ORDINANZA N. 26
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 (Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 maggio 2014, n. 80, promossi dal Tribunale ordinario di Verona con ordinanza del 24 ottobre 2014, dal Tribunale ordinario di Napoli con ordinanza del 13 ottobre 2014, dal Tribunale ordinario di Roma con ordinanza del 18 novembre 2014 e dal Tribunale ordinario di Gela con ordinanza del 3 dicembre 2014, rispettivamente iscritte ai nn. 47, 85, 87 e 114 del registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 14, 20 e 25, prima serie speciale, dell’anno 2015.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 2016 il Giudice relatore Paolo Grossi.
Ritenuto che, con ordinanza del 24 ottobre 2014, il Tribunale ordinario di Verona ha sollevato, in riferimento all’art. 136 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 (Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 maggio 2014, n. 80, secondo cui «Sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell’articolo 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23»;
che, secondo il giudice rimettente, la scelta di fare salvi gli effetti ed i rapporti giuridici sorti sulla base di una disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima parrebbe «interpretabile unicamente come differimento nel tempo degli effetti della sentenza» n. 50 del 2014, in contrasto con l’art. 136 Cost.;
che mentre, infatti, la pronuncia di illegittimità costituzionale «non avrebbe avuto in ogni caso alcuna efficacia» «Sui rapporti di locazione consolidatisi, perché oramai cessati», su quelli in corso, invece, la norma denunciata «introducendo una regola di diritto intertemporale non armonizzabile con l’art. 136 Cost.», produrrebbe effetti retroattivi, dal momento che, alla data della sua entrata in vigore, la predetta pronuncia «aveva già inciso sui rapporti di locazione registrati» ai sensi delle disposizioni dichiarate illegittime;
che, con ordinanza del 13 ottobre 2014, il Tribunale ordinario di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 42, secondo comma, e 136 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 23 maggio 2014, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, recante misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015), nella parte in cui, nel convertire in legge il d.l. n. 47 del 2014, ha introdotto, all’art. 5, il comma 1-ter;
che l’ordinanza di rimessione rammenta che le previsioni di cui all’art. 3, commi 8 e 9, del citato decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di Federalismo Municipale) sono state dichiarate costituzionalmente illegittime, per eccesso di delega, con la sentenza n. 50 del 2014 e che, successivamente, la legge n. 80 del 2014, nel convertire in legge il d.l n. 47 del 2014, ha introdotto, nel comma 1-ter dell’art. 5, la previsione di salvezza dei rapporti in corso sino al 31 dicembre 2015;
che tale disciplina risponderebbe alla «precipua finalità di garantire una sorta di ultrattività delle suddette disposizioni legislative, ancorché dichiarate incostituzionali», in contrasto anzitutto con l’art. 136 Cost.;
che dal parere espresso dalla Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati emergerebbe l’intenzione non già di introdurre una norma riproduttiva di quella precedente, ma quella di enunciare una “clausola di salvaguardia” volta a preservare gli effetti prodottisi in applicazione delle norme dichiarate incostituzionali e i rapporti che ne erano originati;
che, d’altra parte, il riferimento, contenuto in quel parere, ai «diritti quesiti» ed alle «situazioni giuridiche consolidate» non parrebbe appropriato, non sussistendo né giudicati né altri eventi «cui l’ordinamento collega il consolidamento di rapporti giuridici» e risultando, piuttosto, la disciplina in esame, destinata a riverberarsi su classici rapporti di durata, in quanto non risolti né estinti;
che, perciò, da un lato, la norma contestata attribuirebbe al conduttore «il vantaggio di invocare i pagamenti effettuati, in conformità delle norme richiamate, sottraendosi all’adempimento integrale del contratto stipulato» e, dall’altro, una «pronuncia d’illegittimità costituzionale della stessa avrebbe l’effetto di rendere esigibile, da parte del locatore, la prestazione contrattuale nella sua interezza, consentendo al creditore la piena acquisizione patrimoniale del diritto fatto valere»;
che vi sarebbe contrasto anche con l’art. 3 Cost., in quanto la previsione “di salvaguardia”, con il previsto limite temporale, avrebbe introdotto un regime irragionevolmente discriminatorio ratione temporis rispetto ai medesimi rapporti di locazione, determinando «una sorta di diritto speciale»;
che, infatti, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale, sarebbe venuta meno la originaria «finalità preventiva e deterrente» dell’obbligo della tempestiva registrazione dei contratti di locazione, rendendosi irragionevole la previsione di un «termine finale che non ha nessun collegamento razionale con la legge originaria»;
che sarebbe, infine, violato anche l’art. 42, secondo comma, Cost., essendo consentito «limitare la proprietà privata», pur sempre nel rispetto del «limite teleologico della funzionalità alle esigenze delle collettività», attraverso un bilanciamento di interessi che «non può tradursi in uno “svuotamento di rilevante entità ed incisività del suo contenuto” (v. sentenza Corte Cost. n. 55/1968)»;
che, nella specie, sarebbe, invece, prevista una modifica, in chiave sanzionatoria, tanto della durata quanto del canone locatizio, quale deterrente alla violazione della normativa tributaria, in termini di evidente «compressione delle facoltà del proprietario», risultando svuotata di contenuto l’autonomia negoziale, senza una proporzionale ricaduta sul piano della funzione sociale della proprietà;
che, oltre tutto, il previsto regime potrebbe irragionevolmente protrarsi per la durata complessiva di circa cinque anni (considerato il termine finale del 31 dicembre 2015), pur nella «notoria inadeguatezza dei parametri desumibili dai criteri catastali», essendo pacifico che «l’osservanza delle norme tributarie è oggetto di piena tutela giuridica, attraverso le norme sanzionatorie vigenti in tema di accertamento e repressione dell’illecito fiscale»;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
che, a proposito della lamentata violazione dell’art. 136 Cost., si osserva che la disposizione censurata non rappresenterebbe affatto una semplice riproduzione della norma già dichiarata incostituzionale, avendo, piuttosto, «la natura transitoria della “sanatoria”», adottata «per tamponare una situazione di emergenza abitativa»;
che, dunque, si tratterebbe di una norma che, diversamente da quella caducata, non si esporrebbe al medesimo vizio di eccesso di delega;
che infondata sarebbe anche la censura riferita all’art. 3 Cost., in quanto la disposizione in discorso avrebbe «inteso tutelare, allo stesso tempo, locatori e inquilini», da un lato attraverso «norme con finalità deterrente» e, dall’altro, attraverso «la transitorietà della misura», destinata, del resto, ad assicurare la possibilità di soluzioni transattive;
che sarebbe, infine, rispettato anche l’art. 42, secondo comma, Cost., intendendosi «fronteggiare la situazione emergenziale di sopravvenuta scadenza dei contratti o di morosità degli inquilini che, pur avendo regolarizzato i contratti di locazione, rischiano di essere sottoposti ad azione di sfratto, a causa della invalidità parziale dei contratti regolarizzati nel rispetto della norma dichiarata, poi, incostituzionale»;
che pure il Tribunale ordinario di Roma, con ordinanza del 18 novembre 2014 solleva, in riferimento agli artt. 3, 136 e 137, terzo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1-ter, del d.l. n. 47 del 2014, come introdotto dalla legge di conversione;
che, dopo ampia esposizione dei fatti di causa nonché della vicenda normativa precedente e successiva alla richiamata declaratoria di illegittimità costituzionale, il giudice rimettente dubita della legittimità della norma denunciata «potendosi sospettare l’elusione del giudicato di cui alla sentenza della Corte Cost. n° 50/2014»;
che, infatti, le norme caducate risulterebbero destinate ad una «(parziale) sopravvivenza» tale «da renderle ancora operanti», in violazione anche dei princìpi più volte affermati dalla giurisprudenza costituzionale in tema di «elusione o violazione del giudicato costituzionale (art. 136 Cost.)»;
che, a questi fini, non potrebbe considerarsi conferente la transitorietà della scelta legislativa, dal momento che essa appare per sé stessa non «conforme a ragionevolezza», in quanto «non intesa a colmare vuoti normativi», potendosi, per questo, eventualmente, fare applicazione delle clausole contrattuali e, per l’aspetto tributario, delle disposizioni del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro) e dell’art. 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005);
che l’art. 3 Cost. sarebbe, del resto, vulnerato anche perché si determinerebbero trattamenti differenziati per fattispecie identiche;
che, per i contratti tardivamente registrati nella vigenza delle norme dichiarate illegittime, si determinerebbe, infatti, una sorta di prorogatio di effetti, mentre quelli tardivamente registrati dopo la pubblicazione della predetta sentenza di questa Corte trarrebbero la propria disciplina «altrove», dovendosi considerare a tutti gli effetti validi ed efficaci ovvero radicalmente nulli;
che risulterebbe, infine, violato l’art. 137, terzo comma, Cost., «che enuncia il principio dell’intangibilità del c.d. giudicato formale di incostituzionalità»;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata, sulla base di argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle svolte nell’atto di intervento nel giudizio di cui alla richiamata ordinanza del Tribunale ordinario di Napoli;
che anche il Tribunale ordinario di Gela, con ordinanza del 3 dicembre 2014, solleva, in riferimento agli artt. 3, 42 e 136 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1-ter, del d.l. n. 47 del 2014, come introdotto dalla legge di conversione;
che, premessa ampia ricostruzione dei fatti di causa e delle vicende relative alle disposizioni implicate, si osserva che la norma in questione parrebbe, «anzitutto, confliggente con l’art. 136 Cost.», avendo il legislatore nuovamente introdotto una disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima per eccesso di delega con la sentenza n. 50 del 2014;
che, evocato il parere espresso dalla Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati sul disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 47 del 2014 – ove si allude all’esigenza di salvaguardare i «diritti quesiti» e le «situazioni giuridiche consolidate» –, se ne contesta la plausibilità, sul rilievo che la disposizione all’esame si sarebbe limitata a riprodurre una norma corrispondente a quella già dichiarata incostituzionale, senza che potessero venire in discorso diritti già maturati o rapporti consolidati;
che risulterebbe del pari violato l’art. 3 Cost., per il determinarsi di irragionevoli disparità di trattamento ratione temporis e per essersi esaurita, con la declaratoria di illegittimità costituzionale, la finalità preventiva e deterrente che aveva ispirato il regime censurato da questa Corte;
che risulterebbe, infine, vulnerato anche l’art. 42, secondo comma, Cost., essendo state introdotte limitazioni alla proprietà immobiliare ed alla stessa autonomia contrattuale senza che le stesse soddisfino la funzione sociale della proprietà, con l’ulteriore effetto negativo che il previsto regime limitativo potrebbe protrarsi per una durata tendenziale di quasi cinque anni;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata, sulla base di argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle svolte nell’atto di intervento nel giudizio instaurato con la predetta ordinanza del Tribunale ordinario di Napoli.
Considerato che il Tribunale ordinario di Verona ha sollevato, in riferimento all’art. 136 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 (Misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 maggio 2014, n. 80, secondo cui «Sono fatti salvi, fino alla data del 31 dicembre 2015, gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell’art. 3, comma 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23»;
che il Tribunale ordinario di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 42, secondo comma, e 136 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 23 maggio 2014, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, recante misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015), nella parte in cui, nel convertire in legge il d.l. n. 47 del 2014, ha introdotto, all’art. 5, il comma 1-ter;
che pure il Tribunale ordinario di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 136 e 137, terzo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1-ter, del d.l. n. 47 del 2014, come introdotto dalla legge di conversione;
che anche il Tribunale ordinario di Gela ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 42 e 136 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1-ter, del d.l. n. 47 del 2014, come introdotto dalla legge di conversione;
che, ad eccezione del giudizio promosso per iniziativa del Tribunale ordinario di Verona, in tutti gli altri giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata;
che i giudizi, avendo ad oggetto la medesima disposizione, vanno riuniti per essere definiti con un’unica pronuncia;
che questa Corte, con la sentenza n. 169 del 2015, successiva alle ordinanze di rimessione, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del denunciato art. 5, comma 1-ter, del d.l. n. 47 del 2014, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della l. n. 80 del 2014;
che, dunque, le questioni proposte, risultando, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, ormai prive di oggetto (ex plurimis, ordinanza n. 129 del 2015), vanno dichiarate manifestamente inammissibili.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, commi 1 e 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1-ter, del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47 (Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 maggio 2014, n. 80, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 42, secondo comma, 136 e 137, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Verona, dal Tribunale ordinario di Napoli, dal Tribunale ordinario di Roma e dal Tribunale ordinario di Gela, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2016.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 febbraio 2016.