ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale degli artt.
3, comma 2, lettera f); 11, comma 4; 14 e 16, della legge della Regione
siciliana 10 agosto 2016, n. 16 (Recepimento del Testo Unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380), promosso dal Presidente
del Consiglio dei ministri, con ricorso
notificato il 18-20 ottobre 2016, depositato in cancelleria il 25 ottobre 2016
e iscritto al n. 66 del registro ricorsi 2016.
Udito nella udienza
pubblica del 26 settembre 2017 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
udito
l’avvocato dello Stato Gianfranco Pignatone per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il
18-20 ottobre 2016 e depositato il successivo 25 ottobre, il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale, in via principale,
degli artt. 3, comma 2, lettera f); 11, comma 4; 14 e 16 della legge della
Regione siciliana 10 agosto 2016, n. 16 (Recepimento del Testo Unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380), in riferimento
all’art.
14 del Regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello
statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 2, e agli artt. 3, 117, primo comma,
secondo comma, lettere a), l) e s), e terzo comma, della Costituzione.
2.– Il ricorrente premette che lo statuto della Regione
siciliana attribuisce alla medesima Regione, all’art. 14, primo comma, una
competenza legislativa esclusiva in materia di «urbanistica», da esercitarsi
«nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato» e nel rispetto delle «c.d.
norme di grande riforma economico-sociale».
Inoltre, viene ricordato che,
secondo la giurisprudenza costituzionale in materia di «tutela dell’ambiente»,
la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente, dettata dal legislatore
statale, in quanto volta a garantire tutela a un interesse pubblico di valore
costituzionale primario, deve prevalere rispetto a quella posta dalle Regioni e
Province autonome, salvo che queste ultime non intervengano in modo più
rigoroso.
Quanto, poi, alla materia
«protezione civile», il ricorrente osserva che la relativa disciplina spetta
alla Regione siciliana nell’esercizio della competenza legislativa concorrente
di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost., in virtù della cosiddetta clausola
di maggior favore di cui all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), dal
momento che lo statuto non la annovera né all’art. 14, fra le materie di
competenza legislativa regionale esclusiva, né all’art. 17, fra quelle per le
quali alla Regione spetta adottare leggi entro i limiti dei principi e
interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato.
3.– Tanto premesso, la difesa
statale impugna, anzitutto, l’art. 3, comma 2, lettera f), della legge
regionale n. 16 del 2016, nella parte in cui consente di realizzare, senza
alcun titolo abilitativo, tutti gli impianti ad energia rinnovabile di cui agli
artt. 5 e 6 del d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva
2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante
modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE.),
fatte salve le prescrizioni indicate nel comma 1 – e cioè quelle relative alle
«norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle
relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico nonché
delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42,
della vigente normativa regionale sui parchi e sulle riserve naturali e della
normativa relativa alle zone pSIC, SIC, ZSC e ZPS
[…]» – fra le quali non vi è alcun riferimento alla disciplina prevista dal
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale),
concernente la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA).
La disposizione impugnata, nel
prevedere, genericamente, l’assoggettamento ad attività edilizia libera di
tutti gli impianti da fonti rinnovabili, li sottrarrebbe alla verifica di
assoggettabilità a VIA. stabilita dalla normativa
statale in materia di tutela dell’ambiente e, quindi, eccederebbe dalle
competenze legislative esclusive riconosciute alla Regione siciliana dall’art.
14, secondo comma, dello statuto in materia di urbanistica.
Il ricorrente segnala che,
infatti, l’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2011 assoggetta la costruzione e
l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da
fonti rinnovabili alla procedura per il rilascio dell’autorizzazione unica di
cui all’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione
della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica
prodotta dalle fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno
dell’elettricità) che fa salvo, qualora previsto, l’espletamento della verifica
di assoggettabilità a VIA, disciplinato dall’art. 20 del d.lgs. n. 152 del
2006.
4.– È inoltre impugnato l’art. 11, comma 4, della medesima
legge regionale n. 16 del 2016, nella parte in cui consente di avviare alcuni
interventi edilizi, ricadenti nei siti di «Natura 2000» e nei parchi, decorsi
semplicemente trenta giorni dalla presentazione della segnalazione certificata
di inizio di attività (SCIA), senza una preventiva valutazione delle possibili
incidenze significative di detti interventi sul sito stesso.
Più precisamente tale norma,
secondo la difesa statale, là dove consente l’avvio dei lavori in assenza della
comunicazione da parte dello sportello unico dell’avvenuta acquisizione degli
atti di assenso, necessari per l’intervento edilizio anche nei casi in cui sia
necessario acquisire preventivamente la Valutazione di Incidenza,
configurerebbe una modalità di superamento dei pareri mediante
silenzio-assenso, in contrasto sia con gli obblighi di origine comunitaria di
cui alla direttiva 92/43/CEE (Direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio
1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali
e della flora e della fauna selvatiche), sia con la normativa statale in
materia di tutela dell’ambiente di cui all’art. 5, comma 6, del d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante
attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat
naturali e seminaturali, nonché della flora e della
fauna selvatiche), e quindi al di là delle competenze legislative riconosciute
alla Regione siciliana dall’art. 14 dello statuto.
5.– Il Presidente del Consiglio
dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale anche
dell’art. 14 (in specie dei commi 1 e 3) della medesima legge regionale n. 16
del 2016, nella parte in cui, in tema di "accertamento di conformità”,
stabilisce, al comma 1, che «[…] il responsabile dell’abuso, o l’attuale
proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento
risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento
della presentazione della domanda» e, al comma 3, che «[i]n presenza della
documentazione e dei pareri previsti, sulla richiesta di permesso in sanatoria
il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con
adeguata motivazione, entro novanta giorni decorsi i quali la richiesta si
intende assentita».
Tali disposizioni, inserite
nell’art. 14, volto a recepire l’art. 36 del testo unico dell’edilizia (da ora
in poi t.u. edilizia) di cui al d.P.R.
6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia - Testo A) nell’ordinamento regionale, si
porrebbero, infatti, in contrasto con quest’ultimo, che invece richiede, ai
fini del rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, la conformità
dell’intervento sia alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento
della realizzazione dello stesso, sia a quella vigente al momento della
presentazione della domanda del titolo in sanatoria (cosiddetta doppia
conformità) e dispone, altresì, che, in caso di richiesta di permesso in
sanatoria, ove non intervenga provvedimento motivato entro sessanta giorni, la
richiesta si intende rifiutata.
Secondo il ricorrente, la norma
regionale impugnata, con particolare riguardo a quanto disposto al comma 1,
introdurrebbe una surrettizia forma di condono edilizio, sia in relazione a
interventi abusivi realizzati prima dell’entrata in vigore della legge
regionale n. 16 del 2016, sia, a regime, con riferimento a interventi in
ipotesi abusivi, effettuati dopo l’entrata in vigore della stessa, sanabili a
seguito di ulteriori modifiche alla disciplina urbanistica e edilizia. In tal
modo, essa travalicherebbe la competenza legislativa esclusiva attribuita alla
Regione in materia di urbanistica dall’art. 14, primo comma lettera f), dello
statuto speciale e invaderebbe la competenza esclusiva statale in materia di
«ordinamento penale», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
La medesima norma, nella parte
in cui, al comma 3, introduce un meccanismo di silenzio-assenso che discende
dal mero decorso del termine di novanta giorni, in contrasto con la normativa
statale, determinerebbe un effetto estintivo delle contravvenzioni contemplate
dall’art. 44 del t.u. dell’edilizia, incidendo sulla
competenza esclusiva del legislatore statale di cui all’art. 117, secondo
comma, lettera l), Cost.
Il ricorrente ravvisa, inoltre,
il contrasto del medesimo art. 14, commi 1 e 3, della citata legge regionale n.
16 del 2016, con l’art. 3 Cost., in quanto detta norma
introdurrebbe una discriminazione ingiustificata, a parità di comportamento
tenuto, fra soggetti operanti in diverse Regioni, in una materia soggetta a
misure sanzionatorie previste da leggi dello Stato.
6.– È, infine, impugnato l’art. 16 della citata legge
regionale n. 16 del 2016, nella parte in cui, al comma 1, consente l’inizio dei
lavori edilizi nelle località sismiche senza la necessità della previa
autorizzazione scritta, prescritta dall’art. 94 del citato t.u.
edilizia. Il ricorrente ricorda che il principio della previa autorizzazione
scritta all’inizio dei lavori edilizi nelle località sismiche, con eccezione di
quelle a bassa sismicità, costituisce, secondo la giurisprudenza costituzionale
costante, principio fondamentale in materia di «protezione civile», in quanto
«palesemente orientato ad esigere una vigilanza assidua sulle costruzioni
riguardo al rischio sismico, attesa la rilevanza del bene protetto, che
trascende anche l’ambito della disciplina del territorio, per attingere a
valori di tutela dell’incolumità pubblica che fanno capo alla materia della
protezione civile, in cui ugualmente compete allo Stato la determinazione dei
principi fondamentali» (sentenza n. 182 del
2006). Pertanto, la disposizione regionale impugnata eccederebbe dalle
competenze regionali di cui all’art. 14 dello statuto speciale e si porrebbe in
contrasto con un principio fondamentale posto dal legislatore statale nella
materia della «protezione civile», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., assegnata alla competenza legislativa concorrente
della Regione siciliana in virtù della cosiddetta. clausola
di maggor favore di cui all’art. 10 della legge Cost.
n. 3 del 2001.
Anche il comma 3 del predetto
art. 16 sarebbe costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui stabilisce
che «[p]er lo snellimento delle procedure di denuncia
dei progetti ad essi relativi, non sono assoggettati alla preventiva
autorizzazione scritta del competente ufficio del Genio civile le opere minori
ai fini della sicurezza per le costruzioni in zona sismica, gli interventi
privi di rilevanza per la pubblica incolumità ai fini sismici e le varianti in
corso d’opera, riguardanti parti strutturali che non rivestono carattere
sostanziale, in quanto definiti e ricompresi in un apposito elenco approvato
con deliberazione della Giunta regionale» e che «[i]l progetto di tali
interventi, da redigere secondo le norme del D.M. 14 gennaio 2008 e successive
modifiche ed integrazioni, è depositato al competente ufficio del Genio civile
prima del deposito presso il comune del certificato di agibilità».
Secondo il ricorrente, esso,
infatti, introdurrebbe una categoria di lavori (definiti "minori” dal
legislatore siciliano), estranea alla sistematica normativa statale, in
violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in
quanto in contrasto con i principi fondamentali della normativa statale vigente
in materia di «protezione civile», desumibili dagli artt. 94, 93 e 65 del t.u. edilizia, che impongono anche di dare comunicazione
delle opere prima del loro inizio.
7.– All’udienza pubblica la difesa statale ha insistito
chiedendo l’accoglimento delle conclusioni svolte nel ricorso introduttivo.
8.– La Regione siciliana non si è costituita.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio
dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale, in via
principale, di svariate disposizioni della legge della Regione siciliana 10
agosto 2016, n. 16 (Recepimento del Testo unico delle disposizioni legislative
e regolamentari in materia edilizia approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 6 giugno 2001, n. 380), con cui la citata Regione ha provveduto a
recepire talune disposizioni del cosiddetto testo unico dell’edilizia (da ora
in poi t.u. edilizia), approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia - Testo A),
apportandovi modifiche.
2.– In particolare, il ricorrente ha impugnato, anzitutto,
l’art. 3, comma 2, lettera f), della predetta legge regionale, nella parte in
cui consente di realizzare, senza alcun titolo abilitativo, gli impianti di
energia da fonti rinnovabili e in tal modo li sottrae alla verifica di
assoggettabilità a Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), prescritta dalla
normativa statale in materia di «tutela dell’ambiente». Secondo la ricorrente,
una simile previsione eccederebbe dalle competenze legislative esclusive
riconosciute alla Regione siciliana dall’art. 14, secondo comma, dello statuto
speciale in materia di «urbanistica» e invaderebbe la sfera di competenza
statale esclusiva in materia di «tutela dell’ambiente».
2.1. – In linea preliminare, non
si riscontrano ostacoli all’esame nel merito delle censure promosse.
2.1.1.– Occorre, infatti,
rilevare che né le modifiche frattanto apportate all’art. 6 del citato t.u. edilizia, oggetto di recepimento da parte della norma
regionale impugnata, ad opera dell’art. 3 del decreto legislativo 25 novembre
2016, n. 222 (Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione,
segnalazione certificata di inizio di attività – SCIA – silenzio assenso e
comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a
determinate attività e procedimenti, ai sensi dell’articolo 5 della legge 7
agosto 2015, n. 124), né quelle introdotte dall’art. 9, comma 1, del decreto
legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della direttiva 2014/52/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la
direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di
determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della
legge 9 luglio 2015, n. 114), che hanno inciso sul testo dell’art. 20 del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale),
invocato dal ricorrente in quanto recante la disciplina statale in tema di verifica
di assoggettabilità a VIA degli interventi edilizi, ivi compresi quelli
corrispondenti ad impianti di energia da fonti rinnovabili, influiscono sulla
questione proposta.
Infatti, le richiamate novelle
statali – che, peraltro, hanno un diverso ambito di applicazione temporale
(come espressamente indicato, ad esempio, all’art. 23 del d.lgs. n. 104 del
2017) – non sono tali da aver determinato il sopravvenuto difetto di interesse
al ricorso (sentenze
n. 252 del 2016, n. 17 del 2014
e n. 32 del 2012).
In un caso, il nuovo art. 6 del t.u. edilizia
introduce al comma 1, lettera e-quater il regime di edilizia libera non per
l’intera categoria degli impianti di energia da fonti rinnovabili, come fa la
norma regionale, ma solo per una ristretta e specifica categoria degli stessi
(«i pannelli solari, fotovoltaici, a servizio degli edifici, da realizzare al
di fuori della zona A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2
aprile 1968, n. 1444»). Nell’altro caso, le modifiche apportate dall’art. 9,
comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017 al d.lgs. n. 152 del 2006, e in specie
all’art. 20, adottate in attuazione della direttiva del Parlamento europeo e
del Consiglio 2014/52/U.E. del 16 aprile 2017 concernente la valutazione
dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (Direttiva
del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2017, che modifica la
direttiva 2011/92/U.E. concernente la valutazione dell’impatto ambientale di
determinati progetti pubblici e privati), volta a «garantire un elevato livello
di protezione dell’ambiente e della salute umana grazie alla definizione di
requisiti minimi per la valutazione dell’impatto ambientale dei progetti»
(considerando numero 41), la riduzione della complessità amministrativa e
l’aumento dell’efficienza economica, non hanno eliminato la valutazione di
assoggettabilità a VIA, che oggi è disciplinata, invece che dall’art. 20, dal
precedente art. 19 del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006, ma hanno semplicemente
riordinato le scansioni procedurali già previste.
2.1.2.– Nessun rilievo mostra, inoltre, la circostanza che, nella
delibera di promovimento della questione di legittimità costituzionale, non sia
esplicitamente richiamato il parametro dell’art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost., viceversa indicato nel ricorso introduttivo.
Considerato che, secondo la
giurisprudenza costituzionale costante, solo «l’omissione di qualsiasi accenno
ad un parametro costituzionale nella delibera di autorizzazione
all’impugnazione dell’organo politico, comporta l’esclusione della volontà del
ricorrente di promuovere la questione al riguardo, con conseguente
inammissibilità della questione che, sul medesimo parametro, sia stata proposta
dalla difesa nel ricorso» (sentenza n. 239 del
2016; nello stesso senso, sentenze n. 46 del
2015 e n.
298 del 2013), nella specie non ricorrono tali condizioni.
Pur in assenza del riferimento
(numerico) espresso all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., è evidente
che il ricorrente, sostenendo che la norma regionale vada al di là della sfera
di competenza esclusiva in materia di urbanistica e si ponga in contrasto con
la normativa statale in materia di «tutela dell’ambiente», denuncia la lesione
della competenza legislativa esclusiva statale in questa materia, competenza
che, peraltro, in tal caso, rileva solo in quanto delimita la competenza
regionale esclusiva in materia di urbanistica assegnata dall’art. 14, primo
comma, lettera f), dello statuto, espressamente richiamato.
2.2. – Nel merito, la questione
è fondata.
La disposizione impugnata è
contenuta nell’art. 3 della legge regionale n. 16 del 2016, rubricato
«Recepimento con modifiche dell’articolo 6 "Attività edilizia libera” del
decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380».
Essa estende, espressamente, il
predetto regime di edilizia libera anche agli interventi inerenti alla realizzazione
degli impianti alimentati da fonti di energia rinnovabile di cui agli articoli
5 e 6 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva
2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante
modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE) in
contrasto con la medesima normativa statale richiamata.
Infatti, l’art. 5 del citato
d.lgs. n. 28 del 2011 – che ha provveduto a dare attuazione alla direttiva
2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili
(Direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009
sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e
successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE) – assoggetta,
al comma 1, «la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di
energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, le opere connesse e le
infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti,
nonché le modifiche sostanziali degli impianti stessi […] all’autorizzazione
unica di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387
come modificato dal presente articolo […]». Quest’ultima norma, che
costituisce, a sua volta, recepimento della precedente direttiva 2001/77/CE
(Direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 settembre
2001 sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche
rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), stabilisce, nel segno della
semplificazione amministrativa, la sottoposizione della realizzazione degli
impianti ad energia rinnovabile all’autorizzazione unica, ma fa espressamente
salvo «il previo espletamento, qualora prevista, della verifica di
assoggettabilità sul progetto preliminare, di cui all’articolo 20 del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni » (comma 4).
La norma regionale impugnata,
nella parte in cui dispone che gli interventi inerenti agli «impianti ad
energia rinnovabile di cui agli articoli 5 e 6 del decreto legislativo 3 marzo
2011, n. 28» (lettera f del comma 2) «possono essere eseguiti senza alcun
titolo abilitativo» (primo periodo del comma 2), «previa comunicazione anche
per via telematica dell’inizio dei lavori», facendo salve solo «le prescrizioni
delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di
quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico
nonché delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.
42, della vigente normativa regionale sui parchi e sulle riserve naturali e
della normativa relativa alle zone pSIC, SIC, ZSC e
ZPS, ivi compresa la fascia esterna di influenza per una larghezza di 200
metri» (primo periodo del comma 1), senza alcun riferimento alle
«autorizzazioni eventualmente obbligatorie ai sensi delle normative di settore»
(richiamate, invece, dall’art. 6 del t.u. edilizia),
esclude la realizzazione di siffatti impianti (genericamente e complessivamente
identificati) da ogni verifica preventiva inerente all’eventuale incidenza
dannosa sull’ambiente, in contrasto con quanto prescritto dal legislatore
statale.
Questa Corte già in altre
occasioni ha affermato che «l’obbligo di sottoporre il progetto alla procedura
di VIA o, nei casi previsti, alla preliminare verifica di assoggettabilità a
VIA, rientra nella materia della "tutela ambientale”» (sentenza n. 215 del
2005; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 234 e n. 225 del 2009).
E ha precisato che esso rappresenta «nella disciplina statale, anche in
attuazione degli obblighi comunitari, un livello di protezione uniforme che si
impone sull’intero territorio nazionale, pur nella concorrenza di altre materie
di competenza regionale (tra le altre, sentenze n. 120 del
2010, n. 249
del 2009 e n.
62 del 2008), comprese la "produzione”, il "trasporto” e la "distribuzione
nazionale dell’energia” (sentenza n. 88 del
2009)» (sentenza
n. 215 del 2015).
Con specifico riguardo, poi,
alla realizzazione di impianti di energia da fonti rinnovabili, si è pure
rilevata la concorrenza di vari interessi, costituzionalmente rilevanti, per
certi versi interni alla medesima materia della «tutela dell’ambiente», che si
realizza «attraverso l’incrocio di diverse tipologie di verifica, il cui
coordinamento e la cui acquisizione sincronica, essendo necessari per
l’autorizzazione unica finale, non tollerano ulteriori differenziazioni su base
regionale» (sentenza
n. 267 del 2016). In altri termini, attraverso distinti sub-procedimenti,
il legislatore statale ha operato il bilanciamento tra l’intrinseca utilità di
simili impianti, che producono energia senza inquinare l’ambiente, e il
principio di precauzione attuato mediante la separata verifica che gli stessi
impianti non danneggino in altro modo il medesimo ambiente (in tal senso, sentenza n. 267 del
2016).
Posto che la disciplina statale
relativa alla tutela dell’ambiente «viene a funzionare come un limite alla
disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di
loro competenza» (sentenza
n. 67 del 2010), appare evidente che, nella specie, il legislatore
regionale ha oltrepassato tale limite alla propria competenza in materia di
«urbanistica» e ha invaso la sfera di competenza esclusiva del legislatore
statale, nella parte in cui ha escluso le previe verifiche dell’impatto
ambientale degli impianti ad energia rinnovabile, che il legislatore statale ha
ritenuto di garantire attraverso la complessa disciplina del procedimento
inerente alla realizzazione degli impianti, in un’ottica di ragionevole
bilanciamento dei contrapposti interessi coinvolti.
Deve, pertanto, dichiararsi
l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, lettera f), nella parte in
cui consente di realizzare, in assenza di titolo abilitativo, tutti gli
interventi inerenti agli impianti ad energia rinnovabile di cui agli artt. 5 e
6 del d.lgs. n. 28 del 2011, senza fare salvo il previo espletamento della
verifica di assoggettabilità a VIA sul progetto preliminare, qualora prevista.
3.– Il Presidente del Consiglio
dei ministri promuove, inoltre, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 11, comma 4, della medesima legge regionale n. 16 del 2016 – nella
parte in cui, disponendo il recepimento con modifiche dell’articolo 23-bis del t.u edilizia, consente di avviare alcuni interventi
edilizi, ricadenti nei siti di «Natura 2000» e nei parchi, decorsi trenta
giorni dalla presentazione della segnalazione certificata di inizio di attività
(SCIA), in mancanza della comunicazione da parte dello sportello unico dell’avvenuta
acquisizione degli eventuali atti di assenso preventivi, anche nei casi in cui
l’intervento debba essere preceduto dalla Valutazione di Incidenza (VINCA),
prescritta dall’art. 5, comma 6, del d.P.R. 8
settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva
92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche),
in attuazione della direttiva 92/43/CEE (Direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del
21 maggio 1992, relativa alla Conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche), con
particolare riguardo al suo art. 6.
La norma impugnata, eccedendo
dalle competenze legislative riconosciute alla Regione dall’art. 14 dello
statuto speciale, configurerebbe una modalità di superamento dei pareri
mediante silenzio-assenso, in palese contrasto con gli obblighi derivanti dalla
direttiva 92/43/CEE, oltre che con la normativa statale in materia di tutela
dell’ambiente, di cui al citato art. 5, comma 6, d.P.R.
n. 357 del 1997, e all’art. 20, comma 3, del d.P.R.
n. 380 del 2001.
3.1. – Occorre, preliminarmente,
rilevare che i mutamenti sopravvenuti del quadro normativo di riferimento sono
ininfluenti ai fini dello scrutinio delle questioni di legittimità
costituzionale ora in esame.
Infatti, sia le modifiche
apportate all’art. 23-bis del t.u. edilizia, oggetto
di recepimento, ad opera dell’art. 3, comma 1, lettera h), del d.lgs. n. 222
del 2016, sia quelle che hanno inciso sulla formulazione dell’art. 20 del
medesimo Testo unico, richiamato tanto dall’art. 23-bis citato., che dall’art.
11 della legge regionale n. 16 del 2016, e che sono state introdotte per
effetto dell’art. 3, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 222 del 2016, non
incidono né sono strettamente connesse con le disposizioni oggetto di
contestazione.
3.2. – Ancora in via
preliminare, va dichiarata inammissibile la censura relativa alla violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost.
Nella parte introduttiva del
ricorso è evocata congiuntamente «la violazione dell’art. 14 dello statuto
speciale e dell’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera a), Cost., in relazione alle disposizioni della direttiva
92/43/CEE (con particolare riguardo all’articolo 6 di essa) ed all’art. 5 comma
6 del d.P.R. 8/9/1997, n. 357». A tale affermazione,
tuttavia, non segue alcuna motivazione in ordine alla pretesa violazione della
competenza esclusiva statale in materia di «rapporti dello Stato con l’Unione
europea», di cui alla lettera a), del secondo comma dell’art. 117 Cost. Dopo
aver rilevato il contrasto della norma regionale con la norma statale attuativa
della direttiva europea, il ricorrente si limita, infatti, a rilevare che la
norma regionale in esame, «ponendosi in contrasto con gli obblighi di origine
comunitaria di cui alla direttiva 92/43/CEE e con la normativa statale di cui
all’articolo 5, comma 6, d.P.R. n. 357 del 1997,
eccede dalle competenze statutarie riconosciute alla Regione siciliana dallo
statuto speciale di autonomia».
Risulta del tutto evidente, in
proposito, non solo l’assertività della censura, ma anche l’inconferenza
del parametro evocato, «che non può essere considerato un diverso ed ulteriore
presidio, rispetto agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.,
del rispetto dei vincoli comunitari» (sentenza n. 185 del
2011).
3.3.– Non sussistono, viceversa, ragioni che impediscano di
esaminare nel merito le censure di violazione dell’art. 117, primo comma e
secondo comma, lettera s), Cost., nonostante il mancato richiamo testuale nella
delibera di promovimento della questione di legittimità costituzionale di tali
parametri, alla luce dei medesimi argomenti svolti supra
al punto 2.1.2. Anche in tal caso, infatti, risulta agevole desumere dalla
denunciata violazione degli obblighi di natura comunitaria e della normativa
statale in materia di tutela dell’ambiente la dedotta lesione sia della
competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente» di cui all’art.
117, secondo comma, lettera s), sia dell’art. 117, primo comma, Cost.
3.4.– Occorre, allora, passare allo scrutinio della censura di
violazione dell’art.117, secondo comma, lettera s), Cost., mossa nei confronti
della norma regionale in esame.
Il ricorrente ritiene che
quest’ultima vada al di là della competenza legislativa regionale esclusiva
prevista dall’art. 14 dello statuto speciale in materia di «urbanistica» e si
ponga in contrasto con la normativa statale in materia di «tutela
dell’ambiente», nella parte in cui consente di avviare alcuni interventi
edilizi, ricadenti nei siti di «Natura 2000» e nei parchi, decorsi
semplicemente trenta giorni dalla presentazione della segnalazione certificata
di inizio di attività (SCIA), in mancanza della comunicazione da parte dello
sportello unico dell’avvenuta acquisizione degli atti di assenso, anche nei
casi in cui l’intervento abbia necessità di acquisire preventivamente la
Valutazione di Incidenza (VINCA).
3.4.1. – La questione non è
fondata, nei termini di seguito precisati.
La disposizione impugnata è
contenuta nell’art. 11 della legge regionale n. 16 del 2016, intitolato
«Recepimento con modifiche dell’articolo 23-bis "Autorizzazioni preliminari alla
segnalazione certificata di inizio attività e alla comunicazione dell'inizio
dei lavori” del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380».
Tale articolo dispone, al comma
1, con una formulazione identica a quella di cui al comma 1 dell’art. 23-bis
del t.u. edilizia, oggetto di recepimento, che
«l’interessato può richiedere allo sportello unico di provvedere
all’acquisizione di tutti gli atti di assenso, comunque denominati, necessari
per l’intervento edilizio, o presentare istanza di acquisizione dei medesimi
atti di assenso contestualmente alla segnalazione. Lo sportello unico comunica
tempestivamente all’interessato l’avvenuta acquisizione degli atti di assenso.
Se tali atti non sono acquisiti entro il termine di cui all’articolo 20, comma
3, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, come
introdotto dall’articolo 1, si applica quanto previsto dal comma 5-bis del
medesimo articolo». Entrambe le norme, regionale e statale, dispongono (al
comma 2) che «[i]n caso di presentazione contestuale della segnalazione
certificata di inizio attività e dell’istanza di acquisizione di tutti gli atti
di assenso, comunque denominati, necessari per l’intervento edilizio,
l’interessato può dare inizio ai lavori solo dopo la comunicazione da parte
dello sportello unico dell’avvenuta acquisizione dei medesimi atti di assenso o
dell’esito positivo della conferenza di servizi».
Al comma 4, l’art. 23-bis del t.u. edilizia statuisce che, «[a]ll’interno
delle zone omogenee A) di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2
aprile 1968, n. 1444, e in quelle equipollenti secondo l’eventuale diversa
denominazione adottata dalle leggi regionali […] gli interventi cui è
applicabile la segnalazione certificata di inizio attività non possono in ogni
caso avere inizio prima che siano decorsi trenta giorni dalla data di
presentazione della segnalazione».
Nel recepire tale previsione, il
legislatore regionale siciliano ha provveduto, con la norma impugnata, a
individuare le «aree equipollenti» (di cui all’art. 23-bis del t.u. edilizia) alle «zone omogenee A) di cui al decreto del
Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444» -– all’interno delle quali
gli interventi, soggetti a SCIA, non possono avere inizio prima che siano
decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della segnalazione
certificata di inizio di attività – negli «immobili sottoposti ai vincoli del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ovvero su immobili ricadenti
all'interno di parchi e riserve naturali o in aree protette dalla normativa
relativa alle zone pSIC, SIC, ZSC e ZPS, ivi compresa
la fascia esterna di influenza per una larghezza di 200 metri».
Una simile elencazione
ricomprende siti che fanno parte della cosiddetta Rete «Natura 2000», che
include siti di interesse comunitario (SIC), zone speciali di conservazione
(ZSC) e zone di protezione speciale (ZPS), in attuazione della direttiva
92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli
habitat naturali e seminaturali e della flora e della
fauna selvatiche (cosiddetta direttiva Habitat), nonché della direttiva
79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979 concernente la conservazione degli
uccelli selvatici (cosiddetta direttiva Uccelli). Tale rete è volta a garantire
il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora
e fauna minacciati a livello comunitario. In questa prospettiva, l’art. 6 della
citata direttiva 92/43/CEE ha imposto agli Stati membri l’adozione di misure
atte a evitare nelle zone speciali di conservazione il degrado degli habitat
naturali e degli habitat di specie nonché la perturbazione delle specie per cui
le zone sono state designate, fra le quali, in particolare, la valutazione di
incidenza. Al comma 3 dell’art. 6 si dispone infatti che «[q]ualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e
necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su
tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma
oggetto di una opportuna valutazione dell’incidenza che ha sul sito, tenendo
conto degli obiettivi di conservazione del medesimo […]». Si è, inoltre,
precisato che «le autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale
piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non
pregiudicherà l'integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere
dell’opinione pubblica».
In attuazione di tale disposto è
stato adottato l’art. 5 del d.P.R. n. 357 del 1997,
che prescrive la previa «valutazione di incidenza» di tutti i piani territoriali,
urbanistici e di settore incidenti sui proposti siti di importanza comunitaria,
sui siti di importanza comunitaria, sulle zone speciali di conservazione, e
anche di tutti gli «interventi non direttamente connessi e necessari al
mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli
habitat presenti nel sito, ma che possono avere incidenze significative sul
sito stesso, singolarmente o congiuntamente ad altri interventi» (comma 3).
Da tempo questa Corte ha
affermato - e di recente ha ribadito - che «la disciplina della valutazione di
incidenza ambientale (VINCA) sulle aree protette ai sensi di "Natura 2000”,
contenuta nell’art. 5 del regolamento di cui al d.P.R.
n. 357 del 1997, deve ritenersi ricompresa nella "tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema”, rientrante nella competenza esclusiva statale» (sentenza n. 195 del
2017). Considerato anche che «[l]a legislazione statale […] attua quanto
disposto dalla normativa dell’Unione, in base alla quale VIA e VINCA debbono
precedere l’avvio dell’attività» sentenza n. 117 del
2015, non residua «alcuno spazio per il legislatore regionale che gli permetta
di apportare deroghe alla natura preventiva di tali istituti (sentenze n. 28 del
2013 e n.
227 del 2011)» (sentenza n. 117 del
2015).
Ciò vale anche per le Regioni ad
autonomia speciale, che siano titolari di competenze legislative statutarie
esclusive, come nel caso della Regione siciliana. Esse sono, infatti, comunque
tenute a rispettare la disciplina statale in materia, che costituisce «un
limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre
materie di loro competenza» (sentenza n. 67 del
2010), anche ove si tratti, appunto, di competenze esclusive.
Nella specie, tuttavia, la
Regione siciliana non ha varcato tale limite. Si deve, infatti, intendere –
peraltro in linea con l’art. 23-bis del t.u. edilizia
oggetto di recepimento e secondo una lettura sistematica e coerente delle
disposizioni di cui si compone lo stesso art. 11 della legge regionale n. 16
del 2016 – che la previsione del comma 4, in base alla quale, decorsi trenta
giorni dalla presentazione della SCIA, possono essere iniziati i lavori anche
nei siti «Natura 2000» e nei parchi, implichi il rispetto di quanto prescritto
dai commi 1 e 2, e cioè che o siano stati già adottati gli atti di assenso (e
quindi sia stata già effettuata positivamente la Valutazione di Incidenza per
gli interventi nei siti «Natura 2000») o che, ove quest’ultima sia richiesta
contestualmente con la presentazione della SCIA, debba comunque attendersi, per
l’avvio dei lavori, la comunicazione preventiva da parte dello sportello unico
dell'avvenuta acquisizione dei medesimi atti di assenso, alla stregua di quanto
statuito al comma 2 del medesimo art. 11 della l. reg. n. 16 del 2016.
Così interpretata, la
disposizione regionale censurata non si prefigura alcun superamento dei pareri
mediante silenzio-assenso, in contrasto con la normativa statale di recepimento
della normativa europea, e dunque la dedotta violazione degli artt. 14 dello
statuto speciale e 117, secondo comma, lettera s), Cost. risulta
priva di fondamento.
3.5.– Sulla base di analoghi argomenti, si rivela non fondata
anche la questione proposta in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all’art. 6 della citata direttiva 92/43/CEE, cosiddetta direttiva
Habitat.
Una volta appurato, infatti, che
la norma regionale impugnata non esclude, ma anzi presuppone la previa
acquisizione dell’esito positivo della Valutazione di Incidenza degli
interventi realizzati nei siti «Natura 2000», – valutazione prescritta, come si
è già ricordato, dall’art. 6 della suddetta direttiva, recepito con l’art. 5
del d.P.R. n. 357 del 1997 –, si rivela priva di
fondamento anche la dedotta violazione del corrispondente obbligo derivante
dalla normativa europea.
4.– Viene, poi, impugnato l’art.
14 della medesima legge regionale n. 16 del 2016, in specie là dove, recependo
nell’ordinamento regionale l’art. 36 del t.u.
edilizia in materia di "accertamento di conformità”, stabilisce, al comma 1,
che «[…] il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono
ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della
domanda» e, al comma 3, che «[i]n presenza della documentazione e dei pareri
previsti, sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il
responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata
motivazione, entro novanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende
assentita».
Tali previsioni sarebbero
entrambe costituzionalmente illegittime per violazione dell’art. 14, primo
comma, lettera f), dello statuto speciale e dell’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost. Infatti, la prima (il comma 1) introdurrebbe una surrettizia
forma di condono edilizio e con ciò eccederebbe dalla competenza legislativa
esclusiva attribuita alla Regione in materia di urbanistica dall’art. 14, primo
comma, lettera f), dello statuto, con conseguente invasione della sfera di
competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento penale» di cui all’art.
117, secondo comma, lettera l), Cost.
Quanto alla seconda (il comma 3
del medesimo art. 14), essa, nella parte in cui introduce un meccanismo di
silenzio-assenso ai fini del rilascio del permesso in sanatoria, che discende
dal mero decorso del termine di novanta giorni, in contrasto con la normativa
statale, determinerebbe un effetto estintivo delle contravvenzioni contemplate
dall’art. 44 del t.u. edilizia, incidendo, anche in
tal caso, sulla competenza esclusiva del legislatore statale di cui all’art.
117, secondo comma, lettera l), Cost.
L’art. 14, commi 1 e 3, si
porrebbe in contrasto anche con l’art. 3 Cost. in
quanto, secondo il ricorrente, introdurrebbe una discriminazione ingiustificata
fra soggetti operanti in diverse Regioni, a parità di comportamento tenuto.
4.1.– Le questioni promosse nei confronti dell’art. 14, commi 1
e 3, della legge regionale n. 16 del 2016, in riferimento agli artt. 14, primo
comma, lettera f ), dello statuto speciale e 117, secondo comma, lettera l ),
Cost., sono fondate.
Le disposizioni impugnate sono
contenute nell’art. 14 della legge regionale n. 16 del 2016, intitolato
«Recepimento con modifiche dell’articolo 36 "Accertamento di conformità” del
decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380».
Come si evince dalla stessa
intitolazione, l’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001
disciplina l’accertamento di conformità e cioè quello strumento attraverso cui
si consente la sanatoria di manufatti o opere, realizzati in assenza di titolo
edilizio.
Al fine del rilascio del
permesso in sanatoria, la norma statale prescrive che gli interventi abusivi
siano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo
della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della
istanza di cui all’art. 36 (cosiddetta doppia conformità). Come confermato
dalla giurisprudenza di legittimità (di recente Cass.,
sez terza, n. 26425 del 2016; Cass.,
sez. terza, n. 35872 del 2016) e dalla recente giurisprudenza amministrativa
(Consiglio di Stato, sez. sesta, n. 3194 del 2016), il rilascio del permesso in
sanatoria estingue il reato di cui all’art. 44 del Testo unico dell’edilizia,
sempre che «ricorrano tutte le condizioni espressamente indicate dall'art. 36
della normativa e precisamente, la doppia conformità delle opere alla
disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del
manufatto, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria,
dovendo escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere
originariamente abusive che, solo successivamente, in applicazione della c.d.
sanatoria giurisprudenziale, o impropria, siano divenute conformi alle norme
edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica» (Cass., sez terza, n. 26425 del
2016). L’art. 36 del t.u. edilizia stabilisce,
inoltre, che, trascorsi 60 giorni dalla presentazione dell’istanza senza che
l’ufficio competente si sia pronunciato, si formi il cosiddetto silenzio
rigetto, che pertanto esclude l’effetto estintivo del reato.
Questa Corte si è più volte
occupata del principio dell’accertamento di conformità di cui all’art. 36 t.u.edilizia e ha affermato che esso, che costituisce
«principio fondamentale nella materia governo del territorio» (da ultimo, sentenza n. 107 del
2017), è «finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina
urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la
realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere
l’accertamento di conformità» (sentenza n. 101 del
2013). Tale istituto si distingue dal condono edilizio, in quanto «fa
riferimento alla possibilità di sanare opere che, sebbene sostanzialmente
conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia, sono state realizzate in
assenza del titolo stesso, ovvero con varianti essenziali», laddove il condono
edilizio «ha quale effetto la sanatoria non solo formale ma anche sostanziale
dell’abuso, a prescindere dalla conformità delle opere realizzate alla
disciplina urbanistica ed edilizia» (sentenza n. 50 del
2017).
Anche a prescindere da tali
classificazioni, occorre ricordare che, sebbene questa Corte abbia riconosciuto
che la disciplina dell’accertamento di conformità attiene al governo del
territorio, ha comunque precisato che spetta al legislatore statale la scelta sull’an, sul quando e sul quantum della sanatoria, potendo
il legislatore regionale intervenire solo per quanto riguarda l’articolazione e
la specificazione di tali disposizioni (sentenza n. 233 del
2015). Quanto alle Regioni ad autonomia speciale, ove nei rispettivi
statuti si prevedano competenze legislative di tipo primario, si è
puntualizzato che esse devono, in ogni caso, rispettare il limite della materia
penale e di «quanto è immediatamente riferibile ai principi di questo
intervento eccezionale di grande riforma», come nel caso del titolo abilitativo
edilizio in sanatoria (sentenza n. 196 del
2004).
Nel caso di specie, la norma
regionale impugnata consente il rilascio del permesso in sanatoria nel caso di
intervento edilizio di cui sia attestata la conformità alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente al solo momento della presentazione della
domanda e non anche a quello della realizzazione dello stesso, in difformità dall’art.
36 del t.u. edilizia (comma 1). La stessa norma
(comma 3) introduce anche l’istituto del silenzio assenso, in luogo di quello
del silenzio rigetto, previsto dal citato art. 36. Sennonchè
la scelta della qualificazione giuridica del comportamento omissivo
dell’amministrazione costituisce espressione di una norma di principio,
condizionando – come nel caso di specie – fra l’altro l’effetto estintivo delle
contravvenzioni contemplate dall’art. 44 del tu. edilizia.
Queste disposizioni finiscono con il configurare un surrettizio condono
edilizio e comunque travalicano la competenza legislativa esclusiva attribuita
alla Regione in materia di urbanistica dall’art. 14, comma 1, lettera f), dello
statuto speciale, invadendo la competenza esclusiva statale in materia di
«ordinamento penale» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., con riguardo alla sanatoria di abusi edilizi.
Né alcun rilievo assume la
presunta coerenza delle disposizioni impugnate con gli approdi di una parte
della giurisprudenza amministrativa (sulla cosiddetta sanatoria
giurisprudenziale), peraltro contraddetta da orientamenti consolidati, espressi
anche di recente (Consiglio di Stato, sez. sesta, n. 3194 del 2016), «perché un
suo eventuale riconoscimento normativo non potrebbe che provenire dal
legislatore statale» (sentenza n. 233 del
2015).
Deve, pertanto, essere
dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1 e 3, nella
parte in cui, rispettivamente, prevedono che «[…] il responsabile dell’abuso, o
l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria
se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente al momento della presentazione della domanda» (comma 1) e non anche a
quella vigente al momento della realizzazione dell’intervento; e nella parte in
cui si pone «un meccanismo di silenzio-assenso che discende dal mero decorso
del termine di novanta giorni» (comma 3) dalla presentazione dell’istanza al
fine del rilascio del permesso in sanatoria.
4.2.– Resta assorbita l’ulteriore censura rivolta alle stesse
disposizioni in riferimento all’art. 3 Cost.
5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita, inoltre,
della legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, della legge regionale
n. 16 del 2016, nella parte in cui consente l’inizio dei lavori edilizi nelle
località sismiche, senza la necessità della previa autorizzazione scritta. Tale
norma determinerebbe una violazione dell’art. 14 dello statuto speciale e
dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto si
porrebbe in contrasto con il principio della previa autorizzazione scritta
all’inizio dei lavori edilizi nelle località sismiche, contenuto nell’art. 94
del Testo unico dell’edilizia e qualificato come principio fondamentale in
materia di protezione civile, materia di competenza concorrente.
5.1.– La questione è fondata.
La disposizione impugnata è contenuta
nell’art. 16, intitolato «Recepimento con modifiche dell’articolo 94
"Autorizzazione per l’inizio dei lavori” del decreto del Presidente della
Repubblica 6 giugno 2001, n. 380». Il comma 1 del predetto art. 16 testualmente
recita: «Fermo restando l’obbligo del titolo abilitativo all’intervento
edilizio, nelle località sismiche, il richiedente può applicare le procedure
previste dall’articolo 32 della legge regionale 19 maggio 2003, n.7». Tale art.
32 delinea un regime relativo alla realizzazione di opere in zone sismiche
secondo il quale «non si rende necessaria l’autorizzazione all’inizio dei
lavori», che «possono essere comunque avviati, dopo l’attestazione di avvenuta
presentazione del progetto rilasciata dall’Ufficio del Genio civile».
L’art. 94 del Testo unico
dell’edilizia, oggetto di recepimento, è volto, come risulta dalla medesima
intitolazione, a disciplinare l’«autorizzazione per
l’inizio dei lavori» e prescrive, al comma 1, che «nelle località sismiche, ad
eccezione di quelle a bassa sismicità' all'uopo indicate nei decreti di cui
all’articolo 83, non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione
scritta del competente ufficio tecnico della regione».
Come ripetutamente affermato da
questa Corte, tale principio costituisce espressione evidente «dell’intento
unificatore che informa la legislazione statale, palesemente orientata […] ad
esigere una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico,
attesa la rilevanza del bene protetto, che trascende anche l’ambito della
disciplina del territorio, per attingere a valori di tutela dell’incolumità
pubblica che fanno capo alla materia della protezione civile, in cui ugualmente
compete allo Stato la determinazione dei principi fondamentali (così la citata sentenza n. 182 del
2006)» (sentenza
n. 60 del 2017).
La disposizione regionale
impugnata, pertanto, deve essere ricondotta alla materia della «protezione
civile», rispetto alla quale lo statuto speciale non assegna alcuna specifica
competenza alla Regione siciliana, cosicché, in virtù dell’art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda
della Costituzione), deve applicarsi anche ad essa quanto previsto dall’art.
117, terzo comma, Cost. L’art. 16, comma 1, della legge regionale n. 16 del
2016, di conseguenza, nella parte in cui consente l’avvio dei lavori nelle zone
sismiche in assenza della previa autorizzazione scritta del competente ufficio
tecnico della Regione, contrasta con il principio fondamentale espresso
dall’art. 94 del Testo unico dell’edilizia, secondo cui, nelle zone sismiche,
«l’autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della Regione
condiziona l’effettivo inizio di tutti i lavori, nel senso che in mancanza di
essa il soggetto interessato non può intraprendere alcuna opera, pur se in
possesso del prescritto titolo abilitativo edilizio» (sentenza n. 272 del
2016). Si tratta, peraltro, di un principio che «riveste una posizione
"fondante” del settore dell’ordinamento al quale pertiene, attesa la rilevanza
del bene protetto», costituito dall’incolumità pubblica, che «non tollera
alcuna differenziazione collegata ad ambiti territoriali» (sentenza n. 272 del
2016).
Va, pertanto, dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, della legge regionale n.
16 del 2016.
6.– Sulla base dei medesimi
argomenti e in riferimento agli stessi parametri, è, infine, promossa questione
di legittimità costituzionale nei confronti del comma 3 dello stesso art. 16
della citata legge regionale, nella parte in cui stabilisce che «[p]er lo snellimento delle procedure di denuncia dei progetti
ad essi relativi, non sono assoggettati alla preventiva autorizzazione scritta
del competente ufficio del Genio civile le opere minori ai fini della sicurezza
per le costruzioni in zona sismica, gli interventi privi di rilevanza per la
pubblica incolumità ai fini sismici e le varianti in corso d’opera, riguardanti
parti strutturali che non rivestono carattere sostanziale, in quanto definiti e
ricompresi in un apposito elenco approvato con deliberazione della Giunta
regionale» e che «[i]l progetto di tali interventi, da redigere secondo le
norme del D.M. 14 gennaio 2008 e successive modifiche ed integrazioni, è
depositato al competente ufficio del Genio civile prima del deposito presso il
comune del certificato di agibilità».
Il ricorrente sostiene che tali
disposizioni introducano una categoria di lavori ("minori” secondo il
legislatore siciliano), sottratti all’autorizzazione scritta preventiva, estranei
all’orizzonte della disciplina statale e quindi in violazione dell’art. 117,
terzo comma, Cost., in quanto in contrasto con i principi fondamentali della
normativa statale vigente in materia di protezione civile, desumibili dagli
artt. 94, 93 e 65 del t.u. edilizia, che impongono
anche di dare comunicazione delle opere prima del loro inizio.
6.1. – La questione è fondata
sulla base dei medesimi argomenti svolti nel paragrafo 5.1.
Anche in tal caso si tratta di
disposizioni riconducibili alla materia della «protezione civile», di cui la
necessità della previa autorizzazione scritta costituisce principio
fondamentale, al quale sono strettamente e strumentalmente connessi gli
obblighi di preventiva «[d]enuncia dei lavori e presentazione dei progetti di costruzioni
in zone sismiche», nonché di generale preventiva denuncia dei lavori allo
sportello unico, di cui agli artt. 93 e 65 del medesimo t.u.
edilizia.
Le disposizioni regionali
impugnate, pertanto, là dove sottraggono alla autorizzazione scritta le "opere
minori”, escludendo peraltro ogni forma di comunicazione dei relativi progetti,
si pongono in contrasto con il principio fondamentale della previa
autorizzazione scritta, contemplato dall’art. 94 del t.u.
edilizia, in materia di «protezione civile», e con i connessi principi di
previa comunicazione dei relativi progetti.
Con riguardo ad analoghe norme
regionali, questa Corte ha dichiarato che nessun rilievo riveste la circostanza
che la norma regionale esenterebbe dalla previa autorizzazione sismica le sole
opere "minori”, rispetto alle quali sarebbe sufficiente l’autocertificazione
del tecnico sul rispetto della disciplina di settore (sentenza n. 272 del
2016). Per un verso, gli interventi sul patrimonio edilizio esistente
(alcuni dei quali possono anche presentare rilevante impatto edilizio) sono
ricompresi nell’ampio e trasversale concetto di opera edilizia rilevante per la
pubblica incolumità utilizzato dalla normativa statale (artt. 83 e 94 del t.u. edilizia) con riguardo alle zone dichiarate sismiche,
e ricadono quindi nell’ambito di applicazione dello stesso art. 94. Per altro
verso, l’autorizzazione preventiva costituisce «uno strumento tecnico idoneo ad
assicurare un livello di protezione dell’incolumità pubblica indubbiamente più
forte e capillare» (sentenza n. 272 del
2016).
Deve, pertanto, essere
dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 3, della legge
regionale n. 16 del 2016.
per
questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2,
lettera f), della legge della Regione siciliana 10 agosto 2016, n. 16
(Recepimento del Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno
2001, n. 380), nella parte in cui consente di realizzare, senza alcun titolo
abilitativo, tutti gli interventi inerenti agli impianti ad energia rinnovabile
di cui agli artt. 5 e 6 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione
della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti
rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE
e 2003/30/CE) senza fare salvo il previo espletamento della verifica di
assoggettabilità a VIA sul progetto preliminare, qualora prevista;
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1 e 3,
della legge della Regione siciliana n. 16 del 2016, nella parte in cui,
rispettivamente, prevedono che «[…] il responsabile dell’abuso, o l’attuale
proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se
l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente
al momento della presentazione della domanda» (comma 1) e non anche a quella
vigente al momento della realizzazione dell’intervento; e nella parte in cui si
pone «un meccanismo di silenzio-assenso che discende dal mero decorso del
termine di novanta giorni» (comma 3) dalla presentazione dell’istanza al fine
del rilascio del permesso in sanatoria;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, commi 1 e 3,
della legge della Regione siciliana n. 16 del 2016;
4) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 11, comma 4, della legge della Regione siciliana n. 16 del 2016,
promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera a), Cost. dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso
indicato in epigrafe;
5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 11, comma 4, della legge della Regione siciliana n. 16 del 2016,
promosse, in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s),
Cost., in relazione all’art. 6 della direttiva 92/43/CEE (Direttiva 92/43/CEE
del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla Conservazione degli habitat
naturali e seminaturali e della flora e della fauna
selvatiche), dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato
in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede
della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il giorno 26 settembre
2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'8 novembre
2017.