Sentenza n. 160 del 2016

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SENTENZA N. 160

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                          GROSSI                                Presidente

-           Alessandro                 CRISCUOLO                                     Giudice

-           Giorgio                       LATTANZI                                   ”

-           Aldo                           CAROSI                                        ”

-           Marta                          CARTABIA                                  ”

-           Mario Rosario             MORELLI                                     ”

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 ”

-           Giuliano                      AMATO                                        ”

-           Silvana                        SCIARRA                                     ”

-           Daria                           de PRETIS                                     ”

-           Nicolò                         ZANON                                         ”

-           Franco                        MODUGNO                                  ”

-           Giulio                         PROSPERETTI                             ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 609, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), promosso dalla Regione Veneto con ricorso notificato il 24-25 febbraio 2015, depositato in cancelleria il 4 marzo 2015 ed iscritto al n. 31 del registro ricorsi 2015.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 17 maggio 2016 il Giudice relatore Marta Cartabia;

uditi l’avvocato Luca Antonini per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Stefano Varone per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 24-25 febbraio 2015, depositato il 4 marzo 2015 e iscritto al n. 31 del registro ricorsi per l’anno 2015, la Regione Veneto ha impugnato diverse disposizioni della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), tra cui l’art. 1, comma 609, oggetto del presente giudizio.

Questo comma modifica l’art. 3-bis (rubricato «Ambiti territoriali e criteri di organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali») del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148.

La ricorrente concentra le censure sulla prima parte della lettera a) del comma 609, che modifica il comma 1-bis del citato art. 3-bis. In seguito alla modifica, il primo periodo del comma 1-bis prevede che «[l]e funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani, di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all’utenza per quanto di competenza, di affidamento della gestione e relativo controllo sono esercitate unicamente dagli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei istituiti o designati ai sensi del comma 1 del presente articolo cui gli enti locali partecipano obbligatoriamente, fermo restando quanto previsto dall’articolo 1, comma 90, della legge 7 aprile 2014, n. 56».

Il richiamato art. 1, comma 90, della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), prevede a sua volta che, «[n]ello specifico caso in cui disposizioni normative statali o regionali di settore riguardanti servizi di rilevanza economica prevedano l’attribuzione di funzioni di organizzazione dei predetti servizi, di competenza comunale o provinciale, ad enti o agenzie in ambito provinciale o sub-provinciale, si applicano le seguenti disposizioni, che costituiscono principi fondamentali della materia e principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione: a) il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 92 [sui criteri di identificazione di beni e risorse connessi alle funzioni trasferite] ovvero le leggi statali o regionali, secondo le rispettive competenze, prevedono la soppressione di tali enti o agenzie e l’attribuzione delle funzioni alle province nel nuovo assetto istituzionale, con tempi, modalità e forme di coordinamento con regioni e comuni […]; b) per le regioni che approvano le leggi che riorganizzano le funzioni di cui al presente comma, prevedendo la soppressione di uno o più enti o agenzie, sono individuate misure premiali […]».

La ricorrente osserva poi che l’art. 3-bis, comma 1-bis, del d.l. n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del 2011, come modificato dal censurato art. 1, comma 609, della legge n. 190 del 2014, prosegue stabilendo, al secondo periodo, che «[q]ualora gli enti locali non aderiscano ai predetti enti di governo entro il 1° marzo 2015 oppure entro sessanta giorni dall’istituzione o designazione dell’ente di governo dell’ambito territoriale ottimale ai sensi del comma 2 dell’articolo 13 del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, convertito dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15, il Presidente della regione esercita, previa diffida all’ente locale ad adempiere entro il termine di trenta giorni, i poteri sostitutivi».

1.1.– In primo luogo, l’art. 1, comma 609, della legge n. 190 del 2014 è censurato per violazione delle competenze legislative regionali di cui all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost.

La ricorrente osserva che mentre, in precedenza, erano rimesse alle Regioni la determinazione degli ambiti o bacini territoriali ottimali, l’istituzione o la designazione dei relativi enti di governo, nonché la scelta della forma organizzativa di questi ultimi, la disposizione censurata, invece, impone un modello che deve necessariamente includere tutti gli enti locali.

Poiché l’obbligo di aderire agli enti di governo degli ambiti territoriali ottimali investe non solo i Comuni e le Province, ma anche tutti gli altri enti locali, quali ad esempio le comunità montane e le unioni di comuni, la disposizione censurata esulerebbe dalla competenza legislativa statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., in materia di «funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane», e violerebbe la competenza legislativa regionale residuale, di cui all’art. 117, quarto comma, Cost., in materia di forme associative degli enti locali.

Ad avviso della ricorrente, una tale imposizione da parte della legge statale, oltre a difettare di ragionevolezza, contrasterebbe con i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, di cui all’art. 118, primo comma, Cost., nonché con l’art. 3, comma 2, dello statuto della Regione Veneto (legge regionale statutaria 17 aprile 2012, n. 1), in virtù del quale «[l]a Regione riconosce, promuove e garantisce l’autonomia degli enti locali nelle sue diverse manifestazioni», e quindi con l’art. 123 Cost., che garantisce l’autonomia statutaria. Agli enti locali si dovrebbe, infatti, riconoscere ampia discrezionalità nell’organizzazione degli enti di governo degli ambiti territoriali ottimali: come d’altronde, sostiene la ricorrente, accadeva in vigenza della precedente legislazione della Regione Veneto, che individuava la convenzione quale strumento di cooperazione tra gli enti locali per l’organizzazione del servizio di trasporto pubblico locale, del servizio idrico, nonché del servizio di gestione integrata dei rifiuti. Con particolare riguardo al trasporto pubblico locale, la ricorrente richiama la giurisprudenza costituzionale che ha affermato l’attinenza di questa materia alla competenza legislativa regionale di cui all’art. 117, quarto comma, Cost. (sentenza n. 222 del 2005) e denuncia la conseguente interferenza tra la disposizione impugnata e le scelte organizzative dell’attuale legislazione regionale di settore.

1.2.– In secondo luogo, la ricorrente sottolinea la sostanziale incompatibilità tra il censurato art. 1, comma 609, della legge n. 190 del 2014 e l’art. 1, comma 90, della legge n. 56 del 2014, nonostante il formale richiamo che la prima disposizione formula nei confronti della seconda.

Il citato art. 1, comma 90, nell’ambito di un processo di semplificazione istituzionale degli enti intermedi, prende in considerazione le funzioni di organizzazione dei servizi di rilevanza economica, di competenza comunale o provinciale, le quali siano attribuite a enti o agenzie in ambito provinciale o sub-provinciale; prevede che tali enti o agenzie siano soppressi, e che le relative funzioni siano attribuite alle Province; prevede, altresì, misure premiali per le Regioni che adottino leggi soppressive dei citati enti o agenzie. Il censurato art. 1, comma 609, della legge n. 190 del 2014, all’inverso, rafforza l’adesione di tutti gli enti locali agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali: la rende obbligatoria e pone a suo presidio una «sanzione», costituita dal potere sostitutivo del Presidente della Regione. Dunque, in questa disposizione, si riscontrerebbe un vizio di irragionevolezza, anche per la difficoltà di stabilire «la portata normativa derivante dalla coesistenza delle due discipline». Questo vizio ridonda, secondo la ricorrente, nella lesione delle attribuzioni che le sono garantite dagli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.

2.– Con atto depositato il 3 aprile 2015, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso della Regione Veneto. Con particolare riguardo all’art. 1, comma 609, della legge n. 190 del 2014, la difesa statale ritiene infondate le censure prospettate dalla Regione.

Secondo il resistente, la partecipazione obbligatoria agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali garantisce un’effettiva condivisione da parte dell’ente locale delle scelte di organizzazione, come prevedeva, per il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, l’art. 201, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) – norma presa a modello dalla disposizione censurata «per garantire uniformità al sistema dei servizi pubblici locali». Il ricorso alle convenzioni, cui fa riferimento la ricorrente, non potrebbe assurgere a unica formula organizzativa valida, potendo anzi risultare inadeguato.

L’Avvocatura generale dello Stato richiama, in particolare, la sentenza della Corte costituzionale n. 22 del 2014 e quanto ivi affermato in merito al «coordinamento della finanza pubblica», ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.: nell’esercizio di tale competenza, per ragioni connesse agli obiettivi finanziari nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, lo Stato può, con disciplina di principio, imporre a Regioni ed enti locali vincoli alle politiche di bilancio, purché sia lasciata ampia libertà di allocazione delle risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa, e siano rispettati i canoni di ragionevolezza e proporzionalità.

Inoltre, il censurato art. 1, comma 609, della legge n. 190 del 2014 potrebbe essere ricondotto alla «tutela della concorrenza», di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., analogamente a quanto ritenuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 325 del 2010.

3.– In data 26 aprile 2016, la ricorrente Regione Veneto ha presentato una memoria illustrativa, nella quale conferma le censure esposte nel ricorso nei confronti dell’art. 1, comma 609, della legge n. 190 del 2014, replicando alle tesi della difesa statale e svolgendo alcuni approfondimenti.

La Regione ribadisce che la norma censurata innova l’art. 3-bis del d.l. n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del 2011, obbligando gli enti locali a partecipare all’ente di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali – che la difesa regionale descrive come «consorzio ex lege» – e, quindi, escludendo modelli alternativi, come quello basato sull’istituzione volontaria dell’ente di governo da parte degli enti locali. Così facendo, essa non permetterebbe di costituire «i Consigli di Bacino o di Ambito» attraverso le convenzioni di cui all’art. 30 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), di cui sarebbero tratti caratterizzanti la durata determinata e la possibilità di recesso. Pertanto, la norma censurata non lascerebbe alcuno spazio aperto all’esercizio dell’autonomia regionale e non potrebbe qualificarsi come principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica. Peraltro, le convenzioni si sarebbero dimostrate più efficienti dei consorzi: questi ultimi sarebbero più strutturati in termini di organi istituzionali e personale, cosicché inevitabilmente negli ambiti governati mediante consorzi la spesa corrente media sarebbe molto superiore a quella degli ambiti governati mediante convenzioni, come risulta dalla Relazione annuale al Parlamento sullo stato dei servizi idrici per il 2009 (presentata il 22 luglio 2010 dalla Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche).

La Regione contesta che la normativa in esame possa essere ricondotta alla «tutela della concorrenza», come sostenuto dall’Avvocatura generale dello Stato, dato che i servizi pubblici locali possono essere erogati dagli enti locali anche direttamente, attraverso la gestione in economia o tramite il cosiddetto affidamento in house. La norma in questione sarebbe piuttosto finalizzata a conseguire economie di scala, mediante la dilatazione dell’ambito territoriale di erogazione dei servizi, e quindi persegue essenzialmente obiettivi di efficienza, i quali sarebbero però meglio realizzati tramite le convenzioni, per i motivi già detti.

Nemmeno sarebbe pertinente il riferimento alla sentenza n. 22 del 2014: la norma oggi in questione estenderebbe l’obbligo censurato anche alle comunità montane, estranee alla competenza statale in materia di «funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane» prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.; d’altro canto, la sentenza n. 22 del 2014 fa riferimento al coordinamento della finanza pubblica, ma la norma in giudizio non sarebbe formulata come principio e, dal punto di vista sostanziale, non sarebbe in grado di conseguire obiettivi di contenimento della spesa pubblica, dato che aumenterebbe ingiustificatamente i costi, interdicendo il ricorso alle più economiche convenzioni. Pertinente sarebbe invece la sentenza n. 51 del 2016, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di un obbligo, simile a quello previsto dalla norma oggi in questione, con riguardo al servizio idrico, ritenendolo incompatibile con la competenza legislativa (primaria) di una Provincia autonoma, ad avviso della ricorrente analoga a quella (residuale) che la ricorrente stessa ritiene di avere, in particolare, in materia di trasporto pubblico locale.

Le convenzioni sarebbero anche il modello più compatibile con le esigenze dei Comuni e con l’evoluzione della legislazione statale. L’art. 201, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, al quale ha fatto riferimento la difesa statale, sarebbe stato abrogato – ad opera dall’art. 2, comma 186-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), comma aggiunto dall’art. 1, comma 1-quinquies, del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2 (Interventi urgenti concernenti enti locali e regioni), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 marzo 2010, n. 42 – proprio a causa della ritrosia dei Comuni di piccole dimensioni (quali sono la maggior parte dei Comuni veneti) a partecipare ai consorzi, nei quali la regola del voto ponderato li priva di un effettivo potere di rappresentanza. Anche alcuni Comuni di dimensioni maggiori sarebbero restii a perdere, attraverso l’adesione ai consorzi, funzioni decisionali e poteri di controllo sui servizi erogati alle rispettive comunità. La convenzione consentirebbe di superare questi problemi.

La stessa legislazione statale, nel superare gli ambiti territoriali ottimali per i servizi idrici e per la gestione dei rifiuti, mirava a snellire gli apparati organizzativi preposti a tali servizi, inducendo gli enti locali ad associarsi per la gestione delle proprie funzioni fondamentali: questa sarebbe stata la finalità perseguita, prima, dall’art. 2, comma 38, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008); poi, dal citato art. 1, comma 1-quinquies, del d.l. n. 2 del 2010, convertito dalla legge n. 42 del 2010 (sia pure con proroghe che ne hanno differito l’efficacia). La medesima prospettiva sarebbe stata ripresa dall’art. 1, comma 90, della legge n. 56 del 2014.

La norma censurata si porrebbe in contrasto con questa tendenza, imponendo come obbligatoria la partecipazione agli enti di governo, di cui in precedenza era prevista e incentivata la soppressione, facendo bensì formalmente salvo quanto previsto all’art. 1, comma 90, della legge n. 56 del 2014, «ma in modo del tutto privo di senso». Considerato il panorama degli enti intermedi (tra Regione ed enti locali) preposti alla gestione di servizi pubblici locali di rilevanza economica, ed escluso di potere sopprimere quelli previsti da disposizioni statali, l’attuazione dell’art. 1, comma 90, della legge n. 56 del 2014 richiederebbe la soppressione dei consorzi per la gestione degli ambiti o bacini territoriali ottimali, la cui necessaria persistenza sarebbe invece confermata dall’art. 1, comma 609, della legge n. 190 del 2014. Dunque, sussisterebbe una contraddizione insanabile tra questa disposizione e quella, sopra citata, della legge n. 56 del 2014, la quale risulterebbe ora «sorprendentemente priva di oggetto rispetto al compito rimesso all’autonomia regionale».

Considerato in diritto

1.– Con il ricorso indicato in epigrafe, la Regione Veneto ha impugnato diverse disposizioni della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), tra cui l’art. 1, comma 609, oggetto del presente giudizio.

1.1.– Questa disposizione, «[a]l fine di promuovere processi di aggregazione e di rafforzare la gestione industriale dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica», apporta varie modifiche all’art. 3-bis del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, il quale a sua volta disciplina gli ambiti territoriali e i criteri di organizzazione dello svolgimento dei predetti servizi pubblici locali.

Il comma 1 del citato art. 3-bis (non modificato dal censurato art. 1, comma 609 della legge n. 190 del 2014) prevede che, a tutela della concorrenza e dell’ambiente, le Regioni e le Province autonome organizzino lo svolgimento di questi servizi pubblici locali, in particolare definendo il perimetro degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei e istituendo o designando gli enti di governo degli stessi. La dimensione di ciascun ambito o bacino deve consentire economie di scala e di differenziazione, idonee a massimizzare l’efficienza dei servizi, e normalmente non deve essere inferiore a quella del territorio provinciale. Peraltro, lo stesso comma 1 consente di stabilire una «dimensione diversa da quella provinciale, motivando la scelta in base a criteri di differenziazione territoriale e socio-economica e in base a principi di proporzionalità, adeguatezza ed efficienza rispetto alle caratteristiche del servizio, anche su proposta dei comuni presentata entro il 31 maggio 2012 previa lettera di adesione dei sindaci interessati o delibera di un organismo associato e già costituito ai sensi dell’articolo 30 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267».

Il successivo comma 1-bis dell’art. 3-bis, prima delle modifiche in questione, disponeva: «[l]e funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, compresi quelli appartenenti al settore dei rifiuti urbani, di scelta della forma di gestione, di determinazione delle tariffe all’utenza per quanto di competenza, di affidamento della gestione e relativo controllo sono esercitate unicamente dagli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei istituiti o designati ai sensi del comma 1 del presente articolo».

Il ricorso si concentra sull’art. 1, comma 609, lettera a), della legge n. 190 del 2014, nella parte in cui aggiunge, alla fine del comma 1-bis, testé riportato, le seguenti parole: «cui gli enti locali partecipano obbligatoriamente, fermo restando quanto previsto dall’articolo 1, comma 90, della legge 7 aprile 2014, n. 56. Qualora gli enti locali non aderiscano ai predetti enti di governo entro il 1° marzo 2015 oppure entro sessanta giorni dall’istituzione o designazione dell’ente di governo dell’ambito territoriale ottimale ai sensi del comma 2 dell’articolo 13 del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2014, n. 15, il Presidente della regione esercita, previa diffida all’ente locale ad adempiere entro il termine di trenta giorni, i poteri sostitutivi».

1.2.– La Regione Veneto lamenta due profili di illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 609, lettera a), della legge n. 190 del 2014, in relazione al periodo appena richiamato.

1.2.1.– In primo luogo, osserva la ricorrente, l’obbligo di aderire agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei riguarderebbe tutti gli enti locali, compresi quelli non elencati nell’art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, che si riferisce solo a «Comuni, Province e Città metropolitane», cosicché la disposizione impugnata non potrebbe fondarsi sulla competenza legislativa statale prevista in questa disposizione costituzionale. Si verificherebbe, perciò, un’ingiustificata invasione delle competenze legislative regionali, e segnatamente delle competenze residuali in materia di servizi pubblici locali, nell’esercizio delle quali la Regione ricorrente ha individuato, come strumento organizzativo per la cooperazione tra gli enti locali, la convenzione. La Regione argomenta a difesa dello strumento convenzionale, evidenziando che esso è più flessibile, economico e rispettoso dell’autonomia degli enti locali rispetto alla partecipazione obbligatoria agli enti di governo degli ambiti territoriali ottimali e omogenei, disposta dalla norma impugnata. Per questo, il ricorso denuncia, altresì, la violazione dei principi di ragionevolezza, sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’art. 118, primo comma, Cost., nonché dell’art. 3, comma 2, della legge statutaria 17 aprile 2012, n. 1 (Statuto del Veneto) – a norma del quale «[l]a Regione riconosce, promuove e garantisce l’autonomia degli enti locali nelle sue diverse manifestazioni» – in riferimento all’art. 123 Cost.

Alla luce delle considerazioni svolte nel ricorso a sostegno della maggiore economicità della convenzione, la Regione contesta che l’obbligo previsto dalla disposizione impugnata costituisca un principio di coordinamento finanziario; mentre reputa, altresì, che la competenza statale per la tutela della concorrenza non sarebbe pertinente, ben potendo i servizi pubblici locali essere gestiti senza ricorrere al mercato.

1.2.2.– In secondo luogo, la Regione Veneto osserva che il principio di ragionevolezza sarebbe violato anche sotto un altro profilo, con conseguente lesione della sfera di autonomia costituzionalmente garantita alla Regione dagli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.: ad avviso della ricorrente, la disposizione censurata fa espressamente salvo l’art. 1, comma 90, della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni) ma, nella sostanza, lo contraddice, risultando perciò intrinsecamente incongruente, oscura e irragionevole.

Infatti, il citato art. 1, comma 90, della legge n. 56 del 2014 – con disposizioni presentate come «princìpi fondamentali della materia e princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione» – si occupa dello «specifico caso in cui disposizioni normative statali o regionali di settore riguardanti servizi di rilevanza economica prevedano l’attribuzione di funzioni di organizzazione dei predetti servizi, di competenza comunale o provinciale, ad enti o agenzie in ambito provinciale o sub-provinciale». Con riguardo a questo caso, la disposizione legislativa in esame prescrive (lettera a) che le fonti competenti, statali o regionali, prevedano «la soppressione di tali enti o agenzie e l’attribuzione delle funzioni alle province nel nuovo assetto istituzionale», con tempi, modalità e forme di coordinamento da determinare nell’ambito del processo di riordino delle funzioni delle Province e delle relative dotazioni di beni, risorse e personale, «secondo i principi di adeguatezza e sussidiarietà, anche valorizzando, ove possibile, le autonomie funzionali». Per le Regioni che, in ossequio alle previsioni sopra richiamate, stabiliscano la soppressione di uno o più enti o agenzie, lo stesso comma 90 (lettera b) prevede poi misure premiali, da definire con un decreto ministeriale.

In sintesi, l’art. 1, comma 90, della legge n. 56 del 2014 ha avviato un processo di semplificazione orientato a sopprimere enti e agenzie di ambito provinciale o sub-provinciale, ai quali fossero attribuite funzioni di organizzazione dei servizi di rilevanza economica di competenza comunale o provinciale, in vista dell’attribuzione di tali funzioni alle Province, prevedendo misure premiali per le Regioni che operino in tal senso. Per contro, il censurato art. 1, comma 609, lettera a), della legge n. 190 del 2014, nella parte richiamata, ad avviso della ricorrente, prevede che le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica siano esercitate (non dalle Province, ma) unicamente dagli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, che la ricorrente qualifica alla stregua di consorzi obbligatori ex lege. Sotto questo profilo, dunque, le due disposizioni sarebbero incompatibili.

2.– Riservata a separate pronunce la decisione sui motivi di ricorso riguardanti altri commi dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, occorre anzitutto precisare che il comma 609 viene qui in rilievo nei limiti dei motivi di ricorso formulati dalla Regione Veneto. Oggetto del presente giudizio è dunque il citato art. 1, comma 609, nella parte in cui, alla lettera a), afferma l’obbligo per gli enti locali di partecipare agli enti istituiti o designati per il governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei e, al contempo, conferma quanto previsto all’art. 1, comma 90, della legge n. 56 del 2014.

3.– Prima di esaminare i motivi di ricorso, occorre sottolineare che le finalità della disposizione censurata risultano – oltre che dal suo stesso tenore testuale («[a]l fine di promuovere processi di aggregazione e di rafforzare la gestione industriale dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica») – dalla relazione illustrativa dell’originario disegno di legge governativo (A.C. n. 2679, XVII Legislatura), dove si spiega che la disposizione si inserisce nel quadro delle previsioni di cui all’art. 23 del decreto-legge n. 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89.

Il citato art. 23 prevedeva che «il Commissario straordinario di cui all’articolo 49-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, entro il 31 luglio 2014 [predisponesse], anche ai fini di una loro valorizzazione industriale, un programma di razionalizzazione delle aziende speciali, delle istituzioni e delle società direttamente o indirettamente controllate dalle amministrazioni locali incluse nell’elenco di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196», individuando tra l’altro misure per la loro liquidazione, trasformazione o fusione, «in funzione delle dimensioni e degli ambiti ottimali per lo svolgimento delle rispettive attività», nonché «per l’efficientamento della loro gestione»; era, altresì, previsto che il programma fosse «reso operativo e vincolante per gli enti locali, anche ai fini di una sua traduzione nel patto di stabilità e crescita interno, nel disegno di legge di stabilità per il 2015».

Il Commissario straordinario per la revisione della spesa ha presentato il «Programma di razionalizzazione delle partecipate locali» il 7 agosto 2014. Oltre a considerazioni generali sul numero, ritenuto molto elevato, degli organismi partecipativi, con particolare riferimento al settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica il Commissario straordinario ha valutato che l’assetto degli organismi, che operano nei comparti energetico, idrico, dei rifiuti e del trasporto pubblico locale, risulta troppo frammentato e non permette la realizzazione di adeguati programmi di investimento.

Sulla scorta di questa analisi, la disposizione approvata come art. 1, comma 609, della legge n. 190 del 2014, è stata concepita per promuovere processi di aggregazione e rafforzare la gestione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, attraverso una pluralità di misure coordinate in un tessuto normativo in cui, accanto all’obbligo, per gli enti locali, di partecipare agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, attribuisce anche, ad esempio, agli enti di governo il compito di predisporre la relazione sull’affidamento del servizio (di cui all’art. 34, comma 20, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante «Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese», convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 17 dicembre 2012, n. 221), e prevede che le deliberazioni assunte dagli enti di governo sono valide senza necessità di ulteriori deliberazioni da parte degli organi dei singoli enti locali.

4.– Alla luce di queste premesse, è possibile esaminare le questioni sollevate dalla Regione Veneto.

4.1.– La disposizione censurata, nella parte considerata dalla ricorrente, trova un duplice fondamento nelle competenze che l’art. 117 Cost. attribuisce allo Stato, nell’ambito del coordinamento della finanza pubblica e della tutela della concorrenza.

La competenza statale a dettare principi fondamentali per il «coordinamento della finanza pubblica», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., viene in rilievo con precipuo riguardo all’eventualità che i servizi in questione siano gestiti senza ricorrere al mercato.

Infatti, l’art. 1, comma 609, della legge n. 190 del 2014 mira al conseguimento di risultati economici migliori nella gestione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica e, quindi, a un contenimento della spesa pubblica attraverso sistemi tendenzialmente virtuosi di esercizio delle relative funzioni. I dati prodotti dalla ricorrente a sostegno della tesi che la partecipazione obbligatoria degli enti locali agli ambiti territoriali ottimali sia più dispendiosa della soluzione basata sulla convenzione, sono risalenti nel tempo e riguardano un singolo settore, nonché un diverso assetto normativo. D’altra parte il rischio, paventato dalla Regione Veneto, che alcuni Comuni vogliano sottrarsi alla partecipazione agli enti di governo degli ambiti territoriali ottimali, è specificamente affrontato dalla disposizione censurata, mediante la previsione di poteri sostitutivi del Presidente della Regione, a proposito dei quali non sono formulate specifiche considerazioni critiche.

Dunque, la norma censurata può qualificarsi come principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, analogamente a quanto ritenuto da questa Corte in relazione ad altri, sia pure differenti, istituti di cooperazione tra enti locali (sentenze n. 44 e n. 22 del 2014).

4.2.– Dall’altro lato, viene, altresì, in rilievo la competenza statale sulla «tutela della concorrenza» (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.), nella misura in cui i servizi pubblici siano esercitati tramite il ricorso al mercato. Infatti, come questa Corte ha già ripetutamente affermato, deve essere riconosciuta allo Stato la competenza a disciplinare il regime dei servizi pubblici locali, per gli aspetti che hanno una diretta incidenza sul mercato e sono strettamente funzionali alla gestione unitaria (sentenza n. 46 del 2013), ivi compresa la disciplina degli ambiti territoriali ottimali e delle relative autorità di governo (sentenze n. 134 del 2013 e n. 128 del 2011), soprattutto quando essa sia finalizzata a superare situazioni di frammentazione e a garantire la competitività e l’efficienza dei relativi mercati (sentenza n. 325 del 2010). La ricerca della dimensione ottimale dell’ambito territoriale entro il quale erogare il servizio consente di individuare l’estensione geografica che meglio permette di contenere i costi della gestione e favorire, così, l’apertura del mercato a nuovi soggetti, incentivando una più ampia partecipazione delle imprese alle gare per l’affidamento del servizio stesso.

Ben vero che, quando viene in rilievo la tutela della concorrenza, i criteri di proporzionalità e adeguatezza sono essenziali per definire il legittimo ambito di operatività della competenza statale (ex plurimis, sentenza n. 443 del 2007). Tuttavia, la ricorrente non offre argomenti che inducano a concludere che manchi una relazione ragionevole e proporzionata tra gli interventi attuati e gli obiettivi perseguiti (sentenza n. 14 del 2004). Le norme in questione rispondono all’obiettivo, chiaramente enucleato nei lavori preparatori, di promuovere processi di aggregazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica e si limitano a potenziare e integrare i preesistenti obblighi connessi all’organizzazione di questi servizi in ambiti territoriali ottimali. In proposito è opportuno ribadire che, già prima delle modifiche introdotte dalla disposizione impugnata, l’art. 3-bis, comma 1-bis, del d.l. n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del 2011, imponeva che le funzioni di organizzazione di questi servizi pubblici fossero esercitate «unicamente» dagli enti di governo istituiti o designati allo scopo. Sotto questo profilo, la disposizione in giudizio interviene a esplicitare, piuttosto che introdurre, un vero e proprio obbligo di partecipazione degli enti locali agli ambiti territoriali ottimali.

5.– La ricorrente lamenta, altresì, la violazione dei principi di cui all’art. 118 Cost. e, in particolare, dell’autonomia amministrativa degli enti locali, affermata pure dall’art. 3, comma 2, dello statuto del Veneto, adottato ai sensi dell’art. 123 Cost.

La questione non è fondata.

A prescindere da ogni altra considerazione, da tempo la giurisprudenza costituzionale ha chiarito, con riguardo all’autonomia dei Comuni, che essa non implica una riserva intangibile di funzioni, né esclude che il legislatore competente possa modulare gli spazi dell’autonomia municipale a fronte di esigenze generali che giustifichino ragionevolmente la limitazione di funzioni già assegnate agli enti locali (sentenza n. 286 del 1997). Inoltre, con specifico riguardo a norme che prevedono la partecipazione degli enti locali ad autorità d’ambito alle quali sia trasferito l’esercizio di competenze in materia di servizi pubblici, la Corte ha ritenuto che norme siffatte non ledano l’autonomia amministrativa degli enti locali, in quanto si limitano a razionalizzarne le modalità di esercizio, al fine di superare la frammentazione nella gestione (sentenza n. 246 del 2009).

Naturalmente, ove si opti per l’esercizio delle funzioni mediante organismi associativi, deve essere preservato uno specifico ruolo agli enti locali titolari di autonomia costituzionalmente garantita, nella forma della partecipazione agli organismi titolari dei poteri decisionali, o ai relativi processi deliberativi, in vista del raggiungimento di fini unitari nello spazio territoriale reputato ottimale (sentenza n. 50 del 2013). Le modalità di partecipazione e cooperazione possono essere molteplici, cosicché è da escludere che l’unica compatibile con il rispetto dell’autonomia dell’ente locale sia – come sostiene la ricorrente – la convenzione stipulata senza vincoli di adesione, con durata temporanea e facoltà di recesso.

6.– Non fondata è pure la questione, con cui si lamentano l’irragionevolezza e l’oscurità della disposizione censurata, la quale richiamerebbe quanto previsto dall’art. 1, comma 90, della legge n. 56 del 2014, ma allo stesso tempo, nella sostanza, illogicamente lo contraddirebbe.

In linea di principio, possono risultare costituzionalmente illegittime – per irragionevolezza ridondante sulle attribuzioni regionali – norme statali dal significato ambiguo, tali da porre le Regioni in una condizione di obiettiva incertezza, allorché a norme siffatte esse debbano attenersi nell’esercizio delle proprie prerogative di autonomia (si vedano, sia pure in fattispecie eterogenee, le sentenze n. 200 del 2012 e n. 326 del 2010).

Tuttavia, nel caso odierno, benché il coordinamento tra la disposizione censurata e quella da essa richiamata non sia enunciato in termini del tutto univoci, è pur sempre possibile conciliare le due disposizioni, attraverso una lettura sistematica, rispettosa della ratio di entrambe. Infatti, nulla impedisce alle Regioni, nei casi in cui optino per ambiti o bacini di dimensioni provinciali (o, eccezionalmente, sub-provinciali), di conformarsi a quanto previsto dall’art. 1, comma 90, della legge n. 56 del 2014, vale a dire di designare come enti di governo, titolari delle relative funzioni di organizzazione, le Province «nel nuovo assetto istituzionale, con tempi, modalità e forme di coordinamento con regioni e comuni, da determinare nell’ambito del processo di riordino di cui ai commi da 85 a 97 [dello stesso art. 1 della legge n. 56 del 2014], secondo i princìpi di adeguatezza e sussidiarietà, anche valorizzando, ove possibile, le autonomie funzionali». Una tale scelta non impedisce alle Regioni di sopprimere, nel contempo, enti e agenzie alle quali sia stato demandato, in precedenza, l’esercizio delle stesse funzioni. In questi casi, naturalmente, non si porrà alcun problema di adesione dei Comuni agli enti di governo designati: più semplicemente, si verificherà un trasferimento delle funzioni, per ragioni di esercizio unitario, presso le Province, attualmente caratterizzate come enti di secondo grado (sentenza n. 50 del 2015).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 609, lettera a), della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 123 della Costituzione, nonché all’art. 3, comma 2, della legge regionale statutaria 17 aprile 2012, n. 1 (Statuto del Veneto), dalla Regione Veneto, con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 maggio 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Marta CARTABIA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 luglio 2016.