Sentenza n. 9 del 1958
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SENTENZA N. 9

ANNO 1958

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Gaetano AZZARITI, Presidente

Avv. Giuseppe CAPPI

Prof. Tomaso PERASSI

Prof. Gaspare AMBROSINI

Prof. Ernesto BATTAGLINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco PANTALEO GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Mario BRACCI

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 24 luglio 1957 riguardante "Provvidenze in favore dei Comuni della Regione per impianti elettrici", promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione siciliana, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 5 agosto 1957 ed iscritto al n. 15 del Registro ricorsi 1957.

Visto l'atto di costituzione in giudizio, con deposito nella cancelleria delle proprie deduzioni in data 21 agosto 1957, del Presidente della Regione siciliana rappresentato e difeso dall'avv. prof. Salvatore Orlando Cascio;

udita nell'udienza pubblica del 29 gennaio 1958 la relazione del Giudice Biagio Petrocelli;

uditi il sostituto avvocato generale dello Stato Raffaele Bronzini per il ricorrente e l'avv. Salvatore Orlando Cascio per la Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ricorso del 31 luglio 1957 il Commissario dello Stato per la Regione siciliana impugnava, per violazione dell'art. 81 della Costituzione, la legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana nella seduta del 24 luglio 1957, riguardante "Provvidenze in favore dei Comuni della Regione per impianti elettrici", legge poi promulgata col n. 55 il 20 settembre 1957 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione del 25 settembre 1957, n. 54.

Resisteva la Regione presentando controdeduzioni in data 21 agosto 1957.

L'Avvocatura generale dello Stato si costituiva in giudizio il 5 agosto 1957 in difesa del Commissario dello Stato per la Regione, e il 16 gennaio 1958 depositava memoria illustrativa.

Nel suo ricorso il Commissario dello Stato sosteneva che l'articolo 8 della legge impugnata costituisce violazione dell'art. 81 della Costituzione, in quanto non fornisce nessuna indicazione dei mezzi con i quali far fronte alla nuova spesa. Inoltre con l'ultimo comma dello stesso articolo viene autorizzata l'iscrizione ai sensi della legge regionale 14 dicembre 1950, n. 96, nella categoria III del bilancio, e cioè nelle partite di giro, delle quote ricadenti sugli esercizi successivi a quello del 1957 - 58 il che non può ritenersi regolare, in quanto trattasi di contributi non recuperabili, e quindi di spese effettive, il cui onere, gravante sulle partite di giro, é in evidente contrasto con l'art. 81 della Costituzione.

La Regione ha eccepito in via preliminare che l'art. 81 della Costituzione non é applicabile ai bilanci della Regione, così come non é direttamente applicabile ai bilanci delle Province e dei Comuni. L'art. 81 contiene un principio che si riscontra anche nelle leggi sulla contabilità dello Stato e di quelle sugli enti locali. Tuttavia esso é stato "costituzionalizzato" soltanto nei confronti del bilancio dello Stato, perché é nei confronti di questo bilancio che la eventuale violazione sarebbe stata priva di efficace sanzione, là dove per gli enti minori provvedono i normali mezzi di controllo dell'autorità.

Nel merito, la Regione dichiara che la legge impugnata non ha violato l'art. 81 della Costituzione, in quanto la copertura della quota di spesa ricadente nell'esercizio in corso é fornita dal cap. 23 del bilancio regionale per l'anno 1957 - 58, contenente il "fondo a disposizione per far fronte ad oneri di qualsiasi genere dipendenti da disposizioni legislative".

Circa poi le quote di spesa ricadenti sugli esercizi successivi a quello in corso, la Regione deduce che il legislatore regionale, in conformità della pacifica interpretazione dell'art. 81 e della costante prassi del Parlamento nazionale, non aveva l'obbligo di indicare i mezzi di copertura. Tale obbligo non nasceva neppure dall'autorizzazione concessa all'Assessore per il bilancio di iscrivere quelle quote di spesa nella categoria III del bilancio, cioè, in sostanza, ad anticiparne l'importo sulla disponibilità di cassa del corrente esercizio.

Nella sua memoria l'Avvocatura dello Stato, riportandosi anche alle decisioni dell'Alta Corte Siciliana, sostiene l'applicabilità dell'art. 81 della Costituzione anche al bilancio delle Regioni, trattandosi di un principio - limite la cui violazione si traduce in un vizio di legittimità costituzionale. Quanto al merito, la stessa Avvocatura ritiene non valido il riferimento a un generico fondo a disposizione per far fronte ad oneri di qualsiasi genere dipendenti da disposizioni legislative. A parte ogni rilievo circa la precostituzione di tale fondo, lo stanziamento di cui al cap. 23 del bilancio della Regione non vale a sanare l'inosservanza dell'art. 81, mancando nella legge impugnata ogni indicazione che l'onere assunto per l'esercizio 1957 - 58 dovesse incidere sul fondo medesimo.

Anche l'autorizzazione a iscrivere le quote ricadenti sugli esercizi successivi nella categoria III del bilancio regionale non può considerarsi, ad avviso dell'Avvocatura, una forma di finanziamento costituzionalmente legittima. Le così dette partite di giro rappresentano spese puramente figurative, essendo lo Stato nello stesso tempo debitore e creditore. Nella specie, invece, l'onere assunto dalla Regione per gli esercizi futuri costituisce un contributo non recuperabile, e quindi una spesa effettiva e non apparente, la quale non poteva incidere sulla categoria III del bilancio.

La Regione depositava infine altre deduzioni in data 17 gennaio 1958, ed il 28 successivo produceva copia del bilancio approvato dall'Assemblea regionale per l'esercizio 1957 - 58. In queste ultime deduzioni é eccepita pregiudizialmente la improcedibilità del giudizio a seguito dell'avvenuta pubblicazione della legge impugnata ai sensi dell'art. 29 dello Statuto siciliano. La dedotta improcedibilità non deriverebbe dalla qualità del termine (ordinatorio o perentorio) di cui all'art. 29 citato, ma dalla diversa natura che il giudizio di costituzionalità assumerebbe, per quanto attiene alle leggi siciliane, prima e dopo la promulgazione delle leggi. Secondo la difesa della Regione, prima della promulgazione della legge la Corte costituzionale esplicherebbe, su sollecitazione del Commissario dello Stato, una attività di collaborazione nel l'iter formativo della legge mentre dopo l'avvenuta promulgazione e pubblicazione essa esplicherebbe una ben diversa attività diretta a rimuovere dall'ordinamento giuridico una legge già formalmente perfetta; e almeno per le leggi siciliane questa seconda attività della Corte non potrebbe aver luogo proseguendo la impugnativa in via principale, ma a seguito di eccezione proposta dai singoli incidenter tantum dinanzi la magistratura ordinaria.

Nel merito, la difesa della Regione afferma ancora che l'avvenuta approvazione del bilancio - per l'anno 1957 - 58 impone una rivalutazione dei motivi del ricorso proposto dal Commissario dello Stato, dovendosi la legittimità costituzionale valutare al momento della pronuncia da parte della Corte. Se la legge impugnata era da ritenersi extra bilancio al momento del ricorso, in quanto era stata approvata in sede di esercizio provvisorio e quindi risultava posteriore al bilancio - posteriorità che costituiva il presupposto della impugnativa -, allo stato, a seguito dell'approvazione del bilancio non potrebbe considerarsi più tale, presentandosi invece anteriore al bilancio stesso, nel quale le quote di spesa relative agli esercizi futuri hanno trovato apposito stanziamento nell'art. 763 bis e quindi risultano coperte dall'approvazione dell'Assemblea.

Nella discussione orale le parti ribadivano le dedotte argomentazioni.

 

Considerato in diritto

 

Si deve innanzi tutto respingere la eccezione pregiudiziale proposta dalla difesa della Regione, con la quale si assume che l'avvenuta promulgazione e pubblicazione della legge regionale, ai sensi del secondo comma dell'art. 29 dello Statuto siciliano, renderebbe improcedibile il giudizio di legittimità costituzionale proposto dal Commissario dello Stato. Il principio, sul quale la eccezione si vorrebbe fondare, vale a dire che il protrarsi oltre trenta giorni della inattività della Corte debba considerarsi come "accertamento di inesistenza dei denunziati vizi di illegittimità", non trova alcuna base nel citato art. 29.

Come questa Corte ha ripetutamente statuito (sentenze nn. 38, 44, 111, 112 del 1957), il termine di venti giorni di cui al primo comma dell'art. 29 ha carattere meramente ordinatorio, e ciò, del resto, conformemente anche alla costante interpretazione dell'Alta Corte per la Sicilia. L'attività della Corte, se può dirsi in un certo senso sollecitata, non é per nulla vincolata da quel termine. Trascorso il quale senza che la decisione sia stata emessa, il giudizio di legittimità rimane regolarmente in corso, avviandosi, per tutti gli effetti, alla sua decisione. Correlativamente, il termine di trenta giorni, oltre il quale, ai sensi del secondo comma dell'art. 29, "le leggi sono promulgate ed immediatamente pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Regione", crea non già un obbligo perentorio di promulgazione e pubblicazione immediata, ma soltanto la facoltà per la Regione di procedere alla promulgazione e pubblicazione della legge anche in pendenza di un ricorso per illegittimità costituzionale. D'altra parte il fondamento e i limiti di questa facoltà sono tali da non incidere, allorché sia stata esercitata, sullo svolgersi del processo costituzionale e sulla relativa decisione. Con la disposizione del secondo comma dell'art. 29 si vollero tener presenti le speciali ragioni di necessità e di urgenza che, in taluni casi, possono suggerire la promulgazione e pubblicazione della legge anche in pendenza del ricorso; ma ciò sempre nell'ambito delle esigenze proprie della Regione, le quali, in definitiva, per il loro carattere particolare, non possono prevalere sul principio che regola in via fondamentale la disciplina giuridica dello Stato, vale a dire la corrispondenza di tutte le leggi ai dettati della Costituzione, allorché il giudizio sia stato ritualmente instaurato. E ciò con la conseguenza che mentre da un lato l'esercizio della facoltà di promulgare e pubblicare la legge anche in pendenza del proposto giudizio di legittimità rientra nell'apprezzamento e quindi nella responsabilità degli organi della Regione, la successiva decisione della Corte, che eventualmente dichiari la illegittimità costituzionale della legge, opera giuridicamente nella pienezza dei suoi effetti, del tutto identici a quelli che avrebbe, se la promulgazione e pubblicazione non fossero avvenute.

E nemmeno può accogliersi l'altra eccezione secondo la quale la disposizione dell'art. 81 della Costituzione non sarebbe applicabile alle Regioni ma soltanto allo Stato. E da ritenere invece che debba anche in questa materia aver pieno vigore il principio unitario, espresso dall'art. 5 della Costituzione e ripetuto dall'art. 1 dello Statuto siciliano, e in forza del quale la legislazione regionale si svolge nella osservanza delle supreme direttive della disciplina giuridica dello Stato. La disposizione dell'ultimo comma dell'art. 81 deve necessariamente riguardare oltre che lo Stato anche le Regioni, non potendo queste sottrarsi a quella fondamentale esigenza di chiarezza e solidità del bilancio cui la predetta norma si ispira, in vista anche della stretta correlazione in cui l'attività e i mezzi finanziari dello Stato e delle Regioni vengono reciprocamente a trovarsi. E ben noto, del resto, che in questo senso si é costantemente pronunciata anche l'Alta Corte per la Sicilia.

Nel merito la indagine ha per oggetto l'osservanza della norma dell'art. 81 della Costituzione, in relazione da un lato all'esercizio finanziario in corso, dall'altro agli esercizi successivi fra i quali la nuova spesa é stata ripartita. Per la parte che si riferisce all'esercizio finanziario in corso, la difesa della Regione obbietta che la legge impugnata si sarebbe fedelmente attenuta al precetto del l'ultimo comma dell'art. 81 della Costituzione; e ciò perché la copertura della relativa quota di spesa, come testualmente é detto nelle deduzioni del 12 agosto 1957, "é ampiamente data dal cap. 23 del bilancio regionale 1957 - 58, contenente Fondo a disposizione per far fronte ad oneri di qualsiasi genere dipendenti da disposizioni legislative". Soggiunge la difesa stessa che analogo fondo é previsto anche per il bilancio dello Stato. Risulta in effetti che un tal fondo é previsto nel bilancio della Regione e che per l'anno finanziario 1957 - 58 esso ammonta a lire 4.954.600.000; e risulta anche che nel bilancio dello Stato esiste un fondo analogo, contrassegnato dalla diversa formula "Fondo occorrente per far fronte ad oneri dipendenti da provvedimenti legislativi in corso", e che per l'esercizio 1957 - 58 é fissato nella misura di lire 214.026.400.000.

Premesso che la Corte non é chiamata, nella presente causa, a giudicare della legittimità o meno della istituzione di tali fondi, e che non é di sua competenza il valutare i criteri di politica e tecnica finanziaria che ne hanno ispirato la creazione, é certo che il precetto dell'art. 81 della Costituzione non può dirsi osservato, come sembra ritenere la difesa della Regione, col semplice fatto di riferirsi, in una memoria difensiva, cioè in documento estraneo alla legge impugnata, alla capacità del fondo a coprire la nuova spesa; mentre l'ultimo comma dell'art. 81 chiaramente stabilisce l'obbligo che la legge istitutiva della nuova spesa sia essa a dover indicare positivamente i mezzi per farvi fronte. La legge impugnata non ottempera a tale precetto, in quanto appunto non contiene, come sarebbe stato necessario, quella esplicita indicazione che alla copertura della spesa si sarebbe provveduto mediante il fondo di cui sopra. Senza tale indicazione non si può avere la precisa e concreta conoscenza del mezzo di copertura delle nuove spese, quale indubbiamente é richiesta, secondo lo spirito dell'art. 81, sia in obbedienza ai generali criteri cui deve ispirarsi la legislazione finanziaria sia anche Perché, in rapporto a minori ma del pari non derogabili esigenze pratiche, non sarebbe possibile, in una valutazione integrale di tutte le nuove e maggiori spese, stabilire la effettiva capacità a farvi fronte da parte del fondo speciale di cui trattasi.

La inosservanza della disposizione dell'ultimo comma dell’ art. 81 in relazione al bilancio in corso é fondamento sufficiente per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge impugnata; e quindi ogni altra questione, per quanto riguarda la iscrizione della spesa come partita di giro, nonché gli eventuali effetti giuridici dell'avvenuta approvazione del bilancio, resta assorbita.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

respinte le eccezioni pregiudiziali proposte dalla difesa della Regione;

dichiara, in riferimento all'art. 81 della Costituzione, la illegittimità costituzionale della legge della Regione siciliana approvata il 24 luglio 1957, promulgata il 20 settembre e pubblicata il 25 settembre 1957, recante "Provvidenze in favore dei Comuni della Regione per impianti elettrici".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 1958.

 

Gaetano AZZARITI - Giuseppe CAPPI - Tomaso PERASSI - Gaspare AMBROSINI - Ernesto BATTAGLINI - Mario COSATTI - Francesco PANTALEO GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Mario BRACCI - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI

 

Depositata in cancelleria il 11 marzo 1958