SENTENZA N. 184
ANNO 2016
Commento alla decisione di
Giacomo
Delledonne
per g.c. dell’Osservatorio sulle fonti
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giuseppe FRIGO Giudice
- Alessandro CRISCUOLO
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO
”
- Silvana SCIARRA ”
- Nicolò ZANON ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 13, 15, comma 3, 18,
commi 1 e 6, 19, 23 e 31, comma 1, lettera g), della legge
della Regione Toscana 7 gennaio 2015, n. 1 (Disposizioni in materia di
programmazione economica e finanziaria regionale e relative procedure
contabili. Modifiche alla L.R. n. 20/2008), promosso dal Presidente del
Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 12-17 marzo 2015, depositato
in cancelleria il 17 marzo 2015 ed iscritto
al n. 44 del registro ricorsi 2015.
Visto
l’atto di costituzione della Regione Toscana;
udito nell’udienza pubblica del 21 giugno 2016 il Giudice relatore Aldo Carosi;
uditi l’avvocato dello Stato Angelo Venturini per il Presidente del Consiglio
dei ministri e l’avvocato Lucia Bora per la Regione Toscana.
1.– Il
Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 12-17 marzo
2015 e depositato il 17 marzo 2015, iscritto al n. 44 del registro ricorsi
2015, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso
questioni di legittimità costituzionale nei confronti degli artt. 13, 15, comma
3, 18, commi 1 e 6, 19, 23 e 31, comma 1, lettera g), della legge della Regione
Toscana 7 gennaio 2015, n. 1 (Disposizioni in materia di programmazione
economica e finanziaria regionale e relative procedure contabili. Modifiche
alla L. R. n. 20/2008), in riferimento agli artt. 81, 97 e 117, secondo comma,
lettera e), Cost., in relazione agli artt. 38, 39, 42, 43, comma 2, 49 e
agli allegati 4/1, paragrafo 9.2, e 4/2, paragrafo 9.2, del decreto
legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione
dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti
locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio
2009, n. 42), ed alla legge
24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del
pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della
Costituzione).
Il
ricorrente sostiene che il d.lgs. n. 118 del 2011 disciplinerebbe – a garanzia
dell’unitarietà e dell’omogeneità della disciplina contabile dei bilanci
pubblici, ed in particolare di quelli delle Regioni, e per evitare situazioni
patologiche determinate dall’uso di regole contabili non adeguate che
potrebbero avere ripercussioni sul sistema economico nazionale –
l’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle
Regioni, che rientrerebbe nella materia «armonizzazione dei bilanci pubblici»
di potestà legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost. Alle Regioni sarebbe riservata la facoltà di emanare
regolamenti contabili meramente applicativi del d.lgs. n. 118 del 2011.
L’Avvocatura
generale dello Stato afferma che la legge impugnata detterebbe disposizioni in
materia di programmazione economica e finanziaria regionale e relative
procedure contabili. Tra queste, talune costituirebbero applicazione del d.lgs.
n. 118 del 2011, altre riprodurrebbero disposizioni in esso contenute, altre
ancora derogherebbero alle norme del decreto legislativo medesimo.
Il
Presidente del Consiglio dei ministri promuove questioni di legittimità
costituzionale delle disposizioni riproduttive ovvero derogatorie della
disciplina contenuta nel d.lgs. n. 118 del 2011, poiché quelle meramente
applicative sarebbero conformi a quanto ivi previsto.
Quanto alle
norme appartenenti alla seconda tipologia individuata dal ricorrente, gli artt.
13 e 19 della legge reg. Toscana n. 1 del 2015 violerebbero gli artt. 81, 97 e
117, secondo comma, lettera e), Cost., in relazione
agli artt. 38 e 39 del d.lgs. n. 118 del 2011 e alla legge n. 243 del 2012.
In
particolare, l’art. 13 della legge reg. Toscana n. 1 del 2015 dispone che «1.
La Regione, nel rispetto dei principi dettati dall’articolo 38 del D.Lgs. 118/2011, conforma la propria legislazione alle
seguenti tipologie: a) leggi che prevedono spese a carattere continuativo e non
obbligatorio, determinando gli obiettivi da raggiungere, le procedure da
seguire e le caratteristiche dei relativi interventi regionali; b) leggi che
dispongono spese a carattere pluriennale; c) leggi che prevedono spese a
carattere obbligatorio che definiscono l’attività e gli interventi regionali in
modo tale da predeterminarne indirettamente l’ammontare dei relativi
stanziamenti attraverso il riconoscimento a terzi del diritto ad ottenere
prestazioni finanziarie o mediante la creazione di automatismi di spesa; d)
leggi che istituiscono o sopprimono entrate regionali oppure ne variano il
gettito, disciplinando diversamente i relativi elementi costitutivi. 2. Le
leggi di cui al comma 1, lettera a), stabiliscono direttamente l’ammontare
delle spese per ciascuno degli anni considerati nel bilancio di previsione, da
intendersi come limite massimo, indicandone in termini di competenza la
relativa copertura, e rinviano alla legge di bilancio la quantificazione
dell’onere per gli esercizi successivi. 3. Le leggi di cui al comma 1, lettera
b), determinano l’ammontare complessivo della spesa, da intendersi come limite
massimo, nonché la quota eventualmente a carico del bilancio in corso e degli
esercizi successivi, e ne indicano in termini di competenza la relativa copertura.
4. Le leggi di cui al comma 1, lettera c), quantificano l’onere annuale
previsto per ciascuno degli esercizi compresi nel bilancio di previsione,
nonché l’onere a regime, e ne indicano in termini di competenza la relativa
copertura. 5. Le leggi di cui al comma 1, lettera d), quantificano gli effetti
che, nei singoli esercizi ed a regime, saranno presuntivamente prodotti dalle
relative disposizioni e ne indicano in termini di competenza la relativa
copertura». L’art. 19 della medesima legge regionale prevede che «1. La Giunta
regionale approva il bilancio finanziario gestionale, articolato in capitoli ed
eventualmente in articoli. 2. I capitoli riguardano l’oggetto dell’entrata o
della spesa e sono raccordati al quarto livello del piano dei conti di cui
all’articolo 4 del D.Lgs. 118/2011. I capitoli di
entrata sono costruiti in modo da mantenere distinte le entrate con vincolo di
destinazione. I capitoli di spesa sono articolati in modo da mantenere distinte
le spese a carattere vincolato o obbligatorio ed in modo da assicurare la
ripartizione delle risorse fra i centri di responsabilità amministrativa. 3.
L’assegnazione delle risorse finanziarie ai dirigenti titolari dei centri di
responsabilità amministrativa è effettuata in conformità a quanto disposto
dalla legge regionale 8 gennaio 2009, n. 1 (Testo unico in materia di
organizzazione e ordinamento del personale). 4. Le variazioni del bilancio
finanziario gestionale nonché i prelevamenti dai fondi di riserva e dai fondi
speciali, sono disposte dalla Giunta regionale. 5. È fatta salva la competenza
del dirigente competente in materia di bilancio in ordine all’istituzione delle
tipologie di entrata con stanziamento a zero di cui all’articolo 51, comma 6,
lettera b), del D.Lgs. 118/2011, nonché alle variazioni
relative alle partite di giro e alle operazioni per conto di terzi».
A giudizio
del ricorrente l’art. 13 (in materia di legislazione regionale concernente gli
strumenti di programmazione finanziaria) e l’art. 19 (rubricato «Bilancio
finanziario gestionale e variazione») della legge reg. Toscana n. 1 del 2015
riprodurrebbero in parte le disposizioni già contenute rispettivamente negli
artt. 38 e 39 del d.lgs. n. 118 del 2011, ma sarebbero formulate in maniera
poco chiara sia nella forma che nelle implicazioni finali rispetto alla
normativa statale e per tale ragione interferirebbero con la disciplina
contenuta nella citata fonte statale ed ingenererebbero una situazione di
incertezza.
Il d.lgs.
n. 118 del 2011 avrebbe la finalità di consentire il consolidamento dei conti
pubblici, come previsto dalla legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in
materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della
Costituzione) e dalla legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e
finanza pubblica). Anche la legge n. 243 del 2012, che detta disposizioni per
l’attuazione del principio del pareggio del bilancio ai sensi dell’art. 81,
sesto comma, Cost. richiederebbe un linguaggio comune
per gli enti territoriali.
Tale
esigenza sarebbe connessa all’attuazione del principio dell’equilibrio del
bilancio ed alla sostenibilità del debito pubblico, che trova espressione
nell’art. 97, primo comma, Cost., in relazione agli
obblighi derivanti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea.
Riguardo
alle disposizioni regionali appartenenti alla terza tipologia, l’Avvocatura
generale dello Stato sostiene che gli artt. 15, comma 3, 18, commi 1 e 6, 23 e
31, comma 1, lettera g), della legge reg. Toscana n. 1 del 2015 sarebbero
costituzionalmente illegittime per violazione degli artt. 81, 97 e 117, secondo
comma, lettera e), Cost., in relazione agli artt. 42,
43, comma 2, 49 ed agli allegati 4/1, paragrafo 9.2, e 4/2, paragrafo 9.2, del
d.lgs. n. 118 del 2011.
In
particolare, l’art. 15 della legge impugnata prevede che «1. L’elenco dei nuovi
provvedimenti legislativi finanziabili con i fondi speciali è allegato alla
legge di bilancio. 2. L’elenco di cui al comma 1, è articolato in specifiche
partite, ciascuna delle quali indica l’oggetto del provvedimento e,
distintamente per la parte corrente e per quella in conto capitale, le somme
destinate alla copertura finanziaria sui singoli esercizi considerati dal
bilancio di previsione. 3. Nel corso dell’esercizio le disponibilità dei fondi
speciali possono essere utilizzate anche per fornire la copertura a
provvedimenti legislativi non ricompresi nell’elenco di cui al comma 1, a
condizione che il provvedimento da coprire indichi gli interventi inseriti
nell’elenco ai quali viene sottratta la relativa copertura. 4. È precluso
l’impiego di accantonamenti dei fondi speciali finanziati con risorse di conto
capitale per iniziative di parte corrente».
Il citato
art. 15, consentendo il ricorso ai fondi speciali per finanziare anche
provvedimenti legislativi diversi da quelli previsti in via generale dalla
disciplina nazionale in materia dall’art. 49 del d.lgs. n. 118 del 2011,
esorbiterebbe dai limiti della potestà legislativa regionale ed integrerebbe
una violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
L’art. 18,
comma 1, della legge reg. Toscana n. 1 del 2015 stabilisce che «1. Entro il 31
ottobre di ogni anno, la Giunta regionale presenta al Consiglio regionale la
proposta di legge di bilancio, la proposta di legge di stabilità e le eventuali
proposte di legge ad essa collegate».
Tale
disposizione, a giudizio del ricorrente, contrasterebbe con il principio
contabile applicato di cui all’allegato 4/1, paragrafo 9.2, del d.lgs. n. 118 del
2011 concernente la programmazione di bilancio, in base al quale la Giunta
dovrebbe provvedere all’approvazione delle suddette proposte di legge entro il
31 ottobre di ogni anno, ma, in ogni caso, non oltre trenta giorni dalla
presentazione del bilancio dello Stato.
Il
successivo comma 6 del medesimo art. 18 dispone che «L’esercizio provvisorio è
autorizzato dal Consiglio regionale con legge proposta dalla Giunta regionale,
per un periodo non superiore a quello stabilito dallo Statuto».
Tale
disposizione sarebbe difforme rispetto a quanto stabilito dall’art. 43, comma
2, del d.lgs. n. 118 del 2011, ai sensi del quale l’esercizio provvisorio del
bilancio non potrebbe, in alcun caso, essere concesso per periodi
complessivamente superiori a quattro mesi.
L’art. 23
della legge reg. Toscana n. 1 del 2015 prevede che «1. Nei casi di assegnazioni
comunitarie e statali con vincolo di destinazione, la Regione può stanziare
somme eccedenti quelle assegnate, ferme restando, per le spese relative a
funzioni delegate, le disposizioni statali che disciplinano tali funzioni. 2.
La Regione, qualora abbia impegnato in un esercizio spese eccedenti le risorse
ad essa assegnate dallo Stato con vincolo di destinazione, ha facoltà di
compensare tali maggiori spese con minori stanziamenti per lo stesso scopo nei
due esercizi immediatamente successivi. Nei bilanci relativi a tali esercizi,
le assegnazioni statali per scopi già soddisfatti con i finanziamenti
aggiuntivi regionali sono sottratte alla loro destinazione. Analoga facoltà
riguarda le assegnazioni ricevute da altri soggetti, salvo che ciò sia
espressamente escluso dalla disciplina dei relativi rapporti».
Dettando
norme in materia di risorse di origine comunitaria e statale con vincolo di
destinazione ed ipotizzando casistiche di impegni di risorse non contemplate
dalla normativa statale, la disposizione derogherebbe alle prescrizioni
dell’art. 42 del d.lgs. n. 118 del 2011 ed al principio contabile applicato
concernente la contabilità finanziaria, di cui all’allegato 4/2, paragrafo 9.2,
del decreto legislativo stesso. Tale deroga costituirebbe un’ulteriore
violazione della competenza esclusiva statale in materia di armonizzazione dei
bilanci pubblici.
L’art. 31,
comma l, lettera g), della legge impugnata dispone che «1. Con regolamento
della Giunta regionale, nel rispetto di quanto previsto dal D.Lgs.
118/2011 e dai principi contabili generali ed applicati ad esso allegati, sono
disciplinate tra l’altro: […] g) le modalità per la gestione delle aperture di
credito, delle casse economali, delle altre spese di minuto importo, nonché la
disciplina degli agenti della riscossione […]».
Secondo il
Presidente del Consiglio dei ministri, detta disposizione, rinviando ad un
regolamento della Giunta regionale la disciplina delle modalità per la gestione
delle aperture di credito, si porrebbe in contrasto con la normativa statale,
dal momento che il d.lgs. n. 118 del 2011 non prevedrebbe tale forma di
gestione della spesa la quale, pertanto, non potrebbe essere prevista e disciplinata
dall’ordinamento contabile regionale.
2.– Si è costituita in giudizio la Regione Toscana, con atto depositato il 16
aprile 2015, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque,
infondato.
La difesa
regionale ricorda come la legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1
(Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta
costituzionale), che ha modificato l’art. 117 Cost.,
nell’introdurre il principio del pareggio di bilancio, abbia scorporato la
materia «armonizzazione dei bilanci pubblici» da quella del «coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario». La prima sarebbe stata
attratta nell’ambito delle materie di potestà legislativa esclusiva dello Stato
contemplate nel secondo comma del citato art. 117 Cost.;
la seconda sarebbe, invece, rimasta all’interno dell’elenco delle materie di
legislazione concorrente ai sensi del successivo terzo comma del medesimo
articolo. A seguito della riferita modifica costituzionale, secondo la Regione,
le due materie, in passato considerate dalla giurisprudenza costituzionale come
un’endiade, in quanto legate da un nesso funzionale
(si citano le sentenze
n. 70 del 2012, n. 326 del 2010,
n. 156 del 2010
e n. 17 del 2004),
ora dovrebbero essere interpretate in modo da assicurare gli spazi di autonomia
costituzionale riconosciuti agli enti regionali.
Per quanto
attiene al «coordinamento della finanza pubblica», viene menzionata dalla
Regione la giurisprudenza costituzionale che ha ricondotto a tale ambito i vincoli
alle politiche di bilancio degli enti regionali, vincoli che, per essere
rispettosi della predetta autonomia, dovrebbero costituire un «limite
complessivo, che [lasci] agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle
risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (si citano le sentenze n. 139 del
2012, n. 182
del 2011 e n.
297 del 2009).
La materia
«armonizzazione dei bilanci pubblici», invece, secondo la difesa regionale,
andrebbe individuata tenendo conto degli approfondimenti della scienza
economica e finanziaria, secondo cui, con la citata espressione, si
intenderebbe la definizione di schemi di bilancio e regole contabili uniformi,
nonché di criteri di valutazione con indicatori omogenei, chiari e misurabili,
al fine di consentire la comparazione dei bilanci e di esercitare un’efficace azione
di monitoraggio e controllo per assicurare il pareggio di bilancio introdotto
nell’art. 81 Cost. dalla riforma costituzionale del
2012. Ne consegue, a giudizio della Regione, che le norme impugnate non
sarebbero riconducibili alla materia «armonizzazione dei bilanci pubblici».
In
particolare, nell’atto di costituzione la Regione evidenzia che le censure
rivolte agli artt. 13 e 19 della reg. Toscana n. 1 del 2015 sarebbero
inammissibili per genericità, poiché non verrebbero in alcun modo argomentate
le ragioni dell’eccepita «riformulazione poco chiara» delle norme statali da
parte delle norme regionali. In ogni caso, la censura sarebbe infondata, perché
le norme regionali non ingenererebbero alcuna incertezza o confusione,
riprendendo fedelmente le disposizioni contenute nella legge statale. Secondo
la resistente, dal raffronto tra l’art. 13 della legge regionale impugnata e
l’art. 38 del d.lgs. n. 118 del 2011 emergerebbe come la norma censurata
riproduca fedelmente le tipologie di spesa indicate dalla legge statale,
aggiungendo solamente l’ipotesi di leggi che istituiscono o sopprimono entrate
regionali o ne variano l’ammontare. Questo non ingenererebbe alcuna confusione,
poiché la Regione Toscana potrebbe istituire entrate proprie con legge ai sensi
degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost.
L’art. 13
della legge reg. Toscana n. 1 del 2015 conterrebbe addirittura disposizioni di
maggior rigore rispetto a quelle di cui al d.lgs. n. 118 del 2011. La
disposizione sarebbe, infatti, finalizzata ad evitare di giungere alla legge
annuale di bilancio senza una preventiva ponderazione delle spese necessarie
per dare attuazione alle singole leggi, richiedendo che si stabilisca la
quantificazione e la copertura delle spese a priori, piuttosto che a
posteriori, quando potrebbe non essere più possibile gestirle, con il rischio
di compromettere l’equilibrio di bilancio imposto dall’art. 81 Cost. La
previsione sarebbe, quindi, in linea con quanto affermato da questa Corte in
relazione alla necessaria indicazione della copertura da parte delle leggi
regionali che comportino implicazioni finanziarie (si citano le sentenze n. 26 del
2013, n. 115
e n. 70 del 2012),
nonché con quanto affermato dalla Corte dei conti, sezioni riunite, con la
deliberazione 18 febbraio 2014, n. 1 (Relazione quadrimestrale sulla tipologia
delle coperture finanziarie adottate e sulle tecniche di quantificazione degli
oneri – Settembre-Dicembre 2013).
La
disposizione impugnata non violerebbe le norme costituzionali evocate dalla
difesa erariale, perché non riguarderebbe la materia dell’armonizzazione dei
bilanci, né inciderebbe sull’equilibrio di bilancio, ma rientrerebbe nella
potestà legislativa riconosciuta alle Regioni sia in materia di «coordinamento
della finanza pubblica», ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., sia in materia di autonomia organizzativa, ai sensi
dell’art. 117, quarto comma, Cost.
L’art. 19
della legge reg. Toscana n. 1 del 2015 si riferirebbe solo al bilancio
gestionale e non a ciò che è a monte di tale bilancio (documento tecnico di
accompagnamento e bilancio di previsione finanziario). Sarebbe, inoltre,
pienamente conforme all’art. 39, comma 10, del d.lgs. n. 118 del 2011 – il
quale rimetterebbe a ciascun ordinamento contabile delle Regioni la definizione
delle modalità di ripartizione delle disponibilità finanziarie in capitoli, con
assegnazione di responsabilità ai dirigenti – nonché all’art. 4 del d.lgs. n.
118 del 2011. Per tali motivi la censura sarebbe inammissibile o, comunque,
infondata.
Per quanto
riguarda l’art. 15, comma 3, della legge impugnata, concernente i fondi
speciali, secondo la difesa regionale il contrasto con la disposizione
contenuta nell’art. 49 del d.lgs. n. 118 del 2011 sarebbe insussistente. Tale
norma sarebbe finalizzata non a disciplinare un trattamento contabile delle
somme accantonate nei fondi speciali diverso da quello di cui all’art. 49,
comma 2, del d.lgs. 118 del 2011, ma a consentire un certo grado di
flessibilità nell’utilizzo dei fondi stessi, prevedendo la possibilità di
utilizzare le somme accantonate anche per provvedimenti legislativi
originariamente non inseriti nell’apposito elenco richiesto dall’art. 15, comma
1, del citato decreto legislativo. Non sussisterebbe, quindi, alcun contrasto
con la disposizione contenuta nell’art. 49 del d.lgs. n. 118 del 2011, con
conseguente infondatezza della censura.
In ordine
all’art. 18, comma 1, della legge reg. Toscana n. 1 del 2015, la difesa
regionale afferma che soltanto per una mera omissione materiale non sarebbe
stata riprodotta l’ulteriore dizione «in ogni caso non oltre trenta giorni
dalla presentazione del disegno di bilancio dello Stato». La resistente
sostiene che la norma avrebbe carattere meramente procedurale, in quanto
riguarderebbe il procedimento di adozione della legge di stabilità, delle leggi
collegate e della legge di bilancio e rispetterebbe il termine finale posto dal
legislatore statale. La difesa regionale afferma che, in ogni caso, la norma
non inciderebbe sulla materia «armonizzazione dei bilanci pubblici», perché non
riguarderebbe la struttura dello schema di bilancio e la gestione del medesimo,
rispettando al contempo il termine finale posto dal legislatore statale.
Con
riguardo al successivo comma 6 del medesimo art. 18, la resistente chiarisce
che la disposizione, in combinato con l’art. 49, secondo comma, dello statuto
della Regione Toscana, consentirebbe l’esercizio provvisorio per un periodo più
breve (tre mesi) rispetto a quello stabilito dalla legislazione statale
(quattro mesi). La norma regionale sarebbe quindi più restrittiva e non
risulterebbe pertanto lesiva dei principi stabiliti nell’ambito del
coordinamento della finanza pubblica.
La censura
rivolta nei confronti dell’art. 23 della legge reg. Toscana n. 1 del 2015
sarebbe, a parere della Regione, inammissibile per genericità, non essendo
adeguatamente motivata nel ricorso. In ogni caso essa non sarebbe fondata,
perché la norma, finalizzata a consentire l’avvio di programmi già determinati
nell’esercizio in corso, consentirebbe lo stanziamento di risorse regionali per
la realizzazione di programmi finanziati con risorse statali o comunitarie.
Tale stanziamento della Regione costituirebbe una mera anticipazione
dell’assegnazione statale e comunitaria da recuperare nei due esercizi
successivi. La norma non violerebbe, quindi, le prescrizioni del d.lgs. n. 118
del 2011, né i principi contabili in esso contenuti, in quanto sarebbe
rispettosa del principio di integrità del bilancio, del vincolo di destinazione
dei fondi e dei volumi complessivi del programma, che resterebbero inalterati.
Per quanto
riguarda, infine, l’art. 31, comma l, lettera g), della legge reg. Toscana n. 1
del 2015, secondo la difesa regionale le censure mosse dal ricorrente non
sarebbero fondate. A livello statale, l’apertura di credito sarebbe
disciplinata dall’art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 20 aprile
1994, n. 367 (Regolamento recante semplificazione e accelerazione delle
procedure di spesa e contabili), che ne avrebbe liberalizzato l’uso,
consentendone l’effettuazione da parte dei dirigenti per il pagamento di determinate
spese. Pertanto l’ordinamento contabile dello Stato prevederebbe
che il pagamento delle spese iscritte in bilancio e liquidate possa avvenire
con aperture di credito a favore di funzionari delegati. L’istituto sarebbe
dunque ammesso e, nel rispetto dei principi statali, potrebbe essere
disciplinato nell’ordinamento contabile regionale.
Da ultimo,
la Regione sostiene che l’istituto dell’apertura di credito o accreditamento
non sarebbe attinente alla materia «armonizzazione dei bilanci pubblici», non incidendo
in alcun modo sulla definizione degli schemi di bilancio e delle regole
contabili uniformi.
3.– Con
successiva memoria la Regione Toscana, riprendendo le argomentazioni già
esposte nell’atto di costituzione, sostiene che le norme impugnate non violerebbero
gli artt. 81 e 97 Cost., né la competenza legislativa statale in materia di
armonizzazione dei bilanci pubblici di cui all’art. 117, secondo comma, lettera
e), Cost., né le finalità di omogeneità dei sistemi contabili alle quali la
stessa sarebbe preordinata, limitandosi ad attuare nell’ordinamento regionale
le medesime disposizioni contabili e restando nel limite delle competenze
regionali in materia di coordinamento della finanza pubblica.
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei
ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13,
15, comma 3, 18, commi 1 e 6, 19, 23 e 31, comma 1, lettera g), della legge
della Regione Toscana 7 gennaio 2015, n. 1 (Disposizioni in materia di
programmazione economica e finanziaria regionale e relative procedure
contabili. Modifiche alla L. R. n. 20/2008), in riferimento agli artt. 81, 97 e
117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, in relazione agli artt. 38,
39, 42, 43, comma 2, 49 e agli allegati 4/1, paragrafo 9.2, e 4/2, paragrafo
9.2, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di
armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni,
degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della
legge 5 maggio 2009, n. 42), ed alla legge 24 dicembre 2012, n. 243
(Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi
dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione).
1.1.– In via preliminare, il ricorrente sostiene che «La materia contabile non
[sarebbe] nella disponibilità legislativa delle Regioni, alle quali [sarebbe]
riservata la facoltà di emanare regolamenti contabili meramente applicativi del
d.lgs. n. 118 del 2011». Ciò in ossequio all’art. 117, secondo comma, lettera
e) Cost. – in relazione al d.lgs. n. 118 del 2011 – che riserva la materia
«armonizzazione dei bilanci pubblici» alla potestà legislativa esclusiva allo
Stato.
Il
richiamato precetto costituzionale sarebbe posto «a garanzia dell’unitarietà
della disciplina contabile dei bilanci pubblici e, più in particolare, di
quelli delle Regioni, che, in passato, in applicazione del d.lgs. n. 76 del
2000, [avrebbero] normato la materia contabile ciascuna con propria legge regionale,
creando la disomogeneità dei sistemi contabili che [avrebbe avuto] pesanti
ricadute anche sul sistema economico nazionale [provocate dall’uso] di regole
contabili non adeguate».
Secondo tale
prospettazione, l’intera legge reg. Toscana n. 1 del 2015 sarebbe
costituzionalmente illegittima per violazione della competenza prevista
dall’invocato art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Successivamente,
tuttavia, il ricorrente ha impugnato singoli articoli della legge regionale in
questione, distinguendo tra: disposizioni meramente applicative del d.lgs. n.
118 del 2011, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2014, n. 126
(Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 23 giugno 2011,
n. 118, recante disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili
e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro
organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42), le
quali non sarebbero lesive di precetti costituzionali; disposizioni
riproduttive del suddetto d.lgs. n. 118 del 2011; disposizioni derogatorie del
medesimo. Soltanto le disposizioni ricadenti nella seconda e nella terza
categoria sono oggetto d’impugnazione.
1.2.– Seguendo tale impostazione, il Presidente del Consiglio censura gli artt.
13 e 19 della legge reg. Toscana n. 1 del 2015 per violazione degli artt. 81,
97 e 117, secondo comma, lettera e), Cost., del d.lgs. n. 118 del 2011 e della
legge n. 243 del 2012. Le norme impugnate riprodurrebbero quelle già contenute
nel d.lgs. n. 118 del 2011 ma «in maniera poco chiara sia nella forma che nelle
implicazioni finali […]. L’art. 13 [riprodurrebbe] quanto disposto dall’art. 38
del d.lgs. n. 118 del 2011, mentre l’art. 19 (Bilancio finanziario gestionale e
variazione) […] quanto previsto dall’art. 39 (soprattutto comma 10 e ss.) del
citato d.lgs. n. 118 del 2011».
1.3.– Il ricorrente impugna, altresì, l’art. 15, comma 3, della legge reg.
Toscana n. 1 del 2015 «per violazione degli articoli 81, 97 e 117, comma 2, lett. e) della Costituzione, del D.Lgs.
23/06/2011, n. 118 e della L. 24/12/2012, n. 243».
Il citato
art. 15 – nel prevedere che alla legge di bilancio venga allegato l’elenco dei
provvedimenti legislativi che possono essere finanziati con i fondi speciali e
che nel corso dell’esercizio finanziario le disponibilità dei fondi speciali
possano essere utilizzate anche per fornire la copertura a quelli non
ricompresi nel summenzionato elenco, a condizione che il provvedimento da
coprire indichi gli interventi inseriti nell’elenco cui viene sottratta la
relativa copertura – contrasterebbe con l’art. 49 del d.lgs. n. 118 del 2011.
Quest’ultimo dispone che nel bilancio regionale possono essere iscritti uno o
più fondi speciali, destinati a far fronte agli oneri derivanti da
provvedimenti legislativi regionali che si perfezionino dopo l’approvazione del
bilancio, e che tali fondi non sono utilizzabili per l’imputazione di atti di
spesa, ma solo ai fini del prelievo di somme da iscrivere in aumento alle
autorizzazioni di spesa dei programmi esistenti o dei nuovi programmi, dopo
l’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che autorizzano le spese
medesime.
Quindi,
secondo la prospettazione del Presidente del Consiglio, i fondi speciali
dovrebbero essere tenuti distinti a seconda che siano destinati al
finanziamento di spese correnti o di spese in conto capitale, mentre le quote
non utilizzate dovrebbero costituire economie di spesa.
La legge
regionale impugnata, nel permettere, con l’art. 15, comma 3, censurato, il
ricorso ai fondi speciali al fine di finanziare anche provvedimenti legislativi
diversi da quelli previsti in via generale ed in applicazione della disciplina
nazionale in materia, esorbiterebbe dai limiti della potestà legislativa
regionale.
1.4.– In riferimento agli stessi parametri evocati a proposito dell’art. 15
della legge reg. Toscana n. 1 del 2015 viene censurato il successivo art. 18,
comma 1, il quale dispone che entro il 31 ottobre di ogni anno la Giunta
regionale presenti al Consiglio regionale la proposta di legge di bilancio, la
proposta di legge di stabilità e le eventuali proposte di legge ad essa
collegate. Tale disposizione contrasterebbe con il principio contabile
contenuto nell’allegato 4/1, paragrafo 9.2, del d.lgs. n. 118 del 2011, il
quale prevede che la Giunta approvi le proposte in materia di programmazione di
bilancio entro il 31 ottobre di ogni anno ma, in ogni caso, non oltre trenta
giorni dalla presentazione del disegno di bilancio dello Stato. Al contrario,
la norma regionale prescriverebbe l’unica scadenza del 31 ottobre di ogni anno.
1.5.– Il comma 6 dello stesso art. 18 viene impugnato per difformità rispetto a
quanto previsto dal comma 2 dell’art. 43 (Esercizio provvisorio e gestione
provvisoria) del d.lgs. n. 118 del 2011. La norma interposta dispone che
l’esercizio provvisorio del bilancio non possa, in nessun caso, essere concesso
per periodi complessivamente superiori a quattro mesi, mentre la disposizione
regionale stabilisce che «L’esercizio provvisorio è autorizzato dal Consiglio
regionale con legge proposta dalla Giunta regionale, per un periodo non
superiore a quello stabilito dallo Statuto», vale a dire tre mesi.
1.6.– Il
Presidente del Consiglio sostiene inoltre che l’art. 23 della legge reg.
Toscana n. l del 2015 prevederebbe, in materia di
risorse di origine comunitaria e statale con vincolo di destinazione,
un’illegittima deroga rispetto a quanto disposto dall’art. 42 del d.lgs. n. 118
del 2011 e dal principio contabile di cui all’allegato 4/2, paragrafo 9.2, del
decreto legislativo stesso, ipotizzando casistiche di impegni di risorse
assegnate dallo Stato con vincolo di destinazione non contemplate dalla
normativa statale.
1.7.– L’impugnato art. 31, comma l, lettera g), della legge reg. Toscana n. 1
del 2015, infine, demanda al regolamento di attuazione, che dovrà essere
adottato dalla Giunta regionale, la disciplina delle modalità per la gestione
delle aperture di credito.
Secondo il
Presidente del Consiglio anche tale disciplina sarebbe illegittima in quanto
non prevista dal d.lgs. n. 118 del 2011.
2.– Deve rilevarsi, in via preliminare, che le questioni proposte nel presente
giudizio, per la molteplicità degli interessi coinvolti e degli oggetti
implicati, non sono riferibili ad un unico ambito materiale. Per questo motivo
è necessario individuare i criteri guida per scrutinare le censure dello Stato
nei confronti delle norme impugnate.
Questa
Corte ha già avuto modo di affermare che esistono alcuni complessi normativi i
quali «non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda
dell’oggetto al quale afferiscono» (sentenza n. 303 del
2003) e pertanto possono essere ascritti, di volta in volta, a potestà
legislative statali o regionali.
In questa
area dai confini di complessa identificazione si colloca la legge regionale
impugnata che, in un ambito finanziario astrattamente riferibile a più
interessi costituzionali protetti, trova la sua ragione nella disciplina di
specifiche prerogative dell’ente territoriale e nella "omogeneizzazione” di
dette prerogative attraverso modalità di "espressione contabile” le quali
devono essere compatibili con le regole indefettibili poste a tutela della
finanza pubblica, in attuazione di una pluralità di precetti costituzionali.
2.1.–
Venendo ad un esame concreto del fenomeno di interrelazione tra i diversi
parametri costituzionali che caratterizza il presente giudizio, occorre
sottolineare come il Presidente del Consiglio, pur avendone evocati alcuni,
sviluppi le proprie argomentazioni soprattutto in riferimento alla
«armonizzazione dei bilanci pubblici» ed al d.lgs. n. 118 del 2011, il quale –
come evidenziato dall’intitolazione – si occupa dell’armonizzazione dei sistemi
contabili e degli schemi di bilancio degli enti territoriali.
Gli altri
parametri invocati (artt. 81 e 97 Cost.) assumono nell’ambito del ricorso un
ruolo recessivo, il quale condurrebbe – sotto gli specifici profili di riferimento
– ad una declaratoria di inammissibilità per insufficienza di motivazione se
l’interdipendenza delle materie coinvolte ed il carattere espansivo del d.lgs.
n. 118 del 2011 non ponessero in luce la loro obiettiva rilevanza attraverso
l’intreccio polidirezionale delle competenze statali
e regionali in una sequenza dinamica e mutevole della legislazione.
Quest’ultima trova il suo epilogo proprio nel suddetto decreto, il quale – come
successivamente precisato – non contiene disposizioni ispirate soltanto all’armonizzazione
dei bilanci ma anche agli altri parametri richiamati nel ricorso nonché al
coordinamento della finanza pubblica.
In questa
prospettiva occorre ricordare che l’armonizzazione dei bilanci pubblici è
finalizzata a realizzare l’omogeneità dei sistemi contabili per rendere i
bilanci delle amministrazioni aggregabili e confrontabili, in modo da
soddisfare le esigenze informative connesse a vari obiettivi quali la
programmazione economico–finanziaria, il coordinamento della finanza pubblica, la
gestione del federalismo fiscale, le verifiche del rispetto delle regole
comunitarie, la prevenzione di gravi irregolarità idonee a pregiudicare gli
equilibri dei bilanci.
Rispetto
alle altre competenze legislative dello Stato in materia finanziaria in questa
sede evocate, può dirsi che l’armonizzazione – ancorché finalizzata a rendere i
documenti contabili delle amministrazioni pubbliche omogenei e confrontabili –
dopo la legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo
fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), e la legge
costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di
bilancio nella Carta costituzionale), che ne ha sancito il passaggio dalla
competenza concorrente a quella esclusiva dello Stato, ha assunto gradualmente
una sua fisionomia più ampia e rigorosa attraverso la legislazione ordinaria ed
in particolare, per quel che riguarda gli enti territoriali, il d.lgs. n. 118
del 2011.
Il nesso di
interdipendenza che lega l’armonizzazione alle altre materie, e la conseguente
profonda e reciproca compenetrazione, hanno comportato che proprio in sede di
legislazione attuativa si sia verificata un’espansione della stessa
armonizzazione ad ambiti di regolazione che si pongono nell’alveo di altri
titoli di competenza, nominati ed innominati. In sostanza, la stretta
compenetrazione degli ambiti materiali ha reso inseparabili alcuni profili di
regolazione.
Così, a
titolo esemplificativo, si può affermare che l’armonizzazione si colloca contemporaneamente
in posizione autonoma e strumentale rispetto al coordinamento della finanza
pubblica: infatti, la finanza pubblica non può essere coordinata se i bilanci
delle amministrazioni non hanno la stessa struttura e se il percorso di
programmazione e previsione non è temporalmente armonizzato con quello dello
Stato (peraltro di mutevole configurazione a causa della cronologia degli
adempimenti imposti in sede europea). Analogamente, per quel che riguarda la
tutela degli equilibri finanziari, il divieto di utilizzare fondi vincolati
prima del loro accertamento risponde alla finalità di evitare che ciò crei
pregiudizio alla finanza pubblica individuale ed allargata.
Ed in
effetti nelle censure mosse in relazione al d.lgs. n. 118 del 2011, quale norma
interposta, vengono richiamate disposizioni ascrivibili, sotto il profilo
teleologico, sia al coordinamento della finanza pubblica, sia alla disciplina
degli equilibri di bilancio di cui all’art. 81 Cost.,
sia al principio del buon andamento finanziario e della programmazione di cui
all’art. 97 Cost. (sul collegamento tra buon andamento
finanziario e programmazione, sentenze n. 129
e n. 10 del 2016).
2.2.– Dunque, è proprio in virtù di questa sequenza dinamica e mutevole che
caratterizza la legislazione afferente alla tutela degli interessi finanziari,
ambito connotato dall’intreccio di competenze trasversali, concorrenti e
residuali, che le censure del Presidente del Consiglio raggiungono,
indipendentemente dalla loro fondatezza, di cui si dirà, un livello di
definizione utile a superare il vaglio di ammissibilità.
Ai fini
della presente decisione occorre anche tener conto del fatto che la
programmazione economica e finanziaria regionale, le relative procedure
contabili e l’attuazione in sede locale dei principi di coordinamento della
finanza pubblica si inseriscono in un ambito normativo particolarmente
complesso, il quale – sul versante della Regione – impinge
nella potestà legislativa concorrente di cui al terzo comma dell’art. 117
Cost., in quella residuale del successivo quarto comma del medesimo articolo e
nell’autonomia finanziaria garantita dall’art. 119 Cost. Non rileva in tale
prospettiva il problema se sia configurabile – in simmetria con la funzione
«sistema contabile dello Stato» prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera
e), Cost. – una potestà legislativa residuale della Regione definibile come
«sistema contabile regionale» riconducibile al quarto comma del medesimo art.
117 Cost.; quel che è certo è che non può essere
disconosciuta la potestà di esprimere nella contabilità regionale, pur nel
rispetto dei vincoli statali, le peculiarità connesse e conseguenti
all’autonomia costituzionalmente garantita alla Regione.
Nell’intreccio
di materie precedentemente descritto vengono infatti in gioco, sul versante
regionale, una pluralità di prerogative che vanno dall’esercizio dell’autonomia
organizzativa e finanziaria, alla salvaguardia dei propri equilibri finanziari
e della programmazione, alle modalità di declinazione delle regole di volta in
volta emanate a livello statale in tema di coordinamento della finanza
pubblica.
Inoltre, i
bilanci e la contabilità pubblica sono anche strumenti di governo e di
indirizzo dell’attività dell’amministrazione: in particolare per le Regioni,
che godono di una autonomia costituzionalmente protetta. Ciò comporta la
necessità di consentire a queste ultime la possibilità di soddisfare tali
esigenze, pur senza travalicare i limiti esterni costituiti dalla legislazione
statale ed europea in tema di vincoli finanziari.
2.3.– In
definitiva, può concludersi che il sistema contabile regionale –
indipendentemente dalla sua possibile configurazione come autonoma materia
ascrivibile alla potestà residuale dell’ente – non è stato totalmente sottratto
ad un’autonoma regolazione, ma che questa è, tuttavia, intrinsecamente soggetta
a limitazioni necessarie «a consentire il soddisfacimento contestuale di una
pluralità di interessi costituzionalmente rilevanti» (sentenza n. 279 del
2006). In particolare, l’autonomia della Regione in questo settore
normativo trova il suo limite esterno nelle disposizioni poste dallo Stato
nell’ambito della salvaguardia degli interessi finanziari riconducibili ai
parametri precedentemente richiamati.
Tali
considerazioni comportano quindi che le censure mosse alla legge regionale in
esame debbano essere valutate non in astratto, ma in riferimento ad una
concreta collisione con i precetti ricavabili direttamente dalle norme
costituzionali in materia finanziaria o da specifiche norme interposte come
quelle contenute nel d.lgs. n. 118 del 2011.
3.– Venendo al merito del ricorso, è necessario occuparsi preliminarmente
della censura, formulata in premessa ma non trasposta nell’impugnazione, nei
confronti dell’intera legge regionale sulla base dell’assunto che «La materia
contabile non [sarebbe] nella disponibilità legislativa delle Regioni, alle
quali [verrebbe unicamente] riservata la facoltà di emanare regolamenti
contabili meramente applicativi del d.lgs. n. 118 del 2011».
Infatti
l’argomentazione, apparentemente ancipite rispetto alle questioni successivamente
sollevate nei confronti di singole disposizioni, è invece la premessa logica di
tutte le contestazioni, le quali partono dal presupposto che, dopo l’entrata in
vigore del decreto sull’armonizzazione dei conti, non vi sarebbe più spazio per
il legislatore regionale in materia di disciplina delle procedure contabili, se
non per adempimenti meramente attuativi della legislazione statale.
Tale
assunto non è fondato, poiché non tiene conto dell’intreccio delle competenze
legislative oggetto delle precedenti considerazioni.
Le
indefettibili esigenze di armonizzazione dei conti pubblici, di custodia della
finanza pubblica allargata e della sana gestione finanziaria non precludono
peculiari articolazioni del bilancio regionale fondate sull’esigenza di
scandire la programmazione economico-finanziaria nelle procedure contabili e le
modalità analitiche di illustrazione di progetti e di interventi.
Occorre
ricordare che il bilancio è un "bene pubblico” nel senso che è funzionale a
sintetizzare e rendere certe le scelte dell’ente territoriale, sia in ordine
all’acquisizione delle entrate, sia alla individuazione degli interventi
attuativi delle politiche pubbliche, onere inderogabile per chi è chiamato ad
amministrare una determinata collettività ed a sottoporsi al giudizio finale
afferente al confronto tra il programmato ed il realizzato. In altre parole, la
specificazione delle procedure e dei progetti in cui prende corpo l’attuazione
del programma, che ha concorso a far ottenere l’investitura democratica, e le
modalità di rendicontazione di quanto realizzato costituiscono competenza
legislativa di contenuto diverso dall’armonizzazione dei bilanci. Quest’ultima,
semmai, rappresenta il limite esterno – quando è in gioco la tutela di
interessi finanziari generali – alla potestà regionale di esprimere le
richiamate particolarità.
Il
carattere funzionale del bilancio preventivo e di quello successivo, alla cui
mancata approvazione, non a caso, l’ordinamento collega il venir meno del
consenso della rappresentanza democratica, presuppone quali caratteri
inscindibili la chiarezza, la significatività, la specificazione degli
interventi attuativi delle politiche pubbliche.
Sotto tale
profilo, i moduli standardizzati dell’armonizzazione dei bilanci, i quali
devono innanzitutto servire a rendere omogenee, ai fini del consolidamento dei
conti e della loro reciproca confrontabilità, le contabilità dell’universo
delle pubbliche amministrazioni, così articolato e variegato in relazione alle
missioni perseguite, non sono idonei, di per sé, ad illustrare le peculiarità
dei programmi, delle loro procedure attuative, dell’organizzazione con cui
vengono perseguiti, della rendicontazione di quanto realizzato. Le sofisticate
tecniche di standardizzazione, indispensabili per i controlli della finanza
pubblica ma caratterizzate dalla difficile accessibilità informativa per il
cittadino di media diligenza, devono essere pertanto integrate da esposizioni
incisive e divulgative circa il rapporto tra il mandato elettorale e la
gestione delle risorse destinate alle pubbliche finalità.
Pertanto,
la peculiarità del sistema contabile regionale mantiene, entro i limiti
precedentemente precisati, la sua ragion d’essere in relazione alla finalità di
rappresentare le qualità e le quantità di relazione tra le risorse disponibili
e gli obiettivi in concreto programmati al fine di delineare un quadro
omogeneo, puntuale, completo e trasparente della complessa interdipendenza tra
i fattori economici e quelli socio-politici connaturati e conseguenti alle
scelte effettuate in sede locale.
Una
tipizzazione della struttura del bilancio regionale, che sia conciliabile e
rispettosa dei limiti esterni e non sia in contrasto con gli standard
provenienti dall’armonizzazione, dal coordinamento, dal rispetto dei vincoli
europei e degli equilibri di bilancio è funzionale dunque alla valorizzazione
della democrazia rappresentativa, nell’ambito della quale deve essere
assicurata ai membri della collettività la cognizione delle modalità con le
quali le risorse vengono prelevate, chieste in prestito, destinate, autorizzate
in bilancio ed infine spese.
Le esposte
considerazioni costituiscono anche il presupposto logico per lo scrutinio delle
singole impugnazioni.
4.– Alla luce di quanto premesso, le questioni di legittimità costituzionale
degli artt. 13 e 19 della legge reg. Toscana n. 1 del 2015, in relazione gli
artt. 38 e 39 del d.lgs. n. 118 del 2011, non sono fondate.
Secondo il
Presidente del Consiglio, le suddette disposizioni riformulerebbero «in maniera
poco chiara nella forma e nelle implicazioni finali» analoghe previsioni
contenute nella disciplina statale, generando una situazione di incertezza.
Il
raffronto tra le due norme regionali e le corrispondenti norme statali invocate
rivela, invece, una sostanziale coerenza tra gli enunciati normativi.
Il
ricorrente – per quel che riguarda il citato art. 13 – sembra invocare una
formale diversità tra la classificazione delle leggi regionali di spesa
rispetto a quanto previsto dal d.lgs. n. 118 del 2011. In realtà, l’intero art.
13 è conforme ai fondamentali principi della copertura preventiva degli oneri
di spesa; in assenza di qualsiasi contrasto con le regole di copertura, è
evidente che gli eventuali problemi sotto tale profilo potranno semmai
riguardare future leggi regionali che si discostassero da tali principi, per le
quali il Presidente del Consiglio è comunque titolare del ricorso in via di
azione, esperibile tutte le volte in cui la legislazione regionale decampi dal
proprio alveo naturale.
Anche per
quel che riguarda l’impugnato art. 19 la competenza in materia di
«armonizzazione dei bilanci pubblici» viene richiamata apoditticamente, dal
momento che il ricorrente afferma che «le disposizioni impugnate, nel
rimodulare il tenore delle corrispondenti norme statali [nel caso di specie
l’art. 39 del d.lgs n. 118 del 2011], finiscono con
l’ingenerare una situazione di incertezza che confligge con l’esigenza di
chiarezza caratterizzante la materia in esame e, comunque, esorbitano, dal
perimetro entro il quale deve essere riconosciuta la potestà legislativa delle
Regioni in materia».
Al
contrario, la disposizione si limita a collegare i profili della gestione
amministrativa con le relative poste contabili, confrontando tale rapporto in
ragione delle caratteristiche organizzative dell’ente, senza con ciò
travalicare l’ambito di competenza del legislatore regionale.
5.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 3, della
legge reg. Toscana n. 1 del 2015, proposta in riferimento all’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost. ed in relazione all’art. 49,
comma 2, del d.lgs. n. 118 del 2011, non è fondata.
Le censure
del Presidente del Consiglio muovono da una non corretta interpretazione della
disposizione impugnata, dal momento che essa prevede solo che le disponibilità
dei fondi speciali possano essere utilizzate in corso di esercizio per fornire
copertura a provvedimenti legislativi non compresi nell’elenco allegato alla
legge di bilancio, purché il provvedimento da coprire indichi gli interventi
inseriti nell’elenco a cui viene sottratta la relativa copertura.
L’espressione
«utilizzate» non significa certamente – come sembra intendere il ricorrente –
che le disponibilità dei fondi speciali siano direttamente oggetto di atti di
impegno di spesa; essa esprime correttamente la regola secondo cui le
disponibilità in contestazione sono accantonate nei fondi speciali al fine di
aumentare – quando ne ricorrano i presupposti – le autorizzazioni di spesa di
programmi già esistenti o di nuovi programmi. In definitiva, il comma 3 del
menzionato art. 15 non disciplina le somme accantonate nei fondi speciali in
difformità dai principi ricavabili dall’art. 49, comma 2, del d.lgs. n. 118 del
2011.
6.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, della
legge reg. Toscana n. 1 del 2015, in relazione all’allegato 4/1, paragrafo 9.2,
del d.lgs. n. 118 del 2011, è fondata nella parte in cui non prevede che
comunque la Giunta regionale presenti la proposta di legge di bilancio non
oltre trenta giorni dalla presentazione del disegno di bilancio dello Stato.
La
disposizione regionale stabilisce infatti che «entro il 31 ottobre di ogni
anno, la Giunta regionale presenta al Consiglio regionale la proposta di legge
di bilancio, la proposta di legge di stabilità e le eventuali proposte di legge
ad essa collegate», mentre la norma interposta invocata dal ricorrente
prescrive che «Entro il 31 ottobre di ogni anno, e comunque non oltre 30 giorni
dalla presentazione del disegno di bilancio dello Stato, la giunta approva lo
schema della delibera di approvazione del bilancio di previsione finanziario
relativa almeno al triennio successivo, da sottoporre all’approvazione del
Consiglio».
In questo
caso lo scostamento non è soltanto formale e la norma interposta – pur
contenuta nel decreto di armonizzazione dei bilanci – per effetto delle strette
interrelazioni tra i principi costituzionali coinvolti è servente al
coordinamento della finanza pubblica, dal momento che la sincronia delle
procedure di bilancio è collegata alla programmazione finanziaria statale e
alla redazione della manovra di stabilità, operazioni che presuppongono da
parte dello Stato la previa conoscenza di tutti i fattori che incidono sugli
equilibri complessivi e sul rispetto dei vincoli nazionali ed europei.
7.– Viceversa, non è fondata l’ulteriore questione di legittimità
costituzionale del comma 6 del medesimo articolo in relazione all’art. 43,
comma 2, del d.lgs. n. 118 del 2011.
È vero che
la disposizione impugnata stabilisce che l’esercizio provvisorio sia
autorizzato per un periodo non superiore a quello stabilito dallo statuto
mentre la norma interposta fissa il limite complessivo dell’esercizio
provvisorio in un periodo non superiore a quattro mesi. Tuttavia, come
evidenziato dalla difesa regionale, lo statuto della Regione Toscana prevede il
limite temporale di tre mesi, inferiore a quello massimo previsto dalla norma
statale interposta.
In questo
caso un esame sostanziale delle diverse formulazioni porta a ritenere che la
disposizione regionale richiamata sia addirittura più rigorosa di quella
statale. Essendo l’autorizzazione all’esercizio provvisorio un’ipotesi
eccezionale collegata ad eventi straordinari e comunque non fisiologici, è
chiaro che il maggior rigore dello statuto regionale rende la disposizione
impugnata conforme al canone costituzionale.
8.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 23 della legge reg.
Toscana n. 1 del 2015, in riferimento agli artt. 81, 97 e 117, secondo comma,
lettera e), Cost. ed in relazione al principio
contabile di cui all’allegato 4/2, paragrafo 9.2, del d.l.gs. n. 118 del 2011,
è fondata.
La censura
del Presidente del Consiglio dei ministri è formulata in modo sintetico ma si
rende esplicita in relazione alla norma interposta invocata – il paragrafo 9.2
dell’allegato 4/2 al d.lgs. n. 118 del 2011 – la quale ribadisce l’assoluto
vincolo di destinazione, non solo dei fondi europei, ma anche del
cofinanziamento nazionale. Sotto questo profilo dunque si possono identificare
nel ricorso, per quanto molto conciso in parte qua, «gli elementi sufficienti
per ritenere ammissibile la censura, ossia: i termini della questione proposta,
la disposizione impugnata, i parametri evocati e le ragioni del dubbio di
legittimità (sentenze
n. 31 del 2016 e n. 176 del 2015),
che sta appunto nel preteso contrasto fra il vincolo di esclusività di
destinazione dei proventi fissato nella legge statale e la possibilità di
un’eccezione a tale vincolo introdotta dalla legge regionale» (sentenza n. 38 del
2016).
La
disposizione impugnata stabilisce che «1. Nei casi di assegnazioni comunitarie
e statali con vincolo di destinazione, la Regione può stanziare somme eccedenti
quelle assegnate, ferme restando, per le spese relative a funzioni delegate, le
disposizioni statali che disciplinano tali funzioni. 2. La Regione, qualora
abbia impegnato in un esercizio spese eccedenti le risorse ad essa assegnate
dallo Stato con vincolo di destinazione, ha facoltà di compensare tali maggiori
spese con minori stanziamenti per lo stesso scopo nei due esercizi
immediatamente successivi. Nei bilanci relativi a tali esercizi, le
assegnazioni statali per scopi già soddisfatti con i finanziamenti aggiuntivi
regionali sono sottratte alla loro destinazione. Analoga facoltà riguarda le
assegnazioni ricevute da altri soggetti, salvo che ciò sia espressamente
escluso dalla disciplina dei relativi rapporti».
Il
paragrafo 9.2 dell’allegato 4/2 del d.lgs. n. 118 del 2011 prevede, tra
l’altro, che «Costituiscono quota vincolata del risultato di amministrazione le
entrate accertate e le corrispondenti economie di bilancio […] c) derivanti da
trasferimenti erogati a favore dell’ente per una specifica destinazione. La
natura vincolata dei trasferimenti UE si estende alle risorse destinate al
cofinanziamento nazionale. Pertanto, tali risorse devono essere considerate
come "vincolate da trasferimenti” ancorché derivanti da entrate proprie
dell’ente».
Il
confronto tra le due disposizioni evidenzia l’illegittimità della norma
regionale, consistente nella creazione di un meccanismo contabile elusivo del
vincolo di legge.
Peraltro,
tale meccanismo entra in collisione con lo stesso principio della copertura
finanziaria, il quale costituisce una clausola generale in grado di operare
pure in assenza di norme interposte quando l’antinomia coinvolga direttamente
il precetto costituzionale: infatti «la forza espansiva dell’art. 81, quarto
[oggi terzo] comma, Cost., presidio degli equilibri di finanza pubblica, si
sostanzia in una vera e propria clausola generale in grado di colpire tutti gli
enunciati normativi causa di effetti perturbanti la sana gestione finanziaria e
contabile» (sentenza
n. 192 del 2012).
Nel caso in
esame, la formulazione ambigua della norma regionale presenta alcune
singolarità, spiegabili unicamente con lo scopo di aggirare il vincolo di
destinazione dei fondi in questione. Infatti, quando la concessione di fondi
comunitari o nazionali vincolati per legge viene perfezionata, non vi è alcun ostacolo
ad eventuali diacronie tra il momento della somministrazione delle risorse e
quello del loro impiego. Di regola, anzi, vengono somministrate delle
anticipazioni mentre i saldi possono essere posticipati successivamente alle
verifiche di regolarità afferenti alla avvenuta utilizzazione dei fondi.
Non si
comprende pertanto per quale motivo, in presenza di somme già «assegnate»,
debbano essere stanziate «somme eccedenti» al fabbisogno dell’intervento
vincolato, venendosi a realizzare una singolare "doppia copertura”. Ciò a meno
di pensare che il termine «assegnate» sia utilizzato per consentire un impiego
antecedente – e in quanto tale non consentito – alla formale concessione del
contributo vincolato quando, ad esempio, esista una semplice promessa condizionata
ad oneri istruttori o all’inverarsi di determinate circostanze.
Ove ciò
fosse consentito verrebbero in essere operazioni rischiose sia con riguardo
alla effettività del vincolo che ai principi della copertura: l’intervento
sarebbe avviato indipendentemente dalla concessione con possibili
sopravvenienze negative qualora essa non dovesse perfezionarsi e il vincolo
sarebbe aggirato attraverso la non corrispondenza tra quanto stanziato e quanto
realizzato.
In realtà,
il vincolo di destinazione nella materia finanziaria e contabile comporta che
il fondo possa essere impiegato solo per la realizzazione dello scopo per cui è
stato stanziato. Occorre a tal fine considerare che nella contabilità pubblica
la regola relazionale tra entrate e spese è quella riconducibile al principio
di unità del bilancio «specificativo dell’art. 81 Cost. [secondo
cui] tutte le entrate correnti, a prescindere dalla loro origine, concorrono
alla copertura di tutte le spese correnti, con conseguente divieto di prevedere
una specifica correlazione tra singola entrata e singola uscita» (sentenza n. 192 del
2012). In tale contesto, il vincolo di destinazione si pone quale deroga al
principio generale per garantire la finalizzazione di determinate risorse, come
quelle erogate a titolo di sovvenzioni, contributi o finanziamenti, alla
realizzazione dello scopo pubblico per il quale sono state stanziate.
Pertanto,
il carattere finalistico della deroga non consente interpretazioni o
distinzioni di sorta all’interno della contabilità regionale, poiché «la natura
esclusiva del vincolo di destinazione delle risorse […] e la sua precipua
funzionalizzazione alla realizzazione di un programma [costituisce] scelta
finanziaria di fondo della previsione statale […], senza che a tali fini siano
necessarie altre spiegazioni» (sentenza n. 38 del
2016). Già in precedenza è stato affermato da questa Corte un principio
analogo a quello contenuto nell’allegato del d.lgs. n. 118 del 2011: «È
necessario premettere che i vincoli di destinazione delle risorse confluenti a
fine esercizio nel risultato di amministrazione permangono anche se
quest’ultimo non è capiente a sufficienza o è negativo: in questi casi l’ente
deve ottemperare a tali vincoli […] per finanziarie gli obiettivi, cui sono
dirette le entrate vincolate rifluite nel risultato di amministrazione negativo
o incapiente. A ben vedere, questa eccezione [è riconducibile] alla clausola
generale in materia contabile che garantisce l’esatto impiego delle risorse
stanziate per specifiche finalità di legge» (sentenza n. 70 del
2012).
9.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 31, comma l, lettera
g) della legge reg. Toscana n. 1 del 2015, in riferimento all’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost. ed in relazione al d.lgs. n.
118 del 2011, non è fondata.
La norma
impugnata rinvia al regolamento di attuazione la disciplina delle modalità per
la gestione delle aperture di credito. Secondo il ricorrente, tale disciplina
si porrebbe in contrasto con la normativa statale, dal momento che il d.lgs. n.
118 del 2011 non prevede in alcuna disposizione tale forma di gestione della
spesa per gli enti territoriali.
Deve essere
condivisa l’eccezione della difesa regionale secondo cui tale procedura di
spesa è consentita e trova il suo archetipo normativo proprio nella
legislazione statale: infatti l’apertura di credito o accreditamento è regolata
dall’art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 20 aprile 1994, n. 367
(Regolamento recante semplificazione e accelerazione delle procedure di spesa e
contabili). Vale anche in questo caso il criterio di scrutinio della normativa
regionale, secondo cui la potestà legislativa in materia è consentita alla
Regione quando non ostino direttamente specifiche disposizioni riconducibili
alla potestà esclusiva o concorrente dello Stato nelle materie finanziarie
precedentemente individuate.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, della legge della Regione
Toscana 7 gennaio 2015, n. 1 (Disposizioni in materia di programmazione
economica e finanziaria regionale e relative procedure contabili. Modifiche
alla L. R. n. 20/2008), nella parte in cui non prevede che comunque la proposta
di legge di bilancio, la proposta di legge di stabilità e le eventuali proposte
di legge ad essa collegate siano presentate non oltre trenta giorni dalla
presentazione del disegno di bilancio dello Stato;
2) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 23 della legge reg. Toscana n. 1 del
2015;
3) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, 15,
comma 3, 18, comma 6, 19 e 31, comma l, lettera g), della legge reg. Toscana n.
1 del 2015 promosse, in riferimento agli artt. 81, 97 e 117, secondo comma,
lettera e), Cost., in relazione al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118
(Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi
di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma
degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42), ed alla legge 24
dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio
di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), dal
Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso
in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21
giugno 2016.
F.to:
Paolo
GROSSI, Presidente
Aldo
CAROSI, Redattore
Roberto
MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2016.