Sentenza n. 211 del 2014

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SENTENZA N. 211

ANNO 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Sabino                        CASSESE                              Presidente

-           Giuseppe                    TESAURO                            Giudice

-           Paolo Maria                NAPOLITANO                             ”

-           Giuseppe                    FRIGO                                           ”

-           Alessandro                 CRISCUOLO                                ”

-           Paolo                          GROSSI                                        ”

-           Aldo                           CAROSI                                        ”

-           Marta                          CARTABIA                                  ”

-           Sergio                         MATTARELLA                            ”

-           Mario Rosario             MORELLI                                     ”

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 ”

-           Giuliano                      AMATO                                        ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 43 della legge della Regione Abruzzo 8 febbraio 2005, n. 6 (Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2005 e pluriennale 2005-2007 della Regione Abruzzo − Legge finanziaria regionale 2005), come sostituito dall’art. 1, comma 2, della legge della Regione Abruzzo 21 novembre 2008, n. 16 (Provvedimenti urgenti e indifferibili), promosso dal Tribunale ordinario di Teramo nel procedimento civile vertente tra A.G. e la Regione Abruzzo con ordinanza del 19 marzo 2013, iscritta al n. 117 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Visti gli atti di costituzione di A. G. e della Regione Abruzzo;

udito nell’udienza pubblica del 10 giugno 2014 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

uditi gli avvocati Federico Sorrentino e Tommaso Marchese per A.G. e Federico Tedeschini per la Regione Abruzzo.

Ritenuto in fatto

1.– Il Tribunale ordinario di Teramo, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 19 marzo 2013 iscritta al n. 117 del registro ordinanze 2013, ha sollevato, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 43 della legge della Regione Abruzzo 8 febbraio 2005, n. 6 (Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2005 e pluriennale 2005-2007 della Regione Abruzzo − Legge finanziaria regionale 2005), come sostituito dall’art. 1, comma 2, della legge della Regione Abruzzo 21 novembre 2008, n. 16 (Provvedimenti urgenti e indifferibili).

Il rimettente premette di essere investito del ricorso promosso da A.G., appartenente alla categoria B, posizione economica B3, immessa, a seguito di superamento di concorso pubblico, nel ruolo del personale della Regione Abruzzo con decorrenza giuridica dal 3 marzo 1981. La ricorrente ha chiesto il riconoscimento del diritto a percepire la retribuzione individuale di anzianità (r.i.a.), corrispostale in ragione di euro 44,74 mensili, nel maggior importo, pari a euro 637,50 mensili, percepito, a parità di anzianità di servizio, da altro impiegato appartenente alla medesima qualifica e proveniente dall’ANAS, ammesso al beneficio del mantenimento del trattamento economico individuale di anzianità maturato presso l’amministrazione di provenienza. A sostegno della domanda, la ricorrente nel giudizio a quo ha chiesto l’applicazione dell’art. 43 della legge reg. n. 6 del 2005, il quale modificando l’art. l della legge regionale 13 ottobre 1998, n. 118 (Riconoscimento agli effetti economici della anzianità di servizio prestato presso lo Stato, Enti Pubblici, Enti Locali e Regioni, nei confronti del personale inquadrato nel ruolo regionale a seguito di pubblici concorsi ed estensione dei benefici previsti dalla L. n. 144 del 1989 al personale ex L. n. 285 del 1977), ha riconosciuto ai dipendenti regionali «ai fini perequativi, la stessa retribuzione individuale di anzianità percepita dai dipendenti vincitori delle procedure concorsuali suddette ai quali è stato applicato il comma 1, quantificata tenendo conto dell’ammontare maggiore percepito a parità di anzianità di servizio al momento dell’inquadramento nella qualifica regionale ricoperta».

La Regione, costituitasi nel giudizio a quo, ha eccepito l’illegittimità costituzionale della disposizione invocata dalla ricorrente per contrasto con gli artt. 3, 36, 81, quarto comma, 97, 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Il rimettente riferisce ampiamente le argomentazioni svolte dalla difesa regionale a sostegno delle censure e, tuttavia, ritiene di sollevare questione di costituzionalità dell’art. 43 della legge reg. n. 6 del 2005 unicamente con riguardo al parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Sostiene, infatti, che la disposizione regionale, intervenendo su una voce del trattamento economico del personale dipendente dalla Regione, a seguito della privatizzazione dei rapporti di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, inciderebbe sulla materia dell’«ordinamento civile» riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, come affermato dalla giurisprudenza costituzionale.

In ordine alla rilevanza della questione, il Tribunale, dopo aver svolto un ampio excursus delle vicende normative che hanno riguardato la r.i.a., osserva come l’art. 43 della legge reg. n. 6 del 2005 persegua finalità perequative del trattamento retributivo erogato ai dipendenti già appartenenti al ruolo regionale rispetto a quelli provenienti da altre amministrazioni. Proprio tale finalità, ad avviso del rimettente, induce ad interpretare la disposizione in esame nel senso di riconoscere il diritto alla riliquidazione della r.i.a. anche in favore del personale regionale che non sia stato assunto a seguito di procedure selettive o di mobilità. Infatti, la (asserita) sperequazione cui la norma è volta a porre rimedio sarebbe stata determinata proprio dalla precedente legislazione regionale che, nel recepire gli esiti della contrattazione collettiva anteriore alla privatizzazione del pubblico impiego, aveva creato uno squilibrio tra il trattamento economico di anzianità del personale regionale e quello proveniente da altre amministrazioni.

La rilevanza della questione, inoltre, non sarebbe venuta meno per effetto della abrogazione della disposizione censurata disposta dall’art. 6 della legge della Regione Abruzzo 3 agosto 2011, n. 24 (Intervento di adeguamento normativo in materia di personale), con decorrenza dal 13 agosto 2011, atteso che la domanda formulata dalla ricorrente attiene al periodo compreso tra il 1° luglio 1998 e il febbraio 2011 «oltre che il periodo successivo, da intendersi limitato a quello di produzione degli effetti della norma».

Il Tribunale dà anche conto della circostanza che, nel caso al suo esame, il dipendente dell’ANAS, rispetto al quale la ricorrente chiede la riliquidazione della r.i.a., ha conservato il trattamento economico di cui godeva presso tale amministrazione, ivi compresa la retribuzione individuale di anzianità, in forza dell’art. 4 del d.P.C.m. 22 dicembre 2000, n. 448 (Regolamento recante modalità e procedure per il trasferimento del personale dell’Ente nazionale per le strade – ANAS – alle regioni ed agli enti locali, in attuazione dell’articolo 7, comma 4, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112), e non già in forza della analoga disposizione regionale contenuta nell’art. 1, comma 1, della legge reg. n. 118 del 1998.

Ciononostante, il giudice a quo ritiene che la disposizione censurata – la quale riconosce il diritto alla riliquidazione della r.i.a. rispetto a quei dipendenti che abbiano mantenuto il trattamento economico dell’ente di provenienza in forza della disposizione regionale – debba trovare comunque applicazione nel caso di specie pur non ricorrendo la condizione ivi prevista, tenuto conto della finalità perequativa perseguita dal legislatore regionale. Pertanto, l’identità della ratio della norma di cui al comma 1 della legge reg. n. 118 del 1998 e quella di cui al d.P.C.m. n. 448 del 2000 giustificherebbe l’applicazione, anche analogica, della disposizione censurata.

2.– È intervenuta in giudizio la parte privata A.G. la quale ha chiesto alla Corte di rigettare la questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale.

Osserva, al riguardo, che la giurisprudenza costituzionale richiamata dal rimettente non sarebbe pertinente al caso di specie dal momento che essa riguarderebbe istituti contrattuali regolati da leggi dello Stato o da contratti collettivi.

La questione in esame, invece, atterrebbe ad un beneficio economico introdotto e regolato dalla contrattazione collettiva degli anni ottanta, recepito e disciplinato da leggi regionali, ma mai dalla normativa statale, né da contratti collettivi per il comparto Regioni-Autonomie locali dal 1995 in poi.

Con la riforma del pubblico impiego per effetto del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della L. 23 ottobre 1992, n. 421), successivamente abrogato dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), venne disposta la abrogazione degli automatismi retributivi di tal che la r.i.a. continuò ad essere corrisposta in favore del personale che già ne godeva per effetto della disciplina previgente.

Le leggi regionali n. 118 del 1998, n. 6 del 2005 e n. 16 del 2008 avrebbero regolamentato «gli effetti della persistenza dell’istituto della retribuzione individuale di anzianità contemplata (come dato di fatto esistente) ma non disciplinata dalla contrattazione collettiva post riforma», in continuità con la normativa regionale preesistente. La legge censurata, pertanto, sarebbe intervenuta in una materia che già apparteneva alla competenza regionale sia in quanto riferita al personale impiegato nei propri uffici, sia perché ha disciplinato un istituto da essa previsto. Essa, inoltre, non sarebbe volta ad incrementare l’importo della r.i.a., bensì a rimuovere differenze nel godimento della stessa a parità di condizioni.

3.– La Regione Abruzzo si è costituita in giudizio chiedendo l’accoglimento della questione prospettata dal Tribunale ordinario di Teramo.

Dopo aver premesso che la r.i.a., ove acquisita, costituisce un elemento del trattamento economico fondamentale previsto dai contratti collettivi di comparto riconosciuto a coloro che sono stati assunti prima del 1990 e che, a decorrere dalla privatizzazione del pubblico impiego, i contratti collettivi nazionali di lavoro non prevedono più gli avanzamenti economici per scatti di anzianità avendoli sostituiti con sistemi basati su istituti meritocratici, la difesa regionale osserva come l’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001 abbia previsto che l’attribuzione di trattamenti economici possa avvenire esclusivamente attraverso contratti collettivi, ovvero, a determinate condizioni, mediante contratti collettivi individuali, stabilendo, al contempo, che le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti dai contratti «cessano di avere efficacia a far data dall’entrata in vigore del relativo rinnovo contrattuale».

La disposizione censurata avrebbe introdotto un trattamento economico ulteriore rispetto a quello previsto dalla contrattazione collettiva per i dipendenti del comparto Regioni-Autonomie locali, determinando un ingiustificato aumento retributivo.

La difesa regionale richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il rapporto di impiego alle dipendenze delle Regioni e degli Enti locali, a seguito della privatizzazione avvenuta con l’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), è retto dalla disciplina generale dei rapporti di lavoro tra privati ed è perciò soggetto alle regole che garantiscono l’uniformità di tali rapporti, regole costituenti l’assetto dell’ordinamento civile.

La disposizione regionale censurata, perciò, sarebbe intervenuta in un ambito, quello del pubblico impiego privatizzato, che, attenendo all’ordinamento civile, è riservato alla competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

La difesa regionale sostiene, inoltre, che l’art. 43 della legge reg. n. 6 del 2005 contrasterebbe con gli artt. 3, 36 e 97 Cost., in quanto non riconoscerebbe la giusta retribuzione di ciascun lavoratore e violerebbe il principio di uguaglianza sostanziale. Contrasterebbe, altresì, con il principio di ragionevolezza ed imparzialità.

Infine, la Regione sostiene che la disposizione censurata violerebbe l’art. 81, quarto comma, Cost., non essendo stata prevista un’effettiva copertura finanziaria per far fronte alle obbligazioni da essa nascenti.

4.– In prossimità dell’udienza, la Regione Abruzzo ha depositato una memoria nella quale insiste per l’accoglimento della questione di legittimità con riferimento a tutti i parametri costituzionali da essa invocati.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Teramo, in funzione di giudice del lavoro, ha promosso, con ordinanza del 19 marzo 2013 iscritta al n. 117 del registro ordinanze 2013, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 43 della legge della Regione Abruzzo 8 febbraio 2005, n. 6 (Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2005 e pluriennale 2005-2007 della Regione Abruzzo − Legge finanziaria regionale 2005), come sostituito dall’art. 1, comma 2, della legge della Regione Abruzzo 21 novembre 2008, n. 16 (Provvedimenti urgenti e indifferibili).

Il rimettente lamenta che la disposizione censurata – nella parte in cui riconosce a tutti i dipendenti regionali, a parità di anzianità, lo stesso trattamento economico di anzianità attribuito ai dipendenti appartenenti alla medesima qualifica provenienti da altra amministrazione i quali, in forza dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 13 ottobre 1998, n. 118 (Riconoscimento agli effetti economici della anzianità di servizio prestato presso lo Stato, Enti Pubblici, Enti Locali e Regioni, nei confronti del personale inquadrato nel ruolo regionale a seguito di pubblici concorsi ed estensione dei benefici previsti dalla L. n. 144 del 1989 al personale ex L. n. 285 del 1977), hanno mantenuto il trattamento economico di anzianità ivi eventualmente maturato − violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal momento che la disciplina del trattamento economico dei dipendenti regionali rientrerebbe nella materia dell’ordinamento civile che appartiene alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.

È intervenuta in giudizio la parte privata A.G., la quale ha chiesto a questa Corte di rigettare la questione di legittimità sollevata dal Tribunale, osservando che la giurisprudenza costituzionale richiamata dal rimettente non sarebbe pertinente al caso di specie dal momento che essa riguarderebbe istituti contrattuali regolati da leggi dello Stato o da contratti collettivi e che la questione in esame, invece, atterrebbe ad un beneficio economico introdotto e regolato dalla contrattazione collettiva degli anni ottanta, recepito e disciplinato da leggi regionali, ma mai dalla normativa statale, né da contratti collettivi per il comparto Regioni-Autonomie locali dal 1995 in poi.

2.– Occorre preliminarmente precisare che la Regione Abruzzo, che è intervenuta nel giudizio per chiedere una pronuncia di illegittimità costituzionale di una sua disposizione legislativa, ha evocato nelle proprie difese la violazione di parametri costituzionali ulteriori rispetto a quello indicato nell’ordinanza di rimessione.

Tali deduzioni non sono tuttavia idonee ad ampliare il thema decidendum quale risulta definito dal giudice a quo nell’ordinanza di rimessione. Infatti, secondo l’orientamento costante della giurisprudenza costituzionale, «l’oggetto del giudizio di costituzionalità in via incidentale è limitato alle sole norme e parametri indicati, pur se implicitamente, nell’ordinanza e […] quindi non possono essere presi in considerazione questioni o profili di costituzionalità diversi, tanto se siano stati dedotti ma non fatti propri dal giudice a quo, quanto se ampliano o modificano il contenuto delle stesse ordinanze» (sentenze n. 310 del 2013 e n. 184 del 2011; ordinanza n. 298 del 2011).

Pertanto, l’oggetto del giudizio deve ritenersi circoscritto alla verifica della compatibilità della disposizione regionale unicamente con riguardo al parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

3.– Al fine di comprendere il significato e la portata della disposizione oggetto della censura è necessario dare conto della sua origine e della sua evoluzione.

Con la legge reg. n. 118 del 1998, il legislatore abruzzese ha introdotto una norma che riconosceva «Al personale regionale, inquadrato in ruolo a seguito di pubblico concorso […] il trattamento economico di anzianità eventualmente maturato nel ruolo dell’ente di provenienza, sia esso Stato o ente pubblico o ente locale o altra Regione» (art. 1).

Tale disposizione, in sostanza, consentiva al personale proveniente da altre amministrazioni, che fosse stato inquadrato nei ruoli della Regione Abruzzo a seguito di concorso, di mantenere la retribuzione individuale di anzianità (r.i.a.) di cui godeva presso l’amministrazione di provenienza.

Sul presupposto che questa previsione determinasse una sperequazione tra detto personale e quello che già si trovava alle dipendenze della Regione, il quale eventualmente godeva di un trattamento di anzianità inferiore, l’art. 43 della legge reg. n. 6 del 2005 ha riconosciuto a tali dipendenti il diritto ad ottenere l’allineamento della r.i.a. con quella goduta dal personale transitato nei ruoli regionali da altra amministrazione. La disposizione censurata ha infatti inserito nell’art. 1 della legge reg. n. 118 del 1998 un comma 2-bis il quale – nella sua formulazione originale – stabiliva che «Ai dipendenti regionali inquadrati in ruolo a seguito di superamento di corso-concorso pubblico o concorso pubblico è riconosciuta, ai fini perequativi, la stessa retribuzione individuale di anzianità percepita dai dipendenti vincitori delle procedure concorsuali suddette ai quali è stato applicato il comma 1 quantificata tenendo conto dell’ammontare maggiore percepito a parità di anzianità di servizio al momento dell’inquadramento nella qualifica regionale ricoperta».

La stessa disposizione, inoltre, ha modificato il comma 1 dell’art. 1 della legge reg. n. 118 del 1998 aggiungendo «dopo le parole “pubblico concorso” “o a seguito di procedura di mobilità”».

Dunque, con le modifiche introdotte dall’art. 43 della legge reg. n. 6 del 2005, il legislatore regionale ha inteso perseguire finalità perequative del trattamento di anzianità di tutti i dipendenti regionali riconoscendo il diritto alla riliquidazione della r.i.a. in favore del personale regionale già in organico, assunto tramite corso-concorso o concorso pubblico. Il parametro di riferimento per tale riliquidazione è costituito dal trattamento di anzianità di cui beneficia il personale transitato nei ruoli regionali non solo a seguito di pubblico concorso, come previsto dalla formulazione originaria dell’art. 1, comma 1, della legge reg. n. 118 del 1998, ma anche a seguito di procedure di mobilità.

La successiva legge reg. n. 16 del 2008 ha sostituito il citato art. 43 ulteriormente ampliando l’ambito dei destinatari di tale previsione, individuandoli nei «dipendenti che alla data del 1989 erano inquadrati in ruolo in una delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 […]».

Infine, l’art. 6 della legge reg. 3 agosto 2011, n. 24 (Intervento di adeguamento normativo in materia di personale), ha abrogato i commi 2-bis e 2-ter della legge reg. n. 118 del 1998 a decorrere dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione, e dunque a far data dal 13 agosto 2011.

3.1.– Tale abrogazione non determina l’irrilevanza della questione prospettata dal Tribunale ordinario di Teramo dal momento che, come dallo stesso correttamente rilevato, la disposizione censurata continua a trovare applicazione nel giudizio a quo concernendo la domanda della dipendente regionale il periodo anteriore a tale abrogazione.

4.– Nel merito, la censura è fondata.

Essa deve ritenersi circoscritta a quella parte dell’art. 43 della legge reg. n. 6 del 2005 che ha introdotto nell’art. 1 della legge reg. n. 118 del 1998 il comma 2-bis, appuntandosi unicamente contro quest’ultima disposizione le censure del giudice a quo.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, a seguito della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego – operata dall’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), dall’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa), e dai decreti legislativi emanati in attuazione di dette leggi delega – la disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione è retta dalle disposizioni del codice civile e dalla contrattazione collettiva.

Con specifico riguardo al trattamento economico, l’art. 2, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), stabilisce che «L’attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi» e l’art. 45 dello stesso decreto ribadisce che «Il trattamento economico fondamentale ed accessorio […] è definito dai contratti collettivi». Ancora, il citato art. 2, comma 3, prevede che «Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia a far data dall’entrata in vigore del relativo rinnovo contrattuale».

Proprio a seguito di tale privatizzazione, questa Corte ha affermato che «i principi fissati dalla legge statale in materia costituiscono tipici limiti di diritto privato, fondati sull’esigenza, connessa al precetto costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità nel territorio nazionale delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti fra privati e, come tali, si impongono anche alle Regioni a statuto speciale» (sentenza n. 189 del 2007).

In particolare, dall’art. 2, comma 3, terzo e quarto periodo, della legge n. 421 del 1992, emerge il principio per cui il trattamento economico dei dipendenti pubblici è affidato ai contratti collettivi, di tal che la disciplina di detto trattamento, e, più in generale, la disciplina del rapporto di impiego pubblico rientra nella materia dell’«ordinamento civile» riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 61 del 2014, n. 286 e n. 225 del 2013, n. 290 e n. 215 del 2012, n. 339 e n. 77 del 2011, n. 332 e n. 151 del 2010).

Per tale ragione, è stata dichiarata l’illegittimità di talune disposizioni regionali che prevedevano in favore dei dipendenti delle Regioni delle indennità non previste dalle norme statali (sentenze n. 290 del 2012 e n. 151 del 2010), ovvero incrementavano trattamenti accessori (sentenza n. 332 del 2010), o, comunque, disciplinavano aspetti del trattamento economico di tali dipendenti (sentenze n. 7 e n. 77 del 2011).

Per le medesime ragioni, sono state dichiarate non fondate le questioni di costituzionalità sollevate da talune Regioni avverso talune disposizioni statali che disciplinavano aspetti del trattamento retributivo dei dipendenti pubblici (sentenze n. 61 del 2014, n. 225 del 2013 e n. 215 del 2012).

4.1.– Venendo ad esaminare la disposizione censurata, essa, come si è detto, disciplina la retribuzione individuale di anzianità dei dipendenti regionali, allineandone l’ammontare a quello percepito dai dipendenti che, provenendo da altre amministrazioni, sono transitati nei ruoli regionali.

Ebbene, secondo quando affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la r.i.a. costituisce un «istituto retributivo commisurato all’anzianità di servizio che è preordinato a premiare l’esperienza professionale maturata nello specifico settore nel quale è effettuata la prestazione» (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 756 del 19 gennaio 2012; Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza n. 11836 del 21 maggio 2009). Pertanto, l’art. 43 della legge reg. n. 6 del 2005 incide indubbiamente sul trattamento economico dei dipendenti regionali prevedendone un incremento allorché ricorrano le condizioni previste. Esso, dunque, eccede dall’ambito di competenza riservato al legislatore regionale invadendo la materia dell’«ordinamento civile», riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.

Infondata è, a tale riguardo, l’argomentazione sviluppata dalla difesa della parte privata secondo la quale sussisterebbe la competenza regionale trattandosi di personale dipendente dalla Regione e non essendo la r.i.a. disciplinata a livello statale, ma solo dalla legge regionale. Come si è innanzi detto, a seguito della privatizzazione del pubblico impiego, la disciplina del trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici individuati dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, tra i quali sono ricompresi anche i dipendenti delle Regioni, compete unicamente al legislatore statale.

Conseguentemente, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 43 della legge reg. n. 6 del 2005, come sostituito dall’art. 1, comma 2, della legge reg. n. 16 del 2008.

5.– Quanto alle conseguenze della caducazione della disposizione censurata e del venir meno dell’allineamento stipendiale da essa previsto e al timore, espresso in udienza dalla difesa della parte privata, circa possibili violazioni del principio di eguaglianza che la declaratoria di illegittimità costituzionale potrebbe determinare, può essere utile richiamare la giurisprudenza di questa Corte in ordine alla soppressione operata dal legislatore statale di analogo istituto previsto in favore di determinate categorie di lavoratori. In quell’occasione si è affermato che l’estensione – nella quale appunto consiste l’allineamento stipendiale – «di un trattamento riconosciuto ad personam ad una intera categoria di dipendenti per il solo fatto, del tutto accidentale, che un soggetto cui spetti tale trattamento, venga ad inserirsi in tale categoria affiancandosi a colleghi che, se pur in possesso di una maggiore anzianità, godono di una retribuzione minore», benché prevista allo scopo di eliminare diseguaglianze nell’ambito delle singole qualifiche, «finisce in pratica col crearne altre tra le diverse qualifiche e le diverse categorie, alterandosi oltretutto il principio secondo cui la progressione nel trattamento economico deve corrispondere a criteri prefissati nella legge o nei contratti collettivi, e collegarsi, in ogni caso, a miglioramenti nella qualità e quantità delle prestazioni effettuate» (sentenza n. 6 del 1994; si veda inoltre sentenza n. 379 del 1999).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 43 della legge della Regione Abruzzo 8 febbraio 2005, n. 6 (Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2005 e pluriennale 2005-2007 della Regione Abruzzo − Legge finanziaria regionale 2005), come sostituito dall’art. 1, comma 2, della legge della Regione Abruzzo 21 novembre 2008, n. 16 (Provvedimenti urgenti e indifferibili), nella parte in cui introduce il comma 2-bis nell’art. 1 della legge della Regione Abruzzo 13 ottobre 1998, n. 118 (Riconoscimento agli effetti economici della anzianità di servizio prestato presso lo Stato, Enti Pubblici, Enti Locali e Regioni, nei confronti del personale inquadrato nel ruolo regionale a seguito di pubblici concorsi ed estensione dei benefici previsti dalla L. n. 144 del 1989 al personale ex L. n. 285 del 1977).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2014.

F.to:

Sabino CASSESE, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2014.