SENTENZA N. 17
ANNO 2014
Commenti alla decisione di
I. Sandro de Gotzen, Procedure di mobilità nel lavoro pubblico, assegnazione a mansioni superiori dirigenziali tra organizzazione regionale e “ordinamento civile,per g,c. del Forum di Quaderni Costituzionali
II. Rachele Cocciolito, Una pronuncia sulla mobilità dei dirigenti regionali offre lo spunto per riflettere ancora sulla natura e la portata della materia “ordinamento civile”, per g.c. dell’Osservatorio AIC
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1 e 2, commi 5, 6 e 7, della legge della Regione Abruzzo 28 dicembre 2012, n. 71 (Misure per il contenimento dei costi della selezione del personale nella Regione Abruzzo, modifica alla legge regionale n. 91/94 e disposizioni per il funzionamento della Struttura del Servizio di Cooperazione Territoriale – IPA), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 26-28 febbraio 2013, depositato in cancelleria l’8 marzo 2013 ed iscritto al n. 42 del registro ricorsi 2013.
Udito nell’udienza pubblica del 14 gennaio 2014 il Giudice relatore Luigi Mazzella;
udito l’avvocato dello Stato Vincenzo Rago per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 26-28 febbraio 2013, depositato in cancelleria l’8 marzo 2013 e iscritto al n. 42 del registro ricorsi dell’anno 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera l), e terzo, della Costituzione, degli artt. 1, comma 1, e 2, commi 5, 6 e 7, della legge della Regione Abruzzo 28 dicembre 2012, n. 71 (Misure per il contenimento dei costi della selezione del personale nella Regione Abruzzo, modifica alla legge regionale n. 91/94 e disposizioni per il funzionamento della Struttura del Servizio di Cooperazione Territoriale – IPA).
1.1.– Il ricorrente deduce, anzitutto, l’illegittimità costituzionale dellʼart. 1, comma 1, della citata legge regionale. Tale norma, infatti, disponendo la proroga dell’efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici fino al 31 dicembre 2014, si porrebbe in contrasto con l’art. 1, comma 388, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che fissa il predetto termine di scadenza al 30 giugno 2013, così violando l’articolo 117, terzo comma, Cost., nell’ottica del «coordinamento della finanza pubblica», cui la Regione, pur nel rispetto della sua autonomia, non potrebbe derogare.
1.2.– Sarebbero, inoltre, illegittime le disposizioni di cui ai commi 5, 6 e 7 dell’art. 2 della legge reg. n. 71 del 2012, che ha sostituito l’art. 19 della legge della Regione Abruzzo 6 dicembre 1994, n. 91 (Norme sul diritto agli studi universitari in attuazione della legge 2 dicembre 1991, n. 390).
1.2.1.– In particolare, la disposizione di cui al citato comma 5 sarebbe illegittima nella parte in cui stabilisce che, in caso di mancato rinnovo o mancato conferimento dell’incarico al personale dirigente presente nei ruoli delle aziende per il diritto allo studio universitario, tale personale, considerato in esubero, transiti direttamente nei ruoli regionali. E ciò, in quanto tale previsione si discosterebbe dalle procedure previste per le eccedenze di personale dall’art. 33 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), violando, in tal modo, l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva l’«ordinamento civile», e quindi i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile (e dai contratti collettivi), alla competenza esclusiva dello Stato.
1.2.2.– Il ricorrente dubita, infine, della legittimità costituzionale dei commi 6 e 7 dell’art. 2 della legge regionale in oggetto. Tali disposizioni prevedono che, in caso di assenza o impedimento del dirigente, al fine di garantire il funzionamento delle aziende per il diritto allo studio universitario, le funzioni attribuite allo stesso siano svolte, per tutto il tempo dell’assenza o impedimento, dal funzionario con il grado più elevato che abbia i requisiti per l’accesso alla qualifica dirigenziale e che, per il periodo di svolgimento delle predette funzioni, sia riconosciuto a quest’ultimo il trattamento economico spettante al dirigente.
Così riformulati, però, i commi in questione non consentirebbero di ricondurre l’attribuzione delle funzioni in parola né all’istituto della reggenza, né a quello dell’assegnazione di mansioni superiori. Difatti, il ricorrente sostiene che il conferimento delle mansioni superiori non potrebbe essere disposto nei casi in cui queste comportino il passaggio dal livello del comparto a quello della dirigenza, mentre, ove si trattasse di reggenza (come a suo avviso dovrebbe), il reggente non dovrebbe avere diritto all’incremento della retribuzione, come risulta, invece, dall’impugnato comma 7. Per di più, il ricorrente denuncia che il censurato comma 6, disciplinando il periodo dell’assenza o impedimento del dirigente, non specifica che l’attribuzione delle funzioni debba valere, comunque, per il solo tempo necessario a provvedere alla sostituzione del dirigente e non per tutto il tempo in cui perdurino l’assenza o l’impedimento. Anche le predette disposizioni, dunque, violerebbero la normativa vigente in materia di pubblico impiego e, pertanto, il già richiamato art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
2.– La Regione Abruzzo non si è costituita.
Considerato in diritto
1.– Con ricorso notificato il 26-28 febbraio 2013 e depositato in cancelleria l’8 marzo 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera l), e terzo, della Costituzione, degli artt. 1, comma 1, e 2, commi 5, 6 e 7, della legge della Regione Abruzzo 28 dicembre 2012, n. 71 (Misure per il contenimento dei costi della selezione del personale nella Regione Abruzzo, modifica alla legge regionale n. 91/94 e disposizioni per il funzionamento della Struttura del Servizio di Cooperazione Territoriale – IPA).
1.1.– Il ricorrente ha dedotto, in primo luogo, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della citata legge regionale. Esso, infatti, disponendo la proroga dell’efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici fino al 31 dicembre 2014, si porrebbe in contrasto con l’art. 1, comma 388, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che fissa il predetto termine di scadenza al 30 giugno 2013, donde la denunciata violazione dell’articolo 117, terzo comma, Cost., nell’ottica del coordinamento della finanza pubblica asseritamente inderogabile da parte della Regione.
Successivamente alla proposizione del ricorso, tuttavia, la disciplina contenuta nella norma interposta richiamata dal Governo è stata modificata. In particolare, il termine del 30 giugno 2013, già previsto dalla legge di stabilità per il 2013, è stato prorogato prima della scadenza, in un primo momento sino al 31 dicembre 2013, dal d.P.C.m. 19 giugno 2013, recante «Proroga dei termini di scadenza e dei regimi giuridici, adottato in attuazione dell’articolo 1, comma 394, della 24 dicembre 2012, n. 228», che già prevedeva tale possibilità, indi, sino al 31 dicembre 2016, dall’art. 4, comma 4, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazione), convertito, con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 30 ottobre 2013, n. 125.
1.2.– Sarebbero, inoltre, illegittime le disposizioni di cui ai commi 5, 6 e 7 dell’art. 2 della legge reg. n. 71 del 2012, che ha sostituito l’art. 19 della legge della Regione Abruzzo 6 dicembre 1994, n. 91 (Norme sul diritto agli studi universitari in attuazione della legge 2 dicembre 1991, n. 390).
1.2.1.–La disposizione di cui al citato comma 5, perché stabilisce che, in caso di mancato rinnovo o mancato conferimento dell’incarico, il personale dirigente presente nei ruoli delle aziende per il diritto allo studio universitario è considerato in esubero e transita direttamente nei ruoli regionali. Tale previsione sarebbe difforme dalle procedure previste per le eccedenze di personale dall’art. 33 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche). Ne risulterebbe la lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva l’«ordinamento civile», e quindi i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile e dai contratti collettivi, alla competenza esclusiva dello Stato.
1.2.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita, infine, della legittimità costituzionale dei commi 6 e 7 dell’art. 2 della legge regionale in oggetto. Tali disposizioni prevedono che, in caso di assenza o impedimento del dirigente, le funzioni di quest’ultimo siano svolte, per tutto il tempo dell’assenza o impedimento, dal funzionario con il grado più elevato che abbia i requisiti per l’accesso alla qualifica dirigenziale, con riconoscimento al sostituto, per il periodo di svolgimento delle predette funzioni, del trattamento economico spettante al dirigente. In tal modo, però, la normativa vigente in materia di pubblico impiego e, pertanto, il già richiamato art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., sarebbero violati, in quanto l’attribuzione delle funzioni dirigenziali come disciplinata dalla normativa regionale censurata non sarebbe riconducibile né alla “reggenza”, in base alla quale il “reggente” non dovrebbe avere diritto ad alcun incremento retributivo, né all’adibizione a mansioni superiori, nella specie, in tesi, preclusa dal passaggio dal livello del comparto a quello della dirigenza.
2.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 28 dicembre 2012, n. 71 è inammissibile per difetto sopravvenuto d’interesse a ricorrere. Infatti, il descritto mutamento della normativa statale interposta ha prodotto un sostanziale riallineamento alle indicazioni del legislatore statale del termine di scadenza delle graduatorie dei concorsi pubblici previsto dalla disposizione regionale impugnata.
In sostanza, il censurato art. 1, comma 1, della legge reg. n. 71 del 2012, per effetto delle proroghe del termine di efficacia dei concorsi pubblici fissato dalla normativa statale, non ha mai potuto trovare applicazione in un periodo che non fosse stato nelle more coperto dallo ius superveniens incidente sulla norma statale interposta.
Sicché, come già ritenuto da questa Corte in una fattispecie analoga (sentenza n. 32 del 2012), non è più ravvisabile alcun interesse del Governo a coltivare il ricorso sul punto, con conseguente inammissibilità di esso in parte qua.
3.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5, della legge reg. Abruzzo n. 71 del 2012 è, invece, fondata.
Va premesso che, ai sensi dell’art. 18 della legge reg. Abruzzo n. 91 del 1994, ciascuna Azienda regionale per il diritto agli studi universitari (Azienda DSU) dispone di personale proprio in base alla rispettiva pianta organica, anche direttamente assunto «con le modalità e le procedure di cui alla vigente normativa regionale».
La norma regionale impugnata considera in esubero i dirigenti delle aziende per il diritto allo studio universitario, presenti nei ruoli di tali enti, ai quali l’incarico non sia stato rinnovato o conferito. Conseguentemente, essa regola, con una propria disciplina, il passaggio diretto di personale dall’anzidetta azienda regionale alla Regione. Realizza, cioè, una fattispecie che sarebbe, invece, da ascrivere alle eccedenze di personale delle pubbliche amministrazioni e alla mobilità collettiva regolate dal d.lgs. n. 165 del 2001. In particolare, dall’art. 33 – da ultimo novellato dall’art. 16, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2012) – e dal successivo art. 34-bis, aggiunto dall’art. 7, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione).
Una tale ipotesi di trasferimento unilaterale del personale dirigente di ruolo dall’azienda regionale all’amministrazione regionale s’inquadra perfettamente nella dinamica del rapporto di lavoro e del relativo regime ed è, quindi, riconducibile in modo piano alla materia dell’«ordinamento civile». Il predetto passaggio, infatti, opera nell’ambito di una vicenda lavorativa unitaria che ininterrottamente continua alle dipendenze della Regione: alla modificazione soggettiva del rapporto di lavoro, oltre tutto coattiva, non si accompagna la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro.
La norma regionale impugnata, in altre parole, incide su un istituto, quale è la mobilità, che certamente afferisce alla disciplina del rapporto di lavoro pubblico (privatizzato). Essa invade, quindi, una sfera di competenza legislativa che l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. riserva esclusivamente allo Stato. Questa Corte ha più volte ricondotto alla materia dell’«ordinamento civile» le diverse forme e procedure di mobilità nel lavoro pubblico (sentenze n. 68 del 2011 e n. 324 del 2010). Come pure ha escluso che la normativa statale sulla mobilità collettiva si ingerisca nelle scelte delle Regioni e degli enti locali circa le loro esigenze di munirsi di nuovo personale, rilevando trattarsi, piuttosto, di «disciplina necessariamente di competenza dello Stato, in quanto solo lo Stato può emanarne una con efficacia vincolante per tutte le amministrazioni pubbliche, centrali e locali, e far sì in tal modo che gli elenchi del personale in mobilità (delle amministrazioni centrali e locali) non restino tra loro incomunicabili» (sentenza n. 388 del 2004).
Oltre tutto, la disciplina dettata dalla disposizione regionale censurata non è neppure coerente con il regime normativo di fonte statale e negoziale. Difatti, la mobilità d’ufficio cosiddetta obbligatoria – regolata dagli artt. 33 e seguenti del d.lgs. n. 165 del 2001, nonché dalle previsioni della pertinente contrattazione collettiva (per quanto qui rileva, dell’area della dirigenza regionale e, segnatamente, dall’art. 16 del contratto collettivo nazionale di lavoro sottoscritto il 22 febbraio 2006) – mira al riassorbimento delle eccedenze attraverso una procedura così articolata. In primo luogo, si verifica la possibilità di riutilizzare il personale in situazione di eccedenza o di sovrannumero presso l’ente pubblico di appartenenza o altro. In un secondo tempo – una volta appurato che il personale in esubero non possa essere impiegato diversamente nell’ambito della medesima o di altre amministrazioni – si provvede al collocamento di essoin disponibilità per la durata massima di ventiquattro mesi, decorsi i quali il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto. In altri termini, l’art. 33 del d.lgs. n. 165 del 2001 consente che, prima di essere collocati in disponibilità, come pure durante il relativo periodo di sospensione del rapporto di lavoro, i lavoratori dichiarati in eccedenza o insovrannumero («in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione finanziaria, anche in sede di ricognizione annuale») siano ricollocati presso la propria amministrazione (mediante mobilità “interna”) o altre amministrazioni (mediante mobilità collettiva), sempreché, ovviamente, sussista una posizione lavorativa dagli stessi alternativamente occupabile.
La disposizione regionale in oggetto, invece, a fronte di una situazione, quella del dirigente di Azienda DSU sprovvisto d’incarico, che essa stessa definisce “in esubero”, dispone il passaggio diretto nei ruoli regionali di tale dirigente “eccedentario”, ma a prescindere dalla sussistenza, ed anzi – è da ritenere – anche in difetto, di una posizione lavorativa ivi effettivamente disponibile. Ciò può desumersi agevolmente dall’affrancamento della prescritta mobilità automatica di siffatto personale dalla procedura di cui all’art. 33 del d.lgs. n. 165 del 2001 (intesa alla ricerca di ogni concreta possibilità di reimpiego presso l’amministrazione di provenienza o altre, prioritariamente nell’ambito della stessa Regione) e dalla destinazione di esso «tra il personale a disposizione della Direzione “Affari del Personale”».
L’inosservanza della disciplina di legge statale e di derivazione contrattuale collettiva in tema di esuberi e mobilità collettiva rende, dunque, ancora più evidente la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. denunciata in capo alla disposizione in oggetto.
Sicché, dev’essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5, della legge reg. n. 71 del 2012.
4.– Per ragioni analoghe è, altresì, fondata la questione di legittimità dei commi 6 e 7 dell’art. 2 della legge reg. n. 71 del 2012, che dispongono l’assunzione temporanea delle relative funzioni, in caso di assenza o impedimento del dirigente, da parte del funzionario di grado più elevato con i requisiti per l’accesso alla qualifica dirigenziale, con attribuzione a quest’ultimo del trattamento economico spettante al dirigente.
La normativa in oggetto regola una specifica ipotesi di assegnazione di personale ad altre mansioni (nella specie di rango dirigenziale), che tipicamente attiene allo svolgimento del rapporto di lavoro. Ne concreta, cioè, una modificazione temporanea con riguardo al contenuto della prestazione lavorativa. Trattandosi di un mutamento provvisorio di mansioni, la relativa disciplina rientra, dunque, nella materia del rapporto di lavoro e, per esso, dell’ordinamento civile. Con la conseguenza che già per questa sola ragione sussiste la lesione denunciata dal Presidente del Consiglio dei ministri (in tal senso, sentenze n. 213 del 2013 e n. 215 del 2012).
Neppure in questo caso, peraltro, la normativa regionale si conforma a quella statale, quale risulta dalle disposizioni dell’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dalle corrispondenti previsioni della contrattazione collettiva di riferimento.
L’art. 52, comma 2, lettere a) e b), del citato decreto, recepito ed integrato dall’art. 8 del contratto collettivo nazionale di lavoro per il comparto Regioni ed Autonomie Locali, sottoscritto il 14 settembre 2000, consente l’assegnazione di mansioni superiori solamente in due ipotesi: 1) vacanza di posti in organico e per soli sei mesi, massimo dodici, ove siano state avviate le procedure di copertura dei medesimi posti; 2) sostituzione di altro dipendente con diritto alla conservazione del posto (escluse le ferie) per la durata dell’assenza. In tutti gli altri casi la destinazione a mansioni superiori è nulla e comporta responsabilità dirigenziale. Tuttavia, in applicazione del principio della retribuzione proporzionata (alla quantità e qualità del lavoro prestato) di cui all’art. 36 Cost., da sempre ritenuto applicabile anche al pubblico impiego, il lavoratore illegittimamente preposto a mansioni superiori ha pur sempre diritto alla differenza di trattamento con la qualifica più elevata, purché le relative mansioni gli siano state attribuite in modo prevalente sotto il profilo quantitativo, qualitativo e temporale. E ciò, anche se si tratti di conferimento di mansioni dirigenziali a un funzionario, che è reso certamente illegittimo, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, dalla diversità delle “carriere” e dalla considerazione delle specifiche caratteristiche delle posizioni organizzative di livello dirigenziale e delle relative attribuzioni regolate dal contratto di incarico (in tal senso, Cass., Sezione lavoro, sentenze n. 8529 del 2006, n. 10027 del 2007 e n. 16469 del 2007).
La norma regionale impugnata, invece, non solo impone al funzionario di grado più elevato di assumere funzioni dirigenziali «in caso di assenza o impedimento del dirigente derivante da qualsiasi motivo», ma gli riconosce il più favorevole trattamento economico corrispondente indipendentemente dalla valutazione dell’impegno concreto, sotteso all’espletamento delle mansioni superiori, in termini di preminenza qualitativa, quantitativa e temporale.
Inoltre, la stessa nozione di assenza o impedimento – che secondo la disposizione regionale impugnata dà luogo al subentro del funzionario di grado più elevato in possesso dei requisiti per l’accesso alla dirigenza – si prospetta molto più ampia di quella di “assenza con diritto alla conservazione del posto” (per malattia, infortunio o altre cause tipiche di sospensione del rapporto) che in linea di principio giustifica il ricorso alla supplenza con altro personale di rango inferiore. Espressioni come “assenza o impedimento”, infatti, evocano multiformi situazioni contingenti di ostacolo fisico: temporanea lontananza dall’ufficio, l’assenza; svariate difficoltà di ordine pratico, l’impedimento. Ed a tali evenienze si potrebbe sopperire, per la breve durata del loro protrarsi, anche con l’esercizio di potestà vicarie, che non dà luogo al diritto alla retribuzione superiore per il tempo strettamente necessario alla reggenza dell’ufficio transitoriamente sprovvisto del dirigente preposto. La disposizione regionale impugnata risulta, quindi, ulteriormente incongrua anche per il diritto, di contro indiscriminatamente riconosciuto in capo al sostituto per tutta la durata dell’assenza del dirigente sostituito, alla retribuzione di quest’ultimo.
In conclusione, le disposizioni regionali in oggetto, regolando un aspetto specifico del mutamento di mansioni che interviene nel corso del rapporto di lavoro, e facendolo oltretutto in contrasto con l’anzidetta disciplina della legge statale e della contrattazione collettiva di comparto, sconfinano in un ambito, quello dell’«ordinamento civile», che è di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Anche i commi 6 e 7 dell’art. 2 della legge reg. n. 71 del 2012 devono essere, dunque, dichiarati illegittimi.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 5, 6 e 7, della legge della Regione Abruzzo 28 dicembre 2012, n. 71 (Misure per il contenimento dei costi della selezione del personale nella Regione Abruzzo, modifica alla legge regionale n. 91/94 e disposizioni per il funzionamento della Struttura del Servizio di Cooperazione Territoriale – IPA);
2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge reg. Abruzzo n. 71 del 2012, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2014.