunzia, di cui infra sub n. 7, l’impugnativa relativa alla lettera e) del comma 36 dell’art. 1 della legge regionale n. 5 del 2013, modificativo del comma 237-duodecies dell’art. 1 della legge regionale 15 marzo 2011, n. 4 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2011 e pluriennale 2011-2013 della Regione Campania − Legge finanziaria regionale 2011), resta circoscritta alla previsione di decadenza dei direttori generali delle aziende sanitarie della Regione Campania «In caso di mancato rispetto del termine di centoquaranta giorni per la verifica del possesso dei requisiti ulteriori previsti dalla normativa e richiesti per l’accreditamento istituzionale» (di cui all’ultimo periodo sub lettera e del citato comma 36).
Il ricorrente denuncia, a tal riguardo, la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., per contrasto con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute, di cui all’art. 3-bis, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e successive modificazioni, che individua specifiche cause di decadenza del direttore generale (gravi motivi, situazione di grave disavanzo, violazione di leggi o del principio di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione).
4.1.− La questione non è fondata.
È pur vero, infatti, che l’anzidetta norma interposta statale pone un principio fondamentale della materia «tutela della salute», cui è da ricondursi – come da giurisprudenza di questa Corte – la disciplina degli incarichi alla dirigenza sanitaria (sentenze n. 129 del 2012, n. 233 e n. 181 del 2006).
Tuttavia, la decadenza per inutile decorso del termine di centoquaranta giorni, per provvedere all’accreditamento definitivo delle strutture provvisoriamente accreditate – in quanto ricollegabile, come sostenuto dalla Regione, all’inerzia dei direttori generali delle ASL relativamente al rispetto del termine anzidetto – è pianamente riconducibile ad una delle ipotesi tipiche di decadenza previste dalla norma statale interposta di riferimento, quella cioè, della «violazione […] del principio di buon andamento […] dell’amministrazione».
5.− La disposizione di cui al comma 44, lettera a), dell’art. 1 della legge sottoposta a scrutinio di costituzionalità, nel modificare il comma 244 dell’art. 1 della già citata legge della Regione Campania n. 4 del 2011, prevede l’adozione di un regolamento regionale di disciplina dell’ARSAN (Agenzia regionale sanitaria) quale ente di supporto all’attività della Giunta stessa e del Consiglio regionale in materia sanitaria, strumentale ai fini dell’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario e dei programmi operativi per la prosecuzione dello stesso.
Detta norma è denunciata per sospetto contrasto con gli artt. 117, terzo comma, 118 e 120, secondo comma, Cost.
La questione – dichiaratamente proposta sulla base delle medesime argomentazioni già addotte dalla Presidenza del Consiglio dei ministri con un precedente ricorso avverso il citato comma 244 della legge regionale n. 4 del 2011 – non è fondata.
Con sentenza n. 141 del 2014, questa Corte ha dichiarato cessata, infatti, la materia del contendere, in ordine alla questione di legittimità costituzionale del predetto comma 244 dell’art. 1 della legge regionale n. 4 del 2011 proprio per il carattere satisfattivo, delle ragioni dello Stato, riconosciuto alle modifiche (da ultimo) apportate a detta norma dalle disposizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 44 dell’art. 1 della legge regionale n. 5 del 2013 ora censurato.
E ciò per essere stato, con la suddetta modifica appunto previsto – conformemente a quanto il ricorrente auspicava – che l’ARSAN continui a svolgere le funzioni già esercitate (quelle, cioè, di ufficio strumentale ai fini dell’attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario) fino all’entrata in vigore del regolamento suddetto.
6.− Il comma 51 dell’art. 1 della legge in esame stabilisce che: «Il Ceinge (Biotecnologie avanzate società consortile srl), organismo di diritto pubblico ai sensi del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione alle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE – Codice degli appalti), è centro regionale di riferimento per la diagnostica di biologia molecolare clinica e delle malattie congenite del metabolismo e delle malattie rare. Con decreto del Commissario ad acta per il piano di rientro dal disavanzo sanitario, è stabilito il finanziamento alle attività assistenziali sulla base del tariffario regionale. Il finanziamento, modificabile annualmente in base ad eventuali e motivati fabbisogni integrativi, è erogato a partire dall’anno 2013, mediante convenzioni quinquennali con la Regione Campania. Per colmare la carenza dell’offerta della rete laboratoristica regionale, il Ceinge può presentare domanda di accreditamento istituzionale, previa verifica di rispondenza ai requisiti di qualificazione richiesti. I contratti sono stipulati nei limiti fissati da appositi provvedimenti commissariali. Il predetto istituto opera sulla base di accordi istituzionali in coerenza e nei limiti dei vincoli finanziari previsti dal piano di rientro e connessi programmi operativi e comunque fatte salve le spettanze di cui alle poste dei bilanci regionali degli anni 2009, 2010, 2011 e 2012».
Questa disposizione contrasterebbe, secondo il ricorrente, l’art. 117, terzo comma Cost., in materia di «tutela della salute», giacché – nel prevedere «il finanziamento alle attività assistenziali sulla base del tariffario regionale, di una struttura quale il CEINGE che, come reso evidente dalla stessa norma, non è ancora accreditato» − violerebbe i principi fondamentali desumibili dagli artt. da 8-bis ad 8-sexies del d.lgs. n. 502 del 1992, in forza dei quali «le strutture che erogano prestazioni sanitarie possono essere poste “a carico” del servizio sanitario nazionale solo dopo stipulazione di appositi accordi contrattuali con le strutture interessate, i quali, a loro volta, presuppongono che le stesse siano state previamente accreditate».
Viceversa, secondo la Regione Campania, il CEINGE non potrebbe essere equiparato ad un qualsiasi operatore privato, «per l’effetto imponendogli l’obbligo del preventivo accreditamento per poter accedere al “finanziamento delle attività assistenziali sulla base del tariffario regionale”».
6.1.− Il CEINGE è effettivamente riconducibile, come dedotto dalla resistente, alla categoria degli Istituti di ricovero e cura di carattere scientifico (IRCCS): tale qualifica risultando ad esso espressamente conferita con delibera della Giunta regionale 1° agosto 2008, n. 1298, e poi anche successivamente confermata con decreto 30 settembre 2010, n. 55, del Commissario ad acta per il ripianamento del disavanzo sanitario.
6.2.− Gli IRCCS rinvengono l’originaria loro disciplina nell’art. 42 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), per la quale «Detti istituti per la parte assistenziale sono considerati presidi ospedalieri multizonali delle unità sanitarie locali nel cui territorio sono ubicati».
Successivamente il decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288 (Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell’articolo 42, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3) ha previsto:
a) la trasformazione in Fondazioni degli IRCCS di diritto pubblico esistenti alla data di entrata in vigore della legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione), con attribuzione, agli enti così trasformati, della denominazione «Fondazione IRCCS» (art. 2, comma 1);
b) un atto di intesa in sede di «Conferenza Stato − regioni» per la disciplina delle modalità di organizzazione, di gestione e di funzionamento degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico non trasformati in Fondazioni (art. 5);
c) l’istituzione di nuovi IRCCS, «subordinata al riconoscimento di cui al comma 3» (art. 13).
In quest’ultimo caso, a mente del comma 2 dello stesso art. 13, le «strutture pubbliche che chiedono il riconoscimento possono costituirsi nella forma delle Fondazioni di cui all’articolo 2; le strutture private debbono costituirsi in una delle forme giuridiche disciplinate dal codice civile».
Il riconoscimento «del carattere scientifico è soggetto al possesso, in base a titolo valido», di taluni requisiti, tra cui, segnatamente, la «titolarità dell’autorizzazione e dell’accreditamento sanitari» (lettera b del comma 3 dell’art. 13).
Peraltro, secondo quanto previsto dall’art. 15, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 288 del 2003, le «Fondazioni IRCCS, gli Istituti non trasformati e quelli privati inviano ogni due anni al Ministero della salute i dati aggiornati circa il possesso dei requisiti di cui all’articolo 13».
In definitiva, con l’entrata in vigore del suddetto decreto anche le Fondazioni e gli Istituti non trasformati, come già gli Istituti privati di nuova istituzione, sono tenuti ad ottenere – ogni due anni (tre anni nella versione originaria della disposizione, prima della modifica recata dal decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 recante «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante, un più alto livello di tutela della salute, convertito, con modificazioni dalla legge 8 novembre 2012, n. 189») – la conferma del riconoscimento in base al possesso dei requisiti al cui art. 13 e, dunque, della «titolarità dell’autorizzazione e dell’accreditamento sanitari».
Ne consegue che, al pari delle strutture pubbliche e strutture ad esse equiparate, anche gli IRCCS di nuova istituzione e quelli confermati dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 288 del 2003 sono tenuti a richiedere ed ottenere l’accreditamento istituzionale ai sensi dell’art. 8-quater del d.lgs. n. 502 del 1992.
6.3.− In ragione del suo inquadramento tra gli IRCCS (ma ad identica conclusione condurrebbe l’alternativa sua qualificazione come struttura equiparata a quelle pubbliche), il CEINGE è, pertanto, tenuto a conseguire l’accreditamento istituzionale e, sulla base di tale accreditamento, è altresì abilitato alla stipula di accordi contrattuali che consentano la remunerazione delle prestazioni a carico del Servizio sanitario nazionale (S.S.N.).
La interdipendenza tra accreditamento e accordi contrattuali è, del resto, confermata dal comma 2 del citato art. 8-quater, che puntualizza come «La qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli accordi contrattuali di cui all’articolo 8-quinquies. I requisiti ulteriori costituiscono presupposto per l’accreditamento e vincolo per la definizione delle prestazioni previste nei programmi di attività delle strutture accreditate, così come definiti dall’articolo 8-quinquies».
Ulteriore e decisa conferma proviene altresì dal comma 2-quinquies dell’art. 8-quinquies, secondo cui «In caso di mancata stipula degli accordi di cui al presente articolo, l’accreditamento istituzionale di cui all’articolo 8-quater delle strutture e dei professionisti eroganti prestazioni per conto del Servizio sanitario nazionale interessati è sospeso». Ed in siffatto contesto rileva, per l’appunto, la previsione di cui al comma 2-quater del medesimo art. 8-quinquies, introdotta dal comma 1-quinquies dell’art. 79 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 – dunque, in un assetto ordinamentale che già imponeva agli IRCCS l’accreditamento istituzionale – in forza della quale le Regioni possono stipulare «accordi con le fondazioni istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e con gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici e contratti con gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico privati, che sono definiti con le modalità di cui all’articolo 10, comma 2, del decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288».
Significativamente l’art. 10, comma 2, si indirizza, del resto, all’attività assistenziale degli IRCCS, da attuarsi «in coerenza con la programmazione sanitaria regionale», così da essere «finanziata a prestazione dalla Regione competente per territorio, in base ai tetti di spesa ed ai volumi di attività predeterminati annualmente dalla programmazione regionale, nonché sulla base di funzioni concordate con le Regioni», dunque, secondo la remunerazione delle prestazioni di cui all’art. 8-sexies del d.lgs. n. 502 del 1992.
Previsione, questa, che conferma, per l’appunto, la distinzione tra attività assistenziale – che soltanto viene in rilievo ai fini della impugnativa statale della norma regionale campana – ed attività di ricerca, la quale invece è finanziata – ai sensi del comma 1 dello stesso art. 10 citato – solo per le Fondazioni IRCCS e gli Istituti non trasformati, «nei limiti ed in coerenza con i programmati obiettivi di finanza pubblica del vigente Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF), […] a valere sugli stanziamenti di cui all’articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, nonché dalle Regioni e da altri organismi pubblici e privati»; dunque, principalmente tramite il Fondo sanitario nazionale (e, quindi, la fiscalità generale).
6.4.− Di qui, il contrasto della disposizione di legge regionale denunciata – che ammette il CEINGE al finanziamento per le attività assistenziali senza previo accreditamento (rimesso alla mera facoltà di scelta dell’ente) – con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di «tutela della salute» evocati dal ricorrente.
7.− Relativamente alle disposizioni di cui all’art. 1, comma 36, lettere c), d) ed e), per la parte non concernente la decadenza dei direttori generali delle ASL, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha, come detto, rinunziato al ricorso. La rinunzia è stata ritualmente accettata dalla Regione Campania.
Ne consegue, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, l’estinzione del processo in parte qua.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 51, 127, lettere b) e c), 140 e 183, della legge della Regione Campania 6 maggio 2013, n. 5, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2013 e pluriennale 2013-2015 della Regione Campania (Legge finanziaria regionale 2013)»;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 36, lettera e), ultimo periodo, e 44, lettera a), della legge della Regione Campania n. 5 del 2013, promossa in riferimento agli artt. 117, terzo comma, 118 e 120, secondo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso in epigrafe;
3) dichiara, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, estinto il processo relativamente alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 36, lettere c), d) ed e) (escluso l’ultimo periodo) della legge della Regione Campania n. 5 del 2013, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 maggio 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'1 luglio 2015.