SENTENZA
N. 189
ANNO
2015
Commento alla
decisione di
Anna Simonati
per g.c. del Forum
di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
composta dai signori:
-
Marta
CARTABIA Presidente
-
Giuseppe
FRIGO
Giudice
-
Paolo
GROSSI
”
-
Giorgio
LATTANZI
”
-
Aldo
CAROSI
”
- Mario
Rosario MORELLI
”
- Giancarlo
CORAGGIO
”
-
Giuliano AMATO ”
-
Silvana
SCIARRA
”
-
Daria
de
PRETIS
”
-
Nicolò
ZANON
”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale degli artt. 18, comma 9, 41, comma 4, e 56-bis, comma 11, del decreto-legge
21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio
dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, promosso dalla Regione Veneto con ricorso
notificato il 19 ottobre 2013, depositato in cancelleria il 29 ottobre 2013 ed
iscritto al n. 98 del registro ricorsi 2013.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito
nell’udienza pubblica del 9
giugno 2015 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi
gli avvocati Daniela Palumbo, Luigi
Manzi ed Ezio Zanon per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato
Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1.– Con ricorso notificato il 19 ottobre
2013 e depositato nella cancelleria della Corte il 29 ottobre 2013, la Regione
Veneto ha promosso questione di legittimità costituzionale, in via
principale, degli artt. 18, comma 9, 41, comma 4, e 56-bis, comma 11, del
decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio
dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, in riferimento agli artt. 5, 42, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione,
nonché al principio
di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.
1.1.– La Regione Veneto premette
che l’art. 18, comma 9, del d.l. n. 69 del 2013
è impugnato nella parte in cui prevede la stipula di una convenzione tra
il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l’Associazione
nazionale dei comuni italiani (ANCI) per la determinazione dei criteri relativi
all’assegnazione di finanziamenti statali a favore di interventi
realizzati dai Comuni ricompresi nel Programma denominato «6000
Campanili», disciplinando, nel contempo, i requisiti dei beneficiari e i
limiti di spesa, nonché l’importo ammissibile del contributo per
singolo progetto.
Tale norma, infatti, che destina
«l’importo di 100 milioni di euro per l’anno 2014, da
iscriversi nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei
Trasporti […] alla realizzazione del primo Programma “6000
Campanili” concernente interventi infrastrutturali di adeguamento,
ristrutturazione e nuova costruzione di edifici pubblici, ivi compresi gli
interventi relativi all’adozione di misure antisismiche, ovvero di
realizzazione e manutenzione di reti viarie e infrastrutture accessorie e
funzionali alle stesse o reti telematiche di NGN e WI-FI, nonché di
salvaguardia e messa in sicurezza del territorio» (primo periodo),
statuisce espressamente che «[p]ossono accedere
al finanziamento solo gli interventi muniti di tutti i pareri, autorizzazioni,
permessi e nulla osta previsti dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e
dal decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207»
(secondo periodo); e che «[e]ntro 30 giorni
dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto, con apposita convenzione tra il Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti – Dipartimento per le infrastrutture, gli affari generali e il
personale – e l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI),
da approvare con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e
pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale, sono disciplinati i criteri per
l’accesso all’utilizzo delle risorse degli interventi che fanno
parte del Programma. I Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, le
unioni composte da comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e i comuni
risultanti da fusione tra comuni, ciascuno dei quali con popolazione inferiore
a 5.000 abitanti, per il tramite dell’ANCI, presentano entro 60 giorni
dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana della
sopra citata convenzione, le richieste di contributo finanziario al Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti. Il contributo richiesto per il singolo progetto
non può essere inferiore a 500.000 euro e maggiore di 1.000.000 di euro
e il costo totale del singolo intervento può superare il contributo
richiesto soltanto nel caso in cui le risorse finanziarie aggiuntive necessarie
siano già immediatamente disponibili e spendibili da parte del Comune
proponente. Ogni Comune può presentare un solo progetto. Il Programma
degli interventi che accedono al finanziamento è approvato con decreto
del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti» (terzo, quarto, quinto
e sesto periodo).
Il legislatore statale, nel disciplinare
una «procedura standardizzata di coordinamento interistituzionale»,
che coinvolge, da un lato, i Comuni e, dall’altro, il Ministero
competente, ed è orientata alla razionalizzazione delle modalità
di individuazione e realizzazione degli interventi, escluderebbe radicalmente
qualsiasi partecipazione dell’amministrazione regionale.
Quest’ultima verrebbe invece relegata al ruolo secondario ed eventuale di
soggetto istituzionale solo incidentalmente suscettibile di intervento nel
singolo procedimento amministrativo, laddove invece l’ANCI sarebbe
investita di fondamentali compiti istituzionali, in quanto chiamata a
determinare, in posizione paritetica con il Ministero competente, i criteri di
assegnazione dei finanziamenti.
Da ciò discenderebbe la
violazione degli artt. 5, 117, 118 e 119 Cost., considerato che la norma
impugnata determinerebbe l’irragionevole estromissione della Regione dai
procedimenti di individuazione e realizzazione degli interventi, nonché
da quelli di determinazione dei criteri ai fini dell’erogazione dei
contributi. In particolare, la predetta norma impugnata, intervenendo
nell’ambito del «governo del territorio», di potestà
legislativa concorrente, pregiudicherebbe l’esercizio di competenze
legislative e amministrative della Regione, le quali si configurerebbero, nella
specie, come necessarie e aggiuntive rispetto all’attività di mera
selezione amministrativa dei progetti da parte dell’organismo statale di
riferimento, ledendo, conseguentemente, gli artt. 117 e 118 Cost.
La Regione ricorrente deduce,
altresì, la violazione del principio di leale collaborazione di cui
all’art. 120 Cost., perché la menzionata estromissione delle
Regioni da un procedimento amministrativo preordinato all’assegnazione
delle risorse per la realizzazione di interventi che incidono sulla materia del
governo del territorio, «ove è radicato l’intreccio delle
diverse competenze tra Stato e Regione […], si configura come […]
lesiva della totalità delle competenze regionali esistenti in materia,
particolarmente se avviene in assenza di un’intesa istituzionale sul
punto», obbligatoria anche nel caso in cui si ritenesse che la
disposizione impugnata fosse espressione di un’attrazione in sussidiarietà.
La norma impugnata violerebbe, inoltre,
sia il principio di sussidiarietà cosiddetta “verticale”
«ai sensi degli artt. 5 e 118 della Costituzione», sia il principio
di sussidiarietà cosiddetta “orizzontale”, di cui all’art.
118, quarto comma, Cost., oltre all’art. 117, terzo comma, Cost.
Infatti, ove i menzionati
«fondamentali compiti istituzionali» fossero stati attribuiti
all’ANCI «in posizione di “sussidiarietà
verticale”», tale principio risulterebbe violato dal momento che
detta associazione non rientrerebbe tra gli enti tassativamente indicati
nell’art. 114 Cost. e, quindi, non potrebbe essere considerata soggetto
abilitato ad esercitare funzioni amministrative a detto titolo.
Qualora, invece, i medesimi
«fondamentali compiti istituzionali» fossero stati attribuiti
all’ANCI in «posizione di “sussidiarietà
orizzontale”», la lesione di quest’ultimo principio
deriverebbe dalla circostanza che, da un lato, la stessa associazione non
rientrerebbe tra le cosiddette autonomie funzionali, di natura
pubblico-privata, che la Corte costituzionale ha ritenuto legittimamente
destinatarie di funzioni amministrative, dall’altro, non sarebbe
portatrice di quell’interesse generale indispensabile ai fini
dell’attribuzione delle richiamate funzioni amministrative nei
procedimenti di accesso degli enti locali ai fondi pubblici, in quanto
conserverebbe una dimensione privatistica che non consentirebbe di
identificarla con un ente pubblico, difettando, per di più, del
requisito della terzietà. E ciò con la conseguenza che la
disposizione impugnata determinerebbe l’assegnazione a tale associazione
di poteri confliggenti con le attribuzioni costituzionalmente garantite alle
Regioni dagli artt. 117, comma terzo, e 118, della Carta fondamentale.
Un ulteriore profilo di
illegittimità costituzionale della disposizione impugnata è, poi,
ravvisato dalla Regione ricorrente nella violazione dell’art. 97 Cost.,
in relazione ai princípi del buon andamento e
dell’imparzialità dell’amministrazione. Infatti,
l’ANCI ‒ in quanto associazione di natura privata, non assistita da
un’adeguata autonomia organizzativa e finanziaria assimilabile a quella
degli enti territoriali – difetterebbe dei caratteri di
imparzialità che dovrebbero viceversa connotare
l’«intermediario» tra Stato e Comuni nell’esercizio
delle funzioni relative al governo del territorio di cui si controverte nel
presente giudizio.
Infine, viene denunciato il contrasto
con l’art. 119 Cost. in quanto la norma impugnata inciderebbe
sull’erogazione di risorse finanziarie a favore dei Comuni «con modalità
disarmonica rispetto alla Carta fondamentale».
1.2.– Con un secondo ordine di
motivi, la ricorrente Regione Veneto impugna l’art. 41, comma 4, del d.l. n. 69 del 2013, il quale, novellando l’art. 3,
comma 1, lettera e.5), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno
2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia – Testo A), ricomprende tra gli interventi di nuova
costruzione, soggetti al permesso di costruire, «l’installazione di
manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere,
quali roulottes, campers,
case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di
lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a
soddisfare esigenze meramente temporanee, ancorché siano installati, con
temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive
all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per
la sosta ed il soggiorno di turisti». Ad avviso della Regione, infatti,
ove tale norma fosse interpretata nel senso di includere tra gli interventi di
nuova costruzione ‒ per i quali è richiesto il permesso di
costruire ‒ anche l’installazione degli indicati manufatti,
«con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture
ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di
settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti», sarebbe in contrasto
con l’art. 117, terzo e quarto comma, Cost. Infatti,
«l’attrazione al contesto proprio della legislazione statale in
materia edilizia anche degli anzidetti interventi», li sottrarrebbe alla
competenza legislativa regionale, di cui all’art. 117, commi terzo e
quarto, Cost., ledendola in specie con riguardo alla materia del turismo.
Con memoria depositata nell’imminenza
dell’udienza pubblica, la Regione ricorda che la disposizione in esame
è stata successivamente modificata dall’art. 10-ter, del
decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 (Misure urgenti per l’emergenza
abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 maggio 2014, n. 80.
Nel nuovo testo la norma in esame stabilisce che i predetti interventi sono
«di nuova costruzione» e quindi soggetti al permesso di costruire,
«e salvo che» (e non più «ancorché»)
«siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno
di strutture ricettive all’aperto, in conformità alla normativa
regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno dei turisti», con
conseguente completo sovvertimento del senso e della portata del precetto
normativo. Pertanto, la Regione ricorrente chiede che sia dichiarata la
cessazione della materia del contendere.
1.3.– La Regione Veneto censura,
infine, l’art. 56-bis, comma 11, del d.l. n. 69
del 2013, nella parte in cui impone un vincolo di destinazione a favore del
Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato sulla quota del 10 per cento
delle risorse derivanti dall’alienazione dell’originario patrimonio
immobiliare disponibile delle Regioni.
In tal modo esso violerebbe l’art.
117 Cost., in relazione alla materia del «coordinamento della finanza
pubblica», e l’art. 119 Cost., in quanto, travalicando la
potestà di coordinamento statale – che ben consente di imporre ad
un ente territoriale di destinare quote dei proventi ricavabili dalla
dismissione dei «propri» beni pubblici a coprire il
«proprio» debito e le «proprie» spese di investimento
– imporrebbe invece la destinazione di tali proventi ad un fondo di
spettanza statale in via prioritaria rispetto alle spese di investimento
dell’ente medesimo, indipendentemente dalla necessità o meno delle
stesse, in contrasto, in particolare, con il sesto comma dell’art. 119
Cost. Né il richiamo alla promozione di «iniziative volte allo
sviluppo economico e alla coesione sociale» consentirebbe di ricondurre
all’art. 119, quinto comma, Cost. il titolo di competenza della norma
impugnata. Il parametro costituzionale richiamato, infatti, ben potrebbe
legittimare interventi del legislatore statale volti ad istituire fondi in
favore degli enti territoriali per garantire «risorse aggiuntive
statali» e «interventi speciali statali», ma non
consentirebbe di ricondurre a detto ambito norme statali che prevedano la
«soluzione inversa» circa la costituzione di fondi statali
implementati da «risorse aggiuntive territoriali» e
«interventi speciali degli enti territoriali».
Detto articolo si porrebbe inoltre in
contrasto con l’art. 42 Cost. «relativo alla proprietà
pubblica degli enti dello Stato», perché, estendendo «il
medesimo ordine di priorità di destinazione delle risorse»
derivanti dall’alienazione degli immobili «di proprietà
dello Stato e successivamente trasferiti agli enti territoriali» alla
destinazione delle risorse derivanti dall’alienazione
dell’originario patrimonio immobiliare disponibile degli enti
territoriali, cioè di «beni propri delle autonomie
territoriali», perciò naturalmente sottratti a detto regime di
destinazione, scardinerebbe «il concetto di proprietà di cui
all’articolo 42 della Costituzione».
2.– Si è costituito in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso proposto
sia dichiarato inammissibile o, nel merito, infondato.
2.1.–
Quanto alla questione promossa in relazione all’art. 18, comma 9, del d.l. n. 69 del 2013, l’Avvocatura generale dello
Stato ritiene che la norma impugnata sia riconducibile all’ambito
materiale del «governo del territorio», di competenza legislativa
concorrente, nel quale alla Regione spetta dettare la disciplina nei limiti dei
principi fondamentali posti dal legislatore statale.
Da ciò seguirebbe che la
disposizione censurata, nella parte in cui stabilisce che «[p]ossono accedere al finanziamento solo gli interventi muniti
di tutti i pareri, autorizzazioni, permessi e nulla osta previsti dal decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e dal decreto del Presidente della
Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207», farebbe espressamente salvi gli
interventi autorizzatori previsti anche dalle leggi
regionali, in conformità ai parametri costituzionali evocati dalla
ricorrente.
La norma censurata, richiamando soltanto
l’adeguamento, la ristrutturazione e la costruzione di nuovi edifici,
includendo anche gli interventi relativi all’adozione di misure
antisismiche, sarebbe espressione di un titolo di competenza legislativa
statale, e farebbe salvi comunque gli interventi autorizzatori
previsti dalle singole leggi regionali.
2.2.– Quanto alla questione
promossa in relazione all’art. 41, comma 4, del d.l.
n. 69 del 2013, l’Avvocatura generale dello Stato precisa che la norma
impugnata modifica l’art. 3, comma 1, lettera e.5), del d.P.R. n. 380 del
2001, in relazione alla definizione di «interventi di nuova
costruzione», estendendo l’ambito operativo della disposizione novellata,
in quanto qualifica come interventi di nuova costruzione anche i manufatti o le
altre strutture che sono «installati, con temporaneo ancoraggio al suolo,
all’interno di strutture ricettive all’aperto».
Secondo il Presidente del Consiglio dei
ministri, la norma censurata si limiterebbe pertanto ad intervenire sul rilievo
urbanistico dei manufatti leggeri, roulottes, campers, imbarcazioni, case mobili, sicché la
circostanza che gli stessi siano generalmente collocati in strutture ricettive
(quali villaggi turistici e aree attrezzate per campeggio) non potrebbe
comunque legittimare un’attività edificatoria libera da ogni
regola urbanistica. Da ciò seguirebbe l’infondatezza della questione.
2.3.– Quanto alla questione
promossa in relazione all’art. 56-bis, comma 11, del d.l.
n. 69 del 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la
disposizione censurata, nella parte in cui stabilisce che l’ente
territoriale che intenda procedere alla dismissione del proprio patrimonio
immobiliare versi al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato il 10
per cento dell’importo netto ricavato dall’alienazione,
determinerebbe una compressione dell’autonomia finanziaria della Regione
limitata al (solo) 10 per cento di quanto ricavato dalle operazioni di
dismissione. La destinazione dei proventi a fini di riduzione del debito
pubblico statale da essa imposta risponderebbe all’obbligo generale di
solidarietà, previsto dall’art. 2 Cost., tanto più
rilevante nella particolare ed eccezionale congiuntura che affligge la finanza
pubblica.
3.– All’udienza pubblica le
parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni contenute
nelle memorie scritte.
1.– La Regione Veneto dubita della
legittimità costituzionale degli artt. 18, comma 9, 41, comma 4, e
56-bis, comma 11, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti
per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, in riferimento
agli artt. 5, 42, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché al
principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.
2.– In primo luogo, la Regione
ricorrente impugna l’art. 18, comma 9, nella parte in cui stabilisce che
i criteri per l’accesso dei Comuni all’utilizzo delle risorse di
cui al Fondo istituito nello stato di previsione del Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti, destinate alla realizzazione del primo
Programma «6000 Campanili», concernente una serie di interventi
infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e nuova costruzione di
edifici pubblici, sono definiti con apposita convenzione tra il Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti e l’Associazione nazionale dei comuni
italiani (ANCI), da approvare con decreto del Ministro delle infrastrutture e
dei trasporti.
Tale norma è impugnata in quanto,
nella parte in cui estromette la Regione dai procedimenti di individuazione e
realizzazione di interventi riconducibili all’uso del suolo, che è
ascrivibile alla materia «governo del territorio» ‒ di
competenza legislativa regionale concorrente – nonché da quelli di
determinazione dei criteri ai fini dell’erogazione dei contributi
necessari alla realizzazione dei medesimi interventi, pregiudicherebbe
«l’esercizio delle competenze legislative e amministrative»
regionali, in violazione degli artt. 117 e 118 Cost. ed inciderebbe
sull’erogazione di risorse finanziarie a favore dei Comuni secondo
modalità contrastanti con l’art. 119 Cost.
L’art. 18, comma 9, è, poi,
impugnato per violazione del principio di sussidiarietà verticale ed
orizzontale, ai sensi degli artt. 5 e 118 Cost., in quanto attribuirebbe il
compito di determinare i criteri di assegnazione dei finanziamenti, in
posizione paritetica con il competente Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti, piuttosto che alle Regioni, all’ANCI, che non sarebbe soggetto
abilitato ad esercitare funzioni amministrative, in violazione dell’art.
117, terzo comma, Cost. L’ANCI, infatti non rientrerebbe né tra
gli enti tassativamente indicati nell’art. 114 Cost., né tra gli
organismi privati o gli enti funzionali legittimati a svolgere attività
di interesse generale ai sensi dell’art. 118, quarto comma, Cost.
Essa, inoltre, lederebbe il principio di
leale collaborazione, «di cui all’art. 120 della
Costituzione», per la mancata previsione di un’intesa, obbligatoria
anche nel caso in cui si ritenga che la disposizione impugnata sia espressione
di un’attrazione in sussidiarietà.
La predetta norma violerebbe
altresì l’art. 97 Cost., in relazione ai princípi
del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione,
in quanto l’ANCI difetterebbe dei caratteri di imparzialità che
dovrebbero viceversa connotare l’«intermediario» tra Stato e
Comuni nell’esercizio delle funzioni relative al governo del territorio
di cui si controverte nel presente giudizio.
2.1.– In linea preliminare, la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 9, del
d.l. n. 69 del 2013, promossa in relazione
all’art. 97 Cost., deve essere dichiarata inammissibile.
2.1.1.– Questa Corte ha più
volte affermato che, nei giudizi in via principale, le Regioni sono legittimate
a censurare le leggi dello Stato in riferimento a parametri diversi da quelli
relativi al riparto delle competenze legislative «soltanto qualora la
violazione di questi comporti una compromissione delle attribuzioni regionali
costituzionalmente garantite, sia possibile verificare la ridondanza delle
asserite violazioni sul relativo riparto e la ricorrente abbia indicato le
specifiche competenze ritenute lese e le ragioni della lamentata lesione»
(sentenza n. 36
del 2014; fra le tante, sentenze n. 237 del 2009,
n. 289 del 2008).
Nel caso di specie la ricorrente non ha
fornito alcuna motivazione in ordine all’incidenza della pretesa lesione del
principio di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione
sul riparto delle competenze tra Stato e Regioni. Ciò integra
l’inammissibilità della questione promossa con riferimento al
citato parametro costituzionale.
2.2.– Nel
merito, le questioni promosse in relazione agli artt. 117, 118 e 119 Cost. non
sono fondate.
2.2.1.– La disposizione impugnata
è contenuta nell’art. 18 del d.l. n. 69
del 2013, rubricato «Sblocca cantieri, manutenzione reti e territorio e
fondo piccoli Comuni», il quale prevede una serie di interventi, adottati
in via d’urgenza in ambiti di competenza statale esclusiva, accomunati
dalla necessità di portare a compimento opere infrastrutturali di
particolare rilevanza strategica, nonché finalizzati al completamento di
specifici nodi delle reti viarie. Per assicurare gli obiettivi richiamati,
nonché la messa in sicurezza di edifici pubblici di particolare
rilevanza (art. 18, commi da 1 a 8-septies, del d.l.
n. 69 del 2013), ad esempio scolastici, sono stabilite autorizzazioni di spesa
su appositi fondi.
Nell’ambito dei richiamati
interventi, la norma impugnata (comma 9) provvede a stanziare, solo per
l’anno 2014, in via del tutto eccezionale ed in deroga alle procedure
previste dal comma 2 dello stesso art. 18, l’importo di 100 milioni di
euro, da iscriversi nello stato di previsione del Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti, destinato alla realizzazione del Programma
«6000 Campanili», riservato soltanto ai «Comuni con
popolazione inferiore a 5.000 abitanti, [alle] unioni composte da comuni con
popolazione inferiore a 5.000 abitanti e [ai] comuni risultanti da fusione tra
comuni, ciascuno dei quali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti».
Tale programma concerne
«interventi infrastrutturali di adeguamento, ristrutturazione e nuova
costruzione di edifici pubblici, ivi compresi gli interventi relativi
all’adozione di misure antisismiche, ovvero di realizzazione e
manutenzione di reti viarie e infrastrutture accessorie e funzionali alle
stesse o reti telematiche di NGN e WI-FI, nonché di salvaguardia e messa
in sicurezza del territorio».
Si tratta, in altri termini, di una
serie di interventi, incidenti su vari ambiti, di competenza statale e
regionale (fra cui la tutela dell’ambiente, il governo del territorio, la
protezione civile, l’ordinamento della comunicazione, la tutela della
salute), ma essenzialmente riconducibili a lavori di manutenzione straordinaria
e messa in sicurezza del territorio, di cui si è inteso rendere
possibile la realizzazione nei piccoli Comuni grazie all’erogazione di un
contributo statale straordinario per il solo anno 2014, analogo a quelli
previsti dal decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88 (Disposizioni in materia
di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di squilibri economici
e sociali, a norma dell’articolo 16 della legge 5 maggio 2009, n. 42)
proprio «in conformità al quinto comma dell’articolo 119
della Costituzione e in prima attuazione dell’articolo 16 della legge 5
maggio 2009, n. 42» (art. 1).
La norma impugnata – che,
peraltro, ha avuto completa attuazione a seguito dell’adozione del
decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 30 agosto 2013, n.
317 (Approvazione della Convenzione 29 agosto 2013 MIT-ANCI, disciplinante i
criteri per l’accesso all’utilizzo delle risorse del primo
Programma «6000 Campanili»), nonché del decreto del Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti 27 dicembre 2013 (Approvazione
dell’elenco degli interventi ammessi al finanziamento del Primo Programma
«6000 Campanili») e del decreto del Ministro delle infrastrutture e
dei trasporti 13 febbraio 2014, n. 46 (Approvazione dell’elenco degli
interventi ammessi al Primo Programma «6000 Campanili» e finanziati
dalla legge di stabilità del 27 dicembre 2013, n. 147) –
stabilisce, dunque, uno degli interventi speciali previsti dall’art. 119,
quinto comma, Cost., in linea con la giurisprudenza costituzionale.
Questa Corte ha formulato una serie di
criteri di individuazione dei suddetti interventi speciali, la cui assenza
renderebbe il ricorso a finanziamenti statali ad hoc «uno strumento
indiretto ma pervasivo di ingerenza dello Stato nell’esercizio delle
funzioni degli enti locali, e di sovrapposizione di politiche e di indirizzi
governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli
ambiti materiali di propria competenza» (sentenza n. 16 del
2004; nonché, conformemente, sentenze n. 423, n. 320 e n. 49 del 2004).
Tali interventi speciali devono essere aggiuntivi rispetto al finanziamento
normale delle funzioni amministrative spettanti all’ente territoriale
(art. 119, quarto comma, Cost.), devono riferirsi alle finalità di
perequazione e di garanzia enunciate nella norma costituzionale, o comunque a
«scopi diversi» dal normale esercizio delle funzioni, infine devono
essere indirizzati non già alla generalità degli enti
territoriali, bensì a determinati enti territoriali o categorie di enti
territoriali (sentenze n. 79 del 2014,
n. 273, n. 254 e n. 46 del 2013,
n. 176 e n. 71 del 2012).
Nella specie le richiamate condizioni
sono soddisfatte.
La norma impugnata, nella parte in cui
dispone lo stanziamento di 100 milioni di euro soltanto per l’anno 2014
per la realizzazione dei suddetti lavori di manutenzione straordinaria e di
messa in sicurezza del territorio nei Comuni con meno di 5.000 abitanti, che
abbiano specifiche caratteristiche la cui determinazione è rimessa a
decreti ministeriali, delinea un intervento aggiuntivo rispetto al
finanziamento delle funzioni amministrative ordinarie delle Regioni, connotato
da scopi di perequazione e garanzia. Esso, infatti, dispone l’erogazione
di un contributo statale straordinario in vista della necessità di
assicurare la realizzazione di infrastrutture e lo svolgimento di
attività indispensabili ad agevolare la circolazione e la comunicazione,
la messa in sicurezza del territorio e la tutela della incolumità
pubblica, in quei comuni con meno di 5.000 abitanti che, per conformazione
geografica e scarsità di risorse, non sarebbero in grado di garantire in
modo adeguato l’assolvimento dei predetti compiti. Si tratta, dunque, di
un legittimo intervento del legislatore statale volto a destinare risorse
aggiuntive in favore di determinate categorie di Comuni, al fine di correggere
o attenuare particolari squilibri e garantire un livello uniforme di servizi
alla persona (sentenza
n. 176 del 2012).
2.3.– Del
pari non fondate sono le questioni promosse con riferimento al principio di
sussidiarietà orizzontale e verticale, in riferimento agli artt. 5 e 118
Cost., nei riguardi del medesimo art. 18, comma 9, del d.l.
n. 69 del 2013, nella parte in cui assegnerebbe all’ANCI uno specifico
ruolo nel procedimento di erogazione del contributo statale, lesivo delle
attribuzioni regionali.
2.3.1.– Occorre premettere che, in
relazione ad un intervento statale “speciale” ai sensi
dell’art. 119, quinto comma, Cost., come quello delineato dalla norma
impugnata, spetta al legislatore statale la scelta dello schema procedimentale
ritenuto più adeguato a assicurare l’ottimale realizzazione degli
obiettivi di volta in volta perseguiti nello stanziare i relativi fondi.
Nella specie, l’art. 18, comma 9,
del d.l. n. 69 del 2013 stabilisce che «con
apposita convenzione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
– Dipartimento per le infrastrutture, gli affari generali e il personale
– e l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), da
approvare con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e
pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale, sono disciplinati i criteri per
l’accesso all’utilizzo delle risorse degli interventi che fanno
parte del Programma» (secondo periodo). Esso prevede altresì che
«[i] Comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, le unioni
composte da comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti e i comuni
risultanti da fusione tra comuni, ciascuno dei quali con popolazione inferiore
a 5.000 abitanti, per il tramite dell’ANCI, presentano entro 60 giorni
dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana della
sopra citata convenzione, le richieste di contributo finanziario al Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti» (terzo periodo).
In tal modo, la citata norma, in vista
del predetto scopo di assicurare l’ottimale realizzazione degli obiettivi
perseguiti nello stanziare i fondi, attribuisce all’ANCI, in quanto
«associazione esponenziale» (sentenza n. 337 del
2001) dei Comuni, da un lato, compiti propositivi ed istruttori in ordine
alla determinazione dei criteri di assegnazione dei finanziamenti, criteri che
vengono poi definiti dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con
apposito decreto, sia pure sulla base della convenzione preventivamente
stipulata con l’ANCI (secondo periodo); dall’altro, funzioni di mero
supporto ed assistenza in favore dei piccoli Comuni destinatari del
finanziamento, al fine di agevolarne la presentazione delle domande (terzo
periodo).
Come affermato con riguardo a
disposizioni che riservavano all’ANCI significative funzioni nella fase propositiva
ed istruttoria di analoghi schemi procedimentali, anche in relazione alla norma
oggi impugnata, occorre rilevare che essa si limita a consentire anche la
partecipazione dei Comuni, fra i quali vi sono gli enti destinatari del
finanziamento, alla fase istruttoria, senza sottrarre, con ciò, alle
Regioni alcuna competenza. La previsione della «partecipazione nella fase
istruttoria di tutte le soggettività pubbliche interessate alla
successiva decisione è ben lungi dal ledere alcuna competenza regionale»
(sentenza n. 337
del 2001; nello stesso senso anche sentenza n.
232 del 2009).
2.4.–
Anche la questione di legittimità costituzionale promossa nei confronti
del medesimo art. 18, comma 9, del d.l. n. 69 del
2013, in riferimento al principio di leale collaborazione di cui all’art.
120 Cost., non risulta fondata.
2.4.1.– La Regione Veneto lamenta
la lesione del richiamato principio, sulla base del presupposto che la
disciplina di cui alla norma oggetto del giudizio debba ricondursi alla materia
«governo del territorio», rispetto alla quale «è
radicato l’intreccio delle diverse competenze tra Stato e Regione»,
cosicché la scelta di escludere l’amministrazione regionale da
qualsiasi attività connessa alla realizzazione degli interventi sarebbe
lesiva della «totalità delle competenze regionali esistenti in
materia, particolarmente se avviene in assenza di un’intesa istituzionale
sul punto». In via subordinata, la pretesa lesione del principio di leale
collaborazione è motivata sulla base del diverso presupposto che la
disposizione impugnata sia espressione di chiamata in sussidiarietà di
funzioni, in relazione alla quale egualmente si impone il raggiungimento di
un’intesa.
Entrambi i presupposti sono errati,
considerato che, nella specie, non si tratta né di una disciplina
incidente sul «governo del territorio», né di
un’ipotesi di attrazione in sussidiarietà allo Stato di una
competenza amministrativa regionale, quanto piuttosto, come si è
già chiarito supra al punto 2.2., di un
intervento speciale dello Stato a fini di perequazione e garanzia adottato in
attuazione dell’art. 119, quinto comma, Cost., strutturalmente e concettualmente
diverso.
Ne consegue che gli argomenti addotti
dalla Regione ricorrente a sostegno della dedotta violazione del principio di
leale collaborazione risultano privi di fondamento, in quanto riferiti a
fattispecie diverse da quella alla quale deve ricondursi la norma impugnata.
3.– La Regione Veneto promuove,
inoltre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 41,
comma 4, del d.l. n. 69 del 2013. Quest’ultimo,
che ha novellato l’art. 3, comma 1, lettera e.5), del decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A),
ove sia inteso nel senso di includere tra gli interventi di nuova costruzione ‒
per i quali è richiesto il permesso di costruire ‒
l’installazione di «manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di
strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati
come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili,
e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee»,
«ancorché siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo,
all’interno di strutture ricettive all’aperto, in conformità
alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno dei
turisti», sarebbe in contrasto con l’art. 117, terzo e quarto
comma, in quanto sottrarrebbe illegittimamente i richiamati interventi alla
competenza delle Regioni in specie in materia di turismo.
3.1.– In via preliminare, occorre
rilevare che la norma impugnata è stata modificata dall’art.
10-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 (Misure urgenti per
l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 maggio
2014, n. 80, che ha sostituito, all’art. 3, comma 1, lettera e.5), del
d.P.R. n. 380 del 2001, la parola «ancorché» con le parole
«e salvo che».
Per effetto della modificazione
sopravvenuta, il vigente art. 3, comma 1, lett. e.5),
del richiamato d.P.R. n. 380 del 2001 ha ridefinito nei seguenti termini gli
«interventi di nuova costruzione» del testo unico
dell’edilizia (per i quali è richiesto il permesso di costruire):
«l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di
strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati
come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili,
e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee e salvo che
siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di
strutture ricettive all’aperto, in conformità alla normativa
regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti».
Nella memoria depositata
nell’imminenza dell’udienza pubblica, la Regione Veneto ha
osservato che le modificazioni apportate alla disposizione impugnata dal
richiamato art. 10-ter, del d.l. n. 47 del 2014,
garantiscono il «completo sovvertimento del senso e della portata del
precetto normativo» originariamente censurato, con ciò superando i
rilievi di illegittimità costituzionale formulati, e ha concluso che
sussistono, pertanto, i requisiti affinché la Corte possa dichiarare la
cessazione della materia del contendere.
3.1.1.–
Tale assunto risulta privo di fondamento.
Secondo il costante orientamento della
giurisprudenza costituzionale, le modificazioni delle norme impugnate
determinano la cessazione della materia del contendere alla duplice condizione
della sopravvenuta abrogazione o modificazione della disciplina censurata in senso
satisfattivo della pretesa avanzata con il ricorso, nonché della mancata
applicazione, medio tempore, delle norme abrogate o modificate (fra le tante,
sentenze n. 269
e n. 68 del 2014,
n. 300, n. 193 e n. 32 del 2012,
n. 325 del 2011).
Nella specie, la sopravvenuta modifica
normativa appare pienamente satisfattiva delle pretese della Regione
ricorrente, in quanto – come riconosciuto dalla medesima Regione –
l’inserimento della locuzione «e salvo che», al posto di
«ancorché», sovvertendo il senso della norma impugnata, esclude
che siano riconducibili agli «interventi di nuova costruzione», i
richiamati manufatti leggeri, con temporaneo ancoraggio al suolo, posti
all’interno di strutture ricettive all’aperto, «in
conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il
soggiorno di turisti», con ciò facendo espressamente salve le
competenze regionali.
All’opposto, non si configura
l’ulteriore requisito della mancata applicazione medio tempore della
norma impugnata. Infatti, l’art. 41, comma 4, del d.l.
n. 69 del 2013 è stato inserito dalla legge di conversione 9 agosto
2013, n. 98 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 20 agosto 2013), entrata in
vigore il giorno successivo alla data di pubblicazione (21 agosto 2013).
L’art. 10-ter del d.l. n. 47 del 2014, è
stato inserito dalla legge di conversione 25 maggio 2014, n. 80 (pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale il 27 maggio 2014), entrata in vigore il 28 maggio
2014, sicché la norma impugnata è rimasta in vigore per circa
otto mesi, durante i quali non è stata fornita alcuna dimostrazione che
non sia stata applicata.
Pertanto, il richiesto scrutinio di
legittimità costituzionale della norma censurata deve essere condotto
nel merito.
3.2.– Nel merito, la questione
è fondata.
La norma impugnata si inserisce
nell’ambito della disciplina urbanistico-edilizia, dettata dal
legislatore statale all’art. 3 (L) del d.P.R. n. 380 del 2001, in tema di
realizzazione di strutture mobili configurate come «interventi di nuova
costruzione», in quanto tali subordinati al conseguimento di specifico
titolo abilitativo costituito dal permesso di costruire.
Con riferimento a tale disciplina questa
Corte ha già avuto occasione di osservare che essa, la quale deve essere
ricondotta alla materia del «governo del territorio» di cui al
terzo comma dell’art. 117 Cost., «sancisce il principio per cui
ogni trasformazione permanente del territorio necessita di titolo abilitativo e
ciò anche ove si tratti di strutture mobili allorché esse non
abbiano carattere precario» (sentenza n. 278 del
2010). Quanto a quest’ultimo si è, poi, precisato che
«[i]l discrimine tra necessità o meno di titolo abilitativo
è dato dal duplice elemento: precarietà oggettiva
dell’intervento, in base alle tipologie dei materiali utilizzati, e
precarietà funzionale, in quanto caratterizzata dalla
temporaneità dello stesso» (sentenza n. 278 del
2010).
Su tali premesse, è stata allora
dichiarata l’illegittimità costituzionale di una norma statale che
escludeva che le installazioni ed i rimessaggi di mezzi mobili di pernottamento
(campers, roulottes, case
mobili ed altro), anche se collocati permanentemente, per l’esercizio
dell’attività, entro il perimetro di strutture turistico-ricettive
regolarmente autorizzate, fossero attività rilevanti sul piano
urbanistico ed edilizio, escludendo la necessità di conseguire apposito
titolo abilitativo per la loro realizzazione, in considerazione del mero dato
della precarietà strutturale del manufatto. Così disponendo,
infatti, il legislatore statale aveva dettato una disciplina puntuale inerente
a specifiche tipologie di interventi edilizi realizzati in contesti ben
definiti e circoscritti, senza lasciare alcuno spazio al legislatore regionale,
in contrasto con quanto più volte chiarito da questa Corte e cioè
che «alla normativa di principio spetta di prescrivere criteri e
obiettivi, mentre alla normativa di dettaglio è riservata
l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere
tali obiettivi» (sentenza n. 278 del
2010; anche sentenze n. 16 del 2010,
n. 340 del 2009,
n. 401 del 2007).
La norma impugnata in questo giudizio
presenta analoghi vizi di illegittimità costituzionale. Essa, infatti,
nella parte in cui stabilisce che costituiscono «interventi di nuova
costruzione» l’installazione di manufatti leggeri anche
prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes,
campers, case mobili, imbarcazioni, che siano
utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini
e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee,
«ancorché siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo,
all’interno di strutture ricettive all’aperto, in conformità
alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di
turisti», estende, con norma di dettaglio, l’ambito oggettivo degli
«interventi di nuova costruzione», per i quali è richiesto
il permesso di costruire.
Essa in specie individua, al pari della
norma dichiarata costituzionalmente illegittima con la citata sentenza n. 278 del
2010, specifiche tipologie di interventi edilizi, realizzati
nell’ambito delle strutture turistico-ricettive all’aperto, molto
peculiari, che peraltro contraddicono i criteri generali (della trasformazione
permanente del territorio e della precarietà strutturale e funzionale
degli interventi) forniti, dallo stesso legislatore statale, ai fini dell’identificazione
della necessità o meno del titolo abilitativo. In tal modo, la norma
impugnata sottrae al legislatore regionale ogni spazio di intervento,
determinando la compressione della sua competenza concorrente in materia di
governo del territorio, nonché la lesione della competenza residuale del
medesimo in materia di turismo, strettamente connessa, nel caso di specie, alla
prima.
Deve, pertanto, essere dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 41, comma 4, del d.l. n. 69 del 2013.
4.– La Regione Veneto censura,
infine, l’art. 56-bis, comma 11, del d.l. n. 69
del 2013, nella parte in cui impone un vincolo di destinazione a favore del
Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato sulla quota del 10 per cento
delle risorse derivanti dall’alienazione dell’originario patrimonio
immobiliare disponibile delle Regioni.
Tale norma violerebbe l’art. 117
Cost., in riferimento alla materia del «coordinamento della finanza
pubblica», e l’art. 119 Cost., in quanto imporrebbe la destinazione
dei proventi ricavabili dalla dismissione dei beni pubblici della Regione ad un
fondo di spettanza statale in via prioritaria rispetto alle spese di
investimento dell’ente medesimo, indipendentemente dalla necessità
o meno delle stesse. Detto articolo si porrebbe inoltre in contrasto con
l’art. 42 Cost. perché, estendendo il medesimo vincolo di
destinazione allo Stato delle risorse derivanti dall’alienazione degli
immobili di proprietà dello Stato, successivamente trasferiti agli enti
territoriali, anche alle risorse derivanti dall’alienazione
dell’originario patrimonio immobiliare disponibile degli enti
territoriali, cioè di «beni propri delle autonomie
territoriali», scardinerebbe il concetto di proprietà di cui
all’art. 42 Cost.
4.1.– La
questione promossa in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost.
è fondata.
La disposizione censurata
nell’odierno giudizio si colloca nel quadro delle recenti misure adottate
dal legislatore statale volte alla riduzione del debito pubblico, al fine
precipuo di fronteggiare, in termini dichiaratamente derogatori e straordinari,
l’«eccezionalità della situazione economica» e,
appunto, le «esigenze prioritarie di riduzione del debito pubblico»
(art. 56-bis, comma 11, primo periodo, del d.l. n. 69
del 2013).
Proprio in considerazione della «eccezionale
emergenza finanziaria che il Paese sta attraversando», ed in vista
dell’obiettivo di interesse generale «della riduzione dei debiti
dei vari enti in funzione del risanamento della finanza pubblica attraverso la
dismissione di determinati beni» (sentenza n. 63 del
2013), questa Corte ha ritenuto che la previsione statale
dell’obbligo di destinazione delle risorse derivanti dalle operazioni di
dismissione di terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola dello Stato,
delle Regioni e degli altri enti territoriali alla riduzione del proprio
debito, sia espressiva, oltre che «del perseguimento di un obiettivo di
interesse generale in un quadro di necessario concorso anche delle autonomie al
risanamento della finanza pubblica», di un «principio fondamentale
nella materia, di competenza concorrente, del coordinamento della finanza
pubblica», come tale non invasivo delle attribuzioni della Regione nella
materia stessa, in quanto proporzionato al fine perseguito (sentenza n. 63 del
2013). In questa prospettiva si è anche precisato che tanto gli
artt. 117, terzo comma, e 119, sesto comma, Cost., quanto le norme di contabilità
pubblica ben consentono al legislatore di prevedere che soltanto la quota
eccedente la copertura del debito pubblico di pertinenza dell’ente
territoriale possa essere destinata a spese di investimento, onde scongiurare
l’eventualità che, per effetto di un esercizio inconsapevole o
distorto dell’autonomia finanziaria regionale, possano rigenerarsi
condizioni di indebitamento tali da vanificare il ripianamento conseguito.
Questa Corte ha, però, anche
dichiarato, nella pronuncia citata (sentenza n. 63 del
2013), l’illegittimità costituzionale di una disposizione
statale che prescriveva agli enti territoriali, in assenza di debito o per la
parte eventualmente eccedente, di destinare le risorse derivanti dalle
operazioni di dismissione dei terreni demaniali agricoli e a vocazione agricola
al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. E ciò sulla base
del rilievo che detta previsione, «non essendo finalizzata ad assicurare
l’esigenza del risanamento del debito degli enti territoriali e, quindi,
non essendo correlata alla realizzazione del ricordato principio fondamentale,
si risolve in una indebita ingerenza nell’autonomia della Regione».
Essa – si è precisato
– «determina una indebita appropriazione da parte dello Stato di
risorse appartenenti agli enti territoriali, in quanto realizzate attraverso la
dismissione di beni di loro proprietà e, con ciò, sottrae ad essi
il potere di utilizzazione dei propri mezzi finanziari, che fa parte integrante
di detta autonomia finanziaria, funzionale all’assolvimento dei compiti
istituzionali che gli enti territoriali sono chiamati a svolgere […] con
conseguente violazione degli articoli 117, terzo comma, e 119 Cost.».
I richiamati argomenti non possono che
condurre a ravvisare e dichiarare l’illegittimità costituzionale
anche dell’art. 56-bis, comma 11, del d.l. n.
69 del 2013, ora all’esame.
Anche tale norma è, infatti,
volta a destinare le risorse derivanti da operazioni di dismissione di beni
degli enti territoriali alla riduzione del debito pubblico di pertinenza, e, in
assenza del debito o per la parte eventualmente eccedente il debito degli enti
medesimi, al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato.
Essa, inoltre, non soddisfa alcuna delle
condizioni ripetutamente poste dalla giurisprudenza di questa Corte in ordine
all’individuazione dei princípi di
coordinamento della finanza pubblica. E’, infatti, ormai indirizzo
costante di questa Corte ritenere che «norme statali che fissano limiti
alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi
fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice
condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della
medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se
non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo
esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti
obiettivi» (sentenza
n. 237 del 2009; nello stesso senso sentenze n. 139 del 2009,
n. 289 e n. 120 del 2008).
Nella specie, la norma impugnata fissa
un vincolo puntuale ed esaustivo al fine di perseguire gli obiettivi di finanza
pubblica, imponendo agli enti territoriali di destinare una quota dei proventi
derivanti dalla dismissione di loro beni alla riduzione del debito pubblico
dello Stato, con ciò ledendo i parametri evocati.
Sulla base di ciò, deve,
pertanto, dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art.
56-bis, comma 11, del d.l. n. 69 del 2013.
4.2.–
Resta assorbita la questione di legittimità costituzionale promossa nei
confronti della medesima norma in riferimento all’art. 42 Cost.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 41, comma 4, del
decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio
dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 9 agosto 2013, n. 98;
2) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 56-bis, comma
11, del d.l. n. 69 del 2013, convertito, con
modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge n. 98 del 2013;
3) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art.
18, comma 9, del d.l. n. 69 del 2013, convertito, con
modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge n. 98 del 2013, promossa,
in riferimento all’art. 97 della Costituzione, dalla Regione Veneto con
il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo art.
18, comma 9, del d.l. n. 69 del 2013, convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 98 del 2013,
promossa, in riferimento agli artt. 5, 117, 118, 119 e 120 Cost., dalla Regione
Veneto con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede
della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2014.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 luglio
2015.