SENTENZA N. 202
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 424, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), promossi dalle Regioni Lombardia, Puglia e Veneto, con ricorsi notificati il 26 febbraio-3 marzo 2015, il 27 febbraio-5 marzo 2015 ed il 27 febbraio 2015, depositati in cancelleria il 5, il 6 ed il 9 marzo 2015, e rispettivamente iscritti ai nn. 33, 38 e 42 del registro ricorsi 2015.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 3 maggio 2016 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi;
uditi gli avvocati Francesco Saverio Marini per la Regione Lombardia, Marcello Cecchetti per la Regione Puglia, Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Stefano Varone per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso spedito per la notificazione il 27 febbraio 2015, ricevuto il successivo 5 marzo e depositato il 6 marzo 2015 (reg. ric. n. 38 del 2015), la Regione Puglia ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra le altre, dell’art. 1, comma 424, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), in riferimento agli artt. 3, primo comma, 97, secondo comma, 114, secondo comma, 117, secondo comma, lettera p), quarto e sesto comma, 118, primo comma, e 119, primo e quarto comma, della Costituzione.
La disposizione impugnata, nel testo vigente al momento della proposizione del ricorso, prevede: «Le regioni e gli enti locali, per gli anni 2015 e 2016, destinano le risorse per le assunzioni a tempo indeterminato, nelle percentuali stabilite dalla normativa vigente, all’immissione nei ruoli dei vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate alla data di entrata in vigore della presente legge e alla ricollocazione nei propri ruoli delle unità soprannumerarie destinatarie dei processi di mobilità. Esclusivamente per le finalità di ricollocazione del personale in mobilità le regioni e gli enti locali destinano, altresì, la restante percentuale della spesa relativa al personale di ruolo cessato negli anni 2014 e 2015, salva la completa ricollocazione del personale soprannumerario».
Tale norma si collega al processo di riordino delle Province e delle Città metropolitane previsto dalla legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), che comporta, anche in forza dell’art. 1, comma 421, della legge n. 190 del 2014, una riduzione del personale di questi enti e la ricollocazione dei dipendenti nei ruoli dell’amministrazione regionale e degli enti locali.
La Regione Puglia contesta, anzitutto, che lo Stato abbia un titolo di competenza che ne legittimi l’intervento legislativo in tale materia, da ricondursi invece, secondo la ricorrente, all’art. 117, quarto comma, Cost., in tema di «organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti locali». Sarebbe perciò violato quest’ultimo parametro costituzionale insieme all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., perché si esulerebbe dalle competenze statali ivi indicate. Sotto questo profilo, rimanendo compressa la «potestà di autorganizzazione degli enti territoriali», si determinerebbe anche la violazione degli artt. 114, secondo comma, 117, sesto comma, e 118, primo comma, Cost.
Inoltre, la norma impugnata introdurrebbe un vincolo di spesa «positivo», costringendo le Regioni e gli enti locali ad impiegare risorse stanziate in bilancio per le finalità stabilite dalla normativa statale, con lesione degli artt. 117, secondo comma, lettera p), e 119, primo comma, Cost., sotto il profilo dell’autonomia finanziaria di spesa degli enti territoriali.
Infine, la ricorrente rileva che l’obbligo di assumere il personale indicato dalla disposizione censurata non permetterebbe di acquisire, con appositi concorsi, le professionalità in concreto necessarie alla Regione e agli enti locali, e si tradurrebbe così in una violazione dei principi di ragionevolezza (art. 3, primo comma, Cost.) e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97, secondo comma, Cost.).
2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato in parte inammissibile e in parte infondato.
L’Avvocatura rileva anzitutto l’inammissibilità delle censure basate sugli artt. 3 e 97 Cost., perché questi articoli non attengono al riparto delle competenze legislative.
Nel merito, osserva che la norma impugnata si giustifica alla luce del processo di riordino delle Province e delle Città metropolitane avviato dalla legge n. 56 del 2014, in relazione al quale questa Corte, con la sentenza n. 50 del 2015, avrebbe già affermato che le disposizioni sul ricollocamento del personale attengono alla competenza esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile».
Queste disposizioni, inoltre, sono predisposte a «garantire la salvaguardia dei livelli occupazionali» e il diritto al lavoro, mediante un meccanismo di mobilità tra amministrazioni che solo la legislazione statale potrebbe regolare, anche in un’ottica di contenimento della spesa pubblica. Quest’ultimo rilievo permetterebbe di ricondurre la norma impugnata anche alla competenza concorrente dello Stato in materia di «coordinamento della finanza pubblica», e non alla «mera organizzazione» degli enti territoriali.
3.– Con ricorso spedito per la notificazione il 26 febbraio 2015, ricevuto il successivo 3 marzo e depositato il 5 marzo 2015 (reg. ric. n. 33 del 2015), anche la Regione Lombardia ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra le altre, dell’art. 1, comma 424, della legge n. 190 del 2014, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost.
La ricorrente premette che la norma impugnata tradisce le finalità della legge n. 56 del 2014, perché obbliga gli enti territoriali a far fronte al riordino di Province e Città metropolitane con risorse proprie.
La disposizione censurata, precludendo il reclutamento di personale diverso da quello ivi indicato, realizzerebbe «surrettiziamente un blocco generalizzato delle nuove assunzioni», lesivo dell’art. 117, terzo comma, Cost., dato che sarebbe stato adottato un intervento di coordinamento della finanza pubblica di carattere dettagliato.
Sarebbe poi leso l’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto l’incisione delle dotazioni organiche degli enti territoriali andrebbe ricondotta alla materia «ordinamento ed organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti locali», di carattere residuale.
Infine, sarebbero violati gli artt. 118 e 119 Cost., perchè l’obbligo di assumere il personale da ricollocare precederebbe la compiuta allocazione delle funzioni amministrative presso gli enti territoriali, conseguente alla legge n. 56 del 2014. In tal modo, tale allocazione sarebbe condizionata dalle dotazioni organiche disponibili, al contrario di quanto dovrebbe accadere (art. 118 Cost.), e potrebbe produrre «oneri ingiustificati, o, all’opposto, l’impossibilità di assicurare la integrale copertura» degli oneri connessi alle funzioni.
4.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e comunque infondato.
L’Avvocatura ribadisce che la norma impugnata concerne, sia il coordinamento della finanza pubblica, sia l’ordinamento civile. Questa Corte avrebbe già più volte ricondotto a tale ultimo titolo le normative sulla mobilità collettiva del pubblico impiego.
5.– Con ricorso notificato il 27 febbraio 2015 e depositato il successivo 9 marzo (reg. ric. n. 42 del 2015), anche la Regione Veneto ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra le altre, dell’art. 1, comma 424, della legge n. 190 del 2014, in riferimento agli artt. 3, 35, 97, 114, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione.
La ricorrente, pur dichiarando di impugnare i commi da 421 a 428 della legge n. 190 del 2014, incentra le sue censure esclusivamente sul comma 421, che riduce l’organico di Province e Città metropolitane, e sul comma 428, che potrebbe comportare il mancato riassorbimento di tutto il personale in soprannumero; non argomenta invece in modo specifico con riferimento al comma 424.
6.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato.
L’Avvocatura ribadisce quanto aveva già osservato a proposito dei precedenti ricorsi e sostiene che la norma impugnata esprime un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica.
7.– Nell’imminenza dell’udienza pubblica, la Regione Puglia ha depositato una memoria, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
La ricorrente nega, anzitutto, che sia satisfattivo delle pretese avanzate il sopraggiunto art. 4, comma 2-bis, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2015, n. 125.
Nel merito, oltre a ribadire quanto osservato nel ricorso, la Regione Puglia sottolinea che la norma impugnata non ha attinenza con l’ordinamento civile, posto che non disciplina una procedura di mobilità del personale, ma determina un obbligo di assunzione che «concerne esclusivamente la fase precedente alla costituzione stessa del rapporto di lavoro subordinato». Sarebbe perciò incoerente il richiamo, operato dall’Avvocatura generale dello Stato, alla sentenza di questa Corte n. 17 del 2014.
Inoltre la norma impugnata imprimerebbe un vincolo di destinazione nell’impiego di risorse regionali, che questa Corte riterrebbe consentito nelle sole materie oggetto di potestà legislativa esclusiva dello Stato.
Al contrario, la norma impugnata sarebbe da ascrivere alla potestà residuale della Regione in materia di organizzazione amministrativa degli uffici regionali e degli enti locali.
8.– Anche la Regione Lombardia ha depositato una memoria, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
La ricorrente osserva che l’Avvocatura generale dello Stato non ha replicato alle censure, se non con argomenti privi di pertinenza.
In particolare non sarebbe possibile ascrivere la procedura di mobilità del personale al coordinamento della finanza pubblica, in quanto la norma impugnata avrebbe in tale contesto un carattere dettagliato precluso alla normativa statale di principio.
La ricorrente aggiunge che la norma impugnata non sarebbe in sintonia con il processo di riordino delle Province di cui alla legge n. 56 del 2014, perché pone a carico delle Regioni il costo del personale soprannumerario, mentre l’art. 1, commi da 92 a 96, della legge n. 56 del 2014 stabilisce che le Province devono trasferire le corrispondenti dotazioni economiche agli enti che ne assorbono il personale soprannumerario.
9.– Anche la Regione Veneto ha depositato una memoria, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
La ricorrente afferma che l’illegittimità della norma impugnata deriva in via consequenziale da quella dell’art. 1, comma 421, della legge n. 190 del 2014, eccede i limiti dei principi di coordinamento della finanza pubblica e invade la competenza residuale della Regione in materia di organizzazione amministrativa.
Considerato in diritto
1.– Le Regioni Lombardia (reg. ric. n. 33 del 2015), Puglia (reg. ric. n. 38 del 2015) e Veneto (reg. ric. n. 42 del 2015) hanno promosso questioni di legittimità costituzionale, tra le altre, dell’art. 1, comma 424, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), in riferimento agli artt. 3, primo comma, 35, 97, secondo comma, 114, 117, secondo comma, lettera p), terzo, quarto e sesto comma, 118, 119, primo e quarto comma, e 120 della Costituzione.
La disposizione impugnata prevede, per quanto interessa, che «[l]e regioni e gli enti locali, per gli anni 2015 e 2016, destinano le risorse per le assunzioni a tempo indeterminato, nelle percentuali stabilite dalla normativa vigente, all’immissione nei ruoli dei vincitori di concorso pubblico collocati nelle proprie graduatorie vigenti o approvate alla data di entrata in vigore della presente legge e alla ricollocazione nei propri ruoli delle unità soprannumerarie destinatarie dei processi di mobilità».
Essa si inserisce nel processo di riordino delle Province e delle Città metropolitane, avviato con la legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), che comporta, anche in forza dell’art. 1, comma 421, della legge n. 190 del 2014, una riduzione del personale di questi enti.
In base all’art. 1, comma 91, della legge n. 56 del 2014, ferme le funzioni fondamentali indicate dalla medesima legge, gli ulteriori compiti delle Province sono individuati mediante accordo tra lo Stato e le Regioni in sede di Conferenza unificata. Le Regioni sono tenute a dare attuazione all’accordo entro sei mesi, in base all’art. 1, comma 95, della legge n. 56 del 2014. I criteri generali per selezionare i beni, le risorse e il personale da trasferire agli enti che subentrano alle Province nell’esercizio delle funzioni sono a propria volta determinati su intesa tra lo Stato e il sistema regionale, ai sensi dell’art. 1, comma 92, della medesima legge.
È stato così adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 settembre 2014 (Criteri per l’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse con l’esercizio delle funzioni provinciali), recante, tra l’altro, i criteri generali per l’individuazione delle risorse umane da trasferire (art. 4).
La legge impugnata conduce a compimento la fase di riallocazione del personale, determinando una riduzione percentuale delle dotazioni organiche delle Province e delle Città metropolitane (art. 1, comma 421). L’art. 1, comma 424, oggetto del ricorso, vincola le risorse di cui dispongono Regioni ed enti locali per le assunzioni a tempo indeterminato, destinandole, oltre che all’immissione in ruolo dei vincitori dei concorsi già espletati, al ricollocamento del personale in mobilità.
Le Regioni Lombardia e Puglia premettono che il ricollocamento dei dipendenti pubblici, conseguente alla riduzione dell’organico, ha preceduto la conclusione del processo di allocazione delle funzioni amministrative, sicché esso non può reputarsi corrispondente al novero dei compiti che effettivamente verranno sottratti alle Province e alle Città metropolitane per essere assegnati alle Regioni e agli enti locali.
Di conseguenza, questi ultimi si troverebbero nella condizione di assumere personale privo delle qualifiche professionali di cui in concreto hanno necessità, in violazione degli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost., oltre che, secondo la Regione Puglia, degli artt. 114, secondo comma, 117, sesto comma, e dei principi di ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione.
Inoltre, le Regioni Lombardia e Puglia lamentano la natura dettagliata della previsione, che sarebbe in contrasto con l’autonomia finanziaria regionale (art. 119, primo comma, Cost. e, secondo la Regione Lombardia, anche art. 117, terzo comma, Cost.).
Infine, la Regione Puglia rileva che la norma censurata non si basa su alcun titolo di competenza legislativa dello Stato, posto che eccede quella indicata dall’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., violando anche quest’ultimo parametro costituzionale.
2.– In via preliminare, va rilevata l’inammissibilità del ricorso della Regione Veneto, che è del tutto privo di un’autonoma motivazione a proposito dei vizi di legittimità costituzionale della norma impugnata. Sono, infatti, tardive le deduzioni svolte solo con la memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica.
3.– Sempre preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità della censura formulata dalla Regione Puglia con riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., perché basata su un parametro che non attribuisce alcuna competenza alla Regione (sentenza n. 116 del 2006). Sono invece ammissibili le censure fondate sugli artt. 3 e 97 Cost., poiché la ricorrente ha adeguatamente motivato per dimostrare la ridondanza di tali profili sull’autonomia organizzativa regionale e locale.
4.– I ricorsi delle Regioni Lombardia e Puglia sono inammissibili, per carenza di motivazione, con riguardo alla parte della disposizione censurata che si riferisce ai vincitori di concorsi già conclusi. I motivi posti a base delle censure sono infatti sviluppati con un continuo e stretto riferimento all’illegittimità della disposizione, nell’ambito del processo di riordino delle funzioni delle Province e delle Città metropolitane. Posto che la posizione dei vincitori concorsuali è del tutto differente, e pone altre implicazioni, sarebbe stata necessaria una autonoma ed esaustiva motivazione per introdurre la doglianza.
5.– Nelle more dei giudizi, l’art. 4, comma 2-bis, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2015, n. 125, ha modificato la disposizione impugnata, permettendo alle Regioni e agli enti locali di bandire concorsi negli anni 2015 e 2016, a certe condizioni, al fine di reperire personale da applicare ai servizi educativi e scolastici.
Lo ius superveniens non è però satisfattivo delle pretese avanzate dalle ricorrenti, perché concerne un solo ambito competenziale di queste ultime, ovvero il settore della scuola, mentre i ricorsi contestano la legittimità del vincolo imposto con riferimento a tutto il personale. In conformità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, le questioni vanno perciò trasferite sul nuovo testo della disposizione impugnata, che continua a rivestire il carattere lesivo attribuitole dalle ricorrenti (ex plurimis, sentenza n. 77 del 2015).
6.– Le questioni non sono fondate.
Allo scopo di vagliare le censure, è necessario ricercare l’eventuale competenza statale da opporre, con carattere di prevalenza, all’autonomia organizzativa e gestionale delle Regioni fondata sull’art. 117, quarto comma, Cost. (sentenza n. 282 del 2002). È infatti evidente che il vincolo imposto, quanto alla individuazione del personale da assumere per gli anni 2015 e 2016, comprime tale autonomia, oltre che quella finanziaria presidiata dall’art. 119 Cost.
A tal fine occorre osservare che la procedura di ricollocamento del personale perdente posto di Province e Città metropolitane è un elemento basilare del processo di riordino di tali enti, su cui questa Corte si è già pronunciata con la sentenza n. 50 del 2015, individuando negli artt. 114 e 117, secondo comma, lettera p), Cost. il fondamento della competenza del legislatore statale.
È infatti chiaro che la ridefinizione delle funzioni amministrative spettanti a Regioni ed enti locali non può prescindere, per divenire effettiva, dalla individuazione delle corrispondenti risorse di beni, di mezzi finanziari e di personale, secondo criteri concordati sulla base di intesa tra lo Stato e le Regioni (art. 1, comma 92, della legge n. 56 del 2014). Perciò si giustifica un intervento del legislatore statale avente ad oggetto, in termini generali, le dotazioni organiche.
Questa Corte, con la sentenza n. 159 del 2016, ha infatti escluso la illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 421, della legge impugnata, con cui è stata determinata la percentuale di personale “perdente posto” presso le Province e le Città metropolitane.
La disposizione censurata risponde alle conseguenti finalità di «evitare la cessazione definitiva del rapporto di lavoro» di chi sia allo stato dipendente pubblico e di ottenere allo stesso tempo «un contenimento della spesa per il personale» (sentenza n. 388 del 2004).
La prima si allaccia alla competenza dello Stato tesa a promuovere, «nel settore del pubblico impiego, condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro di cui all’art. 4 Cost.» (sentenza n. 388 del 2004). Impinge nella discrezionalità legislativa statale, perciò, la scelta di preservare, per quanto possibile, i rapporti di lavoro in corso (art. 1, commi 427 e 428, della legge impugnata), anche alla luce delle competenze professionali che i lavoratori hanno acquisito nel corso degli anni, e che possono tornare utili, quale che sia il livello di governo presso cui sia stata allocata la relativa funzione.
La seconda attiene al coordinamento della finanza pubblica, perché, se le Regioni e gli enti locali potessero assumere nuovo personale per far fronte alle accresciute competenze amministrative, la spesa complessiva relativa a tale voce aumenterebbe, proprio a causa della necessità di preservare al contempo i rapporti di lavoro in corso presso le amministrazioni di provenienza, se del caso per mezzo del tempo parziale, e fino a che ciò sia possibile (art. 1, commi 427 e 428, della legge impugnata).
Naturalmente, una volta rinvenuta la competenza dello Stato nel complesso di disposizioni sopra richiamate, e in particolare nella potestà di dettare principi di coordinamento della finanza pubblica, resta da verificare se essa possa spingersi fino alla compressione dell’autonomia organizzativa e finanziaria delle Regioni sulla scelta del personale da assumere, posto che di regola la procedura di mobilità prevista dall’art. 34-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) conserva in capo ad esse la valutazione relativa all’idoneità del profilo professionale, rispetto alle funzioni da affidare.
Sotto questo aspetto, che coinvolge anche le censure relative agli artt. 3 e 97 Cost., bisogna considerare che la mobilità, nel caso di specie, e diversamente da quanto accade ordinariamente, parte dal presupposto di una ridistribuzione di funzioni amministrative da Province e Città metropolitane verso Regioni ed enti locali, cosicché, in linea tendenziale, questi ultimi si troveranno gravati da compiti ulteriori, ai quali in precedenza assolvevano proprio i dipendenti soggetti alla mobilità.
Si può quindi ragionevolmente presumere, in linea di principio, che sussista un nesso tra la natura delle nuove funzioni e la preparazione professionale del personale da riallocare. Nesso reso più stringente dall’art. 4, comma 1, lettera c), del d.P.C.m. 26 settembre 2014, che permette di individuare i dipendenti anche con riferimento «ai compiti correlati alle funzioni oggetto di trasferimento».
Al fine di selezionare il personale da riassorbire, le Regioni e gli enti locali possono quindi attendere la incipiente conclusione del processo di allocazione delle funzioni amministrative, e nel frattempo, assumendo i vincitori dei concorsi già esauriti, sono in grado di far fronte alle esigenze che non attengono all’accrescimento delle funzioni.
Perciò la disposizione censurata non contrasta con i principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione, né invade la sfera di competenza legislativa regionale, la cui contrazione è un effetto indiretto dell’esercizio della potestà statale complessivamente basata sugli artt. 4, 114, 117, secondo comma, lettera p), e terzo comma, Cost. (sentenze n. 169 del 2007 e n. 417 del 2005).
Inoltre, si deve ritenere che la norma censurata non abbia carattere di dettaglio e costituisca un principio di coordinamento della finanza pubblica, in quanto questa Corte ha da tempo reputato che l’incisione con misure transitorie, da parte dello Stato, di un rilevante aggregato della spesa pubblica, come quella per il personale, interviene a titolo di principio fondamentale della materia (ex plurimis, sentenze n. 18 del 2013 e n. 169 del 2007).
Né si può ritenere che con ciò sia stato imposto un vincolo di destinazione alle risorse finanziarie regionali. La fattispecie è diversa da quella esaminata a più riprese da questa Corte con riferimento ai finanziamenti statali vincolati, relativi ad attività attinenti alla potestà legislativa regionale (sentenze n. 16 del 2004 e n. 370 del 2003). La disposizione censurata, infatti, non convoglia le risorse trasferite dallo Stato alle Regioni verso un impiego che implica la sovrapposizione di un indirizzo politico centrale a quello locale (sentenza n. 423 del 2004), ma opera sulle risorse di cui le Regioni già dispongono a qualsivoglia titolo, rispettandone la destinazione, che resta il frutto di una decisione del livello di governo decentrato, volta alla assunzione a tempo indeterminato di personale. È solo impedita la sua selezione al di fuori della forza lavorativa soprannumeraria e dei vincitori dei concorsi già espletati, nel rispetto della finalità cui la Regione e gli enti locali hanno preposto le risorse economiche disponibili.
L’art. 119 Cost. non è leso neppure in ragione della «impossibilità di assicurare la integrale copertura» delle funzioni regionali e locali, come afferma la Regione Lombardia, posto che la disposizione censurata non attiene né al novero dei compiti propri delle Regioni e degli enti locali, né al livello delle risorse da riservare all’assunzione del personale, ma esclusivamente ai criteri di selezione di quest’ultimo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionali promosse con i ricorsi indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 424, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), nel testo modificato dall’art. 4, comma 2-bis, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78 (Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2015, n. 125, promossa, in riferimento agli artt. 3, 35, 97, 114, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 della Costituzione, dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 424, della legge n. 190 del 2014, nel testo modificato dall’art. 4, comma 2-bis, del d.l. n. 78 del 2015, e nella parte in cui disciplina l’assunzione dei vincitori di concorso pubblico, promosse, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 97, secondo comma, 114, 117, secondo comma, lettera p), terzo, quarto e sesto comma, 118 e 119, primo e quarto comma, Cost., dalle Regioni Lombardia e Puglia, con i ricorsi indicati in epigrafe;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 424, della legge n. 190 del 2014, nel testo modificato dall’art. 4, comma 2-bis, del d.l. n. 78 del 2015, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., dalla Regione Puglia, con il ricorso indicati in epigrafe;
4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 424, della legge n. 190 del 2014, nel testo modificato dall’art. 4, comma 2-bis, del d.l. n. 78 del 2015, e nella parte in cui disciplina l’assunzione delle unità soprannumerarie, promosse, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 97, secondo comma, 114, 117, terzo, quarto e sesto comma, 118 e 119, primo e quarto comma, Cost., dalle Regioni Lombardia e Puglia, con i ricorsi indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 maggio 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giorgio LATTANZI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 luglio 2016.