SENTENZA N.331
ANNO 1988
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Dott. Francesco SAJA Presidente
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 35, 36 e 47 della legge della Regione Lombardia 29 novembre 1984, n. 60, dal titolo , promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 10 maggio 1985 dal T.A.R. per la Lombardia-Sez. staccata di Brescia-sul ricorso proposto da Ruffinoni Renato ed altri contro la Regione Lombardia ed altri, iscritta al n. 774 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10 prima serie speciale dell'anno 1986;
2) ordinanza emessa il 9 maggio 1985 dal T.A.R per la Lombardia sui ricorsi riuniti proposti da Pinardi Roberto ed altri contro la Regione Lombardia ed altri, iscritta al n. 33 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22 prima serie speciale dell'anno 1986;
3) ordinanza emessa il 20 dicembre 1985 dal T.A.R. per la Lombardia- Sez. staccata di Brescia- sui ricorsi riuniti proposti da Valseriati Gianfranca ed altri contro la Regione Lombardia, iscritta al n. 393 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41 prima serie speciale dell'anno 1986;
4) ordinanza emessa il 9 maggio 1985 dal T.A.R. per la Lombardia sui ricorsi riuniti proposti da Senes Fabio ed altri contro la Regione Lombardia ed altri, iscritta al n. 429 del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45 prima serie speciale dell'anno 1986.
Visti gli atti di costituzione di Ruffinoni Renato ed altri, di Restani Walter ed altri, di Valseriati Gianfranca ed altri e di Senes Fabio ed altri, nonchè gli atti di intervento della Regione Lombardia.
Udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 1988 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;
uditi gli Avvocati Cesare Ribolzi per Ruffinoni Renato ed altri, Restani Walter ed altri e Senes Fabio ed altri, Giorgio Berti per Valseriati Gianfranca ed altri e Umberto Pototschnig per la Regione Lombardia.
Considerato in diritto
l.-Le quattro ordinanze introduttive dei presenti giudizi, che hanno ad oggetto l'impugnazione degli artt. 35, 36 e 47 della legge della Regione Lombardia 29 novembre 1984, n. 60, pongono questioni identiche oppure connesse. I relativi giudizi vanno pertanto riuniti e decisi con un'unica sentenza.
2. -La prima questione riguarda l'art. 35, primo e secondo comma, della citata legge regionale n. 60 del 1984, nella parte in cui stabilisce che al corso-concorso per l'ammissione alla prima qualifica dirigenziale possono partecipare soltanto i dipendenti inquadrati nell'ottava qualifica funzionale, che, alla data del 29 aprile 1983, risultassero incaricati della responsabilità di un ufficio. Delle disposizioni anzidette si sospetta l'incostituzionalità per l'asserito contrasto con i seguenti articoli:
a) art. 3 Cost., sotto l'aspetto della irragionevolezza della disciplina stabilita, con particolare riguardo alla fissazione del riferimento temporale al 29 aprile 1983 del possesso dei requisiti richiesti per la partecipazione al corso-concorso di cui alla legge impugnata, nonchè sotto l'aspetto della violazione del principio della parità di trattamento;
b) art. 97 Cost., in quanto il possesso del requisito dell'incarico della responsabilità di un ufficio, il quale é previsto come titolo di ammissione per il predetto corso-concorso, é ritenuto dai giudici a quibus contrario al principio del buon andamento della pubblica amministrazione, sia perchè appare illogico che quel requisito non sia considerato elemento sufficiente per l'automatico inquadramento nella qualifica superiore, sia perchè, essendo l'effetto di una scelta meramente discrezionale, restringe arbitrariamente l'area dei funzionari che possono utilmente concorrere per il conseguimento della prima qualifica dirigenziale, tanto più che i dipendenti esclusi sarebbero in possesso di professionalità ritenute dalla stessa legge astrattamente idonee al passaggio alla suddetta qualifica (cioé l'inquadramento nell'ottava qualifica funzionale);
c) art. 51 Cost., perchè, essendo l'ammissione al corso-concorso in questione condizionata al requisito dell'incarico della responsabilità di un ufficio ed essendo il possesso di quest'ultimo il frutto di una scelta puramente discrezionale della Giunta regionale, ne risulterebbe violato il principio meritocratico del concorso pubblico;
d) art. 4 Cost., per l'asserita violazione del diritto al lavoro, sotto specie di un preteso diritto alla progressione in carriera;
e) art. 113 Cost., in quanto, avendo le disposizioni impugnate un contenuto provvedimentale, esse finirebbero per conferire forza o valore di legge ad atti che dovrebbero essere di competenza di autorità amministrative, limitando cosi le possibilità di tutela giurisdizionale degli interessati.
2.l.-E' infondata la censura di incostituzionalità avverso l'art. 35, primo e secondo comma, della legge impugnata, sotto il profilo della presunta irragionevolezza (art. 3 Cost.) e della violazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).
2.2. - La legge impugnata é stata adottata al fine di ristrutturare lo stato giuridico e il trattamento economico del personale della Regione Lombardia per adeguarlo ai principi contenuti nell'accordo nazionale 1983-1984. Nel preesistente ordinamento degli uffici, che si basava sulla legge regionale 1° agosto 1979, n. 42, la Lombardia, a differenza di tutte le altre regioni, aveva adottato un modello organizzativo che prevedeva uffici e servizi, ad ognuno dei quali era preposto un dipendente al fine di evidenziare precise responsabilità. Mentre ai servizi, che costituivano aggregazioni funzionali di più uffici, erano preposti funzionari dell'ottavo livello, agli uffici, invece, operavano come responsabili dipendenti di livello non inferiore al settimo, i quali erano prescelti sulla base dei criteri fissati dalla ricordata legge regionale del 1979 (art. 29), senza peraltro godere di alcun aumento retributivo per tale funzione, non essendo stata questa prevista nell'accordo nazionale allora vigente.
E' poi intervenuto l'accordo nazionale per gli anni 1983-1984, che, delineando un ordinamento del personale basato su otto qualifiche funzionali (sostitutive degli altrettanti livelli allora esistenti) più due qualifiche dirigenziali, stabiliva, per le funzioni superiori, il seguente meccanismo di adeguamento: mentre i dipendenti dell'ottavo livello sarebbero passati automaticamente alla prima qualifica funzionale dirigenziale, quelli del settimo livello sarebbero stati inquadrati nell'ottava qualifica funzionale senza possibilità di ulteriore progressione di carriera. Lo stesso accordo, inoltre, prevedeva tanto la figura del dirigente di prima qualifica, cui si riconosceva la responsabilità di strutture organizzative di base (cioé di quelli che nella legge lombarda del 1979 erano definiti ) e la relativa indennità, tanto la figura del dirigente di seconda qualifica, cui si riconosceva la responsabilità delle strutture organizzative più complesse, che nella legge lombarda del 1979 erano qualificate come .
Con la legge n. 60 del 1984 la Regione Lombardia ha tentato di adeguare la propria organizzazione amministrativa alle indicazioni dell'anzidetto accordo nazionale, cercando di non pregiudicare, per quanto possibile, la struttura di fondo che si era precedentemente data e, in particolare, l'articolazione in servizi e uffici. Così, mentre i responsabili dei servizi, cioé i funzionari già appartenenti all'ottavo livello e ora automaticamente inquadrati nella prima qualifica dirigenziale, vengono agevolati da tale legge, con il riconoscimento di un punteggio particolarmente elevato per l'incarico posseduto (venti punti su un totale di sessantacinque), ai fini dell'accesso alla seconda qualifica dirigenziale, i responsabili di uffici, invece, sono trattati diversamente a seconda del loro livello di appartenenza: quelli già inquadrati all'ottavo livello, passando automaticamente alla prima qualifica dirigenziale (come previsto dall'accordo nazionale), potevano conservare la posizione di responsabili di ufficio senza bisogno di alcun esame d'idoneità; quelli già inquadrati al settimo livello erano automaticamente trasferiti all'ottava qualifica funzionale (in armonia con il predetto accordo nazionale), ma, non potendo in questa nuova posizione conservare la responsabilità di un ufficio, era data loro la possibilità di superare questo sbarramento partecipando a un corso-concorso ad essi riservato, superando il quale potevano accedere alla prima qualifica dirigenziale e mantenere cosi la responsabilità dell'ufficio.
2.3. - Proprio quest'ultima disposizione, stabilita come norma transitoria dall'art. 35, primo e secondo comma, della legge regionale n. 60 del 1984, e, come s'é già detto, oggetto di una prima censura sotto il profilo della sua irragionevolezza e per contrasto con il principio del buon andamento (artt. 3 e 97 Cost.3.
Questa Corte ha costantemente affermato che le scelte discrezionali del legislatore possono esser sindacate sotto l'aspetto della loro ragionevolezza e possono essere dichiarate incostituzionali nei casi di palese arbitrarietà delle stesse.
Tuttavia, la norma impugnata non rientra sicuramente fra le ipotesi di uso manifestamente irragionevole del potere legislativo.
La decisione della Regione Lombardia di dare attuazione all'accordo nazionale del 1983 e il conseguente travaso nell'ottava qualifica funzionale dei dipendenti prima inquadrati nel settimo livello avevano creato un vuoto nell'ordinamento del personale, dovuto al fatto che, mentre per l'innanzi la responsabilità di un ufficio poteva esser affidata a un dipendente del settimo livello, con la nuova struttura, delineata dall'accordo nazionale del 1983, la medesima responsabilità non poteva più essere affidata ai dipendenti collocati nell'ottava qualifica funzionale, ma doveva esser data soltanto a quelli ora inquadrati nella prima qualifica dirigenziale. Di fronte a questa difficoltà, il legislatore regionale ha ritenuto, in sede di prima attuazione, di poter ricoprire parte di quei posti, che sarebbero rimasti temporaneamente scoperti per l'insufficienza del personale passato automaticamente alla prima qualifica dirigenziale, attraverso il bando di un corso-concorso, diretto a verificare l'idoneità dei candidati per il passaggio alla qualifica superiore, che fosse riservato a coloro che, alla data della stipula dell'accordo nazionale del 1983 (29 aprile 1983), rivestivano l'incarico di responsabile di un ufficio. Che in via del tutto transitoria il legislatore regionale abbia utilizzato lo strumento del corso-concorso riservato, al chiaro scopo di agevolare la continuità delle funzioni di chi già era incaricato della responsabilità di un ufficio, non può esser considerato frutto di una decisione arbitraria o irragionevole, ove si tenga conto, per un verso, che il passaggio alla qualifica superiore e subordinato a un giudizio d'idoneità e non é, quindi, automatico e, per un altro, che quello strumento rientra, comunque, in una disciplina di prima attuazione, essendo previsto, in quella a regime, il ricorso agli ordinari meccanismi concorsuali. In altre parole, non appare irragionevole, soprattutto con riferimento al principio del buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.), che, nella delicata fase di passaggio da un regime all 'altro dell'ordinamento del personale, il legislatore regionale abbia inteso privilegiare, con le garanzie appena ricordate, la continuità delle funzioni.
Del resto, contrariamente a quanto supposto dai giudici a quibus, va altresì considerato, sempre ai fini del giudizio di ragionevolezza, che il conferimento dell'incarico di responsabile di un ufficio non poteva avvenire, a norma dell'art. 29, primo comma, l. r. 1° agosto 1979, n. 42, sulla base di una scelta assolutamente discrezionale della Giunta regionale.
Al contrario, l'articolo appena citato stabilisce che, ai fini anzidetti, occorre tener conto del servizio complessivamente prestato, della figura professionale rivestita in relazione alle funzioni attinenti all'ufficio in considerazione, nonchè dell'esperienza vantata in materie identiche o analoghe a quelle in questione. Si tratta, certo, di criteri elastici, ma comunque tali da restringere la discrezionalità della Giunta regionale in sede di conferimento del suddetto incarico e da permettere una tutela, anche giurisdizionale, di fronte ad eventuali abusi. Su questa specifica base, non é dunque irragionevole che il legislatore regionale abbia previsto un corso-concorso per il passaggio alla prima qualifica dirigenziale riservato a coloro che avessero la responsabilità di un ufficio, ove si consideri che sia il conferimento della stessa, sia l'effettivo svolgimento dei compiti corrispondenti a quell'incarico possono essere ragionevolmente considerati come indici di esperienza professionale in grado di consentire di trattare diversamente coloro che si trovassero in quella posizione.
2.4. - Di una più particolare censura, sempre sotto il profilo della ragionevolezza, e oggetto l'art. 35, primo comma, nella parte in cui viene esclusa la partecipazione al corso concorso dei funzionari che erano stati incaricati della responsabilità di un ufficio in data successiva al 29 aprile 1983.
Questa censura e stata prospettata dall'ordinanza del 20 dicembre 1985, emessa dal T.A.R. della Lombardia nel corso di un giudizio promosso da alcuni dipendenti che, pur essendo stati incaricati della responsabilità di un ufficio con una delibera adottata prima del 29 aprile 1983, non sono stati ammessi al corso-concorso di cui alla disposizione impugnata, in quanto la relativa delibera é divenuta esecutiva successivamente a quella data.
Quando l'art. 35, l.r. n. 60 del 1984, stabilisce che può partecipare al corso-concorso soltanto il personale incaricato della responsabilità di un ufficio che , pone una norma chiaramente diretta ad evitare eventuali abusi nel conferimento dei predetti incarichi e, in particolare, quello di gonfiare arbitrariamente l'area dei legittimati a partecipare al corso-concorso attraverso nomine di comodo effettuate tra la stipula dell'accordo nazionale e l'adozione della legge regionale diretta ad attuarlo. Il 29 aprile 1983 e, infatti, la data della firma dell'accordo nazionale alla cui attuazione era diretta la legge impugnata. Pertanto il termine posto dall'art. 35, l. r. 29 novembre 1984, n. 60, non appare irragionevole ove sia interpretato come uno sbarramento verso i conferimenti degli anzidetti incarichi effettuati dopo la data della firma dell'accordo nazionale del 1983 e, come tali, sospetti di non essersi attenuti alla dovuta imparzialità. Ma, così interpretato, l'art. 35, primo comma, comporta l'irrilevanza del momento dell'esecutività della delibera di conferimento dell'incarico, nel senso che il termine ivi previsto sbarra la strada per l'ammissione al corso-concorso soltanto a chi abbia ricevuto l'incarico con un atto deliberato dopo il 29 aprile 1983, non già a chi lo abbia avuto con una decisione adottata prima di quella data, ma divenuta esecutiva successivamente.
Così interpretata, la norma oggetto della presente censura appare immune dai vizi prospettati dal giudice a quo.
2.5.-L'art. 35, primo e secondo comma, é stato impugnato anche per l'asserita violazione del principio della parità di trattamento, come si desume dalla garanzia costituzionale dell'eguaglianza a tutti i cittadini (art. 3, primo comma, Cost.) e dal principio di imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). A motivo dell'impugnazione si assume che la riserva di partecipazione al corso-concorso, di cui all'art. 35, a favore dei soli dipendenti inquadrati nell'ottava qualifica funzionale con l'incarico della responsabilità di un ufficio comporterebbe un trattamento discriminatorio a danno di quelli inquadrati nella stessa qualifica senza avere la responsabilità di un ufficio. In altre parole, si assume che l'art. 35, primo e secondo comma, avrebbe trattato diversamente due situazioni effettivamente eguali.
La censura non é fondata.
In realtà, la premessa da cui muovono le argomentazioni dei giudici a quibus non trova conferma nell'ordinamento degli uffici e del personale che la Regione Lombardia si é legislativamente dato. Le due categorie di dipendenti cui l'art. 35, primo e secondo comma, riserva un trattamento diseguale non possono essere considerate eguali di fronte alla legge. Infatti, pur se é vero che l'una e l'altra appartengono alla medesima qualifica funzionale (così come prima appartenevano allo stesso livello), il fatto che, a norma dell'art. 29, primo comma, l. r. 4 agosto 1979, n. 42, la responsabilità di un ufficio deve essere affidata, come si é già detto, in considerazione del complessivo servizio prestato, della specifica figura professionale rivestita in relazione alla funzione da svolgere e dell'esperienza di lavoro acquisita, porta a concludere che gli incaricati della responsabilità di un ufficio siano stati selezionati in quanto riconosciuti in possesso di una professionalità o di un'esperienza di servizio superiori o, comunque, diverse rispetto a quelli esclusi da quell'incarico. Ciò significa che lo stesso legislatore regionale ha ritenuto le due categorie di dipendenti ora considerate come diverse sotto il profilo professionale e che, pertanto, non può ritenersi in contrasto con il principio della parità di trattamento l'averle trattate diversamente ai fini della partecipazione al corso-concorso di cui alla disposizione impugnata.
2.6.-Quanto alle restanti censure prospettate dai giudici a quibus in relazione al medesimo art. 35, primo e secondo comma, l. r. n. 60 del 1984, nessuna di esse può essere accolta.
Non quella con cui si prospetta la possibile violazione dell'art. 51 Cost., poichè, come questa Corte ha già avuto occasione di affermare (sent. n. 217 del 1986), la norma invocata come parametro costituzionale si riferisce espressamente all'accesso ai pubblici uffici, non già al passaggio da un livello all'altro o da una qualifica all'altra del personale già in servizio.
Beninteso, a quest'ultima ipotesi resta comunque applicabile il generale principio di eguaglianza, sotto la duplice veste della parità di trattamento e della non arbitrarietà della disciplina adottata. Ma, come si é mostrato nei punti precedenti della motivazione, la disposizione impugnata ha già superato il vaglio di costituzionalità sotto i predetti profili.
Del pari infondata é la censura prospettata nei confronti della garanzia a tutti i cittadini del diritto al lavoro (art. 4 Cost.).
Se, infatti, non vi può esser dubbio che da questa norma costituzionale siano desumibili diritti più particolari, come ad esempio la libertà di professione o il diritto dei lavoratori a non subire licenziamenti arbitrari, non e tuttavia possibile, contrariamente a quel che suppongono i giudici a quibus, trarre da essa criteri di decisione aventi un qualche significato per i problemi relativi alla progressione delle carriere nel pubblico impiego (regionale). Sotto tale aspetto, come questa Corte ha più volte affermato, pur se ad altro proposito (v. sent. n. 10 del 1980, punto 6 della motivazione, nonchè sentt. nn. 22 del 1967, 10 del 1970, 98 del 1973), l'infondatezza della questione può esser dedotta sulla base di un modello di giudizio, per il quale la norma invocata come parametro e troppo ampia o troppo indeterminata per poterne trarre un preciso criterio di decisione in relazione al caso cui si pretende di applicarla.
Anche la censura prospettata dall'ordinanza del T.A.R. della Lombardia-Sez. staccata di Brescia-del 10 maggio 1985 (r.o. n. 774 del 1985), relativa alla presunta incostituzionalità dell'art. 35, primo e secondo comma, della legge regionale n. 60 del 1984 nei confronti dell'art. 113 Cost., deve ritenersi infondata.
Il giudice a quo, partendo dalla premessa che una legge regionale non possa avere un contenuto provvedimentale e riscontrando siffatto carattere nelle statuizioni impugnate, ritiene che l'aver ingiustificatamente dato la forma di legge a un atto materialmente amministrativo abbia prodotto una limitazione delle possibilità di tutela giurisdizionale garantite agli interessati dall'art. 113 della Costituzione.
Questa argomentazione é, tuttavia, errata proprio nella sua premessa.
Come si é già affermato per le leggi statali e per quelle di alcune regioni a statuto speciale (sentt. nn. 20 del 1956, 60 del 1957, 61 del 1958), anche per le leggi delle regioni a statuto ordinario si deve escludere che esse non possano avere un contenuto particolare e concreto. Per un verso, infatti, tanto la Costituzione (artt. 70 e 121) quanto gli Statuti regionali definiscono la legge, non già in ragione del suo contenuto strutturale o materiale, bensì in dipendenza dei suoi caratteri formali, quali la provenienza da un certo organo o potere, il procedimento di formazione e il particolare valore giuridico (rango primario delle norme, trattamento giuridico in sede di controllo o di sindacato, etc). Per altro verso, nessuna disposizione costituzionale o statutaria prevede che gli atti a contenuto particolare e concreto debbano necessariamente avere la forma di atto amministrativo. Su questa base si deve escludere qualsiasi fondamento alla pretesa del giudice a quo di individuare nell'adozione di un atto particolare e concreto in forma legislativa la causa della lesione dei diritti garantiti dall'art. 113 della Costituzione.
3. - Con ordinanza emessa il 9 maggio 1985 (r. o. n. 429 del 1986) il T.A.R. per la Lombardia ha posto una duplice questione relativa all'art. 36 della legge regionale 29 novembre 1984, n. 60. Con la prima questione si dubita della legittimità costituzionale del predetto articolo nella parte in cui, ai fini dell'accesso alla seconda qualifica dirigenziale attraverso un concorso per soli titoli, prevede l'attribuzione di venti punti, su un totale di sessantacinque, oltre a quelli spettanti per lo svolgimento pregresso delle medesime funzioni (sei punti ogni anno), a favore dei dirigenti inquadrati nella prima qualifica dirigenziale che avessero l'incarico in atto delle funzioni di dirigente di servizio. Questa norma e sospettata d'incostituzionalità sotto un triplice profilo: a) per violazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.); b) per violazione del principio fondamentale, secondo il quale il conferimento delle qualifiche più elevate deve avvenire nel rispetto della parità delle posizioni e sulla base di determinati requisiti culturali e di esperienza professionale (art. 117 Cost., in relazione agli artt. 4, 17 e 20 della legge 29 marzo 1983, n. 93); c) per lesione del principio della parità di trattamento e di quello del concorso (artt. 3 e 51 Cost.).
Nei termini in cui sono poste, le predette questioni non sono fondate.
3.l.-Sul presupposto del massimo rispetto delle scelte legislative nella predisposizione dei mezzi più idonei onde assicurare l'efficienza degli uffici pubblici, questa Corte ha costantemente interpretato il principio del buon andamento di cui all'art. 97 Cost. come un criterio di congruenza e di non arbitrarietà della disciplina posta in essere in relazione al fine che si vuol perseguire (v. sent. n. 10 del 1980, con specifico riferimento alla materia del pubblico impiego). Pertanto, anche per le censure proposte contro l'art. 36 della legge impugnata, va seguito il paradigma del giudizio di ragionevolezza, non diversamente da quanto compiuto in relazione all'analoga questione, precedentemente affrontata, riguardo all'art. 35 della stessa legge.
Innanzitutto, anche le disposizioni oggetto della presente impugnazione dettano norme per la prima attuazione, e non norme a regime. Anch'esse, dunque, pongono una disciplina transitoria, resa necessaria dalla decisione regionale di modificare la propria struttura organizzativa secondo le indicazioni contenute nell'accordo nazionale del 1983. Quest'ultimo, dopo aver previsto l'inquadramento automatico dei dipendenti dell'ottavo livello nella prima qualifica dirigenziale, stabiliva poi che l'accesso alla qualifica superiore, la seconda appunto, dovesse avvenire, in sede di prima attuazione, attraverso una selezione per titoli (e/o una prova d'esame) per almeno il 90(1o dei posti disponibili, lasciando la copertura degli altri a normali concorsi pubblici per titoli ed esami.
La Regione Lombardia, con la legge impugnata, si e uniformata a questo modello organizzativo e vi ha dato attuazione cercando di salvaguardare al massimo le posizioni preesistenti, nel senso di travasare queste ultime nelle nuove qualifiche agevolando l'accesso alla più elevata qualifica dirigenziale di chi già si trovava nella posizione a questa corrispondente, vale a dire dei responsabili dei servizi. A tal fine, l'impugnato art. 36 riconosce a questi ultimi funzionari, semprechè incaricati in atto della responsabilità di un servizio, ben venti punti su un totale di sessantacinque, nonchè sei punti per ogni anno di servizio per lo svolgimento pregresso delle medesime funzioni.
Analizzata sotto il profilo del buon andamento, non si può certo negare che nelle concrete circostanze del caso appaia tutt'altro che irragionevole una disposizione di legge regionale, la quale, nel ristrutturare sostanzialmente l'organizzazione degli uffici, abbia tentato di evitare uno sconvolgimento delle posizioni attualmente ricoperte dai dipendenti e abbia pertanto predisposto, in sede di prima attuazione, criteri di selezione diretti a facilitare il mantenimento effettivo della responsabilità di un servizio a chi già l'aveva, soprattutto in considerazione della delicata fase di avvio della ristrutturazione dell'ordinamento del personale regionale. Si può dire, anzi, che questo interesse alla stabilita delle posizioni, con riguardo alla specifica fase transitoria cui si riferisce la disciplina impugnata, non sia irragionevolmente disgiunto dall'obiettivo di garantire l'efficienza amministrativa e, quindi, il buon andamento degli uffici regionali, tanto più che nelle norme a regime sono previsti, per l'accesso alla medesima qualifica dirigenziale, gli ordinari meccanismi concorsuali.
3.2.-Un altro aspetto della medesima questione va individuato nel rilievo dello stesso giudice a quo relativo alla pretesa arbitrarietà della concessione di venti punti per l'incarico in atto della responsabilità di un servizio, la quale si baserebbe sul fatto che il predetto incarico é considerato frutto di una valutazione totalmente discrezionale della Giunta regionale, e non già di una selezione basata sui titoli di professionalità.
Posto che il giudice a quo non solleva il problema del rispetto della riserva di legge ex art. 97 Cost., per il quale la giurisprudenza di questa Corte ritiene sufficiente che la legge si limiti a fornire una base al potere di organizzazione dell'amministrazione (v. ad es. sentt. nn. 221 del 1976, 21 del 1980), va ricordato che, contrariamente a quanto opinato nell'ordinanza di rimessione, l'art. 27, terzo comma, l. r. n. 42 del 1979, dispone che la nomina dei responsabili di servizio debba avvenire, sulla base di indirizzi formulati dalla Giunta regionale, previo parere delle organizzazioni sindacali contro la cui violazione, come e noto, e possibile attivare i meccanismi processuali della tutela giurisdizionale. Con delibera n. 25839 del 18 settembre 1979, la Giunta della Regione Lombardia ha stabilito tali indirizzi, alcuni dei quali sono diretti ad accertare il possesso di capacità dirigenziali generiche e altri il possesso di quelle relative alle specifiche funzioni proprie del servizio in questione.
Più precisamente, i criteri di valutazione per la nomina dei dirigenti dei servizi sono dati da: a) congruità tra la qualificazione tecnico-professionale posseduta e quella richiesta dal servizio in considerazione; b) preparazione specialistica dimostrata nello svolgimento delle funzioni prestate anteriormente alla legge istitutiva dei servizi; c) capacità dirigenziali espresse nell'esercizio delle funzioni di dirigente di servizio o di funzioni equivalenti o assimilabili; d) svolgimento di incarichi connessi a funzioni analoghe o assimilabili, espletate a seguito di disposizioni di servizio adottate dal Presidente della Giunta o dagli assessori; e) svolgimento di incarichi attinenti alle funzioni di cui ai punti b o c, espletate a seguito di delibere della Giunta; f) ogni altra esperienza culturale o scientifica in grado di caratterizzare professionalmente il dipendente in relazione al servizio in considerazione.
Non si può certo negare che i predetti criteri non siano tali da vincolare la discrezionalità della Giunta regionale nel l'accertamento dei requisiti richiesti per la nomina a responsabile di un servizio, tanto più che, in base alla ricordata delibera, la stessa Giunta, quando procede a nomine del genere, é tenuta a motivare, seppure sinteticamente, in relazione a ciascuno dei criteri ora menzionati. Sicchè, non potendosi considerare l'incarico di dirigente di un servizio come frutto di una scelta assolutamente discrezionale e sostanzialmente priva di criteri di valutazione delle attitudini professionali dei nominandi, l'attribuzione di un punteggio particolare a chi rivestisse quell'incarico non può ritenersi contrastante con l'obiettivo del buon andamento dell'amministrazione regionale.
Del resto, occorre aggiungere, per raccogliere un dubbio adombrato in pressochè tutte le ordinanze introduttive dei presenti giudizi, che, anche se così non fosse, vale a dire anche se nella scelta dei dirigenti del massimo livello dell'amministrazione regionale dovesse pesare in modo rilevante l'aspetto fiduciario della relativa nomina, non potrebbe per ciò stesso ritenersi violato il principio del buon andamento, di cui all'art. 97 della Costituzione. Anzi, proprio il massimo rispetto di quest'ultimo principio potrebbe legittimamente indurre anche il legislatore regionale a prevedere, cosi come ha fatto il legislatore statale (D.P.R. 30 giugno 1972, n. 478, art. 25), un sistema di selezione dei massimi dirigenti dell'amministrazione che, partendo da una base obiettiva e riconosciuta di competenze e di esperienze professionali, fosse modellato sul carattere fiduciario dell'incarico nei confronti della Giunta o dei singoli assessori regionali.
In un'amministrazione nella quale aumentano le zone d'ombra del principio di legalità e si manifesta fortemente l'esigenza di consistenti settori di delegificazione; nella quale la complessità dell'organizzazione e la qualità e quantità dei servizi da erogare possono esser adeguatamente risolte soprattutto con il riconoscimento di un'ampia discrezionalità dei funzionari più elevati e di una più spiccata capacità manageriale degli stessi; e nella quale le accresciute responsabilità dei massimi dirigenti amministrativi richiedono forme organizzative nuove e non più riassumibili in toto nei classici dogmi della responsabilità politica (ministeriale o assessorile), in un'amministrazione del genere la previsione di un rapporto fiduciario tra i dirigenti di vertice dell'amministrazione regionale e gli organi di Giunta sarebbe tutt'altro che in contrasto, se assistito da idonee modalità che garantiscano un adeguato livello di competenza e di professionalità dei prescelti, con il principio del buon andamento sancito dall'art. 97 della Costituzione .
3.3.-Infondate sono altresì le ulteriori questioni sollevate dall'ordinanza da ultimo menzionata nei confronti delle disposizioni dell'art. 36, l.r. n. 60 del 1984.
Per le censure prospettate in relazione al principio fondamentale che esige, per la classificazione del personale nelle qualifiche più elevate, che si tenga prevalentemente conto dei requisiti culturali e di esperienza professionale, nonchè dei compiti di guida di gruppo, di uffici o di organi e delle derivanti responsabilità amministrative (art. 117 Cost., in riferimento all'art. 17 della legge quadro sul pubblico impiego, 29 marzo 1983, n. 93) valgono le medesime considerazioni già svolte nel punto 3.2 della presente motivazione. Da esse si desume che le esigenze prospettate dall'art. 17 della legge quadro sul pubblico impiego sono sufficientemente soddisfatte dal sistema di selezione dei massimi dirigenti amministrativi, di cui alle disposizioni oggetto dell'attuale impugnazione.
Anche per le censure rivolte alle medesime disposizioni nei confronti degli artt. 3 (parità di trattamento) e 51 Cost. (principio del concorso per l'accesso nei pubblici uffici), non che nei confronti dell'art. 117 Cost., in relazione alle norme interposte di cui all'art. 4 (principi di omogeneizzazione delle posizioni giuridiche e di perequazione) e all'art. 20 (principio del concorso nel reclutamento del personale) della legge quadro sul pubblico impiego, l'infondatezza deriva da considerazioni analoghe a quelle già svolte nei punti 2.5 e 2.6 della presente motivazione.
4. -Un secondo gruppo di questioni riguarda l'art. 36 della legge regionale n. 60 del 1984, nella parte in cui limita il computo dei servizi pregressi utili (fino al massimo di quindici punti) soltanto a quelli prestati come dipendente inquadrato nei ruoli regionali, con esclusione dei servizi prestati come dipendente regionale non di ruolo o come dipendente di altri enti pubblici, compreso lo Stato. Questa norma é impugnata sotto un duplice profilo: a) per violazione degli artt. 3 e 51 Cost., in quanto comporta un'irragionevole discriminazione nella valutazione di titoli analoghi ai fini del conseguimento della medesima idoneità per l'accesso alla seconda fascia dirigenziale; b) per violazione del principio di imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), nonchè dei principi desumibili dagli articoli della legge quadro sul pubblico impiego prima menzionati (art. 117 Cost., in relazione agli artt. 4, 17 e 20 della legge 29 marzo 1983, n. 93).
La questione é fondata per la parte in cui l'art. 36, l. r. n. 60 del 1984, non considera affatto, riguardo alla formazione della graduatoria del concorso per titoli per la copertura dei posti della seconda qualifica dirigenziale, il servizio di ruolo prestato presso enti pubblici diversi dalla regione.
Poichè la considerazione dei titoli in un concorso come quello appena ricordato é essenzialmente diretta ad accertare l'esperienza professionale e le capacità organizzative e diretti ve dei candidati, e privo di qualsiasi giustificazione che il servizio di ruolo prestato presso enti diversi dalla regione non venga affatto valutato. La totale mancanza di valutazione di tale servizio appare, infatti, in stridente contraddizione con il principio della qualifica funzionale, il quale, come e noto, da rilievo alle prestazioni lavorative, considerate nei loro con tenuti oggettivi e non già in ragione dei particolari ambiti organizzativi in cui quelle siano state svolte. Se pure nei limiti anzidetti, si deve, pertanto, considerare incostituzionale tale omissione, che, fra l'altro, non ha alcun riscontro nelle leggi adottate in altre regioni, nessuna delle quali in ipotesi analoghe esclude da una qualche considerazione i servizi prestati presso enti pubblici diversi dalla regione.
Diverso é invece il discorso relativo alla mancata valutazione, sempre ai fini della formazione della graduatoria di cui al predetto concorso, dei servizi prestati presso la regione in una posizione diversa da quella di ruolo.
Il servizio non di ruolo é per sua natura precario, sia per mancanza del posto in pianta organica, sia perchè i posti di ruolo vengono temporaneamente coperti con personale comandato. E poichè (come rilevato anche nell'ordinanza n. 33 del 1986), la razionalità della disciplina di una procedura concorsuale va valutata alla luce delle finalità cui la selezione é preordinata, non é irragionevole che il legislatore regionale abbia deciso di non dare rilevanza al servizio non di ruolo in una selezione che mira a scegliere i dirigenti delle strutture regionali di vertice, ai quali - al pari di quanto richiesto dall'art. 17, secondo comma, della legge quadro sul pubblico impiego n. 93 del 1983-si richiedono prevalentemente compiti di guida di strutture complesse, risultanti dal raggruppamento di strutture di base.
Tale conclusione é confortata dalla considerazione che lo stesso art. 36 nega qualsiasi rilevanza al servizio svolto presso la regione prima del 15 dicembre 1973, e cioé in un periodo in cui mancava un assetto stabile degli uffici. Sicchè non può dubitarsi che nel caso si tratti di un'insindacabile scelta del legislatore regionale, la quale non può considerarsi palesemente arbitraria o irragionevole, tanto più se si considera che anche le leggi delle altre regioni a volte danno rilevanza ai servizi non di ruolo e altre volte la negano.
Va pertanto dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale proposta nei confronti dell'art. 36 della legge regionale n. 60 del 1984, nella parte in cui quest'ultimo non dà rilevanza, ai fini della valutazione dei titoli di servizio, ai servizi prestati come dipendente regionale non di ruolo.
Le considerazioni già esposte giustificano la dichiarazione di non fondatezza della questione anche in riferimento al principio di imparzialità della pubblica amministrazione, nonchè ai principi desumibili dagli artt. 4, 17 e 20 della legge n. 93 del 1983, prima menzionati, dal momento che, per tali profili di costituzionalità, così come sono proposti dal giudice a quo, valgono le medesime motivazioni esposte ai punti 3.1 e 3.2 della presente motivazione.
5.-L'ultima questione, sollevata con le ordinanze iscritte ai nn. 774 del 1985, 33 e 429 del 1986, concerne l'art. 47, primo comma, della medesima legge regionale 29 novembre 1984, n. 60. Questa disposizione stabilisce che . I giudici a quibus prospettano il dubbio che tale norma violi l'art. 81, quarto comma, Cost., in quanto omette di indicare tanto gli oneri finanziari derivanti dall'applicazione della legge in questione (salvo quelli considerati negli artt. 30 e 31 della stessa), quanto i relativi mezzi di copertura.
La questione non é fondata.
La disposizione impugnata é una diretta attuazione dell'art. 2 della legge quadro in materia di bilancio e di contabilità delle regioni (l. 19 maggio 1976, n. 335), il quale stabilisce testualmente che
La conformità a Costituzione del sistema previsto dall'art. 2 della legge quadro sulla contabilità regionale e, quindi, del l'art. 47, che ne rappresenta una fedele attuazione, é legata alla prescrizione che i bilanci delle regioni devono essere necessariamente in pareggio (art. 4 della L. 19 maggio 1976, n. 335).
Su tale premessa, il rinvio della quantificazione delle spese continuative e ricorrenti, nonchè dei relativi mezzi di copertura, al momento della redazione e dell'approvazione del bilancio, non può avere il significato di un'elusione dell'obbligo di cui all'art. 81, comma quarto (e terzo), Cost., dovendo comunque le regioni equilibrare in questa sede le spese con le entrate. Al contrario, esso risponde a esigenze di maggiore e di globale ponderazione degli oneri che ciascun bilancio, necessariamente in pareggio, deve sopportare per il miglior soddisfacimento dei bisogni della collettività regionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi;
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 36, quarto comma, lettera A, della legge della Regione Lombardia 29 novembre 1984, n. 60, intitolata , nella parte in cui esclude qualsiasi valutazione dei servizi prestati come dipendente di altri enti pubblici, compreso lo Stato;
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 35, primo comma, della citata legge della Regione Lombardia n. 60 del 1984, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevata dal T.A.R. per la Lombardia-Sezione di Brescia, con l'ordinanza iscritta nel r. o. con il n. 393 del 1986, indicata in epigrafe;
dichiara non fondate:
a) le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 35, primo e secondo comma, della citata legge della Regione Lombardia n. 60 del 1984, in riferimento agli artt. 3, 51, 97 e 113 della Costituzione, sollevate dal T.A.R. per la Lombardia- Sezione di Brescia e dal medesimo T.A.R. per la Lombardia, rispettivamente con le ordinanze iscritte nel r. o. con i nn. 774 del 1985 e 33 del 1986, indicate in epigrafe;
b) le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 36, quarto comma, della citata legge della Regione Lombardia n. 60 del 1984, in riferimento agli artt. 3, 51, 97 e 117 della Costituzione in relazione, quest'ultimo, con gli artt. 4, 17 e 20 della legge 29 marzo 1983, n. 93 (), sollevata dal T.A.R. per la Lombardia con l'ordinanza iscritta nel r. o. con il n. 429 del 1986, indicata in epigrafe;
c) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 47, primo comma, della citata legge della Regione Lombardia n. 60 del 1984, in riferimento all'art. 81, quarto comma, Cost., sollevata dal T.A.R. per la Lombardia con le ordinanze iscritte nel r. o. con i nn. 774 del 1985, 33 e 429 del 1986, indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/03/88.
Francesco SAJA, PRESIDENTE
Antonio BALDASSARRE, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 24 Marzo 1988.