Sentenza n. 26 del 2013

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SENTENZA N. 26

ANNO 2013

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Franco                           GALLO                                                         Presidente

-           Gaetano                        SILVESTRI                                                     Giudice

-           Sabino                           CASSESE                                                               "

-           Paolo Maria                   NAPOLITANO                                                      "

-           Giuseppe                       FRIGO                                                                    "

-           Paolo                             GROSSI                                                                  "

-           Giorgio                          LATTANZI                                                             "

-           Aldo                              CAROSI                                                                 "

-           Marta                            CARTABIA                                                            "

-           Sergio                            MATTARELLA                                                     "

-           Mario Rosario               MORELLI                                                              "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 4, comma 2, e 7, comma 5, della legge della Regione autonoma Sardegna 22 dicembre 2011, n. 27, recante «Riforma della legge regionale 5 maggio 1965, n. 15 (Istituzione di un fondo per l’integrazione del trattamento di quiescenza, di previdenza e di assistenza del personale dipendente dall’Amministrazione regionale)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 27 febbraio – 1° marzo 2012, depositato in cancelleria il 5 marzo 2012 ed iscritto al n. 51 del registro ricorsi 2012.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna; 

udito nell’udienza pubblica del 15 gennaio 2013 il Giudice relatore Aldo Carosi;

uditi l’avvocato dello Stato Raffaele Tamiozzo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Luciani per la Regione autonoma Sardegna.

Ritenuto in fatto

1. — Con ricorso notificato il 27 febbraio – 1° marzo 2012 e depositato il 5 marzo 2012, su deliberazione consiliare del 24 febbraio 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato in via principale l’intera legge della Regione autonoma Sardegna 22 dicembre 2011, n. 27, recante «Riforma della legge regionale 5 maggio 1965, n. 15 (Istituzione di un fondo per l’integrazione del trattamento di quiescenza, di previdenza e di assistenza del personale dipendente dall’Amministrazione regionale)» e pubblicata sul B.U.R. della Sardegna n. 38 del 29 dicembre 2011, ed in particolare gli articoli 4, comma 2, e 7, comma 5.

1.1. — Premette il ricorrente che la legge regionale n. 27 del 2011 ha inteso modificare la disciplina del Fondo per l’integrazione del trattamento di quiescenza, di previdenza e di assistenza a favore dei dipendenti dell’amministrazione regionale (FITQ), istituito dalla legge della Regione autonoma Sardegna 5 maggio 1965, n. 15 (Istituzione di un fondo per l’integrazione del trattamento di quiescenza, di previdenza e di assistenza del personale dipendente dall’amministrazione regionale), in epoca precedente alla disciplina organica della previdenza complementare – dettata dal decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari, a norma dell’art. 3, comma 1, lettera v, della legge 23 ottobre 1992, n. 421), successivamente abrogato dal decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari) – che, viceversa, deve applicarsi al personale non iscritto al FITQ o assunto a decorrere dal 1° gennaio 2012.

1.2. — Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri la legge regionale, oltre ad eccedere dalla competenza legislativa concorrente in materia di «previdenza complementare e integrativa» di cui all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione – estesa, ex art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), quale forma di autonomia più ampia, alla Sardegna, cui è riconosciuta al riguardo competenza integrativa-attuativa dall’art. 5, lettera b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) – ed a violare la competenza legislativa spettante in via esclusiva allo Stato in materia di «previdenza sociale» ex art. 117, secondo comma, lettera o), Cost., presenterebbe ulteriori profili di illegittimità costituzionale.

1.3. — In particolare, l’art. 4, comma 2, della legge impugnata, prevedendo l’erogazione di un contributo specifico da parte della Regione per il raggiungimento dell’equilibrio finanziario determinato dall’entrata a regime del sistema contributivo di cui al precedente art. 3, comma 1, fa rinvio, per la copertura dell’onere, a successivi provvedimenti da assumere con legge finanziaria (art. 16, comma 2). Ad avviso del ricorrente, simile modalità di copertura non terrebbe conto dei principi espressi dalla vigente normativa contabile – art. 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica) – che, in attuazione dell’art. 81, quarto comma, Cost., prevede che ogni legge che comporti nuovi o maggiori oneri – soprattutto per quei provvedimenti che determinano l’insorgenza di diritti soggettivi, come quelli spettanti ai beneficiari delle prestazioni pensionistiche integrative – debba indicare espressamente le previsioni di spesa per ciascun anno, definendo una specifica clausola di salvaguardia per la compensazione delle eventuali eccedenze di spesa rispetto alle previsioni ed individuando, sulla base di una dettagliata relazione tecnica, la puntuale copertura degli oneri di regime, senza rinviare a successive disposizioni per la copertura finanziaria. Risulterebbe pertanto violato l’art. 81, quarto comma, Cost.

1.4. — A dire del Presidente del Consiglio, inoltre, l’art. 7, comma 5, della legge regionale censurata, ammettendo la liquidazione in capitale delle prestazioni, con conseguente applicazione di un regime di imposizione fiscale più favorevole, determinerebbe minori entrate fiscali, con effetti negativi per la finanza pubblica, così incidendo sulla materia del sistema tributario e contabile dello Stato, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e contrasterebbe con il «principio di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.». Inoltre, poiché, nel rinviare al regolamento di gestione, la norma censurata non sancirebbe alcun criterio direttivo che chiarisca che la liquidazione in capitale non possa essere effettuata per intero, essa contrasterebbe con l’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 252 del 2005, che prevede l’erogazione in capitale delle prestazioni pensionistiche integrative fino ad un massimo del 50% del montante finale accumulato.

1.5. — Infine, secondo il ricorrente «il complesso delle disposizioni recate dalla legge regionale», pur modificando in termini restrittivi la disciplina dettata dalla legge regionale n. 15 del 1965, non terrebbe conto delle inderogabili ed urgenti esigenze di contenimento della spesa pensionistica, conseguenti agli impegni internazionali assunti in sede di Unione Europea, nonché delle richieste formulate all’Italia dagli organismi economici a livello internazionale.

2. — Con atto depositato il 10 aprile 2012 si è costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna, chiedendo che le questioni relative agli artt. 4, comma 2, e 7, comma 5, della legge regionale n. 27 del 2011 siano dichiarate inammissibili o, in subordine, infondate.

2.1. — Anzitutto, la resistente evidenzia come la legge impugnata incida sulla materia della previdenza complementare per i soli dipendenti regionali, così come si evincerebbe dal tenore dell’art. 1 (Finalità). Ciò confuterebbe l’assunto del ricorrente, secondo cui la legge regionale eccederebbe dall’ambito competenziale della «previdenza complementare e integrativa» previsto dall’art. 117, terzo comma, Cost. Infatti, essa sarebbe riconducibile alla materia «stato giuridico ed economico del personale» di cui all’art. 3, primo comma, lettera a), dello statuto, concernendo non la generalità dei lavoratori operanti in Sardegna, ma solamente i dipendenti regionali, a cui assicura particolari vantaggi anche in corso di rapporto di lavoro, come nel caso delle anticipazioni (art. 11) e dei piccoli prestiti ai dipendenti (art. 12). Da qui, secondo la Regione, l’infondatezza, se non l’inammissibilità, dell’intera impugnazione, per non aver invocato, tra i parametri alla stregua dei quali operare lo scrutinio, l’art. 3, primo comma, lettera a), dello statuto.

2.2. — Peraltro, sempre secondo la resistente, quand’anche si riconducesse la legge impugnata alla materia della previdenza complementare ed integrativa, la Regione non avrebbe ecceduto dalla propria competenza, avendola esercitata, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della stessa legge regionale, nell’ambito dei principi stabiliti dalla legislazione statale, secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 252 del 2005 – il quale dispone che «le forme pensionistiche complementari possono essere istituite da […] le regioni, le quali disciplinano il funzionamento di tali forme pensionistiche complementari con legge regionale nel rispetto della normativa nazionale in materia» – riformando un’esperienza pluridecennale di trattamento integrativo attraverso la sostituzione del sistema di calcolo c.d. contributivo a quello c.d. retributivo.

2.3. — Parimenti inammissibili, prima ancora che infondate, sarebbero, ad avviso della resistente, le censure mosse alla legge regionale per non aver tenuto conto delle esigenze di contenimento della spesa pensionistica. Tale doglianza sarebbe apodittica, in quanto priva di ogni argomentazione di supporto, e non specificherebbe né le norme a cui si dirige né i parametri che si assumono violati. Peraltro, essa sarebbe anche destituita di fondamento, atteso che la legge avrebbe determinato il passaggio, per le prestazioni maturate a decorrere dal 1° gennaio 2012, dal sistema retributivo a quello contributivo e, pur facendo salvi i diritti quesiti, avrebbe previsto ulteriori misure di contenimento della spesa, stabilendo che il calcolo dell’indennità di fine rapporto avvenga assumendo a base la media delle retribuzioni degli ultimi dieci anni al 31 dicembre 2011 e non più l’ultima retribuzione, come nel regime precedente.

2.4. — Quanto alle censure specificamente mosse all’art. 4, comma 2, la Regione ne assume l’infondatezza.

2.4.1. — Evidenzia, infatti, come la copertura finanziaria della riforma sia assicurata dall’art. 16 della stessa legge regionale n. 27 del 2011. Detta disposizione prevede che gli oneri rappresentati dal contributo a carico del bilancio regionale di cui all’art. 4, comma 2, finalizzato all’integrazione del capitale accumulato attraverso gli ordinari flussi contributivi versati al FITQ, siano coperti mediante rinvio alla legge finanziaria, secondo quanto previsto dall’art. 4, comma 1, lettera e), della legge della Regione autonoma Sardegna 2 agosto 2006, n. 11 (Norme in materia di programmazione, di bilancio e di contabilità della Regione autonoma della Sardegna. Abrogazione della legge regionale 7 luglio 1975, n. 27, della legge regionale 5 maggio 1983, n. 11 e della legge regionale 9 giugno 1999, n. 23), trattandosi di una spesa continuativa (in quanto prevista fino al raggiungimento dell’equilibrio finanziario determinato dall’entrata a regime del sistema contributivo) e ricorrente (in quanto contributo annuale). Poiché l’art. 4, comma 1, della legge regionale n. 11 del 2006 assegna alla legge finanziaria la finalità di determinare, in apposita tabella, «la quota da iscrivere nel bilancio di ciascuno degli anni considerati dal bilancio pluriennale per le leggi di spesa con onere permanente, la cui quantificazione è rinviata alla legge finanziaria» (lettera e) e, «per ciascuno degli anni considerati dal bilancio pluriennale, le riduzioni e/o gli incrementi di autorizzazioni legislative di spesa» (lettera f), la prevista modalità di copertura sarebbe pienamente conforme all’art. 81, quarto comma, Cost., così come ritenuto dalla stessa Corte costituzionale (si cita la sentenza n. 386 del 2008) e dalla legge [recte, decreto legislativo] 28 marzo 2000, n. 76 (Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, in attuazione dell’articolo 1, comma 4, della legge 25 giugno 1999, n. 208), che, all’art. 3 (Leggi regionali di spesa), comma 1, primo alinea, prevede che «Le leggi regionali che prevedono attività o interventi a carattere continuativo o ricorrente determinano le procedure da seguire, rinviando alla legge di bilancio la quantificazione della relativa spesa». Inoltre, con la disciplina della fase transitoria del passaggio dal sistema retributivo al sistema contributivo la Regione non avrebbe fatto altro che salvaguardare le posizioni acquisite dai dipendenti, insuscettibili di pregiudizio proprio in virtù del principio fondamentale della legislazione statale quale risulterebbe espresso dagli artt. 1, comma 27, e 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), vincolante per la Regione, che con la norma censurata avrebbe inteso appunto prestarvi ossequio.

2.4.2. — La Regione eccepisce inoltre la cessazione della materia del contendere (o l’inammissibilità od improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse) per l’intervenuta attuazione dell’art. 16, comma 2, della legge impugnata ad opera della legge della Regione autonoma Sardegna 15 marzo 2012, n. 6, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione (legge finanziaria 2012)». Essa prevede all’art. 1, comma 6, che: «Le autorizzazioni di spesa per le quali si dispone una riduzione o un incremento, a termini dell’articolo 4, comma 1, lettera f), della legge regionale 2 agosto 2006, n. 11 (Norme in materia di programmazione, di bilancio e di contabilità della Regione autonoma della Sardegna. Abrogazione della legge regionale 7 luglio 1975, n. 27, della legge regionale 5 maggio 1983, n. 11 e della legge regionale 9 giugno 1999, n. 23), sono determinate, per gli anni 2012-2014, nella misura indicata nell’allegata tabella D». La citata tabella D contempla uno stanziamento di euro 7.340.000,00 per l’anno 2012 e di euro 4.440.000,00 per gli anni 2013 e 2014. In tal modo dette disposizioni, integrando sul punto la disciplina della legge impugnata, farebbero in ogni caso venir meno la pretesa violazione dell’art. 81, quarto comma, Cost.

2.5. — Quanto alle censure specificamente mosse all’art. 7, comma 2, la Regione ne sostiene l’inammissibilità e l’infondatezza.

2.5.1. — Sotto il primo profilo la resistente evidenzia anzitutto come il contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. sia dedotto in via apodittica. Inoltre, la censura sarebbe inammissibile perché formulata solo in via ipotetica, al fine di risolvere un mero problema interpretativo, palesando la mancanza di un concreto interesse all’impugnazione da parte del Presidente del Consiglio. L’art. 7, comma 5, infatti, rinvia ad un successivo regolamento la determinazione delle modalità di liquidazione del trattamento, con la conseguenza che, fino alla relativa adozione, non vi sarebbe interesse giuridicamente qualificato a coltivare la censura (il regolamento ben potrebbe prevedere misure inferiori al totale per il versamento del montante contributivo).

2.5.2. — Nel merito, sul punto il ricorso sarebbe infondato, atteso che la materia in rilievo nella fattispecie sarebbe quella dello «stato giuridico ed economico del personale», di competenza legislativa esclusiva della Regione ai sensi dell’art. 3, primo comma, lettera a), dello statuto. Di conseguenza, la resistente non sarebbe vincolata dalla quota massima di liquidazione del montante contributivo accumulata dal lavoratore quale stabilita dall’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 252 del 2011. Tale decreto, peraltro, richiama, nelle premesse al testo, la legge di delega 23 agosto 2004, n. 243 (Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria), la quale a sua volta dispone che il Governo, nel suo esercizio, faccia salve le competenze delle Regioni a statuto speciale. Con ciò il legislatore delegato non avrebbe potuto interferire con le attribuzioni costituzionalmente garantite della Regione autonoma Sardegna a pena d’illegittimità della normativa introdotta. Inoltre, tra i principi ed i criteri direttivi imposti dal legislatore delegante e richiamati nella premessa del d.lgs. n. 252 del 2005 non figurerebbe alcun riferimento a limiti di liquidazione del montante contributivo.

2.5.3. — Sempre a sostegno dell’infondatezza, la resistente sostiene che, a parte il contributo a copertura delle necessità della fase transitoria, a regime la Regione parteciperebbe all’accumulo del montante solo per lo 0,59% (ex art. 4, comma 1, lettera b, della legge impugnata) mentre il dipendente concorrerebbe per il 5%, con il che la liquidazione del 100% del montante all’atto della cessazione del servizio altro non rappresenterebbe che la restituzione di quanto versato dal lavoratore, senza nessun onere particolare o maggiore per la Regione, che sostanzialmente avrebbe risparmiato in corso di servizio la cifra non corrisposta con la retribuzione, postergandone l’erogazione.

3. — Con memoria depositata il 12 dicembre 2012 il Presidente del Consiglio dei ministri reitera le argomentazioni esposte in ricorso, contestando l’assunto della controparte circa la sopravvenuta cessazione della materia del contendere per effetto di quanto disposto dalla legge reg. Sardegna n. 6 del 2012.

4. — Con memoria depositata il 21 dicembre 2012 la Regione autonoma Sardegna ribadisce le difese contenute nell’atto di costituzione, sviluppandone di ulteriori.

Evidenzia anzitutto come l’impugnazione si sia limitata esclusivamente agli artt. 4, comma 2, e 7, comma 5, della legge regionale n. 27 del 2011.

Afferma nuovamente la riconducibilità delle disposizioni censurate alla materia «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale», di cui all’art. 3, comma 1, lettera a), dello statuto – considerata anche la disciplina dell’attività amministrativa di gestione del fondo – e non alla «previdenza sociale», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera o), Cost., con conseguente inammissibilità delle questioni – per non essersi tenuto alcun conto delle competenze attribuite dalla citata norma statutaria – o infondatezza delle stesse.

Ripropone altresì, in via subordinata, la tesi della riconducibilità della legge all’ambito competenziale concorrente rappresentato dalla «previdenza complementare e integrativa», di cui al combinato disposto degli artt. 117, terzo comma, Cost. e 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, legittimandosi in tal modo la riforma del trattamento previdenziale attraverso la sostituzione del sistema retributivo con quello contributivo.

Evidenzia come sia lo stesso ricorrente a riconoscere che le modifiche apportate alla legge reg. Sardegna n. 15 del 1965 da quella impugnata siano "in termini restrittivi”, salvo poi lamentare che quest’ultima non tenga conto delle "esigenze di contenimento della spesa pensionistica, conseguenti agli impegni internazionali del nostro Paese, assunti in sede di Unione Europea” (senza peraltro indicare specificamente i parametri violati, con conseguente inammissibilità della censura). Viceversa, il regime previgente, fondato sul sistema retributivo del calcolo delle prestazioni, ove mantenuto, avrebbe, esso sì, determinato un aggravio di esborso.

Secondo la resistente, proprio questi argomenti dovrebbero indurre anche ad escludere che la legge regionale n. 27 del 2011 – in alcune parti del ricorso censurata anche nel complesso delle sue disposizioni e, dunque, in maniera inammissibile (si citano al riguardo le sentenze n. 141 del 2010 e n. 64 del 2007) – abbia ingenerato nuovi o maggiori oneri a carico della finanza regionale – perseguendo, al contrario, finalità di riduzione di spesa – con ciò inficiando in radice la fondatezza del motivo d’impugnazione prettamente afferente all’art. 4, comma 2, della legge medesima.

Inoltre, con specifico riguardo all’art. 7, comma 5, della legge impugnata, oltre a richiamare le difese già svolte nell’atto di costituzione, la Regione sostiene l’inconferenza del richiamo operato in ricorso alla materia «sistema tributario e contabile dello Stato», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., atteso che la disposizione non disciplinerebbe alcuna forma di imposizione fiscale o momento di gestione della fiscalità regionale e, comunque, in nessun modo si ingerirebbe in quella statale. Infine, in via subordinata, la Regione evidenzia come l’art. 1, comma 1, della legge regionale imponga il rispetto dei principi stabiliti dalla legislazione statale, alla luce dei quali la disposizione censurata dovrebbe essere interpretata.

Considerato in diritto

1. — Con ricorso ritualmente notificato il 27 febbraio – 1° marzo 2012 e depositato il 5 marzo 2012, su deliberazione consiliare del 24 febbraio 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato in via principale la legge della Regione autonoma Sardegna 22 dicembre 2011, n. 27, recante «Riforma della legge regionale 5 maggio 1965, n. 15 (Istituzione di un fondo per l’integrazione del trattamento di quiescenza, di previdenza e di assistenza del personale dipendente dall’Amministrazione regionale)», sia con riguardo agli articoli 4, comma 2, e 7, comma 5, che nel suo complesso.

1.1. — L’art. 4, comma 2, di detta legge viene censurato in relazione all’erogazione di un contributo specifico della Regione autonoma finalizzato al raggiungimento dell’equilibrio finanziario del Fondo per l’integrazione del trattamento di quiescenza, di previdenza e di assistenza a favore dei dipendenti dell’amministrazione regionale (FITQ), facendo rinvio, per la copertura del relativo onere, a successivi provvedimenti da assumere con legge finanziaria. La norma sarebbe in contrasto con l’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, e con il parametro interposto costituito dall’art. 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), poiché comporterebbe nuove e maggiori spese senza indicare espressamente le risorse necessarie per farvi fronte relativamente ad ogni esercizio interessato al riequilibrio ed in assenza della previa definizione di una specifica clausola di salvaguardia, finalizzata alla compensazione delle eventuali eccedenze di spesa rispetto alle previsioni, e di una dettagliata relazione tecnica funzionale all’individuazione della copertura finanziaria.

1.2. — L’art. 7, comma 5, della stessa legge regionale n. 27 del 2011 viene impugnato in relazione alla prescrizione che consente la liquidazione delle prestazioni pensionistiche in forma di capitale secondo le modalità stabilite dall’emanando regolamento di gestione. La disposizione sarebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che attribuisce al legislatore statale la competenza esclusiva nella materia «sistema tributario e contabile dello Stato» e con l’art. 117, terzo comma, Cost., che indica come materia di legislazione concorrente il «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», poiché determinerebbe l’applicazione di un regime di imposizione latore di minori entrate fiscali, come tale pregiudizievole per la finanza pubblica, e consentirebbe comunque di evitare ai beneficiari delle prestazioni pensionistiche integrative la soggezione al limite massimo del 50% nella liquidazione diretta del montante finale accumulato; limite previsto dall’apposita norma interposta individuata nell’art. 11, comma 3, del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari).

1.3. — L’intera legge viene poi impugnata in quanto il complesso delle sue disposizioni non terrebbe in alcun conto delle «inderogabili e urgenti esigenze di contenimento della spesa pensionistica, conseguenti agli impegni internazionali del nostro Paese, assunti in sede di Unione Europea, nonché delle richieste esplicitamente formulate all’Italia dagli organismi economici a livello internazionale». Tale impugnazione, che non indica alcun parametro costituzionale, emerge dalla parte iniziale del ricorso la quale, riprendendo la deliberazione del Consiglio dei ministri, rileva che «la legge regionale è censurabile in quanto eccede dalla competenza legislativa concorrente in materia di "previdenza complementare ed integrativa”, prevista per le regioni ordinarie dall’art. 117, comma 3, Cost., ed estesa ex art. 10 della l. cost. n. 3 del 2011, quale forma di autonomia più ampia, alla regione Sardegna, alla quale è riconosciuta al riguardo, dall’art. 5 lettera b) dello statuto speciale di autonomia di cui alla legge costituzionale n. 3/1948, competenza integrativo-attuativa. La legge regionale, inoltre, viola la competenza esclusiva statale in materia di "previdenza sociale” di cui all’articolo 117, comma 2, lettera o) della carta Costituzionale».

2. — Con atto depositato il 10 aprile 2012 si è costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna, chiedendo che le questioni relative agli artt. 4, comma 2, e 7, comma 5, della legge regionale n. 27 del 2011 siano dichiarate inammissibili o, in subordine, infondate.

2.1. — In linea generale, la resistente eccepisce che lo spazio legislativo in cui si muove la legge impugnata è quello della previdenza complementare ed integrativa per i soli dipendenti regionali; per questo la stessa non eccederebbe l’ambito d’attribuzione derivante sia dall’art. 3, primo comma, lettera a), dello statuto che dall’art. 117, terzo comma, Cost. La Regione, infatti, avrebbe esercitato in primo luogo la propria competenza legislativa esclusiva nella materia «stato giuridico ed economico del personale» (art. 3, primo comma, lettera a, dello statuto), alla quale afferirebbero i vantaggi derivanti dall’offerta dei servizi di previdenza complementare contenuta nella legge regionale n. 27 del 2011. In secondo luogo, sempre secondo la Regione, la legge impugnata, anche se fosse ricondotta al solo ambito previdenziale, rientrerebbe ampiamente nei limiti della competenza concorrente in materia di «previdenza complementare e integrativa» (art. 117, terzo comma, Cost.).

2.2. — Per quel che riguarda le singole censure, la difesa della Regione rileva che le doglianze rivolte alla legge regionale nel suo complesso sarebbero inammissibili, perché formulate in modo assolutamente assertivo, in assenza di individuazione del parametro costituzionale violato e delle specifiche disposizioni che vi contrasterebbero.

Quanto agli oneri previsti dall’art. 4, comma 2, della legge regionale n. 27 del 2011 inerente al riequilibrio del FITQ, la relativa copertura sarebbe assicurata dal combinato disposto dell’art. 16 della stessa legge regionale e della successiva legge della Regione autonoma Sardegna 15 marzo 2012, n. 6, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione (legge finanziaria 2012)». In particolare l’art. 1, comma 6, di quest’ultima assicurerebbe la copertura attraverso il rinvio alla tabella D, allegata al provvedimento legislativo, la quale stanzierebbe risorse pari ad euro 7.340.000,00 per l’anno 2012 e ad euro 4.440.000,00 per gli anni 2013 e 2014.

Questa modalità di copertura sarebbe conforme alla legge regionale 2 agosto 2006, n. 11 (Norme in materia di programmazione, di bilancio e di contabilità della Regione autonoma della Sardegna. Abrogazione della legge regionale 7 luglio 1975, n. 27, della legge regionale 5 maggio 1983, n. 11 e della legge regionale 9 giugno 1999, n. 23) ed all’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76 (Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle Regioni, in attuazione dell’articolo 1, comma 4, della legge 25 giugno 1999, n. 208), conformemente agli orientamenti giurisprudenziali di questa Corte.

Secondo la resistente, infatti, nel caso di specie si tratterebbe di spese continuative e ricorrenti la cui copertura ben potrebbe essere assicurata al momento della redazione e dell’approvazione del bilancio annuale in conformità alla legge finanziaria regionale.

Circa la pretesa illegittimità dell’art. 7, comma 5, della legge impugnata, la Regione eccepisce preliminarmente l’inammissibilità della censura, in quanto formulata in via ipotetica e congetturale. Al contrario, detta norma rinvierebbe ad un successivo regolamento la determinazione delle modalità di liquidazione diretta del montante pensionistico. Pertanto fino alla sua entrata in vigore non vi sarebbe – sempre secondo la resistente – alcuna lesione della disposizione interposta, costituita dall’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 252 del 2005. Inoltre, l’ambito di competenza materiale nel caso di specie sarebbe lo «stato giuridico ed economico del personale», attribuito in via esclusiva alla Regione ai sensi dell’art. 3, primo comma, lettera a), dello statuto della Regione autonoma Sardegna, dal momento che il contenuto della disposizione si limiterebbe a regolare lo status del dipendente dell’amministrazione regionale in prospettiva della futura quiescenza.

Nel corso della udienza la difesa della Regione ha osservato che, in ogni caso, la citata disposizione della legge regionale non precluderebbe al regolamento di confermare il limite del 50% alla liquidazione diretta del montante pensionistico.

3. — La complessità dei contenuti della legge regionale impugnata e la pluralità dei parametri costituzionali invocati dal ricorrente e dalla difesa della Regione impongono una breve premessa ricostruttiva del quadro costituzionale in cui si inseriscono le prescrizioni di detta legge.

3.1. — Innanzitutto, occorre precisare che le censure effettuate con riguardo all’art. 81, quarto comma, Cost. devono essere scrutinate in riferimento al testo vigente della norma, poiché la revisione introdotta con la legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), si applica a decorrere dall’esercizio finanziario 2014, come disposto dall’art. 6 della stessa legge.

3.2. — È opportuno poi sottolineare come la legge regionale oggetto del presente giudizio, nel prevedere il riassetto globale del fondo per l’integrazione del trattamento di quiescenza, previdenza e assistenza del personale dipendente dell’amministrazione regionale, investa una pluralità di ambiti materiali, alcuni dei quali potenzialmente interferenti con la potestà legislativa esclusiva statale, altri ascrivibili a quella esclusiva regionale, altri, infine, riconducibili alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni.

Quanto alla sovrapposizione di ambiti materiali, un simile riassetto può certamente intercettare la competenza esclusiva dello Stato in materia di previdenza sociale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera o), Cost. – laddove si verifichi in concreto l’interazione con prescrizioni generali poste dallo Stato nell’esercizio della sua potestà in subiecta materia (in tal senso sentenza n. 274 del 2003) – ed in materia di sistema tributario e contabile dello Stato di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. (ad esempio per il trattamento fiscale e l’allocazione contabile della spesa). Inoltre, detta sovrapposizione può interagire con la potestà concorrente statale in materia di previdenza complementare e integrativa e di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. Infine, essa può rimanere correttamente nell’alveo della competenza regionale esclusiva (art. 3, primo comma, lettera a, dello statuto: stato giuridico ed economico del personale) e nei confini di quella concorrente (l’art. 5, lettera b, dello statuto Sardegna prevede lapotestà integrativa-attuativa regionale in materia di previdenza, i cui limiti vanno estesi in applicazione dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione», ed in ragione della maggiore autonomia accordata dall’art. 117, terzo comma, Cost. alle Regioni a statuto ordinario in materia di previdenza complementare e integrativa).

La contiguità delle descritte competenze legislative statali e regionali avrebbe dovuto suggerire, nell’impugnazione dell’intera legge regionale, la puntuale individuazione delle diverse norme con riguardo alla materia o al complesso di materie effettivamente intercettati. Ciò al fine di verificare se il legislatore regionale abbia, in concreto, esercitato la propria competenza nel rispetto degli ambiti riservati allo Stato o dei principi posti in materia di legislazione concorrente da quest’ultimo. Infatti, quando si verifica simile intersecazione di materie – caratterizzata da una fitta trama di rapporti tra interessi statali, regionali e locali – la cui titolarità è ripartita tra Stato e Regioni e quando risulta impossibile all’interno dell’intero tessuto normativo individuarne una prevalente, gli ambiti di spettanza dei due legislatori possono essere relativamente mobili (sentenza n. 271 del 2008) e suscettibili di scrutinio analitico con riguardo alla ratio ed alla finalità di ciascuna norma esaminata.

3.3. — Quanto all’impugnazione dell’intera legge regionale queste precisazioni sono assenti e pertanto le relative censure devono essere dichiarate inammissibili.

Esse risultano generiche, non soltanto per la carente individuazione dei parametri costituzionali. Anche interpretando l’impugnazione nel senso che la doglianza sia riferita agli artt. 117, terzo comma, e 117, secondo comma, lettera o), Cost., non risultano indicate le singole norme regionali che avrebbero ecceduto dalla competenza legislativa concorrente in materia di previdenza complementare ed integrativa e determinato l’invasione della competenza esclusiva statale in materia di previdenza sociale.

Sul punto è opportuno precisare che il riassetto ed il contenimento della spesa pensionistica e previdenziale costituiscono adempimenti indefettibili da parte di tutte le pubbliche amministrazioni coinvolte nella loro regolazione e gestione. Nello specifico caso degli enti territoriali dette operazioni si inquadrano nella prospettiva sia del contenimento della spesa pubblica che della trasparenza delle politiche di governo dell’amministrazione. Infatti solo allocazioni contabili coerenti ed ordinate possono consentire di mettere in relazione la programmazione aggregata delle singole partite di bilancio con le scelte concretamente effettuate nella complessiva utilizzazione delle risorse. Per questo motivo le prospettazioni del Presidente del Consiglio avrebbero dovuto essere più puntuali e caratterizzate da un saldo collegamento tra oneri economici di ciascuna operazione di riassetto e parametri costituzionali attinenti al loro scrutinio. Al contrario, la genericità delle doglianze e la lacunosità nell’individuazione dei parametri costituzionali rendono inammissibili le questioni sollevate nei confronti dell’intera legge.

4. — Venendo allo scrutinio delle singole norme censurate dal ricorrente, la questione sollevata nei confronti dell’art. 4, comma 2, della legge regionale n. 27 del 2011 in riferimento all’art. 81, quarto comma, Cost. è fondata in relazione ad entrambi i profili dedotti.

Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta la mancata copertura della spesa in questione, invocando quale norma interposta l’art. 17 della legge n. 196 del 2009, il quale prescrive che ogni legge comportante nuovi o maggiori oneri quantifichi espressamente le previsioni di spesa per ciascun anno, definendo una specifica clausola di salvaguardia per la compensazione degli effetti che eccedano le previsioni medesime.

Il ricorrente censura altresì il rinvio della copertura finanziaria a successiva disposizione.

4.1. — Quanto al giudizio di idoneità delle modalità di copertura delle diverse tipologie di spesa, questa Corte ha già avuto modo di affermare che il principio dell’equilibrio di bilancio di cui all’art. 81, quarto comma, Cost., opera direttamente, a prescindere dall’esistenza di norme interposte. Con riguardo al caso in esame, il carattere precettivo generale dell’art. 81, quarto comma, Cost. è in grado di vincolare la disciplina delle fonti di spesa di carattere pluriennale, aventi componenti variabili e complesse (sentenze n. 70 del 2012, n. 25 del 1993, n. 384 del 1991, n. 19 del 1970). Gli artt. 17 e 19 della legge n. 196 del 2009 costituiscono una mera specificazione del principio in questione con riguardo a detta categoria di spese: l’art. 17 inerisce alle modalità di copertura finanziaria delle leggi statali; l’art. 19 le estende a tutte le Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano. In sostanza le due disposizioni non comportano un’innovazione al principio della copertura, bensì una semplice puntualizzazione tecnica (come confermato, tra l’altro, dall’incipit dell’art. 17: «in attuazione dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione…») ispirata dalla crescente complessità della finanza pubblica.

Questa Corte ha costantemente affermato che: a) le leggi istitutive di nuove spese debbono contenere una «esplicita indicazione» del relativo mezzo di copertura (ex plurimis, sentenze n. 386 e n. 213 del 2008, n. 359 del 2007 e n. 9 del 1958); b) che a tale obbligo non sfuggono le norme regionali (ex plurimis, sentenze n. 213 del 2008 e n. 16 del 1961); c) che solo per le spese continuative e ricorrenti è consentita l’individuazione dei relativi mezzi di copertura al momento della redazione e dell’approvazione del bilancio annuale, in coerenza con quanto previsto – tra l’altro – dall’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 76 del 2000 (sentenze n. 446 del 1994, n. 26 del 1991 e n. 331 del 1988).

La fattispecie in esame non è ascrivibile, come sostenuto dalla resistente, alla categoria delle spese continuative e ricorrenti, le quali sono caratterizzate da una costante incidenza su una pluralità indefinita di esercizi finanziari. Al contrario, essa deve essere catalogata tra le spese pluriennali aventi una consistenza variabile e circoscritta nel tempo, secondo il concreto fabbisogno che le esigenze di riequilibrio del fondo pensionistico comportano. Per questo motivo la disposizione in esame, come ciascuna legge che produce nuovi o maggiori oneri, avrebbe dovuto indicare espressamente, per ciascun esercizio coinvolto, il limite di spesa e la specifica clausola di salvaguardia finalizzata a compensare gli effetti eccedenti le previsioni iniziali. In situazioni nelle quali la quantificazione degli oneri non può prescindere da stime economiche presuntive basate su calcoli matematici e statistici, il legislatore prevede (art. 17 della legge n. 196 del 2009) l’obbligo di una relazione tecnica giustificativa degli stanziamenti di bilancio ed illustrativa delle modalità dinamiche attraverso le quali qualsiasi sopravvenienza possa essere gestita in ossequio al principio dell’equilibrio del bilancio.

In particolare, l’art. 17, comma 7, della legge n. 196 del 2009 – le cui modalità sono estese alle Regioni e alle Province autonome dal successivo art. 19, comma 2 – prescrive per le disposizioni legislative in materia pensionistica «un quadro analitico di proiezioni finanziarie, almeno decennali, riferite all’andamento delle variabili collegate ai soggetti beneficiari». Nel caso di specie alla disposizione impugnata avrebbe dovuto accompagnarsi apposita relazione tecnica riferita ad elementi di valutazione indispensabili, quali il censimento delle categorie dei destinatari, il loro numero, le diversificate dinamiche di sviluppo, con particolare riguardo alle aspettative di vita, agli automatismi – diretti ed indiretti – inerenti all’intero periodo necessario per provvedere al riequilibrio del fondo, nonché ad ogni altro elemento utile per assicurare l’attendibilità delle quantificazioni. In assenza di dette componenti la clausola di salvaguardia diventerebbe elemento puramente formale, senza possibilità di operare in modo efficace ogni qualvolta l’andamento degli oneri programmati dovesse discostarsi in aumento rispetto alle previsioni iniziali.

Dunque, gli adempimenti previsti per la copertura di detta tipologia di spesa non sono stati rispettati né con la legge regionale impugnata né con la successiva legge finanziaria. Il tipo di spesa in esame appartiene alla categoria degli oneri pluriennali con carattere non uniforme e temporalmente circoscrivibile e per questo motivo esso non può essere assentito attraverso una stima apodittica dei conseguenti oneri.

In ogni caso anche l’articolazione di tale non consentita copertura ex post non corrisponde all’affermata congruità delle risorse impiegate per la specifica finalità del riequilibrio. Infatti, l’invocata copertura in sede di legge finanziaria (legge regionale n. 6 del 2012), che condurrebbe – ad avviso della Regione – alla cessazione della materia del contendere, non corrisponde, neppure sotto il profilo contabile, alla spesa contestata dal Presidente del Consiglio. L’art. 1, comma 6, della legge regionale n. 6 del 2012, prescrivendo che «Le autorizzazioni di spesa per le quali si dispone una riduzione o un incremento, ai termini dell’articolo 4, comma 1, lettera f), della legge regionale 2 agosto 2006, n. 11 […], sono determinate, per gli anni 2012-2014, nella misura indicata nell’allegata tabella D» si riferisce agli oneri nascenti dall’art. 20, commi 17 e 18, della legge della Regione autonoma Sardegna 11 maggio 2006, n. 4 (Disposizioni varie in materia di entrate, riqualificazione della spesa, politiche sociali e di sviluppo), i quali non coincidono con la tipologia di spesa censurata. Il comma 17 prevede infatti versamenti regionali al FITQ relativi all’iscrizione dei dipendenti dei soppressi enti provinciali del turismo ed aziende autonome di cura e soggiorno, mentre il comma 18 dispone versamenti regionali al FITQ «a titolo di pagamento di quote di contribuzioni pregresse dovute per la copertura contributiva di periodi di servizio riconosciuti utili a favore di personale transitato nei ruoli regionali in virtù di norme statali e regionali e di quote integrative di quiescenza spettanti al personale degli enti regionali soppressi». Poiché l’impugnato art. 4, comma 2, prevede che «Fino al raggiungimento dell’equilibrio finanziario determinato dall’entrata a regime del sistema contributivo di cui all’articolo 3, comma 1, e al fine di salvaguardare le posizioni maturate ai sensi della legge regionale n. 15 del 1965, nonché di far fronte a iscrizioni o riconoscimenti di anzianità pregresse non interamente coperti da contribuzione, disposti entro la data del 1° settembre 2011 a favore di specifiche categorie di personale da disposizioni di legge regionale, la Regione corrisponde al FITQ un contributo annuale», è di tutta evidenza la non integrale sovrapponibilità delle prescrizioni di cui alla tabella D con quelle della disposizione impugnata.

4.2. — È inoltre fondata, in ragione della stretta connessione con la precedente, anche la questione posta in riferimento all’art. 81, quarto comma, Cost., sotto l’ulteriore profilo inerente al rinvio dell’individuazione dei mezzi di finanziamento della spesa ad una legge successiva a quella che le ha dato origine.

Va dichiarata pertanto, in via consequenziale, anche l’illegittimità dell’art. 16, comma 2, della legge della Regione autonoma Sardegna n. 27 del 2011, il quale prevede che agli oneri di riequilibrio di cui all’impugnato art. 4, comma 2, si provveda con successiva legge finanziaria.

5. — Nei confronti dell’art. 7, comma 5, della legge regionale n. 27 del 2011, sono state presentate sostanzialmente due distinte censure.

La prima è posta in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che attribuisce al legislatore statale la competenza esclusiva nella materia «sistema tributario e contabile dello Stato» ed all’art. 117, terzo comma, Cost. Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la norma impugnata, consentendo la liquidazione in forma di capitale delle prestazioni pensionistiche, determinerebbe l’applicazione di un regime di imposizione fiscale più favorevole ai beneficiari, produttivo di minori entrate fiscali con conseguente pregiudizio per la finanza pubblica.

La seconda, formulata in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., lamenta la violazione del principio di coordinamento della finanza pubblica, in relazione all’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 252 del 2005, che ne costituirebbe norma attuativa, prevedendo l’erogazione in capitale delle prestazioni pensionistiche integrative fino ad un massimo del 50% del montante finale accumulato.

5.1. — La questione sollevata in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 117, terzo comma, Cost., non è fondata.

È fuor di dubbio che, ai fini dell’identificazione della materia nella quale si collocano le norme impugnate, non assuma rilievo la qualificazione che di esse dà il legislatore, bensì sia necessario il riferimento all’oggetto ed alla ratio delle stesse in modo da identificare correttamente e compiutamente l’interesse in concreto tutelato (ex multis sentenze n. 300 del 2011, n. 235 del 2010, n. 168 del 2009, n. 430 del 2007 e n. 165 del 2007). Nel caso in esame, tuttavia, sia la collocazione della norma che la sua intrinseca formulazione non consentono di attribuirle natura e implicazioni di carattere tributario. Essa ha per oggetto esclusivamente le modalità di erogazione di una delle prestazioni complementari corrisposte dal FITQ, senza alcun riferimento al relativo regime fiscale, che segue le regole generali della materia poste dallo Stato. La diversificazione del trattamento fiscale è un mero effetto riflesso, inidoneo ad influenzare la classificazione della norma, trasferendola nell’ambito competenziale del «sistema tributario e contabile dello Stato», riservato in via esclusiva al legislatore statale.

Dunque, la norma censurata e la legge regionale nel suo complesso non introducono alcuna disposizione in materia di trattamento fiscale, in relazione al quale rimane applicabile il regime previsto, per la fattispecie in esame, dalla legislazione statale all’art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 252 del 2005, il quale – peraltro – non esprime affatto un trattamento impositivo più favorevole per la liquidazione in capitale.

5.2. — È invece fondata la questione sollevata nei riguardi della medesima disposizione impugnata, in riferimento alla materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., ed in relazione alla norma interposta costituita dall’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 252 del 2005, il quale prescrive in via generale il limite del 50% alla possibilità di liquidare direttamente in capitale il montante accumulato dal beneficiario della prestazione pensionistica.

Infatti la norma in esame consente di chiedere la liquidazione della pensione integrativa in forma di capitale, secondo le modalità stabilite dall’emanando regolamento di gestione, senza menzionare il limite del 50% all’esercizio di detta opzione prescritto dall’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 252 del 2005. Il precetto statale – invocato dal ricorrente quale disposizione interposta – esprime un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica. Esso mira, infatti, ad assicurare ai beneficiari delle prestazioni integrative situazioni giuridiche uniformi su tutto il territorio nazionale. La variante normativa introdotta dalla Regione incide sulla determinazione degli oneri pluriennali gravanti sul bilancio, in rapporto all’esercizio delle differenziate opzioni a disposizione dei soggetti interessati. In tal guisa la più ampia facoltà di scelta delle modalità di liquidazione della prestazione pensionistica integrativa determina indubbiamente – nella sua complessiva configurazione – un’intrinseca influenza sul riparto quantitativo e temporale della relativa spesa gravante sui futuri esercizi.

L’art. 11, comma 3, esprime altresì un principio di favore nei riguardi dell’opzione per il vitalizio rispetto a quella per la liquidazione una tantum del montante, almeno nella forma radicale del 100% delle competenze spettanti e – in quanto tale – è ascrivibile anche all’esercizio della potestà concorrente dello Stato in materia di previdenza complementare e integrativa (sulla possibilità che una norma interposta afferisca a più materie di competenza statale si vedano le sentenze n. 325 del 2011 e n. 162 del 2007). Proprio in ragione di tale valenza binaria del principio espresso dalla norma interposta, non è rilevante che il Presidente del Consiglio dei ministri non abbia invocato l’articolo 117, terzo comma, Cost., con riferimento alla materia concorrente «previdenza complementare e integrativa», essendo a tal fine sufficiente l’invocazione del richiamato principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica.

Peraltro, non può essere condivisa l’eccezione formulata in via subordinata dalla parte resistente nel corso dell’udienza, secondo cui spetterebbe all’emanando regolamento di gestione fissare i limiti del beneficio in conto capitale, in conformità con la norma statale interposta. La materia in esame involge, infatti, questioni inerenti al sorgere ed all’esercizio di diritti soggettivi, in relazione ai quali la certezza dei rapporti giuridici e la tutela dell’affidamento dei potenziali beneficiari delle prestazioni (l’espressione letterale della norma può facilmente ingenerare l’aspettativa, non esplicitando limiti di sorta, di una liquidazione del montante integrale o comunque superiore a quella prevista dalla legislazione statale) assumono valenza indefettibile, la cui cura e salvaguardia non può essere rimessa ad una fonte regolamentare regionale.

In ragione di quanto argomentato deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 5, della legge della Regione autonoma Sardegna n. 27 del 2011 nella parte in cui non prevede, per il dipendente beneficiario della prestazione pensionistica integrativa, che la facoltà di chiedere la liquidazione in forma di capitale sia limitata alla misura del 50% del montante finale accumulato.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2, della legge della Regione autonoma Sardegna 22 dicembre 2011, n. 27, recante «Riforma della legge regionale 5 maggio 1965, n. 15 (Istituzione di un fondo per l’integrazione del trattamento di quiescenza, di previdenza e di assistenza del personale dipendente dall’Amministrazione regionale)»;

2) dichiara, altresì, in via consequenziale, l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, della medesima legge regionale n. 27 del 2011;

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 5, della legge regionale n. 27 del 2011, nella parte in cui non prevede, per il dipendente beneficiario della prestazione pensionistica integrativa, che la facoltà di chiedere la liquidazione in forma di capitale sia limitata alla misura del 50% del montante finale accumulato;

4) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’intera legge regionale n. 27 del 2011, promossa, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera o), e 117, terzo comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;

5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 5, della legge regionale n. 27 del 2011, sollevata in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e 117, terzo comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 febbraio 2013.

F.to:

Franco GALLO, Presidente

Aldo CAROSI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 15 febbraio 2013.