SENTENZA N.
251
ANNO 2016
Commenti
alla decisione di
I. Annamaria Poggi e
Giovanni Boggero, Non
si può riformare la p.a. senza intesa con gli enti territoriali: la Corte
costituzionale ancora una volta dinanzi ad un Titolo V incompiuto, per g.c. di Federalismi.it
II. Enzo
Balboni, La Corte richiede e tutela la leale collaborazione tra Stato e Regioni... e
l’intendenza seguirà, per g..c. del Forum
di Quaderni Costituzionali
III.
Stefano Agosta, Nel
segno della continuità (più che della vera e propria svolta) l’apertura alla
leale collaborazione tra Stato e Regioni della sent. n. 251/2016 sulla delega
in materia di riorganizzazione della P.A., per g..c. del Forum di Quaderni Costituzionali
IV.
Raffaele Bifulco, L'onda
lunga della sentenza 251/2016 della Corte costituzionale, per g.c. di Federalismi.it
V. Carlo Calvieri, La declaratoria di illegittimità delle
deleghe della legge Madia per violazione del principio di leale collaborazione
ed i riflessi sul nuovo testo unico delle società a partecipazione pubblica.
Ovvero, il complicato intreccio dei fili della Tela di Penelope … allo specchio, per g.c. dell’Osservatorio AIC
VI.
Roberta Lugarà, Sentenze
additive di procedura… legislativa? Il problematico seguito della sent. n. 251 del 2016, per g.c. della Rivista
AIC
VII. Pietro Milazzo, Illegittimità della legge delega (per mancata previsione del
corretto modulo di leale collaborazione) e destino dei decreti delegati già
approvati. Appunti sulla sentenza n. 251/2016 della Corte costituzionale,
per g.c. dell’Osservatorio sulle fonti
VIII. Andrea Ambrosi,
«Concorrenza
di competenze» e intervento delle Regioni nel procedimento di formazione del
decreto legislativo, per g.c.
del Forum di Quaderni
Costituzionali
IX. Alessandro Sterpa, Sentenza
n. 251/2016: può la Corte costituzionale ampliare il contenuto necessario della
legge di delega ex art. 76 Cost.?, per g.c. di Federalismi.it
X. Gloria
Marchetti, Le
diverse declinazioni del principio di leale collaborazione nella delegazione
legislativa elaborate dalla giurisprudenza costituzionale (alla luce della sent. n. 251 del 2016), per g.c. della Rivista
AIC
XI. Matteo De Nes, La
sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2016 e i possibili riflessi sul
coordinamento della finanza pubblica, per g.c. del Forum
di Quaderni Costituzionali
X. Giorgia Crisafi, Illegittimità
conseguenziale delle leggi e discrezionalità. Commento alla sentenza n. 251 del
2016 della Corte costituzionale,
per g.c. dell’Osservatorio AIC
XI. Giacomo d’Amico, La
sentenza sulla legge Madia, una decisione (forse) troppo innovatrice, per g.c. di
XII. Guido Rivosecchi,
Sulla
riorganizzazione della P.A. la leale collaborazione viene "imposta” nella
delegazione legislativa (con indicazione dei possibili rimedi), per g.c. di Forum di Quaderni Costituzionali
XIII. Marialuisa Zuppetta, Il
t.u. sulle partecipate tra declaratoria di
illegittimità costituzionale e intervento correttivo. Considerazioni de iure condendo, per g.c. di Federalismi.it
XIV. Annamaria Poggi, Corte
Costituzionale e principio di "lealtà” nella collaborazione tra Stato e Regioni
per l’esercizio delle funzioni, per g.c. di Federalismi.it
XV. Simone Barbareschi, La
Riforma Madia "a pezzi”: tra proceduralizzazione e interventi degli organi
costituzionali. Il punto della questione, per g.c.
di Federalismi.it
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO
”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1,
comma 1, lettere b), c) e g),
e comma 2, dell’art. 11, comma 1, lettere a),
b), numero 2), c), numeri 1) e 2), e), f), g),
h), i), l), m), n),
o), p) e q), e comma 2,
dell’art. 16, commi 1 e 4, dell’art. 17, comma 1, lettere a), b), c), d),
e), f), l), m), o),
q), r), s) e t), dell’art. 18, lettere a), b),
c), e), i), l) e m),
numeri da 1) a 7), dell’art. 19, lettere b),
c), d), g), h), l),
m), n), o), p), s),
t) e u), e dell’art. 23, comma 1, della legge
7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle
amministrazioni pubbliche), promosso dalla Regione Veneto con ricorso
notificato il 12 ottobre 2015, depositato in cancelleria il 19 ottobre 2015 ed
iscritto al n. 94 del registro ricorsi 2015.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 19 ottobre 2016 il Giudice relatore Silvana
Sciarra;
uditi gli avvocati Luca Antonini e Luigi Manzi per la Regione Veneto e l’avvocato
dello Stato Paolo Grasso per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in
fatto
1.– Con ricorso notificato il 12 ottobre 2015,
depositato il successivo 19 ottobre, la Regione Veneto ha promosso questione di
legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 81, 97, 117, secondo, terzo e
quarto comma, 118
e 119 della
Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., di alcune
disposizioni della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia
di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), e, in particolare:
dell’art. 1, comma 1, lettere b), c) e g),
e comma 2; dell’art. 11, comma 1, lettere a),
b), numero 2), c), numeri 1) e 2), e), f), g),
h), i), l), m), n),
o), p) e q), e comma 2;
dell’art. 16, commi 1 e 4; dell’art. 17, comma 1, lettere a), b), c), d),
e), f), l), m), o),
q), r), s) e t); dell’art. 18, lettere a), b),
c), e), i), l) e m),
numeri da 1) a 7); dell’art. 19, lettere b),
c), d), g), h), l),
m), n), o), p), s),
t) e u); dell’art. 23, comma 1.
1.1.– In primo luogo la Regione impugna l’art. 1,
comma 1, della citata legge, nella parte in cui delega il Governo ad adottare
uno o più decreti legislativi volti a modificare e integrare, anche
disponendone la delegificazione, il codice dell’amministrazione digitale, di
cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione
digitale), e fissa alcuni criteri e principi direttivi.
In particolare, la ricorrente impugna: 1) la lettera
b) del comma 1 dell’art. 1, nella
parte in cui indica, fra i principi e criteri direttivi ai quali il Governo
dovrebbe attenersi, quello di «ridefinire e semplificare i procedimenti
amministrativi, in relazione alle esigenze di celerità, certezza dei tempi e
trasparenza nei confronti dei cittadini
e delle imprese, mediante una disciplina basata sulla loro
digitalizzazione e per la piena realizzazione del principio "innanzitutto
digitale” (digital first), nonché l’organizzazione e le
procedure interne a ciascuna amministrazione»; 2) la lettera c) del medesimo comma 1, là dove impone
di «garantire, in linea con gli obiettivi dell’Agenda digitale europea, la
disponibilità di connettività a banda larga e ultralarga e l’accesso alla rete
internet presso gli uffici pubblici e altri luoghi che, per la loro funzione,
richiedono le suddette dotazioni, anche attribuendo carattere prioritario, nei
bandi per accedere ai finanziamenti pubblici per la realizzazione della
strategia italiana per la banda ultralarga,
all’infrastrutturazione con reti a banda ultralarga nei settori scolastico,
sanitario e turistico, agevolando in quest’ultimo settore la realizzazione di
un’unica rete wi-fi
ad accesso libero, con autenticazione tramite Sistema pubblico per la gestione
dell’identità digitale (SPID), presente in tutti i luoghi di particolare
interesse turistico, e prevedendo la possibilità di estendere il servizio anche
ai non residenti in Italia, nonché prevedendo che la porzione di banda non
utilizzata dagli uffici pubblici sia messa a disposizione degli utenti, anche
non residenti, attraverso un sistema di autenticazione tramite SPID; garantire
l’accesso e il riuso gratuiti di tutte le informazioni prodotte e detenute
dalle amministrazioni pubbliche in formato aperto, l’alfabetizzazione digitale,
la partecipazione con modalità telematiche ai processi decisionali delle
istituzioni pubbliche, la piena disponibilità dei sistemi di pagamento
elettronico nonché la riduzione del divario digitale sviluppando le competenze
digitali di base»; la lettera g) del
medesimo comma 1, nella parte in cui individua, fra i principi direttivi,
quello di «favorire l’elezione di un domicilio digitale da parte di cittadini e
imprese ai fini dell’interazione con le amministrazioni, anche mediante sistemi
di comunicazione non ripudiabili, garantendo l’adozione di soluzioni idonee a
consentirne l’uso anche in caso di indisponibilità di adeguate infrastrutture e
dispositivi di comunicazione o di un inadeguato livello di alfabetizzazione
informatica, in modo da assicurare, altresì, la piena accessibilità mediante
l’introduzione, compatibilmente con i vincoli di bilancio, di modalità
specifiche e peculiari, quali, tra le altre, quelle relative alla lingua
italiana dei segni».
Tali disposizioni violerebbero l’art. 117, secondo,
terzo e quarto comma, Cost. in quanto, stabilendo una serie di prescrizioni
innovative destinate a interessare tutti i procedimenti amministrativi con cui
l’amministrazione regionale e locale si rapporta con cittadini e imprese,
trascenderebbero la mera funzione del
«coordinamento informativo statistico e informatico dei dati
dell’amministrazione statale, regionale e locale», assegnata alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato dal secondo comma, lettera r), dell’art. 117 Cost., e invaderebbero
vari ambiti di competenza regionale quali la sanità, il turismo, l’attività
d’impresa e l’organizzazione amministrativa regionale.
Esse, inoltre, sarebbero lesive del principio di
leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., considerato che al comma
2 del medesimo art. 1 è stabilito che i relativi decreti legislativi delegati
siano adottati su proposta del Ministro delegato per la semplificazione e la
pubblica amministrazione «previa acquisizione del parere della Conferenza
unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.
281», da rendere «nel termine di quarantacinque giorni dalla data di
trasmissione di ciascuno schema di decreto legislativo, decorso il quale il
Governo può comunque procedere». La previsione del mero parere della Conferenza
unificata sarebbe, infatti, inidonea ad assicurare un’adeguata ponderazione
degli interessi e delle competenze delle autonomie coinvolte dal decreto e
lesiva del principio di bilateralità, poiché il mancato raggiungimento
dell’accordo, il cui termine peraltro sarebbe troppo breve, legittimerebbe
l’assunzione unilaterale di atti normativi da parte del Governo, in contrasto
con la giurisprudenza costituzionale.
1.1.1.– La Regione Veneto formula particolari
censure nei confronti degli artt. 1, comma 1, e 23, comma 1, nella parte in cui
stabiliscono che dall’attuazione della legge in oggetto e dai decreti
legislativi da essa previsti (volti a modificare e integrare il codice
dell’amministrazione digitale) non derivino nuovi o maggiori oneri a carico
della finanza pubblica statale.
Tali disposizioni sono impugnate in riferimento agli
artt. 81 e 119 Cost., in quanto imporrebbero un nuovo e improprio onere di
finanziamento della riforma in capo alle Regioni. La Regione ricorrente deduce
che l’assunzione di nuovi modelli tecnologici imposta dalla normativa statale
comporterebbe inevitabilmente costi a suo carico, rispetto ai quali lo Stato
ometterebbe di destinare le risorse aggiuntive necessarie a coprire gli oneri
conseguenti all’espletamento delle azioni necessarie.
1.2.– Sono, poi, impugnati il comma 1 dell’art. 11,
lettere a), b), numero 2), c), numeri
1) e 2), e), f), g), h), i),
l), m), n), o), p)
e q), della legge n. 124 del 2015,
nella parte in cui detta principi e criteri direttivi relativi alla delega al
Governo ad adottare uno o più decreti legislativi in materia di dirigenza
pubblica, e il comma 2 del medesimo art. 11, là dove stabilisce che i decreti
legislativi delegati siano adottati «previa acquisizione del parere della
Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281», che deve essere reso «nel termine di quarantacinque giorni dalla
data di trasmissione di ciascuno schema di decreto legislativo, decorso il
quale il Governo può comunque procedere».
La Regione Veneto, in particolare, censura: 1) la
lettera a), nella parte in cui
prescrive l’istituzione del sistema della dirigenza pubblica, articolato in
ruoli unificati e coordinati, aventi requisiti omogenei di accesso e procedure analoghe
di reclutamento; 2) la lettera b),
numero 2), che, con riferimento all’inquadramento dei dirigenti delle Regioni,
dopo aver stabilito che sia istituito, previa intesa in sede di Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di
Trento e di Bolzano, un ruolo unico dei dirigenti regionali, prescrive, in sede
di prima applicazione, la «confluenza nel suddetto ruolo dei dirigenti di ruolo
nelle regioni, negli enti pubblici non economici regionali e nelle agenzie regionali»,
nonché la «attribuzione della gestione del ruolo unico a una Commissione per la
dirigenza regionale», la «inclusione nel suddetto ruolo unico della dirigenza
delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e della
dirigenza amministrativa, professionale e tecnica del Servizio sanitario
nazionale ed esclusione dallo stesso […] della dirigenza medica, veterinaria e
sanitaria del Servizio sanitario nazionale»; 3) la lettera c), nella parte in cui stabilisce anche per i dirigenti regionali
criteri e principi direttivi relativi all’accesso alla dirigenza nelle forme
del corso-concorso (numero 1) e del concorso (numero 2); 4) la lettera e), che prescrive la formazione
permanente dei dirigenti; 5) la lettera f),
che amplia la previsione della mobilità della dirigenza, nella parte in cui non
è richiesto il previo assenso delle amministrazioni di appartenenza per la
mobilità della dirigenza medica e sanitaria; 6) la lettera g), nella parte in cui indica una serie di criteri direttivi per il
conferimento di incarichi dirigenziali; 7) la lettera h), che detta criteri in ordine alla durata degli incarichi
predetti; 8) la lettera i), nella
parte in cui stabilisce criteri e principi direttivi della delega in ordine ai
dirigenti privi di incarico; 9) la lettera l),
ove indica criteri e principi direttivi per la disciplina della valutazione dei
risultati; 10) la lettera m), che
individua i principi e criteri direttivi della delega in relazione alla
disciplina della responsabilità dei dirigenti; 11) la lettera n), che definisce principi e criteri in
tema di retribuzione; 12) la lettera o),
nella parte in cui indica principi e criteri per la disciplina transitoria; 13)
la lettera p), nella parte in cui
detta principi e criteri direttivi con riferimento «al conferimento degli
incarichi di direttore generale, di direttore amministrativo e di direttore
sanitario, nonché, ove previsto dalla legislazione regionale, di direttore dei
servizi socio-sanitari, delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale»
e nella parte in cui impone «selezione unica, per titoli, previo avviso
pubblico, dei direttori generali in possesso di specifici titoli formativi e
professionali e di comprovata esperienza dirigenziale, effettuata da parte di
una commissione nazionale composta pariteticamente da rappresentanti dello
Stato e delle regioni, per l’inserimento in un elenco nazionale degli idonei
istituito presso il Ministero della salute, aggiornato con cadenza biennale, da
cui le regioni e le province autonome devono attingere per il conferimento dei
relativi incarichi da effettuare nell’ambito di una rosa di candidati
costituita da coloro che, iscritti nell’elenco nazionale, manifestano
l’interesse all’incarico da ricoprire, previo avviso della singola regione o
provincia autonoma […]; sistema di verifica e di valutazione dell’attività dei
direttori generali che tenga conto del raggiungimento degli obiettivi sanitari
e dell’equilibrio economico dell’azienda, anche in relazione alla garanzia dei
livelli essenziali di assistenza e dei risultati del programma nazionale
valutazione esiti dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali;
decadenza dall’incarico e possibilità di reinserimento soltanto all’esito di
una nuova selezione nel caso di mancato raggiungimento degli obiettivi,
accertato decorsi ventiquattro mesi dalla nomina, o nel caso di gravi o
comprovati motivi, o di grave disavanzo o di manifesta violazione di leggi o
regolamenti o del principio di buon andamento e imparzialità; selezione per
titoli e colloquio, previo avviso pubblico, dei direttori amministrativi e dei
direttori sanitari, nonché, ove previsti dalla legislazione regionale, dei
direttori dei servizi socio-sanitari, in possesso di specifici titoli
professionali, scientifici e di carriera, effettuata da parte di commissioni
regionali composte da esperti di qualificate istituzioni scientifiche, per
l’inserimento in appositi elenchi regionali degli idonei, aggiornati con
cadenza biennale, da cui i direttori generali devono obbligatoriamente attingere
per le relative nomine; decadenza dall’incarico nel caso di manifesta
violazione di leggi o regolamenti o del principio di buon andamento e
imparzialità; definizione delle modalità per l’applicazione delle norme
adottate in attuazione della presente lettera alle aziende
ospedaliero-universitarie»; 14) la lettera q),
nella parte in cui stabilisce la «previsione di ipotesi di revoca dell’incarico
e di divieto di rinnovo di conferimento di incarichi in settori sensibili ed
esposti al rischio di corruzione, in presenza di condanna anche non definitiva,
da parte della Corte dei conti, al risarcimento del danno erariale per condotte
dolose».
Le citate disposizioni violerebbero gli artt. 117,
secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., poiché detterebbero principi e
criteri direttivi volti a disciplinare in maniera puntuale anche la dirigenza
regionale, che sarebbe invece riconducibile alla potestà legislativa regionale
in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa regionale. Tali
principi e criteri non sarebbero, pertanto, configurabili come "principi
generali dell’ordinamento”, che soli sarebbero idonei a vincolare la predetta
competenza legislativa regionale residuale.
Le medesime disposizioni violerebbero, inoltre, il
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., in quanto,
pur incidendo su ambiti di competenza regionale (ordinamento e organizzazione
amministrativa regionale), si limiterebbero a prevedere che i decreti
legislativi siano adottati previa intesa solo con riferimento all’istituzione
del ruolo unico dei dirigenti regionali (art. 11, comma 1, lettera a, numero 2), disponendo, invece, al
comma 2 dell’art. 11, con riguardo a tutte le altre previsioni, che i medesimi
decreti legislativi siano adottati previa acquisizione del mero parere della
Conferenza unificata nel termine di quarantacinque giorni dalla data di
trasmissione. Anche in tal caso la ricorrente lamenta che la forma prescelta
per il raccordo con le Regioni, quella del parere, sia inidonea ad assicurare
un’adeguata ponderazione degli interessi e delle competenze delle autonomie e
lesiva del principio di bilateralità. Il mancato raggiungimento dell’accordo,
entro un termine peraltro molto breve, legittimerebbe l’assunzione unilaterale
di atti normativi da parte del Governo in contrasto con la giurisprudenza
costituzionale.
1.2.1.– La Regione Veneto propone, poi, specifiche
censure in relazione ad alcune disposizioni della delega sulla dirigenza
pubblica.
In particolare, denuncia l’art. 11, comma 1, lettera
f), della citata legge n. 124 del
2015, che prescrive al Governo di indicare casi e condizioni in cui non è
richiesto il previo assenso delle amministrazioni di appartenenza per la
mobilità della dirigenza medica e sanitaria. Tale disposizione sarebbe lesiva degli
artt. 3 e 97 Cost., poiché stabilirebbe un principio generale di ampliamento
delle ipotesi di mobilità, senza considerare che la selezione dei dirigenti in
servizio è avvenuta sulla base dell’accertamento di specifiche competenze
tecniche da parte dell’ente che ha bandito il concorso, in contrasto con i
principi di ragionevolezza e di buon andamento dell’amministrazione, la cui
lesione ridonderebbe sulle competenze regionali.
Anche l’art. 11, comma 1, lettera i), della citata legge n. 124 del 2015,
nella parte in cui prescrive che il Governo preveda la decadenza dal ruolo
unico dei dirigenti privi di incarico, violerebbe gli artt. 3 e 97 Cost., in
quanto determinerebbe una reformatio in peius del regime vigente, con conseguente violazione
dei principi del legittimo affidamento e del buon andamento
dell’amministrazione, che ridonderebbe in una lesione delle competenze
regionali.
Infine, l’art. 11, comma 1, lettera p), della legge n. 124 del 2015, là dove
detta principi e criteri direttivi con riferimento «al conferimento degli
incarichi di direttore generale, di direttore amministrativo e di direttore
sanitario, nonché, ove previsto dalla legislazione regionale, di direttore dei
servizi socio-sanitari, delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale»,
recherebbe norme di dettaglio, atte a comprimere indebitamente competenze
regionali, in ragione dell’attinenza della materia alla tutela della salute e
all’organizzazione amministrativa regionale e tali da configurare una
disciplina irragionevole e contraria al principio del buon andamento della
pubblica amministrazione, in violazione degli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto
comma, e 118 Cost.
1.3.– La Regione impugna altresì l’art. 16 della
legge n. 124 del 2015, nella parte in cui prevede, al comma 1, l’elaborazione
di distinti testi unici diretti alla semplificazione dei settori del lavoro
alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, delle partecipazioni
societarie delle amministrazioni pubbliche, nonché dei servizi pubblici di
interesse economico generale e stabilisce, al comma 4, che i relativi decreti
siano adottati previo parere della Conferenza unificata reso nel termine di
quarantacinque giorni, decorso il quale il Governo può comunque procedere.
Le citate disposizioni violerebbero gli artt. 117,
secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost. e il principio di leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
Esse, infatti, conterrebbero una delega non alla mera semplificazione,
ma anche alla riorganizzazione, incidendo su competenze regionali di cui
all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., come l’organizzazione amministrativa
regionale, il trasporto pubblico locale e i servizi pubblici, e di cui all’art.
119 Cost., e, nonostante ciò, prescriverebbero, per l’adozione dei relativi decreti
legislativi, una forma di raccordo con le Regioni insufficiente. Tale è
ritenuto il parere in Conferenza unificata, lesivo del principio di leale
collaborazione.
1.4.– Viene, inoltre, impugnato l’art. 17, comma 1,
lettere a), b), c), d), e),
f), l), m), o), q),
r), s) e t), della medesima
legge n. 124 del 2015, nella parte in cui definisce i principi e i criteri
direttivi della delega al Governo per il riordino della disciplina del lavoro
alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, per violazione degli artt.
117, secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost. e del principio di leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
In particolare sono censurate: 1) la lettera a), nella parte in cui fissa, fra i
predetti principi e criteri, il riconoscimento nei concorsi pubblici della
professionalità acquisita da coloro che abbiano avuto rapporti di lavoro
flessibile con amministrazioni pubbliche; 2) la lettera b), là dove impone
l’adozione di un disciplina delle prove concorsuali tale da privilegiare l’accertamento
della capacità dei candidati di utilizzare e applicare a problemi specifici e
casi concreti nozioni teoriche; 3) la lettera c), che prescrive l’accentramento dei concorsi per tutte le
amministrazioni pubbliche e la revisione delle modalità di espletamento degli
stessi; 4) la lettera d), che impone
la soppressione del requisito del voto minimo di laurea per la partecipazione
ai concorsi per l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni; 5) la
lettera e), che prescrive
l’accertamento della conoscenza della lingua inglese e di altre lingue, quale
requisito di partecipazione al concorso o titolo di merito valutabile dalle
commissioni giudicatrici, secondo modalità definite dal bando anche in
relazione ai posti da coprire; 6) la lettera f), che indica quale ulteriore principio direttivo la
valorizzazione del titolo di dottore di ricerca; 7) la lettera l), che prescrive l’attribuzione
all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) delle competenze in tema
di accertamento medico legale in caso di assenze dei dipendenti pubblici per
malattia al fine di garantire l’effettività dei controlli; 8) la lettera m), che, fra i principi direttivi,
annovera la definizione di obiettivi di contenimento delle assunzioni,
differenziati in relazione agli effettivi fabbisogni; 9) la lettera o), che prescrive l’introduzione di una
disciplina delle forme del lavoro flessibile, con individuazione di limitate e
tassative fattispecie, caratterizzate dalla compatibilità con la peculiarità
del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e con le
esigenze organizzative e funzionali di queste ultime, anche al fine di
prevenire il precariato; 10) la lettera q),
che prevede il progressivo superamento della dotazione organica come limite per
le assunzioni, anche al fine di facilitare i processi di mobilità; 11) la
lettera r), nella parte in cui impone
la semplificazione delle norme in materia di valutazione dei dipendenti
pubblici, di riconoscimento del merito e di premialità,
la razionalizzazione e l’integrazione dei sistemi di valutazione, anche al fine
della migliore valutazione delle politiche, lo sviluppo di sistemi distinti per
la misurazione dei risultati raggiunti dall’organizzazione e dei risultati
raggiunti dai singoli dipendenti, nonché il potenziamento dei processi di
valutazione indipendente del livello di efficienza e qualità dei servizi e
delle attività delle amministrazioni pubbliche e degli impatti da queste
prodotti, anche mediante il ricorso a standard di riferimento e confronti; 12)
la lettera s), che prevede
l’introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici
dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di
espletamento e di conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare; 13) la
lettera t), che impone il
rafforzamento del principio di separazione tra indirizzo
politico-amministrativo e gestione.
La ricorrente sostiene che le richiamate
disposizioni stabiliscono principi e criteri direttivi volti a disciplinare
direttamente anche il pubblico impiego regionale, senza che intervenga alcuna
distinzione e qualificazione di quei "principi generali dell’ordinamento” che
soli sarebbero idonei a vincolare la potestà legislativa regionale in materia.
Anche con riferimento a tali disposizioni, lette in combinato disposto con il
comma 4 dell’art. 16, la Regione denuncia la violazione del principio di leale
collaborazione. Nonostante le molteplici interferenze dei principi e dei
criteri direttivi previsti dall’art. 17 con le competenze regionali, non
risolvibili con il mero criterio della prevalenza del legislatore statale, la
forma di raccordo con le Regioni che esse prescrivono – il parere in Conferenza
unificata – sarebbe lesiva del principio di bilateralità, sulla base degli
stessi argomenti svolti con riguardo alle disposizioni prima indicate.
1.5.– La Regione Veneto promuove questione di
legittimità costituzionale anche nei confronti dell’art. 18, lettere a), b),
c), e), i), l) e m),
numeri da 1) a 7), della legge n. 124 del 2015, là dove delega il Governo ad
operare un riordino della disciplina delle partecipazioni azionarie delle
amministrazioni pubbliche e stabilisce, fra i principi e criteri direttivi: la
previsione del ricorso ad una varietà di tipologie societarie in relazione alle
attività svolte e agli interessi pubblici di riferimento, con applicazione di
distinte discipline, derogando proporzionalmente alla disciplina privatistica
(lettera a); l’individuazione delle
regole, delle condizioni e dei limiti per la costituzione di società o per
l’assunzione o il mantenimento di partecipazioni societarie da parte di
amministrazioni pubbliche (lettera b);
la definizione di un preciso regime di responsabilità degli amministratori
delle amministrazioni partecipanti e degli organi delle società partecipate
(lettera c); la razionalizzazione del
regime pubblicistico per gli acquisti e il reclutamento del personale, per i
vincoli alle assunzioni e le politiche retributive (lettera e); la previsione di piani di rientro
per le società con bilanci in disavanzo con eventuale commissariamento (lettera
i); la regolazione dei flussi
finanziari, sotto qualsiasi forma, tra amministrazione pubblica e società
partecipate secondo i criteri di parità di trattamento tra imprese pubbliche e
private e operatore di mercato (lettera l);
la puntuale individuazione di regole inerenti al riordino delle società
partecipate dagli enti locali (lettera m,
numeri da 1 a 7).
Le citate disposizioni violerebbero gli artt. 117,
secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., poiché la fissazione di tali
principi e criteri eccederebbe dalle competenze statali in materia di «tutela
della concorrenza» e di «coordinamento della finanza pubblica», invadendo sfere
di competenza regionali. Inoltre, esse violerebbero il principio di leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., poiché prescriverebbero, in
combinato disposto con il comma 4 dell’art. 16, per l’attuazione della delega,
una forma di raccordo con le Regioni – il parere in Conferenza unificata – da
ritenersi insufficiente, tenuto conto delle molteplici interferenze con le
attribuzioni regionali.
In particolare, la Regione ritiene che l’art. 18,
nella parte in cui vieta (alle lettere a
e b) alle Regioni di assumere o
mantenere partecipazioni in società, sottrarrebbe alle medesime la scelta delle
modalità organizzative di svolgimento delle attività di produzione di beni e
servizi strumentali alle proprie finalità istituzionali, con conseguente
lesione della competenza regionale residuale in materia di organizzazione e
funzionamento della Regione. Lo stesso art. 18, nella parte in cui delega al
Governo la definizione della responsabilità non solo degli organi delle società
partecipate, ma anche degli amministratori delle amministrazioni partecipanti
(lettera c), inciderebbe nell’ambito
della responsabilità amministrativa del personale regionale, che esula dalla
competenza statale. Inoltre, là dove prevede la razionalizzazione del regime
pubblicistico per gli acquisti e il reclutamento del personale, per i vincoli
alle assunzioni e le politiche retributive (lettera e), l’art. 18 inciderebbe sulle competenze regionali in materia di
organizzazione e funzionamento della Regione, di cui all’art. 117, quarto
comma, Cost. Quanto alla delega al Governo a prevedere la possibilità di piani
di rientro per le società con bilanci in disavanzo con eventuale
commissariamento (lettera i), la
Regione ne deduce l’illegittimità costituzionale, ritenendo che sia di sua
competenza regolare dettagliatamente modalità e termini di esercizio del
proprio potere sostitutivo nell’ambito delle materie di potestà legislativa
regionale. Infine, l’attribuzione al Governo del compito di regolare i flussi
finanziari, sotto qualsiasi forma, tra amministrazione pubblica e società
partecipate (lettera l), determinerebbe una lesione dell’autonomia
finanziaria della Regione di cui all’art. 119 Cost.
Con riguardo ai principi e criteri direttivi
relativi al riordino delle società partecipate dagli enti locali, definiti
dall’art. 18, lettera m), numeri da
1) a 7), della legge n. 124 del 2015, la ricorrente ne argomenta
l’illegittimità costituzionale, poiché imporrebbero al Governo:
l’individuazione dei criteri di scelta della forma societaria più adeguata per
le società che gestiscono servizi strumentali e funzioni amministrative;
l’individuazione, per le società che gestiscono servizi pubblici di interesse
economico generale, di un numero massimo di esercizi con perdite di bilancio
che comportino obblighi di liquidazione delle società; il rafforzamento delle
misure volte a garantire il raggiungimento di obiettivi di qualità, efficienza,
efficacia ed economicità, anche attraverso la riduzione dell’entità e del
numero delle partecipazioni e l’incentivazione dei processi di aggregazione,
intervenendo sulla disciplina dei rapporti finanziari fra ente locale e società
partecipate nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica e al fine di una
maggiore trasparenza; la promozione della trasparenza; l’introduzione di un sistema
sanzionatorio per la mancata attuazione dei principi di razionalizzazione e
riduzione di cui allo stesso art. 18, basato anche sulla riduzione dei
trasferimenti dello Stato alle amministrazioni che non ottemperano alle
disposizioni in materia; l’introduzione di strumenti, anche contrattuali, volti
a favorire la tutela dei livelli occupazionali nei processi di ristrutturazione
e privatizzazione relativi alle società partecipate; la revisione degli
obblighi di trasparenza e rendicontazione delle società partecipate nei
confronti degli enti locali soci.
In tal modo, essi non lascerebbero alcuno spazio per
l’intervento regolativo della Regione e sarebbero in contrasto con il principio
di proporzionalità, giacché non si configurerebbero come il mezzo meno invasivo
per disciplinare la concorrenza e il coordinamento della finanza pubblica, con
ridondanza sulle competenze regionali.
1.6.– Viene, infine, impugnato dalla Regione Veneto
l’art. 19, lettere b), c), d),
g), h), l), m), n),
o), p), s), t) e u),
della legge n. 124 del 2015, nella parte in cui delega il Governo a operare il
riordino della disciplina dei servizi pubblici locali d’interesse economico
generale e a tale scopo fissa una serie di principi e criteri direttivi che
andrebbero ben al di là dei limiti entro cui deve attenersi la trasversalità
della materia «tutela della concorrenza», incidendo su una pluralità di altri
ambiti, rientranti nella sfera di competenza regionale residuale o concorrente
(quali, per esempio, quello del trasporto pubblico locale e dell’organizzazione
amministrativa regionale e degli enti locali), in violazione del criterio di
proporzionalità.
In particolare, l’art. 19 determinerebbe la
violazione degli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost. nella
parte in cui, fra i principi e criteri direttivi della delega, prevede: 1) alla
lettera b), la soppressione, previa
ricognizione, dei regimi di esclusiva, comunque denominati, non conformi ai
principi generali in materia di concorrenza e comunque non indispensabili per
assicurare la qualità e l’efficienza del servizio; 2) alla lettera c), l’individuazione della disciplina
generale in materia di regolazione e organizzazione dei servizi di interesse
economico generale di ambito locale, compresa la definizione dei criteri per
l’attribuzione dei diritti speciali o esclusivi; 3) alla lettera d), la definizione, anche mediante
rinvio alle normative di settore e armonizzazione delle stesse, dei criteri per
l’organizzazione territoriale ottimale dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica; 4) alla lettera g),
l’individuazione dei criteri per la definizione dei regimi tariffari che
tengano conto degli incrementi di produttività al fine di ridurre l’aggravio
sui cittadini e sulle imprese; 5) alla lettera h), la definizione delle modalità di tutela degli utenti dei
servizi pubblici locali; 6) alla lettera l),
la previsione di una netta distinzione tra le funzioni di regolazione e
controllo e le funzioni di gestione dei servizi, anche attraverso la modifica della
disciplina sulle incompatibilità o sull’inconferibilità di incarichi o cariche;
7) alla lettera m), la revisione
della disciplina dei regimi di proprietà e gestione delle reti, degli impianti
e delle altre dotazioni, nonché di cessione dei beni in caso di subentro, in
base a principi di tutela e valorizzazione della proprietà pubblica, di
efficienza, di promozione della concorrenza, di contenimento dei costi di
gestione, di semplificazione; 8) alla lettera n), l’individuazione e l’allocazione dei poteri di regolazione e
controllo tra i diversi livelli di governo e le autorità indipendenti, al fine
di assicurare la trasparenza nella gestione e nell’erogazione dei servizi, di
garantire l’eliminazione degli sprechi, di tendere al continuo contenimento dei
costi, aumentando nel contempo gli standard qualitativi dei servizi; 9) alla
lettera o), la previsione di adeguati
strumenti di tutela non giurisdizionale per gli utenti dei servizi; 10) alla
lettera p), l’introduzione e il
potenziamento di forme di consultazione dei cittadini e di partecipazione
diretta alla formulazione di direttive alle amministrazioni pubbliche e alle
società di servizi sulla qualità e sui costi degli stessi; 11) alla lettera s), la definizione del regime delle
sanzioni e degli interventi sostitutivi, in caso di violazione della disciplina
in materia; 12) alla lettera t),
l’armonizzazione con la disciplina generale delle disposizioni speciali vigenti
nei servizi pubblici locali, relative alla disciplina giuridica dei rapporti di
lavoro; 13) alla lettera u), la
definizione degli strumenti per la trasparenza e la pubblicizzazione dei
contratti di servizio, relativi a servizi pubblici locali di interesse
economico generale, da parte degli enti affidanti anche attraverso la
definizione di contratti di servizio tipo per ciascun servizio pubblico locale
di interesse economico generale.
Le citate disposizioni violerebbero, inoltre, il
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., poiché, pur
incidendo su ambiti di competenza regionale e sacrificando la possibilità per
la Regione di adottare proprie scelte organizzative, prescriverebbero una forma
di raccordo con la Regione inadeguata, considerato che, per effetto del
combinato disposto tra l’art. 19 e l’art. 16, è stabilito che i relativi
decreti legislativi di riordino siano adottati previa acquisizione del mero
parere della Conferenza unificata, peraltro entro il breve termine di
quarantacinque giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale il Governo
può comunque procedere.
2.– Nel giudizio si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, e ha chiesto che il ricorso promosso dalla Regione Veneto sia dichiarato
infondato.
2.1.– In linea preliminare, la difesa statale
sostiene che le censure rivolte in particolare all’art. 11, comma 1, lettere f) e i),
della legge n. 124 del 2015, in riferimento al principio di ragionevolezza e
buon andamento, siano inammissibili, considerato che si assume violato un precetto
costituzionale diverso da quelli attinenti al riparto di competenza fra Stato e
Regioni, che non ridonderebbe nella compressione di sfere di attribuzione
costituzionalmente garantite alle Regioni.
Quanto, poi, alle censure promosse nei confronti
dell’art. 16, commi 1 e 4, l’Avvocatura generale dello Stato ne segnala la
genericità e rileva che non è stata impugnata la disposizione (il comma 2)
nella quale sarebbero indicati i principi e criteri direttivi cui deve
attenersi il Governo nell’esercizio della delega.
2.2.– Nel merito, le questioni sarebbero prive di
fondamento in quanto tutte le disposizioni impugnate sarebbero riconducibili ad
ambiti di competenza statale, quali, quello dell’organizzazione amministrativa
dello Stato e degli enti pubblici nazionali, dell’ordinamento civile, della
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali da garantire sul territorio nazionale, della tutela della
concorrenza.
2.2.1.– In particolare, la difesa statale ritiene che
l’oggetto della disciplina contenuta nell’art. 1, comma 1, lettere b), c)
e g), e comma 2, della legge n. 124
del 2015, debba essere ricondotto alla materia «coordinamento informativo
statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e
locale» di competenza legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettera r), Cost.
La disciplina contenuta nelle disposizioni
impugnate, volta a promuovere progetti strategici in tema di digitalizzazione della
pubblica amministrazione, atterrebbe unicamente al coordinamento sul piano
tecnico delle varie iniziative di innovazione tecnologica, allo scopo di
consentire la condivisione di linguaggio, procedure e standard omogenei, in un
ambito unitario, in modo da permettere la più efficace comunicabilità tra i
sistemi informatici delle varie amministrazioni.
La previsione del mero parere della Conferenza
unificata sarebbe del tutto idonea ad assicurare il necessario coinvolgimento
delle Regioni e degli enti locali, in considerazione del rilievo eminentemente
tecnico delle operazioni regolate dalla fonte statale.
Anche le censure promosse nei confronti dell’art.
11, comma 1, lettere a), b), numero 2, c), numeri 1) e 2), e), f), g),
h), i), l), m), n),
o), p) e q), e comma 2, della
legge n. 124 del 2015 sarebbero prive di fondamento. Queste disposizioni,
infatti, inciderebbero in un ambito, quello del pubblico impiego, nel quale si
intrecciano aspetti relativi alla competenza esclusiva dello Stato con altri
che eccedono dalle competenze statali, in modo che non sarebbe possibile
determinare in via preventiva e astratta quali dovranno essere ritenute
vincolanti e lesive per le Regioni. D’altro canto, la difesa statale ricorda
che la giurisprudenza costituzionale ha ricondotto alla materia «ordinamento
civile», di competenza esclusiva statale, numerosi ambiti del lavoro pubblico,
fra cui non solo la disciplina della fase costitutiva, le vicende del rapporto
inerenti alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e quelle del
recesso dal rapporto di lavoro propriamente subordinato, ma anche differenti
ipotesi rientranti nella cosiddetta parasubordinazione (quali le collaborazioni
coordinate e continuative a progetto), la trasformazione dei contratti di lavoro
(da tempo parziale a tempo pieno), la disciplina delle libertà e dei diritti
sindacali, i contratti a contenuto formativo, la disciplina dell’orario di
lavoro e dei trattamenti economici, ordinari e accessori, la disciplina dei
rimborsi spese e dell’indennità di trasferta, quali componenti del trattamento
economico del dipendente pubblico regionale.
Il resistente precisa che la previsione di un ruolo
unico della dirigenza pubblica, caratterizzata dalla piena mobilità tra i
ruoli, configurerebbe una modalità per rendere effettivo il diritto al lavoro
di cui all’art. 4 Cost. e rimuovere gli ostacoli all’esercizio di tale diritto
in qualunque parte del territorio nazionale (art. 120 Cost.).
Egualmente prive di fondamento sarebbero le censure
promosse nei confronti dell’art. 17, comma 1, lettere a), b), c), d),
e), f), l), m), o),
q), r), s) e t), della legge n. 124 del 2015. Alcune
delle disposizioni citate sarebbero, infatti, riconducibili, come per la
dirigenza pubblica, alla materia «ordinamento civile». Altre conterrebbero
principi direttivi (come quello della centralizzazione delle procedure
concorsuali, dell’introduzione del sistema informativo nazionale per orientare
la programmazione delle assunzioni, della rilevazione delle competenze dei
lavoratori) volti a perseguire l’obiettivo del contenimento della spesa
pubblica e dell’equilibrio dei conti consolidati degli enti pubblici e quindi
configurabili quali principi di coordinamento della finanza pubblica.
Anche le censure promosse nei confronti delle disposizioni
dell’art. 18, lettere a), b), c),
e), i), l) e m), numeri da 1) a 7), della legge n.
124 del 2015, che recano la delega per la riorganizzazione, semplificazione e
tutela della concorrenza nella materia delle partecipazioni azionarie delle
pubbliche amministrazioni, sarebbero prive di fondamento.
Le disposizioni impugnate non rientrerebbero nella
materia dell’organizzazione amministrativa perché non sarebbero volte a
regolare una modalità di svolgimento dell’attività amministrativa, bensì dell’«ordinamento
civile», in quanto mirerebbero a definire il regime giuridico di soggetti di
diritto privato e a tracciare il confine tra attività amministrativa e attività
di persone giuridiche private. Tali disposizioni, inoltre, volte ad evitare che
soggetti dotati di privilegi operino in mercati concorrenziali, quindi ad
impedire che le società con partecipazione pubblica costituiscano fattori di
distorsione della concorrenza, sarebbero riconducibili anche alla materia
«tutela della concorrenza» di competenza legislativa esclusiva statale.
Quanto alle censure rivolte all’art. 19, lettere b), c),
d), g), h), l), m),
n), o), p), s), t)
e u), della legge n. 124 del 2015, la
difesa statale ne sostiene l’infondatezza, sull’assunto che esse, volte a
definire criteri e principi direttivi di riordino della disciplina dei servizi
pubblici locali di interesse economico generale, siano riferibili alla materia
«tutela della concorrenza», oltre che a quella inerente alle «funzioni
fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane», entrambe di competenza
legislativa statale esclusiva. Peraltro, in considerazione del fatto che,
attraverso la prestazione dei servizi pubblici locali si concretizzano
molteplici ed importanti diritti sociali che devono essere garantiti su tutto
il territorio nazionale, si delineerebbe anche la competenza del legislatore
statale in ordine alla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti i diritti civili e sociali».
Le disposizioni di cui all’art. 19, infine, finalizzate
al contenimento ed alla razionalizzazione della spesa pubblica, rientrerebbero
nel novero dei principi di «coordinamento della finanza pubblica» ai sensi
dell’art. 117, terzo comma, Cost.
In ogni caso, non sarebbe leso neanche il principio
di leale collaborazione, poiché il parere della Conferenza unificata sarebbe
idoneo ad assicurare tutte le necessarie fasi dialogiche per l’adozione dei
relativi decreti attuativi che incidano su materie in cui sussistano forme di
interferenza tra le relative competenze.
3.– La Regione Veneto, con memoria depositata
nell’imminenza dell’udienza, ha ribadito gli argomenti già svolti nell’atto
introduttivo a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità
costituzionale di tutte le disposizioni censurate. La ricorrente ha inoltre
rilevato che alcune delle medesime disposizioni si sono già tradotte in decreti
legislativi e precisamente nel decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 179
(Modifiche ed integrazioni al Codice dell’amministrazione digitale, di cui al
decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, ai sensi dell’articolo 1 della legge 7
agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni
pubbliche), nel decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in
materia di società a partecipazione pubblica) e nel decreto legislativo 4
agosto 2016, n. 171 (Attuazione della delega di cui all’articolo 11, comma 1,
lettera p, della legge 7 agosto 2015,
n. 124, in materia di dirigenza sanitaria). A tal proposito la Regione si
riserva la valutazione sull’impugnazione di tali decreti.
4.– All’udienza pubblica le parti hanno ribadito le
conclusioni svolte nelle memorie scritte.
Considerato
in diritto
1.– La Regione Veneto ha promosso questione di legittimità
costituzionale, in via principale, di alcune disposizioni contenute negli artt.
1, 11, 16, 17, 18, 19 e 23 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al
Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), in
riferimento agli artt. 3, 81, 97, 117, secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119
della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione di cui agli
artt. 5 e 120 Cost.
In particolare, la Regione ricorrente censura:
– l’art. 1, comma 1, lettere b), c) e g), e comma 2, nella parte in cui detta
principi e criteri direttivi in ordine alla delega al Governo all’adozione di
uno o più decreti legislativi volti a modificare e integrare, anche
disponendone la delegificazione, il codice dell’amministrazione digitale di cui
al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (comma 1), e nella parte in cui
stabilisce che i decreti legislativi delegati siano deliberati su proposta del
Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione «previa
acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281», da rendere «nel termine di
quarantacinque giorni dalla data di trasmissione di ciascuno schema di decreto
legislativo, decorso il quale il Governo può comunque procedere» (comma 2);
– l’art. 11, comma 1, lettere a), b), numero 2), c), numeri 1) e 2), e), f), g), h),
i), l), m), n), o),
p) e q), e comma 2, nella parte in cui detta principi e criteri
direttivi in ordine alla delega al Governo all’adozione di uno o più decreti
legislativi in materia di dirigenza pubblica, prevedendo l’istituzione del
sistema della dirigenza pubblica, articolato in ruoli unificati e coordinati,
aventi requisiti omogenei di accesso e procedure analoghe di reclutamento e fondati
sui principi del merito, dell’aggiornamento e della formazione continua (comma
1), e nella parte in cui stabilisce che i decreti legislativi delegati siano
deliberati «previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui
all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281», che deve essere
reso «nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione»,
«decorso il quale il Governo può comunque procedere» (comma 2);
– l’art. 16, commi 1 e 4, nella parte in cui prevede
l’elaborazione di distinti testi unici diretti alla semplificazione nei settori
del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, delle
partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche, nonché dei servizi
pubblici di interesse economico generale (comma 1), e nella parte in cui
stabilisce che i decreti legislativi siano adottati previa acquisizione del
parere della Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 281 del 1997,
che deve essere reso nel termine di quarantacinque giorni dalla data di
trasmissione di ciascuno schema di decreto, decorso il quale il Governo può
comunque procedere (comma 4);
– l’art. 17, comma 1, lettere a), b), c), d),
e), f), l), m), o),
q), r), s) e t), nella parte in cui definisce i
principi e i criteri direttivi della delega al Governo per il riordino della
disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche;
– l’art. 18, lettere a), b), c), e),
i), l) e m), numeri da 1) a
7), nella parte in cui delega il Governo ad operare un riordino della disciplina
delle partecipazioni azionarie delle amministrazioni pubbliche e fissa una
serie di principi e criteri direttivi;
– l’art. 19, lettere b), c), d), g),
h), l), m), n), o),
p), s), t) e u), nella parte in cui reca una delega legislativa
al Governo per il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali
d’interesse economico generale, che mira alla definizione della disciplina
generale in materia di regolazione e organizzazione dei servizi di interesse
economico generale di ambito locale.
Tutte le citate disposizioni sono impugnate sotto un
duplice profilo.
Anzitutto esse andrebbero al di là delle sfere di
competenza legislativa statale esclusiva e invaderebbero vari ambiti di
competenza legislativa regionale residuale (organizzazione amministrativa
regionale, turismo, servizi pubblici locali, trasporto pubblico locale) o
concorrente (tutela della salute, coordinamento della finanza pubblica), in
quest’ultimo caso in quanto, recando una disciplina di dettaglio, eliminerebbero
ogni spazio di intervento della Regione.
Inoltre, nonostante le molteplici interferenze con
le competenze regionali, non risolvibili mediante il criterio della prevalenza
del legislatore statale, esse prescriverebbero, per l’adozione dei decreti
legislativi delegati, una insufficiente forma di raccordo con le Regioni – il
parere in Conferenza unificata – ritenuto lesivo del principio di leale
collaborazione. Il mancato raggiungimento dell’accordo, entro il breve termine
di quarantacinque giorni, legittimerebbe, infatti, l’assunzione unilaterale di
un provvedimento da parte del Governo.
Più specificamente, poi, la Regione impugna:
– l’art. 11, comma 1, lettera f), nella parte in cui, con riferimento alla mobilità della
dirigenza, prescrivendo che il Governo preveda i casi e le condizioni in cui
non è richiesto il previo assenso delle amministrazioni di appartenenza per la
mobilità della dirigenza medica e sanitaria, porrebbe un principio generale di
ampliamento delle ipotesi di mobilità dei dirigenti, senza considerare che la
selezione dei dirigenti in servizio è avvenuta sulla base dell’accertamento di
specifiche competenze tecniche da parte dell’ente che ha bandito il concorso,
in contrasto con il principio di ragionevolezza e buon andamento dell’amministrazione
(artt. 3 e 97 Cost.), e conseguentemente delle relative competenze regionali;
– l’art. 11, comma 1, lettera i), nella parte in cui, stabilendo criteri e principi direttivi in
ordine ai dirigenti privi di incarico e in specie prevedendo la decadenza dal
ruolo unico, entrerebbe in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. in quanto
determinerebbe una reformatio in peius del
regime vigente con una violazione del principio del legittimo affidamento e del
buon andamento dell’amministrazione, che, incidendo sul principio di autonomia
dell’amministrazione dalla politica, ridonderebbe in una lesione delle
competenze regionali;
– l’art. 11, comma 1, lettera p), là dove, dettando principi e criteri direttivi con riferimento
«al conferimento degli incarichi di direttore generale, di direttore
amministrativo e di direttore sanitario, nonché, ove previsto dalla
legislazione regionale, di direttore dei servizi socio-sanitari, delle aziende
e degli enti del Servizio sanitario
nazionale», recherebbe norme di
dettaglio, atte a comprimere indebitamente competenze regionali, in ragione
dell’attinenza della materia alla tutela della salute e all’organizzazione
amministrativa regionale e tali da configurare una disciplina irragionevole e
contraria al principio del buon andamento della pubblica amministrazione, in
violazione degli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.;
– gli artt. 1, comma 1, e 23, nella parte in cui
stabiliscono che dall’attuazione della legge in oggetto e dai decreti
legislativi da essa previsti (volti a modificare e integrare il codice
dell’amministrazione digitale) non derivino nuovi o maggiori oneri a carico
della finanza pubblica statale. Tali disposizioni sono impugnate in riferimento
agli artt. 81 e 119 Cost. in quanto imporrebbero un nuovo e improprio onere di
finanziamento della riforma in capo alle Regioni.
2. – In via preliminare, non si riscontrano ostacoli
all’esame nel merito delle censure promosse, per il sol fatto che esse sono
contenute in una legge delega.
Questa Corte ha, già da tempo, riconosciuto che la
legge di delegazione, in quanto atto avente forza di legge, non si sottrae, ai
sensi dell’art. 134 Cost., al controllo di costituzionalità in via principale,
di cui può divenire oggetto, quando sia possibile riscontrare una lesione
dell’autonomia regionale (sentenza n. 224 del
1990; e, fra le altre, sentenze n. 205 del 2005,
n. 50 del 2005
e n. 359 del
1993). In tali casi, l’attenzione deve cadere non tanto «sulla natura
dell’atto impugnato, di per sé inequivocabilmente capace di integrare
l’ordinamento giuridico con norme primarie», quanto piuttosto «sulla ricorrenza
dell’interesse regionale ad impugnarlo» (sentenza n. 278 del
2010).
Nella specie, il carattere puntuale delle
disposizioni oggetto delle censure della legge n. 124 del 2015, contenenti
deleghe, è sufficiente a dimostrare l’attitudine lesiva delle medesime,
ritenute dalla ricorrente invasive delle sfere di competenza legislativa
regionale concorrente e residuale, indicate nel ricorso. Quest’ultimo è dunque
ammissibile.
2.1.– Ancora preliminarmente, occorre esaminare le
eccezioni di inammissibilità sollevate dal Presidente del Consiglio dei
ministri, nei confronti delle censure concernenti l’art. 11, comma 1, lettere f) e i),
in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.
La difesa statale sostiene che tali censure siano
inammissibili, poiché si assume violato un precetto costituzionale diverso da
quelli attinenti al riparto di competenza fra Stato e Regioni, che non
ridonderebbe nella compressione di sfere di attribuzione costituzionalmente
garantite alle Regioni.
Tali eccezioni sono prive di fondamento.
Questa Corte ha più volte affermato che «le Regioni
possono evocare parametri di legittimità diversi da quelli che sovrintendono al
riparto di attribuzioni solo quando la violazione denunciata sia potenzialmente
idonea a determinare una lesione delle attribuzioni costituzionali delle
Regioni (sentenze n.
8 del 2013 e n.
199 del 2012) e queste abbiano sufficientemente motivato in ordine ai
profili di una possibile ridondanza della predetta violazione sul riparto di
competenze, assolvendo all’onere di operare la necessaria indicazione della
specifica competenza regionale che ne risulterebbe offesa e delle ragioni di
tale lesione (nello stesso senso, le sentenze n. 29 del 2016,
n. 251, n. 189, n. 153, n. 140, n. 89 e n. 13 del 2015)»
(sentenza n. 65
del 2016).
Nella specie le richiamate condizioni sono
soddisfatte, considerato che la Regione censura le disposizioni citate
congiuntamente alle altre di cui all’art. 11, comma 1, perché, dettando
principi direttivi puntuali, volti a disciplinare anche la dirigenza regionale,
invaderebbero la sfera di competenza regionale residuale in materia di
ordinamento e organizzazione amministrativa regionale. Tale invasione, con
particolare riguardo alla disciplina recata dalla lettera f), si rivelerebbe anche irragionevole e lesiva del buon andamento
dell’amministrazione, posto che priverebbe l’amministrazione (regionale), che
ha bandito il concorso e selezionato i dirigenti sulla base dell’accertamento
di specifiche competenze tecniche, della possibilità di interloquire (e quindi
eventualmente assentire) in ordine alla mobilità della dirigenza medica e
sanitaria. Con riguardo alla lettera i),
l’invasione sarebbe del pari irragionevole e lesiva del buon andamento, nella
parte in cui prevede la decadenza dal ruolo unico dei dirigenti privi di
incarico, comprimendo l’autonomia amministrativa regionale.
Sono, pertanto, chiaramente individuati gli specifici
ambiti di competenza regionale incisi dalla norma statale, così come è
soddisfatto l’onere di motivazione gravante sulla Regione.
2.2.– Sulla base dei medesimi argomenti appena
svolti devono ritenersi ammissibili le censure di violazione degli artt. 3 e 97
Cost. nei confronti dell’art. 11, comma 1, lettera p), in tema di disciplina della dirigenza sanitaria. Anche in tal
caso, infatti, le predette censure sono meramente strumentali a quelle di
invasione delle competenze legislative regionali residuali in materia di
organizzazione amministrativa regionale e di quelle concorrenti in materia di
tutela della salute.
2.3.– Del pari priva di fondamento è l’eccezione di
inammissibilità proposta dalla difesa del Presidente del Consiglio dei ministri
per genericità delle censure svolte nei confronti dell’art. 16, commi 1 e 4,
della medesima legge n. 124 del 2015.
La disposizione è censurata perché non conterrebbe
solo la delega alla semplificazione, cui fanno riferimento i principi e criteri
direttivi indicati al comma 2, non impugnati, ma anche alla riorganizzazione
dei settori del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, delle
partecipazioni societarie delle amministrazioni pubbliche, nonché dei servizi
pubblici di interesse economico generale, secondo i principi indicati agli
artt. 17, 18 e 19, oggetto delle censure. La delega invaderebbe, pertanto,
sfere di competenze regionali di cui all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
(organizzazione amministrativa regionale, trasporto pubblico locale e servizi
pubblici). Essa violerebbe anche il principio di leale collaborazione, nella
parte in cui prevede, al comma 4, che i decreti legislativi attuativi,
nonostante l’incidenza sulle richiamate
materie di competenza regionale, siano adottati previo parere della Conferenza
unificata, forma di raccordo con le Regioni ritenuta insufficiente e lesiva del
principio di bilateralità, poiché il mancato raggiungimento dell’accordo entro
il termine di quarantacinque giorni legittimerebbe, di per sé, l’assunzione
unilaterale di atti normativi da parte del Governo.
Le censure sono, pertanto, chiaramente proposte, in
quanto sono state identificate le materie di competenza regionale sulle quali
interferirebbe la normativa impugnata e conseguentemente è stata denunciata la
violazione del principio di leale collaborazione.
2.4.– Ancora preliminarmente, deve essere dichiarata
l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale promossa nei
confronti degli artt. 1, comma 1, e 23, nella parte in cui stabilisce che
dall’attuazione della legge in oggetto e dai decreti legislativi da essa
previsti non derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica
statale.
Tali disposizioni sono impugnate in riferimento agli
artt. 81 e 119 Cost., poiché imporrebbero un nuovo e improprio onere di
finanziamento della riforma in capo alle Regioni, di cui, tuttavia, non è
fornita alcuna dimostrazione. La ricorrente, infatti, denuncia la violazione
dell’art. 81 Cost. senza fornirne le ragioni e senza considerare che al
successivo comma 2 è espressamente stabilito che «[i] decreti legislativi di
attuazione delle deleghe contenute nella presente legge sono corredati di
relazione tecnica che dia conto della neutralità finanziaria dei medesimi
ovvero dei nuovi o maggiori oneri da essi derivanti e dei corrispondenti mezzi
di copertura». Essa omette, altresì, di spiegare in che modo dalla pretesa
lesione dell’art. 81 Cost. deriverebbe una violazione della propria autonomia
finanziaria, corrispondente all’imposizione di un nuovo onere di finanziamento
della riforma a proprio carico, considerato che il comma 1 dell’art. 23
espressamente dispone che dall’attuazione della legge in oggetto e dai decreti
legislativi da essa previsti (volti a modificare e integrare il codice dell’amministrazione
digitale) non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico, in generale,
della finanza pubblica e quindi anche di quella regionale.
3.– Nel passare, per ciascuna delle questioni
promosse, all’esame del merito, occorre svolgere preliminarmente alcune
considerazioni generali.
Tutte le disposizioni impugnate riflettono l’intento
del legislatore delegante di incidere sulla «riorganizzazione delle
amministrazioni pubbliche», secondo un criterio di diversificazione delle
misure da adottare nei singoli decreti legislativi. Esse spaziano dalla
cittadinanza digitale (art. 1), alla dirigenza pubblica (art. 11), dal lavoro
alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (art. 17), alle partecipazioni
azionarie delle amministrazioni pubbliche (art. 18), ai servizi pubblici locali
di interesse economico generale (art. 19) e, proprio per questo, influiscono su
molteplici sfere di competenza legislativa anche regionale. Nella complessa
struttura delle norme contenenti le deleghe riguardanti i settori indicati,
occorre verificare se vi sia una prevalente competenza statale, cui ricondurre
il disegno riformatore nella sua interezza.
Un simile intervento del legislatore statale
rientra, infatti, nel novero di quelli, già sottoposti all’attenzione di questa
Corte, volti a disciplinare, in maniera unitaria, fenomeni sociali complessi,
rispetto ai quali si delinea una «fitta trama di relazioni, nella quale ben
difficilmente sarà possibile isolare un singolo interesse», quanto piuttosto
interessi distinti «che ben possono ripartirsi diversamente lungo l’asse delle
competenze normative di Stato e Regioni» (sentenza n. 278 del
2010), corrispondenti alle diverse materie coinvolte.
In tali casi occorre valutare se una materia si
imponga sulle altre, al fine di individuare la titolarità della competenza.
Talvolta la valutazione circa la prevalenza di una
materia su tutte le altre può rivelarsi impossibile e avallare l’ipotesi,
diversa da quella in precedenza considerata, di concorrenza di competenze, che
apre la strada all’applicazione del principio di leale collaborazione. In
ossequio a tale principio il legislatore statale deve predisporre adeguati
strumenti di coinvolgimento delle Regioni, a difesa delle loro competenze.
L’obiettivo è contemperare le ragioni dell’esercizio unitario delle stesse con
la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite alle autonomie
(sentenze n. 65
del 2016, n.
88 del 2014 e n.
139 del 2012).
Il parere come strumento di coinvolgimento delle
autonomie regionali e locali non può non misurarsi con la giurisprudenza di
questa Corte che, nel corso degli anni, ha sempre più valorizzato la leale
collaborazione quale principio guida nell’evenienza, rivelatasi molto
frequente, di uno stretto intreccio fra materie e competenze e ha ravvisato
nell’intesa la soluzione che meglio incarna la collaborazione (di recente,
sentenze n. 21
e n. 1 del 2016).
Quel principio è tanto più apprezzabile se si considera la «perdurante assenza
di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei
procedimenti legislativi» (sentenza n. 278 del
2010) e diviene dirimente nella considerazione di interessi sempre più
complessi, di cui gli enti territoriali si fanno portatori.
Un’analoga esigenza di coinvolgere adeguatamente le
Regioni e gli enti locali nella forma dell’intesa è stata riconosciuta anche
nella diversa ipotesi della attrazione in sussidiarietà della funzione
legislativa allo Stato, in vista dell’urgenza di soddisfare esigenze unitarie,
economicamente rilevanti, oltre che connesse all’esercizio della funzione
amministrativa. In tal caso, l’esercizio unitario che consente di attrarre,
insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, può aspirare a
superare il vaglio di legittimità costituzionale – e giustificare la deroga al
riparto di competenze contenuto nel Titolo V – «solo in presenza di una
disciplina che prefiguri un iter in
cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento
orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al
principio di lealtà» (sentenza n. 303 del
2003; di recente, sentenza n. 7 del
2016).
Questa Corte ha individuato nel sistema delle
conferenze «il principale strumento che consente alle Regioni di avere un ruolo
nella determinazione del contenuto di taluni atti legislativi statali che
incidono su materie di competenza regionale» (sentenza n. 401 del
2007) e «[u]na delle sedi più qualificate per
l’elaborazione di regole destinate ad integrare il parametro della leale
collaborazione» (sentenza
n. 31 del 2006). In armonia con tali indicazioni, l’evoluzione impressa al
sistema delle conferenze finisce con il rivelare una fisiologica attitudine
dello Stato alla consultazione delle Regioni e si coniuga con il
riconoscimento, ripetutamente operato da questa Corte, dell’intesa in sede di
Conferenza unificata, quale strumento idoneo a realizzare la leale
collaborazione tra lo Stato e le autonomie (ex
plurimis, sentenze n. 88 del 2014,
n. 297 e n. 163 del 2012),
«qualora non siano coinvolti interessi esclusivamente e individualmente
imputabili al singolo ente autonomo» (sentenza n. 1 del
2016).
Inserite in questo quadro evolutivo, le procedure di
consultazione devono «prevedere meccanismi per il superamento delle divergenze,
basati sulla reiterazione delle trattative o su specifici strumenti di
mediazione» (sentenza
n. 1 del 2016; nello stesso senso, sentenza n. 121 del
2010). Non si prefigura una «drastica previsione, in caso di mancata
intesa, della decisività della volontà di una sola delle parti, la quale riduce
all’espressione di un parere il ruolo dell’altra» (sentenza n. 24 del
2007). La reiterazione delle trattative, al fine di raggiungere un esito
consensuale (ex plurimis,
sentenze n. 121
del 2010, n.
24 del 2007, n.
339 del 2005), non comporta in alcun modo che lo Stato abdichi al suo ruolo
di decisore, nell’ipotesi in cui le strategie concertative abbiano esito
negativo e non conducano a un accordo (sentenze n. 7 del 2016, n. 179 del 2012,
n. 165 del 2011;
in generale, con riferimento al «principio dell’accordo», sentenza n. 19 del
2015).
È pur vero che questa Corte ha più volte affermato
che il principio di leale collaborazione non si impone al procedimento
legislativo. Là dove, tuttavia, il legislatore delegato si accinge a riformare
istituti che incidono su competenze statali e regionali, inestricabilmente
connesse, sorge la necessità del ricorso all’intesa.
Quest’ultima si impone, dunque, quale cardine della
leale collaborazione anche quando l’attuazione delle disposizioni dettate dal
legislatore statale è rimessa a decreti legislativi delegati, adottati dal
Governo sulla base dell’art. 76 Cost.
Tali decreti, sottoposti a limiti temporali e
qualitativi, condizionati quanto alla validità a tutte le indicazioni contenute
non solo nella Costituzione, ma anche, per volontà di quest’ultima, nella legge
di delegazione, finiscono, infatti, con l’essere attratti nelle procedure di
leale collaborazione, in vista del pieno rispetto del riparto costituzionale
delle competenze.
Nel seguire le cadenze temporali entro cui esercita
la delega, riferita a «oggetti distinti suscettibili di separata disciplina»
(art. 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell’attività
di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri»), il
Governo può fare ricorso a tutti gli strumenti che reputa, di volta in volta,
idonei al raggiungimento dell’obiettivo finale. Tale obiettivo consiste nel
vagliare la coerenza dell’intero procedimento di attuazione della delega, senza
sottrarlo alla collaborazione con le Regioni.
4.– Poste tali premesse, si può passare all’esame
delle questioni promosse nei confronti delle disposizioni impugnate che recano
le deleghe inerenti a singoli settori.
4.1.– Si devono, anzitutto, scrutinare le
disposizioni di cui all’art. 1, comma 1, lettere b), c) e g), e comma 2, nella parte in cui
dettano principi e criteri direttivi in ordine alla delega al Governo
all’adozione di «uno o più decreti legislativi volti a modificare e integrare,
anche disponendone la delegificazione, il codice dell’amministrazione digitale,
di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82», previo parere della
Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997,
n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse
comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza
Stato-città ed autonomie locali), censurate in riferimento agli artt. 117, secondo,
terzo e quarto comma, 118 e 119 della Costituzione, nonché al principio di
leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
4.1.1.– La questione non è fondata.
Le disposizioni impugnate si prefiggono l’obiettivo
di agevolare la realizzazione, da parte di tutte le amministrazioni, della
Agenda digitale italiana, già attuata in ambito nazionale con il decreto-legge
18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 17 dicembre
2012, n. 221, «nel quadro delle indicazioni sancite a livello europeo» (art.
1).
Esse indicano al Governo di: «ridefinire e
semplificare», non solo «i procedimenti amministrativi, in relazione alle
esigenze di celerità, certezza dei tempi e trasparenza nei confronti dei
cittadini e delle imprese, mediante una disciplina basata sulla loro
digitalizzazione e per la piena realizzazione del principio "innanzitutto
digitale”», ma anche «l’organizzazione e le procedure interne a ciascuna amministrazione»
(comma 1, lettera b). Dettano anche previsioni puntuali inerenti all’adozione di
specifiche e peculiari modalità di espletamento dei servizi e di impiego della
banda ultralarga in vari settori, fra i quali quello scolastico, quello sanitario
e quello turistico, e vincolano il Governo all’introduzione di modalità
telematiche per garantire la partecipazione ai «processi decisionali delle
istituzioni pubbliche» (comma 1, lettera c).
Prescrivono, inoltre, di «favorire l’elezione di un domicilio digitale da parte
di cittadini e imprese ai fini dell’interazione con le amministrazioni» (comma
1, lettera g).
Le disposizioni impugnate, che pure intersecano
sfere di attribuzione regionale come il turismo e l’organizzazione
amministrativa regionale, costituiscono, in via prevalente, espressione della
competenza statale nella materia del «coordinamento informativo statistico e
informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale» (art.
117, secondo comma, lettera r,
Cost.). Esse sono anzitutto strumentali per «assicurare una comunanza di
linguaggi, di procedure e di standard omogenei,
in modo da permettere la comunicabilità tra i sistemi informatici della
pubblica amministrazione» (sentenza n. 17 del
2004; nello stesso senso, fra le altre, sentenze n. 23 del 2014
e n. 46 del 2013).
Assolvono, inoltre, all’esigenza primaria di offrire ai cittadini garanzie
uniformi su tutto il territorio nazionale, nell’accesso ai dati personali, come
pure ai servizi, esigenza che confina anche con la determinazione di livelli
essenziali delle prestazioni. Tanto basta per confermare la piena competenza
dello Stato, coerente con l’impegno, dallo stesso assunto, di uniformarsi alle
indicazioni provenienti dall’Unione europea.
La riconduzione alla competenza legislativa statale
della normativa impugnata esclude anche ogni profilo di violazione del
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., in
particolare con riguardo alla procedura di adozione dei decreti legislativi,
subordinata, ai sensi del comma 2, all’acquisizione del parere in sede di
Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997.
4.2.– Le disposizioni contenute nell’art. 11, comma
1, lettere a), b), numero 2), c), numeri
1) e 2), e), f), g), h), i),
l), m), n), o), p)
e q), e comma 2, sono impugnate
perché ritenute lesive della competenza legislativa regionale residuale in
materia di ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, nella parte
in cui dettano principi e criteri direttivi della delega al Governo anche in
tema di dirigenza regionale, nonché del principio di leale collaborazione, per
la previsione dell’adozione dei decreti legislativi attuativi, previo parere in
Conferenza unificata.
4.2.1.– La questione è fondata nei termini di
seguito precisati.
Si tratta di disposizioni che contribuiscono a
definire una serie di principi e criteri direttivi molto puntuali, relativi
alla delega al Governo in tema di riorganizzazione di tutta la dirigenza
pubblica. La delega intende innovare
profondamente la disciplina previgente, mediante l’istituzione del sistema
della dirigenza pubblica, articolato in ruoli unificati e coordinati dei
dirigenti dello Stato, dei dirigenti regionali e dei dirigenti degli enti
locali, accomunati da requisiti omogenei di accesso e da procedure analoghe di
reclutamento (comma 1, lettera a),
nonché mediante la previsione di regole unitarie inerenti non solo al
trattamento economico e al regime di responsabilità dei dirigenti, ma anche
alla formazione e al conferimento, alla durata e alla revoca degli incarichi.
Le disposizioni impugnate si inseriscono nel quadro degli interventi volti a
definire regole omogenee e unitarie in tema di dirigenza pubblica, in un’ottica
di miglioramento del "rendimento” dei pubblici uffici e dunque di garanzia del
buon andamento dell’amministrazione.
Riguardo all’istituzione del ruolo unico dei
dirigenti regionali, si deve osservare che – diversamente da altre disposizioni
impugnate – è espressamente prevista l’intesa in sede di Conferenza
Stato-Regioni (comma 1, lettera b,
numero 2). Sono poi dettate regole puntuali e dettagliate, la cui attuazione è
demandata al Governo mediante decreti legislativi, inerenti all’inquadramento
dei dirigenti delle Regioni nella fase di prima applicazione (comma 1, lettera b), all’accesso al ruolo (comma 1,
lettera c, numeri 1 e 2), alla
formazione permanente (lettera e),
alla mobilità (lettera f), al
conferimento e alla durata degli incarichi (lettere g e h), al trattamento e
ai diritti dei dirigenti privi di incarico (lettera i), alla valutazione dei risultati (lettera l), alla responsabilità (lettera m), alla retribuzione (lettera n),
al regime della dirigenza sanitaria (lettera p), alla revoca degli incarichi (lettera q).
È innegabile che tali disposizioni incidano su
ambiti riconducibili alla competenza del legislatore statale in materia di
«ordinamento civile», nella parte in cui attengono a profili inerenti al
trattamento economico (fra le tante, sentenze n. 211 e n. 61 del 2014)
o al regime di responsabilità (sentenza n. 345 del
2004), o comunque a profili relativi al rapporto di lavoro privatizzato, o
a competenze statali concorrenti, come quella, relativa alla disciplina della
dirigenza sanitaria, costituita dalla determinazione dei principi fondamentali
in materia di tutela della salute.
Altrettanto innegabile è che le disposizioni in
esame siano in parte riconducibili alla competenza regionale residuale in
materia di ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, entro cui si
collocano le procedure concorsuali pubblicistiche per l’accesso al ruolo (così
come a tutto il pubblico impiego: sentenze n. 310 del 2011
e n. 324 del
2010), il conferimento degli incarichi (sentenza n. 105 del
2013) e la durata degli stessi.
Questa Corte ha ritenuto tali aspetti inerenti ai
profili pubblicistico-organizzativi della dirigenza pubblica, così come di
tutto il lavoro pubblico (fra le tante, sentenza n. 149 del
2012). Il legislatore statale interviene in questi casi solo per fissare
principi generali a garanzia del buon andamento e dell’imparzialità
dell’amministrazione (sentenza n. 105 del
2013).
Le medesime disposizioni sono anche riferite alla
competenza regionale residuale in materia di formazione o a quella concorrente
in materia di tutela della salute, con riguardo alla disciplina di dettaglio
della dirigenza regionale (sentenze n. 124 del 2015,
n. 233 e n. 181 del 2006).
È dunque palese il concorso di competenze,
inestricabilmente connesse, nessuna delle quali si rivela prevalente, ma
ciascuna delle quali concorre alla realizzazione dell’ampio disegno di riforma
della dirigenza pubblica. Pertanto, non è costituzionalmente illegittimo
l’intervento del legislatore statale, se necessario a garantire l’esigenza di
unitarietà sottesa alla riforma. Tuttavia, esso deve muoversi nel rispetto del
principio di leale collaborazione, indispensabile anche in questo caso a
guidare i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie (ex plurimis,
sentenze n. 26
e n. 1 del 2016,
n. 140 del 2015,
n. 44 del 2014,
n. 237 del 2009,
n. 168 e n. 50 del 2008).
Poiché le disposizioni impugnate toccano sfere di competenza esclusivamente
statali e regionali, il luogo idoneo di espressione della leale collaborazione
deve essere individuato nella Conferenza Stato-Regioni.
Si deve osservare, infatti, che la disposizione contenuta
nell’art. 11, comma 1, lettera b),
numero 2), specifica che l’istituzione del ruolo unico dei dirigenti regionali
deve avvenire previa intesa nella Conferenza Stato-Regioni. Il legislatore
statale svela, in questo caso, l’esigenza di procedere al coinvolgimento delle
Regioni, poiché è consapevole di incidere sulle sfere di competenze regionali.
Appare dunque irragionevole non estendere il vincolo
concertativo all’individuazione specifica dei requisiti di accesso al ruolo e
di reclutamento e anche dei criteri di conferimento, durata e revoca degli
incarichi, requisiti che attengono ai profili pubblicistico-organizzativi del
lavoro pubblico, come tali riconducibili alla materia dell’organizzazione
amministrativa regionale (sentenza n. 149 del
2012). La dettagliata enunciazione di principi e criteri direttivi nella
legge di delegazione, pur riconducibile a apprezzabili esigenze di unitarietà,
incide profondamente sulle competenze regionali e postula, per questo motivo,
l’avvio di procedure collaborative nella fase di attuazione della delega.
4.2.2.– Deve, pertanto, essere dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 1, lettere a), b),
numero 2, c), numeri 1) e 2), e), f),
g), h), i), l), m),
n), o), p) e q), e comma 2, nella parte in cui,
nonostante le molteplici interferenze con le competenze regionali non
risolvibili mediante il criterio della prevalenza del legislatore statale,
prescrive, per l’adozione dei decreti legislativi delegati attuativi, una forma
di raccordo con le Regioni – il parere in Conferenza unificata – da ritenersi
lesiva del principio di leale collaborazione perché non idonea a realizzare un
confronto autentico con le autonomie regionali, necessario a contemperare la
compressione delle loro competenze. Solo l’intesa in sede di Conferenza
Stato-Regioni, contraddistinta da una procedura che consente lo svolgimento di
genuine trattative, garantisce un reale coinvolgimento.
4.2.3.– Restano assorbite le specifiche questioni
promosse nei confronti dell’art. 11, comma 1, lettere f), i) e p), in riferimento agli artt. 3 e 97
Cost.
5.– Le questioni promosse nei confronti dei commi 1
e 4 dell’art. 16 sono strettamente connesse a quelle riferite agli artt. 17, 18 e 19 della
medesima legge.
Infatti, l’art. 16 è censurato nel suo comma 1,
poiché conterrebbe una delega alla "riorganizzazione” della disciplina vigente
in tema di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, di
partecipazione azionaria delle amministrazioni pubbliche e di servizi pubblici
locali di interesse economico generale, i cui principi e criteri direttivi sono
indicati, rispettivamente, all’art. 17, all’art. 18 e all’art. 19. Il comma 4
del medesimo art. 16 è censurato nella parte in cui stabilisce le modalità
procedurali dell’attuazione delle deleghe, relative alle richiamate materie, e
in particolare subordina l’adozione dei relativi decreti legislativi al mero
parere della Conferenza unificata, nonostante le molteplici interferenze delle
deleghe in ambiti di competenza regionale, in violazione del principio di leale
collaborazione.
L’esame di tali questioni deve, pertanto, essere
svolto congiuntamente a quello delle questioni inerenti agli artt. 17, 18 e 19.
6.– Anche le disposizioni di cui all’art. 17, comma
1, lettere a), b), c), d), e),
f), l), m), o), q),
r), s) e t), sono impugnate
nella parte in cui, definendo i principi e i criteri direttivi della delega al Governo
per il riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche, sono riferite anche al lavoro pubblico regionale,
con conseguente violazione della competenza legislativa residuale delle Regioni
in materia di organizzazione amministrativa regionale. Esse inoltre demandano
l’attuazione di tali principi e criteri a decreti legislativi delegati, da
adottarsi previo parere in sede di Conferenza unificata (ai sensi dell’art. 16,
comma 4), in violazione del principio di leale collaborazione.
6.1.– La questione è fondata, in conformità agli
argomenti svolti con riguardo alle disposizioni di cui all’art. 11 della
medesima legge n. 124 del 2015.
Ancora una volta occorre collocare le disposizioni
impugnate nel quadro complessivo delineato dall’art. 17. Quest’ultimo si
propone di riordinare la disciplina del lavoro alle dipendenze di tutte le
pubbliche amministrazioni e di riformare la disciplina vigente in prospettiva
unitaria, ma in ambiti disparati, che spaziano dal reclutamento, al rapporto di
lavoro, al contenimento delle assunzioni, al lavoro flessibile, alla
valutazione e alla responsabilità disciplinare dei dipendenti pubblici.
Le disposizioni specificamente impugnate dettano
puntuali indicazioni al Governo riguardo alle procedure concorsuali per
l’accesso al lavoro pubblico, sia con la previsione di requisiti di ammissione
e criteri di valutazione (là dove impongono, alla lettera a, di privilegiare «l’esperienza professionale acquisita da coloro
che hanno avuto rapporti di lavoro flessibile con le amministrazioni
pubbliche», o, alla lettera b,
«l’accertamento della capacità dei candidati di utilizzare e applicare a
problemi specifici e casi concreti nozioni teoriche», o ancora là dove
prescrivono, alla lettera d, la
soppressione del requisito del voto minimo di laurea per la partecipazione ai
concorsi per l’accesso agli impieghi, o, alla lettera e, l’accertamento della conoscenza della lingua inglese e di altre
lingue, o, alla lettera f, la valorizzazione del titolo di
dottore di ricerca); sia imponendo modalità di espletamento delle prove (come
alla lettera c, che prescrive
l’accentramento dei concorsi per tutte le amministrazioni pubbliche e la
revisione delle modalità di espletamento degli stessi).
Le disposizioni in esame assegnano inoltre al
Governo il compito di attribuire all’Istituto nazionale della previdenza
sociale (INPS) le competenze in tema di accertamento medico legale in caso di
assenze dei dipendenti pubblici per malattia al fine di garantire l’effettività
dei controlli (lettera l), di
definire gli obiettivi di contenimento delle assunzioni, differenziati in
relazione agli effettivi fabbisogni (lettera m), di introdurre una disciplina delle forme del lavoro flessibile
(lettera o), di prevedere il
«progressivo superamento della dotazione organica come limite alle assunzioni
[…] anche al fine di facilitare i processi di mobilità» (lettera q), di semplificare la disciplina in
tema di valutazione dei dipendenti pubblici, di riconoscimento del merito e di premialità, e razionalizzare i sistemi di valutazione
(lettera r), di ridefinire il regime
della responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti al fine di accelerare
e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione
l’esercizio dell’azione disciplinare (lettera s), infine di rafforzare il principio di separazione tra indirizzo
politico-amministrativo e gestione (lettera t).
Dall’esame appena svolto emerge chiaramente che le
disposizioni impugnate incidono in parte in ambiti riconducibili alla competenza
dello Stato, in specie ove dettano indicazioni inerenti al rapporto di lavoro
dei dipendenti, anche regionali e degli enti locali, ormai privatizzato e
dunque soggetto alle norme dell’ordinamento civile di spettanza esclusiva del
legislatore statale (fra le tante, sentenza n. 62 del
2013); ove regolano il regime di responsabilità, egualmente riconducibile
all’ordinamento civile; ove impongono obiettivi di contenimento delle assunzioni
delineando principi di coordinamento della finanza pubblica. Esse, tuttavia,
mettono in gioco, in misura rilevante, anche la competenza regionale residuale
in materia di organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici
regionali, in specie quando intervengono a dettare precisi criteri inerenti
alle procedure concorsuali pubblicistiche per l’accesso al lavoro pubblico
regionale, ripetutamente ricondotto da questa Corte alla competenza residuale
delle Regioni di cui all’art. 117, quarto comma, Cost. (sentenze n. 100 del 2010,
n. 95 del 2008,
n. 233 del 2006
e n. 380 del
2004).
Tali competenze si pongono in un rapporto di
"concorrenza”, poiché nessuna di esse prevale sulle altre, ma tutte
confluiscono nella riorganizzazione del lavoro alle dipendenze delle pubbliche
amministrazioni, in una prospettiva unitaria, rivelandosi inscindibili e
strumentalmente connesse. Tale vincolo di strumentalità, se da un lato
costituisce fondamento di validità dell’intervento del legislatore statale,
dall’altro impone a quest’ultimo il rispetto del principio di leale
collaborazione nell’unica forma adeguata a garantire il giusto contemperamento
della compressione delle competenze regionali, che è quella dell’intesa.
Come già detto in precedenza, l’intesa consente alle
Regioni di partecipare con il Governo nella definizione della disciplina
finale, sfruttando gli spazi lasciati aperti dal legislatore delegante, che ha
indicato principi e criteri direttivi puntuali, nell’intento di imprimere unitarietà
al proprio intervento.
Anche in tal caso, tenuto conto che gli interessi e
le competenze coinvolte dalle disposizioni impugnate sono solo quelle statali e
regionali, deve ritenersi che sia la Conferenza Stato-Regioni il luogo idoneo
per il raggiungimento dell’intesa.
Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 17, comma 1, lettere a), b), c), d),
e), f), l), m), o),
q), r), s) e t), nella parte in cui, in combinato disposto
con l’art. 16, commi 1 e 4, prevede che il Governo adotti i relativi decreti
legislativi attuativi previo parere in sede di Conferenza unificata, anziché
previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.
7.– Occorre ora esaminare la questione promossa nei
confronti dell’art. 18, lettere a), b), c),
e), i), l) e m), numeri da 1) a 7), nella parte in
cui delega il Governo a operare un riordino della disciplina delle
partecipazioni azionarie delle amministrazioni pubbliche e fissa una serie di principi
e criteri direttivi, che eccederebbero dalle competenze statali in materia di
«tutela della concorrenza» e di «coordinamento della finanza pubblica» e
violerebbero l’autonomia organizzativa e finanziaria delle Regioni. Anche tale
articolo è, inoltre, censurato nella parte in cui prevede, in combinato
disposto con l’art. 16, comma 4, una forma di raccordo con le Regioni, quella
del parere in Conferenza unificata, lesiva del principio di leale
collaborazione.
7.1.– La questione è fondata in riferimento alla
violazione del principio di leale collaborazione sulla base di argomentazioni
analoghe a quelle già svolte con riguardo alle questioni promosse nei confronti
degli artt. 11 e 17.
Le disposizioni censurate si inseriscono nel
contesto delineato dall’intero art. 18. Quest’ultimo contiene specifici criteri
di delega per il riordino della disciplina delle partecipazioni societarie
delle amministrazioni pubbliche al «fine prioritario di assicurare la chiarezza
della disciplina, la semplificazione normativa e la tutela e promozione della
concorrenza» (comma 1), a fronte di un quadro normativo complesso e
diversificato, composto da numerose disposizioni speciali che si intrecciano
con la disciplina di carattere generale.
In questa prospettiva, il "riordino” cui mira l’art.
18 si realizza assegnando al Governo, fra l’altro, il compito di differenziare
le tipologie societarie in relazione alle attività svolte, agli interessi
pubblici e alla quotazione in borsa (lettera a), di ridefinire regole, condizioni e limiti per la costituzione
di società o per l’assunzione e il mantenimento di partecipazioni societarie da
parte di amministrazioni pubbliche (lettera b),
di delineare un preciso regime di responsabilità degli amministratori degli
enti partecipanti e degli organi di gestione e dei dipendenti delle società
partecipate (lettera c), di
razionalizzare il regime pubblicistico per gli acquisti e il reclutamento del
personale, per i vincoli alle assunzioni e le politiche retributive (lettera e), di prevedere la possibilità di piani
di rientro per le società con bilanci in disavanzo con eventuale
commissariamento (lettera i), di
regolare i flussi finanziari, sotto qualsiasi forma, tra amministrazione
pubblica e società partecipate (lettera l),
nonché di definire una serie di regole puntuali relative alle partecipazioni
azionarie degli enti locali (lettera m),
fra le quali: l’individuazione dei criteri di scelta della forma societaria più
adeguata per le società che gestiscono servizi strumentali e funzioni
amministrative; l’individuazione, per le società che gestiscono servizi
pubblici di interesse economico generale, di un numero massimo di esercizi con
perdite di bilancio che comportino obblighi di liquidazione delle società; il
rafforzamento delle misure volte a garantire il raggiungimento di obiettivi di
qualità, efficienza, efficacia ed economicità, anche attraverso la riduzione
dell’entità e del numero delle partecipazioni e l’incentivazione dei processi
di aggregazione.
Questa Corte si è più volte pronunciata sul tema
delle società a partecipazione pubblica. Da un lato essa ha ricondotto le
disposizioni inerenti all’attività di società partecipate dalle Regioni e dagli
enti locali alla materia dell’«ordinamento civile», di competenza legislativa
esclusiva statale, in quanto volte a definire il regime giuridico di soggetti
di diritto privato, nonché a quella della «tutela della concorrenza» in
considerazione dello scopo di talune disposizioni di «evitare che soggetti
dotati di privilegi operino in mercati concorrenziali» (sentenza n. 326 del
2008). Dall’altro ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di
disposizioni statali che, imponendo a tutte le amministrazioni, quindi anche a
quelle regionali, di sciogliere o privatizzare proprio le società pubbliche
strumentali, sottraevano alle medesime la scelta in ordine alle modalità
organizzative di svolgimento delle attività di produzione di beni o servizi
strumentali alle proprie finalità istituzionali, violando la competenza
legislativa regionale residuale in materia di organizzazione amministrativa
regionale (sentenza
n. 229 del 2013).
Ciò dimostra che un intervento del legislatore statale,
come quello operato con le disposizioni impugnate dell’art. 18, finalizzato a
dettare una disciplina organica delle partecipazioni azionarie delle
amministrazioni pubbliche, coinvolge, inevitabilmente, profili pubblicistici,
che attengono alle modalità organizzative di espletamento delle funzioni
amministrative e dei servizi riconducibili alla competenza residuale regionale,
anche con riguardo alle partecipazioni degli enti locali che non abbiano come
oggetto l’espletamento di funzioni fondamentali. Tale intervento coinvolge
anche profili privatistici, inerenti alla forma delle società partecipate, che
trova nel codice civile la sua radice, e aspetti connessi alla tutela della
concorrenza, riconducibili alla competenza esclusiva del legislatore statale.
Da qui la "concorrenza” di competenze statali e
regionali, disciplinata mediante l’applicazione del principio di leale
collaborazione. Ai principi e criteri direttivi il Governo deve dare attuazione
solo dopo aver svolto idonee trattative con Regioni e enti locali nella sede
della Conferenza unificata. Quest’ultima è la sede, come si è già detto, più
idonea a consentire l’integrazione dei diversi punti di vista e delle diverse
esigenze degli enti territoriali coinvolti, tutte le volte in cui siano in discussione
temi comuni a tutto il sistema delle autonomie, inclusi gli enti locali.
È, pertanto, costituzionalmente illegittimo l’art.
18, lettere a), b), c), e), i),
l) e m), numeri da 1) a 7), nella parte in cui, in combinato disposto
con l’art. 16, commi 1 e 4, prevede che il Governo adotti i relativi decreti
legislativi attuativi previo parere, anziché previa intesa, in sede di
Conferenza unificata.
8.– Si deve, infine, procedere all’esame delle
questioni promosse nei confronti dell’art. 19, lettere b), c), d), g),
h), l), m), n), o),
p), s), t) e u), in riferimento agli artt. 117,
secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost. e al principio di leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
Tali disposizioni sono impugnate nella parte in cui
stabiliscono una serie di principi e criteri direttivi relativi alla delega al
Governo per il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali
d’interesse economico generale che inciderebbero su materie di competenza
regionale, la cui attuazione è peraltro demandata a decreti legislativi del
Governo da adottarsi previo parere in Conferenza unificata.
8.1.– La questione è fondata, in riferimento al
principio di leale collaborazione, secondo le argomentazioni già prima svolte.
Si tratta di una disciplina oggetto di numerosi
interventi del legislatore statale, spesso frammentari e in via d’urgenza, su
cui questa Corte si è più volte pronunciata, ravvisando una competenza
legislativa statale esclusiva a disciplinare il regime dei servizi pubblici
locali di interesse economico «per gli aspetti che hanno una diretta incidenza
sul mercato» (sentenze n. 160 del 2016
e n. 325 del 2010)
e che siano volti, «in via primaria, alla tutela e alla promozione della
concorrenza» (sentenza
n. 325 del 2010), nel limite della proporzionalità e adeguatezza
dell’intervento (sentenze n. 160 del 2016,
n. 443 del 2007,
n. 272 del 2004).
Ha anche ravvisato una competenza legislativa regionale residuale (che si
accompagna alla competenza regolamentare degli enti locali di cui all’art. 117,
sesto comma, Cost.) a disciplinare tutti quei profili (ivi compreso il
trasporto pubblico locale) che non siano strumentali a garantire la concorrenza
(sentenza n. 325
del 2010, n.
307 del 2009, n.
272 del 2004).
Da questi riferimenti emerge con chiarezza che le
impugnate disposizioni dell’art. 19 contengono principi e criteri direttivi
entro cui si intrecciano previsioni strettamente finalizzate alla tutela della
concorrenza (lettera b, che attiene
alla soppressione dei regimi di esclusiva, comunque denominati, non conformi ai
principi generali in materia di concorrenza; lettera g, inerente alla definizione dei regimi tariffari), riconducibili
alla competenza statale, e previsioni palesemente eccedenti tale finalità,
inerenti alla gestione e organizzazione dei medesimi servizi (lettera b, che prescrive la soppressione dei
regimi di esclusiva, comunque denominati, non indispensabili per assicurare la
qualità e l’efficienza del servizio; lettera d, relativa alla definizione dei criteri per l’organizzazione
territoriale ottimale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica;
lettera h, che impone la definizione
delle modalità di tutela degli utenti; lettera p, che dispone l’introduzione e il potenziamento di forme di
consultazione dei cittadini e della partecipazione diretta alla formulazione di
direttive alle amministrazioni pubbliche e alle società di servizi sulla
qualità e sui costi degli stessi), espressione della competenza legislativa
regionale residuale, insieme a previsioni incidenti in ambiti ancora diversi,
come quelle inerenti alla disciplina dei rapporti di lavoro (lettera t).
Queste disposizioni sono tenute insieme da forti connessioni,
proprio perché funzionali al progetto di riordino dell’intero settore dei
servizi pubblici locali di interesse economico generale. Sebbene costituiscano
espressione di interessi distinti, che corrispondono alle diverse competenze
legislative dello Stato e delle Regioni, esse risultano inscindibili l’una
dall’altra, inserite come sono in un unico progetto. Nel dare attuazione a
principi e criteri direttivi in esse contenuti, il Governo supera lo scrutinio
di legittimità costituzionale se rispetta il principio di leale collaborazione,
avviando le procedure inerenti all’intesa con Regioni e enti locali nella sede
della Conferenza unificata.
È, pertanto, costituzionalmente illegittimo l’art.
19, lettere b), c), d), g), h),
l), m), n), o), p),
s), t) e u), nella parte in
cui, in combinato disposto con l’art. 16, commi 1 e 4, prevede che il Governo
adotti i relativi decreti legislativi attuativi previo parere, anziché previa
intesa, in sede di Conferenza unificata.
9.– Le pronunce di illegittimità costituzionale,
contenute in questa decisione, sono circoscritte alle disposizioni di
delegazione della legge n. 124 del 2015, oggetto del ricorso, e non si
estendono alle relative disposizioni attuative. Nel caso di impugnazione di
tali disposizioni, si dovrà accertare l’effettiva lesione delle competenze
regionali, anche alla luce delle soluzioni correttive che il Governo riterrà di
apprestare al fine di assicurare il rispetto del principio di leale
collaborazione.
dichiara:
1) l’illegittimità costituzionale dell’art. 11,
comma 1, lettere a), b), numero 2), c), numeri 1) e 2), e), f), g),
h), i), l), m), n),
o), p) e q), e comma 2, della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe
al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche),
nella parte in cui prevede che i decreti legislativi attuativi siano adottati
previa acquisizione del parere reso in sede di Conferenza unificata, anziché
previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni;
2) l’illegittimità costituzionale dell’art. 17,
comma 1, lettere a), b), c),
d), e), f), l), m),
o), q), r), s) e t),
della legge n. 124 del 2015, nella parte in cui, in combinato disposto con
l’art. 16, commi 1 e 4, della medesima legge n. 124 del 2015, prevede che il
Governo adotti i relativi decreti legislativi attuativi previo parere in sede
di Conferenza unificata, anziché previa intesa in sede di Conferenza
Stato-Regioni;
3) l’illegittimità costituzionale dell’art. 18,
lettere a), b), c), e), i),
l) e m), numeri da 1) a 7), della legge n. 124 del 2015, nella parte in
cui, in combinato disposto con l’art. 16, commi 1 e 4, della medesima legge n.
124 del 2015, prevede che il Governo adotti i relativi decreti legislativi
attuativi previo parere, anziché previa intesa, in sede di Conferenza
unificata;
4) l’illegittimità costituzionale dell’art. 19,
lettere b), c), d), g), h),
l), m), n), o), p),
s), t) e u), della legge n.
124 del 2015, nella parte in cui, in combinato disposto con l’art. 16, commi 1
e 4, della medesima legge n. 124 del 2015, prevede che il Governo adotti i
relativi decreti legislativi attuativi previo parere, anziché previa intesa, in
sede di Conferenza unificata;
5) inammissibile la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 1, comma 1, e 23, comma 1, della legge n. 124 del
2015, promossa, in riferimento agli artt. 81 e 119 della Costituzione, dalla
Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;
6) non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettere b), c) e g), e comma 2, della legge n. 124 del
2015, promossa, in riferimento agli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma,
118 e 119 Cost., nonché al principio di leale collaborazione di cui agli artt.
5 e 120 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 25 novembre 2016.