SENTENZA N. 50
ANNO 2015
Commenti alla decisione di
I. Alessandro Sterpa, Federica Grandi, Federica Fabrizzi
e Marzia de Donno, Corte
costituzionale, sentenza n. 50 del 2015: scheda di lettura, per g.c. Federalismi.it
II. Giulio M. Salerno, La
sentenza n. 50 del 2015: argomentazioni efficientistiche o neo-centralismo
repubblicano di impronta statalistica?, per g.c. Federalismi.it
III. Matteo Barbero e Elisabetta Vigato, Il
sindaco di diritto e l'elezione a suffragio universale e diretto nelle città
metropolitane, per g.c. Federalismi.it
IV. Alberto Lucarelli, La
sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 2015. Considerazioni in merito
all'istituzione delle città metropolitane, per g.c.
Federalismi.it
V. Alessandro Sterpa, Un 'giudizio in movimento': la Corte costituzionale tra attuazione dell'oggetto e variazione del parametro del giudizio. Nota a margine della sentenza n. 50 del 2015, per g.c. Federalismi.it
VI. Antonino Spadaro, La sentenza cost. n. 50/2015. Una novità rilevante: talvolta la democrazia è un optional, per g.c. della Rivista AIC
VII. Luciano
Vandelli, La
legge "Delrio” all’esame della Corte: ma non meritava
una motivazione più accurata?, per g.c. del Forum di
Quaderni Costituzionali
VIII.
Daniela Mone, La
sentenza della Corte costituzionale n. 50/2015 e la Carta europea dell’autonomia
locale: l’obbligo di elezione diretta tra principi e disposizioni
costituzionali, per g.c. del Forum di
Quaderni Costituzionali
IX. Giuseppe
Mobilio, Le
Città metropolitane non si toccano: la Corte costituzionale si pronuncia sulla
legge «Delrio», per g.c.
di Osservatorio sulle fonti
X. Bruno Di Giacomo Russo, La
Corte costituzionale e la legge "Delrio”: quale
futuro per le Province?, per g.c. di Forum
di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Paolo
Maria NAPOLITANO Giudice
- Giuseppe FRIGO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art.
1, commi da 4 a 19, 21, 22, 25, 42, 48, da 54 a 58, da 60 a 65, 67, da 69 a 79,
81, 83, da 89 a 92, 95, 105, 106, 117, 124, 130, 133 e 149 della legge
7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province,
sulle unioni e fusioni di comuni), promosso dalle Regioni Lombardia,
Veneto, Campania e Puglia con ricorsi notificati il 4-10, il 4, il 6 (spedito
per la notifica) e il 6-12 giugno 2014, depositati in cancelleria il 6, il 13 e
il 16 giugno 2014 ed iscritti ai nn. 39, 42, 43 e 44 del
registro ricorsi 2014.
Visti gli atti di costituzione, di cui uno fuori termine,
del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 24 febbraio 2015 il
Giudice relatore Mario Rosario Morelli;
uditi gli avvocati Francesco Saverio Marini per la Regione
Lombardia, Luca Antonini e Luigi Manzi per la Regione Veneto, Beniamino
Caravita di Toritto per la Regione Campania, Marcello Cecchetti per la Regione
Puglia e gli avvocati dello Stato Pio Marrone e Massimo Massella Ducci Teri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1.– Le Regioni Lombardia, Veneto, Campania e Puglia,
con i ricorsi in epigrafe, hanno proposto varie questioni di legittimità
costituzionale della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città
metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni) che,
complessivamente, investono cinquantotto commi del suo articolo 1.
Le disposizioni censurate – per i motivi dalle
singole ricorrenti, rispettivamente, illustrati ed in relazione ai parametri
corrispondentemente evocati (dei quali specificamente si dirà nel Considerato
in diritto) – sono, in particolare, quelle di cui ai seguenti commi del
predetto art. 1:
– da 5 a 19, 21, 22, 25, 42 e 48, sulla istituzione
e disciplina delle «Città metropolitane»;
– da 54 a 58, da 60 a 65, 67, da 69 a 79, 81 e 83,
sulla ridefinizione dei confini territoriali e del perimetro delle competenze
delle Province («In attesa della riforma del titolo V della parte seconda della
Costituzione e delle relative norme di attuazione»);
– da 89 a 92 e 95, concernenti modalità e
tempistiche del procedimento di riordino delle funzioni ancora attribuite alle
Province ed allo scorporo di quelle ad esse sottratte e riassegnate ad altri
enti;
– 4, 105, 106, 117, 124, 130 e133, in tema di unioni
e fusioni di Comuni;
– 149, sulla prevista predisposizione, da parte del
Ministro per gli affari regionali, di «appositi programmi di attività», per
accompagnare e sostenere l’applicazione degli interventi di riforma.
2.– In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, contestando la fondatezza di ciascuna delle questioni sollevate,
sulla base di plurime argomentazioni (delle quali anche si dirà nel Considerato
in diritto).
3.– Nella imminenza della udienza di discussione,
ciascuna delle Regioni ricorrenti ha depositato memoria; e, nei quattro
correlativi giudizi, l’Avvocatura dello Stato ha depositato, a sua volta,
altrettante memorie.
1.– Con i quattro ricorsi in epigrafe, che per la
comunanza o connessione dei rispettivi oggetti, possono riunirsi per essere
congiuntamente esaminati, le Regioni Lombardia, Veneto, Campania e Puglia
impugnano, complessivamente, cinquantotto commi dell’art. 1 della legge 7
aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province,
sulle unioni e fusioni di comuni), per contrasto con i parametri
(congiuntamente o disgiuntamente evocati) di cui agli artt. 1, 2, 3, 5, 48, 97, 114, 117, commi secondo,
lettera p), terzo e quarto, 118, 119, 120, 123, primo comma, 133, primo e secondo
comma, 136 e 138 della Costituzione,
oltreché all’art.
117, primo comma Cost., in relazione agli artt. 3 e 9 della Carta
europea dell’autonomia locale, firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985,
ratificata e resa esecutiva con legge 30 dicembre 1989, n. 439.
A ciascun ricorso resiste il Presidente del
Consiglio dei ministri per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato; ma
il suo atto di costituzione nel giudizio instaurato dalla Regione Lombardia va
dichiarato inammissibile, perché proposto oltre il termine perentorio di cui
all’art 19, terzo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti la Corte
costituzionale, risultando depositato il 22 luglio 2014 e, quindi, il 31°
giorno successivo alla scadenza del termine medesimo stabilito per il deposito
del ricorso principale.
2.– Disaggregate dai singoli ricorsi e riaggregate –
in relazione ai profili di coincidenza o complementarietà delle disposizioni
impugnate e dei parametri, in relazione a queste evocati – le questioni
proposte dai ricorrenti, rispettivamente, coinvolgono:
– la disciplina delle istituite «Città
metropolitane», per quanto attiene ai commi da 5 a 19, 21, 22, 25, 42 e 48 del
suddetto art. 1 della legge n. 56 del 2014;
– la ridefinizione dei confini territoriali e del
quadro delle competenze delle Province, «in attesa della riforma del titolo V,
parte seconda, della Costituzione», quanto ai commi da 54 a 58, da 60 a 65, 67,
da 69 a 79, 81 e 83 del medesimo art. 1;
– il procedimento di riallocazione delle funzioni
"non fondamentali” delle Province (commi da 89 a 92 e 95 del citato articolo);
– la disciplina delle unioni e fusioni di Comuni
(commi 4, 105, 106, 117, 124, 130 e 133);
– la prevista predisposizione di «appositi programmi
di attività», di fonte ministeriale, per sostenere gli «interventi di riforma»
di cui alla legge impugnata, e per la «attuazione di quanto previsto dall’art.
9 del decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95 [Disposizioni urgenti per la revisione
della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini], convertito, con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012 n. 135» (comma 149).
3.– Il primo gruppo di norme sottoposte al vaglio di
costituzionalità attiene, come evidenziato, alla istituzione e disciplina
dell’ente territoriale, così detto di «area vasta», delle «Città metropolitane»
(funzionale al prefigurato disegno finale di soppressione delle Province con
fonte legislativa di rango costituzionale).
3.1.– Si tratta, in particolare, delle disposizioni
di cui ai seguenti commi della legge n. 56 del 2014:
– 5, che istituisce le Città metropolitane di
Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio
Calabria, e qualifica i principi della correlativa disciplina «di grande
riforma economica e sociale», con riguardo alle aree metropolitane da adottare
dalle Regioni autonome, in conformità ai rispettivi statuti;
– 6, che disegna il territorio delle Città
metropolitane in coincidenza «con quello della provincia omonima», facendo
salva «l’iniziativa dei comuni, ivi compresi i comuni capoluogo delle province
limitrofe […] per l’adesione alla città metropolitana»;
– 7, 8 e 9, individuativi degli organi di dette
«città» [«a) il sindaco metropolitano; b) il consiglio metropolitano; c) la
conferenza metropolitana»] e delle correlative funzioni;
− 10 e 11, sulle materie disciplinate dallo
statuto, con previsione di delegabilità di specifiche
funzioni (da Comuni od unioni) alla Città metropolitana e viceversa;
– 12 e 18, sulla tempistica per la costituzione
delle Città metropolitane;
– 13, sulla composizione e modalità di elezione di
una conferenza statutaria per la redazione di una proposta di statuto della
Città metropolitana;
– 14, sulla temporanea e limitata prorogatio dei poteri di Presidenti e Giunte delle Province
in carica alla data di entrata in vigore della legge n. 56 del 2014;
– 15, sulle prime elezioni del Consiglio
metropolitano;
– 16, sulla successione delle Città metropolitane,
nei rapporti attivi e passivi, e nell’esercizio delle funzioni, delle Province
omonime, cui subentrano;
– 17, sulla procedura del potere sostitutivo ex art.
8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento
dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3), «in caso di mancata approvazione dello statuto entro il 30 giugno 2015»;
– 19, per il quale «il sindaco metropolitano è di
diritto il sindaco del comune capoluogo»;
− 21, sulla durata in carica del Consiglio
metropolitano e sul termine relativo all’indizione delle nuove elezioni dello
stesso Consiglio metropolitano, in caso di rinnovo del Consiglio del comune
capoluogo;
– 22, sulla condizione della previa articolazione,
in più Comuni, del territorio del Comune capoluogo, ai fini della eleggibilità
diretta (ove statutariamente prevista) del sindaco e del Consiglio
metropolitano;
– 25, sulla composizione del «consiglio
metropolitano» (eletto dai sindaci e dai consiglieri dei Comuni della Città
metropolitana);
– 42, sulla conferenza metropolitana, «composta dal
sindaco metropolitano, che la convoca e la presiede, e dai sindaci dei comuni
appartenenti alla città metropolitana»;
– 48, sulle disposizioni e sul trattamento economico
applicabili al personale delle Città metropolitane.
3.2.– Nell’economia delle numerose censure formulate
dalle Regioni ricorrenti con riguardo al quadro delle sopra citate
disposizioni, rilievo preliminare (e potenzialmente assorbente) assumono,
nell’ordine, quella che denuncia il contrasto con l’art. 117, secondo comma,
lettera p), Cost., sul presupposto che la istituzione e la disciplina delle
Città metropolitane non rientri in alcuno dei tre ambiti di competenza
legislativa statale individuati tassativamente nella richiamata norma
costituzionale; e quella che deduce la violazione dell’art. 133, primo comma,
Cost., per il quale − ai fini del mutamento delle circoscrizioni
provinciali e della perimetrazione delle Città metropolitane nell’ambito di una
Regione − lo Stato potrebbe intervenire con proprie leggi, ma solo "su
iniziativa dei Comuni sentita la stessa Regione” e, quindi, all’esito di un
procedimento legislativo cosiddetto "rinforzato”, nella specie, viceversa,
omesso.
3.2.1.– Ulteriori (subordinate) censure sono, poi in
particolare, rivolte alle disposizioni afferenti ai commi 7, 8, 9, 19, 25 e 42
dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, per supposta violazione degli artt. 1,
5, 48, 114 e 117, primo comma, Cost. (quest’ultimo in relazione al parametro
interposto costituito dall’art. 3, comma 2, della Carta europea dell’autonomia
locale), nella parte in cui le previste istituzione e disciplina della Città
metropolitana quale nuovo ente territoriale con un modello di governo di
secondo grado, caratterizzato totalmente da organi elettivi indiretti, si
assume che verrebbe a risultare in contrasto con il principio della
rappresentanza politica democratica e con quello della sovranità popolare,
suscettibili, invece, di essere, derogati soltanto con legge costituzionale,
mediante l’osservanza del procedimento di revisione aggravata previsto
dall’art. 138 Cost.
3.2.2.– Le Regioni Lombardia e Veneto hanno anche
prospettato la illegittimità costituzionale dei commi 7, 8, 9, 16, 19, 21, 25 e
42 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, per violazione degli artt. 3, 5,
117, primo comma, e 118 Cost., sul presupposto che le censurate disposizioni
contrasterebbero con il principio di autonomia degli enti territoriali locali,
con quello di rappresentatività e democraticità (non risultando prevista
l’elezione di almeno un organo collegiale a suffragio universale e diretto),
oltre che con quelli di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, la cui
lesione discenderebbe dalla disposta attribuzione della regolamentazione
dell’allocazione delle funzioni amministrative di detti nuovi enti territoriali
alla competenza statale, in dispregio della riserva legislativa conferita alle
Regioni.
La Regione Lombardia ha, altresì, espresso il dubbio
di violazione anche dell’art. 119 Cost. (oltre che dello stesso art. 117, primo
comma, Cost., in relazione al parametro interposto individuato nell’art. 9
della Carta europea dell’autonomia locale), nella parte in cui le disposizioni
denunciate si porrebbero in contrasto con il principio di necessaria
democraticità del governo delle autonomie locali, sotto l’ulteriore profilo del
riconoscimento della loro autonomia finanziaria e della loro autorità
impositiva.
3.2.3.– Per contrasto con gli artt. 114, secondo
comma, e 120, secondo comma, Cost., la Regione Puglia ha poi denunciato
l’incostituzionalità del comma 17 (in correlazione anche ai successivi commi 81
e 83) dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, in ragione della prospettata
illegittimità della previsione dell’esercizio del potere sostitutivo
straordinario dello Stato per l’eventualità della mancata realizzazione della
potestà statutaria delle Province e delle Città metropolitane.
3.2.4.– In riferimento ai parametri di cui agli
artt. 1, 3, 48, 114, 117, primo comma, e 118 Cost., la Regione Lombardia ha
censurato poi il comma 19 del predetto art. 1, quanto alla adottata soluzione
per cui il sindaco del Comune capoluogo è di diritto il sindaco della Città
metropolitana.
Le Regioni Puglia e Campania hanno esteso
l’impugnativa al successivo comma 22, per il profilo delle gravosità degli
adempimenti e delle condizioni cui è subordinata la possibilità di successiva
elezione diretta del sindaco metropolitano.
3.2.5.− A sua volta, la disposizione di cui al
sopra citato comma 48 – relativa alla applicazione al personale metropolitano
delle disposizioni vigenti per il personale delle Province – sarebbe, secondo la
Regione Puglia, «incostituzionale nella misura in cui si riferisce anche alla
disciplina inerente il rapporto d’ufficio, oltre che a quella concernente il
rapporto di servizio, da ritenersi di competenza statale in virtù del titolo di
intervento "ordinamento civile”».
3.2.6.– La medesima Regione Puglia, denuncia,
infine, i commi 10 e 11, lettere b) e c), e, parallelamente, il comma 89,
lettera a), dell’art. 1 della legge in esame, nella parte in cui
disciplinerebbero aspetti organizzativi delle Città metropolitane (e delle
Province) diversi da quelli concernenti gli «organi di governo» (art. 117,
secondo comma, lettera p, Cost.); i commi 9 e 11 (e 89), in quanto
regolerebbero funzioni delle Città metropolitane (e delle Province) non
riconducibili alla competenza dello Stato in materia di funzioni fondamentali o
nelle altre materie di competenza esclusiva di quest’ultimo (art. 118, secondo
comma, Cost.).
3.3.− L’Avvocatura dello Stato ha contestato
la fondatezza di ciascuna delle riferite censure sulla premessa di fondo della
riconducibilità delle norme impugnate alla competenza statuale, in merito alla
istituzione delle Città metropolitane, a suo avviso implicata nell’art. 114
Cost.; sostenendo il sostanziale rispetto, altresì, del procedimento di cui all’art.
133, primo comma, Cost., per quanto attiene alla correlativa conformazione
territoriale, la legittimità dell’adottato modello di governo, di secondo
grado, del nuovo ente territoriale; ed escludendo, infine, la violazione dei
parametri evocati dalle ricorrenti con riguardo ai sopra menzionati singoli
specifici aspetti disciplinatori dell’ente medesimo.
3.4.− Le questioni sin qui esaminate non sono
fondate.
3.4.1.− Non fondata è, innanzitutto, la
preliminare questione di competenza sollevata dalle ricorrenti sul presupposto
che la mancata espressa previsione della "istituzione delle città
metropolitane” nell’ambito di materia riservato alla legislazione esclusiva
dello Stato ex art. 117, comma secondo, lettera p), Cost. ne comporti
l’automatica attribuzione alla rivendicata competenza regionale esclusiva, in
applicazione della clausola di residualità di cui al quarto comma dello stesso
art. 117.
Se esatta fosse, invero, una tale tesi si dovrebbe
pervenire, per assurdo, alla conclusione che la singola Regione sarebbe
legittimata a fare ciò che lo Stato "non potrebbe fare” in un campo che non può
verosimilmente considerarsi di competenza esclusiva regionale, quale, appunto,
quello che attiene alla costituzione della Città metropolitana, che è ente di rilevanza
nazionale (ed anche sovranazionale ai fini dell’accesso a specifici fondi
comunitari).
E ciò a maggior ragione ove si consideri che con
riguardo al nuovo ente territoriale, le Regioni non avrebbero le competenze,
che l’evocato art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., riserva in via
esclusiva allo Stato, nella materia «legislazione elettorale, organi di governo
e funzioni fondamentali».
Correttamente, dunque, ha rilevato in contrario,
nelle sue difese, l’Avvocatura dello Stato che il novellato art. 114 Cost., nel
richiamare al proprio interno, per la prima volta, l’ente territoriale Città
metropolitana, ha imposto alla Repubblica il dovere della sua concreta
istituzione. È proprio, infatti, tale esigenza costituzionale che fonda la
competenza legislativa statale relativa alla istituzione del nuovo ente, che
non potrebbe, del resto, avere modalità di disciplina e struttura diversificate
da Regione a Regione, senza con ciò porsi in contrasto con il disegno
costituzionale che presuppone livelli di governo che abbiano una disciplina
uniforme, almeno con riferimento agli aspetti essenziali.
D’altro canto, le Città metropolitane istituite
dalla legge n. 56 del 2014, sono destinate a subentrare integralmente alle
omonime Province esistenti, la cui istituzione è di competenza statale.
Quanto, infine, alla censura della Regione Campania −
per cui l’individuazione specifica delle nove province da trasformare in Città
metropolitane, con esclusione di un procedimento generale per l’istituzione
delle stesse, renderebbe la disposizione impugnata una legge-provvedimento, e
comporterebbe, per ciò, violazione dei principi costituzionali di
ragionevolezza (art. 3), di proporzionalità e di imparzialità (art. 97) −
è agevole rilevare, in contrario, che quella impugnata, individua non una sola,
ma tutte le Province in relazione alle quali è stata, al momento, ritenuta
opportuna la trasformazione in Città metropolitane. Si tratta, pertanto, di una
legge a carattere innegabilmente generale che, nell’istituire le Città metropolitane,
contiene anche l’elenco di quelle effettivamente con essa istituite.
Ed a riprova di ciò rileva anche il fatto che la
normativa in esame costituisce, come detto, principio di grande riforma
economica e sociale per le Regioni a statuto speciale, ai sensi del comma 5,
ultimo periodo, dell’impugnato art. 1 della legge n. 56 del 2014.
Otto su dieci delle istituite Città metropolitane
sono, peraltro, già nell’esercizio delle loro funzioni, e gli statuti di sei di
queste sono già stati approvati alla data del 31 dicembre 2014.
3.4.2.− A sua volta non fondata è anche la
successiva questione procedimentale, per asserito contrasto – con il precetto
di cui all’art. 133, primo comma, Cost. − della disposizione individuativa del territorio della Città metropolitana
(fatto coincidere «con quello della provincia omonima»), di cui al comma 6
dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014.
Con la legge in esame il legislatore ha inteso
realizzare una significativa riforma di sistema della geografia istituzionale
della Repubblica, in vista di una semplificazione dell’ordinamento degli enti
territoriali, senza arrivare alla soppressione di quelli previsti in
Costituzione. L’intervento − che peraltro ha solo determinato l’avvio
della nuova articolazione di enti locali, al quale potranno seguire più
incisivi interventi di rango costituzionale − è stato necessariamente
complesso.
Ciò giustifica la mancata applicazione delle regole
procedurali contenute nell’art. 133 Cost., che risultano riferibili solo ad
interventi singolari, una volta rispettato il principio, espresso da quelle
regole, del necessario coinvolgimento delle popolazioni locali interessate,
anche se con forme diverse e successive, al fine di consentire il predetto
avvio in condizioni di omogeneità sull’intero territorio nazionale.
Il denunciato comma 6 dell’art. 1 della legge n. 56
del 2014, non manca, infatti, di prevedere espressamente «l’iniziativa dei
comuni, ivi compresi i comuni capoluogo delle province limitrofe», ai fini
dell’adesione (sia pure ex post) alla Città metropolitana, il che per implicito
comporta la speculare facoltà di uscirne, da parte dei Comuni della Provincia
omonima; e, a tal fine, la stessa norma dispone che sia sentita la Regione
interessata e che, in caso di suo parere contrario, sia promossa una «intesa»
tra la Regione stessa ed i comuni che intendono entrare nella (od uscire dalla)
Città metropolitana. E ciò testualmente, «ai sensi dell’articolo 133, primo
comma, della Costituzione» e «nell’ambito della procedura di cui al predetto articolo
133». Il che autorizza una lettura del citato comma 6 conforme al parametro in
esso richiamato: lettura, questa, costituzionalmente adeguata che, per un
principio di conservazione, non può non prevalere su quella, contra Constitutionem, presupposta dalle Regioni ricorrenti.
3.4.3.− Anche il modello di governo di secondo
grado adottato dalla legge n. 56 del 2014 per le neoistituite Città
metropolitane supera il vaglio di costituzionalità in relazione a tutti i
parametri evocati dalle quattro ricorrenti.
Il tentativo delle difese regionali − di
ricondurre l’utilizzazione del termine "sovranità” al concetto di sovranità
popolare, di cui al secondo comma dell’art. 1 Cost., e di identificare la
sovranità popolare con gli istituti di democrazia diretta e con il sistema
rappresentativo che si esprime anche nella (diretta) partecipazione popolare
nei diversi enti territoriali − è già stato, infatti, ritenuto «non
condivisibile» da questa Corte, nella sentenza n. 365 del
2007.
La natura costituzionalmente necessaria degli enti
previsti dall’art. 114 Cost., come «costitutivi della Repubblica», ed il
carattere autonomistico ad essi impresso dall’art. 5 Cost. non implicano,
infatti, ciò che le ricorrenti pretendono di desumerne, e cioè l’automatica
indispensabilità che gli organi di governo di tutti questi enti siano
direttamente eletti.
Con la sentenza n. 274 del
2003 e la successiva ordinanza n. 144
del 2009, è stata, del resto, esclusa la totale equiparazione tra i diversi
livelli di governo territoriale e si è evidenziato come proprio i principi di
adeguatezza e differenziazione, nei ricorsi in esame più volte evocati,
comportino la possibilità di diversificare i modelli di rappresentanza politica
ai vari livelli.
E nella già richiamata sentenza n. 365 del
2007, è stato ribadito che «né[anche] tra le pur rilevanti modifiche
introdotte dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al
titolo V della parte seconda della Costituzione) può essere individuata una
innovazione tale da equiparare pienamente tra loro i diversi soggetti
istituzionali, che pure tutti compongono l’ordinamento repubblicano, così da
rendere omogenea la stessa condizione giuridica di fondo dello Stato, delle
Regioni e degli enti territoriali».
D’altra parte già con la sentenza n. 96 del
1968, questa Corte ha affermato la piena compatibilità di un meccanismo
elettivo di secondo grado con il principio democratico e con quello
autonomistico, escludendo che il carattere rappresentativo ed elettivo degli
organi di governo del territorio venga meno in caso di elezioni di secondo
grado, «che, del resto, sono prevedute dalla Costituzione proprio per la più
alta carica dello Stato».
Ed alla luce di tale principio va escluso che la
materia «legislazione elettorale» di Città metropolitane – devoluta alla
competenza esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.
– si riferisca specificamente ed esclusivamente ad un procedimento di elezione
diretta, attesa anche la natura polisemantica dell’espressione usata dal
Costituente, come tale riferibile ad entrambi i modelli di «legislazione
elettorale».
Né, infine, sussiste la denunciata incompatibilità
della normativa impugnata con l’art. 3, comma 2, della Carta europea
dell’autonomia locale, invocata dalle ricorrenti − come parametro
interposto ai fini della violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. −
nella parte in cui prevederebbe che almeno uno degli organi collegiali sia ad
elezione popolare diretta.
A prescindere dalla natura di documento di mero
indirizzo della suddetta Carta europea, che lascia ferme «le competenze di base
delle collettività locali […] stabilite dalla Costituzione o della legge», come
riconosciuto nella sentenza di questa
Corte n. 325 del 2010, al fine, appunto, di escludere l’idoneità delle
disposizioni della Carta stessa ad attivare la violazione dell’art. 117, primo
comma, Cost., è comunque decisivo il rilievo che l’espressione usata dalla
norma sovranazionale, nel richiedere che i membri delle assemblee siano "freely elected”, ha, sì, un
rilievo centrale quale garanzia della democraticità del sistema delle autonomie
locali, ma va intesa nel senso sostanziale della esigenza di una effettiva
rappresentatività dell’organo rispetto alle comunità interessate.
In questa prospettiva non è esclusa la possibilità
di una elezione indiretta, purché siano previsti meccanismi alternativi che comunque
permettano di assicurare una reale partecipazione dei soggetti portatori degli
interessi coinvolti.
Tali meccanismi, nella specie, sussistono, essendo
imposta la sostituzione di coloro che sono componenti "ratione
muneris” dell’organo indirettamente eletto, quando
venga meno il munus (art. 1, comma 25, ed
analogamente, con riguardo ad organi delle Province, commi 65 e 69). E di ciò
non è menzione nei ricorsi, che si limitano a porre la questione di
costituzionalità in termini generali e astratti, senza alcun riferimento
puntuale né alla concreta disciplina né ai compiti attribuiti alle Città
metropolitane e alle nuove Province, profilo, quest’ultimo, non irrilevante
anche nella prospettiva della Carta europea.
Il comma 22 del denunciato art. 1 espressamente,
comunque, dispone che «lo Statuto della città metropolitana può prevedere
l’elezione diretta del sindaco e del consiglio metropolitano».
Il procedimento per l’elezione del Consiglio
metropolitano è, inoltre, in ogni suo aspetto, puntualmente disciplinato dalle
disposizioni di cui ai commi da 26 a 39 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014
e nessuna censura le quattro Regioni ricorrenti hanno rivolto anche a dette
disposizioni.
3.4.4.− Superano parimenti la verifica di
costituzionalità le ulteriori censurate più specifiche disposizioni disciplinatorie della Città metropolitana:
a) quanto alla figura del sindaco metropolitano,
perché, per un verso, la sua individuazione nel sindaco del Comune capoluogo di
Provincia, sub comma 19 dell’art. 1 in esame, non è irragionevole in fase di
prima attuazione del nuovo ente territoriale (attesi il particolare ruolo e
l’importanza del Comune capoluogo intorno a cui si aggrega la Città
metropolitana), e non è, comunque, irreversibile, restando demandato, come detto,
allo statuto di detta città di optare per l’elezione diretta del proprio
sindaco. E, per altro verso, perché la «articolazione territoriale del comune
capoluogo in più comuni» − che il successivo comma 22 pone come
presupposto per l’elezione diretta del sindaco metropolitano − non viola
l’art. 133, secondo comma, Cost., non comprimendo in alcun modo le prerogative
del legislatore regionale e non eliminando il coinvolgimento, nel procedimento,
delle popolazioni interessate, atteso che la «proposta del Consiglio comunale
deve essere sottoposta a referendum tra tutti i cittadini della città
metropolitana su base delle rispettive leggi regionali» − né contrasta
con l’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., essendo il presupposto, di
cui si discute, comunque, riconducibile alla competenza statuale esclusiva in
materia di «legislazione elettorale […] di […] città metropolitane»;
b) quanto alla conferenza metropolitana − cui
il comma 8 (ultimo periodo) attribuisce «poteri propositivi e consultivi» −
la censura formulata in ragione del carattere riduttivo di tali attribuzioni,
nel contesto del sistema di governo della città metropolitana, è agevolmente
superata dalla considerazione che la conferenza può vedersi attribuite
ulteriori competenze dallo statuto, atto fondamentale di autorganizzazione
dell’ente, il quale viene approvato dalla conferenza stessa; per cui proprio la
conferenza si configura, dunque, come organo decisore finale delle proprie
competenze, fatte salve quelle riservate in via esclusiva al sindaco
metropolitano;
c) quanto al personale delle Città metropolitane,
perché la disposizione di cui al comma 48 − che applica allo stesso il
trattamento vigente per il personale delle Province, al quale, ove trasferito
mantiene «fino al prossimo contratto il trattamento in godimento» −
attiene alla sola prima fase del procedimento (per altro già in stato di
avanzata attuazione) di riallocazione del personale a seguito del riordino
delle funzioni attribuite agli enti coinvolti e dei profili finanziari connessi
alla riforma introdotta dalla legge n. 56 del 2014. La quale, nella misura in
cui coinvolga la materia «diritto civile», nella quale ricade la disciplina dei
contratti in questione, risponde ad un titolo di competenza esclusiva dello
Stato;
d) quanto alle «norme fondamentali
dell’organizzazione dell’ente», ivi comprese le attribuzioni degli organi,
nonché l’articolazione delle loro competenze – che il comma 10 demanda allo
statuto di stabilire – perché ciò che si censura rientra, comunque, nella disciplina
complessiva degli «organi di governo» di cui alla lettera p) del comma secondo
dell’art. 117, Cost., oltreché – per quanto già detto – in quella relativa alla
Città metropolitana di cui all’art. 114 Cost.;
e) quanto alle modalità di organizzazione e di
esercizio delle funzioni metropolitane − che i commi 10 e 11, lettere b)
e c), fanno rientrare tra i contenuti disciplinatori dello statuto −
perché non ha pregio, per le ragioni di cui sopra, la censura che presuppone
limitata alla disciplina dei singoli organi di governo la competenza statale
relativa alla Città metropolitana;
f) quanto all’esercizio del potere statuale
sostitutivo − previsto dal comma 17, «in caso di mancata approvazione
dello statuto entro il 30 giugno 2015» − perché detta disposizione, a
torto censurata in riferimento agli artt. 114, secondo comma, e 120, secondo
comma, Cost., trova la sua giustificazione nell’esigenza di realizzare il
principio dell’unità giuridica su tutto il territorio nazionale in merito
all’attuazione del nuovo assetto ordinamentale previsto dalla legge n. 56 del
2014.
3.4.5.− Può dichiararsi cessata la materia del
contendere con riguardo, infine, alla disposizione di cui al comma 13 che, a
distanza di poco più di due settimane (e senza possibilità, dunque, di sua
applicazione medio tempore), è stata abrogata dall’art. 19, comma 1, del
decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la
giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 23 giugno 2014, n. 89.
4.− Il secondo gruppo di disposizioni
denunciate attiene, come detto, al nuovo modello ordinamentale delle Province
(per le quali, tuttavia, è in corso l’approvazione di un progetto − da
realizzarsi nelle forme di legge costituzionale − che ne prevede la
futura soppressione, con la loro conseguente eliminazione dal novero degli enti
autonomi riportati nell’art. 114 Cost., come, del resto, chiaramente evincibile
dall’incipit contenuto nel comma 51 dell’art. 1 della legge in esame).
4.1.− Si tratta, in particolare, delle
disposizioni di cui ai seguenti commi dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014:
− 54, che definisce organi delle Province
«esclusivamente: a) il presidente della provincia, b) il consiglio provinciale;
c) l’assemblea dei sindaci»;
− 55, 58 e da 60 a 65, sulle funzioni, sui
requisiti di eleggibilità e sulle modalità di elezione, nonché sulle cause di
decadenza del Presidente della Provincia;
− 56, sulla assemblea dei sindaci («costituita
dai sindaci dei comuni appartenenti alla provincia»);
− 57, sulla possibilità che gli statuti delle
Province prevedano, d’intesa con la regione, «la costituzione di zone omogenee
per specifiche funzioni, con organismi collegati agli organi provinciali senza
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica»;
− 67 e da 69 a 78, sulla composizione del
Consiglio provinciale e sui requisiti di eleggibilità e modalità di elezione
dei consiglieri provinciali;
− 79, sulla elezione del Presidente della
Provincia e del Consiglio provinciale «in sede di prima applicazione della
presente legge»;
− 81 e 83, sulle «modifiche statutarie
conseguenti alla presente legge», demandate al Consiglio provinciale (ed alla
approvazione del collegio dei sindaci) ed all’eventuale esercizio del potere
sostitutivo ex art. 8 della legge 5 giugno 2013, n. 131 (Disposizioni per
l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3).
4.2.− Anche con riguardo a tale complessivo
contesto normativo le ricorrenti convergono nell’ipotizzare la violazione, in
primo luogo, degli artt. 5 e 114, oltre che all’art. 117, primo comma, Cost.,
con riferimento al parametro interposto individuabile nel già richiamato art.
3, comma 2, della cosiddetta Carta europea dell’autonomia locale, sul
presupposto che le Province non sarebbero, per l’effetto, più configurate come
enti rappresentativi delle popolazioni locali (secondo quanto ancora impone la
Costituzione attuale), ma come enti di secondo grado, la cui modalità elettiva
degli organi politici comporterebbe la totale esclusione dell’esercizio della
sovranità popolare.
Prospettano, inoltre, la violazione dei principi di
sussidiarietà verticale e di ragionevolezza, in ragione della ritenuta
inversione logica del modello di allocazione/distribuzione delle funzioni
amministrative rispetto alla disciplina contemplata dalla Costituzione, con
conseguente lesione del principio di necessaria democraticità di governo delle
autonomie locali, anche in ordine al riconoscimento della loro autonomia
finanziaria e della loro autorità impositiva.
Sostiene, altresì, in particolare la Regione Veneto,
che le disposizioni in esame violerebbero gli artt. 1, 48, 5, 97, 114, 117,
118, 119 e 120 Cost., nella parte relativa alla disposta proroga delle gestioni
commissariali in corso ed alla legittimazione di proroghe ulteriori.
4.3.− Anche le censure rivolte al riordino
delle Province sono non fondate.
4.3.1.− In primo luogo, non pertinente è
l’evocazione del parametro di cui all’art. 138 Cost.
Come, infatti, chiarito dalla sentenza n. 220 del
2013, il procedimento di cui al richiamato art. 138 risulterebbe obbligato
nel solo caso di soppressione delle Province, e non anche in quello – che,
nella specie, viene in rilievo − di riordino dell’ente medesimo.
4.3.2.− A loro volta, le censure rivolte al
modello di governo di secondo grado, parimenti adottato per il riordinato ente
Provincia, risultano non fondate (anche con riguardo al vulnus che si assume
derivante all’autonomia finanziaria, di entrate di spesa, ove riconducibile ad
organi non direttamente rappresentativi) sulla base delle medesime ragioni già
esposte con riferimento alle Città metropolitane e della considerazione che
inerisce, comunque, alla competenza dello Stato − nella materia
«legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di […]
province» (art. 117, secondo comma, lettera p, Cost., − ogni altro
denunciato aspetto disciplinatorio, appunto, di detto
ente territoriale.
4.3.3.− Quanto, infine, alla proroga dei
commissariamenti, non è esatto che questa sarebbe − come si denuncia −
sine die.
Il comma 82 dell’art. 1 in esame − nel testo
sostituito dall’art. 23, comma 1, lettera f), del decreto-legge 24 giugno 2014,
n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e
per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni
dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 114 − dispone,
infatti, che, per le Province già oggetto di commissariamento, il commissario,
a partire dal 1° luglio 2014, muti natura, e cioè, sostanzialmente, decada,
dando vita, pur nella coincidenza della persona fisica, ad un organo diverso
che, privo dei poteri commissariali, è chiamato ad assicurare, a titolo gratuito,
la gestione della fase transitoria solo «per l’ordinaria amministrazione e per
gli atti urgenti e indifferibili, fino all’insediamento del presidente della
provincia eletto ai sensi dei commi da 58 a 78».
5.− Il terzo gruppo di censure è rivolto al
riordino delle funzioni ancora attribuite alle Province ed allo scorporo di
quelle attribuite ad altri enti.
5.1.− Si tratta, in particolare, delle
disposizioni di cui ai seguenti commi dell’art. 1 della legge in esame:
− 89, sulle funzioni (diverse da quelle
"fondamentali”, che «in attesa della riforma del titolo V, parte seconda, della
Costituzione» continuano ad essere esercitate dalle Province), che «nell’ambito
del processo di riordino sono trasferite dalle province ad altri enti
territoriali»;
– 90, sul procedimento per il trasferimento delle
funzioni di cui sopra;
– 91, secondo cui «Entro tre mesi dalla data di
entrata in vigore della presente legge, sentite le organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative, lo Stato e le regioni individuano in modo
puntuale, mediante accordo sancito nella Conferenza unificata, le funzioni di
cui al comma 89 oggetto del riordino e le relative competenze»;
− 92, sul procedimento e sui criteri generali
per «l’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali
e organizzative connesse all’esercizio delle funzioni che devono essere
trasferite, ai sensi dei commi da 85 a 97, dalle province agli enti
subentranti, garantendo i rapporti di lavoro a tempo indeterminato in corso,
nonché quelli a tempo determinato in corso fino alla scadenza per essi
prevista»;
− 95, per il quale «La regione, entro sei mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge, provvede, sentite le
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, a dare attuazione
all’accordo di cui al comma 91. Decorso il termine senza che la regione abbia
provveduto, si applica l’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131».
5.2.− Al riguardo le quattro ricorrenti −
con riferimento ai parametri di cui agli artt. 3, 97, 114, 117, secondo comma,
lettera p), e 120 Cost. – denunciano, in particolare, le disposizioni di cui ai
commi 89, 90, 91, 92 e 95 (e la Regione Veneto anche quelle di cui ai commi 54,
55, 56, 58, 60, 61, 62, 63, 64, 65, 67 e da 69 a 79), nella parte in cui dette
norme, nel loro complesso, conferirebbero alla legislazione statale, al di
fuori della competenza esclusiva nella materia «funzioni fondamentali delle
Province», un titolo di competenza illegittimo, appartenendo la legittimazione
a stabilire le modalità e le tempistiche per la riallocazione delle funzioni
"non fondamentali” delle Province, nonché ad individuare le risorse connesse
agli eventuali trasferimenti, alla competenza regionale, alla stregua dei
principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza ed in conformità ai
principi di ragionevolezza, dell’opportunità e della coerenza con i fini
perseguiti, oltre che di quello del buon andamento dell’azione amministrativa e
del principio di leale collaborazione a cui deve informarsi l’esercizio del
potere sostitutivo.
Inoltre, i limiti ed i vincoli imposti dal
legislatore regionale, fuori dagli ambiti di competenza dello Stato,
comprimerebbero, illegittimamente, il potere regionale di individuare il
livello di governo più idoneo all’esercizio delle funzioni amministrative di
propria competenza.
In particolare, secondo la Regione Puglia, la
previsione sub comma 92 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, − per cui
«i criteri generali per l’individuatone dei beni e delle risorse finanziarie,
umane, strumentali e organizzative connesse all’esercizio delle funzioni che
devono essere trasferite» siano stabiliti «con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri», ancorché «previa intesa in sede di Conferenza
unificata» − violerebbe, a sua volta, gli artt. 3, primo comma, e 118,
primo comma, Cost., in quanto volta a determinare una uniforme allocazione di
funzioni amministrative agli enti di area vasta in tutte le Regioni, in
contrasto con il principio di eguaglianza e di ragionevolezza (che imporrebbe,
invece, di distinguere il trattamento giuridico di situazioni non omogenee) e
con il principio di differenziazione. E contrasterebbe, altresì, con l’art.
117, terzo comma, Cost., nella parte in cui si rivolgerebbe a funzioni
ricadenti nelle materie di competenza concorrente in quanto tale disposizione
costituzionale impone che principi fondamentali siano stabiliti dallo Stato,
mediante fonte di rango legislativo, e non mediante decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri.
La medesima disposizione, sub comma 92, è censurata
dalla Regione Veneto, per contrasto con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e
118 Cost., sul presupposto che implichi un rovesciamento nel procedimento di
allocazione delle funzioni, una volta che «la definizione dei criteri del
trasferimento delle funzioni fondamentali […] non avviene nella fase di previe
disposizioni di legge regionale […] nel rispetto del riparto della competenza
previsto dall’art. 117, commi terzo e quarto, della Costituzione […]».
Mentre un vulnus ulteriore ai parametri
costituzionali di cui sopra è pressoché concordemente individuata dalle
ricorrenti anche con riferimento all’esercizio del potere sostitutivo
ricollegato, dal successivo comma 95, al mancato rispetto, da parte delle
Regioni, del termine (di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge
n. 56 del 2014) stabilito per la individuazione delle funzioni, non
fondamentali, delle Province oggetto del riordino, con le modalità di cui al
comma 91 (id est: «sentite le organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative […] mediante accordo sancito dalla Conferenza unificata»).
5.3.− L’esame delle questioni che precedono
non può prescindere da una sia pur sintetica ricognizione del complessivo
quadro normativo, all’interno del quale si collocano le disposizioni come sopra
specificatamente denunciate.
I commi da 85 a 96 dell’art. 1 della legge n. 56 del
2014 riguardano le funzioni delle "nuove” Province (in carica nelle more della
riforma del Titolo V della Costituzione), indicando quelle "fondamentali” −
che rimangono a loro attribuite − e prevedendo, per le altre funzioni
esercitate all’atto dell’entrata in vigore della citata legge n. 56 del 2014
(ovvero all’8 aprile 2014), il trasferimento delle stesse ad altri enti
territoriali (comma 89).
Nel menzionato complesso di disposizioni viene, in
sostanza, disegnato un dettagliato meccanismo di determinazione delle intere
funzioni, all’esito del quale la Provincia continuerà ad esistere quale ente
territoriale "con funzioni di area vasta”, le quali, peraltro, si riducono a
quelle qualificate "fondamentali” (elencate nel comma 85) e a quelle, meramente
eventuali, indicate nei commi 88 e 90.
Con riferimento al procedimento di riordino delle
funzioni ancora attribuite alle Province e allo scorporo di quelle a tale ente
sottratte e riassegnate ad altri enti, si prevede che, entro tre mesi
dall’entrata in vigore della legge n. 56 del 2014, in attuazione dell’art. 118
Cost., lo Stato e le Regioni, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative, individuino in modo puntuale, mediante accordo sancito in
Conferenza unificata, le funzioni di cui al comma 89 oggetto della complessiva
riorganizzazione e le relative competenze (comma 91). E ciò avendo riguardo
alle seguenti finalità: determinazione dell’ambito territoriale ottimale di
esercizio per ciascuna funzione; efficacia nello svolgimento delle funzioni
fondamentali da parte dei Comuni e delle Unioni di Comuni; riconoscimento di
esigenze unitarie; adozione di forme di avvalimento e deleghe di esercizio tra
gli enti territoriali coinvolti nel processo di riordino, attraverso intese o
convenzioni.
Allo scopo di rendere concretamente operativo il
trasferimento delle funzioni come descritte, nel termine previsto dal comma 91,
il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’interno
e del Ministro per gli affari regionali, di concerto con i Ministri per la
semplificazione e la pubblica amministrazione e dell’economia e delle finanze,
previa intesa in sede di Conferenza unificata, avrebbe dovuto stabilire −
con proprio decreto − i criteri generali per l’individuazione dei beni e
delle risorse finanziarie, umane (previa consultazione delle organizzazioni
sindacali maggiormente rappresentative), strumentali e organizzative connesse
all’esercizio delle funzioni che sarebbero state trasferite agli enti
subentranti, garantendo i rapporti di lavoro in corso.
Nell’eventualità del mancato raggiungimento in sede
di Conferenza unificata dell’accordo circa l’individuazione delle funzioni
oggetto del riordino (previste dal comma 91), ovvero dell’intesa in ordine alla
determinazione dei criteri generali per l’individuazione di quanto contemplato
dal comma 92, al Presidente del Consiglio veniva riconosciuta (dal comma 93) la
possibilità di disporre quanto necessario con riferimento alle funzioni
amministrative delle Province di competenza statale, mentre, in relazione alle
funzioni di competenza delle Regioni, queste avrebbero dovuto dare attuazione,
entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge n. 56 del 2014, all’accordo
relativo all’individuazione delle funzioni da trasferire agli enti subentranti,
prevedendosi che, in difetto, sarebbe stato possibile ricorrere all’esercizio
del potere sostitutivo di cui all’art. 8 della legge n. 131 del 2003 (comma
95), riguardante l’attuazione dell’art. 120 Cost.
Importanza centrale, nel descritto complesso
procedimento di riordino, rivestiva, dunque, l’accordo in Conferenza unificata,
quale accordo-quadro demandato all’individuazione, in primo luogo, del concreto
perimetro delle funzioni fondamentali (comma 85) e, di conseguenza, alla
determinazione delle altre funzioni oggetto di possibile trasferimento. Ed è
sulla base di tale accordo che lo Stato e le Regioni avrebbero dovuto emanare
gli atti di propria competenza, nel rispetto del riparto delle competenze
legislative previsto dalla Costituzione, in modo da ricomporre le funzioni
amministrative, in modo organico, a livello di governo ritenuto adeguato.
Più in dettaglio, l’accordo previsto dal comma 91
avrebbe dovuto:
1) prioritariamente, far confluire nei nuovi
cataloghi di funzioni fondamentali delle Province e delle Città metropolitane
le funzioni amministrative già svolte dalle Province, al fine di salvaguardare l’integrità
di funzionamento degli enti, l’organizzazione del lavoro e l’efficienza dei
servizi, nonché l’equilibrio finanziario, in modo da sostanziare la portata del
comma 85 individuante le funzioni fondamentali residuate (elencate dalla
lettera a alla lettera f);
2) individuare e puntualizzare, di conseguenza,
quali funzioni diverse da quelle fondamentali sarebbero state rimesse alla
legislazione regionale, secondo la competenza per materia prevista dall’art.
117, commi terzo e quarto, Cost. (precisandosi che su tali funzioni l’accordo
avrebbe dovuto comunque garantire che il riordino ad opera delle singole
Regioni non poteva comportare la costituzione di nuovi enti e agenzie);
3) allo stesso modo, individuare le funzioni nelle
materie di competenza legislativa statale, che il d.P.C.m.
attuativo avrebbe dovuto, poi, trasferire.
5.4.− I riportati passaggi procedimentali
risultano, allo stato, peraltro, già attuati, mediante la conclusione
dell’Accordo in Conferenza unificata previsto dal citato comma 91, intervenuto
in data 11 settembre 2014 (anziché entro l’8 luglio 2014, come stabilito dalla
stessa disposizione).
Con tale accordo è stato, in particolare, convenuto
tra lo Stato e le Regioni che:
− ai sensi del comma 89, Stato e Regioni
attribuiscono le funzioni provinciali diverse da quelle fondamentali secondo le
rispettive competenze, per cui lo Stato può e deve provvedere solo per le
funzioni che rientrano nelle materie di propria competenza legislativa
esclusiva, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, Cost. (oltre che per quelle
specificamente a lui attribuite in materia di tutela delle minoranze), mentre
alle Regioni spetta di provvedere per tutte le altre attualmente esercitate
dalle Province (punto 9, lettera a);
− quanto alle funzioni il cui riordino spetta
alle Regioni, Stato e Regioni prendono atto e condividono che le funzioni
attualmente svolte dalle Province che rientrano nelle competenze regionali sono
necessariamente differenziate Regione per Regione. Si concorda a tal fine che
ciascuna Regione provveda a definire l’elenco delle funzioni fondamentali di
cui all’art. 1, comma 85, della legge n. 54 del 2014, e ad operare il riordino
nel rispetto dei principi e secondo le modalità concordati nel presente Accordo
(punto 9, lettera c);
− lo Stato si impegna ad adottare il d.P.C.m. di cui al comma 92 dell’art. 1 della legge, anche
per la parte relativa alle funzioni amministrative degli enti di vasta area di
competenza statale, contestualmente alla sottoscrizione dell’Accordo in sede di
Conferenza unificata, mentre le Regioni si impegnano ad adottare le iniziative
legislative di loro competenza entro il 31 dicembre 2014 (punto 10).
E, proprio in virtù di quest’ultima disposizione, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha adottato in data 26 settembre 2014,
l’apposito decreto per l’individuazione dei criteri fondamentali per la
definizione ed il trasferimento dei beni e risorse connessi alle funzioni
oggetto del riordino (fondamentali e non), oltreché per la mobilità del
personale, garantendosi l’intervento delle associazioni sindacali.
5.5.− In dipendenza dell’attuazione del
complesso procedimento delineato nei commi da 89 a 92 dell’art. 1 della legge
n. 56 del 2014, culminato nell’Accordo sancito nella Conferenza unificata
dell’11 settembre 2014 e seguito dall’emissione del d.P.C.m.
indicato nel comma 92, può ritenersi venuto meno l’interesse delle Regioni
ricorrenti e si può, quindi, dichiarare cessata la materia del contendere sul
complesso motivo in esame, sia in virtù della definizione congiunta delle
competenze (in relazione al processo di riordino) e della loro ripartizione tra
Stato e Regioni in conformità dei titoli di legittimazione stabiliti dalla
Costituzione e delle linee direttrici della stessa legge n. 56 del 2014, sia
avuto riguardo al rispettato principio di leale collaborazione da parte dello
Stato. Atteso che quest’ultimo − proprio al fine di concretizzare il
menzionato procedimento complessivo di riorganizzazione delle funzioni – ne ha
posto in essere la modalità attuativa rispettando il criterio della stipula
dell’Accordo in sede di Conferenza unificata imposto dal comma 91, ispirata
dalla necessaria concertazione con le Regioni, sentite previamente le
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. In tal modo non già agendo
secondo una logica di esercizio di potere unilaterale, bensì di garanzia della
esplicazione in una posizione paritaria del ruolo delle Regioni partecipanti
all’accordo, e così assicurando il rispetto del predetto fondamentale
principio.
5.6.− Non fondata è poi la questione di
costituzionalità riferita all’art. 1, commi 17, 81 e 83, della legge n. 56 del
2014 − sollevata dalla Regione Puglia in relazione agli artt. 114,
secondo comma, e 120, secondo comma Cost. − con riguardo alla denunciata
illegittimità della previsione dell’esercizio del potere sostitutivo
straordinario dello Stato per l’eventualità della mancata realizzazione della
potestà statutaria delle Province e delle Città metropolitane. E ciò in quanto
le norme censurate mirano ad assicurare il necessario principio dell’unità
giuridica su tutto il territorio nazionale (finalità, tra le altre,
esplicitamente contemplata dal secondo comma dell’art. 120 Cost.) con
l’attuazione del nuovo assetto ordinamentale rivisto dalla stessa legge n. 56 del
2014 e perché, in ogni caso, il potere sostitutivo statuale trova il suo
fondamento espresso nella legge, dalla quale risulta la definizione dei
presupposti sostanziali, e costituisce la manifestazione degli interessi
unitari alla cui salvaguardia è propriamente preordinato l’intervento
surrogatorio dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 121 del 2012;
n. 73 e n. 43 del 2004).
Per di più, ove la singola Regione destinataria
dell’esercizio del potere sostitutivo del Governo ritenesse l’illegittimità
dell’iniziativa statale in via sostitutiva siccome compiuta in difetto delle
condizioni normative ed in difformità dei presupposti applicativi statuiti
dalla giurisprudenza costituzionale, potrebbe, a tutela della propria
autonomia, attivare i rimedi giurisdizionali ritenuti adeguati, ivi compreso il
conflitto di attribuzione.
5.7.− Analogamente non fondata è la questione
che attiene alla previsione (sub comma 95) del potere sostitutivo dello Stato
in caso di inerzia delle Regioni rispetto all’attuazione dell’accordo di cui al
comma 91.
E ciò in quanto il procedimento, nel quale si
inserisce un tal censurato potere sostitutivo, trova la sua giustificazione
nell’esigenza di garantire che le attività attualmente svolte dalle Province
siano mantenute in capo ai nuovi enti destinatari, senza soluzione di continuità,
nell’interesse dei cittadini e della comunità nazionale.
6. – Il quarto gruppo di questioni ha ad oggetto:
a) le disposizioni che concernono le «unioni di
comuni», di cui al comma 4 (che li definisce «enti locali costituiti da due o
più comuni per l’esercizio associato di funzioni o servizi di loro competenza»)
ed ai commi 105 e 106 dell’art. 1 della legge impugnata, sulla correlativa
disciplina («L’unione ha potestà statutaria e regolamentare e ad essa si
applicano, in quanto compatibili e non derogati con le disposizioni della legge
recante disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e
fusioni di comuni, i princìpi previsti per l’ordinamento dei comuni, con
particolare riguardo allo status degli amministratori, all’ordinamento finanziario
e contabile, al personale e all’organizzazione»);
b) le disposizioni, di cui ai successivi commi 117,
124, 130 e 133 del medesimo art. 1, che disciplinano i procedimenti di fusione
di più Comuni in un nuovo Comune e di incorporazione di un Comune in altro
contiguo.
6.1.– In particolare, la Regione Campania ha, per un
verso, dedotto il supposto difetto del titolo di competenza in capo allo Stato,
ravvisando − in ordine alla regolamentazione normativa delle Unioni di
Comuni – la sussistenza della competenza regionale residuale in relazione al
disposto dell’art. 117, quarto comma, Cost. e, per altro verso, avuto riguardo
alle censure attinenti al procedimento di fusione tra Comuni (con specifico
riferimento ai commi 22 e 130 dell’art. 1 della legge in questione), ha
denunciato la lesione degli artt. 123, primo comma, e 133, secondo comma,
Cost., sotto il profilo dell’asserita invasione della competenza regionale
nella materia concernente l’istituzione di nuovi enti comunali nell’ambito del
suo territorio (così come la modificazione delle inerenti circoscrizioni o
delle relative denominazioni), da realizzarsi, oltretutto, garantendo la
preventiva audizione delle popolazioni concretamente interessate, e senza
trascurare, altresì, la (ritenuta) violazione della riserva statutaria
regionale in ordine alla disciplina dei referendum riguardanti le leggi ed i
provvedimenti di competenza, per l’appunto, regionale.
La Regione Puglia, dal suo canto, ha dedotto – sia
con riferimento alla disciplina delle Unioni tra Comuni che con riguardo a
quella della fusione tra gli stessi – l’illegittimità delle relative
disposizioni sotto il profilo della ravvisata violazione dell’art. 117, secondo
comma, lettera p), Cost., dovendosi, anche a suo avviso, a proposito di detta
materia, ritenere operativa la competenza regionale residuale prevista dal
medesimo art. 117 al quarto comma.
6.2.− Anche tali questioni sono non fondate.
6.2.1.– Non è ravvisabile, in primo luogo, la
dedotta violazione della competenza regionale con riguardo alle introdotte
nuove disposizioni disciplinatrici delle Unioni di Comuni.
Tali unioni − risolvendosi in forme
istituzionali di associazione tra Comuni per l’esercizio congiunto di funzioni
o servizi di loro competenza e non costituendo, perciò, al di là dell’impropria
definizione sub comma 4 dell’art. 1, un ente territoriale ulteriore e diverso
rispetto all’ente Comune – rientrano, infatti, nell’area di competenza statuale
sub art. 117, secondo comma, lettera p), e non sono, di conseguenza, attratte
nell’ambito di competenza residuale di cui al quarto comma dello stesso art.
117.
Per altro verso, le riferite disposizioni – in
quanto introducono misure semplificatorie volte al contenimento della spesa
pubblica (intervenendo sugli organi, sulla loro composizione, sulla gratuità
degli incarichi e sul divieto di avvalersi di una segreteria comunale) −
oltre che al conseguimento di obiettivi di maggiore efficienza o migliore
organizzazione delle funzioni comunali, riflettono anche principi fondamentali di
coordinamento della finanza pubblica, non suscettibili, per tal profilo, di
violare le prerogative degli enti locali (ex
plurimis, sentenze n. 44 e n. 22 del 2014,
n. 151 del 2012,
n. 237 del 2009).
6.2.2.− Allo stesso modo la disposizione (sub
comma 130) relativa alla fusione di Comuni di competenza regionale non ha ad
oggetto l’istituzione di un nuovo ente territoriale (che sarebbe senza dubbio
di competenza regionale) bensì l’incorporazione in un Comune esistente di un
altro Comune, e cioè una vicenda (per un verso aggregativa e, per altro verso,
estintiva) relativa, comunque, all’ente territoriale Comune, e come tale,
quindi, ricompresa nella competenza statale nella materia «ordinamento degli
enti locali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.
Ed infatti, l’estinzione di un Comune e la sua
incorporazione in un altro Comune incidono sia sull’ordinamento del primo che
del secondo, oltre che sulle funzioni fondamentali e sulla legislazione
elettorale applicabile.
Dal che la non fondatezza, anche in questo caso,
della censura di violazione del titolo di competenza fatto valere dalle
ricorrenti, in prospettiva applicativa del criterio residuale di cui al quarto
comma dell’art. 117 Cost.
Del pari insussistente è, a sua volta, l’ulteriore
violazione degli artt. 123 e 133, secondo comma, Cost. denunciata dalla Regione
Campania, con riferimento al medesimo comma 130 (ed in correlazione con il
precedente comma 22) dell’art. 1 della legge in esame, riguardante il procedimento
di fusione per incorporazione di più Comuni.
Il censurato comma 130 demanda, infatti, la
disciplina del referendum consultivo comunale delle popolazioni interessate
(quale passaggio indefettibile del procedimento di fusione per incorporazione)
proprio alle specifiche legislazioni regionali, rimettendo, peraltro, alle
singole Regioni l’adeguamento delle stesse rispettive legislazioni, onde
consentire l’effettiva attivazione della nuova procedura, sul presupposto che
le disposizioni − di carattere evidentemente generale (e che rimandano,
in ogni caso, alle discipline regionali) − contenute nella legge n. 56
del 2014 non siano, di per sé, esaustive. Per cui non risulta scalfita
l’autonomia statutaria spettante in materia a ciascuna Regione.
7.− La Regione Campania, con l’ultimo motivo
del suo ricorso, ha proposto un’ulteriore, peculiare questione di legittimità
costituzionale del comma 149 − nella parte in cui prevede che «Al fine di
procedere all’attuazione di quanto previsto dall’articolo 9 del decreto-legge 6
luglio 2012, n. 95», il Ministro per gli affari regionali predispone appositi
programmi di attività contenenti modalità operative e altre indicazioni – per
sospetta violazione degli artt. 97, 117, 118, 123 e 136 Cost. e, ciò sul
rilievo che, con la norma censurata, sarebbe stata prevista la "reviviscenza”
del richiamato art. 9 del d.l. n. 95 del 2012, malgrado la sua sopravvenuta
abrogazione per effetto dell’art. 1, comma 562, lettera a), della legge n. 147
del 2013 e la sua intervenuta dichiarazione di parziale illegittimità
costituzionale ad opera della sentenza n. 236 del
2013 (con conseguente violazione del giudicato costituzionale), oltre che per
lesione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite nella materia
«organizzazione amministrativa regionale».
7.1.– Anche tale ultima questione non è fondata.
La norma censurata può essere infatti agevolmente
interpretata, in senso conforme a Costituzione, considerando la finalità
attuativa dell’abrogato art. 9 del d.l. n. 95 del 2012 come inutiliter
in essa enunciata, posto che l’obiettivo, che la norma stessa concorrentemente si pone − quello cioè di
«accompagnare e sostenere l’applicazione degli interventi di riforma della
presente legge» − ne sorregge, di per sé, il contenuto dispositivo: «il
Ministro per gli affari regionali predispone, entro sessanta giorni dalla data
di entrata in vigore della presente legge e senza nuovi o maggiori oneri per la
finanza pubblica, appositi programmi di attività contenenti modalità operative
e altre indicazioni finalizzate ad assicurare, anche attraverso la nomina di
commissari, il rispetto dei termini previsti per gli adempimenti di cui alla
presente legge e la verifica dei risultati ottenuti. Su proposta del Ministro
per gli affari regionali, con accordo sancito nella Conferenza unificata, sono
stabilite le modalità di monitoraggio sullo stato di attuazione della riforma».
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara
l’inammissibilità, per tardività, dell’intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri in relazione al giudizio instaurato con il ricorso (iscritto al n.
39 del 2014) proposto dalla Regione Lombardia;
2) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi 5, 9, 10, 11,
lettere b) e c), 12 e 16, nonché del comma 6, nei sensi di cui in motivazione,
dell’art. 1 della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città
metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), promosse, in
riferimento agli artt. 3, 5, 48, 114, 117, commi secondo, lettera p), e quarto,
della Costituzione, dalle Regioni Veneto e Puglia (rispettivamente, con i
ricorsi n. 42 e n. 44 del 2014);
3) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi 5 e 12, nonché
del comma 6, nei sensi di cui in motivazione, dell’art. 1 della legge n. 56 del
2014, promosse, in riferimento all’art. 133, primo comma, Cost., dalle Regioni
Veneto, Campania e Puglia (rispettivamente, con i ricorsi n. 42, n. 43 e n. 44
del 2014), nonché la questione di legittimità costituzionale dei commi da 12 a
18 dello stesso art. 1 della legge n. 56 del 2014, promossa, dalla sola Regione
Campania (con il ricorso n. 43 del 2014), in riferimento al medesimo art. 133,
primo comma, Cost.;
4) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi 7, 8, 9, 19,
25 e 42 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, promosse, in riferimento agli
artt. 1, 5, 48, 144, e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 3, comma
2, della Carta europea dell’autonomia locale, firmata a Strasburgo il 15
ottobre 1985, ratificata e resa esecutiva con legge 30 dicembre 1989, n. 439),
da tutte le Regioni ricorrenti; nonché dalle sole Regioni Lombardia e Veneto
(con i ricorsi n. 39 e n. 42 del 2014) anche con riferimento agli artt. 3 e 118
Cost. e, soltanto dalla Regione Lombardia (con il ricorso n. 39 del 2014), in
riferimento agli art. 119 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 9
della suddetta Carta europea dell’autonomia locale;
5) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dei commi 17, 81 e 83
dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, promossa, in riferimento agli artt.
114, secondo comma, e 120, secondo comma, Cost., dalla Regione Puglia (con il
ricorso n. 44 del 2014);
6) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale del comma 19 dell’art. 1
della legge n. 56 del 2014, promossa, in riferimento agli artt. 1, 3, 48, 114,
117, primo comma − in relazione all’art. 3, comma 2, della Carta europea
dell’autonomia locale firmata a Strasburgo il 15 ottobre 1985, ratificata e
resa esecutiva con legge 30 dicembre 1989, n. 439 − e 118 Cost., dalla
Regione Lombardia (con il ricorso n. 39 del 2014);
7) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale del comma 22 dell’art. 1
della legge n. 56 del 2014, promossa, in riferimento agli artt. 123, primo
comma, e 133, secondo comma, Cost., dalla Regione Campania (con il ricorso n. 43
del 2014) e limitatamente al solo art. 133, secondo comma, Cost. dalla Regione
Puglia (con il ricorso n. 44 del 2014);
8) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi 54, 55, 56, 58,
59, 60, 67 e 69 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, promosse, in
riferimento agli artt. 1, 3, 5, 48, 114, 117, primo comma − in relazione
all’art. 3, comma 2, della Carta europea dell’autonomia locale −, 118 e
138 Cost., dalle Regioni Lombardia (con il ricorso n. 39 del 2014) e Veneto
(con il ricorso n. 42 del 2014);
9) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi 54, 55, 56,
58, 59, 60, 67 e 69 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, promosse, in
riferimento agli artt. 1, 3, 5, 48, 114, 117, primo comma − in relazione
all’art. 9 della Carta europea dell’autonomia locale −, 118, 119 e 138
Cost., dalla Regione Lombardia (con il ricorso n. 39 del 2014) e dalla Regione
Veneto (con il ricorso n. 42 del 2014);
10) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi 54, 55, 56,
58, 60, 61, 62, 63, 64, 65, 67, 69, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 77, 78 e 79
dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, promosse, in riferimento agli artt. 1,
5, 48, 97, 114, 118, 119 e 120 Cost., dalla Regione Veneto (con il ricorso n.
42 del 2014);
11) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dei commi 57 e 89
dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, promossa, in riferimento agli 117,
commi secondo, lettera p), e quarto, 118, secondo comma, Cost., dalla Regione
Puglia (con il ricorso n. 44 del 2014), nonché la questione di legittimità
costituzionale dei commi 11 e 89 dell’art. 1 della stessa legge n. 56 del 2014,
promossa, in riferimento all’art. 118, primo comma, Cost., dalla medesima
Regione Puglia (con il ricorso n. 44 del 2014);
12) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale del comma 95 dell’art. 1
della legge n. 56 del 2014, promossa, in riferimento agli artt. 3, 97, 114,
117, commi secondo, lettera p), terzo e quarto, 118, secondo comma, 120 e 138
Cost., dalle Regioni Lombardia (con il ricorso n. 39 del 2014), Campania (con
il ricorso n. 43 del 2014) e Puglia (con il ricorso n. 44 del 2014);
13) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dei commi 4, 105 e 106
dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, promossa, in riferimento agli artt.
117, commi secondo, lettera p), e quarto, e 118 Cost., dalla Regione Campania
(con il ricorso n. 43 del 2014), nonché la questione di legittimità
costituzionale degli stessi commi 105, lettere a) e b), e 106 dell’art. 1 della
legge n. 56 del 2014, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera p), e
quarto, Cost., dalla Regione Puglia (con il ricorso n. 44 del 2014);
14) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale del comma 130 dell’art.
1 della legge n. 56 del 2014, promossa, in riferimento agli artt. 123, primo
comma, e 133, secondo comma, Cost., dalla Regione Campania (con il ricorso n.
43 del 2014), nonché la questione di legittimità costituzionale dello stesso
comma 130, promossa, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera p), e
quarto, Cost., dalla Regione Puglia (con il ricorso n. 44 del 2014);
15) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dei commi 117, 124 e 130
(terzo periodo), nonché del comma 133 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014,
promosse, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera p), e quarto,
Cost., dalla Regione Puglia (con il ricorso n. 44 del 2014);
16) dichiara
non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità
costituzionale del comma 149 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, promossa,
in riferimento agli artt. 97, 117, 118, 123 e 136 Cost., dalla Regione Campania
(con il ricorso n. 43 del 2014);
17) dichiara
cessata la materia del contendere in relazione alle questioni di legittimità
costituzionale dei commi 89, 90, 91 e 92 dell’art. 1 della legge n. 56 del
2014, promosse, in riferimento agli artt. 3, 97, 114, 117, commi secondo,
lettera p), terzo e quarto, 118, secondo comma, e 138 Cost., da tutte le
Regioni ricorrenti (con esclusione, da parte della Regione Puglia, del comma
90);
18) dichiara cessata
la materia del contendere in relazione alla questione di legittimità costituzionale
del comma 13 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014, promossa, in riferimento
all’art. 117, commi secondo, lettera p), e quarto, Cost., dalla Regione Puglia
(con il ricorso n. 44 del 2014).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 marzo 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 26 marzo 2015.