SENTENZA N. 154
ANNO 2017
Commento alla decisione di
Flavio Guella
per g. c. del Forum di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de
PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 680, 681 e
682, della legge
28 dicembre 2015, n. 208, recan te «Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
stabilità 2016)»,
promossi dalla Provincia autonoma di Bolzano, dalle Regioni autonome Sardegna e
Friuli-Venezia Giulia, dalla Regione siciliana, dalla Regione Veneto e dalla
Provincia autonoma di Trento, con ricorsi notificati il 26 febbraio-7 marzo
2016 (ricorso della Provincia autonoma di Bolzano), il 29 febbraio-7 marzo 2016
(ricorso della regione autonoma Sardegna), il 27-29 febbraio 2016 (ricorso
della Regione Veneto) e il 29 febbraio 2016 (ricorsi della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, della Regione siciliana e della Provincia autonoma di
Trento), depositati in cancelleria il 4 marzo 2016 (ricorso della Provincia
autonoma di Bolzano), il 7 marzo 2016 (ricorsi delle Regioni autonome Friuli-Venezia
Giulia e Sardegna), l’8 marzo 2016 (ricorsi della Regione siciliana e della
Regione Veneto) e il 10 marzo 2016 (ricorso della Provincia autonoma di Trento)
e rispettivamente iscritti ai nn. 10, 13, 14, 15, 17 e 20 del
registro ricorsi 2016.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio
dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del
9 maggio 2017 il Giudice relatore Nicolò Zanon;
uditi gli avvocati Renate von Guggenberg per la Provincia autonoma di Bolzano, Massimo
Luciani per la Regione autonoma Sardegna, Giandomenico Falcon
per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, Antonio Lazzara per la Regione
siciliana, Luca Antonini e Andrea Manzi per la Regione Veneto, Giandomenico Falcon e Andrea Manzi per la Provincia autonoma di Trento,
e l’avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1.– La Provincia autonoma
di Bolzano, con ricorso notificato il 26 febbraio-7 marzo 2016 e depositato il
4 marzo 2016 (reg. ric. n. 10 del 2016), ha impugnato, tra gli altri, l’art. 1,
comma 680, quarto periodo, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge di stabilità 2016)».
1.1.– La ricorrente, in via
generale, premette che la legge n. 208 del 2015, composta di un solo articolo,
detta una serie di disposizioni riferite direttamente alle Regioni a statuto
speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano o comunque riferibili,
direttamente o indirettamente, alle stesse. Tuttavia, mentre parte di queste
disposizioni sarebbero state concordate con la Provincia autonoma di Bolzano,
secondo il procedimento delineato dall’art. 104 del d.P.R. 31 agosto 1972, n.
670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), altre, invece, sarebbero state
dettate unilateralmente, senza la prescritta intesa tra il Governo e, per
quanto di rispettiva competenza, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige e le
due Province autonome.
Ricorda, ancora, la ricorrente
che il comma 992 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015 contiene una generale
clausola di salvaguardia, in base alla quale «[l]e disposizioni della presente
legge sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province
autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le disposizioni dei
rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento
alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3». Per questo, in linea di
principio, tale disposizione «dovrebbe risolvere ogni questione, facendo della
compatibilità con lo Statuto di autonomia il punto di discrimine tra
applicazione e non applicazione delle disposizioni alla ricorrente Provincia».
Secondo la ricorrente, tuttavia, alcune disposizioni della legge n. 208 del
2015 sarebbero certamente destinate ad applicarsi alla Provincia autonoma di
Bolzano, in quanto esse espressamente includono le Province autonome di Trento
e di Bolzano tra i propri destinatari, senza essere state preventivamente
concordate, oppure, in modo indiretto, sarebbero destinate a produrre effetti
nei confronti di queste ultime, «vanificando così la predetta clausola di
salvaguardia con la propria formulazione testuale».
1.2.– La Provincia autonoma
di Bolzano, per quanto di interesse in questa sede, impugna l’art. 1, comma
680, quarto periodo, della legge n. 208 del 2015.
1.2.1.– La ricorrente premette
che il quarto periodo del comma 680 qui in esame violerebbe: gli artt. 79, 80,
81 e 104 dello statuto
speciale di autonomia, nonché le correlative norme di attuazione
(contenute, quanto al titolo VI dello stesso statuto, negli artt. 17 e 18 del decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 268, recante «Norme di attuazione dello statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e
provinciale»); gli artt.
3 e 117, terzo
comma, della Costituzione; l’art. 27 della legge
5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in
attuazione dell’art. 119 della Costituzione); il principio di leale
collaborazione, anche in relazione all’art. 120 Cost.
1.2.2.– La ricorrente
ricostruisce il contenuto normativo del citato comma 680 dell’art. 1 della
legge n. 208 del 2015, esponendo che esso disciplina il concorso complessivo
degli enti regionali agli obiettivi di finanza pubblica, con un’apposita
disposizione che determina per le Regioni e per le Province autonome il
contributo dovuto, in conseguenza dell’adeguamento dei propri ordinamenti ai
principi di coordinamento della finanza pubblica contenuti nella legge stessa e
a valere sui risparmi derivanti dalle disposizioni ad esse direttamente
applicabili ai sensi dell’art. 117, secondo comma, Cost. Il contributo risulta
pari a 3.980 milioni di euro per l’anno 2017 e a 5.480 milioni di euro per ciascuno
degli anni 2018 e 2019.
La predetta norma demanda alle
medesime Regioni e Province autonome – in sede di autocoordinamento,
da recepire con intesa in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio di
ciascun anno – la definizione degli ambiti e degli importi del rispettivo
contributo, e prevede, per il caso di mancata intesa, la definizione
unilaterale da parte del Presidente del Consiglio dei ministri degli ambiti di
spesa interessati e dei relativi importi – tenendo anche conto della
popolazione residente e del prodotto interno lordo (PIL) – nonché la
rideterminazione dei livelli di finanziamento degli ambiti individuati e delle
modalità di acquisizione delle risorse da parte dello Stato, considerando anche
le risorse destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale
(art. 1, comma 680, primo e secondo periodo, della legge n. 208 del 2015).
La stessa disposizione, per le
autonomie speciali, prevede che il rispettivo contributo sia determinato previa
intesa con ciascuna di esse e, in particolare per le Province autonome e per la
Regione Trentino-Alto Adige, che l’applicazione della norma in esame avvenga
nel rispetto dell’accordo del 15 ottobre 2014, recepito con legge 23 dicembre
2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», in particolare con l’art.
1, commi da 406 a 413 (art. 1, comma 680, terzo e quinto periodo, della legge
n. 208 del 2015).
La medesima disposizione,
infine, riferendosi nuovamente al complesso degli enti regionali, ivi comprese
espressamente anche le Province autonome di Trento e di Bolzano, dispone che
essi assicurino il finanziamento dei livelli essenziali di assistenza, come
eventualmente rideterminato ai sensi del medesimo comma 680 e dei successivi
commi da 681 a 684 della legge n. 208 del 2015, nonché ai sensi dei commi da
400 a 417 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 (art. 1, comma 680, quarto periodo,
della legge n. 280 del 2015).
1.2.3.– Ricorda la ricorrente
che l’accordo del 15 ottobre 2014, richiamato dal quinto periodo del comma 680
dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015, è il cosiddetto Patto di garanzia
concluso tra le Province autonome e lo Stato (ai sensi dell’art. 104 dello
statuto speciale), poi recepito con i commi da 406 a 413 dell’art. 1 della
legge n. 190 del 2014, con i quali si è introdotta una nuova regolazione dei
rapporti finanziari tra tali enti, innovando la relativa disciplina contenuta
nello statuto speciale ed adeguando le norme di attuazione statutaria in
materia di «riserve all’erario», nonché introducendo alcune altre norme di
rango statutario in materia finanziaria, in tal modo rivedendo l’Accordo di
Milano dell’anno 2009.
Secondo la ricorrente, il
quarto periodo del comma 680 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015 sarebbe
direttamente applicabile anche alla Provincia autonoma di Bolzano,
presentandosi, tuttavia, come solo in parte compatibile con il relativo statuto
speciale, come modificato a seguito del Patto di garanzia sopra richiamato.
In particolare, sarebbe
rispettoso di tale accordo il solo rinvio ai commi da 406 a 413 dell’art. 1
della legge n. 190 del 2014, che in tal modo confermerebbe, tra l’altro, la misura
dei contributi assicurati rispettivamente dalle Province autonome e dalla
Regione Trentino-Alto Adige a titolo di concorso agli obiettivi di finanza
pubblica.
Si porrebbe, invece, in
contrasto con il Patto di garanzia la parte del quarto periodo del citato comma
680 che richiama i commi da 400 a 417 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014,
che mal si raccorderebbe con la contestuale previsione del rispetto
dell’accordo del 15 ottobre 2014 (contenuta nel quinto periodo del medesimo
comma 680).
Il contrasto con il «quadro
statutario delle Province autonome» sarebbe rinvenibile nelle disposizioni già
contenute nei commi 400 e 404 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 –
richiamate dal quarto periodo del comma 680 dell’art. 1 della legge n. 208 del
2015 in esame – che prevedono per il 2018 un contributo aggiuntivo di 21
milioni di euro a carico della Provincia autonoma di Trento e di 25 milioni di
euro a carico di quella di Bolzano (comma 400), con il correlativo obbligo di
versarlo all’erario, in attesa dell’emanazione delle apposite norme di
attuazione previste dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009 (comma 404).
A giudizio della ricorrente, e
«per le stesse ragioni», si rileverebbe un’ulteriore incompatibilità con
l’ordinamento statutario provinciale anche nel richiamo del comma 417 dell’art.
1 della predetta legge n. 190 del 2014, che prevede la facoltà di modificare
mediante un apposito accordo, da sancire entro il 31 gennaio di ciascun anno in
sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano, e da recepire in seguito con un
apposito decreto ministeriale, gli importi del contributo aggiuntivo in
questione (indicati nella tabella di cui al comma 400), rispettivamente dovuti
dalle singole autonomie speciali, con invarianza di concorso complessivo.
Analogo contrasto si
ravviserebbe anche nel rinvio ai commi 415 e 416 dell’art. 1 della legge n. 190
del 2014, che estendono all’annualità 2018 la disciplina già contenuta nelle
leggi di stabilità per il 2013 e per il 2014, relativa all’obiettivo da
concordare per il concorso agli obiettivi di finanza pubblica da parte delle
autonomie speciali, rispettivamente previsto: dai commi 454 e 455 dell’art. 1
della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013)», come
modificati dal comma 415 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014; e dal comma
526 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
stabilità 2014)», come modificato dal comma 416 dell’art. l della legge n. 190
del 2014. A giudizio della ricorrente, poiché i predetti commi 415 e 416 non
sono stati concordati ai sensi dell’art. 104 dello statuto speciale della
Provincia autonoma di Bolzano (come invece previsto dal comma 406 dell’art. 1
della legge n. 190 del 2014 per i successivi commi da 407 a 413), essi si
collocherebbero «sostanzialmente al di fuori del Patto di Garanzia concluso tra
lo Stato e le Province autonome nel 2014, che disciplina i rapporti finanziari
tra i predetti enti anche con riferimento all’anno 2018 ed in modo
dichiaratamente esaustivo».
A parere della ricorrente, i
commi 400, 404, 415, 416 e 417 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, non
essendo fondati sulla preventiva intesa tra lo Stato e le Province autonome ai
sensi del citato art. 104 dello statuto speciale, rivestirebbero il carattere
di mera legge ordinaria e, dunque, sarebbero privi delle «caratteristiche
sostanziali e formali richieste per definire i rapporti finanziari
intercorrenti tra i predetti enti». La Provincia autonoma di Bolzano ha
ricordato che, nonostante formale richiesta di modifica delle norme contestate,
le stesse «non sono state modificate nel corso del 2015, per essere ora
richiamate nel contesto delle disposizioni contenute nel comma 680».
Tali disposizioni, sempre a
giudizio della ricorrente, sarebbero contrastanti «con norme di carattere
statutario e di attuazione statutaria».
In particolare, i commi 400 e
404 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, lo sarebbero nella parte in cui
impongono alle autonomie speciali un contributo aggiuntivo alla finanza pubblica
per ciascuno degli anni dal 2015 al 2018; l’art. 1, comma 417, della legge n.
190 del 2014, lo sarebbe nella parte in cui prevede la facoltà di modificare,
mediante un apposito accordo, da sancire entro il 31 gennaio di ciascun anno,
gli importi del contributo aggiuntivo in questione, con invarianza di concorso
complessivo.
Le citate disposizioni statali
non sarebbero compatibili con la nuova disciplina che regola i rapporti
finanziari tra lo Stato e le Province autonome, approvata ai sensi dell’art. 104
dello statuto speciale, sulla base dell’accordo del 15 ottobre 2014 (recepito
nei commi da 406 a 413 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014). Infatti, tale
disciplina – contenuta nei commi 4 e 4-bis
dell’art. 79 dello statuto speciale, come rispettivamente sostituito e aggiunto
a norma del numero 3), della lettera e),
del comma 407 dell’art. 1, della stessa legge n. 190 del 2014 – dispone che non
sono applicabili, nelle Province autonome, norme statali che prevedono
obblighi, oneri, accantonamenti, riserve all’erario o concorsi comunque
denominati, ivi inclusi quelli afferenti il patto di stabilità interno, diversi
da quelli previsti dal Titolo VI dello statuto di autonomia dedicato ai
rapporti finanziari con lo Stato.
In definitiva, secondo la
ricorrente, laddove si ritenesse che il contributo previsto (dai commi 400 e
404 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014), con efficacia dal 2018, sia
aggiuntivo rispetto a quello onnicomprensivo concordato con il cosiddetto Patto
di garanzia del 2014, la disposizione di cui al quarto periodo del comma 680 –
alla luce della previsione del successivo quinto periodo, che definisce
specificamente solo per la Regione Trentino-Alto Adige e per le Province
autonome la misura dei loro concorsi finanziari nel rispetto degli accordi
intervenuti con il Governo nel 2014 – sarebbe illegittima nella parte in cui,
contestualmente, ribadisce, anche per le Province autonome, l’obbligo di
assicurare il finanziamento dei livelli essenziali di assistenza ai sensi dei
citati commi 400, 404, 415, 416 e 417 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014.
1.3.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, si è costituito nel giudizio di legittimità costituzionale, chiedendo
che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, non fondato.
In primo luogo, il resistente
ha evidenziato che la legge n. 208 del 2015 contiene una disposizione di
chiusura che consentirebbe di ritenere privi di fondamento i dubbi di
costituzionalità avanzati dalla Provincia ricorrente: il comma 992 dell’art. 1,
infatti, prevede espressamente che «[l]e disposizioni della presente legge sono
applicabili alle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento
e di Bolzano compatibilmente con le disposizioni dei rispettivi statuti e le
relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale
18 ottobre 2001, n. 3». Ne deriverebbe che la disciplina contenuta nei commi
oggetto di ricorso non potrebbe essere applicata nella Provincia autonoma di
Bolzano laddove incompatibile con il relativo statuto speciale, nell’ottica
propria delle cosiddette «clausole di salvaguardia» (al cui novero l’Avvocatura
generale dello Stato ascrive la disposizione richiamata), finalizzate appunto
alla tutela delle prerogative statutarie delle Regioni e delle Province ad
autonomia speciale. Viene, a tal proposito, richiamata la giurisprudenza
costituzionale, secondo cui, in presenza di una clausola di salvaguardia, la
questione di legittimità costituzionale deve comunque essere dichiarata non
fondata perché, nel caso in cui il contrasto non sussista, ovviamente non vi è
alcuna violazione della normativa statutaria mentre, nel caso in cui il
contrasto sussista, la clausola di salvaguardia comunque impedisce l’applicabilità
della normativa censurata (sono indicate le sentenze n. 215 del
2013 e n.
241 del 2012).
Nel merito, l’Avvocatura
generale dello Stato sostiene che il ricorso dell’amministrazione provinciale
di Bolzano parrebbe, in realtà, volto a contestare le precedenti disposizioni
della legge n. 190 del 2014 (e segnatamente i commi 400, 404, 415, 416 e 417
dell’art. 1), che in passato non erano state invece tempestivamente censurate
dalla ricorrente e che vengono «meramente richiamate» dalla legge di stabilità
per l’anno 2016, sicché la relativa impugnazione dovrebbe essere dichiarata
inammissibile per decorso del termine previsto dall’art.127 Cost.
In ogni caso, a giudizio del
resistente, la Provincia autonoma ricorrente si sarebbe limitata a contestare
il modus procedendi
(ossia la mancata preventiva intesa tra lo Stato e le Province autonome
interessate), senza considerare che le diposizioni impugnate richiamano
espressamente le procedure partecipative previste dall’art. 27 della legge n.
42 del 2009 e che il contributo ai saldi di finanza pubblica, già richiesto
alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome dalla citata legge n.
190 del 2014, può essere oggetto di modifica mediante accordo da sancire in
sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano.
Infine, sempre secondo l’Avvocatura
generale dello Stato, le regole e le modalità volte alla razionalizzazione e
riduzione della spesa pubblica costituirebbero piena attuazione del
coordinamento della finanza pubblica, né verrebbero in rilievo norme di
dettaglio, «lesive dell’autonomia di cui godono le Regioni», essendo previsto
che siano le Regioni stesse, in sede di autocoordinamento,
ad individuare le modalità di realizzazione del contributo, vale a dire gli
ambiti di spesa da incidere e i relativi importi, nel rispetto del livelli
essenziali di assistenza. Sarebbero così privilegiate le «fasi dialogiche», in
una «dimensione collegiale improntata alla leale collaborazione», tanto che la
determinazione unilaterale (da parte del Governo) sarebbe concepita come
rimedio ultimo per assicurare il rispetto dei vincoli europei connessi alla
manovra di bilancio.
1.4.– In prossimità
dell’udienza pubblica fissata per la discussione del ricorso, le parti hanno
depositato memorie, con le quali hanno ribadito e sviluppato le argomentazioni
contenute negli atti precedenti.
2.– La Regione autonoma
Sardegna, con ricorso notificato il 29 febbraio-7 marzo 2016 e depositato il 7
marzo 2016 (reg. ric. n. 13 del 2016), ha impugnato, tra gli altri, l’art. 1,
comma 680, della legge n. 208 del 2015.
2.1.– La ricorrente, dopo aver
richiamato il contenuto normativo del comma 680 (già illustrato al precedente
punto 1.2.2.), ne ha sostenuto la contrarietà: agli artt. 7, 8, 54 e 56 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna);
agli artt. 3, 5, 24, 81, sesto comma, 116, 117, terzo comma, 119 e 136 Cost.; all’art. 117, primo
comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata
a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto
1955, n. 848 (d’ora innanzi: CEDU); all’art. 9 della legge
24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del
pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, sesto comma, della Costituzione),
anche in riferimento all’art. 4 dell’accordo tra il Ministro dell’economia e
delle finanze e la Regione autonoma Sardegna in materia di finanza pubblica,
sottoscritto in data 21 luglio 2014 e recepito dall’art. 42, commi da 9 a 12,
del decreto-legge
12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la
realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la
semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la
ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dalla legge
11 novembre 2014, n. 164.
2.1.1.– Secondo la Regione
autonoma Sardegna, il contributo alla finanza pubblica delle Regioni e delle
Province autonome, per il triennio 2017-2019, impone un sacrificio economico
finanziario particolarmente elevato, per un importo che non può essere
modificato dalle Regioni e dalle Province autonome, chiamate solo alla
ripartizione tra di esse tramite un’intesa recettiva delle determinazioni
assunte dalle autonomie territoriali «in sede di autocoordinamento»,
salvo, in caso di inerzia, il potere statale di effettuare unilateralmente il
riparto.
L’ultimo periodo del comma
impugnato, inoltre, detterebbe «disposizioni di favore» per la sola Regione
autonoma Trentino-Alto Adige e per le due Province autonome di Trento e
Bolzano, prevedendo l’applicazione della normativa in esame «nel rispetto
dell’Accordo sottoscritto tra il Governo e i predetti enti in data 15 ottobre
2014, e recepito con legge 23 dicembre 2014, n. 190».
2.1.2.– La Regione autonoma
Sardegna ricorda di aver stipulato, in data 21 luglio 2014, un analogo accordo
con lo Stato, per disciplinare i rapporti economici e finanziari tra Stato e
Regione, all’interno della cornice normativa dettata dagli artt. 7 e 8 dello
statuto speciale, e sulla base delle indicazioni fornite dalla stessa Corte
costituzionale, che avrebbe sempre sollecitato le parti a seguire il metodo
pattizio per la regolamentazione dei reciproci rapporti finanziari, in modo
«congruente con le norme statutarie della Regione, ed in particolare con l’art.
8 dello statuto» (vengono citate le sentenze n. 155 del
2015, n. 95
del 2013 e n.
118 del 2012).
Nella ricostruzione operata
dalla ricorrente, l’art. 3 dell’accordo stipulato in data 21 luglio 2014
stabilisce che la Regione autonoma Sardegna, a partire dal 2015, partecipa al
conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica attraverso il rispetto del
principio di equilibrio di bilancio, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 243
del 2012, a fronte dell’impegno assunto dallo Stato di rideterminare i
contributi di finanza pubblica a carico della Regione Sardegna già disposti
dalla legislazione vigente per l’anno 2014, i quali costituirebbero «la base
per la determinazione dell’obiettivo del patto di stabilità anche per gli anni
successivi».
Alcune clausole dell’accordo,
evidenzia ancora la ricorrente, sono state recepite nei commi da 9 a 12
dell’art. 42 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito.
Il comma 680 dell’art. 1 della
legge n. 208 del 2015 stravolgerebbe «le chiarissime clausole di quell’accordo
tra lo Stato e la Regione», in quanto: avrebbe imposto nuovi contributi alla
finanza pubblica a carico della Regione autonoma Sardegna, senza far precedere
tale imposizione da una regolazione pattizia tra lo Stato e la Regione; avrebbe
imposto alla Regione Sardegna di conseguire risparmi di spesa in settori che
sono definiti, non in via autonoma dalla Regione medesima, bensì con decisione
assunta dalle altre Regioni e Province autonome (le quali, in tal modo,
acquistano titolo «per ingerirsi nelle determinazioni di bilancio della Regione
Autonoma della Sardegna») o, in caso di inerzia, direttamente dallo Stato;
recando una clausola di salvaguardia del solo accordo stipulato tra lo Stato e
la Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e Bolzano,
avrebbe non solo violato l’accordo stipulato dallo Stato con la Regione
autonoma Sardegna, ma anche derogato alle previsioni di cui ai commi da 9 a 12
dell’art. 42 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, e, in particolare, il
comma 10 (in cui era stata trasposta la clausola di cui all’art. 3 del predetto
accordo del 2014), secondo cui la Regione autonoma Sardegna garantisce
l’equilibrio del proprio bilancio ai sensi dell’art. 9 della legge n. 243 del
2012.
2.1.3.– Il quadro normativo
così tratteggiato sarebbe, a giudizio della ricorrente, contrastante con la
giurisprudenza costituzionale «maturata sulla questione».
In particolare, nella sentenza n. 19 del
2015, la Corte costituzionale avrebbe affermato che la determinazione
unilaterale preventiva del contributo delle autonomie speciali alla manovra,
per essere conforme a Costituzione, dovrebbe lasciare un «margine di
negoziabilità» alle Regioni autonome, margine che non potrebbe limitarsi (come,
invece, accadrebbe nel caso di specie) «ad una rimodulazione interna tra le
varie componenti presenti nella citata tabella relative alle diverse autonomie
speciali, con obbligo di integrale compensazione tra variazioni attive e
passive», poiché «ogni margine di accordo comportante un miglioramento
individuale dovrebbe essere compensato da un acquiescente reciproco aggravio di
altro ente, difficilmente realizzabile», sicché «il meccanismo normativo [...]
sarebbe sostanzialmente svuotato dalla prevedibile indisponibilità di tutti gli
enti interessati ad accollarsi l’onere dei miglioramenti destinati ad altri e,
conseguentemente, sarebbe lesivo del principio di leale collaborazione e
dell’autonomia finanziaria regionale».
Nella successiva sentenza n. 82 del
2015, nel vagliare la legittimità di un contributo straordinario al
risanamento della finanza pubblica, imposto alle sole autonomie speciali e da
attuare con le procedure previste dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e,
dunque, secondo il metodo pattizio, la Corte costituzionale avrebbe confermato
la necessità di intraprendere la via dell’accordo, in quanto espressione di un
criterio generale che governa i rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie
speciali, in base al principio di leale collaborazione: a giudizio della
ricorrente, in quel caso la Corte costituzionale avrebbe dichiarato legittimo
«il contributo straordinario di finanza pubblica facendo leva sulla circostanza
che esso poteva essere rimodulato, anche ex
post, attraverso le procedure pattizie, specificamente indicate dalla
disposizione impugnata, sicché le imposizioni statali dovevano considerarsi
solamente temporanee, valide fino all’adozione delle norme di attuazione dei
rispettivi statuti».
2.1.4.– Tanto premesso, nella
prospettazione della ricorrente risulterebbe in primo luogo violato il
principio di leale collaborazione tra Stato e Regione autonoma Sardegna, di cui
agli artt. 5 e 117 Cost. Il legislatore statale avrebbe infatti disciplinato lo
svolgimento dei rapporti economico-finanziari tra Stato e Regione autonoma
Sardegna «senza prevedere i necessari e doverosi meccanismi di interlocuzione e
di attuazione del principio consensualistico», non
essendo previsto alcun accordo idoneo a «superare le rigidità della fissazione
unilaterale del contributo di finanza pubblica a carico delle Regioni a statuto
speciale». Queste ultime verrebbero, anzi, esplicitamente ed inequivocabilmente
equiparate alle Regioni ordinarie, in quanto l’intesa sul riparto del
contributo deve essere adottata con accordo fra tutte le Regioni e Province
autonome e, comunque, non può «rideterminare (anche ex post) il volume del contributo imposto alle Regioni a statuto
speciale». Neppure la previsione dell’intesa con ciascuna autonomia speciale,
contenuta nel terzo periodo del comma impugnato, potrebbe rendere quest’ultimo
compatibile con i parametri costituzionali evocati, dal momento che «[t]ale ulteriore intesa» con le singole autonomie speciali,
non solo escluderebbe qualsiasi rideterminazione del quantum del contributo imposto all’intero «comparto» delle Regioni
e Province autonome, ma sarebbe anche condizionata dalla generale «intesa in autocoordinamento» adottata da tutte le Regioni.
2.1.5.– In secondo luogo,
risulterebbero violati, contestualmente, ancora il principio di leale
collaborazione, l’autonomia economico-finanziaria della Regione tutelata dagli
artt. 116, 117 e 119 Cost. e dagli artt. 7 e 8 dello
statuto, nonché l’art. 3 Cost.
La lesione lamentata
deriverebbe dalla salvaguardia del solo accordo stipulato tra Stato e Regione
autonoma Trentino-Alto Adige e Province autonome di Trento e Bolzano, con
totale pretermissione dell’analogo accordo stipulato tra lo Stato e la Regione
autonoma Sardegna in data 21 luglio 2014, sicché sarebbe «manifestamente
ingiustificato il trattamento differenziato (e deteriore) della Sardegna
rispetto alla Regione Trentino-Alto Adige e alle Province Autonome di Trento e
Bolzano», anche alla luce del fatto che l’art. 116 Cost. riconosce
l’autonomia differenziata di tutte le Regioni a statuto speciale, e non solo di
alcune di esse.
2.1.6.– Gli artt. 5, 117 e 119
Cost., unitamente agli artt. 7 e 8 dello statuto speciale, che tutelano
l’autonomia economico-finanziaria della Regione e impongono, nei rapporti
economico-finanziari, il «paradigma della leale cooperazione», sarebbero
ulteriormente violati anche sotto un altro profilo, strettamente connesso al
principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., per il fatto che il
legislatore statale, intervenuto successivamente alla stipula degli accordi di
finanza pubblica del 2014, ne avrebbe espressamente violato le clausole,
peraltro senza prevedere un meccanismo adeguato di recupero, anche ex post, della leale cooperazione nei
rapporti economico-finanziari, in tal modo calpestando «le clausole di un
accordo faticosamente raggiunto tra la Regione e lo Stato» e che aveva risolto
in forma consensuale un risalente contenzioso innanzi alla Corte
costituzionale.
2.1.7.– Il comma 680 dell’art.
1 della legge n. 208 del 2015 sarebbe in contrasto anche con l’art. 9 della
legge «rinforzata» n. 243 del 2012, emanata in attuazione del sesto comma
dell’art. 81 Cost., per dettare specifiche previsioni sull’equilibrio dei bilanci
delle Regioni e degli enti locali, ma, quanto alle autonomie speciali,
compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti e con le relative norme di
attuazione, con rimessione, dunque, ancora una volta al principio consensualistico della definizione dei criteri di
«equilibrio» dei bilanci delle autonomie speciali.
Avendo lo Stato e la Regione
autonoma Sardegna, proprio in ossequio a tale precetto, consensualmente
disciplinato le modalità con le quali il principio dell’equilibrio di bilancio
si applica alla Regione medesima, altri oneri che si sottraessero alla
determinazione consensuale delle parti risulterebbero in violazione
dell’accordo del 21 luglio 2014, e, per l’effetto, anche dell’art. 9, comma 6,
della legge n. 243 del 2012 e dello stesso art. 81 Cost., di cui le
disposizioni della suddetta legge «rinforzata» sono «immediato svolgimento». Ne
deriverebbe, ancora, la lesione dell’autonomia economico-finanziaria della
Regione Sardegna, garantita dagli artt. 7 e 8 dello statuto e dagli artt. 117 e
119 Cost.
2.1.8.– Secondo la Regione
autonoma Sardegna, l’incompatibilità del comma 680 dell’art. 1 della legge n.
208 del 2015, con il contenuto dell’accordo del 21 luglio 2014, violerebbe
anche le disposizioni di cui all’art. 42, commi da 9 a 12, del d.l. n. 133 del
2014, come convertito. Tali disposizioni impedirebbero al legislatore statale,
in assenza di preventiva intesa con la Regione, di abrogare, modificare o
comunque derogare le disposizioni del d.l. n. 133 del 2014, come convertito,
che quell’accordo avevano appunto recepito e che, pur non essendo state
formalmente inserite nello statuto della Regione o nelle norme di attuazione,
sarebbero ugualmente espressione del principio consensualistico
cui sono soggetti i rapporti economico-finanziari tra lo Stato e la Regione
ricorrente: principio che sarebbe, a sua volta, sancito dagli artt. 54, quinto
comma, e 56 dello statuto, nonché dall’art. 9 della legge «rinforzata» n. 243
del 2012, anche in relazione, ancora una volta, agli artt. 7 e 8 dello statuto
e 117 e 119 Cost., che tutelano l’autonomia finanziaria della Regione.
2.1.9.– A giudizio della
ricorrente, le sentenze con le quali la Corte costituzionale ha scrutinato le
vertenze insorte tra lo Stato e la Regione autonoma Sardegna a causa della mancata
esecuzione, da parte statale, della riforma del regime delle entrate regionali
di cui all’art. 8 dello statuto (sono richiamate le sentenze n. 95 del
2013, n. 118
e n. 99 del 2012),
avrebbero «accertato e dichiarato che lo Stato aveva e ha un preciso e
specifico obbligo giuridico di definire consensualmente con la Regione il
regime dei loro rapporti economico-finanziari». Ciò sarebbe stato riconosciuto
dallo stesso legislatore statale con l’emanazione dell’art. 11, comma 5-bis, del decreto-legge 8 aprile 2013, n.
35 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica
amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali,
nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali), convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64. Con la richiamata
disposizione, infatti, era stato imposto l’obbligo di concordare con la Regione
autonoma Sardegna, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica, e con le
procedure di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, le modifiche da
apportare al patto di stabilità interno per la medesima Regione. In tal modo,
sarebbe stata riconosciuta «la forza del giudicato costituzionale», che
imponeva un preciso obbligo giuridico, «al quale lo Stato non può sottrarsi».
Sicché, una volta concluso l’accordo in data 21 luglio 2014, non sarebbe
possibile violarne le clausole: avendo invece il comma 680 imposto nuovi
contributi di finanza pubblica, non concordati, vi sarebbe violazione del
giudicato costituzionale, e, dunque, dell’art. 136 Cost.
2.1.10.– Risulterebbe, inoltre,
violato anche il principio del legittimo affidamento, che trova riconoscimento
di rango costituzionale ai sensi dell’art. 3 Cost. nonché,
per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., degli artt. 6 e 13 della
CEDU. Si tratterebbe di «principio connaturato allo Stato di diritto»,
applicabile anche ai rapporti tra Stato e Regioni, che devono ispirarsi alla
leale collaborazione tra le parti (viene citata la sentenza n. 207 del
2011). In particolare, in capo alla Regione ricorrente, sarebbe sorto «un
affidamento legittimo sulla stabilità del quadro di regolamentazione dei
rapporti economici con lo Stato», indotto in ragione: delle disposizioni
statutarie e costituzionali che fissano il principio consensualistico
nei rapporti tra Stato e Regione autonoma Sardegna; del giudicato
costituzionale relativo all’obbligo di addivenire ad un complessivo accordo di
finanza pubblica con la Regione, poi riconosciuto dallo Stato con la
disposizione di cui all’art. 11, comma 5-bis,
del d.l. n. 35 del 2013, come convertito; della conseguente stipula
dell’accordo di finanza pubblica del 21 luglio 2014; del recepimento delle
clausole dell’accordo nell’art. 42 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito,
che, invece, sarebbe stato «inopinatamente sovvertito dal legislatore statale»,
proprio con la disposizione impugnata, ancora una volta in contrasto con
l’autonomia economico-finanziaria della Regione, tutelata dagli artt. 7 e 8
dello statuto e dagli artt. 117 e 119 Cost.
Secondo la ricorrente, la Corte
europea dei diritti dell’uomo avrebbe più volte affermato che gli artt. 6 e 13
della CEDU proteggono il legittimo affidamento dei soggetti di diritto, che può
essere compresso solo a fronte di imperative ragioni di interesse generale, tra
le quali non rientrerebbe «l’ottenimento di un mero beneficio economico per la
finanza pubblica», che costituirebbe, invece, «l’unica ragione giustificatrice
del comma impugnato».
2.1.11.– La Regione autonoma
Sardegna evidenzia anche di non aver mai dubitato della validità, della
stabilità e della cogenza dell’accordo del 21 luglio 2014. Sottolinea che,
proprio in adempimento degli obblighi con esso assunti, «ha ritirato un gran
numero di impugnazioni già proposte», non solo innanzi alla Corte
costituzionale, sicché risulterebbe inciso anche il proprio diritto di difesa
in giudizio, tutelato dall’art. 24 Cost.
2.1.12.– Secondo la ricorrente,
ancora, «per consolidata giurisprudenza costituzionale» (sono richiamate le sentenze n. 82
e n. 19 del 2015),
lo Stato potrebbe imporre risparmi di spesa alle Regioni, purché l’ambito
all’interno del quale ottenere tali risparmi sia individuato autonomamente da
ciascuna di esse. Invece, in base alla norma impugnata, non solo la Regione
autonoma Sardegna «si trova vincolata dalla volontà anche delle altre Regioni e
Province autonome», ma, in mancanza del previsto autocoordinamento,
sarebbe «consegnata alle arbitrarie determinazioni del Presidente del
Consiglio», con conseguente violazione della propria autonomia
economico-finanziaria e, di conseguenza, degli artt. 7 e 8 dello statuto e
degli artt. 117 e 119 Cost.
2.1.13.– La Regione autonoma
Sardegna ricorda che lo Stato può imporre in via autoritativa contributi
straordinari di finanza pubblica alle Regioni ordinarie e alle autonomie
speciali, ma solo per un periodo di tempo limitato e ragionevole (sono
richiamate le sentenze
n. 193 e n.
148 del 2012, n. 232 del 2011
e n. 326 del
2010) e purché siano posti solo obiettivi di riequilibrio della finanza
pubblica, senza prevedere in modo esaustivo strumenti o modalità per il
perseguimento di essi. Ove tale limite non fosse rispettato, il contributo di
finanza pubblica imposto alle Regioni costituirebbe disposizione «di
dettaglio», in una materia affidata alla competenza legislativa concorrente,
esorbitando dall’ambito di competenza riconosciuto al legislatore statale. Nel
caso in esame, osserva la Regione ricorrente, il contributo di finanza pubblica
è previsto per un solo triennio, sicché esso sembrerebbe compatibile con
l’obbligo di «temporaneità» del prelievo, se non fosse per la circostanza che
(tutte) le Regioni «sono sottoposte da diversi anni a contributi di finanza
pubblica sempre crescenti, alcuni dei quali imposti non in via temporanea,
bensì senza limiti di tempo», sicché il contributo di cui al comma 680 della
legge n. 208 del 2015 «elude l’obbligo di temporaneità delle misure restrittive
di finanza pubblica», ponendosi in contrasto con l’art. 117, terzo comma,
Cost., e con gli artt. 7 e 8 dello statuto, che tutelano l’autonomia
finanziaria della Regione autonoma Sardegna.
2.1.14.– Infine, a parere della
ricorrente, la norma impugnata sarebbe illegittima anche in rapporto alla
giurisprudenza costituzionale secondo la quale il legislatore statale può
imporre, tramite contributi di finanza pubblica o riduzioni di risorse in
entrata, un sacrificio economico ad una Regione, «purché non tale da rendere
impossibile lo svolgimento delle sue funzioni» (sono richiamate le sentenze n. 155 del
2015 e n. 138
del 1999). Nel caso della Regione autonoma Sardegna, la condizione di
«impossibilità di svolgimento delle funzioni» attribuite dalla Costituzione,
dallo statuto e dalla legge sarebbe stata «specificamente riconosciuta dal
legislatore statale, dall’Amministrazione statale, dalla Corte dei conti e da[lla] Ecc.ma Corte
costituzionale», la quale ultima l’avrebbe già esaminata nelle sentenze n. 95 del
2013 e n. 99
e n. 118 del 2012,
di cui la ricorrente ha ripercorso i passaggi argomentativi relativi alla
censurata inerzia dello Stato nel dare esecuzione alle previsioni di cui
all’art. 8 dello statuto speciale, che aveva (all’epoca) generato una
«emergenza finanziaria».
Con l’accordo del 21 luglio
2014, lo Stato, nella prospettazione regionale, aveva «finalmente» riconosciuto
alla Regione autonoma Sardegna gli «spazi» finanziari necessari per lo
svolgimento delle sue funzioni pubbliche, sicché la violazione delle clausole
di quell’accordo avrebbe riportato «nuovamente la Regione ricorrente nella
precedente condizione, di non poter strutturalmente far fronte al costo delle
funzioni pubbliche che le sono state affidate dalla Costituzione, dallo Statuto
e dalla legge», con conseguente violazione degli artt. 7 e 8 dello statuto e
degli artt. 117 e 119 Cost., che riconoscono l’autonomia finanziaria della
Regione.
2.2.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, si è costituito nel giudizio di legittimità costituzionale, chiedendo
che il ricorso sia dichiarato non fondato.
In primo luogo, il resistente
ha evidenziato che la legge n. 208 del 2015 contiene una disposizione di
chiusura – il già ricordato comma 992 – che consentirebbe di ritenere privi di
fondamento i dubbi di costituzionalità avanzati dalla Regione ricorrente,
poiché, in base ad essa, la disciplina contenuta nel comma oggetto di ricorso
non potrebbe essere applicata nella Regione autonoma Sardegna, laddove
incompatibile con il relativo statuto speciale.
Nel merito, le difese spiegate
dall’Avvocatura generale dello Stato si riferiscono, in maggior parte, a
censure avanzate con il ricorso presentato dalla Regione Veneto (reg. ric. n.
17 del 2016) contro le medesime disposizioni. L’unica difesa compatibile con
una delle (molteplici) censure proposte dalla Regione autonoma Sardegna risulta
essere quella concernente l’eccessiva misura della manovra, alla quale
l’Avvocatura generale dello Stato replica richiamando i contenuti dell’accordo
raggiunto in data 11 febbraio 2016, sulla proposta regionale di determinazione
della manovra, che consentirebbe di ritenere «superata» la questione.
In linea generale, comunque, la
difesa statale sostiene che le regole e le modalità volte alla
razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica costituirebbero piena
attuazione del coordinamento della finanza pubblica. Né verrebbero in rilievo
norme di dettaglio, «lesive dell’autonomia di cui godono le regioni», essendo
previsto che siano le Regioni stesse, in sede di autocoordinamento,
ad individuare le modalità di realizzazione del contributo, vale a dire gli
ambiti di spesa sui quali incidere e i relativi importi, nel rispetto dei
livelli essenziali di assistenza. Sarebbero così privilegiate le «fasi
dialogiche», in una «dimensione collegiale improntata alla leale
collaborazione», tanto che la determinazione unilaterale (da parte del Governo)
sarebbe concepita come rimedio ultimo per assicurare il rispetto dei vincoli
europei connessi alla manovra di bilancio.
Sostiene, inoltre, che la
Regione ricorrente non avrebbe «in alcun modo» dimostrato una riduzione delle
proprie disponibilità finanziarie tale da produrre uno squilibrio incompatibile
con le esigenze complessive della spesa regionale.
Richiama, infine, la sentenza n. 77 del
2015, con la quale la Corte costituzionale, pur avendo riconosciuto che, in
tema di coordinamento della finanza pubblica, deve essere privilegiata la via
dell’accordo con gli enti ad autonomia speciale, avrebbe tuttavia ammesso, in
casi particolari, deroghe al principio pattizio da parte del legislatore
statale.
2.3.– In prossimità
dell’udienza pubblica fissata per la discussione del ricorso, le parti hanno
depositato memorie, con le quali hanno ribadito e sviluppato le argomentazioni
contenute negli atti precedenti.
In particolare, la Regione
autonoma Sardegna, dopo aver sottolineato l’incongruenza (rispetto alle
argomentazioni poste a base del ricorso) di alcune difese spiegate dall’Avvocatura
generale dello Stato, ha convenuto con quest’ultima sulla circostanza che, in
linea astratta, l’operatività della clausola di salvaguardia di cui al comma
992 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015 sarebbe satisfattiva delle ragioni
della ricorrente; ha, tuttavia, escluso
che essa possa in concreto essere applicata, atteso che il comma 680 impugnato
contiene disposizioni specificamente riferite alle Regioni e Province ad
autonomia speciale.
Ha osservato, poi, che l’intesa
raggiunta in data 11 febbraio 2016 in sede di Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano, non ha riguardato direttamente il contributo richiesto alla Regione
Sardegna e non consente, perciò, di ritenere «superate» le questioni sollevate.
Ciò anche perché, in data 14 aprile 2016, la medesima Conferenza ha approvato
un’ulteriore delibera (allegata alla memoria) in cui si chiarisce che, in caso
di rigetto del ricorso proposto dalla regione Sardegna, quest’ultima sarebbe
stata chiamata ad accollarsi la propria quota (peraltro già determinata) del
contributo imposto all’intero settore regionale.
Ha, quindi, ribadito il
contenuto della sua impugnativa, aggiungendo che i contributi alla finanza
pubblica, applicati dalle precedenti manovre per il tramite del meccanismo
degli «accantonamenti», aggiungendosi al contributo imposto dalla disposizione
impugnata, si risolverebbero in riserva in favore dell’erario di un gettito
spettante alla ricorrente, con violazione del regime consensualistico,
in mancanza, peraltro, di alcuna ragionevole giustificazione per derogare al
principio dell’accordo.
Infine, a giudizio della
Regione autonoma Sardegna, dopo l’accordo stipulato in data 21 luglio 2014 con
lo Stato, quest’ultimo – che aveva concluso il patto dopo la redazione del
Documento di Finanza Pubblica (DEF), con proiezione triennale delle previsioni
di finanza pubblica – non avrebbe potuto derogare, per almeno un triennio, alle
clausole dell’accordo, «senza l’attivazione di ulteriori meccanismi di
cooperazione necessari per superare l’intesa già raggiunta», pena la
violazione, ancora, del principio di leale collaborazione (viene richiamata la sentenza n. 58 del
2007).
3.– La Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, con ricorso notificato il 29 febbraio e depositato il 7
marzo 2016 (reg. ric. n. 14 del 2016), ha impugnato, tra gli altri, l’art. 1,
comma 680, quarto e quinto periodo, della legge n. 208 del 2015.
3.1.– La ricorrente, dopo aver
richiamato il contenuto normativo del comma 680 (già illustrato al precedente
punto 1.2.2.), ne ha sostenuto – per la parte in cui «prevede a carico della
Regione Friuli-Venezia Giulia contributi alla finanza pubblica diversi da quelli
concordati o non concordati» – la contrarietà, per la parte di ricorso qui
esaminata: agli artt.
3, 5, 119 e 120 Cost.; agli
artt. 48, 49 e 50 della legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia); all’accordo del 23 ottobre 2014 e all’art. 1, comma
512 (oltre ai commi ivi richiamati), della legge
n. 190 del 2014; all’art. 27 della legge
n. 42 del 2009; all’art. 9 della legge
n. 243 del 2012; all’autonomia finanziaria e organizzativa regionale, al
principio della certezza delle entrate, e a quelli pattizio e di leale
collaborazione.
3.2.– Secondo la ricorrente,
in applicazione del comma 680 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015, la
Regione Friuli-Venezia Giulia si troverebbe a dover sopportare, oltre alla
propria quota degli oneri previsti dal primo periodo, gli oneri previsti dal
quarto periodo, in quanto i richiamati commi da 400 a 417 dell’art. 1 della
legge n. 190 del 2014, comprendono – in particolare nella tabella di cui al
comma 400, richiamato anche dal comma 401 – consistenti contribuzioni della
Regione.
3.2.1.– L’impugnazione
regionale si rivolge in primo luogo al quarto periodo del citato comma 680,
nella parte in cui esso richiede alla Regione Friuli-Venezia Giulia
contribuzioni non previste nel protocollo d’intesa tra lo Stato e la Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia, stipulato in data 23 ottobre 2014, per la
revisione del protocollo del 29 ottobre 2010 e per la definizione dei rapporti
finanziari negli esercizi 2014-2017, o, comunque, contribuzioni per annualità
successive al 2017, non concordate.
Tale quarto periodo del comma
680, a giudizio della ricorrente, violerebbe il principio pattizio, che governa
i rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali, e che la
giurisprudenza costituzionale farebbe discendere dalle norme che prevedono
procedure concordate, sia per la revisione della parte finanziaria dello
statuto di autonomia, sia per l’adozione delle norme di attuazione, trovando
conferma nell’art. 27 della legge n. 42 del 2009. Siffatto principio imporrebbe
che le limitazioni alla piena disponibilità delle risorse, che le norme
statutarie assegnano alla Regione per il regolare esercizio delle sue funzioni,
in forza degli artt. 49 e seguenti dello statuto, siano concordate mediante una
negoziazione basata sui principi di solidarietà e di leale collaborazione.
La Regione ricorrente ricorda
che il protocollo d’intesa stipulato nel 2014 è proprio ispirato a tali
principi e chiaramente individua le regole destinate a disciplinare i rapporti
finanziari tra la Regione Friuli-Venezia Giulia e lo Stato nel periodo 2014-2017,
impegnando le parti a rinegoziare, entro il 30 giugno 2017, il contenuto del
protocollo d’intesa sottoscritto il 29 ottobre 2010, nella parte relativa al
contributo a carico della Regione per le annualità successive al 2017, nonché a
ridefinire, attraverso nuove intese, il nuovo quadro delle relazioni
finanziarie per il successivo quadriennio.
Proprio a fronte di quanto
concordato, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha rinunciato al contenzioso
pendente davanti alla Corte costituzionale in relazione a tutte le questioni
finanziarie aperte, maturando, in tal modo, ai sensi degli artt. 3 e 5 Cost.,
«un legittimo affidamento alla stabilità di tali rapporti»: invece, la
statuizione unilaterale da parte statale di contribuzioni difformi da quelle
concordate (quali, appunto, quelle previste dal richiamo ai commi 400 e 401
dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014), o del tutto non concordate,
violerebbe «il quadro ordinamentale costituzionale dei rapporti finanziari tra
lo Stato e la Regione Friuli-Venezia Giulia» e «i principi e metodi di
legislazione conformi alle esigenze dell’autonomie prescritti dall’art. 5 Cost.».
La disposizione impugnata, di
cui al quarto periodo del comma 680, sarebbe poi «affetta da specifica
irragionevolezza, ancora in violazione dell’art. 3 della Costituzione», dal
momento che il rispetto dei livelli essenziali di assistenza sarebbe già
compreso nella definizione e nel riparto del contributo previsto dal primo
periodo del comma 680, né i richiamati (per le autonomie speciali) commi da 400
a 417 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 prevedono alcuna eventuale
rideterminazione di tali livelli, sicché il «significato della disposizione e
la reale destinazione dei fondi ai quali i commi richiamati si riferiscono
rimane indefinito», con conseguente «complessiva incongruità della
disposizione».
3.2.2.– In secondo luogo,
l’impugnativa è diretta contro il quinto periodo del citato comma 680, «non per
quanto esso dice, ma per quanto esso non dice», avendo omesso di stabilire che,
anche in relazione alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, l’attuazione
del comma 680 avviene nei termini dell’accordo stipulato con lo Stato in data
23 ottobre 2014.
La disposizione impugnata
costituisce attuazione del principio consensuale, basato sulla solidarietà e
sulla leale collaborazione, con riferimento alle relazioni finanziarie tra lo
Stato e le autonomie della Regione Trentino-Alto Adige, sicché, nel rispetto
del quadro costituzionale, il medesimo trattamento dovrebbe riguardare le
relazioni finanziarie tra la Regione Friuli-Venezia Giulia e lo Stato e gli
accordi da questi ultimi sottoscritti, e in particolare il protocollo d’intesa
stipulato in data 23 ottobre 2014, con conseguente illegittimità costituzionale
del quinto periodo del comma 680 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015, nella
parte in cui non provvede in tal senso.
3.3.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, si è costituito nel giudizio di legittimità costituzionale, chiedendo
che il ricorso sia dichiarato non fondato.
L’atto di costituzione, per la
parte qui di interesse, ricalca alla lettera i contenuti delle difese spiegate
contro il ricorso presentato dalla Regione autonoma Sardegna, illustrati al
precedente punto 2.2.
3.4.– In prossimità
dell’udienza pubblica fissata per la discussione del ricorso, le parti hanno
depositato memorie, con le quali hanno ribadito e sviluppato le argomentazioni
contenute negli atti precedenti.
In particolare, la Regione
Friuli-Venezia Giulia, che ha depositato anche ulteriore documentazione, dopo
aver sottolineato l’incongruenza (rispetto alle argomentazioni poste a base del
ricorso) di alcune difese spiegate dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
evidenziato che l’intesa dell’11 febbraio 2016 non ha riguardato, direttamente,
le Regioni a statuto speciale. Essa, in realtà, per rendere effettivo il
contributo imposto dal comma 680, prevede la riduzione del Fondo sanitario
nazionale – al quale la Regione ricorrente non partecipa – con una clausola
finale mediante la quale la definizione della quota di contributo gravante
sulle autonomie speciali è stata demandata ad ulteriori intese da concludere
con lo Stato.
Ha, quindi, segnalato che i
commi 392 e 394 dell’art. 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di
previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per
il triennio 2017-2019) – autonomamente impugnati con successivo ricorso –
hanno, in sostanza, confermato che una quota del contributo previsto
dall’impugnato comma 680 è posto a carico delle Regioni a statuto speciale,
secondo le procedure previste dall’intesa dell’11 febbraio 2016, ossia previa
intesa con queste ultime, insufficiente, però, ad escludere la violazione
dell’accordo stipulato in data 23 ottobre 2014, per definire il complesso delle
relazioni finanziarie tra lo Stato e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
4.– La Regione siciliana,
con ricorso notificato il 29 febbraio e depositato l’8 marzo 2016 (reg. ric. n.
15 del 2016), ha impugnato, tra gli altri, l’art. 1, commi 680, 681 e 682,
della legge n. 208 del 2015.
4.1.– La ricorrente, dopo aver
richiamato il contenuto normativo del comma 680 (già illustrato al precedente
punto 1.2.2.), ha aggiunto che, con i successivi commi 681 e 682, è stato «esteso
al 2019 il contributo al contenimento della spesa pubblica già previsto per le
Regioni a statuto ordinario dal D.L. n. 66/2014», prevedendo che le modalità di
realizzazione dei risparmi così imposti siano concordate in sede di Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio di ciascun anno.
Secondo la ricorrente, le norme
impugnate avrebbero imposto alla Regione siciliana ulteriori sacrifici, con
«effetti negativi sul bilancio regionale», introducendo «più di una misura di
importo ingente, che va a sommarsi alle già insostenibili riduzioni di risorse
subite dalla Regione negli ultimi anni»: in sostanza, il comma 680, nel
disporre un concorso alla finanza pubblica aggiuntivo rispetto a quello
previsto dalle precedenti manovre statali di bilancio, graverebbe sul bilancio
regionale in maniera tale da impedirle lo svolgimento «delle proprie funzioni
indispensabili».
4.2.– La ricorrente sottolinea,
ancora, che, in base alle norme impugnate, la Regione siciliana, insieme alla
Valle d’Aosta ed al Friuli-Venezia Giulia, deve assicurare il contributo alla
finanza pubblica «anche ai sensi dell’art. 1, commi da 400 a 417 della legge n.
190 del 2014», sicché sarebbe sottratto «unilateralmente e in assenza delle
condizioni per far luogo a riserva, gettito di integrale spettanza regionale»,
in violazione degli artt. 36 dello statuto della Regione
siciliana (regio decreto legislativo 15 maggio 1946 n. 455, convertito in legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) e 2 del d.P.R.
26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione
siciliana in materia finanziaria).
4.3.– A giudizio della
ricorrente, inoltre, il comma 681 prolungherebbe fino al 2019 il periodo di
versamento del contributo «come prescritto dal comma 6 dell’art. 46 del d.l. n.
66/2014», decurtando «unilateralmente gettito a questa Regione in assenza delle
condizioni previste dall’art. 2 n.a. per darsi luogo a tale eccezionale deroga»
al principio della spettanza del gettito dei tributi riscossi sul proprio
territorio, così sottraendo alla Regione «entrate che essa potrebbe destinare a
far fronte alle proprie spese».
In tal modo sarebbe anche
frustrato l’obbligo di garantire l’equilibrio finanziario del bilancio
regionale, con conseguente violazione degli artt. 81, ultimo comma,
97, primo comma,
e 119, primo e sesto comma
Cost., oltre che dell’art. 43 dello statuto, «prevedendosene
l’applicabilità a prescindere dalle necessarie norme di attuazione».
4.4.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, si è costituito nel giudizio di legittimità costituzionale, chiedendo
che il ricorso sia dichiarato non fondato.
Secondo la difesa statale, la
Corte costituzionale, nella sentenza n. 19 del
2015, avrebbe considerato costituzionalmente legittima l’imposizione
unilaterale, alle Regioni ad autonomia speciale, di un contributo al
risanamento della finanza pubblica, funzionale al rispetto dei vincoli di
bilancio assunti in sede europea.
L’Avvocatura statale poi,
richiamando la sentenza
n. 77 del 2015, ha speso argomenti a sostegno della legittimità
costituzionale del meccanismo di accantonamento transitorio di quote di
compartecipazione al gettito tributario, non direttamente previsto dalle
disposizioni impugnate dalla Regione siciliana.
Ha richiamato, ancora una
volta, i contenuti dell’accordo raggiunto in data 11 febbraio 2016, sulla
proposta regionale di determinazione della manovra.
Infine, ha evidenziato che le
doglianze mosse contro i commi 681 e 682 dell’art. 1 della legge n. 208 del
2015 sarebbero «totalmente prive di fondamento, trattandosi di norme
applicabili alle sole Regioni a statuto ordinario».
4.5.– In prossimità
dell’udienza pubblica fissata per la discussione del ricorso, l’Avvocatura
generale dello Stato ha depositato memoria, con la quale ha ribadito e
sviluppato le argomentazioni contenute nell’atto di costituzione.
5.– La Regione Veneto, con
ricorso notificato il 27-29 febbraio 2016 e depositato l’8 marzo 2016 (reg.
ric. n. 17 del 2016), ha impugnato, tra gli altri, l’art. 1, commi 680, 681 e
682, della legge n. 208 del 2015.
5.1.– La ricorrente, dopo aver
richiamato il contenuto normativo del comma 680 (già illustrato al precedente
punto 1.2.2.), ha aggiunto che, con i successivi commi 681 e 682, è stato
esteso al 2019 il contributo – nella misura incrementata dall’art. 1, comma
398, lettera c), della legge n. 190
del 2014 – al contenimento della spesa pubblica già previsto per le Regioni a
statuto ordinario dall’art. 46, comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014, n.
66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito,
con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89. I due ultimi commi menzionati
prevedono che le modalità di realizzazione dei risparmi così imposti debbano
essere concordate in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio
di ciascun anno e che, anche in questa ipotesi, in caso di mancata intesa,
trovino applicazione le disposizioni contenute nel secondo periodo del citato
art. 46, comma 6, del d.l. n. 66 del 2014 (che prevede la determinazione
unilaterale da parte dello Stato degli ambiti di spesa e degli importi
attribuiti a ciascuna Regione), tenendo anche conto del PIL e della popolazione
residente, con rideterminazione dei livelli di finanziamento degli ambiti di
spesa individuati e delle modalità di acquisizione delle risorse da parte dello
Stato, previa sottrazione della «cifra corrispondente al risparmio realizzato
in modo permanente con il taglio per 200 milioni di euro del finanziamento del
Servizio sanitario nazionale», attuato dagli artt. da 9-bis a 9-septies del
decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti
territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di
sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del
Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni
industriali), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125.
Le disposizioni impugnate
violerebbero, a parere della ricorrente: gli artt. 3, 32 e 97 Cost., con
ridondanza «in una violazione delle competenze regionali indebitamente
compresse di cui agli articoli
117, III e IV comma, 118 e 119 della Costituzione»,
i quali ultimi verrebbero anche autonomamente violati; il principio di leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.; l’art. 5,
comma 1, lettera g), della legge
costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di
bilancio nella Carta costituzionale); l’art. 11 della legge
n. 243 del 2013 [recte:
2012].
5.1.1.– La ricorrente lamenta,
in primo luogo, «[l]’eccessiva misura e mancanza di proporzionalità del taglio
disposto», che avrebbe costretto le Regioni a estendere, in sede di autocoordinamento, i risparmi di spesa anche al settore
sanitario, dal momento che «l’entità degli stessi non trova ormai –
paradossalmente – capienza all’interno dell’ammontare della spesa primaria
(extra sanitaria) per beni e servizi disponibile delle Regioni». Tale mancanza
di proporzionalità sarebbe stata sottolineata dalla Corte dei Conti nella
delibera del 29 dicembre 2014, contenente la relazione sulla gestione
finanziaria degli enti territoriali (per l’esercizio 2013), dalla quale
risulterebbe che al comparto degli enti territoriali sia stato richiesto «uno
sforzo di risanamento non proporzionato all’entità delle loro risorse».
5.1.2.– La Regione Veneto si
duole, ancora, del «carattere meramente lineare dei tagli che vengono imposti
alla spesa regionale, con una indebita interferenza in ambiti inerenti a
fondamentali diritti civili e soprattutto sociali» (alla luce delle competenze
in materia di sanità e di assistenza sociale, costituzionalmente assegnate alle
Regioni), dove lo Stato dovrebbe, invece, «esplicare la propria fondamentale
funzione di coordinamento attraverso la determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni», mai avvenuta in relazione ai livelli essenziali di
assistenza sociale (cosiddetti LIVEAS).
5.1.3.– La ricorrente
sottolinea, ancora, il difetto di istruttoria, dal momento che nessuna
«verifica di sostenibilità dei tagli» sarebbe stata effettuata a livello
centrale, con l’effetto di compromettere l’erogazione dei servizi soprattutto
in quelle realtà regionali che hanno adottato misure di contenimento della
spesa, «riducendola a livelli difficilmente comprimibili ulteriormente» senza
arrecare un vulnus al sistema dei
servizi sociali.
5.1.4.– Violerebbe i parametri
costituzionali indicati, a parere della ricorrente, anche la totale mancanza,
«nei criteri di riparto del taglio sulla spesa sanitaria», di ogni riferimento
ai costi standard, in contrasto con le previsioni dettate, per il riparto del
Fondo sanitario nazionale, dal decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68
(Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto
ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni
standard nel settore sanitario), che tale espresso riferimento, invece, impone.
5.1.5.– Nelle disposizioni
impugnate, secondo la Regione Veneto, si evidenzierebbe uno «scollamento» tra
il livello di finanziamento del fondo sanitario, che viene «pesantemente
ridotto», e la determinazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA),
«evidentemente sottostimati» da parte dello Stato.
5.1.6.– Le disposizioni
censurate, ancora, violerebbero i principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale
in ordine all’illegittimità, per violazione dell’art. 119 Cost., di misure
finanziarie restrittive a carico delle Regioni, senza determinazione di un
«termine finale di operatività». Infatti, si potrebbero considerare principi
fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi
dell’art. 117, terzo comma, Cost., solo le norme che si limitino a porre
obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, intesi nel senso di un
transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa
corrente e non prevedano, in modo esaustivo, strumenti o modalità per il
perseguimento dei suddetti obiettivi (vengono richiamate le sentenze n. 193
e n. 148 del 2012,
n. 232 del 2011
e n. 326 del 2010).
Secondo la ricorrente, avendo tale giurisprudenza fissato in un triennio il
limite temporale massimo delle manovre di contenimento della spesa pubblica a
carico delle Regioni, risulterebbe elusiva dei principi così fissati la tecnica
normativa adottata dal legislatore statale, «consistente nel fissare un termine
triennale ai tagli, estendendolo poi, di anno in anno, con successivi
interventi normativi».
5.1.7.– La Regione Veneto si
duole dell’arbitrarietà ed irragionevolezza della previsione secondo cui, in
caso di mancata intesa entro il 31 gennaio, «i tagli vengano ripartiti dal
Governo» tenendo conto della popolazione residente e del PIL regionale. A
giudizio della ricorrente, infatti, tale disposizione indebolirebbe, in sede di
autocoordinamento, la posizione «contrattuale» delle
Regioni con un PIL più elevato rispetto alle altre Regioni, non essendo
precisato in che misura verrebbe considerato, ai fini del riparto, il criterio
del PIL, potendo tale indice essere utilizzato «dal Governo come criterio
decisamente prevalente». In tal modo, le Regioni con un PIL più elevato,
risultando esposte al rischio di dover accettare, in caso di mancata intesa,
«un maggiore impatto del taglio», si vedrebbero «indebolite rispetto alla
possibilità di contrastare le pretese avanzate dalle Regioni con un PIL meno
elevato, che potranno imporre criteri di riparto del taglio a loro favorevoli».
Tutto ciò avverrebbe nonostante che le Regioni con un PIL più elevato siano
quelle più efficienti sul lato della spesa pubblica, come emergerebbe dalla scelta,
effettuata dal Ministero della salute, delle cinque regioni benchmark al fine dell’applicazione dei
costi standard nella sanità, ai sensi dell’art. 27 del d.lgs. n. 68 del 2011,
identificate, per l’anno 2014, nelle regioni Veneto, Emilia Romagna, Lombardia,
Marche e Umbria. Il criterio del PIL, dunque, si dimostrerebbe incongruo
«rispetto ai test di connessione razionale e di necessità», in quanto la
funzione di coordinamento della finanza pubblica dovrebbe essere diretta a
contenere innanzitutto la spesa inefficiente («la c.d. spesa cattiva») prima
che «la c.d. spesa buona», diretta a finanziare i servizi e funzionale alla
garanzia dei diritti.
5.1.8.– L’irragionevolezza e la
sproporzione dell’utilizzo del criterio del PIL, come «parametro alternativo
cui rapportare il taglio in caso di mancata intesa», emergerebbe – a parere
della ricorrente – dall’osservazione secondo cui il PIL regionale non si
tradurrebbe affatto in una disponibilità di risorse a livello regionale, non
essendo dimostrato che una Regione «povera» in termini di PIL disponga di
risorse inferiori, a parità di sforzo fiscale, di altre Regioni più ricche in
termini di PIL: quest’ultimo rappresenta, infatti, un criterio profondamente
diverso da quello della capacità fiscale (consistente nel gettito
standardizzato dei tributi di competenza regionale), previsto come unico
criterio perequativo ordinario tra le autonomie territoriali ai sensi del terzo
comma dell’art. 119 Cost. Da qui, l’ulteriore considerazione che il criterio
del PIL violerebbe tale parametro costituzionale, introducendo una misura di
perequazione implicita (dal momento che il taglio si concretizzerebbe in una
riduzione dei trasferimenti statali) in alcun modo riconducibile (come avrebbe
affermato la Corte costituzionale nella sentenza n. 79 del
2014) all’art. 119, terzo e quinto comma, Cost.: le norme impugnate,
infatti, realizzerebbero «un indebito incameramento di risorse spettanti agli
enti territoriali», che verrebbero genericamente assunte nel bilancio dello
Stato e non destinate all’unica forma di perequazione consentita dall’art. 119,
quinto comma, Cost., ovvero inerente a risorse aggiuntive, in relazione a
determinate Regioni.
5.1.9.– La Regione ricorrente
lamenta, ancora, la mancata attuazione del disposto dell’art. 5, comma 1,
lettera g), della legge cost. n. 1
del 2012, e dell’art. 11 della legge n. 243 del 2013 [recte: 2012], dal momento che non
sarebbe mai stato istituito, nello stato di previsione del Ministero
dell’economia e delle finanze, il previsto Fondo straordinario per il concorso
dello Stato, nelle fasi avverse del ciclo economico o al verificarsi di eventi
eccezionali, al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle
funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali: di qui, a giudizio
della Regione Veneto, «il contrasto, anche a prescindere dalle procedure
applicative dell’art. 11 citato, della disposizione impugnata con i presupposti
minimi che la dinamica dell’equilibrio di bilancio deve in ogni caso
considerare, con evidente ricaduta sulla autonomia costituzionalmente
riconosciuta alle Regioni».
5.1.10.– Secondo la ricorrente,
inoltre, le disposizioni impugnate travalicherebbero la funzione del
«coordinamento» della finanza pubblica, concretizzandosi, piuttosto, in misure
di indiscriminato «contenimento», risultando, però, prive degli indispensabili
elementi di razionalità, proporzionalità, efficacia e sostenibilità. Data
l’entità «dei tagli attuati dal Governo sulla spesa regionale», esse si
porrebbero in contrasto con i principi enunciati dalla Corte costituzionale
nelle sentenze n.
188 del 2015 e n.
10 del 2016, secondo cui le riduzioni delle risorse non dovrebbero essere
tali da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni.
5.1.11.– A «ulteriore
dimostrazione della violazione del principio di leale collaborazione e del difetto
di istruttoria», la Regione ricorrente sottolinea, infine, che non vi sarebbe
stato alcun coinvolgimento della Conferenza permanente per il coordinamento
della finanza pubblica, che sarebbe imposto, invece, per la definizione delle
manovre di finanza pubblica, dall’art. 5, comma 1, della legge n. 42 del 2009
(come ribadito dall’art. 33 del decreto legislativo n. 68 del 2011).
5.2.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, si è costituito nel giudizio di legittimità costituzionale, chiedendo
che il ricorso sia dichiarato non fondato.
Secondo la difesa statale, «la
questione sembrerebbe superata», in virtù dell’intesa raggiunta, in data 11
febbraio 2016, sulla proposta regionale di determinazione della manovra. In
tale intesa si sarebbe convenuto che il contributo del settore sanitario alla
manovra sia pari a 3.500 milioni di euro per l’anno 2017 ed a 5.000 milioni di
euro a decorrere dal 2018, rinviando ad una successiva intesa «la puntuale definizione
degli ulteriori 480 milioni di euro annui di manovra». Per effetto di tale
decisione, sarebbe stato anche rideterminato il livello di finanziamento al
Servizio sanitario nazionale, con un incremento pari all’1,8 per cento annuo
nel biennio 2017-2018. La difesa erariale ha anche sostenuto che il riparto,
tra le Regioni, del fabbisogno sanitario è stato effettuato secondo i criteri
dei costi standard, escludendo qualsiasi «taglio lineare», a differenza di
quanto ritenuto dalla Regione ricorrente.
Infine, sempre secondo
l’Avvocatura generale dello Stato, le regole e le modalità volte alla
razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica costituirebbero piena
attuazione del coordinamento della finanza pubblica, né verrebbero in rilievo
norme di dettaglio, «lesive dell’autonomia di cui godono le regioni». È invece
previsto che siano le Regioni stesse, in sede di autocoordinamento,
ad individuare le modalità di realizzazione del contributo, vale a dire gli
ambiti di spesa sui quali intervenire e i relativi importi, nel rispetto del
livelli essenziali di assistenza, privilegiandosi così le «fasi dialogiche», in
una «dimensione collegiale improntata alla leale collaborazione», tanto che la
determinazione unilaterale (da parte del Governo) sarebbe concepita come
rimedio ultimo per assicurare il rispetto dei vincoli europei connessi alla
manovra di bilancio.
5.3.– In prossimità
dell’udienza pubblica fissata per la discussione del ricorso, le parti hanno
depositato memorie, con le quali hanno ribadito e sviluppato le argomentazioni
contenute negli atti precedenti.
La Regione Veneto, in
particolare, ha sottolineato come l’impugnato comma 681, nell’estendere al 2019
il contributo previsto dal comma 6 dell’art. 46 del d.l. n. 66 del 2014, come
convertito, già esteso al 2018 dall’art. 1, comma 398, lettera a), numero 2), della legge n. 190 del
2014, si porrebbe in contrasto con le affermazioni contenute nella sentenza n. 141 del
2016, la quale, nell’escludere l’incostituzionalità della suddetta
estensione al 2018, ha segnalato tuttavia come «il costante ricorso alla
tecnica normativa dell’estensione dell’ambito temporale di precedenti manovre,
mediante aggiunta di un’ulteriore annualità a quelle originariamente previste,
finisce per porsi in contrasto con il canone della transitorietà, se
indefinitamente ripetuto». E tale contrasto sarebbe confermato dall’ulteriore
estensione, al 2020, operata dalla legge n. 232 del 2016 – che pure la Regione
Veneto ha autonomamente impugnato, con successivo ricorso – la quale
manifesterebbe l’intento del legislatore statale di incidere «a ripetizione»,
con una forma di «transitorietà permanente», sulla capacità di spesa delle
Regioni, sulla quale si concentra «la quota prevalente dei servizi e dei
diritti dello Stato sociale, tra cui principalmente il diritto alla salute»,
con conseguente violazione dell’art. 32 Cost.
Ha, poi, ribadito che
l’adesione all’intesa stipulata in data 11 febbraio 2016 non ha comportato affatto,
come invece sostenuto dalla difesa statale, la carenza d’interesse a coltivare
il ricorso, in quanto la conclusione dell’accordo si è posta come atto
necessario per evitare l’intervento sostitutivo (e unilaterale) da parte dello
Stato.
Ha, inoltre, sottolineato che
proprio la rideterminazione, al ribasso (rispetto alla cifra prevista, per il
2016, dalla legge n. 190 del 2014), del livello di finanziamento del Servizio
sanitario nazionale, starebbe a dimostrare l’insostenibilità dell’ulteriore
riduzione di risorse, a fronte del progressivo aumento della «domanda di salute
legato all’incremento del benessere e all’invecchiamento della popolazione»
(viene citato un rapporto dell’Ufficio parlamentare per il bilancio).
A riprova dell’assunto, la
Regione Veneto ha depositato documentazione attestante una «perdita
previsionale» delle aziende del Servizio sanitario regionale pari a 566,8
milioni di euro per il 2016, con conseguente necessità di approvare un piano
straordinario di revisione della spesa, contenente azioni correttive volte al
miglioramento dei risultati dei bilanci aziendali, quali: la definizione di un
limite di costo per il trattamento dell’epatite C cronica; la sospensione della
procedura di accreditamento di numerose strutture sanitarie; la limitazione dei
pareri positivi di coerenza per gli accreditamenti delle strutture già funzionanti nel 2015. In
tal modo si sarebbe arrestata l’attuazione della programmazione delle
«strutture di cure intermedie», che costituiva un obiettivo strategico della
Regione Veneto, essendo volta a garantire assistenza a quei pazienti colpiti da
malattie non più trattabili in ospedale in fase acuta ma non ancora affidabili
all’assistenza domiciliare integrata, con inevitabile incremento dei costi per
trattamenti in reparti ospedalieri invece riservati ai pazienti in fase acuta.
Sarebbe, così, dimostrata l’impossibilità, per la Regione, «di offrire un
adeguato livello di servizio rispetto ai bisogni della popolazione» (come
richiesto dalla sentenza
n. 65 del 2016), soprattutto in materia sanitaria.
Quanto ai commi 680 e 682, la
Regione Veneto, nella memoria, ha dichiarato di «prendere atto di quanto
affermato nella sentenza
n. 141 del 2016», evidenziando, però, che l’auspicio, ivi contenuto, di
tenere conto dei costi e dei fabbisogni standard regionali, già in sede di autocoordinamento, non è stato rispettato nell’intesa
raggiunta in data 11 febbraio 2016.
Ha, poi, evidenziato che la
modifica al comma 680 operata dall’art. 1, comma 528, della legge n. 232 del
2016, con l’aggiunta della possibilità di prevedere versamenti al bilancio
dello Stato da parte delle Regioni interessate, avrebbe trasformato la Regione
in una sorta di «esattore» per conto dello Stato, con obbligo di riversare a
quest’ultimo risorse proprie, in contrasto con l’art. 119 Cost., secondo quanto
già affermato dalla sentenza n. 79 del
2014.
6.– La Provincia autonoma
di Trento, con ricorso notificato il 29 febbraio e depositato il 10 marzo 2016
(reg. ric. n. 20 del 2016), ha impugnato, tra gli altri, l’art. 1, comma 680,
quarto periodo, della legge n. 208 del 2015.
6.1.– La ricorrente, dopo aver
richiamato il contenuto normativo del comma 680 (già illustrato al precedente
punto 1.2.2.), ha sostenuto che il quarto periodo impugnato contrasterebbe con
gli artt. 104 e 107 dello statuto reg.
Trentino-Alto Adige, con il principio consensualistico
– anche con riferimento all’accordo con il Governo sottoscritto il 15 ottobre
2014 –, con l’art. 27 della legge
n. 42 del 2009, nonché con l’art. 3 Cost.
La Provincia autonoma di Trento
ha chiarito che la sua impugnazione è da intendersi proposta in via cautelativa,
ossia per l’ipotesi in cui l’applicabilità alla ricorrente dell’impugnata
disposizione «non si dovesse intendere esclusa dal quinto periodo per le parti
incompatibili con gli accordi stipulati».
Secondo la ricorrente, infatti,
l’intero comma 680 potrebbe essere interpretato in senso non lesivo delle
proprie attribuzioni e delle regole che governano i suoi rapporti finanziari
con lo Stato. Ciò avverrebbe considerando la disposizione del quinto periodo –
secondo cui l’applicazione dell’intero comma 680 deve avvenire nel rispetto
dell’accordo sottoscritto con il Governo in data 15 ottobre 2014 – come norma
di chiusura, che specifica come il concorso agli obiettivi di finanza pubblica
della Provincia autonoma ricorrente deve avvenire «nei termini di quanto
previsto (in attuazione di tale accordo) dai commi da 406 a 413 dell’articolo 1
della legge n. 190 del 2014», in questo senso «correggendo» il più esteso
riferimento ai commi da 400 a 417 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014
contenuto nel quarto periodo, che menziona anche le Province autonome di Trento
e di Bolzano.
L’impugnativa della
disposizione di cui al quarto periodo del comma 680, dunque, viene proposta in
via cautelativa, «per l’ipotesi che la menzione delle Province autonome in essa
contenuta non dovesse essere intesa come un difetto di coordinamento con il
quinto» periodo, «fermo restando che in ogni caso il quarto periodo non è
applicabile in contrasto con quanto disposto dal quinto periodo».
6.1.1.– Per l’ipotesi di
ritenuta applicabilità anche alle Province autonome del quarto periodo del
comma 680, anche nelle parti incompatibili con l’accordo richiamato al quinto
periodo, la Provincia autonoma di Trento ha provveduto a ricostruire il
contenuto precettivo dei commi da 400 a 417 dell’art. 1 della legge n. 190 del
2014, in termini analoghi a quelli indicati nel ricorso proposto dalla
Provincia autonoma di Bolzano (reg. ric. n. 10 del 2016) ed illustrati al
precedente punto 1.2.3.
Ha così sottolineato
l’incompatibilità del richiamo ai commi 400, 404, 415, 416 e 417 dell’art. 1
della legge n. 190 del 2014 con i parametri evocati, in quanto l’applicazione
di tali disposizioni non sarebbe stata concordata e si collocherebbe al di
fuori dell’accordo concluso tra lo Stato e le Province autonome nel 2014, per
disciplinare i rapporti finanziari tra i predetti enti anche con riferimento
all’anno 2018 «ed in modo dichiaratamente esaustivo» (sono richiamati, in
particolare, i punti 5, 9 e 12 dell’accordo, nonché il punto 14, contenente una
clausola che autorizza lo Stato ad invocare, entro limiti predefiniti, nuovi
bisogni in relazione a possibili – ma non verificatesi, a giudizio della
ricorrente – eccezionali situazioni di crisi della finanza pubblica).
Il richiamo ai sopra citati
commi dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, dunque, sarebbe
costituzionalmente illegittimo per violazione del principio consensualistico,
che sarebbe fondato su una pluralità di regole previste dallo statuto – tra le
quali la procedura concordata per la revisione delle regole del titolo IV (art.
104, primo comma) e la procedura per le norme di attuazione (art. 107) – oltre
che ribadito dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e riconosciuto dalla
giurisprudenza costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 155 e n. 19 del 2015).
6.1.2.– La Provincia autonoma
di Trento, inoltre, ha ricordato di aver accettato – a fronte degli obblighi
assunti dallo Stato – con impegno consacrato al punto 15 dell’accordo concluso
nel 2014, di rinunciare a tutti i contenziosi pendenti relativi alla
legittimità costituzionale di numerose disposizioni di legge concernenti i
rapporti finanziari tra la stessa Provincia autonoma e lo Stato. In relazione a
questa rinuncia, avrebbe così maturato «un legittimo affidamento al
mantenimento degli impegni anche da parte statale e in generale alla stabilità
dei rapporti finanziari definiti dall’accordo»: la violazione di tale
affidamento si tradurrebbe in lesione dell’art. 3 Cost. e
del principio di ragionevolezza, senza che sia possibile obiettare la mancata
tempestiva impugnazione dei commi 400, 404, 415, 416 e 417 dell’art. 1 della
legge n. 190 del 2014, dovuta proprio all’accordo appena concluso con lo Stato.
In base al principio di leale collaborazione, la Provincia autonoma di Trento
ricorda come, all’epoca, ritenne preferibile segnalare «le incongruenze
riscontrate, chiedendo formalmente al Governo la modifica delle norme
contestate», con nota del 18 febbraio 2015, prot. n.
92532, allegata al ricorso: il quinto periodo del comma 680 dell’art. 1 della
legge n. 208 del 2015 rappresenterebbe «proprio il soddisfacimento della
richiesta di riportare i rapporti finanziari tra lo Stato e le Province
autonome a quanto stabilito dall’accordo».
6.2.– Il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, si è costituito nel giudizio di legittimità costituzionale, chiedendo
che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, non fondato.
Le difese spiegate
dall’Avvocatura generale dello Stato ricalcano, alla lettera, quelle contenute
nell’atto di costituzione avverso il ricorso proposto dalla Provincia autonoma
di Bolzano (reg. ric. n. 10 del 2016) ed illustrate al precedente punto 1.3.
6.3.– In prossimità
dell’udienza pubblica fissata per la discussione del ricorso, le parti hanno
depositato memorie, con le quali hanno ribadito e sviluppato le argomentazioni
contenute negli atti precedenti.
La Provincia autonoma di
Trento, in particolare, ha evidenziato che l’opportunità dell’impugnativa,
seppure in via cautelativa, del comma 680 è stata confermata dalla nota
(allegata alla memoria) inviata in data 31 gennaio 2017 dal Ministro per gli
affari regionali al Presidente della Provincia ricorrente, con la quale il
primo ha sottoposto alla Provincia, per la sottoscrizione, una bozza di accordo
relativo ai contributi di cui al comma 680 dell’art. 1 della legge n. 208 del
2015 e di cui ai commi 392 e 394 dell’art. 1 della legge n. 232 del 2016, bozza
nella quale si richiede il versamento di tali contributi entro il 30 aprile di
ciascuno degli anni dal 2017 al 2019, con l’avvertenza che, in mancanza, tali
contributi saranno trattenuti a valere sulle quote di tributi erariali
spettanti alle Province.
La
ricorrente ha poi ribadito la piena ammissibilità dell’impugnativa dei commi
dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 richiamati dal quarto periodo del comma
680 della legge n. 208 del 2015, che è «disposizione normativa nuova ed
autonoma contenuta in una fonte distinta».
Considerato in diritto
1.– Con i ricorsi indicati in epigrafe, le Province autonome di Trento e di
Bolzano e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia impugnano alcune
disposizioni contenute nell’art. 1,
comma 680, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità
2016)». Tale comma viene, invece, censurato per intero dalla Regione autonoma
Sardegna, così come dalla Regione siciliana e dalla Regione Veneto, le quali
ultime fanno oggetto di ricorso anche i successivi commi 681 e 682 del medesimo
art. 1 della legge n. 208 del 2015.
Nella
versione vigente al momento della proposizione dei ricorsi, il citato art. 1,
comma 680, determina il concorso delle Regioni e delle Province autonome agli
obiettivi di finanza pubblica, fissandone la misura per ciascuno degli anni dal
2017 al 2019. Demanda poi ai medesimi enti, in sede di autocoordinamento,
il raggiungimento di un accordo sulla definizione degli ambiti di riduzione di
spesa e dei relativi importi, e stabilisce che tale accordo è da recepire con
intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni
e le Province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio di ciascun
anno.
Prevede,
inoltre, per il caso di mancata intesa, la definizione unilaterale da parte
dello Stato dei rispettivi contributi – con riferimento anche alla popolazione
residente e al prodotto interno lordo (PIL) – e la rideterminazione dei livelli
di finanziamento degli ambiti individuati e delle modalità di acquisizione
delle risorse da parte dello Stato, dovendosi tener conto anche delle risorse
destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale.
Ancora, il
comma 680 ribadisce l’obbligo di assicurare il finanziamento dei livelli
essenziali di assistenza e fa salva la necessità di raggiungere un’intesa con
ciascuna delle Regioni e delle Province ad autonomia speciale.
Per le
Province autonome e per la Regione Trentino-Alto Adige, infine, il medesimo
comma prevede che l’applicazione di quanto in esso stabilito debba avvenire nel
rispetto dell’accordo raggiunto con lo Stato in data 15 ottobre 2014.
Il comma
681, per parte sua, conferma anche per l’anno 2019 il precedente contributo
previsto dall’art. 46, comma 6, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure
urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni,
dalla legge 23 giugno 2014, n. 89.
Il comma
682 detta esclusivamente prescrizioni di carattere procedurale, in particolare
disciplinando ex novo, per gli anni
successivi al 2015, i termini per la conclusione delle intese relative al
riparto dei contributi alla finanza pubblica.
1.1.– La Provincia autonoma di Bolzano impugna il solo quarto periodo del comma
680 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015. Esso prevede che «[l]e regioni e
le province autonome di Trento e di Bolzano assicurano il finanziamento dei
livelli essenziali di assistenza come eventualmente rideterminato ai sensi del
presente comma e dei commi da 681 a 684 del presente articolo e dell’articolo
1, commi da 400 a 417, della legge 23 dicembre 2014, n. 190».
Nelle
premesse del ricorso, la ricorrente richiama cumulativamente, quali parametri,
gli artt. 79, 80, 81 e 104 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del
testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige), le correlative norme di attuazione (dettate, quanto al
titolo VI dello stesso statuto, dagli artt. 17 e 18 del decreto legislativo 16
marzo 1992, n. 268, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale»), gli artt.
3 e 117, terzo comma, della Costituzione, l’art. 27 della legge 5 maggio 2009,
n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione
dell’articolo 119 della Costituzione), nonché il principio di leale
collaborazione, anche in relazione all’art. 120 Cost.
In
particolare, essa ritiene in contrasto con l’art. 104 dello statuto speciale di
autonomia la disposizione impugnata, nella parte in cui dispone che anche le
Province autonome assicurino il finanziamento dei livelli essenziali di
assistenza (LEA), come eventualmente rideterminato anche ai sensi dei commi da
400 a 417 dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
(legge di stabilità 2015)». Senza attribuire rilievo alla previsione del
successivo quinto periodo – secondo cui l’applicazione dell’intero comma 680
deve avvenire nel rispetto dell’accordo
del 15 ottobre 2014 (cosiddetto Patto di garanzia) concluso con lo Stato – la
ricorrente assume che il richiamo ai commi 400, 404 e 417 dell’art. 1 della
legge n. 190 del 2014 (che prevedono per il 2018 un contributo aggiuntivo a
carico della Provincia di Bolzano) e il rinvio anche ai commi 415 e 416
dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 (che estendono all’annualità 2018 la
disciplina già contenuta nelle leggi di stabilità per il 2013 e per il 2014)
non sarebbero stati concordati, appunto ai sensi dell’art. 104 dello statuto
speciale.
Va
precisato che la Provincia autonoma di Bolzano ha proposto il ricorso in via
cautelativa, per l’ipotesi in cui si ritenga che il contributo previsto dai
commi dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, richiamati dal quarto periodo
del comma 680, con efficacia dal 2018, sia aggiuntivo rispetto a quello onnicomprensivo
concordato con il cosiddetto Patto di garanzia del 2014.
1.2.– Analogamente, la Provincia autonoma di Trento impugna il solo quarto
periodo del comma 680 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015, ritenendolo in
contrasto con gli artt. 104 e 107 dello statuto reg. Trentino-Alto Adige, con
il principio consensualistico e con l’art. 27 della
legge n. 42 del 2009, per violazione dell’accordo concluso il 15 ottobre 2014.
La
ricorrente aggiunge, tuttavia, un ulteriore profilo di censura, ritenendo leso
l’art. 3 Cost. e il principio di affidamento
presidiato da tale parametro costituzionale. A fronte degli impegni assunti
dallo Stato, essa sostiene, infatti, di aver rinunciato a tutti i contenziosi
pendenti relativi alla legittimità costituzionale di numerose disposizioni di
legge concernenti i rapporti finanziari con il primo. In relazione a questa
rinuncia, avrebbe perciò maturato «un legittimo affidamento» al mantenimento
degli impegni anche da parte statale e in generale alla stabilità dei rapporti finanziari
definiti dall’accordo.
Anche la
Provincia autonoma di Trento propone il ricorso «in via cautelativa», per
l’ipotesi in cui l’applicabilità alla ricorrente della disposizione del quarto
periodo «non si dovesse intendere esclusa dal quinto periodo per le parti
incompatibili con gli accordi stipulati» e, dunque, per l’ipotesi in cui la
menzione delle Province autonome contenuta nel quarto periodo non dovesse
essere intesa come un «difetto di coordinamento» con il quinto periodo del
comma 680.
1.3.– La
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia aggiunge, all’impugnativa del quarto
periodo, quella avente ad oggetto il quinto periodo del comma 680 dell’art. 1
della legge n. 208 del 2015, secondo cui «[p]er la
regione Trentino-Alto Adige e per le province autonome di Trento e di Bolzano
l’applicazione del presente comma avviene nel rispetto dell’Accordo
sottoscritto tra il Governo e i predetti enti in data 15 ottobre 2014, e
recepito con legge 23 dicembre 2014, n. 190, con il concorso agli obiettivi di
finanza pubblica previsto dai commi da 406 a 413 dell’articolo 1 della medesima
legge». La ricorrente ritiene entrambi i periodi in contrasto: con gli artt. 3,
5, 119 e 120 Cost. e con gli artt. 48, 49 e 50 della
legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia); con l’art. 27 della legge n. 42 del 2009; con l’art. 9
della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del
principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della
Costituzione); con l’autonomia finanziaria e organizzativa regionale; con il
principio pattizio e con quello di leale collaborazione.
Viene, in
sostanza, prospettata la violazione dell’accordo stipulato con lo Stato in data
23 ottobre 2014, richiamato dall’art. 1, comma 512, della legge n. 190 del
2014. La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia si troverebbe a dover
sopportare, oltre alla propria quota degli oneri previsti dal primo periodo del
comma 680, anche gli oneri previsti dal quarto periodo, che richiama i commi da
400 a 417 della legge n. 190 del 2014, i quali prevedono – in particolare nella
tabella di cui al comma 400 – consistenti contribuzioni della Regione, non
concordate e comunque difformi rispetto a quanto definito nell’accordo del 23
ottobre 2014.
Anche la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia lamenta la violazione del principio di
affidamento, sottolineando di aver rinunciato, in adempimento dell’accordo
stipulato con lo Stato, al contenzioso pendente davanti alla Corte
costituzionale in relazione a tutte le questioni finanziarie aperte, e di aver
perciò maturato «un legittimo affidamento alla stabilità di tali rapporti».
La
ricorrente prospetta, inoltre, la violazione del principio di ragionevolezza:
sul presupposto che il rispetto dei livelli essenziali di assistenza sarebbe
già compreso nella definizione e nel riparto del contributo previsto dal primo
periodo del comma 680, il significato della disposizione impugnata sarebbe
incomprensibile.
Asserisce,
infine, la lesione del principio di eguaglianza, poiché il quinto periodo del
comma 680 avrebbe omesso di stabilire che, anche in relazione al Friuli-Venezia
Giulia, l’attuazione dell’intero comma 680 debba avvenire nel rispetto
dell’accordo stipulato con lo Stato in data 23 ottobre 2014.
1.4.– La
Regione autonoma Sardegna impugna l’intero comma 680 dell’art. 1 della legge n.
208 del 2015 e, dunque, anche i primi tre periodi, nella formulazione vigente
al momento della proposizione del ricorso, del seguente tenore: «[l]e regioni e
le province autonome di Trento e di Bolzano, in conseguenza dell’adeguamento
dei propri ordinamenti ai principi di coordinamento della finanza pubblica di
cui alla presente legge e a valere sui risparmi derivanti dalle disposizioni ad
esse direttamente applicabili ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, della
Costituzione, assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a 3.980
milioni di euro per l’anno 2017 e a 5.480 milioni di euro per ciascuno degli
anni 2018 e 2019, in ambiti di spesa e per importi proposti, nel rispetto dei
livelli essenziali di assistenza, in sede di autocoordinamento
dalle regioni e province autonome medesime, da recepire con intesa sancita
dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio di ciascun anno.
In assenza
di tale intesa entro i predetti termini, con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri, da adottare, previa deliberazione del Consiglio dei
ministri, entro venti giorni dalla scadenza dei predetti termini, i richiamati
importi sono assegnati ad ambiti di spesa ed attribuiti alle singole regioni e
province autonome, tenendo anche conto della popolazione residente e del PIL, e
sono rideterminati i livelli di finanziamento degli ambiti individuati e le
modalità di acquisizione delle risorse da parte dello Stato, considerando anche
le risorse destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario
nazionale.
Fermo
restando il concorso complessivo di cui al primo periodo, il contributo di
ciascuna autonomia speciale è determinato previa intesa con ciascuna delle
stesse».
La
ricorrente lamenta la violazione del principio di leale collaborazione
(presidiato dagli artt. 5 e 117 Cost.) e di quello consensualistico
(sancito dagli artt. 54, quinto comma, e 56 della legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 3, recante «Statuto speciale per la Sardegna»). In
particolare, il legislatore statale non avrebbe previsto alcuna procedura
pattizia idonea ad incidere sul quantum
del concorso alla finanza pubblica, determinato unilateralmente dallo Stato
anche a carico delle Regioni a statuto speciale. In tal modo, queste ultime
risulterebbero equiparate alle Regioni ordinarie, e tutte le Regioni (speciali
e ordinarie) sarebbero a pari titolo coinvolte nell’accordo da raggiungere in
sede di autocoordinamento sul riparto del contributo.
Per questa via, la Regione autonoma Sardegna, nell’individuare gli ambiti di
spesa nei quali operare i risparmi richiesti, si troverebbe vincolata dalla
volontà anche di tutte le altre Regioni nonché delle Province autonome, e, in
caso di mancanza del previsto autocoordinamento,
sarebbe «consegnata alle arbitrarie determinazioni del Presidente del
Consiglio», con conseguente lesione della propria autonomia economico-finanziaria,
tutelata dagli artt. 116, 117 e 119 Cost. e 7 e 8
dello statuto.
Sarebbe
leso, altresì, il principio di ragionevolezza, poiché il legislatore statale
sarebbe intervenuto successivamente alla stipula dell’accordo con lo Stato del
21 luglio 2014, violandone espressamente le clausole, senza prevedere un
adeguato meccanismo di recupero, anche ex
post, della leale cooperazione nei rapporti economico-finanziari. Da ciò,
anche l’asserita violazione dell’art. 81, sesto comma, Cost. e
dell’art. 9 della legge n. 243 del 2012, dal momento che la determinazione di
ulteriori oneri, sottratti alla determinazione consensuale delle parti,
impedirebbe il mantenimento dell’equilibrio di bilancio.
Anche la
Regione autonoma Sardegna lamenta la violazione del principio di eguaglianza di
cui all’art. 3 Cost., poiché il comma 680 (al quinto
periodo) avrebbe salvaguardato il solo accordo stipulato tra lo Stato e la
Regione autonoma Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e
Bolzano, con ingiustificata omissione dell’analogo accordo stipulato tra lo
Stato e la Regione autonoma Sardegna.
Lamenta,
altresì, la ricorrente la violazione del principio di affidamento in ordine
alla «stabilità del quadro di regolamentazione dei rapporti economici con lo
Stato», in seguito all’accordo concluso in data 21 luglio 2014. Tale lesione
(in assenza di ragioni imperative di interesse generale) risulterebbe ridondare
sull’autonomia economico-finanziaria della Regione, tutelata dagli artt. 7 e 8
dello statuto e dagli artt. 117 e 119 Cost. Il principio di affidamento
troverebbe, del resto, riconoscimento non solo ai sensi dell’art. 3 Cost., ma anche (attraverso l’art. 117, primo comma, Cost.)
in virtù degli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (d’ora in
avanti: CEDU).
La Regione
autonoma Sardegna prospetta, inoltre, la violazione dell’art. 117, terzo comma,
Cost. (e degli artt. 7 e 8 dello statuto), per effetto della natura non
transitoria degli ulteriori oneri finanziari previsti: il concorso alla finanza
pubblica imposto dalla norma impugnata, infatti, pur essendo disposto per un
solo triennio, aggiungendosi in realtà a contributi imposti alle Regioni da
diversi anni e in misura sempre crescente, alcuni dei quali – a giudizio della
ricorrente – senza limiti di tempo, non
rispetterebbe il criterio della transitorietà richiesto dalla giurisprudenza
costituzionale per le misure restrittive di finanza pubblica, in tal modo
eccedendo dall’ambito di competenza riconosciuto al legislatore statale in una
materia di legislazione concorrente.
In
connessione a tale profilo di censura, la Regione autonoma lamenta – sempre in
asserita violazione degli artt. 7 e 8 dello statuto e degli artt. 117 e 119
Cost. – il sostanziale azzeramento degli «spazi finanziari» riconosciuti
dall’accordo del 21 luglio 2014 proprio allo scopo di superare la situazione di
«emergenza» economica derivante dalla mancata attuazione dell’art. 8 dello
statuto (il quale,nel disciplinare le entrate della
Regione, prevede anche la compartecipazione al gettito dei tributi erariali). Il mancato rispetto delle clausole di
quell’accordo avrebbe riportato «nuovamente la Regione ricorrente nella
precedente condizione, di non poter strutturalmente far fronte al costo delle
funzioni pubbliche che le sono state affidate dalla Costituzione, dallo Statuto
e dalla legge».
Inoltre,
secondo la Regione autonoma Sardegna, nelle sentenze che hanno deciso la
cosiddetta «vertenza entrate» tra Stato e Regione autonoma, questa Corte
avrebbe «accertato e dichiarato che lo Stato aveva e ha un preciso e specifico
obbligo giuridico di definire consensualmente con la Regione il regime dei loro
rapporti economico-finanziari». Ciò sarebbe appunto avvenuto con la stipula
dell’accordo del 21 luglio 2014, il cui contenuto, dunque, non potrebbe essere
disatteso, pena l’inosservanza del giudicato costituzionale.
Infine, la
ricorrente evoca anche la violazione dell’art. 24 Cost.,
poiché, non avendo mai dubitato della validità, della stabilità e della cogenza
dell’accordo del 21 luglio 2014, proprio in adempimento degli obblighi con esso
assunti «ha ritirato un gran numero di impugnazioni già proposte», non solo
innanzi alla Corte costituzionale, con conseguente lesione del proprio diritto
di difesa in giudizio.
1.5.– La Regione siciliana impugna non soltanto l’intero comma 680, ma anche i
successivi commi 681 e 682 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015.
Argomento
centrale a sostegno delle censure è l’asserita violazione dell’art. 43 del
regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto
della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948,
n. 2, poiché l’applicabilità del contributo è prevista «a prescindere dalle
necessarie norme di attuazione»: lamenta, in sostanza, la Regione la violazione
del principio consensualistico, che dovrebbe reggere
i rapporti finanziari tra Stato e Regioni autonome.
La ricorrente
prospetta, altresì, la violazione degli artt. 81, ultimo comma, 97, primo
comma, e 119, primo e sesto comma, Cost., perché il contributo imposto dal
comma 680, unitamente all’estensione all’anno 2019 disposta dai commi 681 e 682
del contributo previsto dal d.l. n. 66 del 2014, come convertito, sommandosi
«alle già insostenibili riduzioni di risorse subite dalla Regione negli ultimi
anni», graverebbe sul bilancio regionale in maniera tale da impedire «lo
svolgimento delle proprie funzioni indispensabili», in tal modo frustrando
anche l’obbligo di garantire l’equilibrio finanziario del bilancio regionale.
Sostiene,
infine, la violazione degli artt. 36 dello statuto e 2 del decreto del
Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello
Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), oltre che del
principio di leale collaborazione. Infatti, un gettito di integrale spettanza
regionale, relativo a tributi riscossi sul territorio, sarebbe stato sottratto
unilateralmente e in assenza delle condizioni per far luogo a riserva a favore
dello Stato.
1.6.– Anche la Regione Veneto impugna i commi 680, 681 e 682 dell’art. 1 della
legge n. 208 del 2015, ritenendoli lesivi: degli artt. 3, 32, 97, 117, terzo e
quarto comma, 118 e 119 Cost.; del principio di leale collaborazione di cui
agli artt. 5 e 120 Cost.; degli artt. 5, comma 1, lettera g), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione
del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), e 11 della
legge n. 243 del 2012.
La
ricorrente ritiene che l’eccessiva misura e la mancanza di proporzionalità «del
taglio disposto» avrebbe costretto le Regioni a estendere, in sede di autocoordinamento, i risparmi di spesa anche al settore
sanitario, e che il carattere «meramente lineare dei tagli» imposti alla spesa
regionale interferirebbe in ambiti inerenti a fondamentali diritti civili e
soprattutto sociali, in assenza di determinazione dei livelli essenziali di
assistenza sociale (cosiddetti LIVEAS).
I contributi
al risanamento della finanza pubblica, in particolare, sarebbero stati decisi a
livello centrale, senza la necessaria «verifica di sostenibilità dei tagli»,
compromettendo l’erogazione dei servizi, soprattutto nelle regioni (tra cui la
ricorrente) che avevano già reso efficiente la relativa spesa, «riducendola a
livelli difficilmente comprimibili ulteriormente», pur in mancanza, «nei
criteri di riparto del taglio sulla spesa sanitaria», di ogni riferimento ai
costi standard.
Nelle
disposizioni impugnate, anzi, si evidenzierebbe uno «scollamento» tra il
livello di finanziamento del fondo sanitario, «pesantemente ridotto», e la
determinazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), «evidentemente
sottostimati» da parte dello Stato.
I commi
impugnati sarebbero, inoltre, in contrasto con il necessario canone della
transitorietà delle misure finanziarie di contenimento sulle finanze regionali,
poiché il legislatore statale avrebbe dapprima fissato un termine triennale
alle riduzioni, per poi estenderlo, di anno in anno, con successivi interventi
normativi.
Ancora,
irragionevole ed arbitraria viene ritenuta, dalla Regione Veneto, la
determinazione unilaterale, da parte statale, in caso di mancata intesa entro
il 31 gennaio di ogni anno, degli ambiti di spesa e degli importi attribuiti ad
ogni singola Regione. Poiché tale determinazione è svolta anche in riferimento
al PIL regionale, non si terrebbe conto della circostanza che la consistenza di
quest’ultimo non necessariamente si traduce in una disponibilità di risorse a
livello regionale.
In
definitiva, anche per il mancato coinvolgimento della Conferenza permanente per
il coordinamento della finanza pubblica, le disposizioni impugnate
travalicherebbero la funzione del «coordinamento» della finanza pubblica,
rivelandosi, piuttosto, quali misure di indiscriminato «contenimento», prive,
tuttavia, degli indispensabili elementi di razionalità, proporzionalità,
efficacia e sostenibilità, poiché l’entità «dei tagli attuati dal Governo sulla
spesa regionale» avrebbe reso impossibile lo svolgimento delle funzioni
attribuite alla Regione.
2.– I ricorsi vertono su disposizioni parzialmente coincidenti, sicché appare
opportuna la riunione dei relativi giudizi ai fini di una decisione congiunta,
restando riservata a separate pronunce la decisione delle questioni relative
alle altre disposizioni impugnate con i medesimi ricorsi.
3.– Priorità logica riveste la decisione su alcune questioni preliminari
oggetto di eccezione di parte o, comunque, rilevabili di ufficio.
3.1.– In primo luogo, con riferimento ai ricorsi proposti dalle Regioni autonome
Sardegna, Friuli-Venezia Giulia e Sicilia, nonché dalla Regione Veneto, non
fondata è l’eccezione d’inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale
dello Stato, basata sugli effetti dell’intesa sancita in data 11 febbraio 2016,
in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano, in merito all’attuazione della legge
n. 208 del 2015.
Tale
intesa, infatti, recepisce un accordo al quale non risultano aver partecipato
gli enti ad autonomia differenziata.
Quanto al
ricorso proposto dalla Regione Veneto, va invece ribadito che, per costante
giurisprudenza costituzionale, concludere un accordo imposto da una norma di
legge mentre la si impugna non comporta alcuna acquiescenza nel giudizio in via
principale (così, da ultimo, sentenze n. 141 del
2016, n. 77
del 2015 e n.
98 del 2007).
3.2.– Sempre in via preliminare, la difesa statale richiama il comma 992
dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015, il quale prevede che le disposizioni
di tale legge «sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle
province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le disposizioni
dei rispettivi statuti e le relative norme di attuazione». A giudizio
dell’Avvocatura generale dello Stato, ne deriverebbe l’inammissibilità delle
questioni sollevate dagli enti ad autonomia speciale, in quanto l’operatività
di tale clausola assicurerebbe il pieno rispetto delle norme statutarie
asseritamente violate.
L’eccezione
non può essere accolta, perché le norme in esame contengono prescrizioni
specificamente rivolte anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province
autonome. Deve perciò farsi applicazione del principio, già affermato dalla
giurisprudenza costituzionale, secondo cui l’illegittimità costituzionale di
una previsione legislativa non è esclusa dalla presenza di una clausola di
salvaguardia, laddove tale clausola entri in contraddizione con quanto
affermato dalle norme impugnate, con esplicito riferimento alle Regioni a
statuto speciale e alle Province autonome (da ultimo, sentenze n. 40 e
n. 1 del 2016,
n. 156 e n. 77 del 2015).
3.3.– Come già ricordato ai punti 1.1. e 1.2., le
Province autonome di Trento e di Bolzano hanno prospettato l’impugnativa in via
cautelativa.
Tale
modalità di proposizione dei ricorsi non incide sulla loro ammissibilità,
atteso che – per costante giurisprudenza costituzionale (da ultimo, sentenze n. 189,
n. 159, n. 156 e n. 3 del 2016) –
possono trovare ingresso, nel giudizio in via principale, questioni promosse in
via cautelativa ed ipotetica, sulla base di interpretazioni prospettate
soltanto come possibili, purché non implausibili e
comunque ragionevolmente collegabili alle disposizioni impugnate. Nel presente
caso, la tecnica normativa utilizzata dal legislatore – il quale, innovando
rispetto al passato, ha riunito nel comma 680 (come si evidenzierà meglio infra) la disciplina del concorso
finanziario al risanamento dei conti pubblici di tutti gli enti di livello
regionale, ad autonomia differenziata e a statuto ordinario – esclude che
l’interpretazione delle ricorrenti risulti prima
facie implausibile.
3.4.–
Ancora in via preliminare, va dato atto che il primo ed il secondo periodo del
comma 680 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015 sono stati modificati
dall’art. 1, comma 528, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di
previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per
il triennio 2017-2019), che, da un lato, ha esteso al 2020 l’orizzonte
temporale del contributo alla finanza pubblica di cui si discute e, dall’altro,
ha inserito, tra le modalità di acquisizione delle risorse da parte dello
Stato, la possibilità di prevedere versamenti delle Regioni interessate.
A
prescindere dalla considerazione che la seconda delle modifiche segnalate
risulta, allo stato, abrogata dall’art. 28 del decreto-legge 24 aprile 2017, n.
50 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti
territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e
misure per lo sviluppo), sta di fatto che l’illustrato jus superveniens è oggetto di ricorsi – distinti e successivi a
quelli ora in esame – proposti dalla Regione Veneto, dalle Regioni autonome
Sardegna e Friuli-Venezia Giulia, e dalla Regione siciliana. Ne deriva che lo
scrutinio di questa Corte deve ora limitarsi al contenuto precettivo dell’art.
1, comma 680, della legge n. 208 del 2015, e non deve essere valutata la
necessità del trasferimento delle attuali questioni di legittimità
costituzionale alle modifiche normative sopravvenute (in tal senso, sentenze n. 141
e n. 40 del 2016,
n. 239 e n. 77 del 2015).
Tali
modifiche normative non risultano, invece, impugnate autonomamente dalle
Province autonome di Trento e di Bolzano, ma esse riguardano disposizioni (i
primi due periodi del comma 680) che gli enti in questione non hanno censurato
nel presente giudizio, sicché neppure rispetto ai loro ricorsi s’impone la
verifica della necessità del trasferimento.
3.5.– Quanto all’ammissibilità delle censure fondate su parametri estranei al
Titolo V della Parte II della Costituzione, tutte le ricorrenti ne hanno
sufficientemente motivato la ridondanza su attribuzioni ad esse
costituzionalmente garantite.
3.6.– Devono essere, invece, dichiarati inammissibili alcuni profili di censura
presenti nel ricorso della Regione Veneto.
Quanto alla
prospettata violazione dei parametri costituzionali di cui agli artt. 97, 117,
quarto comma, e 118 Cost., infatti, manca qualsiasi
motivazione specifica in ordine alle ragioni del contrasto delle disposizioni
impugnate con i primi.
In ordine
all’asserita mancata attuazione del disposto dell’art. 5, comma 1, lettera g), della legge cost. n. 1 del 2012, e
dell’art. 11 della legge n. 243 del 2012, la censura risulta oscura, poiché non
si comprende in che modo «la disposizione impugnata» (espressione a sua volta
fonte di insuperabili incertezze interpretative, non essendo chiaro a quali dei
tre commi oggetto del ricorso la ricorrente si riferisca specificamente)
sarebbe lesiva dell’autonomia regionale: sul punto, infatti, la Regione Veneto
si è limitata ad affermare che le omissioni statali avrebbero determinato un
contrasto con «i presupposti minimi che la dinamica dell’equilibrio di bilancio
deve in ogni caso considerare, con evidente ricaduta sulla autonomia
costituzionalmente riconosciuta alle Regioni», senza spiegare per quale motivo,
e in base a quali presupposti fattuali, lo Stato avrebbe dovuto attivare il meccanismo
disciplinato dalle norme indicate, per le fasi avverse del ciclo economico.
Secondo la
costante giurisprudenza della Corte, i termini delle questioni di legittimità
costituzionale debbono essere ben identificati, dovendo il ricorrente
individuare le disposizioni impugnate, i parametri evocati e le ragioni delle
violazioni prospettate (ex multis,
tra le più recenti,
sentenze n. 141, n. 65, n. 40 e n. 3 del 2016,
n. 273, n. 176 e n. 131 del 2015).
E questa Corte ha più volte chiarito che l’esigenza di un’adeguata motivazione
a fondamento della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale si
pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi proposti in via principale
rispetto a quelli instaurati in via incidentale (ex plurimis, sentenze n. 251,
n. 233, n. 218, n. 142 e n. 82 del 2015).
Quanto alla
lamentata violazione dell’art. 32 Cost., invece, la
pur sintetica motivazione della censura, già contenuta nel ricorso, risulta
solo ampliata dalle argomentazioni illustrate nella memoria depositata in
prossimità dell’udienza con riferimento all’asserita impossibilità di offrire
alla popolazione un adeguato livello di servizi nel settore sanitario.
3.7.– Inammissibile, alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte (da
ultimo, sentenze
n. 1 del 2016, n. 250 e n. 153 del 2015),
è anche l’evocazione dell’art. 24 Cost. da parte della
Regione autonoma Sardegna, trattandosi di parametro non contemplato nella
delibera autorizzativa alla proposizione del ricorso. Nei giudizi di
legittimità costituzionale in via principale deve infatti sussistere, a pena
d’inammissibilità, una piena e necessaria corrispondenza tra la deliberazione
con cui l’organo legittimato si determina all’impugnazione ed il contenuto del
ricorso, attesa la natura politica dell’atto d’impugnazione (sentenza n. 110 del
2016).
3.8.– Del
pari inammissibile deve essere dichiarato il profilo di censura enunciato dalla
Regione autonoma Sardegna, per la prima volta nella memoria illustrativa, in
ordine all’illegittimità costituzionale dei contributi alla finanza pubblica,
imposti dalle precedenti manovre finanziarie attraverso il meccanismo degli
«accantonamenti», i quali si sarebbero, ormai, risolti in definitiva riserva,
in favore dell’erario, di un gettito spettante alla ricorrente, con violazione
del regime consensualistico e, in particolare, degli
artt. 7 e 8 dello statuto di autonomia. Per costante giurisprudenza costituzionale,
infatti, le deduzioni svolte dai ricorrenti nelle memorie successive al ricorso
sono ammissibili solo nei limiti in cui prospettano argomenti a sostegno delle
questioni di legittimità costituzionale già promosse e delineate nel ricorso
stesso, non già, invece, come nella specie, censure ulteriori. L’oggetto del
giudizio di legittimità costituzionale in via principale è, infatti, limitato
alle questioni individuate nell’atto introduttivo e non può la parte ricorrente
prospettare nuove censure dopo l’esaurimento del termine perentorio per
impugnare in via principale le leggi, né modificare o integrare la domanda
iniziale, con memorie successivamente depositate (ex plurimis, sentenze n. 272,
n. 202, n. 145, n. 65 e n. 64 del 2016,
n. 153 del 2015,
n. 108 del 2012,
n. 169 del 2010).
3.9.– Deve
essere, altresì, dichiarata l’inammissibilità della censura, proposta per la
prima volta nella memoria illustrativa da parte della Regione Veneto, relativa
alla modifica del comma 680 operata dall’art. 1, comma 528, della legge n. 232
del 2016, che ha aggiunto la possibilità di prevedere versamenti al bilancio
dello Stato da parte delle Regioni interessate: si tratterebbe, a parere della
ricorrente, di una previsione che avrebbe trasformato la Regione in una sorta
di «esattore» per conto dello Stato, con obbligo di riversare a quest’ultimo
risorse proprie, in contrasto con l’art. 119 Cost. e
con la giurisprudenza costituzionale maturata in proposito (viene citata la sentenza n. 79 del
2014). Sebbene, infatti, venga in rilievo una modifica sopravvenuta
rispetto al ricorso, si tratta, comunque, di disposizione separatamente
censurata dalla Regione Veneto con successiva ed autonoma impugnativa, a
prescindere dalla già segnalata circostanza che l’inciso di cui si discute
risulta, allo stato, abrogato dall’art. 28 del d.l. n. 50 del 2017.
3.10.– La Regione siciliana ha impugnato anche i commi 681
e 682 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015. Questi ultimi, tuttavia, non si
applicano alle Regioni a statuto speciale e non sussiste l’interesse della
ricorrente ad impugnarli, con conseguente inammissibilità delle relative
questioni (sentenze
n. 172 del 2010 e n. 290 del 2008;
in senso analogo, sentenza
n. 128 del 2017; più in generale, sull’inammissibilità per carenza di
interesse concreto ed attuale all’impugnativa, sentenze n. 196 del
2015, n. 176
del 2012 e n. 107
del 2009).
3.11.– Ulteriori profili di censura proposti nei ricorsi,
in particolare degli enti ad autonomia speciale, sono destinati ad una
declaratoria di inammissibilità, ma il loro esame deve essere necessariamente
condotto unitamente al merito.
4.– Il contributo introdotto dal comma 680 dell’art. 1 della legge n. 208 del
2015 si aggiunge a quelli già previsti da precedenti manovre finanziarie. Tali
precedenti manovre, tuttavia, hanno sempre tenuto distinte le disposizioni
dedicate alle Regioni a statuto ordinario, da quelle specificamente destinate a
disciplinare il contributo imposto alle autonomie speciali.
Il comma
680, invece, regola unitariamente il concorso al risanamento della finanza
pubblica per l’intero comparto regionale.
Proprio a
causa della mancata distinzione tra misure relative alle autonomie regionali
ordinarie e misure riservate alle autonomie speciali, le varie disposizioni
contenute nel comma in questione restituiscono un quadro complessivo che deve
essere oggetto di interpretazione non meramente letterale, ma sistematica.
In
particolare, come si dirà, le disposizioni genericamente riferibili a tutte le
Regioni e alle Province autonome – volte ad evidenziare il coinvolgimento
dell’intero settore regionale nell’obbiettivo di risanamento dei conti pubblici
– devono essere armonizzate con quelle riferite specificamente alle autonomie
speciali, che delineano per queste ultime un regime peculiare, alla luce delle
forme e condizioni particolari di autonomia garantite alle Regioni speciali
dall’art. 116 Cost. Ma, al tempo stesso, è necessario contemperare tale
peculiare regime con la chiara volontà legislativa di coinvolgere tutti gli
enti regionali nelle procedure volte alla ripartizione dei contributi alla
finanza pubblica.
4.1.– La Provincia autonoma di Bolzano censura, in particolare, il quarto
periodo del comma 680 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015, a causa della
previsione che coinvolge anche le Province autonome nell’obbligo di assicurare
il finanziamento dei livelli essenziali di assistenza, come eventualmente
rideterminato anche ai sensi dei commi da 400 a 417 dell’art. 1 della legge n.
190 del 2014.
Secondo la ricorrente tale
disposizione si porrebbe in contrasto con l’accordo del 15 ottobre 2014
concluso tra le Province autonome e lo Stato e poi recepito – ai sensi
dell’art. 104 dello statuto speciale – con i commi da 406 a 413 dell’art. 1
della legge n. 190 del 2014, che hanno disciplinato ex novo i rapporti finanziari tra le parti.
In particolare, il richiamo,
contenuto nella disposizione impugnata, anche dei commi 400 e 404 dell’art. 1
della legge n. 190 del 2014 – che prevedono per il 2018 un contributo
aggiuntivo di 25 milioni di euro a carico della Provincia autonoma di Bolzano,
con il correlativo obbligo di versarlo all’erario – nonché dei successivi commi
415 e 416 (che estendono all’annualità 2018 i contributi già introdotti dalle
leggi di stabilità per il 2013 e per il 2014), non sarebbe stato concordato ai
sensi dell’art. 104 dello statuto e si porrebbe in contrasto con l’accordo
concluso con lo Stato, in quanto rinnoverebbe la previsione, con efficacia dal
2018, di contributi aggiuntivi rispetto a quello onnicomprensivo concordato con
l’accordo in questione.
La questione, così come
sollevata, deve essere dichiarata inammissibile.
La corretta interpretazione
della disposizione impugnata, infatti, evidenzia che essa non determina la
conseguenza lesiva attribuitale dalla ricorrente.
Gli effetti asseritamente
contrastanti con l’accordo, quali descritti dalla Provincia autonoma di
Bolzano, infatti, devono essere ricollegati direttamente alle disposizioni
della legge n. 190 del 2014, che, successivamente alla stipula di gran parte
degli accordi di finanza pubblica con le autonomie speciali nel corso dell’anno
2014, hanno introdotto un nuovo contributo a carico di queste ultime ed esteso
al 2018 il periodo di incidenza delle norme attuative del concorso al
risanamento della finanza pubblica imposto dalle precedenti manovre
finanziarie.
Tali disposizioni non furono,
all’epoca, impugnate dalla ricorrente.
Nella parte contestata dalla
Provincia autonoma di Bolzano, il quarto periodo del comma 680 non rinnova
affatto l’imposizione del contributo ascrivibile alle disposizioni della legge
n. 190 del 2014, ma ha, invece, una portata sostanzialmente "ricognitiva” di un
diverso obbligo, già contemplato dalla stessa legge n. 190 del 2014 (all’art.
1, comma 414): quello di garantire l’erogazione dei servizi, nel rispetto dei
LEA, nonostante la riduzione di risorse e i risparmi imposti (e non più
contestabili in questa sede) dalla medesima legge n. 190 del 2014.
Nei casi di
impugnativa di disposizioni meramente ricognitive, in quanto prive di «autonoma
forza precettiva o, se si preferisce, di quel carattere innovativo che si suole
considerare proprio degli atti normativi» (sentenza n. 346 del
2010), questa Corte ha considerato insussistente l’interesse della parte
ricorrente a impugnarle, con conseguente inammissibilità del ricorso (sentenze n. 63 del
2016 e n.
230 del 2013).
4.2.– Per identiche ragioni deve essere dichiarato inammissibile il ricorso
proposto dalla Provincia autonoma di Trento contro il quarto periodo del comma
680 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015.
Esso,
infatti, presenta analogo contenuto rispetto al ricorso proposto dalla
Provincia autonoma di Bolzano, tale da consentire di rinviare alle
argomentazioni illustrate per definire quest’ultimo, omogenei essendo, inoltre,
i parametri statutari ed interposti evocati a garanzia del rispetto del
principio consensualistico (artt. 104 e 107 dello
statuto e art. 27 della legge n. 42 del 2009).
Va aggiunto
che la declaratoria d’inammissibilità si estende anche all’asserito contrasto
con l’art. 3 Cost.
La
Provincia autonoma di Trento, infatti, ha sostenuto che – a fronte degli
impegni assunti dallo Stato – avrebbe accettato di rinunciare a tutti i
contenziosi pendenti relativi alla legittimità costituzionale di numerose
disposizioni di legge concernenti i rapporti finanziari con lo Stato, sicché la
prospettata violazione di tale accordo avrebbe determinato la lesione del
«legittimo affidamento» alla «stabilità dei rapporti finanziari definiti
dall’accordo» e del principio di ragionevolezza, l’uno e l’altro presidiati,
appunto, dal parametro costituzionale in questione.
Anche la
lesione dell’art. 3 Cost., infatti, viene fatta
risalire ad una interpretazione del quarto periodo del comma 680 – quella
secondo cui esso avrebbe "rinnovato” l’imposizione dei contributi previsti dai
commi dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 non inclusi nel Patto di garanzia
– non corrispondente al vero significato della disposizione, la quale ha,
invece, valore esclusivamente ricognitivo di un obbligo diverso, connesso alla
garanzia del finanziamento dei LEA.
Di qui la
carenza d’interesse all’impugnativa e la sua inammissibilità.
4.3.– In parte inammissibili ed in parte non fondate vanno dichiarate le
questioni sollevate con il ricorso proposto dalla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia.
4.3.1.– Le questioni relative al quarto periodo del comma 680 dell’art. 1 della
legge n. 208 del 2015 sono, infatti, inammissibili per le medesime ragioni
evidenziate in rapporto ai ricorsi avanzati dalle Province autonome di Trento e
di Bolzano.
Invocando
la violazione dei propri parametri statutari e delle norme costituzionali che
tutelano il principio di affidamento, l’autonomia finanziaria e il principio di
leale collaborazione, anche la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia imputa
alla disposizione censurata l’effetto di ribadire – rinnovandone perciò la
portata lesiva – la statuizione unilaterale da parte statale di contribuzioni
(previste dai richiamati commi 400 e 401 della legge n. 190 del 2014) difformi
da quelle concordate nell’accordo stipulato in data 23 ottobre 2014 con lo
Stato, con conseguente violazione del «quadro ordinamentale costituzionale dei
rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione Friuli-Venezia Giulia».
Anche a
fronte di tale censura, dunque, deve essere riaffermata la corretta
interpretazione della disposizione sospettata d’illegittimità costituzionale.
Quest’ultima non rinnova la portata precettiva delle disposizioni della legge
n. 190 del 2014 impositive di contributi a carico delle autonomie speciali, in
tesi ulteriori rispetto a quelli contemplati nell’accordo concluso con lo Stato
in data 23 ottobre 2014 e come tali in asserito contrasto con le clausole
pattizie ivi previste. Si limita, invece, a ribadire il diverso obbligo di
assicurare il finanziamento integrale dei livelli essenziali di assistenza,
rendendo evidente la carenza di interesse a proporre l’impugnativa, nei termini
prospettati dalla Regione autonoma ricorrente.
4.3.2.– Sono, invece, non fondate le censure avanzate nei confronti del medesimo
quarto periodo del comma 680, per violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza, e del successivo
quinto periodo, sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza.
4.3.2.1.– Secondo la Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia, il quarto periodo del comma 680 si porrebbe in
contrasto con il principio di ragionevolezza, dal momento che il rispetto dei
LEA sarebbe già compreso nella definizione e nel riparto del contributo
previsto dal primo periodo del comma 680 (non impugnato), né i richiamati commi
da 400 a 417 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 prevederebbero
alcuna eventuale rideterminazione di tali livelli, sicché il significato della
previsione resterebbe «indefinito», con conseguente «complessiva incongruità
della disposizione».
La censura non coglie nel
segno, in quanto il «rispetto dei livelli essenziali di assistenza» contemplato
nella seconda parte del primo periodo del comma 680 riveste un significato
precettivo diverso da quello ricavabile dalla differente espressione
(«assicurano il finanziamento dei livelli essenziali di assistenza come
eventualmente rideterminato») contenuta nel quarto periodo: nel primo caso, il
richiamo è funzionale ad indirizzare la concertazione rimessa, in prima
battuta, alle Regioni in sede di autocoordinamento, e
dunque soltanto a fornire un criterio di valutazione per la formulazione di
proposte volte ad individuare gli ambiti di spesa (ed i relativi importi) sui
quali far gravare il contributo; nel secondo caso, la norma impone di garantire
il finanziamento dei livelli essenziali di assistenza una volta che essi siano
stati «eventualmente» rideterminati per effetto dei risparmi di spesa connessi
all’attuazione del concorso finanziario imposto agli enti del livello di
governo regionale.
L’evidente
diversità di funzione che il richiamo ai LEA svolge nel primo e nel quarto
periodo del comma 680 priva di fondamento la censura di irragionevolezza
avanzata dalla Regione ricorrente, dovendosi, peraltro, aggiungere che,
diversamente da quanto affermato da quest’ultima, anche l’art. 1 della legge n.
190 del 2014 contiene, al comma 414, la previsione di una «eventuale»
rideterminazione di tali livelli.
4.3.2.2.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia censura, infine, il quinto
periodo del comma 680, in quanto avrebbe omesso di stabilire che, anche in
relazione alla ricorrente, l’attuazione del comma 680 debba avvenire nei
termini dell’accordo stipulato con lo Stato in data 23 ottobre 2014. Sarebbe
così riservato alla ricorrente un trattamento ingiustamente deteriore rispetto
a quello riconosciuto alle autonomie della Regione Trentino-Alto Adige.
La
questione non è fondata, alla luce del diverso contenuto degli accordi conclusi
con lo Stato da parte delle Province autonome della Regione Trentino-Alto
Adige, da un lato, e della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, dall’altro.
Nonostante
entrambi gli accordi siano stati recepiti nella legge n. 190 del 2014
(rispettivamente ai commi da 406 a 413 e ai commi da 513 a 523), soltanto il
primo, nel ridefinire complessivamente i rapporti finanziari tra lo Stato, la
Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano, fino
al 2022, esclude la possibilità di modifiche peggiorative, salvo esigenze eccezionali
di finanza pubblica e per importi predeterminati già nelle clausole del patto.
A tale
proposito, infatti, il comma 407 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014, nel
modificare l’art. 79 dello statuto di autonomia speciale, introduce in
quest’ultimo il comma 4-septies, che
così dispone: «[è] fatta salva la facoltà da parte dello Stato di modificare,
per un periodo di tempo definito, i contributi in termini di saldo netto da
finanziare e di indebitamento netto posti a carico della regione e delle province,
previsti a decorrere dall’anno 2018, per far fronte ad eventuali eccezionali
esigenze di finanza pubblica nella misura massima del 10 per cento dei predetti
contributi stessi. Contributi di importi superiori sono concordati con la
regione e le province. Nel caso in cui siano necessarie manovre straordinarie
volte ad assicurare il rispetto delle norme europee in materia di riequilibrio
del bilancio pubblico i predetti contributi possono essere incrementati, per un
periodo limitato, di una percentuale ulteriore, rispetto a quella indicata al
periodo precedente, non superiore al 10 per cento».
La legge di
stabilità per il 2015 ha, quindi, in tal senso modificato – per la terza volta
dal 2009 – lo statuto speciale del Trentino-Alto Adige, introducendo parametri
oggettivi che, in quanto tali, impediscono interventi statali in ipotesi
arbitrari. Per questa via – come, da ultimo, ricostruito nella sentenza n. 28
del 2016 – le Province autonome di Trento e di Bolzano vengono a godere di una
condizione di autonomia oggettivamente differente rispetto a quella propria del
Friuli-Venezia Giulia, in riferimento alle richieste statali di concorso al
risanamento dei conti pubblici.
Rispetto a
quello stipulato dalle autonomie della Regione Trentino-Alto Adige, l’accordo
finanziario concluso il 23 ottobre 2014 dalla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia con lo Stato esibisce contenuti affatto diversi.
A
prescindere dalla considerazione che tale accordo contempla un orizzonte
temporale limitato al 2017, esso non subordina espressamente l’imposizione di
ulteriori contributi al risanamento della finanza pubblica al ricorrere di
specifiche condizioni, idonee a limitare il potere unilaterale dello Stato.
Il comma
517 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014 – inserito nell’ambito delle
disposizioni di recepimento dell’accordo concluso con lo Stato e diretto a
riprodurre quanto previsto dall’art. 3, punto 4, del patto – prevede
espressamente, anzi, che «[i] predetti obiettivi per gli anni dal 2015 al 2017
possono essere rideterminati in conseguenza di nuovi contributi alla finanza
pubblica posti a carico delle autonomie speciali con legge statale», fermo
restando il vincolo del metodo pattizio, garantito, nella specie, dal terzo
periodo del comma 680 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015 (come meglio si
dirà nell’affrontare il merito del ricorso proposto dalla Regione autonoma
Sardegna, che ha investito l’intero comma 680).
La
peculiarità dell’accordo concluso con le autonomie della Regione Trentino-Alto
Adige, dunque, è idonea a giustificarne l’isolata menzione nel quinto periodo
del comma 680 impugnato, dovendosi, perciò, escludere la violazione del
principio di eguaglianza lamentata dalla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia.
Mette conto
ribadire, pur a fronte di tale conclusione, che il principio dell’eguale
riconoscimento e della parità di posizione di tutte le autonomie differenziate,
rispetto alle richieste di contribuire agli equilibri della finanza pubblica,
non è, ovviamente, smentito dal rilievo, nel presente caso, dell’accordo
illustrato, connesso agli specifici e concreti contenuti che esso presenta.
4.4.– Le questioni sollevate dalla Regione autonoma Sardegna, diverse da quelle
dichiarate inammissibili ai precedenti punti 3.7. e
3.8., non sono fondate.
4.4.1.– Secondo la ricorrente, l’intero comma 680 dell’art. 1 della legge n. 208
del 2015, nel prevedere un nuovo contributo alla finanza pubblica, per il
triennio 2017-2019, imporrebbe un sacrificio economico, non solo
particolarmente elevato, ma anche per un importo che non potrebbe essere
modificato dalle Regioni e dalle Province autonome. Queste sarebbero chiamate
alla mera ripartizione, in base ad un accordo da raggiungere «in sede di autocoordinamento» e da recepire, poi, con intesa sancita
dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano, salvo, in caso di inerzia, il potere
statale di effettuare unilateralmente il riparto.
Il
riferimento è, evidentemente, alla disciplina contenuta nei primi tre periodi
del comma 680, i quali violerebbero l’accordo stipulato con lo Stato, in data
21 luglio 2014. Tale disciplina inciderebbe sui rapporti economici e finanziari
tra Stato e Regione autonoma, senza adeguata considerazione della cornice
normativa dettata dagli artt. 7 e 8 dello statuto speciale di autonomia. Queste
ultime disposizioni – anche in forza del principio di leale collaborazione
desumibile dagli artt. 5 e 117 Cost. – escluderebbero la possibilità di
prescrivere nuovi contributi alla finanza pubblica a carico della Regione
autonoma Sardegna, senza preventiva regolazione pattizia tra lo Stato e la
Regione. In ogni caso, vieterebbero di imporre alla Regione autonoma Sardegna
di conseguire risparmi di spesa in settori definiti non in via autonoma dalla
Regione medesima, bensì a seguito di una decisione assunta dalle altre Regioni
e dalle Province autonome.
La censura
illustrata – ulteriormente arricchita dalla ricorrente con la prospettazione
della mancanza di transitorietà della nuova misura di contenimento, in quanto
aggiuntiva rispetto a quelle imposte dalle precedenti manovre finanziarie –
appare priva di fondamento, all’esito di una lettura sistematica dei primi tre
periodi del comma 680.
Nella prima
parte del primo periodo, il comma 680 – nella versione vigente al momento della
proposizione del ricorso ed oggetto qui di scrutinio – prevede che le Regioni,
e le Province autonome di Trento e di Bolzano, assicurino un contributo alla
finanza pubblica pari a 3.980 milioni di euro per l’anno 2017 e a 5.480 milioni
di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019.
Per
costante giurisprudenza costituzionale, i principi fondamentali fissati dalla
legislazione dello Stato nell’esercizio della competenza di coordinamento della
finanza pubblica si applicano anche alle autonomie speciali (ex plurimis, sentenze n. 62 del
2017, n. 40
del 2016, n.
82 e n. 46
del 2015), in quanto essi sono funzionali a prevenire disavanzi di
bilancio, a preservare l’equilibrio economico-finanziario del complesso delle
amministrazioni pubbliche e anche a garantire l’unità economica della
Repubblica, come richiesto dai principi costituzionali e dai vincoli derivanti
dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea (sentenza n. 175 del
2014).
Va altresì
ribadito che – ancora per costante giurisprudenza costituzionale – i rapporti
finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali sono regolati dal principio
dell’accordo, inteso, tuttavia, come vincolo di metodo (e non già di risultato)
e declinato nella forma della leale collaborazione (sentenze n. 88 del
2014, n. 193
e n. 118 del
2012).
Tale
meccanismo può essere derogato dal legislatore ordinario, fino a che gli
statuti o le norme di attuazione lo consentono (sentenza n. 23 del
2014; seguita dalle sentenze n. 19,
n. 46, n. 77, n. 82, n. 238, n. 239 e n. 263 del 2015,
n. 40 e n. 155 del 2016).
Lo Stato,
dunque, può imporre contributi al risanamento della finanza pubblica a carico
delle Regioni a statuto speciale, quantificando, come nella specie, l’importo
complessivo del concorso, e rimettendo alla stipula di accordi bilaterali con
ciascuna autonomia, non solo la definizione dell’importo gravante su ciascuna
di esse, ma, eventualmente, la stessa riallocazione delle risorse disponibili,
anche a esercizio inoltrato (sentenza n. 19 del
2015).
Ne deriva
che la determinazione unilaterale del concorso finanziario contenuta nella
prima parte del primo periodo del comma 680 deve essere letta in connessione
alla disposizione prevista nel terzo periodo, secondo cui «[f]ermo restando il
concorso complessivo di cui al primo periodo, il contributo di ciascuna
autonomia speciale è determinato previa intesa con ciascuna delle stesse». In
tal modo, la disposizione risulta conforme ai principi appena illustrati.
Né può
essere accolta la censura di violazione del principio di transitorietà.
Come
ricordato dalla sentenza
n. 141 del 2016, norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni
e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento
della finanza pubblica alla condizione, tra l’altro, che si limitino a porre
obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio
contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente (ex multis, tra le più recenti, sentenze n. 65 del
2016, n. 218
e n. 189 del
2015; nello stesso senso, sentenze n. 44 del
2014, n. 236
e n. 229 del
2013, n. 217,
n. 193 e n. 148 del 2012, n. 182 del 2011).
La nuova
misura di contenimento introdotta dalla prima parte del primo periodo del comma
680 è destinata ad operare in un arco temporale limitato e, dunque, nel
perdurante rispetto del canone della transitorietà.
Una censura
che lamenta il presunto carattere permanente dello specifico contributo non è
provata dalla circostanza che essa si aggiunga agli effetti delle precedenti
manovre di finanza pubblica.
Non
fondato, infine, appare il profilo di censura basato sulla presunta
equiparazione delle Regioni ad autonomia speciale a quelle ordinarie, tutte
asseritamente coinvolte a pari titolo, in sede di autocoordinamento,
nella determinazione degli ambiti sui quali far gravare le riduzioni di spesa
(e dei relativi importi): una determinazione che, ad avviso della ricorrente,
avrebbe efficacia vincolante anche per le autonomie speciali, e le renderebbe
esse stesse soggette, inoltre, al potere sostitutivo statale.
Come già
evidenziato, i primi tre periodi del comma 680 devono essere letti
congiuntamente: ed è il terzo periodo, nell’ambito di un’interpretazione
sistematica dell’intero comma 680, che disciplina specificamente, regolandone
le modalità, le relazioni finanziarie tra lo Stato e le autonomie speciali,
individuando il meccanismo pattizio cui è subordinata l’imposizione della quota
di contributo aggiuntivo gravante su ciascuno degli enti ad autonomia
differenziata.
Dal
conseguente adattamento della disciplina generale, dettata per tutte le
Regioni, alla peculiare posizione delle autonomie speciali, deriva bensì che
queste ultime sono richieste di partecipare alle riunioni in autocoordinamento con le Regioni a statuto ordinario (in
questo senso è il dato testuale ricavabile dal primo periodo del comma 680); ma
deriva anche che le autonomie speciali non sono automaticamente vincolate alle
decisioni assunte in quella sede, poiché «il contributo di ciascuna autonomia
speciale è determinato previa intesa con ciascuna delle stesse» (terzo periodo
del comma 680).
D’altra
parte, nulla esclude che le autonomie speciali rifiutino perfino di prestare
l’assenso all’intesa che, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra
lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, è destinata
a recepire l’accordo raggiunto in autocoordinamento
(come si dirà meglio, ciò è effettivamente avvenuto con riferimento al
contributo alla finanza pubblica per l’anno 2017).
La
previsione del terzo periodo del comma 680, inoltre, esclude che le autonomie
speciali possano essere soggette all’intervento sostitutivo statale, ciò che,
invece, risulterebbe, nella prospettazione della ricorrente, dal tenore
testuale del secondo periodo del comma citato. Si deve fare qui applicazione
del metodo interpretativo enunciato supra, al punto 4., che impone di leggere il testo legislativo alla luce dei
principi che tutelano le forme e condizioni particolari di autonomia garantite
alle Regioni speciali dall’art. 116 Cost. Se assunto alla lettera, del resto,
tale secondo periodo consentirebbe finanche all’intervento sussidiario statale
di «assegnare ad ambiti di spesa» le riduzioni, e di attribuirli a ciascuna
singola autonomia speciale, in frontale contrasto con ciò che stabilisce il
terzo periodo del medesimo comma 680. Non è un caso, a questo proposito, che il
d.l. n. 50 del 2017 abbia soppresso – a far data dal 2018 – tale secondo
periodo del comma 680 (al pari del corrispondente periodo del comma 6 dell’art.
46 del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, il quale era tuttavia
pacificamente riferito alle sole Regioni a statuto ordinario), ed abbia
modificato la disciplina dell’intervento sostitutivo statale, che ora non
contempla più il riferimento alle Province autonome.
La
correttezza della complessiva interpretazione illustrata è, del resto,
confermata dalla prassi applicativa.
L’intesa
sancita in data 11 febbraio 2016 in sede di Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano, all’esito di un autocoordinamento che,
peraltro, si è svolto fra le sole Regioni a statuto ordinario, ha operato il
riparto di circa il 90 per cento dell’intero importo della manovra,
individuando nel Fondo sanitario nazionale – al quale non partecipano gli enti
ad autonomia speciale (con la parziale eccezione della Regione siciliana), che
finanziano con proprie risorse il servizio – la principale voce su cui
concentrare la riduzione di spesa imposta dal comma 680. L’intesa ha altresì
precisato che con le autonomie speciali sarebbero stati raggiunti accordi
bilaterali, per la determinazione della «parte del contributo al risanamento
dei conti pubblici a carico delle Regioni a Statuto speciale».
Successivamente
all’intesa, tuttavia, le autonomie speciali non hanno ritenuto di addivenire
agli accordi bilaterali menzionati.
Si può
aggiungere che, nella successiva seduta della Conferenza permanente in data 9
febbraio 2017, si è registrata la mancata intesa sul documento concernente il
contributo alla finanza pubblica delle Regioni a statuto ordinario, per l’anno
2017, in conseguenza «dell’avviso negativo» espresso proprio dalle Regioni
autonome Sardegna e Friuli-Venezia Giulia (dal che deriva perfino l’esposizione
delle Regioni ordinarie all’intervento sostitutivo statale).
Tale prassi
non solo dimostra largamente l’infondatezza dei timori paventati dalla
ricorrente rispetto al significato delle disposizioni impugnate, ma rivela altresì
comportamenti difficilmente conciliabili con i doveri di leale collaborazione.
Dichiarando non fondata la censura, va quindi
ribadito, anche alla luce delle prassi disponibili, che "autonomia speciale”
non significa «potestà di deviare rispetto al comune percorso definito dalla
Costituzione, sulla base della condivisione di valori e principi insensibili
alla dimensione territoriale, tra i quali spicca l’adempimento da parte di
tutti dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» (sentenza n. 219 del
2013), dei quali doveri il coordinamento rappresenta la traduzione sul
piano dei rapporti finanziari, anche in ragione della responsabilità che
incombe su tutti i cittadini (sentenza n. 141 del
2015).
Già nella sentenza n. 82 del
2015 (richiamando i principi enucleati dalla sentenza n. 19 del
2015), del resto, questa Corte aveva chiarito – ed è necessario qui
riaffermarlo – che il principio di leale collaborazione, oggi invocato dalle
autonomie speciali, «richiede un confronto autentico, orientato al superiore
interesse pubblico di conciliare l’autonomia finanziaria delle Regioni con
l’indefettibile vincolo di concorso di ciascun soggetto ad autonomia speciale
alla manovra di stabilità, sicché su ciascuna delle parti coinvolte ricade un
preciso dovere di collaborazione e di discussione, articolato nelle necessarie
fasi dialogiche».
Con
riferimento al caso di specie, questa Corte non può conclusivamente esimersi
dall’osservare che la mancata partecipazione delle autonomie speciali all’autocoordinamento (testualmente riferito a tutte le
Regioni), l’assenza di disponibilità alle successive intese bilaterali con lo
Stato, nonché il diniego d’intesa sul documento concernente il contributo alla
finanza pubblica delle Regioni a statuto ordinario per l’anno 2017,
costituiscono comportamenti non ispirati al ricordato dovere di collaborazione
e discussione.
4.4.2.– La Regione autonoma Sardegna addebita al comma 680 dell’art. 1 della legge
n. 208 del 2015, sotto una pluralità di ulteriori profili, la violazione
contestuale: del principio di leale collaborazione; dell’autonomia
economico-finanziaria della Regione, tutelata dagli artt. 5, 81, sesto comma,
116, 117 e 119 Cost. e dagli artt. 7 e 8 dello
statuto; nonché dell’art. 3 Cost., per lesione del principio di ragionevolezza,
del principio di eguaglianza e di affidamento, quest’ultimo tutelato, per il
tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., anche dagli artt. 6 e 13 della CEDU.
Comune
punto di riferimento delle censure è l’accordo stipulato con lo Stato il 21
luglio 2014, recepito dall’art. 42, commi da 9 a 13, del decreto-legge 12
settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la
realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione
burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle
attività produttive), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre
2014, n. 164.
Tale
accordo sarebbe stato infranto dallo Stato, derivandone la lesione dei vari
parametri indicati.
4.4.2.1.– Risulterebbe, in primo
luogo, violato il legittimo affidamento maturato dalla Regione autonoma
Sardegna sulla «stabilità del quadro di regolamentazione dei rapporti economici
con lo Stato».
È noto che, secondo la giurisprudenza
costituzionale, il valore del legittimo affidamento nella certezza dei rapporti
giuridici – la cui nozione appare sovrapponibile a quella maturata in ambito
europeo, «stante la sostanziale coincidenza degli indici sintomatici della
lesione del principio dell’affidamento elaborati nella giurisprudenza di questa
Corte e in quella delle Corti europee» (sentenze n. 16 del
2017 e n.
203 del 2016) – trova copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., non già,
tuttavia, in termini assoluti e inderogabili. Per un verso, infatti, la
posizione giuridica che dà luogo a un ragionevole affidamento nella permanenza
nel tempo di un determinato assetto regolatorio deve risultare adeguatamente
consolidata, sia per essersi protratta per un periodo sufficientemente lungo,
sia per essere sorta in un contesto sostanziale atto a far sorgere nel
destinatario una ragionevole fiducia nel suo mantenimento. Per altro verso,
interessi pubblici sopravvenuti possono esigere interventi normativi diretti a
incidere in senso sfavorevole anche su posizioni consolidate – con il limite
della proporzionalità dell’incisione rispetto agli obiettivi di interesse
pubblico perseguiti (sentenza n. 56 del
2015) – o su assetti regolatori precedentemente definiti (ex plurimis, sentenza n. 216 del
2015).
Poste queste premesse, la
questione deve essere dichiarata non fondata.
L’accordo concluso tra lo Stato
e la Regione autonoma Sardegna, infatti, va ascritto al cosiddetto
coordinamento dinamico della finanza pubblica, concernente le singole misure
finanziarie adottate per il governo di quest’ultima, come tali soggette a
periodico adeguamento.
Ciò esclude la possibilità di
riconoscere, in generale, un affidamento tutelabile in ordine all’immutabilità
delle relazioni finanziarie tra Stato e Regioni. Non è, infatti, coerente con
il carattere dinamico del coordinamento finanziario impedire alla legislazione
statale di introdurre – fermo il metodo pattizio per le autonomie speciali –
nuovi contributi alla finanza pubblica, ove non espressamente esclusi dagli
accordi stipulati. La volontà manifestata in sede negoziale non comporta una
rinuncia, da parte dello Stato, al successivo esercizio della propria potestà
di coordinamento finanziario.
Si tratta, piuttosto, di
verificare se l’accordo concluso tra Stato e Regione autonoma Sardegna
escludesse espressamente, o meno, la possibilità di imporre ulteriori
contributi al risanamento dei conti pubblici.
A tale proposito, come già
evidenziato in sede di scrutinio del ricorso proposto dalla Regione
Friuli-Venezia Giulia, tra gli accordi conclusi dallo Stato con le autonomie
speciali nel corso del 2014, soltanto quello stipulato con le autonomie della
Regione Trentino-Alto Adige, non solo esibisce un orizzonte temporale esteso
fino al 2022, ma, soprattutto, esclude testualmente la possibilità di apportare
modifiche peggiorative, con la sola salvezza della ricorrenza di esigenze
eccezionali di finanza pubblica, ma, in tal caso, per importi già
predeterminati nelle clausole del patto.
Il comma 9 dell’art. 42 del
d.l. n. 133 del 2014, come convertito, nel recepire, invece, l’accordo concluso
dalla Regione autonoma Sardegna con lo Stato, ha fissato l’obiettivo di finanza
pubblica cui avrebbe dovuto concorrere la Regione solo per il 2014, limitandosi
ad imporre, per gli anni dal 2015 in poi, l’obbligo di conseguire «il pareggio
di bilancio come definito dall’articolo 9 della legge n. 243 del 2012»,
dunque inteso come saldo non negativo,
in termini di competenza e di cassa, tra le entrate finali e le spese finali. E
ciò non esclude, di per sé, l’imposizione di ulteriori contributi al
risanamento della finanza pubblica.
Resta fermo, ovviamente, il
vincolo del metodo pattizio, garantito, nella specie, dal terzo periodo del
comma 680, come ampiamente esposto in precedenza.
4.4.2.2.– Le argomentazioni da
ultimo illustrate consentono di ritenere non fondate anche le ulteriori censure
proposte dalla Regione autonoma Sardegna, che ha ipotizzato, da un lato, la
violazione del principio di ragionevolezza, a causa dell’assenza di un adeguato
meccanismo di recupero, anche ex post,
della leale collaborazione nei rapporti economico-finanziari, dall’altro la
violazione dell’art. 81, sesto comma, Cost., per l’asserita lesione del
principio consensualistico nella definizione dei
criteri di «equilibrio» dei bilanci delle autonomie speciali.
4.4.2.3.– Ancora, secondo la
Regione autonoma Sardegna, la salvaguardia – operata dal quinto periodo del
comma 680 – del solo accordo stipulato tra Stato e Regione autonoma
Trentino-Alto Adige e Province autonome evidenzierebbe la violazione del
principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., alla luce dell’art. 116
Cost., che riconosce l’autonomia differenziata di tutte le Regioni a statuto
speciale, e non solo di alcune di esse.
Per mostrare
la non fondatezza anche di tale censura è sufficiente ricordare la peculiarità
dell’accordo concluso con le autonomie della Regione Trentino-Alto Adige,
idonea a giustificarne l’isolata menzione nel quinto periodo del comma 680.
Peraltro,
come già evidenziato in relazione all’analoga censura avanzata dalla Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia, il rilievo di tale accordo, per gli specifici e
concreti contenuti che presenta, non è in grado di incidere sul principio
dell’eguale riconoscimento e della parità di posizione di tutte le autonomie
differenziate rispetto alle richieste di contribuire agli equilibri della
finanza pubblica.
4.4.3.– La
Regione autonoma Sardegna ha anche prospettato il riproporsi di quella
condizione di «emergenza finanziaria» – che sarebbe stata riconosciuta da
questa stessa Corte nelle sentenze n. 95 del
2013, n. 99
e n. 118 del
2012 (relative alla cosiddetta "vertenza entrate”) – provocata soprattutto
dall’inerzia dello Stato nel dare esecuzione alle previsioni di cui all’art. 8
dello statuto speciale.
L’imposizione
del nuovo contributo al risanamento della finanza pubblica avrebbe reso
impossibile l’esercizio delle funzioni attribuite dalla Costituzione, dallo
statuto e dalla legge, con violazione, ancora una volta, degli artt. 7 e 8
dello statuto e degli artt. 117 e 119 Cost.
L’onere –
gravante sulla ricorrente (ex plurimis, e tra le più recenti, sentenze n. 205,
n. 151, n. 127 e n. 65 del 2016)
– di provare l’impossibilità di esercitare le suddette funzioni, tuttavia, non
è stato adeguatamente assolto.
Non è
sufficiente, infatti, richiamare sic et
simpliciter la situazione di «emergenza finanziaria» prospettata nei
ricorsi decisi con le ricordate sentenze di questa Corte relative alla
cosiddetta "vertenza entrate”. Essa è stata superata proprio in conseguenza dei
vantaggi ottenuti con l’accordo stipulato in data 21 luglio 2014, dei cui
obblighi, come detto, non può sostenersi l’inadempienza da parte dello Stato. È
il caso di aggiungere, poi, che all’attuazione dell’art. 8 dello statuto di
autonomia il legislatore ha dato corso con il decreto legislativo 9 giugno
2016, n. 114 (Norme di attuazione dell’articolo 8 dello Statuto speciale della
Regione autonoma della Sardegna – legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3,
in materia di entrate erariali regionali), con disposizioni applicabili «a
decorrere dal 1° gennaio 2010» (in virtù dell’art. 18), in tal modo eliminando
la principale causa degli squilibri finanziari individuata dalla ricorrente.
4.4.4.– Parimenti non fondata,
infine, è la questione promossa con riferimento all’art. 136 Cost.
A giudizio della ricorrente, le
sentenze con le quali questa Corte ha scrutinato la cosiddetta "vertenza
entrate” avrebbero «accertato e dichiarato che lo Stato aveva e ha un preciso e
specifico obbligo giuridico di definire consensualmente con la Regione il
regime dei loro rapporti economico-finanziari»: un obbligo giuridico, dunque,
al quale lo Stato non potrebbe sottrarsi, sicché, una volta concluso l’accordo
in data 21 luglio 2014, non sarebbe possibile ignorarne le clausole, pena la
violazione del giudicato costituzionale.
In primo
luogo, risulta erroneo il presupposto della censura, costituito dalla presunta
violazione, da parte dello Stato, del citato accordo: si è già evidenziato,
infatti, che esso non escludeva affatto la possibilità di imporre ulteriori
contributi al risanamento finanziario, purché fosse rispettato il metodo
pattizio, nella specie garantito con la previsione di apposite intese da
concludere con tutte le autonomie speciali, inclusa la Regione Sardegna.
In ogni
caso, le sentenze richiamate dalla ricorrente non avevano imposto alcun vincolo
pattizio, potendo, al più, valere per la Regione Sardegna il principio
enunciato in riferimento a tutte le autonomie speciali (ed in precedenza pure
illustrato), secondo cui, nelle relazioni finanziarie occorre adottare il
metodo consensuale, suscettibile di deroga ove non recepito negli statuti (come
avviene nel caso della Regione autonoma Sardegna, e come dalla stessa
riconosciuto nel ricorso).
4.5.– Le questioni sollevate con il ricorso proposto dalla Regione siciliana
sono in parte inammissibili ed in parte non fondate.
4.5.1. - È
innanzitutto inammissibile la censura di violazione dell’art. 81, sesto comma,
Cost. in quanto essa è espressamente ricollegata dalla
ricorrente all’effetto delle disposizioni di cui ai commi 681 e 682, non
applicabili in realtà alla Regione siciliana per le ragioni illustrate in
precedenza al punto 3.10.
4.5.2.– Quanto al comma 680, la censura fondata sulla violazione degli artt. 36
dello statuto e 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 si basa sul presupposto, privo di
qualsiasi sostegno argomentativo, che si sia in presenza di una riserva in
favore dello Stato di risorse proprie della Regione siciliana. È invece del
tutto evidente che la disposizione impugnata impone, anche alle autonomie
speciali, un contributo al risanamento della finanza pubblica, e a fronte di
questa evidenza la ricorrente avrebbe dovuto spiegare in che senso essa ravvisi
invece una riserva di risorse a favore dello Stato.
Tale onere
motivazionale non è stato in alcun modo assolto, derivandone l’inammissibilità
della questione (in senso analogo, sentenza n. 127 del
2016).
4.5.3.– Non fondata, invece, è la censura concernente l’asserita violazione del
principio di leale collaborazione e del metodo pattizio, di cui all’art. 43
dello statuto, esclusa, infatti, dalla precisa disposizione del terzo periodo
del comma 680, che prevede il raggiungimento di un’intesa con ciascuno degli
enti ad autonomia differenziata.
Infine,
nessuna prova è stata fornita dalla Regione siciliana, sulla quale pure
incombeva il relativo onere, in ordine all’impossibilità, asseritamente
conseguente all’imposizione del contributo contestato, di attendere alle
proprie funzioni: ne consegue la non fondatezza della questione.
4.6.– La Regione Veneto impugna i commi 680, 681 e 682 dell’art. 1 della legge
n. 208 del 2015 per asserito contrasto con gli artt. 3, 32, 117, terzo comma, e
119 Cost., nonché con il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5
e 120 Cost.
La
ricorrente ripropone, talvolta con identica motivazione, le argomentazioni
contenute in precedenti ricorsi e, in particolare, in quelli presentati contro
l’analogo meccanismo di partecipazione al risanamento dei conti pubblici
previsto dall’art. 46, comma 6, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito e come
modificato dalla legge n. 190 del 2014.
4.6.1.– Gran parte delle censure possono essere dunque decise richiamando le
motivazioni delle sentenze di questa Corte – n. 65 e n. 141 del 2016
– che quei ricorsi hanno definito.
Quanto, in
particolare, alla mancanza di proporzionalità dei «tagli», al loro asserito
carattere «meramente lineare» e al lamentato difetto di istruttoria in ordine
ai risparmi conseguiti dalle Regioni già considerate virtuose, nelle sentenze n. 65
e n. 141 del
2016 questa Corte ha già affermato – con argomentazioni riferite ad una
disciplina legislativa del tutto analoga a quella scrutinata in questa sede –
che le disposizioni allora impugnate non impongono di effettuare riduzioni di
identica dimensione in tutti i settori di spesa, ma semplicemente richiedono di
intervenire in ciascuno di questi, limitandosi ad individuare un importo
complessivo di risparmio, lasciando in primo luogo alle Regioni il potere di
decidere l’entità dell’intervento in ogni singolo ambito.
Non è
affatto escluso, dunque, che la riduzione avvenga prevedendo risparmi maggiori
proprio nei settori in cui la spesa sia risultata improduttiva, eventualmente
evitando di coinvolgere in modo rilevante, e nella medesima misura, gli ambiti
in cui la spesa si sia rivelata, al contrario, efficiente. Risulta in tal modo
smentito l’asserito carattere irragionevole dell’intervento legislativo
statale.
Quanto al
preteso contrasto con l’art. 119 Cost., occorre
riaffermare che non è contestabile il potere del legislatore statale di imporre
agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi
nazionali, condizionati anche dagli obblighi derivanti dall’appartenenza
all’Unione europea, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si
traducano, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa. Di
conseguenza, la funzione di coordinamento finanziario prevale su tutte le altre
competenze regionali, anche residuali, risultando legittima l’incidenza dei
principi statali di coordinamento, sia sull’autonomia di spesa delle Regioni,
sia su ogni tipo di potestà legislativa regionale.
Quanto al
presunto «scollamento» tra il livello di finanziamento del fondo sanitario,
«pesantemente ridotto», e la determinazione dei LEA, «evidentemente
sottostimati» da parte dello Stato, è il caso di notare che le argomentazioni a
sostegno della presunta inadeguatezza della stima dell’impatto finanziario dei
nuovi LEA (oggi definiti dal d.P.C.m. 12 gennaio
2017, recante «Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di
assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502») non spiegano in che modo il meccanismo normativo oggetto di
scrutinio aggravi la lamentata situazione di insufficienza di risorse per il
finanziamento del fondo sanitario, essendo rimesso proprio alle Regioni il
compito di individuare gli ambiti di spesa sui quali operare i risparmi imposti
dallo Stato.
In ordine
al mancato coinvolgimento della Conferenza permanente per il coordinamento
della finanza pubblica, ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 42 del
2009 e dell’art. 33 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni
in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle
province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel
settore sanitario), è qui da ricordare che, pur dovendosi riconoscere
l’inevitabile incidenza sull’autonomia finanziaria delle Regioni dell’obbligo
ad esse imposto di concorrere alla finanza pubblica, è necessario, ma anche
sufficiente, «contemperare le ragioni dell’esercizio unitario di date competenze
e la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite» alle autonomie (sentenza n. 139 del
2012), garantendo il loro pieno coinvolgimento (sentenza n. 88 del
2014). E, come pure già rilevato da questa Corte (sentenza n. 65 del
2016), tale coinvolgimento è assicurato da disposizioni, come quelle censurate,
che riconoscono, nella fase iniziale, un potere di determinazione autonoma, da
parte delle Regioni, in ordine alla modulazione delle necessarie riduzioni nei
diversi ambiti di spesa (sentenza n. 141 del
2016).
In
relazione alle doglianze concernenti la previsione del PIL regionale come
criterio di riparto in caso di intervento "sostitutivo” statale, nella sentenza n. 141 del
2016 questa Corte ha già escluso che esso realizzi un effetto perequativo,
in contrasto con i requisiti fissati dal terzo e dal quinto comma dell’art. 119
Cost. La previsione mira piuttosto a coinvolgere tutti gli enti nell’opera di
risanamento, secondo criteri di "progressività” dello sforzo, proporzionati
alla dimensione del PIL e della popolazione.
Per tutti
questi profili, del resto, la stessa Regione Veneto, nella memoria illustrativa
depositata in prossimità dell’udienza pubblica, ha riconosciuto che occorre
«prendere atto di quanto affermato nella sentenza n. 141 del
2016». Ha, peraltro, evidenziato che all’auspicio, ivi contenuto, di tenere
conto dei costi e dei fabbisogni standard regionali già in sede di autocoordinamento, non è stato dato seguito nell’intesa
raggiunta in data 11 febbraio 2016. Si tratta qui, tuttavia, di particolari
modalità di applicazione in concreto di quanto previsto dalla disposizione, non
imputabili ad essa e che non possono incidere sulla sua legittimità
costituzionale.
In ogni
caso, quanto alla mancanza di un esplicito riferimento, nella disposizione
censurata, ai costi ed ai fabbisogni standard regionali, questa Corte, nella
sentenza n. 141 del 2016, ha già chiarito che tale carenza non impedisce
l’impiego anche di tali criteri per la distribuzione della riduzione di spesa:
anzi, è da ribadire che proprio la necessaria considerazione delle risorse
destinate al finanziamento corrente del Servizio sanitario nazionale ben può
consentire alle Regioni, già in sede di autocoordinamento,
ed eventualmente allo Stato, in sede di intervento sussidiario, di tenere conto
dei costi e dei fabbisogni standard regionali, in modo da onerare maggiormente
le Regioni caratterizzate da una "spesa inefficiente”.
È opportuno
chiarire – alla luce di quanto in contrario sostenuto, in udienza pubblica,
dalla difesa della Regione Veneto – che non muta i termini della questione il
recente d.l. n. 50 del 2017. In realtà, l’art. 24, comma 2, lettere a) e b),
di tale decreto-legge ha soppresso – a decorrere dall’anno 2018 – i periodi
dell’art. 46, comma 6, del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, e del comma
680 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015, che prevedevano appunto
l’intervento sostitutivo statale. Esso ha contestualmente aggiunto due commi,
il 534-bis e il 534-ter, all’art. 1 della legge n. 232 del
2016: il comma 534-ter, nel
disciplinare ex novo l’intervento
statale sostitutivo, in caso di mancato raggiungimento dell’intesa in
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano, si è limitato a rendere prioritaria – rispetto
al riferimento al PIL ed alla popolazione residente – la considerazione dei
fabbisogni standard come approvati ai sensi del meccanismo introdotto dal comma
534-bis. Da ciò non può certamente
dedursi l’impossibilità di operare analoga valutazione (pur senza la priorità,
prevista come necessaria dal 2018) anche nel regime precedente.
4.6.2.– Rispetto alle decisioni assunte da questa Corte con le sentenze n. 141
e n. 65 del 2016,
profili di novità sono rilevabili nelle censure relative al comma 681 dell’art.
1 della legge n. 208 del 2016, anche alla luce delle argomentazioni sviluppate
nella memoria illustrativa depositata nell’imminenza dell’udienza pubblica.
4.6.2.1.–
Secondo la Regione Veneto, in particolare, le disposizioni impugnate
travalicherebbero la funzione del «coordinamento» della finanza pubblica,
concretizzandosi, piuttosto, in misure di indiscriminato «contenimento»,
risultando, però, prive degli indispensabili elementi di razionalità, proporzionalità,
efficacia e sostenibilità, poiché, data l’entità «dei tagli attuati dal Governo
sulla spesa regionale», sarebbe stato
reso impossibile lo svolgimento delle funzioni attribuite alla Regione.
Secondo la
ricorrente, proprio la rideterminazione, al ribasso (rispetto alla cifra
prevista, per il 2016, dalla legge n. 190 del 2014), del livello di
finanziamento del Servizio sanitario nazionale, starebbe a dimostrare
l’insostenibilità dell’ulteriore riduzione di risorse, a fronte del progressivo
aumento della «domanda di salute legato all’incremento del benessere e
all’invecchiamento della popolazione».
A riprova
dell’assunto, la Regione Veneto ha depositato documentazione attestante una
«perdita previsionale» delle aziende del Servizio sanitario regionale pari a
566,8 milioni di euro per il 2016, con conseguente necessità di approvare un
piano straordinario di revisione della spesa, contenente azioni correttive
volte al miglioramento dei risultati dei bilanci aziendali. Tra queste ultime,
la ricorrente individua, in particolare, la definizione di un limite di costo
per il trattamento dell’epatite C cronica e la sospensione della procedura di
accreditamento di numerose strutture sanitarie dedicate alle «cure intermedie»,
volte a garantire assistenza ai pazienti colpiti da malattie non più trattabili
in ospedale in fase acuta, ma non ancora affidabili all’assistenza domiciliare
integrata, entrambi obiettivi reputati strategici dalla Regione Veneto.
La censura
non è fondata.
Non sfugge
affatto a questa Corte come, in astratto considerati, gli interventi finanziari
statali, di cui qui si ragiona in termini di competenze normative e di cifre,
possono determinare ricadute sull’intensità con la quale le Regioni concorrono
ad assicurare la garanzia di alcuni fondamentali diritti, quale quello alla
salute. Proprio per questo, la giurisprudenza costituzionale ha sottolineato
l’utilità della determinazione, da parte statale, dei livelli essenziali delle
prestazioni per i servizi concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Tale determinazione, proprio
in ambito sanitario, è avvenuta di recente con il d.P.C.m.
12 gennaio 2017, ed essa offre, dunque, alle Regioni un significativo criterio
di orientamento nell’individuazione degli obbiettivi e degli ambiti di
riduzione delle risorse impiegate, segnalando altresì il limite al di sotto del
quale la spesa – sempreché resa efficiente – non sarebbe ulteriormente
comprimibile (sentenza
n. 65 del 2016).
Alla luce
di questo presupposto, nel caso di specie la Regione Veneto non prospetta
l’impossibilità di assicurare un livello di offerta delle prestazioni
corrispondente ai LEA, bensì difficoltà nell’erogazione di specifiche ed
ulteriori prestazioni. D’altro
canto, il contributo imposto alle Regioni ordinarie determina una contrazione
complessiva del livello della spesa, ma non è e non potrebbe essere indirizzato
ad incidere, in dettaglio, sui singoli ambiti di questa. Rimane perciò a
ciascuna Regione la possibilità di allocare diversamente le risorse tra i vari
campi di intervento, allo scopo di continuare a perseguire obiettivi
considerati strategici, anche nei settori che la ricorrente esplicitamente illustra.
4.6.2.2.– Infine, secondo la Regione Veneto, il comma 681 dell’art. 1 della legge n.
208 del 2015, nell’estendere al 2019 il contributo previsto dal comma 6
dell’art. 46 del d.l. n. 66 del 2014, come convertito, già applicato anche al
2018 dall’art. 1, comma 398, lettera a),
n. 2), della legge n. 190 del 2014, si porrebbe in contrasto con specifiche
affermazioni contenute nella sentenza n. 141 del
2016.
In tale
pronuncia, nell’escludere l’illegittimità costituzionale della ricordata
estensione al 2018, questa Corte ha in effetti segnalato come «il costante
ricorso alla tecnica normativa dell’estensione dell’ambito temporale di
precedenti manovre, mediante aggiunta di un’ulteriore annualità a quelle
originariamente previste, finisce per porsi in contrasto con il canone della
transitorietà, se indefinitamente ripetuto».
Tale
contrasto sarebbe aggravato dall’ulteriore estensione al 2020, operata
dall’art. 1, comma 527, della legge n. 232 del 2016, che pure la Regione Veneto
ha autonomamente impugnato, con separato e successivo ricorso. Anch’essa
manifesterebbe l’intento del legislatore statale di incidere «a ripetizione»,
con una forma di «transitorietà permanente», sulla capacità di spesa delle
Regioni, destinata in particolare a soddisfare «la quota prevalente dei servizi
e dei diritti dello Stato sociale, tra cui principalmente il diritto alla
salute», con conseguente violazione dell’art. 32 Cost.
La
disposizione oggi impugnata è entrata in vigore in data anteriore al deposito
della sentenza
n. 141 del 2016, sicché il legislatore statale non poteva aver contezza
delle affermazioni in quest’ultima contenute.
Ciò è
sufficiente per ritenere non fondata la questione, così come promossa in
ricorso e successivamente specificata nella memoria illustrativa. Ma è
necessario rinnovare l’invito al legislatore ad evitare iniziative le quali,
anziché «ridefinire e rinnovare complessivamente, secondo le ordinarie
scansioni temporali dei cicli di bilancio, il quadro delle relazioni
finanziarie tra lo Stato, le Regioni e gli enti locali, alla luce di mutamenti
sopravvenuti nella situazione economica del Paese», si limitino ad estendere, di
volta in volta, l’ambito temporale di precedenti manovre, sottraendo di fatto
al confronto parlamentare la valutazione degli effetti complessivi di queste
ultime.
per questi motivi
LA CORTE
COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità
costituzionale promosse con i ricorsi indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 680, quarto periodo, della legge
28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», promossa, in
riferimento all’art. 104 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del
testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige), dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso
indicato in epigrafe;
2) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 680, quarto periodo, della legge
n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 104 e 107 del d.P.R. n.
670 del 1972, 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia
di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) e 3
della Costituzione, dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato
in epigrafe;
3) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 680, quarto periodo, della legge
n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 3, 5, 119 e 120 Cost., 48,
49 e 50 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia), 27 della legge n. 42 del 2009, 9 della
legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del
pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della
Costituzione), nonché al principio di leale collaborazione, dalla Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia, con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015,
promosse, dalla Regione autonoma Sardegna, in riferimento all’art. 24 Cost., con il ricorso indicato in epigrafe, e, in
riferimento agli artt. 7 e 8 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3
(Statuto speciale per la Sardegna), con la memoria depositata in data 18 aprile
2017;
5) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 680, 681 e 682, della legge n.
208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 81, sesto comma, Cost., 36 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n.
455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), e 2 del d.P.R. 26
luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana
in materia finanziaria), dalla Regione siciliana, con il ricorso indicato in
epigrafe;
6) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 680, 681 e 682, della legge n.
208 del 2015, promosse, in riferimento gli artt. 97, 117, quarto comma, e 118 Cost., 5, comma 1, lettera g), della legge costituzionale 20
aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella
Carta costituzionale), e 11 della legge n. 243 del 2012, dalla Regione Veneto,
con il ricorso indicato in epigrafe;
7) dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015,
come modificato dall’art. 1, comma 528, della legge 11 dicembre 2016, n. 232
(Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio
pluriennale per il triennio 2017-2019), promossa, in riferimento all’art. 119 Cost., dalla regione Veneto, con la memoria depositata il 18
aprile 2017;
8) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 680, quarto e quinto periodo,
della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento all’art. 3 Cost., dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, con il
ricorso indicato in epigrafe;
9) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015,
promosse, in riferimento agli artt. 3, 5, 81, sesto comma, 116, 117, primo
comma, in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre
1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, e terzo
comma, 119 e 136 Cost., 7, 8, 54 e 56 della legge costituzionale n. 3 del 1948,
9 della legge n. 243 del 2012, nonché al principio di leale collaborazione,
dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe;
10) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 680, della legge n. 208 del 2015,
promosse, in riferimento agli artt. 97, primo comma, 119, primo e sesto comma, Cost., e 43 del r.d.lgs. n. 455
del 1946, dalla Regione siciliana, con il ricorso indicato in epigrafe;
11) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 680, 681 e 682, della legge n.
208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 3, 32, 117, terzo comma, e 119 Cost.,
nonché al principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost.,
dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso
in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9
maggio 2017.
F.to:
Paolo GROSSI,
Presidente
Nicolò ZANON,
Redattore
Filomena PERRONE,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 4 luglio 2017.