SENTENZA N. 205
ANNO 2016
Commento alla decisione di
Valeria Marcenò
Come
decide la Corte costituzionale dinanzi alle lacune tecniche?
per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON
”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi
di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 418, 419 e 451, della legge
23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), promossi con ricorsi
della Regione Veneto, notificati il 26 e 27 febbraio 2015, depositati in
cancelleria il 5 e 9 marzo 2015, ed iscritti ai nn. 36 e 42 del
registro ricorsi 2015.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica
del 5 luglio 2016 il Giudice relatore Daria de Pretis;
uditi gli avvocati Ludovica
Bernardi, Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la
Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – La
Regione Veneto ha impugnato, con due distinti ricorsi (il primo depositato il 5
marzo 2015 e iscritto al n. 36 del registro ricorsi 2015, il secondo depositato
il 9 marzo 2015 e iscritto al n. 42 del registro ricorsi 2015), diverse
disposizioni della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità
2015).
Con il
primo ricorso la Regione ha impugnato, tra gli altri, il comma 418 dell’art. 1
della legge n. 190 del 2014, mentre, con il secondo ricorso, ha contestato, tra
gli altri, i commi 418, 419 e 451 del medesimo articolo.
Il comma
418 stabilisce che «[l]e province e le città metropolitane concorrono al
contenimento della spesa pubblica attraverso una riduzione della spesa corrente
di 1.000 milioni di euro per l’anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l’anno
2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall’anno 2017», e che, «[i]n
considerazione» di queste riduzioni di spesa, «ciascuna provincia e città
metropolitana versa ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato un
ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa». Sono escluse da
questo versamento «le province che risultano in dissesto alla data del 15
ottobre 2014». Si prevede, infine, che «[c]on decreto di natura non
regolamentare del Ministero dell’interno, di concerto con il Ministero
dell’economia e delle finanze, da emanare entro il 31 marzo 2015, con il
supporto tecnico della Società per gli studi di settore - SOSE Spa, sentita la
Conferenza Stato-città ed autonomie locali, è stabilito l’ammontare della
riduzione della spesa corrente che ciascun ente deve conseguire e del
corrispondente versamento tenendo conto anche della differenza tra spesa
storica e fabbisogni standard».
Il comma
419 statuisce che, «[i]n caso di mancato versamento del contributo di cui al
comma 418, entro il 31 maggio di ciascun anno, sulla base dei dati comunicati
dal Ministero dell’interno, l’Agenzia delle entrate […] provvede al recupero
delle predette somme nei confronti delle province e delle città metropolitane
interessate, a valere sui versamenti dell’imposta sulle assicurazioni contro la
responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore,
esclusi i ciclomotori, […] riscossa tramite modello F24, all’atto del
riversamento del relativo gettito alle medesime province e città metropolitane».
In caso di «incapienza a valere sui versamenti dell’imposta di cui al primo
periodo, il recupero è effettuato a valere sui versamenti dell’imposta
provinciale di trascrizione, con modalità definite con decreto del Ministero
dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dell’interno».
Il comma
451 proroga dal 2017 al 2018 le misure previste (con riferimento alle province
e alle città metropolitane) dall’art. 47, commi 1 e 2, del decreto-legge 24
aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia
sociale), convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della legge 23
giugno 2014, n. 89. L’art. 47, comma 1 (come modificato dal comma 451), dispone
che «[l]e province e le città metropolitane, a valere sui risparmi connessi
alle misure di cui al comma 2 e all’articolo 19, nonché in considerazione delle
misure recate dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, nelle more dell’emanazione del
Decreto del Presidente del Consiglio di cui al comma 92 dell’articolo 1 della
medesima legge 7 aprile 2014, n. 56, assicurano un contributo alla finanza
pubblica pari a 444,5 milioni di euro per l’anno 2014 e pari a 576,7 milioni di
euro per l’anno 2015 e 585,7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017
e 2018». Il comma 2 aggiunge che, «[p]er le finalità
di cui al comma 1, ciascuna provincia e città metropolitana consegue i risparmi
da versare ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato determinati
con decreto del Ministro dell’interno da emanare entro il termine del 30
giugno, per l’anno 2014, e del 28 febbraio per gli anni successivi […]», sulla
base di determinati criteri, di seguito indicati. In base al comma 4, «[i]n
caso di mancato versamento del contributo di cui ai commi 2 e 3, entro il 10
ottobre, sulla base dei dati comunicati dal Ministero dell’interno, l’Agenzia
delle Entrate […] provvede al recupero delle predette somme nei confronti delle
province e delle città metropolitane interessate, a valere sui versamenti
dell’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante
dalla circolazione dei veicoli a motore […]».
2.– Il
primo ricorso (r.r. n. 36 del 2015), dopo una
premessa critica sul complesso delle misure adottate dal legislatore statale
negli ultimi anni in relazione agli enti locali, si sofferma sulla
legittimazione della Regione a contestare norme lesive delle prerogative
costituzionali degli enti locali e a far valere la violazione di parametri
diversi da quelli relativi al riparto di competenze, in quanto tali violazioni
ridonderebbero sullo svolgimento delle funzioni garantite dalla Costituzione.
Nel merito,
la Regione Veneto solleva, in relazione all’art. 1, comma 418, della legge n.
190 del 2014, cinque distinte questioni di costituzionalità.
In primo
luogo, la Regione censura la violazione dei principi di solidarietà e di
eguaglianza di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione,
per la «disparità di trattamento e di sacrifici tra i vari comparti di cui si
compone la Pubblica Amministrazione»: il fatto che il sacrificio richiesto dal
comma 418 alle province e alle città metropolitane non sia imposto «ad altri
comparti (in particolar modo, alle Amministrazioni di livello centrale)»
determinerebbe anche la violazione dei principi di ragionevolezza e
proporzionalità.
In secondo
luogo, la Regione lamenta la violazione dell’art. 5 Cost.
Prevedendo un «trattamento deteriore» degli enti di area vasta rispetto agli
altri comparti della pubblica amministrazione e apportando «tagli
indiscriminati ed eccessivi alle risorse finanziarie a disposizione delle
Amministrazioni locali», la norma impugnata determinerebbe una lesione delle
«esigenze basilari dell’autonomia e del decentramento». Il comma 418
pregiudicherebbe «la programmazione di bilancio» degli enti locali, provocando
«l’impossibilità per gli stessi di far fronte alle spese programmate, con grave
pregiudizio dei bisogni primari della cittadinanza».
In terzo
luogo, la Regione lamenta la violazione degli artt. 117 e 119, primo, secondo,
terzo e quarto comma, Cost. Il comma 418, mediante i «”tagli”
sproporzionati e non ragionevoli» da esso previsti, priverebbe le province e le
città metropolitane della loro «autonomia di spesa», incidendo «sull’equilibrio
dei relativi bilanci» (art. 119, primo comma). Inoltre, imponendo agli enti di
area vasta di versare allo Stato le risorse risparmiate, la norma impugnata
eliminerebbe le «risorse autonome» e capovolgerebbe «i meccanismi di
compartecipazione e di trasferimento di risorse dallo Stato alla periferia, in
violazione dei commi secondo e terzo dell’art. 119 Cost.»,
poiché sarebbe «lo Stato a fruire di trasferimenti di risorse da parte degli
enti territoriali […], e non viceversa». La «diretta conseguenza» di ciò
consisterebbe nel fatto che le province e le città metropolitane sarebbero
«private delle risorse minime per assicurare il finanziamento integrale delle
funzioni pubbliche loro attribuite, in violazione del quarto comma dell’art.
119 Cost.». In sostanza, la Costituzione non legittimerebbe
«meccanismi di trasferimento di risorse economiche dal livello periferico a
quello centrale», come è quello previsto dal comma 418; il legislatore statale
«si sarebbe dovuto limitare alla previsione di adeguati "tagli”», senza
prevedere l’obbligo degli enti di area vasta di versare i corrispondenti
risparmi allo Stato. Inoltre, la Regione sottolinea che le risorse degli enti
stessi vanno «a finanziare genericamente la spesa statale», in quanto il comma
418 non prescrive alcuna destinazione specifica (quale potrebbe essere
l’incremento del fondo perequativo di cui all’art. 119, terzo comma, o delle
«risorse aggiuntive» di cui all’art. 119, quinto comma, Cost.).
La quarta
questione fa riferimento all’esclusione – dalle misure introdotte dal comma 418
– delle province «in dissesto alla data del 15 ottobre 2014»: essa si
tradurrebbe in una «discriminazione tra Regioni e tra enti territoriali con
differenti gradi di sviluppo», in contrasto con l’art. 3 Cost., in
relazione agli artt.
117 e 119 Cost.
Secondo la Regione, il legislatore statale non avrebbe dovuto escludere le
province in dissesto dall’applicazione del comma 418, ma avrebbe dovuto, se del
caso, attivare le misure di cui all’art. 119, terzo e quinto comma, Cost.
Viceversa, il comma 418 finirebbe «per accordare misure premiali proprio agli
enti che hanno dato prova di cattiva gestione della cosa pubblica».
Infine la
Regione censura il comma 418 per violazione dell’art. 117, terzo e quarto
comma, e dell’art.
119, primo comma, Cost.,
«sotto l’aspetto della non transitorietà della misura adottata», perché la
riduzione della spesa corrente è imposta per il 2015, per il 2016 e «a
decorrere dall’anno 2017».
2.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito nel giudizio di
legittimità costituzionale con memoria depositata il 3 aprile 2015.
In via preliminare,
la difesa erariale segnala che l’art. 1, comma 418, della legge n. 190 del 2014
è stato modificato, subito dopo la notificazione del ricorso, dagli emendamenti
apportati al decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di termini
previsti da disposizioni legislative), in sede di conversione, dalla legge 27
febbraio 2015, n. 11, ma che le modifiche non inciderebbero sulla materia del
contendere.
L’Avvocatura
eccepisce poi l’inammissibilità delle censure fondate sugli artt. 2, 3 e 5 Cost., in quanto la Regione non avrebbe «sufficientemente
motivato in ordine alla ridondanza delle lamentate violazioni sul riparto di
competenze». Inammissibili per genericità sarebbero anche le questioni
sollevate con riferimento all’art. 118 e all’art. 119 Cost. Con particolare
riguardo a quest’ultimo parametro, la difesa erariale osserva che la Regione
non adduce «elementi atti a dimostrare che gli enti locali, per effetto di tali
interventi [riduzione delle risorse], non potranno assolvere in modo adeguato
le proprie funzioni».
Nel merito,
il ricorso sarebbe infondato perché il legislatore statale avrebbe esercitato
il proprio potere di coordinamento della finanza pubblica. La previsione della
riduzione della spesa sarebbe legittima perché porrebbe un limite complessivo,
«lasciando agli enti libertà di allocazione delle risorse fra i diversi e
singoli ambiti e obiettivi di spesa». Il legislatore statale potrebbe
legittimamente imporre agli enti locali vincoli alle politiche di bilancio,
perché la finanza degli stessi è «"parte della finanza pubblica allargata”» (si
richiama in tal senso la sentenza n. 79 del
2014). Le misure adottate sarebbero legittime in quanto introdotte «"per
ragioni di coordinamento finanziario volte a salvaguardare […] l’equilibrio
unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il
perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi
comunitari” (C. cost. sent. n. 237 del
2009)». Tali scopi non potrebbero che essere perseguiti «dal legislatore
nazionale attraverso norme capaci d’imporsi all’intero sistema delle autonomie,
senza eccezioni, e in base a parametri comuni, ugualmente non soggetti a
deroghe, allo scopo di garantire la confrontabilità dei risultati in termini di
risanamento della finanza pubblica» (viene richiamata la sentenza n. 175 del
2014).
2.2.– La Regione ha depositato una memoria integrativa il 12 aprile 2016. In
essa la ricorrente si sofferma sulle modifiche apportate alla disposizione
impugnata dal d.l. n. 192 del 2014, convertito dalla legge n. 11 del 2015,
osservando che esse aggraverebbero i contenuti lesivi di essa in quanto,
prevedendo che le riduzioni di spesa siano «ripartite nelle misure del 90 per
cento fra gli enti appartenenti alle regioni a statuto ordinario e del restante
10 per cento fra gli enti della Regione siciliana e della Regione Sardegna», il
legislatore statale avrebbe «dimostrato di non tenere in minimo conto […] la
virtuosità del singolo ente (o, quanto meno, della Regione cui quest’ultimo
afferisce […])». Secondo la Regione, le questioni di costituzionalità
dovrebbero «intendersi trasferite al nuovo testo di legge».
La
ricorrente replica poi alle eccezioni di inammissibilità sollevate dalla
Presidenza del Consiglio e sviluppa le argomentazioni già svolte nel ricorso.
Essa censura inoltre la mancata considerazione della virtuosità degli enti, in
quanto i tagli «colpiscono indiscriminatamente» anche quelli che hanno già
ridotto al minimo le proprie spese.
3.– Con il secondo ricorso (r.r. n. 42 del 2015) la
Regione Veneto impugna alcune disposizioni della legge n. 190 del 2014 «che
influiscono gravemente sul processo di riforma» degli enti locali di cui alla
legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle
province, sulle unioni e fusioni di comuni), pregiudicando le attribuzioni
costituzionali degli enti di area vasta e della Regione Veneto. Con il primo
motivo di ricorso la Regione impugna congiuntamente i commi 418 (già impugnato
con il ricorso r.r. n. 36 del 2015), 419 e 451, in
quanto inciderebbero «in modo significativo sulle risorse proprie di Province e
Città metropolitane, minacciandone la solvibilità e l’effettiva possibilità di
continuare a svolgere le funzioni amministrative di loro competenza». La
ricorrente ricorda il contenuto dei commi 418 e 419 e aggiunge che il comma 451
aggraverebbe «ulteriormente il regime di contribuzione forzosa delineato dai
commi 418 e 419, prorogando anche per l’anno 2018 analogo contributo coattivo
posto a carico di Province e Città metropolitane dall’art. 47 del d.l. 24
aprile 2014, n. 66 (pari a "576,7 milioni di euro per l’anno 2015 e 585,7
milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018”)».
La Regione
precisa di agire a tutela della propria autonomia legislativa, amministrativa e
finanziaria, «nonché delle attribuzioni costituzionali degli enti di area vasta
veneti», come sarebbe ammesso dalla giurisprudenza costituzionale.
Con
riferimento ai commi 418, 419 e 451, la Regione avanza quattro distinte censure
di legittimità costituzionale.
La prima
questione è sollevata con riferimento all’art. 119, primo, secondo
e quarto comma, Cost. La riduzione della spesa corrente prevista dal comma
418 sarebbe, «in realtà, […] un contributo economico forzoso che gli enti di
area vasta sono tenuti a versare alle casse dello Stato» e «[d]el tutto analoghe» sarebbero «le caratteristiche (e la
ratio) del contributo disciplinato dall’art. 47 del d.l. n. 66/2014, prorogato
fino al 2018 dall’art. 1, comma 451, della l. n. 190/2014».
L’obiettivo
del «contenimento della spesa pubblica» non verrebbe perseguito «tramite
processi di ottimizzazione nella gestione delle risorse statali (o locali), ma
attraverso lo spostamento coattivo di risorse dalla periferia al centro: la
leva fiscale e le conseguenti risorse proprie di Province e Città metropolitane
dovranno essere utilizzate (ed in modo consistente) non per finanziare le
funzioni di area vasta, ma per contribuire al risanamento del bilancio
statale».
In tal modo
risulterebbe violato l’art. 119 Cost., in quanto
«l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa», le «risorse autonome» ed i
«tributi ed entrate propri» (di cui devono godere le province e le città
metropolitane) «hanno a che vedere con la loro capacità di gestire
responsabilmente le risorse economiche di cui dispongono, senza vincolo di
subordinazione rispetto ad alcun altro ente costitutivo della Repubblica». Tale
capacità verrebbe meno quando si impone a province e a città metropolitane «di
destinare una parte così rilevante di tali risorse al finanziamento delle
funzioni altrui (dello Stato, in specie), in luogo delle proprie».
La lesione
dell’autonomia di entrata e di spesa di tali enti sarebbe evidenziata dalle
«modalità di riscossione coattiva del contributo forzoso delineate dal comma 419,
che incide sulle più significative forme di finanziamento delle funzioni di
area vasta: l’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile
derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, la cui aliquota può essere
dalle Province innalzata dal 12,5 al 16%», e «l’imposta provinciale di
trascrizione, sulle cui tariffe le Province hanno un margine di manovra del
30%», quest’ultima per il caso di «incapienza» della prima. Il legislatore
statale, dunque, avrebbe previsto che il «prelievo forzoso» imposto dal comma
418 possa «esaurire l’intero gettito» derivante dalla citata imposta sulla
assicurazione contro la responsabilità civile, gettito che rappresenterebbe,
«da solo, più della metà delle entrate tributarie di cui dispongono le
Province».
Dunque,
verrebbe meno «la natura di tributi propri derivati delle due principali
imposte provinciali, che presupporrebbe l’effettivo mantenimento in capo alle
Province ed alle Città metropolitane del relativo gettito». La ricorrente
sottolinea che «[l]o Stato potrà, così, giovarsi delle risorse raccolte da
Province e Città metropolitane senza assumere in alcun modo la responsabilità
politica delle corrispondenti decisioni impositive»: anche da ciò deriverebbe
la «violazione dei principi di autonomia – e di responsabilità – finanziaria di
cui all’art. 119 Cost.».
Secondo la
Regione, il «contributo forzoso imposto dalla legge di stabilità per il 2015
alle Province venete causerà […] un disequilibrio grave nei saldi di parte
corrente relativi alla spesa per funzioni fondamentali, pari complessivamente a
oltre 50 milioni di euro nel 2015, e ad oltre 120 milioni di euro nel 2016»,
sicché «il saldo di parte corrente diverrà negativo», con punte nel 2016 di
circa 18 milioni di euro (Provincia di Padova), 34 milioni di euro (Provincia
di Treviso), 22 milioni di euro (Provincia di Venezia), 20 milioni di euro
(Provincia di Verona), 28 milioni di euro (Provincia di Vicenza): da ciò si
desume che, «a causa a dell’effetto combinato dei contributi imposti dall’art
1, comma 418 della l. n. 190/2014, e dall’art 47 del d.l. n. 66/2014 (prorogato
fino ai 2018 dall’art. 1, comma 451, della l. n. 190/2014), Province e Città
metropolitane non riusciranno con le proprie risorse a "finanziare
integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite”», con conseguente
violazione dell’art. 119, quarto comma, Cost. Dunque, le norme impugnate
violerebbero i canoni della ragionevolezza e proporzionalità dell’intervento
normativo rispetto all’obiettivo prefissato, in contrasto con i principi fissati
dalla giurisprudenza costituzionale (vengono citate le sentenze n. 22 del 2014 e n. 236 del 2013).
Infine, la violazione
dell’art. 119 Cost. deriverebbe dalla non
transitorietà dei limiti previsti dalle norme impugnate (si citano, a tale
proposito, le sentenze n. 44 del 2014
e n. 193 del
2012). Il comma 418 prevede «una riduzione della spesa corrente […] di
3.000 milioni di euro, "a decorrere dall’anno 2017”» e, dunque, non ha un
orizzonte temporale definito.
Sotto altro
versante, la ricorrente prospetta la violazione degli artt. 3, 97 e 118 Cost.
A suo
giudizio, infatti, l’intento del legislatore statale sarebbe quello di
«comprimere in modo progressivo e stringente le attribuzioni delle Province, in
attesa della loro programmata soppressione», dimenticando però che «le
Province, fino a quando godranno di diretta garanzia costituzionale in quanto
enti costitutivi della Repubblica, sono titolari di insopprimibili funzioni
fondamentali», che, del resto, sono state confermate dallo stesso legislatore
statale (in base all’art. 1, comma 85, della legge n. 56 del 2014).
I commi
418, 419 e 451 violerebbero dunque gli artt. 97 e 118 Cost. perché, privando le province delle risorse necessarie per
l’esercizio delle funzioni fondamentali, comprometterebbero il buon andamento
della pubblica amministrazione e pregiudicherebbero le competenze
amministrative spettanti alle province in base all’art. 118 Cost.
Inoltre le
norme impugnate violerebbero l’art. 3 Cost. perché sarebbero irragionevoli e contraddittorie «rispetto
al percorso di riforma degli enti locali tracciato dal legislatore nazionale
con la l. n. 56 del 2014»: il legislatore «con una mano conferma la titolarità
di funzioni fondamentali in capo a Province e Città metropolitane, e con
l’altra le priva delle risorse necessarie a finanziarle». Inoltre, sarebbe
violato il canone di proporzionalità richiesto in questo ambito dalla
giurisprudenza costituzionale.
Viene,
ancora, prospettata la violazione dell’art. 114 Cost., come
conseguenza diretta della gravità della «lesione dell’autonomia finanziaria e
dell’autonomia amministrativa delle Province e delle Città metropolitane», che
avrebbe comportato «una più ampia compromissione della dignità autonoma delle
Province e delle Città metropolitane, quali componenti essenziali della
Repubblica ex art 114 Cost.», essendo tali enti
divenuti «una sorta di esattori per conto dello Stato, tenuti a versare nel suo
bilancio parte consistente dei tributi propri», con mortificazione della
«dignità costituzionale delle comunità provinciali, anch’esse costituzionalmente
garantite dall’art. 114 Cost., e meritevoli di ricevere servizi pubblici
adeguati alla loro partecipazione, su base locale, alle pubbliche spese».
Viene
infine prospettata la violazione degli artt. 117, commi terzo e quarto, e 118 Cost., nonché del principio di leale collaborazione di cui
agli artt. 5 e 120 Cost.
In
attuazione della riforma del sistema degli enti locali delineata dalla legge n.
56 del 2014, infatti, alle regioni e ai comuni dovrebbero essere attribuite in
tutto o in parte le funzioni non fondamentali di attuale spettanza delle
province e «le risorse finanziarie, già spettanti alle province ai sensi
dell’articolo 119 della Costituzione, […] devono essere trasferite agli enti
subentranti per l’esercizio delle funzioni loro attribuite, dedotte quelle
necessarie alle funzioni fondamentali» (art 1, comma 92, della legge n. 56 del
2014; la ricorrente cita anche l’Accordo raggiunto nella Conferenza unificata
dell’11 settembre 2014 e il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
26 settembre 2014, recante «Criteri per l’individuazione dei beni e delle
risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse con
l’esercizio delle funzioni provinciali»). Ne deriva che le funzioni
amministrative provinciali non fondamentali, che dovranno essere trasferite
alle regioni od ai comuni, continueranno ad essere finanziate con le risorse
proprie delle province, sicché il contributo forzoso imposto dai commi 418, 419
e 451 della legge n. 190 del 2014 «oltre a pregiudicare direttamente le
Province, pregiudicherà quindi indirettamente anche gli enti subentranti, che
difficilmente potranno disporre delle risorse necessarie a finanziare le
funzioni non fondamentali loro attribuite».
Il
contestato contributo forzoso inciderebbe pertanto gravemente «anche sulla
corretta distribuzione delle funzioni amministrative tra enti di area vasta,
Regione e Comuni, che spetterebbe alla Regione disciplinare nell’esercizio
della sua competenza legislativa, nel rispetto degli artt. 117 e 118 Cost.» (ai sensi dell’art. 1, comma 89, della legge n. 56 del 2014).
Nel Veneto le funzioni provinciali non fondamentali sono riconducibili a
materie ricadenti nella potestà legislativa concorrente o residuale della
Regione, quali i servizi per il lavoro, la formazione e l’istruzione, le
politiche sociali, il turismo, lo sport, la cultura e lo spettacolo,
l’agriturismo, le attività produttive. In tutti questi ambiti, a giudizio della
ricorrente, la Regione «vedrà inevitabilmente ed illegittimamente compressa la
propria potestà legislativa, de facto vincolata e limitata dalla scarsità di
risorse finanziarie provinciali imposta dallo Stato, tramite il contributo
forzoso de quo».
Da ciò
discenderebbe anche la violazione del principio di leale
collaborazione, dato che «la libera attribuzione delle funzioni provinciali
non fondamentali», da parte delle regioni, sarebbe stata «ribadita e concordata
tra Stato e Regioni anche in sede di Accordo raggiunto nella Conferenza
Unificata dell’11 settembre 2014».
3.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito anche in questo giudizio
di legittimità costituzionale, con memoria depositata il 3 aprile 2015.
La difesa
erariale svolge considerazioni corrispondenti a quelle contenute nell’atto di
costituzione depositato nel giudizio r.r. n. 36 del
2015, di cui si è già riferito.
3.2.– La Regione ha depositato una memoria integrativa e documenti il 12 aprile
2016. In essa, in particolare, ribadisce che i saldi relativi alla spesa delle
province per funzioni fondamentali sarebbero divenuti negativi, cita a sostegno
una relazione del 2015 della Corte dei conti e rileva che gli effetti
eccessivamente negativi delle norme impugnate sarebbero confermati «da alcuni
interventi di favore che recentemente il Governo ha ritenuto di concedere agli
enti di area vasta»: la Regione richiama a tale proposito la legge 28 dicembre
2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)».
Inoltre, la
Regione illustra ulteriormente la violazione dell’art. 119 Cost.,
derivante dal fatto che il contributo forzoso imposto dalle norme impugnate
contraddirebbe la ratio di tale disposizione, sarebbe di «misura […]
sproporzionata per eccesso» e non sarebbe temporaneo.
Nella
stessa data la Regione ha depositato una memoria relativa al comma 451, uguale
nel contenuto a quella appena citata, salva la mancanza della censura relativa
al carattere stabile del contributo, dato che il comma 451 lo proroga al 2018 e
non a tempo indeterminato.
Considerato in diritto
1.– La Regione Veneto ha impugnato, con due distinti ricorsi, diverse
disposizioni della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità
2015).
Con il
primo ricorso (r.r. n. 36 del 2015) la Regione ha
impugnato, tra gli altri, il comma 418 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014,
mentre, con il secondo (r.r. n. 42 del 2015), ha
contestato, tra gli altri, i commi 418, 419 e 451 del medesimo art. 1.
Il comma
418 stabilisce che «[l]e province e le città metropolitane concorrono al
contenimento della spesa pubblica attraverso una riduzione della spesa corrente
di 1.000 milioni di euro per l’anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l’anno
2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall’anno 2017», e che, «[i]n
considerazione» di queste riduzioni di spesa, «ciascuna provincia e città
metropolitana versa ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato un
ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa». Sono escluse da
questo versamento «le province che risultano in dissesto alla data del 15
ottobre 2014».
Il comma
419 statuisce che, «[i]n caso di mancato versamento del contributo di cui al
comma 418, entro il 31 maggio di ciascun anno, sulla base dei dati comunicati
dal Ministero dell’interno, l’Agenzia delle entrate […] provvede al recupero
delle predette somme nei confronti delle province e delle città metropolitane
interessate, a valere sui versamenti dell’imposta sulle assicurazioni contro la
responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore,
esclusi i ciclomotori, […] riscossa tramite modello F24, all’atto del
riversamento del relativo gettito alle medesime province e città
metropolitane». In caso di «incapienza a valere sui versamenti dell’imposta di
cui al primo periodo, il recupero è effettuato a valere sui versamenti
dell’imposta provinciale di trascrizione, con modalità definite con decreto del
Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministero
dell’interno».
Il comma
451 proroga dal 2017 al 2018 le misure previste (con riferimento alle province
e alle città metropolitane) dall’art. 47, commi 1 e 2, del decreto-legge 24
aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia
sociale), convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della legge 23
giugno 2014, n. 89. L’art. 47, comma 1 (come modificato dal comma 451), dispone
che «[l]e province e le città metropolitane, a valere sui risparmi connessi
alle misure di cui al comma 2 e all’articolo 19, nonché in considerazione delle
misure recate dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, nelle more dell’emanazione del
Decreto del Presidente del Consiglio di cui al comma 92 dell’articolo 1 della
medesima legge 7 aprile 2014, n. 56, assicurano un contributo alla finanza
pubblica pari a 444,5 milioni di euro per l’anno 2014 e pari a 576,7 milioni di
euro per l’anno 2015 e 585,7 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017
e 2018». Il comma 2 aggiunge che, «[p]er le finalità
di cui al comma 1, ciascuna provincia e città metropolitana consegue i risparmi
da versare ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato determinati
con decreto del Ministro dell’interno da emanare entro il termine del 30
giugno, per l’anno 2014, e del 28 febbraio per gli anni successivi […]», sulla
base di determinati criteri, di seguito indicati. In base al comma 4, «[i]n
caso di mancato versamento del contributo di cui ai commi 2 e 3, entro il 10
ottobre, sulla base dei dati comunicati dal Ministero dell’interno, l’Agenzia
delle Entrate […] provvede al recupero delle predette somme nei confronti delle
province e delle città metropolitane interessate, a valere sui versamenti
dell’imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante
dalla circolazione dei veicoli a motore […]».
1.1.– Con
il primo ricorso la Regione Veneto impugna il comma 418 dell’art. 1 della legge
n. 190 del 2014 per la violazione dei seguenti parametri costituzionali: a)
artt. 2 e 3 della Costituzione (principi di solidarietà, di eguaglianza, di
ragionevolezza e proporzionalità) per il fatto che il sacrificio richiesto dal
comma 418 agli enti di area vasta non è imposto «ad altri comparti (in
particolar modo, alle Amministrazioni di livello centrale)»; b) art. 5 Cost.,
in quanto, apportando «tagli indiscriminati ed eccessivi alle risorse
finanziarie a disposizione delle Amministrazioni locali», la norma impugnata
determinerebbe una lesione delle «esigenze basilari dell’autonomia e del
decentramento»; c) artt. 117 e 119, primo, secondo, terzo e quarto comma,
Cost., in quanto i «"tagli” sproporzionati e non ragionevoli» da esso previsti
priverebbero le province e le città metropolitane della loro «autonomia di
spesa», l’obbligo di versamento allo Stato delle corrispondenti risorse
capovolgerebbe «i meccanismi di compartecipazione e di trasferimento di risorse
dallo Stato alla periferia» e le province e le città metropolitane sarebbero
«private delle risorse minime per assicurare il finanziamento integrale delle
funzioni pubbliche loro attribuite»; d) art. 3 Cost., in relazione agli artt.
117 e 119 Cost., in quanto l’esclusione delle province «in dissesto alla data
del 15 ottobre 2014» si tradurrebbe in una «discriminazione» tra enti
territoriali, dovendo invece il legislatore statale, se del caso, attivare le
misure di cui all’art. 119, terzo e quinto comma, Cost.; e) art. 117, terzo e
quarto comma, e art. 119, primo comma, Cost., «sotto l’aspetto della non
transitorietà della misura adottata», perché la riduzione della spesa corrente
è imposta per il 2015, per il 2016 e «a decorrere dall’anno 2017».
1.2.– Con
il secondo ricorso la Regione Veneto impugna i commi 418, 419 e 451 dell’art. 1
della legge n. 190 del 2014 per la violazione dei seguenti parametri costituzionali:
a) art. 119, primo, secondo e quarto comma, Cost., in quanto le previsioni
contenute nei commi impugnati pregiudicherebbero la «capacità [degli enti] di
gestire responsabilmente le risorse economiche di cui dispongono»,
incrinerebbero il principio di responsabilità finanziaria e impedirebbero agli
enti di area vasta di «finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro
attribuite»; b) artt. 3, 97 e 118 Cost. perché le previsioni stesse sarebbero
irragionevoli e contraddittorie «rispetto al percorso di riforma degli enti
locali tracciato dal legislatore nazionale con la l. n. 56 del 2014» e perché,
privando le province e le città metropolitane delle risorse necessarie per
l’esercizio delle funzioni fondamentali, comprometterebbero il buon andamento
della pubblica amministrazione e pregiudicherebbero le competenze
amministrative spettanti agli enti di area vasta in base all’art. 118 Cost.; c)
art. 114 Cost. in quanto le norme impugnate
implicherebbero una «compromissione della dignità autonoma delle Province e
delle Città metropolitane, quali componenti essenziali della Repubblica ex art.
114. Cost.»; d) artt. 117, commi terzo e quarto, e
118 Cost., nonché il principio di leale collaborazione perché alle regioni ed
ai comuni dovrebbero essere attribuite le funzioni non fondamentali delle
province e le relative risorse finanziarie, ragion per cui il contributo
forzoso imposto alle province dai commi 418, 419 e 451 della legge n. 190 del
2014 pregiudicherebbe indirettamente anche gli enti subentranti, condizionerebbe
la potestà legislativa regionale di distribuzione delle funzioni amministrative
e violerebbe il principio di leale collaborazione, dato che «la libera
attribuzione delle funzioni provinciali non fondamentali», da parte delle
regioni, sarebbe stata «ribadita e concordata tra Stato e Regioni anche in sede
di Accordo raggiunto nella Conferenza Unificata dell’11 settembre 2014».
2.– I due ricorsi hanno un oggetto parzialmente comune, sia per le
disposizioni impugnate che per le questioni sollevate, sicché ne appare
opportuna la riunione ai fini di una decisione congiunta.
3.– In via preliminare, occorre soffermarsi sull’ipotesi (formulata dalla
Regione nella memoria depositata nel giudizio r.r. n.
36 del 2015) di trasferimento delle questioni di legittimità costituzionale a
seguito dello ius superveniens.
Il comma
418 è stato modificato dall’art. 4, comma 5-ter, del decreto-legge 31 dicembre
2014, n. 192 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio
2015, n. 11, con l’aggiunta di un periodo che ripartisce le riduzioni di spesa
tra gli enti delle regioni ordinarie e gli enti delle regioni insulari. Lo ius superveniens, tuttavia, non
incide né sulla norma censurata, né – a ben vedere – sulla specifica
disposizione impugnata, nel senso che il testo espressivo della riduzione di
spesa corrente oggetto di contestazione non è stato toccato, limitandosi la
novella ad aggiungere un periodo ulteriore. Dunque, non sussistono i
presupposti per un trasferimento delle questioni in quanto «[l]a citata
modifica non incide comunque sui termini del ricorso» (sentenze n. 151 del 2016
e, analogamente, n.
272 del 2015).
3.1.– Sempre in via preliminare, occorre precisare il thema
decidendum con riferimento all’impugnazione del comma
451 dell’art. 1 della legge n. 190 del 2014. Il comma 451, lettere a) e b),
proroga al 2018 le riduzioni di spesa previste dai commi 1, 2, 8 e 9 dell’art.
47 del decreto-legge n. 66 del 2014, ma il ricorso censura la disposizione solo
con riferimento alle province e alle città metropolitane, per cui la norma di
cui alla lettera b) risulta estranea all’oggetto del giudizio là dove fa
riferimento ai commi 8 e 9 dell’art. 47, contemplanti un contributo alla
finanza pubblica posto a carico dei comuni.
3.2.–
Infine, è opportuno ricordare che le regioni sono legittimate a denunciare la
lesione delle prerogative costituzionali degli enti locali (ex multis, sentenze n. 151 e n. 29 del 2016,
n. 236 e n. 220 del 2013,
n. 298 del 2009,
n. 196 del 2004).
4.– Si può ora passare ad esaminare le questioni promosse dalla Regione Veneto
con il primo ricorso (r.r. n. 36 del 2015).
Con
riferimento alla prima questione (violazione degli artt. 2 e 3 Cost., per la «disparità di trattamento e di sacrifici tra i
vari comparti di cui si compone la Pubblica Amministrazione») la difesa
erariale eccepisce l’inammissibilità per insufficiente motivazione sulla
«ridondanza delle lamentate violazioni sul riparto di competenze».
L’eccezione
è infondata. La Regione osserva che «la politica di tagli generalizzati alla
spesa e alle risorse degli enti territoriali […] impedisce a questi ultimi di
svolgere le funzioni loro deferite: il che si riverbera, evidentemente, sulle
garanzie che la Costituzione assicura a tali enti per l’esercizio delle
rispettive funzioni». Tale motivazione, prospettando la compressione
dell’autonomia degli enti di area vasta in tutti i settori di loro competenza,
quale deriva chiaramente dalla riduzione della spesa corrente e dal passaggio
delle corrispondenti risorse allo Stato, è sufficiente ad argomentare la
ridondanza dei vizi denunciati sulle competenze degli enti stessi (sentenze n. 117, n. 110 e n. 64 del 2016
e n. 250 del
2015).
4.1.– Il primo motivo del primo ricorso è tuttavia inammissibile per un’altra
ragione. La Regione non svolge alcuna argomentazione sull’assimilabilità delle
posizioni rispettive dello Stato e degli enti di area vasta, e dunque
sull’irragionevolezza della limitazione – alle province e alle città
metropolitane – dell’ambito di applicazione del comma 418.
Una
specifica motivazione sul punto sarebbe stata a fortiori necessaria perché,
come si vedrà, il comma 418 si inserisce nel contesto della riforma prevista
dalla legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle
province, sulle unioni e fusioni di comuni), e delle conseguenti riduzioni di
personale stabilite dall’art. 1, comma 421, della legge n. 190 del 2014.
Collegandosi dunque il comma in contestazione alla peculiare situazione delle
province e delle città metropolitane, la censura immotivata della «disparità di
trattamento» non si presta ad uno scrutinio nel merito per carenza di
motivazione sulla «confrontabilità delle situazioni» (sentenze n. 151 e n. 69 del 2016).
5.– La seconda questione (violazione dell’art. 5 Cost. per
lesione delle «esigenze basilari dell’autonomia e del decentramento») non
richiede un esame distinto. Secondo la ricorrente la violazione del principio
di promozione delle autonomie locali deriverebbe dal «trattamento deteriore»
riservato ad esse rispetto ad altri comparti della pubblica amministrazione e
dai «tagli indiscriminati ed eccessivi alle risorse finanziarie a disposizione
delle Amministrazioni locali». Tale questione si può dunque considerare
ricompresa sia in quella – appena esaminata – fondata sull’art. 3 Cost., sia in quella che fa leva sull’art. 119 Cost.,
trattata qui di seguito.
6.– La terza questione si riferisce ai primi quattro commi dell’art. 119 e
all’art. 117 Cost. In realtà l’argomentazione è poi incentrata unicamente
sull’art. 119 Cost., con la conseguenza che è
inammissibile, per difetto di motivazione, la questione relativa all’art. 117
Cost.
6.1.– La questione avente come parametro l’art. 119 Cost. comprende due distinte
censure: la prima attiene alla violazione dell’art. 119, quarto comma, in
quanto le province e le città metropolitane sarebbero «private delle risorse
minime per assicurare il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche loro
attribuite»; la seconda attiene alla previsione del passaggio di risorse dal
bilancio provinciale (e delle città metropolitane) a quello statale (senza
alcuna prescrizione sulla destinazione che lo Stato deve imprimere a tali
risorse, salvo il riferimento al vincolo a versare l’importo «ad apposito
capitolo di entrata del bilancio dello Stato»), con conseguente lesione
dell’autonomia finanziaria di spesa e capovolgimento dei «meccanismi di
compartecipazione e di trasferimento di risorse dallo Stato alla periferia»
(art. 119, primo, secondo e terzo comma).
La prima
censura è avanzata dalla stessa Regione Veneto anche nel secondo ricorso (r.r. n. 42 del 2015) e dunque viene qui esaminata
considerando congiuntamente gli argomenti svolti in entrambi i ricorsi.
Essa non è
fondata.
La
giurisprudenza di questa Corte è costante nel richiedere che, qualora venga
lamentata – in via principale o incidentale – la violazione dell’art. 119,
quarto comma, Cost. per impossibilità di esercizio delle funzioni degli enti
territoriali, venga fornita la prova di tale impossibilità, cioè del fatto che
la norma legislativa contestata produce uno squilibrio finanziario eccessivo a
danno degli enti stessi (ex multis,
sentenze n. 151,
n. 127 e n. 65 del 2016,
n. 89 del 2015,
n. 26 del 2014).
Nel primo
ricorso la Regione Veneto non soddisfa in alcun modo l’onere probatorio, in
quanto né l’atto introduttivo né la memoria integrativa forniscono dati di
alcun tipo. Al ricorso sono allegati due documenti, ma il primo di essi (Corte
dei conti, sezione delle autonomie, Relazione sulla gestione finanziaria degli
enti territoriali, esercizio 2013, 29 dicembre 2014), oltre a riguardare un
esercizio non toccato dalle norme impugnate, non fornisce elementi precisi, mentre
il secondo (Documento della Banca d’Italia Finanza pubblica, fabbisogno e
debito, 14 maggio 2014) riguarda solo i commi 435 e 459 dell’art. 1 della legge
n. 190 del 2014 (impugnati con il medesimo ricorso: sentenza n. 151 del
2016).
Nel secondo
ricorso la Regione Veneto cerca di provare la violazione dell’art. 119, quarto
comma, Cost., producendo documenti allegati sia
all’atto introduttivo, sia alla memoria integrativa.
Tali
documenti, tuttavia, risultano inutilizzabili, in quanto consistono in tabelle
prive di qualsiasi elemento (intestazione, firma o altro) idoneo a garantire o
perlomeno a indicare la loro provenienza. Né la fonte delle tabelle è
ricavabile dal ricorso (che si limita a citare i documenti) o dalla memoria
(che parla di «prospetto aggiornato»). Dunque, poiché la Regione non ha fornito
documenti ufficiali, ma mere rappresentazioni grafiche di dati contabili la cui
provenienza non è nota, quanto prodotto non è idoneo a provare le affermazioni
della ricorrente. Si rileva peraltro che il contenuto delle tabelle
risulterebbe comunque, sotto diversi profili, inadeguato a fornire la prova
richiesta.
Si deve
osservare ancora che, nel descrivere la situazione delle province venete, la
Regione non considera l’impatto delle misure adottate dallo Stato a favore
delle province nel 2015, tramite il decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78
(Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali. Disposizioni per
garantire la continuità dei dispositivi di sicurezza e di controllo del
territorio. Razionalizzazione delle spese del Servizio sanitario nazionale
nonché norme in materia di rifiuti e di emissioni industriali), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2015, n. 125, e
tramite la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2016). Questa
Corte ha più volte precisato che le norme incidenti sull’assetto finanziario
degli enti territoriali non possono essere valutate in modo "atomistico”, ma
solo nel contesto della manovra complessiva, che può comprendere norme aventi
effetti di segno opposto sulla finanza delle regioni e degli enti locali (ex multis, sentenze n. 82 del 2015,
n. 26 del 2014,
n. 27 del 2010,
n. 155 del 2006,
n. 431 del 2004).
6.2.– Anche la seconda censura è avanzata dalla stessa Regione Veneto in
entrambi i ricorsi e, dunque, viene qui esaminata considerando congiuntamente
gli argomenti in essi svolti. Con tale censura è contestato il disposto
passaggio di risorse dal bilancio degli enti di area vasta a quello statale
senza prescrizioni sulla destinazione di tali risorse.
La
questione non è fondata nei termini di seguito esposti.
La
riduzione della spesa corrente disposta dal comma 418 si inserisce, come già
sottolineato, nel complesso disegno di riforma delle province e delle città
metropolitane, avviato con la citata legge n. 56 del 2014, «in attesa della
riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative
norme di attuazione» (comma 51). Al contempo essa è diretta a perseguire il più
generale obiettivo di miglioramento dell’efficienza della spesa pubblica, come
risulta confermato dall’ultimo periodo del comma 418, ove è previsto che
l’ammontare della riduzione per ciascun ente è determinato «tenendo conto anche
della differenza tra spesa storica e fabbisogni standard».
La legge n.
56 del 2014 ha inciso sull’assetto delle province e delle città metropolitane
sotto il profilo organizzativo e sotto quello funzionale: con riferimento in
particolare alle prime, riformandone gli organi politici e prevedendo la
gratuità dei relativi incarichi (comma 84); individuando le loro funzioni
fondamentali (comma 85) e stabilendo che le altre funzioni debbano essere
riallocate dallo Stato e dalle regioni in base all’art. 118 Cost. (comma 89), con conseguente passaggio delle risorse
finanziarie e umane connesse alle funzioni trasferite (commi 92, 96, lettera a,
e 97, lettera b). Entrambe le innovazioni sono destinate, fra l’altro, a
produrre una rilevante diminuzione della spesa provinciale.
La legge n.
56 del 2014 ha previsto una "regìa” unitaria di tale complessa operazione di
riallocazione delle funzioni, sia dettandone direttamente un’analitica
disciplina (si veda, ad esempio, il comma 96), sia prevedendo successivi atti
statali diretti a stabilire i criteri di individuazione delle risorse da
trasferire (comma 92) e ad adeguare la legislazione sulla finanza degli enti
territoriali, nel rispetto del criterio secondo il quale «le risorse
finanziarie, già spettanti alle province ai sensi dell’articolo 119 della
Costituzione, dedotte quelle necessarie alle funzioni fondamentali e fatto
salvo quanto previsto dai commi da 5 a 11, sono attribuite ai soggetti che
subentrano nelle funzioni trasferite, in relazione ai rapporti attivi e passivi
oggetto della successione, compresi i rapporti di lavoro e le altre spese di
gestione» (comma 97, lettera b).
Procedendo
a rilento l’attuazione di tale disegno riformatore, il legislatore ha impresso
ad essa una «spinta acceleratoria» (sentenza n. 159 del
2016), tramite l’art. 1, comma 421, della legge n. 190 del 2014, in base al
quale «[l]a dotazione organica delle città metropolitane e delle province delle
regioni a statuto ordinario è stabilita, a decorrere dalla data di entrata in
vigore della presente legge, in misura pari alla spesa del personale di ruolo
alla data di entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56, ridotta
rispettivamente, tenuto conto delle funzioni attribuite ai predetti enti dalla
medesima legge 7 aprile 2014, n. 56, in misura pari al 30 e al 50 per cento
[…]». Con la citata
sentenza n. 159 del 2016 questa Corte ha dichiarato non fondate le
questioni di legittimità costituzionale proposte da diverse regioni su questa
disposizione.
La
riduzione della spesa e la previsione del corrispondente versamento di risorse
«ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato», disposti dal comma
418 e dall’art. 47, comma 1, del d.l. n. 66 del 2014 (oggetto della proroga
disposta dall’impugnato comma 451), si collocano in questo contesto. Ciò
risulta espressamente nello stesso art. 47, comma 1 (il quale fa riferimento
alle misure recate dalla legge n. 56 del 2014 e a quelle di cui all’art. 19
dello stesso d.l. n. 66 del 2014, che ha aggiunto i commi 150-bis e 150-ter
nella legge n. 56 del 2014), ma, per logica di sistema, deve essere ritenuto
anche con riferimento al comma 418, come è confermato dalla circolare n. 1 del
2015 del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e del
Ministro per gli affari regionali e le autonomie (nella quale si legge che
«[l]a riduzione incrementale della spesa corrente si coordina anche con la
graduale attuazione dei processi di mobilità del personale definiti dalla legge
56 del 2014 e dai commi da 420 a 428») e dalla deliberazione della Corte dei
conti, sezione delle autonomie, 30 aprile 2015, n. 17, Il riordino delle
Province – Aspetti ordinamentali e riflessi finanziari.
Più
precisamente, dunque, disponendo il comma 418 che le risorse affluiscano «ad
apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato», si deve ritenere – e in
questi termini la disposizione va correttamente interpretata – che tale
allocazione sia destinata, per quel che riguarda le risorse degli enti di area
vasta connesse al riordino delle funzioni non fondamentali, a una successiva
riassegnazione agli enti subentranti nell’esercizio delle stesse funzioni non
fondamentali (art. 1, comma 97, lettera b, della legge n. 56 del 2014).
La previsione
del versamento al bilancio statale di risorse frutto della riduzione della
spesa da parte degli enti di area vasta va dunque inquadrata nel percorso della
complessiva riforma in itinere. E, così intesa, essa si risolve in uno
specifico passaggio della vicenda straordinaria di trasferimento delle risorse
da detti enti ai nuovi soggetti ad essi subentranti nelle funzioni riallocate,
vicenda la cui gestione deve necessariamente essere affidata allo Stato
(sentenze n. 159
del 2016 e n.
50 del 2015).
I commi
418, 419 e 451, dunque, non violano l’art. 119, primo, secondo e terzo comma,
Cost. nei termini lamentati dalla ricorrente, perché le disposizioni in essi
contenute vanno intese nel senso che il versamento delle risorse ad apposito
capitolo del bilancio statale (così come l’eventuale recupero delle somme a
valere sui tributi di cui al comma 419) è specificamente destinato al
finanziamento delle funzioni provinciali non fondamentali e che tale misura si
inserisce sistematicamente nel contesto del processo di riordino di tali
funzioni e del passaggio delle relative risorse agli enti subentranti.
Questa
Corte ha già precisato sul punto che nel «processo riorganizzativo generale
delle Province che potrebbe condurre alla soppressione di queste ultime per
effetto della riforma costituzionale attualmente in itinere […] l’esercizio
delle funzioni a suo tempo conferite – così come obiettivamente configurato
dalla legislazione vigente – deve essere correttamente attuato,
indipendentemente dal soggetto che ne è temporalmente titolare e comporta,
soprattutto in un momento di transizione caratterizzato da plurime criticità,
che il suo svolgimento non sia negativamente influenzato dalla complessità di
tale processo di passaggio tra diversi modelli di gestione» (sentenza n. 10 del
2016).
6.3.– Sotto
un diverso ma concorrente profilo viene in evidenza anche il secondo obiettivo
al quale è diretta la riduzione della spesa delle province e delle città
metropolitane disposta dal comma 418, ossia quello, più generale, di
miglioramento dell’efficienza della spesa stessa, desumibile dal riferimento
contenuto all’ultimo periodo dello stesso comma («[c]on decreto di natura non
regolamentare […] è stabilito l’ammontare della riduzione della spesa corrente
che ciascun ente deve conseguire e del corrispondente versamento tenendo conto
anche della differenza tra spesa storica e fabbisogni standard»). Anche per
quel che riguarda i risparmi derivanti da tali riduzioni (oltre che dalla
gratuità delle cariche politiche prevista all’art. 1, commi 24 e 84, della
legge n. 56 del 2014), la previsione del versamento delle corrispondenti
risorse al bilancio statale non risulta in contrasto con l’art. 119 Cost.
Il comma
418, invero, va letto in collegamento con il comma 419, in base al quale, in
caso di mancato versamento del contributo di cui al comma 418, lo Stato
recupera le risorse a valere su imposte erariali il cui gettito è destinato
alle province e alle città metropolitane.
Sotto tale
profilo non si configura una riduzione delle attribuzioni fiscali delle
Province, bensì una semplice compensazione conseguente al mancato versamento
dei risparmi da parte delle stesse, necessaria per rendere effettiva la
complessa fase di trasferimento delle funzioni.
6.4.– In conclusione la questione non è fondata.
7.– Nemmeno è fondata la quarta questione, riguardante la violazione dell’art.
3 Cost., in relazione agli artt. 117 e 119 Cost., in quanto l’esclusione delle
province «in dissesto alla data del 15 ottobre 2014» si tradurrebbe in una
«discriminazione» tra enti territoriali.
Il terzo
periodo del comma 418 è estraneo alla logica della perequazione, che presuppone
un’azione di redistribuzione della ricchezza e di riduzione degli squilibri fra
gli enti territoriali, attraverso o un’erogazione di risorse specificamente
rivolta agli enti più deboli (in base all’art. 119, terzo e quinto comma,
Cost.) o una minor erogazione rivolta agli enti più "ricchi” (sentenza n. 79 del
2014). La norma impugnata, invece, non ha una funzione riequilibratrice
delle risorse destinate alle province, ma incide su flussi che scorrono in
senso contrario, cioè dagli enti di area vasta al bilancio statale, in
corrispondenza a una riduzione delle spese provinciali. L’esclusione delle
province in dissesto si fonda sulla oggettiva impossibilità, per queste, di
versare risorse allo Stato e sul presumibile pregiudizio che la loro mancata
esclusione arrecherebbe alla comunità provinciale.
La
necessità di uniformità delle norme di coordinamento della finanza pubblica,
risultante dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 176 del 2012
e n. 284 del
2009), va vagliata alla luce del criterio di ragionevolezza, nel senso che
le norme di coordinamento possono ragionevolmente limitare la propria
applicazione agli enti in bonis. La Regione
ricorrente lamenta la discriminazione fra province, ma non argomenta
l’irragionevolezza della esclusione delle province in dissesto, le quali si
trovano invece, obiettivamente, in una situazione differenziata rispetto alle
altre.
8.– La quinta questione, riguardante la violazione dell’art. 117, terzo e
quarto comma, e dell’art. 119, primo comma, Cost., «sotto l’aspetto della non
transitorietà della misura adottata», è infondata nei termini di seguito
esposti.
Come visto,
la riduzione della spesa corrente degli enti di area vasta, oltre a perseguire
il generale obiettivo di efficienza della spesa pubblica, è principalmente
connessa alla riforma degli enti stessi. Nello stesso oggetto del primo periodo
del comma 418, dunque, si può individuare un limite implicito all’efficacia
temporale della previsione, nel senso che la riduzione della spesa corrente e
il vincolo del versamento del corrispondente importo al bilancio dello Stato
sono legati al processo di attuazione della riforma e, più precisamente, alla
fase di passaggio delle funzioni non fondamentali ad altri enti, con
conseguente riduzione dell’organico. Si tratta perciò di misure per loro natura
e funzione intrinsecamente transitorie e per ciò stesso evidentemente destinate
a venire meno una volta attuata la riforma, con il trasferimento delle funzioni
non fondamentali ad altri enti e l’«adeguamento della
legislazione […] sulla finanza e sul patrimonio dei medesimi enti
[territoriali]» (art. 1, comma 97, primo periodo, della legge n. 56 del 2014).
9.– Si può ora passare all’esame delle questioni promosse dalla Regione Veneto
con il secondo ricorso (r.r. n. 42 del 2015).
La prima
questione (violazione dell’art. 119, primo, secondo e quarto comma, Cost.),
come detto, corrisponde sostanzialmente alla terza questione proposta nel
ricorso r.r. n. 36 del 2015: su di essa si può dunque
rinviare al precedente punto 6. Quanto al profilo della mancanza di
transitorietà (censurata dalla Regione Veneto sempre nel primo motivo del
ricorso r.r. n. 42 del 2015), si può rinviare al
precedente punto 8.
10.– La seconda questione (violazione degli artt. 3, 97 e 118 Cost. per irragionevolezza e contraddittorietà «rispetto al
percorso di riforma degli enti locali tracciato dal legislatore nazionale con
la l. n. 56 del 2014») è infondata.
Tale
questione è ricompresa in realtà in quella relativa all’art. 119, quarto comma,
Cost., dichiarata infondata nel punto 6.1. Infatti, la
lamentata violazione degli artt. 3, 97 e 118 Cost. deriverebbe
dall’impossibilità, per le province, di esercitare le funzioni fondamentali,
pur ad esse mantenute dalla legge n. 56 del 2014, impossibilità di cui, però,
come detto, la Regione non ha fornito prova.
Si può
comunque notare che i commi 418, 419 e 451 non si pongono in contraddizione ma
in coerenza con la legge n. 56 del 2014, contemplando una riduzione di spesa a
fronte delle innovazioni introdotte da quest’ultima legge.
11.– La terza questione («compromissione della dignità autonoma delle Province
e delle Città metropolitane, quali componenti essenziali della Repubblica ex
art 114 Cost.») non è fondata.
Per essa
valgono considerazioni simili a quelle svolte nel punto 5.,
nel senso che si tratta di una questione non dotata di una reale autonomia. La
lamentata violazione dell’art. 114 Cost. deriverebbe
dalla gravità della lesione dell’autonomia amministrativa e finanziaria, sicché
tale questione è da ritenere ricompresa in quelle riguardanti gli artt. 118 e
119 Cost.
12.– La quarta questione, riguardante la violazione degli artt. 117, commi
terzo e quarto, e 118 Cost., nonché del principio di leale collaborazione, non
è fondata.
Secondo la
Regione, le norme impugnate impedirebbero il passaggio delle risorse dalle
province agli enti subentranti (Regione e comuni) nell’esercizio delle funzioni
non fondamentali, cosicché da un lato gli enti stessi «difficilmente potranno
disporre delle risorse necessarie a finanziare le funzioni non fondamentali
loro attribuite», dall’altro la Regione «vedrà inevitabilmente ed
illegittimamente compressa la propria potestà legislativa [di riordino delle
funzioni], de facto vincolata e limitata dalla scarsità di risorse finanziarie
provinciali imposta dallo Stato, tramite il contributo forzoso de quo».
Sul primo
profilo si può osservare che, come visto, le risorse versate allo Stato in
parte si devono ritenere destinate a una futura riassegnazione agli enti
subentranti. Inoltre, mentre per le funzioni fondamentali la Regione ha cercato
di fornire una prova (peraltro non utilizzabile, come visto al punto 6.1.), per
le funzioni non fondamentali manca qualsiasi allegazione volta a suffragare
l’insufficienza di risorse. Infine, i parametri invocati non sono conferenti:
se la lesione deriva dall’insufficienza delle risorse ai fini dell’esercizio
delle funzioni non fondamentali "riallocate”, si ricade nell’ambito dell’art.
119, quarto comma, Cost., che non è stato evocato.
Quanto al
secondo profilo, va osservato che l’asserita compressione del potere
legislativo regionale di riordino delle funzioni rappresenterebbe, ad
ammetterla, una semplice conseguenza "di fatto” delle norme impugnate (come
riconosce la stessa Regione). È inoltre una conseguenza meramente eventuale,
come risulta anche dal fatto che la Regione Veneto ha dato attuazione alla
legge n. 56 del 2014 con la legge regionale 29 ottobre 2015, n. 19
(Disposizioni per il riordino delle funzioni amministrative provinciali), la
quale ha confermato in capo alle province le funzioni non fondamentali ad essa
attribuite (artt. 2 e 8).
Infine, non
sussiste nemmeno la violazione del principio di leale collaborazione. Se anche
le norme impugnate impedissero, come lamenta la ricorrente, una «libera
attribuzione di funzioni provinciali non fondamentali» da parte delle regioni,
«concordata tra Stato e Regioni anche in sede di Accordo raggiunto nella
Conferenza Unificata dell’11 settembre 2014», il principio in questione non ne
risulterebbe violato, dato che, come affermato da questa Corte, un accordo non
può condizionare l’esercizio della funzione legislativa (sentenze n. 160 del 2009
e n. 437 del
2001).
per questi motivi
1) dichiara inammissibili le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 418, della legge 23 dicembre
2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge di stabilità 2015), promosse, in riferimento agli artt. 2,
3, 5 e 117 della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso di cui al r.r. n. 36 del 2015;
2) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 418, della legge n. 190 del 2014,
promossa, in riferimento agli artt. 3, 117 e 119 Cost.,
dalla Regione Veneto con il ricorso di cui al r.r. n.
36 del 2015;
3) dichiara non fondate, nei sensi di cui
in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi
418, 419 e 451, della legge n. 190 del 2014, promosse, in riferimento all’art.
119, primo, secondo e terzo comma, Cost., dalla
Regione Veneto con i ricorsi indicati in epigrafe;
4) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 418, 419 e 451, della legge n.
190 del 2014, promosse, in riferimento agli artt. 5 e 119, quarto comma, Cost., dalla Regione Veneto con i ricorsi indicati in
epigrafe;
5) dichiara non fondate, nei sensi di cui
in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma
418, della legge n. 190 del 2014, promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo
e quarto comma, e 119 Cost., dalla Regione Veneto con
i ricorsi indicati in epigrafe;
6) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 418, 419 e 451, della legge n.
190 del 2014, promosse, in riferimento agli artt. 3, 97, 114, 117, commi terzo
e quarto, e 118 Cost., nonché al principio di leale
collaborazione, dalla Regione Veneto con il ricorso di cui al r.r. n. 42 del 2015.
Così deciso
in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6
luglio 2016.
F.to:
Paolo
GROSSI, Presidente
Daria de
PRETIS, Redattore
Roberto
MILANA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 21 luglio 2016.