SENTENZA N. 99
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo
Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario
Rosario MORELLI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale degli articoli 3, comma 1, 17, comma 9, 18, commi 20 e 23,
lettera c), 20, commi 1 e 2, e 21 della legge della Regione autonoma Sardegna
30 giugno 2011, n. 12 (Disposizioni nei vari settori d’intervento), promosso
dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 29 agosto
2011, depositato in cancelleria il 31 agosto 2011, ed iscritto al n. 85 del
registro ricorsi 2011.
Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma
Sardegna;
udito
nell’udienza pubblica del 3 aprile
2012 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi l’avvocato dello Stato Giacomo Aiello
per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Luciani per la Regione autonoma Sardegna.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso notificato il 29 agosto
2011 e depositato il successivo 31 agosto, il Presidente del Consiglio dei
ministri ha impugnato l’art. 3, comma 1, 17, comma 9, 18, commi 20 e 23,
lettera c), 20, commi 1 e 2, e 21 della legge della Regione autonoma Sardegna
30 giugno 2011, n. 12 (Disposizioni nei vari settori d’intervento).
2.— L’art. 3, comma 1, della legge
impugnata dispone che, «Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 8 dello
Statuto speciale, così come sostituito dal comma 834 dell’articolo 1 della
legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2007), ancorché in assenza
dell’adeguamento delle relative norme di attuazione, a decorrere dall’anno
2010, gli accertamenti delle compartecipazioni regionali ai tributi erariali
sono effettuati anche sulla base degli indicatori disponibili relativi ai
gettiti tributari». Secondo il ricorrente, tale disciplina regolerebbe
unilateralmente dei profili che, al contrario, l’art. 8 dello statuto demanda a
norme di attuazione dello statuto medesimo. Per questa ragione, la normativa
regionale eccederebbe le competenze attribuite alla Regione dagli articoli 4 e
5 dello statuto, ponendosi inoltre in contrasto con il successivo art. 56 dello
stesso, che demanda a una Commissione paritetica l’elaborazione delle norme per
la sua attuazione. In base alla giurisprudenza costituzionale le norme di
attuazione sarebbero, infatti, espressione di una competenza separata e
riservata, prevalente rispetto alle leggi ordinarie, e pertanto non fungibile
con leggi unilateralmente introdotte dalla Regione.
3.— L’art. 17, comma 9, della legge
impugnata, dispone che, ai sensi dell’articolo 6, comma 9, del decreto
legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla
promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e
successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE),
l’installazione e l’esercizio di impianti di generazione elettrica alimentati
da biogas e biometano, siano soggetti alla procedura
abilitativa semplificata, stabilita dall’articolo 6 del decreto legislativo n.
28 del 2011, qualora siano richiesti da: a) imprenditori agricoli professionali
(IAP) iscritti da almeno tre anni alla Camera di commercio; b) giovani
imprenditori agricoli come individuati dall’articolo 3 del decreto legislativo
29 marzo 2004, n. 99 (Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità
aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma
dell’articolo 1, comma 2, lettere d), f), g), l), e e),
della L. 7 marzo 2003, n. 38); c) società agricole, come individuate dal
decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 101 (Ulteriori disposizioni per la
modernizzazione dei settori dell’agricoltura e delle foreste, a norma
dell’articolo 1, comma 2, della legge 7 marzo 2003, n. 38). Inoltre, l’esperimento
della procedura semplificata esige che tali impianti abbiano una capacità di
generazione massima inferiore a 1 MW ed operino in assetto di filiera corta.
L’individuazione dei soggetti che
possono ricorrere a tale procedura semplificata – introdotta dall’art. 12,
commi 3 e 4, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della
direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta
da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) –
contrasterebbe con l’art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 28 del 2011 sulla
promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili. Infatti, tale
disposizione statale, mentre consente alle Regioni e alle Province autonome di
estendere la soglia di applicazione della procedura semplificata agli impianti
di potenza nominale fino ad 1 MW elettrico e di definire i casi in cui, essendo
previste autorizzazioni ambientali o paesaggistiche di competenza di
amministrazioni diverse dal Comune, la realizzazione e l’esercizio dell’impianto
e delle opere connesse sono assoggettate all’autorizzazione unica, non permette
esplicitamente alle Regioni di circoscrivere i soggetti che possono usufruire
della stessa procedura. Per tale ragione, la disposizione impugnata invaderebbe
tanto la competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., cui
afferirebbe la competenza in materia di promozione e sviluppo di fonti
energetiche alternative, quanto l’art. 4, primo comma, lettera e), dello
statuto, che attribuisce alla Regione autonoma Sardegna soltanto una competenza
concorrente in materia di produzione e distribuzione dell’energia elettrica.
4.— L’art. 18, comma 20, prevede che «I
soggetti di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460
(Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle
organizzazioni non lucrative di utilità sociale), che intendono accedere
all’esenzione dall’imposta regionale sulle attività produttive ai sensi
dell’articolo 17, comma 5, della legge regionale 29 aprile 2003, n. 3
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della
Regione – Legge finanziaria 2003), trasmettono alla direzione generale
dell’Assessorato regionale della programmazione, bilancio, credito e assetto
del territorio, entro i termini previsti per la presentazione della
dichiarazione dei redditi, una comunicazione con la quale attestano di avere
diritto all’esenzione. La mancata trasmissione della comunicazione entro i
termini previsti comporta la decadenza dall’esenzione. La Giunta regionale, su
proposta dell’Assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del
territorio, disciplina le modalità per la presentazione delle comunicazioni di
cui al presente comma e delle comunicazioni previste dall’articolo 2, commi 11
e 12, della legge regionale n. 1 del 2009». Tale disciplina, secondo il
ricorrente, imporrebbe delle condizioni particolarmente restrittive nei
confronti delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus) che
operano nella Regione autonoma Sardegna: per godere dell’esenzione disposta
dalla medesima legislazione regionale, esse sarebbero costrette, a pena di
decadenza, a presentare una comunicazione ulteriore rispetto a quella già prevista
dall’ordinamento, in base all’art 11, comma 2, del d.lgs. n. 460 del 1997,
necessaria per l’iscrizione all’anagrafe delle Onlus e che dev’essere
presentata presso l’Agenzia delle entrate. La normativa regionale, imponendo un
onere ulteriore, eccederebbe le competenze statutarie, ponendosi in contrasto
con l’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, in quanto l’art.
21 del d.lgs. n. 460 del 1997 riconosce agli enti territoriali il potere di
ridurre o esentare dal pagamento dei tributi di loro pertinenza, ma non quello
di introdurre obblighi ulteriori a carico dei contribuenti. Inoltre, la
normativa regionale censurata si porrebbe in contrasto con il principio
generale dell’ordinamento tributario di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni
in materia di statuto dei diritti del contribuente), art. 6, comma 4, secondo
cui al contribuente non possono essere richiesti documenti e informazioni già
in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni
pubbliche.
5.— L’art. 18, comma 23, lettera c),
della legge impugnata, sostituendo l’art. 6, comma 3, della legge della Regione
autonoma Sardegna 23 maggio 2008, n. 6 (Legge-quadro
in materia di consorzi di bonifica), prevede che «I consorzi di bonifica
possono realizzare e gestire tali impianti di produzione di energia elettrica
da fonti rinnovabili anche in deroga al limite dell’autoconsumo». Questa
disposizione contrasterebbe con la normativa statale di cui all’art. 2, comma
2, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva
96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica),
laddove prevede che l’autoproduttore è colui il quale
produce energia elettrica e la utilizza in misura almeno del 70 per cento
l’anno per uso proprio o «delle società controllate, della società controllante
e delle società controllate dalla medesima controllante, nonché per uso dei
soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia
elettrica». La disposizione indubbiata consentirebbe
una deroga al limite dell’autoconsumo, in contrasto con la disciplina statale e
pertanto violerebbe l’art. 4 dello statuto regionale in materia di produzione e
distribuzione dell’energia elettrica, che impone alla Regione di rispettare i
limiti dei principi posti dalle leggi dello Stato. La norma invaderebbe inoltre
la competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema» prevista all’art. 117, secondo comma, lettera s), della
Costituzione, in quanto, come sarebbe stato riconosciuto ampiamente dalla Corte
costituzionale, la promozione e lo sviluppo delle fonti energetiche alternative
rientrerebbero nella materia predetta.
6.— Il ricorrente affronta poi le
censure nei confronti degli articoli 20 e 21 della legge regionale impugnata.
6.1.— L’articolo 20, comma 1,
effettuando un’interpretazione autentica dell’art. 3 della legge della Regione
autonoma Sardegna del 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori
economico e sociale), prevede che l’Amministrazione regionale sia autorizzata a
finanziare programmi pluriennali di stabilizzazione dei lavoratori precari
delle amministrazioni locali. Tali programmi pluriennali devono prevedere
l’assunzione a tempo pieno e indeterminato, previo superamento di una selezione
concorsuale, finalizzata alla verifica dell’idoneità ad espletare le mansioni
di servizio della qualifica nella quale i lavoratori verranno inquadrati.
Questi programmi contemplano l’assorbimento degli idonei entro un triennio e
sono attuati dagli enti locali interessati con riferimento al personale
precario che, entro la data di entrata in vigore della disposizione
interpretativa, abbia maturato almeno trenta mesi di servizio nelle pubbliche
amministrazioni locali, anche non continuativi.
La disposizione impugnata, anche a
seguito dell’interpretazione autentica, a detta del ricorrente manterrebbe i
profili d’illegittimità delle leggi della Regione autonoma Sardegna
precedentemente impugnate. In particolare, il programma pluriennale di
stabilizzazione del personale precario contrasterebbe con l’art. 17, commi 10 e
12, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché
proroga di termini), convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n.
102, che non consentirebbe una generica stabilizzazione del personale. Tali
disposizioni statali, infatti, prevedono che nel triennio 2010-2012 le
amministrazioni pubbliche, nel rispetto della programmazione triennale del
fabbisogno e dei vincoli finanziari previsti dalla normativa vigente in materia
di assunzioni e di contenimento della spesa per il personale, possano bandire
concorsi per assunzioni a tempo indeterminato con una riserva dei posti non
superiore al 40 per cento dei posti messi a concorso. Il legislatore regionale,
prevedendo, all’art. 20 impugnato, disposizioni in contrasto con l’art. 17,
commi 10 e 12, del decreto-legge sopra menzionato, eccederebbe la propria
competenza in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi
della Regione e stato giuridico ed economico del personale» stabilita all’art.
3, lettera a), dello statuto, e invaderebbe quelle statali in materia di
ordinamento civile e coordinamento della finanza pubblica, contemplate
rispettivamente all’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della
Costituzione. Inoltre, la disposizione regionale, consentendo lo stabile
inserimento dei lavoratori nei ruoli delle amministrazioni regionali previo il
superamento di una generica procedura selettiva, violerebbe l’articolo 97 della
Costituzione, che esige il concorso quale modalità di reclutamento.
6.2.— L’art. 20, comma 2, modifica il
comma 1-quater dell’art. 7 della legge regionale del 19 gennaio 2011, n. 1
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della
Regione), disponendo che al personale di cui al comma 1-ter che svolga o abbia
svolto il proprio servizio come ultima sede nell’ente locale proponente il
programma, sono attribuiti, in via prevalente, l’esercizio di funzioni e
compiti relativi a materie delegate o trasferite dalla Regione al sistema delle
autonomie locali. Tale norma configurerebbe una deroga ai limiti di spesa e di
organico per le assunzioni negli enti locali e pertanto si porrebbe in
contrasto con l’art. 17, commi 10 e 12, del d.l. n. 78 del 2009, convertito con
modificazioni dalla legge n. 102 del 2009, sopracitato. Inoltre, i commi
novellati si porrebbero in contrasto con l’art. 14, comma 9, del decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e di competitività economica), convertito in legge 30 luglio 2012, n. 122, che
fissa, a decorrere dall’inizio del 2011, un limite percentuale di assunzioni
rispetto alle cessazioni dal servizio verificatesi nel 2010. A detta del
ricorrente, la giurisprudenza costituzionale avrebbe stabilito che il
finanziamento da parte della Regione di programmi di stabilizzazione che
prescindano dall’espletamento di concorsi si pongono in contrasto con l’art. 97
Cost., quanto all’obbligo di concorso ai fini del reclutamento del personale
delle pubbliche amministrazioni: obbligo cui sarebbe consentito derogare solo a
fronte di esigenze particolari e con la garanzia della professionalità dei
prescelti. Inoltre, la Corte avrebbe già affermato che la prestazione di
attività a tempo determinato alle dipendenze dell’amministrazione regionale non
possa essere considerata un valido presupposto per una riserva di posti, e che
il superamento di una qualsiasi selezione, presso qualsiasi ente, sia requisito
troppo generico per consentire una successiva stabilizzazione.
6.3.— L’art. 21, che
si occupa del superamento del precariato, prevede che l’Amministrazione
regionale, attraverso l’Assessorato competente, predisponga, entro sessanta
giorni dall’entrata in vigore della legge, un programma con le misure da
adottare per promuovere le opportunità di lavoro stabile per i lavoratori
socialmente utili ai sensi del decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 81
(Integrazioni e modifiche della disciplina dei lavori socialmente utili, a
norma dell’art. 45, comma 2, della legge 17 maggio 1999, n. 144). Tale
programma tiene conto della collocazione dei lavoratori, dando priorità agli
attuali enti utilizzatori che possono continuare ad avvalersi degli
stabilizzati senza costi aggiuntivi a carico del loro bilancio. Questa disposizione,
che secondo il ricorrente riserva la totalità dei posti al personale interno,
sarebbe in contrasto con l’art. 12, comma 4, del decreto legislativo 1°
dicembre 1997, n. 468 (Revisione della disciplina sui lavori socialmente utili,
a norma dell’articolo 22 della legge 24 giugno 1997, n. 196), il quale prevede
che ai lavoratori socialmente utili gli enti pubblici possano riservare una
quota del 30 per cento dei posti da ricoprire attraverso una procedura
selettiva. Del resto, la Corte costituzionale, con sentenza n. 274 del
2003, avrebbe già dichiarato illegittimo l’art. 3 della legge della Regione
autonoma Sardegna 8 agosto 2002, n. 11 (Norme varie in materia di personale
regionale e modifiche alla legge regionale 13 novembre 1998, n. 31), nella
parte in cui prevedeva l’immissione nei ruoli organici dei soggetti addetti ai
lavori socialmente utili destinando loro il 50 per cento dei posti vacanti.
Queste disposizioni, ponendosi in contrasto con i principi di ragionevolezza,
imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, violerebbero gli
artt. 3 e 97 della Costituzione ed in particolare la regola del pubblico
concorso, che è principio dell’ordinamento giuridico cui Stato e Regioni devono
parimenti sottostare.
7.— Si è costituita in giudizio la
Regione autonoma Sardegna, con atto depositato il 4 ottobre 2011, deducendo
l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del ricorso.
8.— In riferimento alla prima doglianza,
relativa all’art. 3, comma 1, della legge impugnata, la resistente ne deduce in
primo luogo l’inammissibilità. Il ricorrente non darebbe infatti conto, nel
ricorso, del precetto di rango costituzionale che imporrebbe alla Regione di
legiferare in materia tributaria e patrimoniale soltanto in base a norme di
attuazione statutaria; sul punto l’impugnazione sarebbe dunque apodittica.
8.1.— Inoltre, la resistente deduce
l’infondatezza del ricorso sul punto. Infatti, lo statuto sardo avrebbe una
immediata efficacia precettiva rispetto al caso in
esame. L’art. 8 dello statuto, individuando esattamente di quali entrate
tributarie disponga la Regione, già contemplerebbe il potere di accertamento
con riferimento alle compartecipazioni regionali ai tributi erariali.
Nell’elencare le voci di entrata, non prospetterebbe la necessità di alcun
trasferimento di funzioni o del loro esercizio coordinato, poiché già individua
precisamente l’ammontare delle entrate regionali. Residuerebbe invece alla
Regione il solo potere di adottare i provvedimenti normativi che nell’art. 8
trovano fondamento, e rispetto ai quali l’attività legislativa regionale si
pone come condizione affinché lo statuto produca i suoi effetti. In questo
senso deporrebbe la giurisprudenza costituzionale, la quale avrebbe statuito
che, nei casi in cui la sfera di attribuzioni regionali sia già individuata
dallo statuto, ciò conferisca già alle autonomie i poteri legislativi e
amministrativi in materia.
9.— A detta della resistente, la seconda
doglianza, relativa all’art. 17, comma 9, sarebbe ugualmente infondata.
Infatti, come si ricaverebbe dal medesimo testo censurato, la Regione autonoma
Sardegna avrebbe legiferato nell’esercizio di attribuzioni conferitele
dall’art. 9, comma 9, del d.lgs. n. 28 del 2001, ai sensi del quale le Regioni
possono estendere la procedura semplificata agli impianti di potenza nominale
fino ad 1 MW elettrico, definendo inoltre i casi in cui, a causa della
necessità di autorizzazioni ambientali o paesaggistiche di competenza di
amministrazioni diverse da quella comunale, la realizzazione e l’esercizio
dell’impianto e delle opere connesse sono assoggettate all’autorizzazione
unica, prevista dal medesimo decreto legislativo all’art. 5. A detta della
resistente, dall’articolo 9, comma 9, del decreto sopracitato non si
evincerebbe che l’unico potere d’intervento regionale riguarderebbe la
determinazione della potenza massima dell’impianto che si può assoggettare alla
procedura semplificata. Al contrario, poiché la normativa statale legittima le
Regioni, oltre ad individuare la potenza massima nel limite superiore di 1 MW,
anche a stabilire i «casi» da sottoporre alla procedura semplificata, il
legislatore regionale avrebbe semplicemente utilizzato uno spazio normativo
pienamente contemplato dal legislatore statale individuando i casi in cui,
pertanto, questa procedura semplificata non si applica.
In secondo luogo, la Regione autonoma
Sardegna, ai sensi dell’art. 4, primo comma, lettera e), dello statuto, ha
competenza concorrente in materia di «produzione e distribuzione dell’energia
elettrica»: e la disposizione impugnata ricadrebbe nell’ambito riservato alla
competenza regionale.
10.— Quanto alla terza doglianza,
riguardante l’art. 18, comma 20, della legge impugnata, relativa all’onere per
i soggetti Onlus che intendano beneficiare dell’esenzione stabilita ai sensi
dell’articolo 17, comma 5, della legge della Regione autonoma Sardegna 29
aprile 2003, n. 3 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale della Regione – Legge finanziaria 2003), la resistente ne sostiene
l’infondatezza. La difesa regionale evidenzia che la disposizione non
imporrebbe un ulteriore onere burocratico, ma introdurrebbe uno strumento,
quello dell’autocertificazione, ispirato all’orientamento attuale di snellimento
delle procedure, a favore innanzitutto del medesimo contribuente. In tal modo,
eviterebbe alla Regione di interrogare il Ministero delle finanze, che gestisce
l’anagrafe unica delle Onlus, in riferimento al regime applicabile a tali enti.
La soluzione normativa della legislazione sarda gioverebbe al contribuente,
«che ha tutto l’interesse a potersi qualificare autonomamente attraverso
un’autocertificazione».
Inoltre, per la parte resistente,
l’autocertificazione sarebbe necessaria in base al medesimo art. 21 del d.lgs.
n. 460 del 1997 che consente di introdurre agevolazioni a favore dei soggetti
non lucrativi. Infatti, l’agevolazione non sarebbe automatica, ma esigerebbe
che il contribuente faccia richiesta di applicazione dell’agevolazione.
Pertanto, in caso di mancata trasmissione della qualifica, ai sensi della
legislazione statale il soggetto non profit decadrebbe dall’agevolazione:
effetto esattamente ribadito dal legislatore regionale.
Infine, l’autocertificazione prevista
dalla normativa impugnata non costituirebbe un onere ulteriore, giacché la
comunicazione di avvalersi dell’esenzione da parte del beneficiario può essere
effettuata fino al momento della dichiarazione dei redditi e insieme alla
stessa. Pertanto, il contribuente non viene onerato di una ulteriore scadenza.
11.— Con riferimento alla quarta
doglianza, la resistente ne sostiene l’inammissibilità. Nella lettura del
ricorso offerta dalla parte resistente, il ricorrente lamenterebbe la
violazione, quale parametro interposto di costituzionalità, dell’art. 2, comma
2, del d.lgs. n. 79 del 1999, che qualifica l’autoproduttore
di energia elettrica. L’articolo 2, rubricato «definizioni», non prescriverebbe
nulla, ma semplicemente individuerebbe la figura dell’autoproduttore.
La questione potrebbe invece essere scrutinata nel merito solo sulla base di
una norma regionale applicativa della qualificazione, oppure individuando una
norma statale che concretamente impedisca ai consorzi di bonifica di realizzare
e gestire impianti di energia elettrica da fonti rinnovabili in deroga al
limite dell’autoconsumo.
12.— Quanto alle doglianze relative
all’art. 20, commi 1, 2 e 3, la resistente nota innanzitutto che il comma 3 non
è affrontato dal ricorrente se non nell’epigrafe del ricorso. Pertanto, non
sarebbe coinvolto in alcuna censura.
12.1.— Quanto all’art. 20, comma 1, la
censura sarebbe infondata con riferimento a tutti i parametri invocati dal
ricorrente.
12.2.— In primo luogo, il comma in esame
non violerebbe l’obbligo di concorso sancito all’art. 97 Cost. per il
reclutamento del personale degli enti pubblici. Infatti, la norma impugnata
esige che i candidati superino una specifica selezione concorsuale, funzionale
alla verifica dell’idoneità all’espletamento delle mansioni, e pertanto non
configurerebbe una stabilizzazione automatica del personale; al contrario,
prevedrebbe una selezione concorsuale in aderenza al parametro di
costituzionalità evocato.
12.3.— In secondo luogo, il comma non si
porrebbe in contrasto con l’art. 17, commi 10 e 12, del d.l. n. 78 del 2009, in
materia di riserve di posti, in quanto non si esprimerebbe sulla quota massima,
individuata dal legislatore statale nel 40% dei posti messi a concorso.
12.4.— In terzo luogo, il comma non
violerebbe nemmeno l’art. 117, terzo comma, Cost.: il parametro sarebbe
innanzitutto enunciato, senza che il ricorrente motivi sul punto. Inoltre, non
sarebbe violata la competenza statale in materia di coordinamento della finanza
pubblica, dal momento che la normativa regionale censurata non presenta alcun
profilo finanziario, nemmeno per quanto concerne il rapporto tra cessazioni e
nuove assunzioni nelle pubbliche amministrazioni, programmato dal legislatore
statale.
12.5.— La normativa non violerebbe
nemmeno l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. in materia di ordinamento
civile, in quanto la disposizione non configurerebbe una nuova tipologia di
rapporto di lavoro al servizio della pubblica amministrazione, ma si
limiterebbe a dare avvio ad un procedimento amministrativo, che non rientra
nell’area dell’ordinamento civile, materia, quest’ultima, che non può essere
intesa come capace di assorbire tutte le competenze della Regione sul personale
regionale. Diversamente, una lettura che assorbisse all’ordinamento civile tali
legislazioni annichilirebbe la potestà legislativa regionale.
13.— Quanto all’art. 20, comma 2, della
legge impugnata, riguardante le assunzioni di personale, in relazione alla
menzione che tali assunzioni avverrebbero anche in deroga ai limiti di spesa e
di organici stabiliti nei confronti degli enti locali, la resistente precisa
che tali deroghe farebbero riferimento alla disciplina regionale, non a quella
dettata dal legislatore statale.
14.— Quanto alla doglianza relativa all’art.
21 della normativa oggetto d’impugnazione, la resistente ne sostiene
innanzitutto l’inammissibilità, poiché il ricorrente si limiterebbe ad evocare,
senza argomentare, l’applicabilità del parametro interposto di cui all’art. 12,
comma 4, del d.lgs. n. 468 del 1997, riguardante i lavoratori socialmente
utili.
14.1.— Inoltre, la resistente motiva per
l’infondatezza, sostenendo che la disposizione censurata si limiterebbe ad
attribuire all’Assessorato competente in materia di lavoro la competenza a predisporre
un programma di misure da adottare nei confronti dei cd. "lavoratori
socialmente utili”, non disponendo alcuna quota di riserva a loro favore.
Dunque non vi sarebbe alcun superamento delle quote di riserva stabilite dal
legislatore statale.
15.— Con ulteriore memoria depositata
nella cancelleria il 2 marzo 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha
ulteriormente dedotto in merito alle eccezioni d’inammissibilità e
d’infondatezza prospettate dalla resistente.
16.— Quanto alla prima doglianza, il
ricorrente evidenzia di aver chiaramente indicato nell’art. 56 dello statuto
della Regione autonoma Sardegna il parametro di rango costituzionale violato:
la legislazione regionale avrebbe introdotto un precetto finalizzato a dare
esecuzione all’art. 8, che disciplina la compartecipazione regionale al gettito
tributario, eludendo la procedura di cui all’art. 56 predetto. Il ricorrente fa
leva sulla versione previgente dell’art. 8 evidenziando che allora la
disposizione aveva un contenuto precettivo di compiutezza e determinazione di
grado analogo a quello attualmente vigente, ma ciò aveva comunque imposto di
adottare il d.P.R. 19 maggio 1949, n. 250 (Norme di
attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna) per attuare l’art. 8 dello
statuto, con riferimento agli articoli da 32 a 38. Ciò, sostiene il ricorrente,
comproverebbe che il grado di definizione dei precetti non vale, in sé, a
escludere la necessità di un’attuazione dello statuto, che deve necessariamente
svolgersi nelle forme previste da quest’ultimo.
La giurisprudenza richiamata dalla
resistente a sostegno dell’autoapplicatività dello
statuto sarebbe inconferente, poiché nei casi
pregressi la Corte costituzionale aveva ritenuto non necessario adottare il
procedimento di attuazione statutaria in quanto questo riguardava ambiti di
competenza esclusiva degli enti territoriali, mentre in questo caso la
disciplina regionale inciderebbe sul sistema tributario e contabile dello
Stato, riservato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), della
Costituzione, alla legislazione esclusiva statale. In quest’ambito, dovrebbe
dunque seguirsi la procedura prevista dallo statuto.
Inoltre, la violazione degli articoli da
32 a 38 del d.P.R. n. 250 del 1949 dedotta nell’atto
introduttivo sarebbe relativa ad alcuni tributi che ancora vigono e che quindi
devono ancora orientare il legislatore regionale nella sua attività normativa.
Infine, venendo al contenuto
dell’articolo impugnato, il ricorrente nota che la previsione che gli
accertamenti delle compartecipazioni regionali ai tributi erariali siano
effettuati anche giovandosi degli indicatori relativi ai gettiti tributari
sarebbe un precetto estremamente generico, di incerta applicazione, che
conferirebbe all’amministrazione regionale un’ampia discrezionalità.
17.— Con riferimento alla seconda
doglianza, il ricorrente evidenzia che la legge nazionale prevede la
possibilità di applicare una procedura abilitativa semplificata, consentendo
alle Regioni di individuare i casi in cui la realizzazione degli impianti di
generazione di energia elettrica di biogas e biometano
segua tale procedura. Al contrario, la disposizione censurata introdurrebbe una
ulteriore specificazione riferita ai soggetti che possono utilizzare tale
procedura, limitandone l’ambito di operatività a categorie specifiche di
operatori economici. Questa opzione rischierebbe «di determinare ingiustificate
disparità di trattamento a livello nazionale» e non troverebbe fondamento
nell’art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 28 del 2011.
18.— Con riferimento alla terza
doglianza, relativa all’introduzione dell’onere per le Onlus di comunicare
all’amministrazione regionale la volontà di valersi dell’esenzione con
riferimento all’IRAP, il ricorrente rileva come questa previsione costituisca
un aggravamento procedurale per i soggetti interessati dall’esenzione.
19.— Con riferimento alla quarta
doglianza, il ricorrente evidenzia come l’intervento normativo regionale
consenta al consorzio idrico di divenire, grazie alla deroga rispetto ai limiti
dell’autoproduzione, un produttore di energia elettrica a tutti gli effetti,
anziché di soddisfare esigenze energetiche accessorie al servizio idrico
rispetto al quale opera, e che aveva condotto il legislatore statale ad
inserirlo tra gli autoproduttori in ragione della sua
funzione mutualistica.
20.— Quanto alle doglianze relative alle
norme regionali in materia di stabilizzazione del precariato e assorbimento dei
lavoratori socialmente utili, il ricorrente ribadisce che la disciplina darebbe
luogo ad una violazione dell’art. 97 Cost. e all’esigenza cui tale articolo
risponde, ossia predisporre per il reclutamento nella pubblica amministrazione
di strumenti di selezione trasparente, comparativa e aperta. La giurisprudenza
costituzionale avrebbe, insiste il ricorrente, ritenuto ingiustificato
riservare posti ai soggetti che già avessero prestato servizio a tempo
determinato nell’amministrazione interessata, in assenza di ragioni di natura
eccezionale.
La formulazione dell’articolo
contrasterebbe inoltre con l’art. 117, terzo comma, in materia di coordinamento
della finanza pubblica, derogando alle prescrizioni in materia di assunzioni e
riserve di posti fissate a livello nazionale dagli articoli 14, comma 9, e art.
17, commi 10 e 12, del decreto legge n. 78 del 2009, che troverebbero ovvia
giustificazione nella necessità di coordinare il sistema di finanza pubblica.
21.— Quanto alla doglianza specifica
relativa all’art. 21 della legge della Regione autonoma Sardegna, relativa
all’assorbimento nei ruoli delle amministrazioni locali dei lavoratori
socialmente utili, il ricorrente evidenzia che, sebbene la resistente affermi
che la disciplina impugnata non intende intaccare il limite individuato dalla
norma statale, l’evoluzione normativa cui ha dato corso la Regione deporrebbe
per la conclusione opposta. Infatti, il ricorrente sottolinea che la Corte
costituzionale si era già espressa su un’analoga normativa della Regione,
contenuta nell’art. 3 della legge regionale n. 11 del 2002, concludendo per
l’infondatezza delle censure in ragione della situazione temporale delimitata
che rendeva non irragionevole quella disciplina.
22.— La parte resistente ha presentato
ulteriori deduzioni, depositando una memoria nella cancelleria della Corte il
13 marzo 2012.
23.— Quanto alla doglianza relativa al
potere di accertamento di cui all’art. 3, comma 1, della legge impugnata, la
resistente continua ad opinare per l’inammissibilità e l’infondatezza, per
ulteriori ragioni rispetto a quelle già avanzate in sede di costituzione.
Infatti, il ricorrente innanzitutto non evocherebbe gli articoli 3 e 7 dello
statuto, che, al contrario, enumerano le materie di competenza regionale
esclusiva attribuendo alla Regione la relativa autonomia finanziaria. Autonomia
che costituisce la base sulla quale si costruirebbe la disposizione impugnata.
Inoltre, l’art. 3, comma 1, non
esigerebbe alcun genere di adempimento da parte dell’Amministrazione statale,
inserendosi nell’attività amministrativa di redazione del bilancio regionale,
di piena competenza dell’amministrazione dell’ente.
Infine, con la sua impugnazione sul
punto il ricorrente sovrapporrebbe le nozioni di «attuazione» ed «esecuzione»
dello statuto, visto che l’art. 8 di quest’ultimo non avrebbe bisogno di
attuazione, essendo il suo contenuto immediatamente precettivo.
24.— Quanto alla censura dell’art. 17,
comma 9, che individua i soggetti abilitati ad accedere al procedimento autorizzatorio semplificato per realizzare e gestire
impianti utilizzanti biogas e biometano, la Regione
ribadisce le ragioni dell’infondatezza.
25.— Quanto alla lamentata illegittimità
costituzionale dell’art. 18, comma 20, che impone che le Onlus operanti sul
territorio regionale debbano comunicare all’amministrazione regionale la
volontà di avvalersi dell’esenzione dall’IRAP, il ricorrente pretenderebbe di
eliminare la discrezionalità della Regione rispetto ai medesimi procedimenti
amministrativi di sua competenza, in contrasto con quanto sancito dalla
giurisprudenza costituzionale. Le scelte legislative regionali sul punto, del
resto, non determinerebbero alcun significativo aggravio procedimentale per le
organizzazioni non lucrative, ma anzi consentirebbero di avvalersi
dell’autocertificazione da parte dei richiedenti, in linea con la tendenza al
ricorso a questo istituto, ai fini di snellimento delle procedure. Del resto, i
principi generali dell’ordinamento giuridico non solo consentirebbero, ma
persino imporrebbero di stabilire termini perentori per la presentazione della
richiesta di accedere ad un beneficio.
26.— Rispetto alla lamentata
illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 23, lettera c), della legge
censurata, la resistente ne ribadisce l’inammissibilità per il fatto che il
parametro interposto invocato, che definisce l’autoproduttore,
ne offrirebbe semplicemente la nozione e mancherebbe dunque l’indicazione di
una norma statale che vieti alla regione di adottare la legislazione censurata.
27.— Quanto agli artt. 20, commi 1 e 2,
e 21 della medesima legge, la Regione prende atto della sentenza di questa
Corte n. 30 del 2012, nel frattempo intervenuta e, per quanto riguarda la
stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili, evidenzia che le censure
muovono da un’interpretazione delle norme che risulterebbe indimostrata.
Infatti, il ricorrente ritiene che la normativa preveda una copertura di posti
di ruolo e una riserva in favore di specifiche categorie di personale, senza
offrire un’argomentazione a supporto di tale interpretazione. Sul punto,
dunque, il ricorso sarebbe inammissibile.
Considerato in diritto
1.— Il Presidente del Consiglio dei
ministri ha impugnato gli articoli 3, comma 1, 17, comma 9, 18, commi 20 e 23,
lettera c), 20, commi 1 e 2, e 21 della legge della Regione autonoma Sardegna 30
giugno 2011, n. 12 (Disposizioni nei vari settori d’intervento).
2.— La prima doglianza si riferisce
all’art. 3, comma 1, della legge regionale n. 12 del 2011. Tale disposizione
prevede che, ai sensi dell’art. 8 dello statuto di autonomia della Regione Sardegna
(legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3), modificato dall’art. 1, comma
834, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2007), «in
assenza dell’adeguamento delle relative norme di attuazione […], gli
accertamenti delle compartecipazioni regionali ai tributi erariali sono
effettuati anche sulla base degli indicatori disponibili, relativi ai gettiti
tributari». Tale previsione, sostiene il ricorrente, configurerebbe
un’attuazione unilaterale dello statuto in materia tributaria, che inciderebbe
sulle attuali disposizioni di attuazione contenute in particolare negli
articoli da 32 a 38 del d.P.R. 19 maggio 1949, n. 250
(Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna), senza rispettare
le modalità previste dal medesimo statuto all’art. 56, ove si prevede
l’intervento di una commissione paritetica.
2.1.— La parte resistente, al contrario,
sostiene che tale doglianza sarebbe inammissibile, poiché il ricorrente non
dimostrerebbe la necessità che il nuovo articolo 8 dello statuto riceva
attuazione attraverso il procedimento previsto all’art. 56.
2.2.— L’eccezione d’inammissibilità deve
essere accolta, per l’inadeguatezza e la genericità dei motivi di ricorso
relativi all’art. 3, comma 1, della legge regionale n. 12 del 2011.
Il ricorrente, infatti, pur evocando gli
articoli 4, 5 e 56 dello statuto, omette di argomentare le ragioni per le quali
alla Regione non dovrebbe spettare il potere di quantificare l’ammontare delle
compartecipazioni ai tributi erariali, al fine di redigere il bilancio di
previsione. Né si fa menzione dell’articolo 7 dello statuto che, secondo la
difesa regionale, garantisce l’autonomia finanziaria e contabile,
nell’esercizio della quale, sempre secondo la difesa, a seguito dell’entrata in
vigore del nuovo art. 8 dello statuto, è stata emanata la norma impugnata, per
consentire che fosse predisposto il bilancio regionale. Neppure il ricorrente
spiega quali norme di attuazione si renderebbero necessarie per dare
applicazione al nuovo art. 8 dello statuto, che determina la quota di tributi
da trasferire alla Regione in riferimento a ciascuna compartecipazione. Del
resto, tra le sentenze evocate dalla parte ricorrente (sentenze n. 213 del 1998,
n. 160 del 1985,
n. 180 del 1980
e n. 151 del
1972) sono inclusi casi che trattano di situazioni non assimilabili a
quella qui in esame, in cui la legislazione statale, e non quella regionale,
interveniva unilateralmente in ambiti riservati alle norme di attuazione.
Manca, dunque, da parte del ricorrente
una sufficiente motivazione a sostegno dell’asserita necessità che il nuovo
art. 8 dello statuto richieda di essere attuato con la procedura di cui
all’art. 56.
3.— L’art. 17, comma 9, della legge
regionale impugnata limita a soggetti individuati (imprenditori agricoli
professionali iscritti da almeno tre anni alla Camera di commercio; giovani
imprenditori agricoli; società agricole), la possibilità di esperire una
procedura semplificata per la realizzazione e la gestione di impianti di
generazione dell’energia elettrica da biometano e
biogas.
Secondo il ricorrente, la delimitazione
su base soggettiva della possibilità di ricorrere a tale procedura semplificata
contrasterebbe con l’art. 6, comma 9, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n.
28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso
dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione
delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), di talché la Regione, operando tale
restrizione, avrebbe invaso tanto la competenza esclusiva statale in materia di
tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, ai sensi dell’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost., in cui rientrerebbero la promozione e lo sviluppo di fonti
energetiche alternative, quanto l’art. 4, primo comma, lettera e), dello
statuto, che conferisce alla Regione autonoma Sardegna una competenza
concorrente in materia di produzione e distribuzione dell’energia elettrica.
3.1.— La censura è fondata.
Il legislatore statale, infatti,
attraverso la disciplina delle procedure per l’autorizzazione degli impianti di
produzione di energia da fonti rinnovabili, ha introdotto principi che, per
costante giurisprudenza di questa Corte, non tollerano eccezioni sull’intero
territorio nazionale, in quanto espressione della competenza legislativa
concorrente in materia di energia, di cui all’art. 117, terzo comma, della
Costituzione, e, con specifico riferimento alla Regione autonoma Sardegna, di
cui all’art. 4, primo comma, lettera e), dello statuto.
Questa Corte ha ripetutamente affrontato
tale problematica con riferimento al decreto legislativo 29 dicembre del 2003,
n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione
dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato
interno dell’elettricità) (ex multis, sentenze nn. 310, 308 e 107 del 2011; nn. 194, 168, 124, 120 e 119 del 2010; n. 282 del 2009
e n. 364 del
2006), e al decreto del Ministero dello sviluppo economico 10 settembre
2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti
rinnovabili) (sentenze n. 308 del 2011
e n. 344 del
2010).
Nel caso oggi in esame, va riaffermato
il medesimo principio con riferimento al decreto legislativo n. 28 del 2011,
rispetto al quale la normativa regionale è in questa sede censurata. Il decreto
legislativo n. 28 del 2011 reca norme di attuazione della direttiva 2009/28/CE
del 23 aprile 2009, che in materia di procedure di autorizzazione di impianti
per la produzione di energie rinnovabili invita gli Stati membri a preferire
procedure semplificate e accelerate, prevedendo tra l’altro forme procedurali
meno gravose per i progetti di piccole dimensioni (art. 13). L’art. 6 del
d.lgs. n. 28 del 2011, in attuazione della direttiva europea sopra menzionata,
disciplina una procedura abilitativa semplificata per la costruzione e
l’esercizio di impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili,
riconoscendo inoltre alle Regioni e alle Province autonome la facoltà di
estendere «la soglia di applicazione della procedura semplificata […] agli
impianti di potenza nominale fino a 1 MW elettrico, definendo altresì i casi in
cui essendo previste autorizzazioni ambientali o paesaggistiche di competenza
di amministrazioni diverse dal Comune, la realizzazione e l’esercizio
dell’impianto e delle opere connesse sono soggette altresì all’autorizzazione
unica», disciplinata al successivo art. 5 del medesimo d.lgs. n. 28 del 2011.
La disposizione statale, dunque, – recependo tanto il generale orientamento di
favore della direttiva europea verso la produzione di energia da fonti
rinnovabili (sentenza
n. 124 del 2010), quanto, più specificamente, per gli aspetti
procedimentali rilevanti ai fini della presente decisione, l’obiettivo di
estendere al massimo il ricorso a procedure leggere, che incentivino
l’insorgere di impianti anche di piccole dimensioni – ha introdotto una
procedura semplificata, dando altresì facoltà alle Regioni di estenderne
l’ambito di applicazione fino ad una soglia massima di potenza di energia
elettrica pari a 1 MW. A fronte di tale disciplina, europea e nazionale, la legge
regionale interviene con una disposizione restrittiva, che limita sul piano
soggettivo il ricorso alla procedura semplificata, individuando nominativamente
i tipi di operatori economici ammessi al beneficio procedurale. In tal modo la
legge regionale si pone in contrasto con la disposizione statale contenuta
nell’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, considerata tanto nel suo tenore
testuale, quanto nel principio fondamentale che essa esprime, di favore per la
semplificazione delle procedure necessarie all’installazione di impianti di
produzione di energia da fonti rinnovabili.
In conclusione, la legislazione
regionale censurata non può dirsi rientrare nei margini di scelta consentiti
alle Regioni, poiché nella legislazione statale nulla permette di giustificare
una restrizione all’accesso alla procedura semplificata su base soggettiva, sia
per ragioni testuali, sia considerando lo spirito dell’intera normativa, vòlto a promuovere la diffusione delle energie rinnovabili.
4.— Anche la censura relativa all’art.
18, comma 20, della legge impugnata è fondata.
La disposizione prevede che le
organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus), esentate dall’imposta
regionale sulle attività produttive (IRAP) ai sensi dell’articolo 17, comma 5,
della legge della Regione autonoma Sardegna 29 aprile 2003, n. 3 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione – Legge
finanziaria 2003), al fine di godere dell’esenzione debbano trasmettere alla
direzione generale dell’Assessorato regionale della programmazione, bilancio,
credito e assetto del territorio, negli stessi termini previsti per la
presentazione della dichiarazione dei redditi, una comunicazione con la quale
attestano di avere diritto all’esenzione; ciò a pena di decadenza dall’esenzione
medesima. La norma rimette alla Giunta regionale la disciplina delle modalità
di presentazione di tali comunicazioni.
4.1.— La normativa regionale è in
contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, che
attribuisce allo Stato la piena potestà legislativa sul sistema tributario
statale.
In primo luogo, la norma censurata
introduce un onere burocratico che grava sulle Onlus al fine di poter
beneficiare di una esenzione dall’IRAP. Una tale determinazione, tuttavia, non
rientra nelle competenze regionali. Infatti, come da costante giurisprudenza di
questa Corte (ex multis sentenze n. 323 del 2011,
n. 241 del 2004
e n. 296 del
2003), l’IRAP, sebbene sia percepita dalle Regioni e dalle Province
autonome, è un tributo statale per sua natura, ed è disciplinato dalla
legislazione statale. Alle Regioni e alle Province autonome residuano soltanto
gli spazi normativi espressamente stabiliti dalla legislazione statale – fra
tutti, e per quel che qui più interessa, il potere di disporre l’esenzione dal
tributo per le Onlus. Al di fuori di quegli spazi, alle Regioni è precluso
qualsiasi intervento normativo: non rientra dunque tra le competenze della
Regione individuare le modalità con le quali i soggetti beneficiari possono
avvalersi delle esenzioni di un tributo erariale.
Pertanto, nel disporre che le Onlus
devono comunicare all’Assessorato regionale competente la volontà di avvalersi
dell’esenzione, il legislatore regionale ha violato la competenza esclusiva
statale in materia di tributi statali, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera
e), della Costituzione.
4.2.— Anche seguendo l’assunto della
Regione circa la possibilità di intervenire sul tributo IRAP al di fuori degli
spazi concessi espressamente dal legislatore statale, sarebbe comunque privo di
fondamento l’argomento della resistente, secondo cui l’onere della
comunicazione in realtà rappresenterebbe uno snellimento burocratico, in linea
con gli orientamenti più recenti dell’ordinamento, che tendono a preferire il
ricorso all’autocertificazione. Secondo la resistente, l’autocertificazione
dell’organizzazione interessata eviterebbe alla Regione di doversi attivare per
ottenere informazioni in possesso dell’amministrazione statale relative alle
Onlus presenti sul territorio regionale per poi poter applicare l’esenzione, a
tutto vantaggio del soggetto che intende avvalersi dell’esenzione tributaria.
Queste affermazioni non sono
condivisibili. Infatti, l’onere di comunicazione si aggiunge a quelli già
gravanti sulle Onlus, e dunque non rappresenta uno snellimento, nella prospettiva
di tali enti. Si deve, tra l’altro, notare che l’IRAP dev’essere
versata in ogni Regione nella quale venga svolta l’attività produttiva – il che
significa che una Onlus presente in più territori, seguendo il ragionamento
svolto dalla resistente, potrebbe incontrare non solo diversi regimi di IRAP,
ma persino diversi oneri apposti alle agevolazioni. La normativa impugnata ha
dunque un contenuto che complica, piuttosto che semplificare, gli adempimenti a
carico delle Onlus, e sicuramente non è idonea ad alleggerire il quadro
dell’iter burocratico.
5.— La questione relativa all’art. 18,
comma 23, lettera c), della legge regionale impugnata è inammissibile.
La disposizione oggetto della censura
sostituisce l’art. 6, comma 3, della legge della Regione autonoma Sardegna n. 6
del 2008, prevedendo che i consorzi di bonifica possano realizzare e gestire
impianti di produzione elettrica da fonti rinnovabili anche in deroga al limite
dell’autoconsumo. Secondo il ricorrente, tale previsione verrebbe a collidere
con l’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione
della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno
dell’energia elettrica), che, in attuazione del diritto dell’Unione europea,
offre una definizione di autoproduttore. Tale
qualifica spetta per legge a quei soggetti che producono energia elettrica e la
utilizzano in misura almeno del 70 per cento l’anno per uso proprio o «delle
società controllate, della società controllante e delle società controllate
dalla medesima controllante, nonché per uso dei soci delle società cooperative
di produzione e distribuzione dell’energia elettrica».
Il ricorrente mette in luce che la
normativa regionale consente ai consorzi di bonifica di produrre energia
elettrica anche in deroga al limite dell’autoconsumo, deducendone un contrasto
con la legislazione statale; contrasto che costituirebbe una violazione tanto
dell’art. 4 dello statuto, con riferimento alla competenza regionale in materia
di produzione e distribuzione dell’energia elettrica, quanto con l’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost., che attribuisce allo Stato la tutela
dell’ambiente e dell’ecosistema in via esclusiva.
Tuttavia, il ricorrente non spiega in
cosa consista detto contrasto, atteso che la normativa regionale impugnata non
stabilisce una nozione di autoproduttore diversa e
incompatibile con quella fatta propria dal legislatore statale. Dalla
disposizione impugnata si evince soltanto che il consorzio di bonifica può
produrre energia oltre il limite fissato dal legislatore statale per
l’autoconsumo, mentre non vi sono elementi che lasciano intendere che il
consorzio che oltrepassi tale misura possa conservare la qualifica di autoproduttore, in spregio alla definizione fornita dal
legislatore statale. Il ricorrente non svolge alcuna considerazione che
sostanzi il contrasto tra le due normative che, in realtà, non paiono
raffrontabili.
La questione è, dunque, inammissibile
per genericità dei motivi di ricorso.
6.— L’articolo 20, comma 1, della legge
regionale n. 12 del 2011, censurato per violazione dell’art. 3, lettera a),
dello statuto e 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma Cost., contiene
una disposizione di interpretazione autentica dell’art. 3 della legge della
Regione autonoma Sardegna 7 agosto 2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori
economico e sociale), a sua volta modificata dall’art. 7, comma 1, della legge
della Regione autonoma Sardegna del 19 gennaio 2011, n. 1 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione). L’effetto
interpretativo della disposizione impugnata è nel senso di autorizzare
l’Amministrazione regionale a finanziare programmi pluriennali di
stabilizzazione dei lavoratori precari delle amministrazioni locali.
Successivamente alla presentazione del ricorso,
questa Corte, con sentenza
n. 30 del 2012, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7,
comma 1, della legge della Regione autonoma Sardegna n. 1 del 2011. La disposizione
ora censurata, dunque, effettua un’operazione interpretativa di altra
disposizione già dichiarata costituzionalmente illegittima.
Per tale ragione, la censura, secondo
ormai consolidata giurisprudenza costituzionale (ex multis
sentenza n. 397
del 2005), risulta inammissibile, poiché la disposizione oggetto del
giudizio non può esplicare effetti nell’ordinamento.
7.— L’art. 20, comma 2, della legge
regionale impugnata contiene una modifica dell’art. 7, comma 1, della legge
regionale n. 1 del 2011.
Si noti, per inciso, che la disposizione
impugnata asserisce erroneamente di modificare l’art. 7, comma 1-quater, della
legge regionale n. 1 del 2011, che in realtà non esiste. L’unico significato
plausibile della disposizione impugnata è che essa si prefigga di modificare
non il comma 1-quater, ma il comma 1 dell’art. 7 della legge n. 1 del 2011, il
quale introduceva il comma 1-quater all’art. 7 della precedente legge regionale
n. 3 del 2009.
Posta questa necessaria precisazione, la
disposizione impugnata dettaglia i criteri per l’individuazione e specifica le
funzioni del personale da inserire nei programmi pluriennali di stabilizzazione
di cui all’art. 20, comma 1: disposizione che, come si è detto poco sopra, è
priva di effetti a causa dell’intervenuta sentenza di questa
Corte n. 30 del 2012.
Per le medesime ragioni che sono alla
base della dichiarazione di illegittimità costituzionale della previsione di
programmi di stabilizzazione di lavoratori precari di cui alla sentenza n. 30 del
2012, più volte richiamata, occorre altresì dichiarare l’illegittimità costituzionale
della disposizione impugnata (art. 20, comma 2, della legge regionale n. 12 del
2011), che di quei programmi contiene prescrizioni di attuazione.
8.— L’art. 21 della legge regionale
impugnata prevede misure volte al superamento del precariato, attraverso la
predisposizione da parte dell’Amministrazione regionale di un programma mirato
a generare opportunità di lavoro per i qualificati come lavoratori socialmente
utili. La norma prevede che l’Amministrazione regionale, attraverso l’Assessorato
competente, predisponga, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della
legge, un programma con le misure da adottare per promuovere le opportunità di
lavoro stabile per i lavoratori socialmente utili, come inquadrati dal decreto
legislativo 28 febbraio 2000, n. 81 (Integrazioni e modifiche della disciplina
dei lavori socialmente utili, a norma dell’art. 45, comma 2, della legge 17
maggio 1999, n. 144). Tale programma, nella ricostruzione offerta dal
ricorrente, riserverebbe la totalità dei posti di lavoro al personale interno,
ponendosi in contrasto con l’art. 12, comma 4, del decreto legislativo 1°
dicembre 1997, n. 468 (Revisione della disciplina sui lavori socialmente utili,
a norma dell’articolo 22 della legge 24 giugno 1997, n. 196) – il quale prevede
che ai lavoratori socialmente utili gli enti pubblici possano riservare una
quota del 30 per cento dei posti da ricoprire attraverso una procedura
selettiva – e dunque con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, che, insieme,
individuano nel pubblico concorso, aperto ed eventualmente con una riserva dei
posti solo parziale e legata a ragioni specifiche, la modalità di reclutamento
del personale di ruolo degli enti pubblici.
8.1.— La questione è fondata.
La disposizione impugnata, infatti, non
resiste al controllo di legittimità costituzionale effettuato in base ai
parametri evocati dal ricorrente, ossia gli articoli 3 e 97 della Costituzione,
i quali prescrivono la regola del concorso pubblico ed aperto, sia al fine di
garantire il perseguimento del buon andamento nell’azione amministrativa sin
dalla selezione del suo ruolo, sia allo scopo di garantire a chiunque la
possibilità di partecipare all’esercizio delle funzioni pubbliche (ex multis sentenza n. 293 del
2009). La normativa censurata consente l’attuazione di programmi volti alla
creazione di posti di lavoro a favore dei cosiddetti lavoratori socialmente
utili, anche con il coinvolgimento di società in house, e permette agli enti che
li impiegano di continuare ad utilizzarli, accollando l’onere finanziario
derivante dalla loro stabilizzazione all’amministrazione regionale. In
sostanza, la disciplina regionale impugnata costruisce un progetto attraverso
il quale inquadrare stabilmente i lavoratori socialmente utili all’interno
delle amministrazioni regionali e locali, senza neppure predeterminare una
quota massima di posti a loro destinati.
La circostanza che si tratti di una
disposizione volta a favorire i cosiddetti lavoratori socialmente utili non
esime il legislatore regionale dal rispetto delle norme costituzionali
sopracitate, le quali chiaramente prescrivono, come già indicato da questa
Corte, che si possa derogare al regime del pubblico concorso o prevedere una
riserva di posti solo in presenza di puntuali requisiti, ossia la peculiarità
delle funzioni che il personale deve svolgere o specifiche necessità funzionali
dell’amministrazione (da ultimo, sentenze n. 56 del 2012
e n. 68 del 2011).
Requisiti che in ogni caso dovrebbero rispettare i limiti imposti dalla
legislazione statale sul punto, la quale ha fissato nel limite del 30 per cento
la quota di posti che può essere riservata ai cosiddetti lavoratori socialmente
utili.
La normativa impugnata non rispetta
dunque le condizioni già da tempo esplicitate dalla giurisprudenza
costituzionale, instaurando un progetto di stabilizzazione sciolto da qualsiasi
specifica finalità amministrativa, se non quella risolventesi
nell’inserimento stabile nei ruoli dell’Amministrazione di lavoratori
appartenenti a detta categoria.
per
questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, comma 9, della legge della Regione
autonoma Sardegna 30 giugno 2011, n. 12 (Disposizioni nei vari settori
d’intervento);
2) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 20, della predetta legge
regionale n. 12 del 2011;
3) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 2, della predetta legge
regionale n. 12 del 2011;
4) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 21 della predetta legge regionale n.
12 del 2011;
5) dichiara
inammissibile la questione relativa all’art. 3, comma 1, della predetta legge
regionale n. 12 del 2011;
6) dichiara
inammissibile la questione relativa all’art. 18, comma 23, lettera c), della
predetta legge regionale n. 12 del 2011;
7) dichiara
inammissibile la questione relativa all’art. 20, comma 1, della predetta legge
regionale n. 12 del 2011.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 aprile
2012.