SENTENZA N. 16
ANNO 1961
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente
Prof. Gaspare AMBROSINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana nella seduta del 15 giugno 1960 recante: "Provvidenze in favore delle città della Regione con popolazione superiore a 150.000 abitanti", promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione siciliana, notificato il 23 giugno 1960, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 2 luglio 1960 ed iscritto al n. 13 del Registro ricorsi 1960.
Vista la costituzione in giudizio del Presidente della Regione siciliana;
udita nell'udienza pubblica del 1 marzo 1961 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;
uditi il vice avvocato generale dello Stato Cesare Arias, per il ricorrente, e gli avvocati Pietro Virga e Vincenzo Gueli, per il Presidente della Regione siciliana.
Ritenuto in fatto
1. - Nella seduta del 15 giugno 1960 l'Assemblea regionale siciliana ha approvato la legge recante "Provvidenze in favore delle città della Regione con Popolazione superiore a 150.000 abitanti". Questa legge, che nelle more del giudizio é stata promulgata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana del 10 agosto 1960, n. 33, diventando la legge regionale 4 agosto 1960, n. 30, integra la legge regionale 4 dicembre 1954, n. 43, che detta norme per favorire la esecuzione di opere relative alle condutture nel sottosuolo delle città siciliane con popolazione superiore a 150.000 abitanti, autorizzando con l'art. 1 una spesa complessiva di 6 miliardi, ripartita variamente tra le città di Palermo, Messina e Catania e da iscrivere nei bilanci di previsione della Regione per gli anni dal 1960-61 al 1965-66 col seguente criterio: mezzo miliardo nei primi due; un miliardo nei due successivi, e un miliardo e mezzo negli ultimi due degli esercizi considerati. L'ultimo comma di questo articolo autorizza l'Assessore regionale per il bilancio ad anticipare, se occorra, le somme stanziate nei vari esercizi a norma del D.L.P.R. 9 maggio 1950, n. 17, ratificato con legge 14 dicembre 1950, n. 96, col quale é stata istituita nel bilancio regionale la categoria terza, riguardante le entrate e le spese per partite di giro. In relazione con questo articolo, l'art. 4 ha autorizzato l'Assessore del bilancio ad apportare con decreto le eventuali variazioni di bilancio occorrenti per l'attuazione della legge.
L'art. 2, secondo comma, stabilisce, poi, che le determinazioni che le Giunte comunali o l'Assessore del ramo competente di ciascun Comune devono adottare per provvedere alla progettazione delle opere e all'appalto con pubblica gara e alla gestione tecnica amministrativa dei lavori (art. 2, primo comma) devono essere adottate "sentito il parere di una commissione con poteri consultivi, composta da nove consiglieri comunali, eletta dal Consiglio comunale con una votazione nella quale ogni consigliere abbia voto limitato a sei nomi al fine di assicurare la rappresentanza della minoranza".
2. - Il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha ritenuto costituzionalmente illegittime le norme contenute negli artt. 1, secondo comma, 4 e 2, secondo comma, della legge e dell'illegittimità ha chiesto alla Corte la dichiarazione con deduzioni depositate il 2 luglio 1960.
Sostiene, infatti, il Commissario dello Stato che l'autorizzazione prevista dall'art. 1 concreta una manifesta violazione dell'art. 81 della Costituzione; qui si tratterebbe non già di una partita di giro, ma di una spesa effettiva che può essere fatta per intero e in un solo esercizio, senza che ci sia la relativa copertura, dato che questa non può essere costituita col rimedio, puramente contabile e figurativo, dell'anticipazione a carico di esercizi futuri. L'illegittimità costituzionale della norma contenuta nell'art. 4 sarebbe conseguenza necessaria dell'illegittimità di questa contenuta nell'art. 1, ultimo comma.
Viceversa, l'illegittimità della norma dell'art. 2, secondo comma, risulterebbe dalla violazione che essa commette del principio dell'autonomia comunale sancito nell'art. 15 dello Statuto speciale per la Regione siciliana, in quanto essa crea un organo atipico senza riscontro nell'ordinamento degli enti locali della Regione siciliana e del quale sono preventivamente determinati il numero dei membri, la composizione e le modalità di elezione. Tutto ciò rappresenterebbe "una arbitraria ingerenza del potere legislativo regionale nel libero apprezzamento delle Amministrazioni comunali", le quali, se ritenessero necessaria e opportuna la creazione di un apposito organo per l'esecuzione della legge impugnata, dovrebbero poterlo fare "con autonoma determinazione, nel rispetto delle competenze dei vari organi ed uffici comunali... già ben definite dalle disposizioni vigenti".
3. - Resiste al ricorso la Regione siciliana, che si é costituita in giudizio, depositando le sue deduzioni il 12 luglio 1960. La difesa regionale, ricordato preliminarmente che il procedimento contabile della cui legittimità costituzionale si discute, é stato stabilito da una legge regionale 4 dicembre 1950, n. 96, non impugnata davanti all'Alta Corte per la Regione siciliana, ed é stata, anzi, da questa medesima Corte in più occasioni considerato legittimo, afferma che l'asserito contrasto con l'art. 81 della Costituzione non sussiste. Questo articolo, infatti, stabilisce che ogni legge deliberativa di una nuova spesa indichi i relativi mezzi di copertura e afferma il carattere formale della legge di bilancio escludendo che questa possa introdurre nuove spese o nuove entrate non previste da una precedente legge materiale. Un procedimento contabile come quello in esame, col quale si consente il recupero di uno o più degli stanziamenti pluriennali, mediante trasferimento da un esercizio successivo ad un esercizio precedente, per la sua stessa natura, non urta nei precetti dell'art. 81, ora richiamato, e non può perciò essere considerato illegittimo. Nel punto in cui, viceversa, un contrasto potrebbe sorgere, la legge in esame é in perfetta aderenza al disposto costituzionale, in quanto stabilisce una spesa e indica contemporaneamente negli stanziamenti di bilancio la necessaria copertura.
Quanto alle commissioni consultive previste dall'art. 2 della legge, la Regione sostiene che esse erano già esistenti per i tre Comuni interessati "in virtù di interne norme regolamentari" e non si é fatto se non estenderne la competenza, prevista per le deliberazioni del Consiglio, anche alle determinazioni dell'Assessore e della Giunta; da codesta estensione l'autonomia comunale non sarebbe scalfita, semmai ne risulterebbe rafforzata, preordinandosi con essa una più ampia e intensa partecipazione del Consiglio all'attività comunale in materia di lavori pubblici.
D'altra parte, poiché l'autonomia comunale sarebbe una "direttiva che la legge costituzionale impone alla potestà legislativa regionale in materia di enti locali", nulla vieterebbe alla Regione di dettare anche norme speciali, sempre che si tenga nello spirito dell'autonomia e sufficienti ragioni lo consiglino. E, nel caso, codeste ragioni sarebbero nel fatto che si tratta di un'attività della Regione a carattere decentrato, di un affidamento ai Comuni della esecuzione di opere pubbliche mediante il sistema della "concessione".
4. - In una memoria depositata il 23 dicembre 1960 l'Avvocatura dello Stato chiarisce, in primo luogo, due punti: che essa non intende impugnare la costituzionalità del procedimento contabile della legge regionale sopra ricordato, ma l'uso che se ne vuol fare per eludere il precetto dell'art. 81 della Costituzione; e che nemmeno in discussione é la regolarità costituzionale della ripartizione in sei esercizi della spesa deliberata dalla Regione con copertura nei rispettivi esercizi, ma "l'alternativa" - scrive testualmente - "rimessa alla discrezione dell'Assessore del bilancio di effettuare la spesa complessiva con entrate puramente e sicuramente figurative e, quindi, in deroga inammissibile del predetto art. 81". In secondo luogo, per quel che attiene al secondo comma dell'art. 2 della legge impugnata, riafferma che il legislatore regionale non potrebbe né creare un organo atipico qual é quello previsto dalla legge, sia pure con funzioni consultive, né tanto meno imporre al Comune il modo col quale debbono venire nominati i componenti del collegio e il modo col quale il collegio deve funzionare. Né sarebbe sostenibile la tesi della difesa regionale che l'organo consultivo sarebbe previsto come contropartita dell'affidamento fatto dalla Regione ai Comuni dell'esecuzione delle opere pubbliche in questione, mediante il sistema della concessione, perché gli stessi argomenti addotti dalla difesa regionale starebbero in definitiva a dimostrare che qui non si tratta se non di un rigido controllo imposto agli organi comunali e di una grave limitazione apportata alle competenze degli uffici comunali: l'una e l'altra in contrasto col principio costituzionale dell'autonomia degli enti locali.
5. - In una memoria depositata il 5 gennaio scorso la difesa della Regione ripropone e illustra le sue tesi insistendo per il rigetto del ricorso dello Stato. In particolare, quanto al primo motivo di ricorso si osserva:
1) che il procedimento contabile di cui la Regione si avvale fu riconosciuto perfettamente legittimo da una sentenza dell'Alta Corte per la Sicilia del 21 dicembre 1954 - 6 maggio 1955;
2) la categoria III del bilancio regionale, pur essendo inserita in un bilancio di competenza, costituirebbe una riserva di cassa; l'operazione finanziaria che mediante essa si realizza e che consiste nell'iscrizione all'entrata di stanziamenti disposti per più esercizi e all'uscita di spese che saranno sostenute, invece, nell'esercizio considerato, non avrebbe attinenza all'impiego della spesa, bensì al pagamento di essa e per tale sua natura sfuggirebbe all'efficacia dell'art. 81 della Costituzione. Se mai, aggiunge la difesa regionale, dovrebbe essere la Corte dei conti, in sede di riscontro della regolarità dei singoli mandati, ad accertare l'esistenza della disponibilità di cassa;
3) la possibilità di recupero da un esercizio all'altro di stanziamenti pluriennali sarebbe ammessa in maniera analoga dalla legge statale 27 febbraio 1955, n. 64.
Quanto al secondo motivo del ricorso, ribadito che il parere di una commissione consiliare sarebbe spiegato dal fatto che qui si tratterebbe dell'attuazione di opere pubbliche mediante il sistema della concessione dalla Regione ai Comuni, la difesa regionale nega che la istituzione di questa commissione e il parere che obbligatoriamente essa deve dare, violi l'autonomia comunale perché: 1) non si sottopongono gli atti del Comune a un controllo esterno; 2) si tratta di semplici pareri non vincolanti; 3) la legge non ha istituito alcun organo nuovo, dato che la commissione consiliare esisterebbe e funzionerebbe in tutti e tre i grandi Comuni della Sicilia.
6. - Nell'udienza del 1 marzo 1961 le difese delle parti hanno illustrato le tesi già proposte negli scritti difensivi e insistito nelle già prese conclusioni.
Considerato in diritto
1. - La difesa del Commissario dello Stato ha riconosciuto che non rientra nei limiti del presente giudizio la questione della legittimità costituzionale della norma contenuta nel secondo comma dell'art. 1 della legge impugnata, la quale provvede alla copertura della prevista spesa complessiva di sei miliardi, mediante l'iscrizione, secondo una certa ripartizione, nei bilanci di previsione dei futuri esercizi finanziari regionali dal 1960-61 al 1965-66.
La Corte é chiamata, pertanto, a risolvere soltanto la questione di costituzionalità della norma dell'ultimo comma dell'art. 1 della legge, che autorizza l'Assessore del bilancio ad "anticipare" gli stanziamenti la cui iscrizione é prevista negli esercizi ora indicati, 1960-61 a 1965-66, mediante iscrizione nella categoria III, lett. a (partite di giro vere e proprie). Non é contestabile, e non é contestato dalla difesa regionale, che tale iscrizione é rimessa dalla legge alla valutazione discrezionale dell'Assessore per il bilancio, il quale perciò può effettuarla in parte o per intero, in uno o in più di uno degli esercizi considerati.
La tesi del Commissario dello Stato che questa norma violi il precetto costituzionale dell'art. 81, ultimo comma, della Costituzione é fondata. L'obbligo del legislatore regionale di indicare i mezzi di copertura di una nuova o maggiore spesa non può ritenersi assolto mediante l'autorizzazione a iscrivere nel bilancio entrate che devono essere contemplate negli stati di previsione relativi ad esercizi futuri e perciò, nel momento nel quale l'iscrizione si verificherà, incerte ed eventuali, anzi affatto inesistenti. Un procedimento di questo genere si risolve in una mera finzione contabile, elusiva del rigoroso precetto costituzionale, e in virtù sua i bilanci di previsione della Regione finiscono con l'apparire in rapporti reciproci di credito e di debito, come é rivelato dalla terminologia adoperata nelle leggi di bilancio che codesto procedimento hanno attuato: "anticipazione a carico dell'esercizio in corso" e "recuperi nei confronti degli esercizi futuri".
L'affermazione della difesa regionale che qui non sorgerebbe alcun contrasto con la norma dell'art. 81 della Costituzione perché la categoria III del bilancio regionale costituisce una specie di riserva di cassa, pur essendo iscritta in un bilancio di competenza, é affermazione tale che é persino difficile dimostrarne l'infondatezza. Nessuna dimostrazione, infatti, la difesa regionale ha tentato di dare non soltanto della trasformazione di una categoria di spese in una "riserva di cassa" ignota, del resto, al bilancio regionale, come a quello statale, ma anche della trasformazione di voci che chiaramente attengono alla competenza, iscritte in un bilancio di competenza, in voci attinenti alla "cassa".
Del resto, quest'affermazione della difesa regionale é conseguenza dell'equivoco nel quale essa é incorsa, confondendo il modo concreto col quale la Regione si propone di fare fronte alla spesa, mediante il ricorso, cioè alle cosiddette giacenze, con la questione, che sola viene in considerazione e tutt'affatto diversa, del legittimo modo di assicurare la copertura di una spesa.
La Corte non deve rispondere al quesito che, specialmente nella discussione orale, ha proposto la difesa regionale intorno all'utilizzazione delle cosiddette giacenze, che sarebbero cospicue e cagionerebbero serie preoccupazioni agli amministratori regionali. É ovvio che un problema siffatto, originato, a quel che la Regione dice, dal divario di tempo che necessariamente intercorre tra l'impegno della spesa e l'effettiva sua erogazione, non é un problema di costituzionalità. Si può soltanto dire che codeste giacenze, risultando, come pare, da somme destinate a spese impegnate e non effettivamente erogate nel corso di un esercizio, dovrebbero avere la natura e osservare il regolamento dettato per i "residui passivi". Con che, per altro, é anche confermato come non possa essere considerato conforme alle norme dell'art. 81 della Costituzione destinarle a copertura di nuove o maggiori spese.
2. - Contro queste conclusioni non vale richiamarsi, come la Regione si richiama, al decreto legislativo del Presidente della Regione siciliana 9 maggio 1950, n. 17, ratificato con legge 14 dicembre 1950, n. 96. Questo decreto non autorizza punto il procedimento di "anticipazione" e "recupero" nei termini nei quali la Regione intende applicano, ma si limita a istituire, nel titolo II della parte straordinaria del bilancio, la categoria III, "entrate per partite di giro" e "spese per partite di giro", rispettivamente nella previsione dell'entrata e della spesa (art. 1), e a specificare che codesta cat. III comprende, insieme con altre voci, questa contraddistinta con la lettera a: "le partite di giro vere e proprie, cioè le entrate e le spese che nel bilancio hanno effetto puramente figurativo, essendone la Regione ad un tempo creditrice e debitrice" (art. 2).
Si sa che le partite di giro sorsero per l'iscrizione nei bilanci di entrate o di spese previste per conto di terzi, e finirono, poi, col rappresentare genericamente entrate e spese che si pareggiano puntualmente, e nei confronti delle quali l'ente al quale il bilancio si riferisce, si pone insieme come debitore e creditore; si sa anche che di regola non danno luogo a un movimento materiale di fondi e si sa, infine, che riguardano in ogni caso la competenza dell'esercizio nel quale figurano iscritte.
A questi concetti, del resto, si é ispirato il legislatore regionale quando, come si é ricordato, ha definito come partite di giro le entrate e le spese meramente figurative, rispetto alle quali la Regione compare a un tempo creditrice e debitrice. Se così é, il richiamo della legge impugnata al citato decreto del Presidente della Regione, é fatto a una norma che regola una diversa ipotesi, che non autorizza, cioè, il sistema delle "anticipazioni e recuperi", il quale comporta non già la previsione di entrate e spese meramente figurative, ma quanto meno di spese effettive, rispetto alle quali la Regione non é certo soltanto creditrice e debitrice di se stessa.
Nemmeno pertinente é il richiamo alla legge 27 febbraio 1955, n. 64, una legge statale sulla cui legittimità costituzionale é stata manifestata qualche perplessità -, la quale contempla e regola il caso opposto, che fu definito dell'"ultrattività della copertura", cioè dell'utilizzo di disponibilità di esercizi scaduti, destinate a finanziamenti di oneri derivanti da provvedimenti di carattere particolare, intesi per tali i provvedimenti legislativi non perfezionati nel corso dell'esercizio.
Nemmeno, infine, vale il ricorso alla giurisprudenza dell'Alta Corte per la Sicilia. É vero che ben tre sentenze di pari data di quella Corte (21 dicembre 1954 - 6 maggio 1955) si sono occupate di questa medesima questione di legittimità, ma sotto un profilo in parte diverso da quello dal quale deve essere esaminata nel presente giudizio. L'Alta Corte, infatti, pur non nascondendo le sue perplessità sulla perfetta regolarità contabile del procedimento delle "anticipazioni e recuperi", ritenne che il problema posto da una legge materiale che istituiva una nuova spesa e provvedeva col procedimento in questione alla copertura, fosse da considerare superato dalla sopravvenuta legge di bilancio che alla norma della legge sostanziale aveva dato esecuzione, dato che, a suo avviso, le iscrizioni fatte nella cat. III del bilancio, delle quali si parla, non erano in contrasto col precetto dell'art. 81, ultimo comma, della Costituzione. Molte riserve si potrebbero fare di fronte all'affermazione che si legge in quelle sentenze, della legittimità costituzionale della iscrizione in bilancio di spese ed entrate previste da una legge regionale, della quale sia contestata la costituzionalità, e di fronte all'altra connessa affermazione della idoneità della sopravvenuta legge di bilancio a superare una siffatta questione di legittimità, segnatamente quando si ricordi il principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale la previsione in bilancio dei fondi destinati a una spesa contemplata da una legge sostanziale non assolve, di per sé sola, al precetto dell'art. 81, ultimo comma, della Costituzione (sent. n. 66 del 16 dicembre 1959).
Ma non occorre discuterne in questa sede, dove quel presupposto della iscrizione nel bilancio di previsione della Regione (che nel caso avrebbe dovuto essere quello dell'esercizio 1960-61, approvato con legge 3 gennaio 1961, n. 6) manca del tutto, e la Corte perciò non avrebbe potuto, anche al lume di quella giurisprudenza, non esaminare e risolvere la questione.
3. - Il Commissario dello Stato ha chiesto anche la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 4 della legge che autorizza l'Assessore regionale per il bilancio ad apportare con proprio decreto le eventuali variazioni di bilancio occorrenti per l'attuazione della legge, ma l'Avvocatura dello Stato non vi ha insistito né nella memoria scritta, né nella discussione orale.
In realtà la norma dell'art. 4 contiene una clausola di stile, e si risolve in una generica ed ampia autorizzazione, che può valere anche per altre previsioni della legge e non soltanto per quella che la Corte ritiene costituzionalmente illegittima. Questa dichiarazione d'illegittimità costituzionale rende inapplicabile, per questa parte, la norma dell'art. 4, ma non importa che debba dichiararsene l'illegittimità.
4. - Fondata é anche la seconda questione. La Corte in due sue decisioni (nn. 61 del 1958 e 9 del 1961) ha già segnato i limiti che incontra la potestà legislativa regionale in materia di enti locali (art. 14, lett. o, artt. 15 e 16 dello Statuto), ed ha affermato che la Regione non può esercitare tale sua potestà se non in maniera organica e uniforme: il che non esclude, in ipotesi, che essa possa dettare norme speciali per situazioni speciali, ma a condizione, anche in questo caso, che siano assunte a base della normativa, ipotesi generali ed astratte, non già, com'é della norma in questione, casi singoli. Il fatto affermato, ma non dimostrato, dalla difesa regionale, che commissioni del tipo e con funzioni analoghe o identiche a quelle previste dall'art. 2, secondo comma, della legge sarebbero già state istituite presso i tre Comuni indicati, non elimina il fatto che ora queste commissioni vengano istituite ex novo, per un caso singolo e diverso, e a un fine determinato, dalla legge regionale, in violazione dell'autonomia degli enti locali, quale é riconosciuta e garantita dallo Statuto.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale:
a) della norma contenuta nell'art. 1, ultimo comma, della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 15 giugno 1960, promulgata il 4 agosto 1960 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana del 10 agosto 1960, n. 33, in riferimento alla norma dell'art. 81, ultimo comma, della Costituzione;
b) della norma contenuta nell'art. 2, secondo comma, della legge, in riferimento alla norma dell'art. 15 dello Statuto per la Regione Siciliana.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 marzo 1961.
Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI
Depositata in cancelleria il 31 marzo 1961.