SENTENZA N. 26
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta
dai signori:
- Franco GALLO Presidente
- Gaetano SILVESTRI Giudice
- Sabino CASSESE "
-
- Giuseppe FRIGO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli
4, comma 2, e 7, comma 5, della legge della Regione autonoma Sardegna 22
dicembre 2011, n. 27, recante «Riforma
della legge regionale 5 maggio 1965, n. 15 (Istituzione di un fondo per
l’integrazione del trattamento di quiescenza, di previdenza e di assistenza del
personale dipendente dall’Amministrazione regionale)»,
promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il
27 febbraio – 1° marzo 2012, depositato in cancelleria il 5 marzo 2012 ed
iscritto al n. 51 del registro ricorsi 2012.
Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma
Sardegna;
udito nell’udienza pubblica del 15 gennaio 2013 il Giudice
relatore Aldo Carosi;
uditi l’avvocato dello Stato Raffaele Tamiozzo
per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato
Ritenuto in
fatto
1. — Con ricorso notificato il 27
febbraio – 1° marzo 2012 e depositato il 5 marzo 2012, su deliberazione
consiliare del 24 febbraio 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato in
via principale l’intera legge della Regione autonoma Sardegna 22 dicembre 2011,
n. 27, recante «Riforma della legge regionale 5 maggio 1965, n. 15 (Istituzione
di un fondo per l’integrazione del trattamento di quiescenza, di previdenza e
di assistenza del personale dipendente dall’Amministrazione regionale)» e
pubblicata sul B.U.R. della Sardegna n. 38 del 29
dicembre 2011, ed in particolare gli articoli 4, comma 2, e 7, comma 5.
1.1. — Premette il ricorrente che la
legge regionale n. 27 del
1.2. — Secondo il Presidente del
Consiglio dei ministri la legge regionale, oltre ad eccedere dalla competenza
legislativa concorrente in materia di «previdenza complementare e integrativa»
di cui all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione – estesa, ex art. 10 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della
Costituzione), quale forma di autonomia più ampia, alla Sardegna, cui è
riconosciuta al riguardo competenza integrativa-attuativa
dall’art. 5, lettera b), della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) – ed a
violare la competenza legislativa spettante in via esclusiva allo Stato in
materia di «previdenza sociale» ex
art. 117, secondo comma, lettera o),
Cost., presenterebbe ulteriori profili di illegittimità costituzionale.
1.3. — In particolare, l’art. 4, comma
2, della legge impugnata, prevedendo l’erogazione di un contributo specifico da
parte della Regione per il raggiungimento dell’equilibrio finanziario
determinato dall’entrata a regime del sistema contributivo di cui al precedente
art. 3, comma 1, fa rinvio, per la copertura dell’onere, a successivi
provvedimenti da assumere con legge finanziaria (art. 16, comma 2). Ad avviso
del ricorrente, simile modalità di copertura non terrebbe conto dei principi
espressi dalla vigente normativa contabile – art. 17 della legge 31 dicembre
2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica) – che, in attuazione
dell’art. 81, quarto comma, Cost., prevede che ogni legge che comporti nuovi o
maggiori oneri – soprattutto per quei provvedimenti che determinano
l’insorgenza di diritti soggettivi, come quelli spettanti ai beneficiari delle
prestazioni pensionistiche integrative – debba indicare espressamente le
previsioni di spesa per ciascun anno, definendo una specifica clausola di
salvaguardia per la compensazione delle eventuali eccedenze di spesa rispetto
alle previsioni ed individuando, sulla base di una dettagliata relazione
tecnica, la puntuale copertura degli oneri di regime, senza rinviare a
successive disposizioni per la copertura finanziaria. Risulterebbe pertanto
violato l’art. 81, quarto comma, Cost.
1.4. — A dire del Presidente del
Consiglio, inoltre, l’art. 7, comma 5, della legge regionale censurata,
ammettendo la liquidazione in capitale delle prestazioni, con conseguente
applicazione di un regime di imposizione fiscale più favorevole, determinerebbe
minori entrate fiscali, con effetti negativi per la finanza pubblica, così
incidendo sulla materia del sistema tributario e contabile dello Stato, in
violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e contrasterebbe con il «principio di coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario di cui all’art. 117, terzo
comma, Cost.». Inoltre, poiché, nel rinviare al
regolamento di gestione, la norma censurata non sancirebbe alcun criterio
direttivo che chiarisca che la liquidazione in capitale non possa essere
effettuata per intero, essa contrasterebbe con l’art. 11, comma 3, del d.lgs.
n. 252 del 2005, che prevede l’erogazione in capitale delle prestazioni
pensionistiche integrative fino ad un massimo del 50% del montante finale
accumulato.
1.5. — Infine, secondo il ricorrente «il
complesso delle disposizioni recate dalla legge regionale», pur modificando in
termini restrittivi la disciplina dettata dalla legge regionale n. 15 del 1965,
non terrebbe conto delle inderogabili ed urgenti esigenze di contenimento della
spesa pensionistica, conseguenti agli impegni internazionali assunti in sede di
Unione Europea, nonché delle richieste formulate all’Italia dagli organismi
economici a livello internazionale.
2. — Con atto depositato il 10 aprile
2012 si è costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna, chiedendo che le
questioni relative agli artt. 4, comma 2, e 7, comma 5, della legge regionale
n. 27 del 2011 siano dichiarate inammissibili o, in subordine, infondate.
2.1. — Anzitutto, la resistente
evidenzia come la legge impugnata incida sulla materia della previdenza complementare
per i soli dipendenti regionali, così come si evincerebbe dal tenore dell’art.
1 (Finalità). Ciò confuterebbe l’assunto del ricorrente, secondo cui la legge
regionale eccederebbe dall’ambito competenziale della
«previdenza complementare e integrativa» previsto dall’art. 117, terzo comma,
Cost. Infatti, essa sarebbe riconducibile alla materia «stato giuridico ed
economico del personale» di cui all’art. 3, primo comma, lettera a), dello statuto, concernendo non la
generalità dei lavoratori operanti in Sardegna, ma solamente i dipendenti
regionali, a cui assicura particolari vantaggi anche in corso di rapporto di
lavoro, come nel caso delle anticipazioni (art. 11) e dei piccoli prestiti ai
dipendenti (art. 12). Da qui, secondo la Regione, l’infondatezza, se non
l’inammissibilità, dell’intera impugnazione, per non aver invocato, tra i
parametri alla stregua dei quali operare lo scrutinio, l’art. 3, primo comma,
lettera a), dello statuto.
2.2. — Peraltro, sempre secondo la
resistente, quand’anche si riconducesse la legge impugnata alla materia della
previdenza complementare ed integrativa, la Regione non avrebbe ecceduto dalla
propria competenza, avendola esercitata, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della
stessa legge regionale, nell’ambito dei principi stabiliti dalla legislazione
statale, secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 252 del 2005 – il
quale dispone che «le forme pensionistiche complementari possono essere
istituite da […] le regioni, le quali disciplinano il funzionamento di tali
forme pensionistiche complementari con legge regionale nel rispetto della
normativa nazionale in materia» – riformando un’esperienza pluridecennale di
trattamento integrativo attraverso la sostituzione del sistema di calcolo c.d.
contributivo a quello c.d. retributivo.
2.3. — Parimenti inammissibili, prima
ancora che infondate, sarebbero, ad avviso della resistente, le censure mosse
alla legge regionale per non aver tenuto conto delle esigenze di contenimento
della spesa pensionistica. Tale doglianza sarebbe apodittica, in quanto priva
di ogni argomentazione di supporto, e non specificherebbe né le norme a cui si
dirige né i parametri che si assumono violati. Peraltro, essa sarebbe anche
destituita di fondamento, atteso che la legge avrebbe determinato il passaggio,
per le prestazioni maturate a decorrere dal 1° gennaio 2012, dal sistema
retributivo a quello contributivo e, pur facendo salvi i diritti quesiti,
avrebbe previsto ulteriori misure di contenimento della spesa, stabilendo che il
calcolo dell’indennità di fine rapporto avvenga assumendo a base la media delle
retribuzioni degli ultimi dieci anni al 31 dicembre 2011 e non più l’ultima
retribuzione, come nel regime precedente.
2.4. — Quanto alle censure
specificamente mosse all’art. 4, comma 2, la Regione ne assume l’infondatezza.
2.4.1. — Evidenzia, infatti, come la
copertura finanziaria della riforma sia assicurata dall’art. 16 della stessa
legge regionale n. 27 del 2011. Detta disposizione prevede che gli oneri
rappresentati dal contributo a carico del bilancio regionale di cui all’art. 4,
comma 2, finalizzato all’integrazione del capitale accumulato attraverso gli
ordinari flussi contributivi versati al FITQ, siano coperti mediante rinvio
alla legge finanziaria, secondo quanto previsto dall’art. 4, comma 1, lettera e), della legge della Regione autonoma
Sardegna 2 agosto 2006, n. 11 (Norme in materia di programmazione, di bilancio
e di contabilità della Regione autonoma della Sardegna. Abrogazione della legge
regionale 7 luglio 1975, n. 27, della legge regionale 5 maggio 1983, n. 11 e
della legge regionale 9 giugno 1999, n. 23), trattandosi di una spesa
continuativa (in quanto prevista fino al raggiungimento dell’equilibrio
finanziario determinato dall’entrata a regime del sistema contributivo) e
ricorrente (in quanto contributo annuale). Poiché l’art. 4, comma 1, della
legge regionale n. 11 del 2006 assegna alla legge finanziaria la finalità di
determinare, in apposita tabella, «la quota da iscrivere nel bilancio di
ciascuno degli anni considerati dal bilancio pluriennale per le leggi di spesa
con onere permanente, la cui quantificazione è rinviata alla legge finanziaria»
(lettera e) e, «per ciascuno degli
anni considerati dal bilancio pluriennale, le riduzioni e/o gli incrementi di autorizzazioni
legislative di spesa» (lettera f), la
prevista modalità di copertura sarebbe pienamente conforme all’art. 81, quarto
comma, Cost., così come ritenuto dalla stessa Corte costituzionale (si cita la sentenza n. 386 del
2008) e dalla legge [recte,
decreto legislativo] 28 marzo 2000, n. 76 (Principi fondamentali e norme di
coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, in
attuazione dell’articolo 1, comma 4, della legge 25 giugno 1999, n. 208), che,
all’art. 3 (Leggi regionali di spesa), comma 1, primo alinea, prevede che «Le
leggi regionali che prevedono attività o interventi a carattere continuativo o
ricorrente determinano le procedure da seguire, rinviando alla legge di
bilancio la quantificazione della relativa spesa». Inoltre, con la disciplina
della fase transitoria del passaggio dal sistema retributivo al sistema
contributivo la Regione non avrebbe fatto altro che salvaguardare le posizioni
acquisite dai dipendenti, insuscettibili di pregiudizio proprio in virtù del
principio fondamentale della legislazione statale quale risulterebbe espresso
dagli artt. 1, comma 27, e 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335
(Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), vincolante
per la Regione, che con la norma censurata avrebbe inteso appunto prestarvi
ossequio.
2.4.2. — La Regione eccepisce inoltre la
cessazione della materia del contendere (o l’inammissibilità od improcedibilità
del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse) per l’intervenuta attuazione
dell’art. 16, comma 2, della legge impugnata ad opera della legge della Regione
autonoma Sardegna 15 marzo 2012, n. 6, recante «Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale della Regione (legge finanziaria 2012)».
Essa prevede all’art. 1, comma 6, che: «Le autorizzazioni di spesa per le quali
si dispone una riduzione o un incremento, a termini dell’articolo 4, comma 1,
lettera f), della legge regionale 2 agosto 2006, n. 11 (Norme in materia di
programmazione, di bilancio e di contabilità della Regione autonoma della
Sardegna. Abrogazione della legge regionale 7 luglio 1975, n. 27, della legge
regionale 5 maggio 1983, n. 11 e della legge regionale 9 giugno 1999, n. 23),
sono determinate, per gli anni 2012-2014, nella misura indicata nell’allegata
tabella D». La citata tabella D contempla uno stanziamento di euro 7.340.000,00
per l’anno 2012 e di euro 4.440.000,00 per gli anni 2013 e
2.5. — Quanto alle censure
specificamente mosse all’art. 7, comma 2, la Regione ne sostiene
l’inammissibilità e l’infondatezza.
2.5.1. — Sotto il primo profilo la
resistente evidenzia anzitutto come il contrasto con l’art. 117, secondo comma,
lettera e), Cost. sia dedotto in via
apodittica. Inoltre, la censura sarebbe inammissibile perché formulata solo in
via ipotetica, al fine di risolvere un mero problema interpretativo, palesando
la mancanza di un concreto interesse all’impugnazione da parte del Presidente
del Consiglio. L’art. 7, comma 5, infatti, rinvia ad un successivo regolamento
la determinazione delle modalità di liquidazione del trattamento, con la
conseguenza che, fino alla relativa adozione, non vi sarebbe interesse
giuridicamente qualificato a coltivare la censura (il regolamento ben potrebbe
prevedere misure inferiori al totale per il versamento del montante
contributivo).
2.5.2. — Nel merito, sul punto il
ricorso sarebbe infondato, atteso che la materia in rilievo nella fattispecie
sarebbe quella dello «stato giuridico ed economico del personale», di
competenza legislativa esclusiva della Regione ai sensi dell’art. 3, primo
comma, lettera a), dello statuto. Di
conseguenza, la resistente non sarebbe vincolata dalla quota massima di
liquidazione del montante contributivo accumulata dal lavoratore quale
stabilita dall’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 252 del 2011. Tale decreto,
peraltro, richiama, nelle premesse al testo, la legge di delega 23 agosto 2004,
n. 243 (Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della
previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione
stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria),
la quale a sua volta dispone che il Governo, nel suo esercizio, faccia salve le
competenze delle Regioni a statuto speciale. Con ciò il legislatore delegato
non avrebbe potuto interferire con le attribuzioni costituzionalmente garantite
della Regione autonoma Sardegna a pena d’illegittimità della normativa
introdotta. Inoltre, tra i principi ed i criteri direttivi imposti dal
legislatore delegante e richiamati nella premessa del d.lgs. n. 252 del 2005
non figurerebbe alcun riferimento a limiti di liquidazione del montante
contributivo.
2.5.3. — Sempre a sostegno
dell’infondatezza, la resistente sostiene che, a parte il contributo a
copertura delle necessità della fase transitoria, a regime la Regione
parteciperebbe all’accumulo del montante solo per lo 0,59% (ex art. 4, comma 1, lettera b, della legge impugnata) mentre il
dipendente concorrerebbe per il 5%, con il che la liquidazione del 100% del
montante all’atto della cessazione del servizio altro non rappresenterebbe che
la restituzione di quanto versato dal lavoratore, senza nessun onere
particolare o maggiore per la Regione, che sostanzialmente avrebbe risparmiato
in corso di servizio la cifra non corrisposta con la retribuzione,
postergandone l’erogazione.
3. — Con memoria depositata il 12
dicembre 2012 il Presidente del Consiglio dei ministri reitera le
argomentazioni esposte in ricorso, contestando l’assunto della controparte
circa la sopravvenuta cessazione della materia del contendere per effetto di
quanto disposto dalla legge reg. Sardegna n. 6 del 2012.
4. — Con memoria depositata il 21
dicembre 2012 la Regione autonoma Sardegna ribadisce le difese contenute
nell’atto di costituzione, sviluppandone di ulteriori.
Evidenzia anzitutto come l’impugnazione
si sia limitata esclusivamente agli artt. 4, comma 2, e 7, comma 5, della legge
regionale n. 27 del 2011.
Afferma nuovamente la riconducibilità
delle disposizioni censurate alla materia «ordinamento degli uffici e degli
enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del
personale», di cui all’art. 3, comma 1, lettera a), dello statuto – considerata anche la disciplina dell’attività amministrativa
di gestione del fondo – e non alla «previdenza sociale», di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera o), Cost., con
conseguente inammissibilità delle questioni – per non essersi tenuto alcun
conto delle competenze attribuite dalla citata norma statutaria – o
infondatezza delle stesse.
Ripropone altresì, in via subordinata,
la tesi della riconducibilità della legge all’ambito competenziale
concorrente rappresentato dalla «previdenza complementare e integrativa», di
cui al combinato disposto degli artt. 117, terzo comma, Cost. e 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001, legittimandosi in tal modo la riforma del
trattamento previdenziale attraverso la sostituzione del sistema retributivo
con quello contributivo.
Evidenzia come sia lo stesso ricorrente
a riconoscere che le modifiche apportate alla legge reg. Sardegna n. 15 del
1965 da quella impugnata siano "in termini restrittivi”, salvo poi lamentare
che quest’ultima non tenga conto delle "esigenze di contenimento della spesa
pensionistica, conseguenti agli impegni internazionali del nostro Paese,
assunti in sede di Unione Europea” (senza peraltro indicare specificamente i
parametri violati, con conseguente inammissibilità della censura). Viceversa,
il regime previgente, fondato sul sistema retributivo del calcolo delle
prestazioni, ove mantenuto, avrebbe, esso sì, determinato un aggravio di
esborso.
Secondo la resistente, proprio questi
argomenti dovrebbero indurre anche ad escludere che la legge regionale n. 27
del 2011 – in alcune parti del ricorso censurata anche nel complesso delle sue
disposizioni e, dunque, in maniera inammissibile (si citano al riguardo le
sentenze n. 141
del 2010 e n.
64 del 2007) – abbia ingenerato nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza regionale – perseguendo, al contrario, finalità di riduzione di spesa –
con ciò inficiando in radice la fondatezza del motivo d’impugnazione prettamente
afferente all’art. 4, comma 2, della legge medesima.
Inoltre, con specifico riguardo all’art.
7, comma 5, della legge impugnata, oltre a richiamare le difese già svolte
nell’atto di costituzione, la Regione sostiene l’inconferenza
del richiamo operato in ricorso alla materia «sistema tributario e contabile
dello Stato», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., atteso che la disposizione non disciplinerebbe alcuna
forma di imposizione fiscale o momento di gestione della fiscalità regionale e,
comunque, in nessun modo si ingerirebbe in quella statale. Infine, in via
subordinata, la Regione evidenzia come l’art. 1, comma 1, della legge regionale
imponga il rispetto dei principi stabiliti dalla legislazione statale, alla
luce dei quali la disposizione censurata dovrebbe essere interpretata.
Considerato in diritto
1. — Con ricorso ritualmente notificato
il 27 febbraio – 1° marzo 2012 e depositato il 5 marzo 2012, su deliberazione
consiliare del 24 febbraio 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha
impugnato in via principale la legge della Regione autonoma Sardegna 22
dicembre 2011, n. 27, recante «Riforma della legge regionale 5 maggio 1965, n.
15 (Istituzione di un fondo per l’integrazione del trattamento di quiescenza,
di previdenza e di assistenza del personale dipendente dall’Amministrazione
regionale)», sia con riguardo agli articoli 4, comma 2, e 7, comma 5, che nel
suo complesso.
1.1. — L’art. 4, comma 2, di detta legge
viene censurato in relazione all’erogazione di un contributo specifico della
Regione autonoma finalizzato al raggiungimento dell’equilibrio finanziario del
Fondo per l’integrazione del trattamento di quiescenza, di previdenza e di
assistenza a favore dei dipendenti dell’amministrazione regionale (FITQ),
facendo rinvio, per la copertura del relativo onere, a successivi provvedimenti
da assumere con legge finanziaria. La norma sarebbe in contrasto con l’articolo
81, quarto comma, della Costituzione, e con il parametro interposto costituito
dall’art. 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e
finanza pubblica), poiché comporterebbe nuove e maggiori spese senza indicare
espressamente le risorse necessarie per farvi fronte relativamente ad ogni
esercizio interessato al riequilibrio ed in assenza della previa definizione di
una specifica clausola di salvaguardia, finalizzata alla compensazione delle
eventuali eccedenze di spesa rispetto alle previsioni, e di una dettagliata
relazione tecnica funzionale all’individuazione della copertura finanziaria.
1.2. — L’art. 7, comma 5, della stessa
legge regionale n. 27 del 2011 viene impugnato in relazione alla prescrizione
che consente la liquidazione delle prestazioni pensionistiche in forma di
capitale secondo le modalità stabilite dall’emanando regolamento di gestione.
La disposizione sarebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che attribuisce al
legislatore statale la competenza esclusiva nella materia «sistema tributario e
contabile dello Stato» e con l’art. 117, terzo comma, Cost., che indica come
materia di legislazione concorrente il «coordinamento della finanza pubblica e
del sistema tributario», poiché determinerebbe l’applicazione di un regime di
imposizione latore di minori entrate fiscali, come tale pregiudizievole per la finanza
pubblica, e consentirebbe comunque di evitare ai beneficiari delle prestazioni
pensionistiche integrative la soggezione al limite massimo del 50% nella
liquidazione diretta del montante finale accumulato; limite previsto
dall’apposita norma interposta individuata nell’art. 11, comma 3, del decreto
legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 (Disciplina delle forme pensionistiche
complementari).
1.3. — L’intera legge viene poi
impugnata in quanto il complesso delle sue disposizioni non terrebbe in alcun
conto delle «inderogabili e urgenti esigenze di contenimento della spesa
pensionistica, conseguenti agli impegni internazionali del nostro Paese,
assunti in sede di Unione Europea, nonché delle richieste esplicitamente
formulate all’Italia dagli organismi economici a livello internazionale». Tale
impugnazione, che non indica alcun parametro costituzionale, emerge dalla parte
iniziale del ricorso la quale, riprendendo la deliberazione del Consiglio dei
ministri, rileva che «la legge regionale è censurabile in quanto eccede dalla
competenza legislativa concorrente in materia di "previdenza complementare ed
integrativa”, prevista per le regioni ordinarie dall’art. 117, comma 3, Cost.,
ed estesa ex art. 10 della l. cost. n. 3 del 2011, quale forma di autonomia più
ampia, alla regione Sardegna, alla quale è riconosciuta al riguardo, dall’art.
5 lettera b) dello statuto speciale di autonomia di cui alla legge
costituzionale n. 3/1948, competenza integrativo-attuativa.
La legge regionale, inoltre, viola la competenza esclusiva statale in materia
di "previdenza sociale” di cui all’articolo 117, comma 2, lettera o) della
carta Costituzionale».
2. — Con atto depositato il 10 aprile
2012 si è costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna, chiedendo che le
questioni relative agli artt. 4, comma 2, e 7, comma 5, della legge regionale
n. 27 del 2011 siano dichiarate inammissibili o, in subordine, infondate.
2.1. — In linea generale, la resistente
eccepisce che lo spazio legislativo in cui si muove la legge impugnata è quello
della previdenza complementare ed integrativa per i soli dipendenti regionali;
per questo la stessa non eccederebbe l’ambito d’attribuzione derivante sia
dall’art. 3, primo comma, lettera a),
dello statuto che dall’art. 117, terzo comma, Cost. La Regione, infatti,
avrebbe esercitato in primo luogo la propria competenza legislativa esclusiva
nella materia «stato giuridico ed economico del personale» (art. 3, primo
comma, lettera a, dello statuto),
alla quale afferirebbero i vantaggi derivanti dall’offerta dei servizi di
previdenza complementare contenuta nella legge regionale n. 27 del
2.2. — Per quel che riguarda le singole
censure, la difesa della Regione rileva che le doglianze rivolte alla legge regionale
nel suo complesso sarebbero inammissibili, perché formulate in modo
assolutamente assertivo, in assenza di individuazione del parametro
costituzionale violato e delle specifiche disposizioni che vi contrasterebbero.
Quanto agli oneri previsti dall’art. 4,
comma 2, della legge regionale n. 27 del 2011 inerente al riequilibrio del
FITQ, la relativa copertura sarebbe assicurata dal combinato disposto dell’art.
16 della stessa legge regionale e della successiva legge della Regione autonoma
Sardegna 15 marzo 2012, n. 6, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale della Regione (legge finanziaria 2012)». In
particolare l’art. 1, comma 6, di quest’ultima assicurerebbe la copertura
attraverso il rinvio alla tabella D, allegata al provvedimento legislativo, la
quale stanzierebbe risorse pari ad euro 7.340.000,00 per l’anno 2012 e ad euro
4.440.000,00 per gli anni 2013 e 2014.
Questa modalità di copertura sarebbe
conforme alla legge regionale 2 agosto 2006, n. 11 (Norme in materia di
programmazione, di bilancio e di contabilità della Regione autonoma della
Sardegna. Abrogazione della legge regionale 7 luglio 1975, n. 27, della legge
regionale 5 maggio 1983, n. 11 e della legge regionale 9 giugno 1999, n. 23) ed
all’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76 (Principi
fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità
delle Regioni, in attuazione dell’articolo 1, comma 4, della legge 25 giugno
1999, n. 208), conformemente agli orientamenti giurisprudenziali di questa
Corte.
Secondo la resistente, infatti, nel caso
di specie si tratterebbe di spese continuative e ricorrenti la cui copertura
ben potrebbe essere assicurata al momento della redazione e dell’approvazione
del bilancio annuale in conformità alla legge finanziaria regionale.
Circa la pretesa illegittimità dell’art.
7, comma 5, della legge impugnata, la Regione eccepisce preliminarmente
l’inammissibilità della censura, in quanto formulata in via ipotetica e
congetturale. Al contrario, detta norma rinvierebbe ad un successivo
regolamento la determinazione delle modalità di liquidazione diretta del
montante pensionistico. Pertanto fino alla sua entrata in vigore non vi sarebbe
– sempre secondo la resistente – alcuna lesione della disposizione interposta,
costituita dall’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 252 del 2005. Inoltre, l’ambito
di competenza materiale nel caso di specie sarebbe lo «stato giuridico ed
economico del personale», attribuito in via esclusiva alla Regione ai sensi dell’art.
3, primo comma, lettera a), dello
statuto della Regione autonoma Sardegna, dal momento che il contenuto della
disposizione si limiterebbe a regolare lo status
del dipendente dell’amministrazione regionale in prospettiva della futura
quiescenza.
Nel corso della udienza la difesa della
Regione ha osservato che, in ogni caso, la citata disposizione della legge
regionale non precluderebbe al regolamento di confermare il limite del 50% alla
liquidazione diretta del montante pensionistico.
3. — La complessità dei contenuti della
legge regionale impugnata e la pluralità dei parametri costituzionali invocati
dal ricorrente e dalla difesa della Regione impongono una breve premessa
ricostruttiva del quadro costituzionale in cui si inseriscono le prescrizioni di
detta legge.
3.1. — Innanzitutto, occorre precisare
che le censure effettuate con riguardo all’art. 81, quarto comma, Cost. devono
essere scrutinate in riferimento al testo vigente della norma, poiché la
revisione introdotta con la legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1
(Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta
costituzionale), si applica a decorrere dall’esercizio finanziario 2014, come
disposto dall’art. 6 della stessa legge.
3.2. — È opportuno poi sottolineare come
la legge regionale oggetto del presente giudizio, nel prevedere il riassetto
globale del fondo per l’integrazione del trattamento di quiescenza, previdenza
e assistenza del personale dipendente dell’amministrazione regionale, investa
una pluralità di ambiti materiali, alcuni dei quali potenzialmente interferenti
con la potestà legislativa esclusiva statale, altri ascrivibili a quella
esclusiva regionale, altri, infine, riconducibili alla potestà legislativa
concorrente dello Stato e delle Regioni.
Quanto alla sovrapposizione di ambiti
materiali, un simile riassetto può certamente intercettare la competenza
esclusiva dello Stato in materia di previdenza sociale di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera o), Cost. –
laddove si verifichi in concreto l’interazione con prescrizioni generali poste
dallo Stato nell’esercizio della sua potestà in subiecta materia (in tal senso sentenza n. 274 del
2003) – ed in materia di sistema tributario e contabile dello Stato di cui
all’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost. (ad esempio per il trattamento
fiscale e l’allocazione contabile della spesa). Inoltre, detta sovrapposizione
può interagire con la potestà concorrente statale in materia di previdenza
complementare e integrativa e di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. Infine, essa può
rimanere correttamente nell’alveo della competenza regionale esclusiva (art. 3,
primo comma, lettera a, dello statuto:
stato giuridico ed economico del personale) e nei confini di quella concorrente
(l’art. 5, lettera b, dello statuto
Sardegna prevede lapotestà integrativa-attuativa
regionale in materia di previdenza, i cui limiti vanno estesi in applicazione
dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante
«Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione», ed in ragione
della maggiore autonomia accordata dall’art. 117, terzo comma, Cost. alle
Regioni a statuto ordinario in materia di previdenza complementare e
integrativa).
La contiguità delle descritte competenze
legislative statali e regionali avrebbe dovuto suggerire, nell’impugnazione
dell’intera legge regionale, la puntuale individuazione delle diverse norme con
riguardo alla materia o al complesso di materie effettivamente intercettati.
Ciò al fine di verificare se il legislatore regionale abbia, in concreto,
esercitato la propria competenza nel rispetto degli ambiti riservati allo Stato
o dei principi posti in materia di legislazione concorrente da quest’ultimo.
Infatti, quando si verifica simile intersecazione di materie – caratterizzata
da una fitta trama di rapporti tra interessi statali, regionali e locali – la
cui titolarità è ripartita tra Stato e Regioni e quando risulta impossibile
all’interno dell’intero tessuto normativo individuarne una prevalente, gli
ambiti di spettanza dei due legislatori possono essere relativamente mobili (sentenza n. 271 del
2008) e suscettibili di scrutinio analitico con riguardo alla ratio ed alla
finalità di ciascuna norma esaminata.
3.3. — Quanto all’impugnazione
dell’intera legge regionale queste precisazioni sono assenti e pertanto le relative censure devono essere
dichiarate inammissibili.
Esse risultano generiche, non soltanto
per la carente individuazione dei parametri costituzionali. Anche interpretando
l’impugnazione nel senso che la doglianza sia riferita agli artt. 117, terzo
comma, e 117, secondo comma, lettera o),
Cost., non risultano indicate le singole norme regionali che avrebbero ecceduto
dalla competenza legislativa concorrente in materia di previdenza complementare
ed integrativa e determinato l’invasione della competenza esclusiva statale in
materia di previdenza sociale.
Sul punto è opportuno precisare che il
riassetto ed il contenimento della spesa pensionistica e previdenziale
costituiscono adempimenti indefettibili da parte di tutte le pubbliche
amministrazioni coinvolte nella loro regolazione e gestione. Nello specifico
caso degli enti territoriali dette operazioni si inquadrano nella prospettiva
sia del contenimento della spesa pubblica che della trasparenza delle politiche
di governo dell’amministrazione. Infatti solo allocazioni contabili coerenti ed
ordinate possono consentire di mettere in relazione la programmazione aggregata
delle singole partite di bilancio con le scelte concretamente effettuate nella
complessiva utilizzazione delle risorse. Per questo motivo le prospettazioni del Presidente del Consiglio avrebbero
dovuto essere più puntuali e caratterizzate da un saldo collegamento tra oneri
economici di ciascuna operazione di riassetto e parametri costituzionali
attinenti al loro scrutinio. Al contrario, la genericità delle doglianze e la
lacunosità nell’individuazione dei parametri costituzionali rendono
inammissibili le questioni sollevate nei confronti dell’intera legge.
4. — Venendo allo scrutinio delle
singole norme censurate dal ricorrente, la questione sollevata nei confronti
dell’art. 4, comma 2, della legge regionale n. 27 del
Il Presidente del Consiglio dei ministri
lamenta la mancata copertura della spesa in questione, invocando quale norma
interposta l’art. 17 della legge n. 196 del 2009, il quale prescrive che ogni
legge comportante nuovi o maggiori oneri quantifichi espressamente le
previsioni di spesa per ciascun anno, definendo una specifica clausola di
salvaguardia per la compensazione degli effetti che eccedano le previsioni
medesime.
Il ricorrente censura altresì il rinvio
della copertura finanziaria a successiva disposizione.
4.1. — Quanto al giudizio di idoneità
delle modalità di copertura delle diverse tipologie di spesa, questa Corte ha
già avuto modo di affermare che il principio dell’equilibrio di bilancio di cui
all’art. 81, quarto comma, Cost., opera direttamente, a prescindere
dall’esistenza di norme interposte. Con riguardo al caso in esame, il carattere
precettivo generale dell’art. 81, quarto comma, Cost.
è in grado di vincolare la disciplina delle fonti di spesa di carattere
pluriennale, aventi componenti variabili e complesse (sentenze n. 70 del 2012,
n. 25 del 1993,
n. 384 del 1991,
n. 19 del 1970).
Gli artt. 17 e 19 della legge n. 196 del 2009 costituiscono una mera
specificazione del principio in questione con riguardo a detta categoria di
spese: l’art. 17 inerisce alle modalità di copertura finanziaria delle leggi
statali; l’art. 19 le estende a tutte le Regioni e alle Province autonome di
Trento e Bolzano. In sostanza le due disposizioni non comportano un’innovazione
al principio della copertura, bensì una semplice puntualizzazione tecnica (come
confermato, tra l’altro, dall’incipit
dell’art. 17: «in attuazione dell’articolo 81, quarto comma, della Costituzione…») ispirata dalla crescente complessità della
finanza pubblica.
Questa Corte ha costantemente affermato
che: a) le leggi istitutive di nuove spese debbono contenere una «esplicita
indicazione» del relativo mezzo di copertura (ex plurimis, sentenze n. 386 e n. 213 del 2008,
n. 359 del 2007
e n. 9 del 1958);
b) che a tale obbligo non sfuggono le norme regionali (ex plurimis, sentenze n. 213 del 2008
e n. 16 del 1961);
c) che solo per le spese continuative e ricorrenti è consentita
l’individuazione dei relativi mezzi di copertura al momento della redazione e
dell’approvazione del bilancio annuale, in coerenza con quanto previsto – tra
l’altro – dall’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 76 del 2000 (sentenze n. 446 del 1994,
n. 26 del 1991
e n. 331 del
1988).
La fattispecie in esame non è
ascrivibile, come sostenuto dalla resistente, alla categoria delle spese
continuative e ricorrenti, le quali sono caratterizzate da una costante
incidenza su una pluralità indefinita di esercizi finanziari. Al contrario,
essa deve essere catalogata tra le spese pluriennali aventi una consistenza
variabile e circoscritta nel tempo, secondo il concreto fabbisogno che le
esigenze di riequilibrio del fondo pensionistico comportano. Per questo motivo
la disposizione in esame, come ciascuna legge che produce nuovi o maggiori oneri,
avrebbe dovuto indicare espressamente, per ciascun esercizio coinvolto, il
limite di spesa e la specifica clausola di salvaguardia finalizzata a
compensare gli effetti eccedenti le previsioni iniziali. In situazioni nelle
quali la quantificazione degli oneri non può prescindere da stime economiche
presuntive basate su calcoli matematici e statistici, il legislatore prevede
(art. 17 della legge n. 196 del 2009) l’obbligo di una relazione tecnica
giustificativa degli stanziamenti di bilancio ed illustrativa delle modalità
dinamiche attraverso le quali qualsiasi sopravvenienza possa essere gestita in
ossequio al principio dell’equilibrio del bilancio.
In particolare, l’art. 17, comma 7,
della legge n. 196 del 2009 – le cui modalità sono estese alle Regioni e alle
Province autonome dal successivo art. 19, comma 2 – prescrive per le
disposizioni legislative in materia pensionistica «un quadro analitico di
proiezioni finanziarie, almeno decennali, riferite all’andamento delle
variabili collegate ai soggetti beneficiari». Nel caso di specie alla
disposizione impugnata avrebbe dovuto accompagnarsi apposita relazione tecnica
riferita ad elementi di valutazione indispensabili, quali il censimento delle
categorie dei destinatari, il loro numero, le diversificate dinamiche di
sviluppo, con particolare riguardo alle aspettative di vita, agli automatismi –
diretti ed indiretti – inerenti all’intero periodo necessario per provvedere al
riequilibrio del fondo, nonché ad ogni altro elemento utile per assicurare
l’attendibilità delle quantificazioni. In assenza di dette componenti la
clausola di salvaguardia diventerebbe elemento puramente formale, senza
possibilità di operare in modo efficace ogni qualvolta l’andamento degli oneri
programmati dovesse discostarsi in aumento rispetto alle previsioni iniziali.
Dunque, gli adempimenti previsti per la
copertura di detta tipologia di spesa non sono stati rispettati né con la legge
regionale impugnata né con la successiva legge finanziaria. Il tipo di spesa in
esame appartiene alla categoria degli oneri pluriennali con carattere non
uniforme e temporalmente circoscrivibile e per questo motivo esso non può
essere assentito attraverso una stima apodittica dei conseguenti oneri.
In ogni caso anche l’articolazione di
tale non consentita copertura ex post
non corrisponde all’affermata congruità delle risorse impiegate per la
specifica finalità del riequilibrio. Infatti, l’invocata copertura in sede di
legge finanziaria (legge regionale n. 6 del 2012), che condurrebbe – ad avviso
della Regione – alla cessazione della materia del contendere, non corrisponde,
neppure sotto il profilo contabile, alla spesa contestata dal Presidente del
Consiglio. L’art. 1, comma 6, della legge regionale n. 6 del 2012, prescrivendo
che «Le autorizzazioni di spesa per le quali si dispone una riduzione o un
incremento, ai termini dell’articolo 4, comma 1, lettera f), della legge
regionale 2 agosto 2006, n. 11 […], sono determinate, per gli anni 2012-2014,
nella misura indicata nell’allegata tabella D» si riferisce agli oneri nascenti
dall’art. 20, commi 17 e 18, della legge della Regione autonoma Sardegna 11
maggio 2006, n. 4 (Disposizioni varie in materia di entrate, riqualificazione
della spesa, politiche sociali e di sviluppo), i quali non coincidono con la
tipologia di spesa censurata. Il comma 17 prevede infatti versamenti regionali
al FITQ relativi all’iscrizione dei dipendenti dei soppressi enti provinciali
del turismo ed aziende autonome di cura e soggiorno, mentre il comma 18 dispone
versamenti regionali al FITQ «a titolo di pagamento di quote di contribuzioni
pregresse dovute per la copertura contributiva di periodi di servizio
riconosciuti utili a favore di personale transitato nei ruoli regionali in
virtù di norme statali e regionali e di quote integrative di quiescenza
spettanti al personale degli enti regionali soppressi». Poiché l’impugnato art.
4, comma 2, prevede che «Fino al raggiungimento dell’equilibrio finanziario
determinato dall’entrata a regime del sistema contributivo di cui all’articolo
3, comma 1, e al fine di salvaguardare le posizioni maturate ai sensi della
legge regionale n. 15 del 1965, nonché di far fronte a iscrizioni o
riconoscimenti di anzianità pregresse non interamente coperti da contribuzione,
disposti entro la data del 1° settembre
4.2. — È inoltre fondata, in ragione
della stretta connessione con la precedente, anche la questione posta in
riferimento all’art. 81, quarto comma, Cost., sotto l’ulteriore profilo
inerente al rinvio dell’individuazione dei mezzi di finanziamento della spesa
ad una legge successiva a quella che le ha dato origine.
Va dichiarata pertanto, in via
consequenziale, anche l’illegittimità dell’art. 16, comma 2, della legge della
Regione autonoma Sardegna n. 27 del 2011, il quale prevede che agli oneri di
riequilibrio di cui all’impugnato art. 4, comma 2, si provveda con successiva
legge finanziaria.
5. — Nei confronti dell’art. 7, comma 5,
della legge regionale n. 27 del 2011, sono state presentate sostanzialmente due
distinte censure.
La prima è posta in riferimento all’art.
117, secondo comma, lettera e),
Cost., che attribuisce al legislatore statale la competenza esclusiva nella
materia «sistema tributario e contabile dello Stato» ed all’art. 117, terzo
comma, Cost. Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la norma
impugnata, consentendo la liquidazione in forma di capitale delle prestazioni
pensionistiche, determinerebbe l’applicazione di un regime di imposizione
fiscale più favorevole ai beneficiari, produttivo di minori entrate fiscali con
conseguente pregiudizio per la finanza pubblica.
La seconda, formulata in riferimento
all’art. 117, terzo comma, Cost., lamenta la violazione del principio di
coordinamento della finanza pubblica, in relazione all’art. 11, comma 3, del
d.lgs. n. 252 del 2005, che ne costituirebbe norma attuativa, prevedendo
l’erogazione in capitale delle prestazioni pensionistiche integrative fino ad
un massimo del 50% del montante finale accumulato.
5.1. — La questione sollevata in riferimento agli artt.
117, secondo comma, lettera e), e
117, terzo comma, Cost., non è fondata.
È fuor di dubbio che, ai fini
dell’identificazione della materia nella quale si collocano le norme impugnate,
non assuma rilievo la qualificazione che di esse dà il legislatore, bensì sia
necessario il riferimento all’oggetto ed alla ratio delle stesse in modo da
identificare correttamente e compiutamente l’interesse in concreto tutelato (ex multis
sentenze n. 300
del 2011, n.
235 del 2010, n.
168 del 2009, n.
430 del 2007 e n. 165 del 2007).
Nel caso in esame, tuttavia, sia la collocazione della norma che la sua
intrinseca formulazione non consentono di attribuirle natura e implicazioni di carattere
tributario. Essa ha per oggetto esclusivamente le modalità di erogazione di una
delle prestazioni complementari corrisposte dal FITQ, senza alcun riferimento
al relativo regime fiscale, che segue le regole generali della materia poste
dallo Stato. La diversificazione del trattamento fiscale è un mero effetto
riflesso, inidoneo ad influenzare la classificazione della norma, trasferendola
nell’ambito competenziale del «sistema tributario e
contabile dello Stato», riservato in via esclusiva al legislatore statale.
Dunque, la norma censurata e la legge
regionale nel suo complesso non introducono alcuna disposizione in materia di
trattamento fiscale, in relazione al quale rimane applicabile il regime
previsto, per la fattispecie in esame, dalla legislazione statale all’art. 11,
comma 6, del d.lgs. n. 252 del 2005, il quale – peraltro – non esprime affatto
un trattamento impositivo più favorevole per la liquidazione in capitale.
5.2. — È invece fondata la questione
sollevata nei riguardi della medesima disposizione impugnata, in riferimento
alla materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica, di cui
all’art. 117, terzo comma, Cost., ed in relazione alla norma interposta
costituita dall’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 252 del 2005, il quale prescrive
in via generale il limite del 50% alla possibilità di liquidare direttamente in
capitale il montante accumulato dal beneficiario della prestazione
pensionistica.
Infatti la norma in esame consente di
chiedere la liquidazione della pensione integrativa in forma di capitale,
secondo le modalità stabilite dall’emanando regolamento di gestione, senza
menzionare il limite del 50% all’esercizio di detta opzione prescritto
dall’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 252 del 2005. Il precetto statale –
invocato dal ricorrente quale disposizione interposta – esprime un principio
fondamentale di coordinamento della finanza pubblica. Esso mira, infatti, ad
assicurare ai beneficiari delle prestazioni integrative situazioni giuridiche
uniformi su tutto il territorio nazionale. La variante normativa introdotta
dalla Regione incide sulla determinazione degli oneri pluriennali gravanti sul
bilancio, in rapporto all’esercizio delle differenziate opzioni a disposizione
dei soggetti interessati. In tal guisa la più ampia facoltà di scelta delle
modalità di liquidazione della prestazione pensionistica integrativa determina
indubbiamente – nella sua complessiva configurazione – un’intrinseca influenza
sul riparto quantitativo e temporale della relativa spesa gravante sui futuri esercizi.
L’art. 11, comma 3, esprime altresì un
principio di favore nei riguardi dell’opzione per il vitalizio rispetto a
quella per la liquidazione una tantum
del montante, almeno nella forma radicale del 100% delle competenze spettanti e
– in quanto tale – è ascrivibile anche all’esercizio della potestà concorrente
dello Stato in materia di previdenza complementare e integrativa (sulla
possibilità che una norma interposta afferisca a più materie di competenza
statale si vedano le sentenze n. 325 del 2011
e n. 162 del
2007). Proprio in ragione di tale valenza binaria del principio espresso
dalla norma interposta, non è rilevante che il Presidente del Consiglio dei
ministri non abbia invocato l’articolo 117, terzo comma, Cost., con riferimento
alla materia concorrente «previdenza complementare e integrativa», essendo a
tal fine sufficiente l’invocazione del richiamato principio fondamentale di
coordinamento della finanza pubblica.
Peraltro, non può essere condivisa
l’eccezione formulata in via subordinata dalla parte resistente nel corso
dell’udienza, secondo cui spetterebbe all’emanando regolamento di gestione
fissare i limiti del beneficio in conto capitale, in conformità con la norma
statale interposta. La materia in esame involge, infatti, questioni inerenti al
sorgere ed all’esercizio di diritti soggettivi, in relazione ai quali la
certezza dei rapporti giuridici e la tutela dell’affidamento dei potenziali
beneficiari delle prestazioni (l’espressione letterale della norma può
facilmente ingenerare l’aspettativa, non esplicitando limiti di sorta, di una
liquidazione del montante integrale o comunque superiore a quella prevista
dalla legislazione statale) assumono valenza indefettibile, la cui cura e
salvaguardia non può essere rimessa ad una fonte regolamentare regionale.
In ragione di quanto argomentato deve essere
dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 5, della legge
della Regione autonoma Sardegna n. 27 del 2011 nella parte in cui non prevede,
per il dipendente beneficiario della prestazione pensionistica integrativa, che
la facoltà di chiedere la liquidazione in forma di capitale sia limitata alla
misura del 50% del montante finale accumulato.
per questi motivi
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 2, della legge della Regione
autonoma Sardegna 22 dicembre 2011, n. 27, recante «Riforma della legge regionale
5 maggio 1965, n. 15 (Istituzione di un fondo per l’integrazione del
trattamento di quiescenza, di previdenza e di assistenza del personale
dipendente dall’Amministrazione regionale)»;
2) dichiara,
altresì, in via consequenziale, l’illegittimità costituzionale dell’art. 16,
comma 2, della medesima legge regionale n. 27 del 2011;
3) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 5, della legge regionale n.
27 del 2011, nella parte in cui non prevede, per il dipendente beneficiario
della prestazione pensionistica integrativa, che la facoltà di chiedere la
liquidazione in forma di capitale sia limitata alla misura del 50% del montante
finale accumulato;
4) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’intera legge regionale
n. 27 del 2011, promossa, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera
o), e 117, terzo comma, Cost., con il
ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 5,
della legge regionale n. 27 del 2011, sollevata in riferimento agli artt. 117,
secondo comma, lettera e), Cost., e
117, terzo comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 febbraio
2013.
F.to:
Aldo CAROSI, Redattore
Depositata in