SENTENZA N. 298
ANNO 2013
Commento alla decisione di
Cesare Mainardis
Autonomie
speciali e riparto delle competenze: quando la casistica prevale sulla sistematica
(per g-c. del Forum di Quaderni Costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE
"
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO
"
- Giuseppe FRIGO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 9, 12, comma 8, 13,
commi 2, 3, 4, 5 e 6, 14, per intero e, in subordine, riguardo ai commi 2, 7 e
9, 16, comma 2, lettera a), 17, 18, commi 2 e 4, 34, comma 1, lettere f) ed h)
e 35, comma 7, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 11
ottobre 2012, n. 19 (Norme in materia di energia e distribuzione dei
carburanti), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso
notificato il 17-21 dicembre 2012, depositato in cancelleria il 20 dicembre 2012
ed iscritto al n. 191 del registro ricorsi 2012.
Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia;
udito nell’udienza pubblica
del 22 ottobre 2013 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;
uditi l’avvocato dello Stato
Filippo Bucalo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato
Giandomenico Falcon per la Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia.
Ritenuto in fatto
1.– Con
ricorso depositato il 20 dicembre 2012 e notificato il 17-21 dicembre, il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, ha promosso in via principale, questione di legittimità
costituzionale degli artt. 5, comma 9; 12, comma 8; 13, commi 2, 3, 4 e 5; 13,
comma 6; 14 per intero e, in subordine, commi 2, 7, 9; 16, comma 2, lettera a);
17; 18, commi 2 e 4; 34, comma 1, lettere f) ed h), e 35, comma 7, della legge
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 11 ottobre 2012, n. 19 (Norme in
materia di energia e distribuzione dei carburanti), in riferimento agli artt.
3, 41, 97, 117, secondo comma, lettere e), l), m) ed s), e terzo comma, della
Costituzione e agli artt. 4 e 5 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n.
1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).
1.1.– Il ricorrente impugna l’art. 5, comma 9, della legge della Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 42 (recte: 19) del
2012, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., oltre che
degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.
La
disposizione, stabilendo che l’atto di programmazione regionale (d’ora in
avanti APR) predisposto, nelle more dell’approvazione del Piano energetico
regionale (PER), è sottoposto alla procedure relative alla valutazione
ambientale strategica (VAS) nelle sole ipotesi in cui contenga l’individuazione
delle aree e dei siti non idonei, implicitamente la esclude negli altri casi.
Si porrebbe, pertanto, in contrasto con l’art. 6, comma 2, lettera a), del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale),
trattandosi di «piano» concernente il «settore energetico», che, secondo il
dettato della norma statale interposta appena citata, deve essere assoggettato
sempre − ad eccezione dei limitati casi previsti dal ricordato comma 3
dello stesso art. 6 − alla VAS prevista da tale fonte statale.
1.2.– Oggetto di impugnazione è altresì l’art. 12, comma 8, della citata legge
regionale n. 19 del 2012, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.,
oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.
La
disposizione, nella parte in cui assoggetta alla procedura abilitativa
semplificata di cui all’art. 6 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28
(Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia
da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive
2001/77/CE e 2003 /30/CE) gli interventi per modifiche non sostanziali da
realizzarsi, «anche in corso d’opera», su impianti e infrastrutture che hanno
ottenuto l’autorizzazione unica (e quindi non necessariamente esistenti),
contrasterebbe con l’art. 5, comma 3, del citato d.lgs. n. 28 del 2011.
Quest’ultima norma, infatti, attribuisce ad un decreto del Ministro dello
sviluppo economico (adottato di concerto con il Ministro dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza unificata)
l’individuazione degli interventi di modifica sostanziale degli impianti da
assoggettare ad autorizzazione unica. Nelle more dell’approvazione di tale
decreto, la disposizione statale citata perimetra l’area degli interventi da
considerare «non sostanziali» e, quindi, sottoposti alla procedura abilitativa
semplificata, delimitandola ai soli interventi da realizzare sugli impianti
«esistenti».
1.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 13, commi 2, 3, 4
e 5, della legge regionale in esame sotto diversi profili: per violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettere l) ed m), e terzo comma, Cost., oltre che
degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.
Sotto il
primo ed il secondo profilo, il ricorrente rileva come tali previsioni
introducano oneri amministrativi – «a pena di improcedibilità» – superflui e
comunque non previsti dalla normativa statale di riferimento, e segnatamente
dall’art. 1-sexies del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239 (Disposizioni urgenti
per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il
recupero di potenza di energia elettrica), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge 27 ottobre 2003, n. 290. Ne conseguirebbe, da
un lato, la violazione dell’ambito della potestà legislativa concorrente
riservata alla Regione in materia di «produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell’energia» e, dall’altro lato, la violazione in materia di
«determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»,
nel cui novero andrebbero sussunte anche le norme che attuano il principio di
semplificazione amministrativa e quelle che fissano e regolano i principi
fondamentali relativi al procedimento amministrativo.
Quanto al
terzo profilo, la norma regionale, modulando i requisiti e i contenuti della
progettazione sugli artt. 93 e 94 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.
163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in
attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), si porrebbero in contrasto
con quanto previsto dall’art. 206 del medesimo decreto legislativo, il quale
non include, tra le norme applicabili ai settori speciali (gas, energia termica
ed elettricità), le disposizioni sui livelli di progettazione di cui ai citati
articoli.
1.4.– Il ricorrente impugna, poi, l’art. 13, comma 6, della legge regionale in
esame per violazione degli artt. 3, 41 e 117, comma terzo, Cost., oltre che
degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.
Tale
disciplina, subordinando il rilascio dell’autorizzazione per gli impianti
alimentati da fonti rinnovabili alla dimostrazione, da parte del richiedente,
del possesso di idonei requisiti soggettivi, nonché di atti definitivi
attestanti la titolarità delle aree, contrasterebbe con la normativa statale di
principio di cui al d.lgs. n. 28 del 2011, al decreto legislativo 29 dicembre
2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia
elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno
dell’elettricità) e al decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione
della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno
dell’energia elettrica)
In particolare,
l’art. 1, comma 1, del decreto legislativo da ultimo citato configura
l’attività de qua come libera.
La
disciplina statale di cui al comma 1 dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003,
sancendo che le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti
rinnovabili sono di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti, rivela che
l’iniziativa può essere intrapresa anche da soggetti non in possesso di «atti
definitivi attestanti la titolarità delle aree», i quali sono agevolati ad
acquisire tale titolarità contro la volontà dei proprietari con lo strumento
autoritativo costituito dal provvedimento di espropriazione per pubblica
utilità.
Inoltre,
soltanto nel caso previsto al comma 4-bis del citato art. 12, relativo alla
realizzazione di impianti alimentati a biomassa e fotovoltaici, la normativa
statale richiede che il proponente dimostri la disponibilità del suolo su cui
realizzare l’impianto (trattandosi peraltro comunque di mera disponibilità e
non di titolarità).
Il
ricorrente censura la norma anche in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., in quanto la stessa inciderebbe negativamente sul
diritto costituzionale di iniziativa economica e creerebbe ingiustificata
disparità di trattamento tra operatori del settore.
1.5.– L’art. 14 della legge regionale in esame, avente ad oggetto la disciplina
del procedimento per il rilascio dell’autorizzazione, è impugnato per
violazione degli art. 4 e 5 dello statuto oltre che dell’art. 117, terzo comma,
Cost., in quanto, contrasterebbe con l’art. 1-sexies del d.l. n. 239 del 2003.
La norma,
infatti, diversamente dal comma 3 del citato art. 1-sexies, non prevede
l’apposizione di «misure di salvaguardia» volte ad impedire che, nelle more
dell’autorizzazione della nuova infrastruttura, vengano rilasciati permessi di
costruire sui terreni potenzialmente impegnati dal progetto.
Inoltre,
detta disposizione, diversamente dal comma 1 del predetto art. 1-sexies, non
prevede che l’autorizzazione unica sia titolo sufficiente a realizzare ogni
opera o intervento necessari alla risoluzione delle interferenze con altre
infrastrutture esistenti, in conformità al progetto approvato ed alle
prescrizioni eventualmente contenute nel decreto autorizzatorio.
A parere
del ricorrente la mancata previsione di misure di salvaguardia e la mancata
previsione che l’autorizzazione unica disciplinata dal censurato art. 14
costituisca titolo sufficiente anche per realizzare ogni opera inserita nel
progetto approvato comporterebbero, altresì, un pregiudizio del principio costituzionale
di buon andamento, pregiudicando l’economicità, efficienza ed efficacia
dell’azione amministrativa, concretando la violazione dell’art. 97 Cost.
1.6.– L’art. 14, comma 2, della legge regionale impugnata, poi, sarebbe in
contrasto, oltre che con gli artt. 4 e 5 dello statuto speciale, con gli artt.
97 e 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, Cost.
Con
riferimento a tale ultimo parametro, la disposizione censurata, imponendo al
proponente, contestualmente all’istanza per il rilascio dell’autorizzazione
unica, di effettuare, qualora l’impianto non ricada in zona sottoposta a
tutela, una comunicazione alle competenti Soprintendenze, contrasterebbe con la
normativa statale di principio di cui all’art. 12, commi 3 e 4, del d.lgs. n.
387 del 2003 – oltre che con le linee guida adottate con decreto del Ministro
dello sviluppo economico 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione
degli impianti alimentati da fonti rinnovabili) –, il quale prevede che
l’autorizzazione unica sia rilasciata a seguito di un procedimento unico al
quale partecipano tutte le amministrazioni interessate.
Il
ricorrente lamenta che siffatto obbligo mortificherebbe le istanze di
semplificazione e di celerità insite nel procedimento di autorizzazione unica
disciplinato dal legislatore nazionale, con conseguente violazione del
principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. oltre
che dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
1.7.– Viene altresì impugnato l’art. 14, comma 7, della legge regionale indicata
in epigrafe per violazione degli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera m), e
terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.
La
disposizione censurata, la quale prevede, riguardo alle autorizzazioni per la
realizzazione degli elettrodotti, la necessità della previa espressione del
parere favorevole di ARPA che accerti il rispetto dei limiti di esposizione,
dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità relativi alle emissioni
elettromagnetiche, sarebbe in contrasto con la normativa statale di principio
di cui all’art. 1-sexies, comma 5, del d.lgs. n. 329 del 2003 (recte: d.l. n. 239 del 2003)
nonché con i principi fondamentali dettati con legge statale in materia di
procedimento amministrativo e, in particolare, con il principio di
semplificazione dell’attività amministrativa.
1.8.– Con riferimento agli artt. 14, comma 9, e 18, comma 2, della impugnata
legge regionale viene prospettata la violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera m), e terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto
speciale.
Le
disposizioni, prevedendo che l’autorizzazione unica rilasciata dalla Regione
per infrastrutture energetiche lineari non abbia di per sé effetto di variante
urbanistica, essendo necessario a tal fine anche l’assenso del Comune, espresso
in sede di conferenza di servizi sulla base del previo parere favorevole
espresso dal Consiglio comunale, si porrebbero in contrasto con l’art.
1-sexies, comma 2, lettera b), del d.l. n. 239 del 2003, a norma del quale,
qualora le opere comportino variazione degli strumenti urbanistici, il rilascio
dell’autorizzazione ha effetto di variante urbanistica, oltre che con le linee
guida, le quali, al punto 13.4, con riferimento agli impianti alimentati da
fonti rinnovabili, prevedono che le Regioni o le Province delegate non possono
subordinare la ricevibilità, la procedibilità dell’istanza o la conclusione del
procedimento alla presentazione di previe convenzioni ovvero atti di assenso o
gradimento, da parte dei comuni il cui territorio è interessato dal progetto.
1.9.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 16, comma 2,
lettera a), della citata legge regionale per violazione dell’art. 117, terzo
comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.
La disposizione,
infatti, assoggetta al regime della comunicazione di inizio lavori
l’installazione degli impianti di produzione di energia elettrica o termica da
fonti rinnovabili su edifici o aree di pertinenza degli stessi, senza
riprodurre né lo specifico limite di potenza («non superiore a 50 kW») previsto
dalla legge statale per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili né la
limitazione legata alla ubicazione («sugli edifici») per gli impianti solari
fotovoltaici, così indebitamente estendendo detto regime abilitativo anche
oltre tali limiti. Tale disciplina contrasterebbe, quindi, con la normativa
statale di principio di cui ai d.lgs. n. 28 del 2011 e n. 387 del 2003, ed in
particolare, l’art. 6, comma 11, del predetto d.lgs. n. 28 del 2011, il quale
prevede le su richiamate limitazioni di potenza ed ubicazione.
Il
ricorrente lamenta altresì la violazione degli artt. 3 e 41 Cost.,
in considerazione della ingiustificata discriminazione tra le iniziative
economiche nelle diverse regioni, e dell’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost., in quanto «la disciplina statale inerente il regime abilitativo
garantisce la sussistenza di un equilibrio tra la competenza esclusiva statale
in materia di ambiente e paesaggio e quella concorrente in materia di energia».
1.10.– Sempre per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., oltre che degli
artt. 4 e 5 dello statuto speciale è oggetto di impugnazione l’art. 17 della
legge regionale in esame.
La norma
dispone che l’Assessore regionale competente in materia di energia possa
proporre alla Giunta regionale l’approvazione di uno schema di accordo con i
proponenti volto ad attribuire vantaggi economici o occupazionali per il
territorio regionale, misure compensative, ovvero opere di razionalizzazione di
linee elettriche esistenti. In tal caso l’espressione dell’intesa tra Stato e
Regione nell’ambito delle funzioni riservate allo Stato ed esercitate d’intesa
con la Regione ai sensi dell’art. 2, comma 3, del decreto legislativo 23 aprile
2002, n. 110 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione
Friuli-Venezia Giulia concernenti il trasferimento di funzioni in materia di
energia, miniere, risorse geotermiche e incentivi alle imprese) è subordinata
alla stipula dell’accordo.
A parere
del ricorrente tale disciplina si porrebbe, innanzitutto, in contrasto con il
principio fondamentale dettato dal legislatore statale all’art. 1, comma 5,
della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché
delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di
energia), il quale, pur consentendo alle Regioni e agli enti locali di
stipulare accordi con i soggetti proponenti che individuino misure di
compensazione e di riequilibrio ambientale non prevede che la stipula di detti
accordi possa condizionare – subordinandola – l’intesa con lo Stato ed il
correlato rilascio dei pareri propedeutici all’ottenimento dell’autorizzazione
alla costruzione ed esercizio della infrastruttura energetica.
Nel ricorso
viene, inoltre, evidenziato che la facoltà di individuare misure di
compensazione e di riequilibrio ambientale sarebbe circoscritta dalla
legislazione nazionale esclusivamente a quegli interventi compensativi che
presentino carattere ambientale e che, al contempo, siano coerenti con gli
obiettivi generali di politica energetica, mentre la norma regionale impugnata
consentirebbe la stipula di accordi esorbitanti tali connotazioni e finalità.
Viene,
infine, segnalato che la norma censurata, attribuendo all’assessore regionale
competente in materia di energia il potere di concludere i suddetti accordi,
contrasterebbe con l’art. 34, comma 11 (recte: comma
16), del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la
crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 17 dicembre 2012, n. 221, il quale dispone che le modalità di stipula dei
predetti accordi siano individuati da un decreto del Ministero dello sviluppo
economico, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, sentita
la Conferenza unificata, da adottarsi entro i sei mesi successivi alla data di
entrata in vigore della legge di conversione del decreto.
Infine, il
ricorrente lamenta che la norma impugnata, stabilendo già la «posizione» che la
Regione deve assumere ai fini dell’intesa disciplinata all’art. 11, comporta
che il ricorso alla procedura alternativa (deliberazione assunta dal Consiglio
dei ministri con la partecipazione del presidente della Regione interessata)
prevista dal comma 3 dell’art. 2 del d.lgs. n. 110 del 2002 per le ipotesi di
mancato raggiungimento dell’intesa risulti sostanzialmente obbligatorio. Tale
aggravamento del procedimento volto al rilascio dell’autorizzazione unica
comporterebbe la violazione del principio costituzionale di buon andamento
previsto dall’art. 97 Cost.
1.11.– Sempre per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., oltre che degli
artt. 4 e 5 dello statuto speciale, è impugnato l’art. 18, comma 4, della legge
regionale in esame.
A parere
del ricorrente la norma violerebbe l’art. 1, comma 4, lettere a), b) e c),
della legge n. 239 del 2004 in quanto, riservando una quota significativa
dell’energia disponibile importata al fabbisogno energetico regionale e,
quindi, sottraendola alle regole del libero mercato dell’energia, recherebbe un
vulnus al sistema unitario nazionale di gestione dell’approvvigionamento
energetico con conseguente falsamento delle regole di concorrenza del mercato
dell’energia.
1.12.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, infine, gli artt. 35,
comma 7, e 34, comma 1, lettere f) ed h), della legge regionale in esame per
violazione degli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera e), Cost., oltre che
degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.
Tali
disposizioni, introducendo onerosi requisiti (tra cui, ad esempio,
l’obbligatorietà degli impianti fotovoltaici e della gestione di servizi di car
sharing) per l’apertura di impianti di distribuzione
di carburanti, introdurrebbero significative e sproporzionate barriere
all’ingresso nei mercati, non adeguatamente giustificate dal perseguimento di
specifici interessi pubblici, ingenerando ingiustificate discriminazioni a
danno della concorrenza, così ponendosi in contrasto con il principio contenuto
nell’art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni
urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la
competitività), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della
legge 24 marzo 2012, n. 27.
2.– Si è costituita in giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in
persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, la quale, sia
nell’atto di costituzione che nella memoria depositata successivamente (nella
quale vengono approfondite le argomentazioni difensive), chiede che sia
dichiarata l’inammissibilità o l’infondatezza delle censure prospettate nel
ricorso.
Sulle
singole materie di riferimento, la Regione evidenzia che il ricorso è concepito
come se la materia di riferimento fosse esclusivamente la «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» prevista dall’art. 117, terzo
comma, Cost., con l’eccezione della contestazione relativa all’art. 5, comma 9,
della legge regionale impugnata, in cui il ricorso si riferisce alla materia
statale «ambiente», mentre, trattandosi di impianti la cui costruzione impatta
profondamente sul territorio, la Regione potrebbe intervenire anche in forza
della propria potestà primaria in materia di urbanistica (art. 4, numero 11, recte: numero 12, dello statuto speciale), alla quale vanno
affiancate altre materie che possono venire in considerazione, in relazione a
singole disposizioni.
2.1.– In ordine all’art. 5, comma 9, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n.
42 (recte: n. 19) del 2012, la Regione evidenzia che
l’APR è emanato in attuazione del provvedimento ministeriale previsto dall’art.
2, comma 167, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale o pluriennale dello Stato − legge
finanziaria 2008), in modo da essere congruente con la quota minima di
produzione di energia da fonti rinnovabili assegnata alla Regione. Il decreto
ministeriale da attuare ha il compito di «definire la ripartizione fra regioni
e province autonome di Trento e di Bolzano della quota minima di incremento
dell’energia prodotta con fonti rinnovabili per raggiungere l’obiettivo del 17
per cento del consumo interno lordo entro il 2020». L’APR non sarebbe un atto
di programmazione territoriale ma di programmazione delle quantità. Esso, sino
a che assuma soltanto contenuti finanziari e non territoriali, non potrebbe
quindi rientrare nel novero degli atti individuati dall’art. 6, comma 2,
lettera a) del d.lgs. n. 152 del 2006, non costituendo un atto di
pianificazione del settore energetico suscettibile di riflessi ambientali. Solo
in via eventuale l’APR assume contenuti territorialmente − e dunque ambientalmente – rilevanti, e in tali ipotesi, infatti,
secondo la normativa regionale, non opera l’esclusione delle procedure di VAS.
2.2.– Con riferimento all’art. 12, comma 8, della legge regionale in esame, la
Regione non contesta che dall’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2011 possano
ricavarsi principi fondamentali della materia, ma sostiene che tra essi non
potrebbe farsi rientrare la necessità dell’esistenza (intesa come completa
realizzazione) dell’impianto ai fini del ricorso alla procedura semplificata
per le modifiche non sostanziali.
2.3.– Relativamente all’art. 13, commi 2, 3, 4 e 5, della legge regionale n. 19
del 2012, la Regione sostiene la inammissibilità e infondatezza del primo
motivo di censura, legato alla violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
In primo
luogo, viene rilevato che l’art. 1-sexies del d.l. n. 239 del 2003, assunto a
parametro interposto, di per sé disciplina la costruzione e l’esercizio degli
elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell’energia
elettrica (comma 1), prevedendo, al comma 5, che «le Regioni disciplinano i
procedimenti di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di reti
elettriche di competenza regionale in conformità ai principi e ai termini
temporali di cui al presente articolo […]». Da ciò deriverebbe che, non potendo
ricavarsi da tale norma principi fondamentali della materia per impianti e
strutture diverse dalle reti elettriche, dovrebbe dichiararsi
l’inammissibilità, per mancata indicazione del necessario parametro interposto,
della questione riferita all’art. 13, commi 2 e 3, per la parte in cui essi
riguardano impianti e strutture diverse dalle reti elettriche; comma 4 (che
riguarda impianti di produzione di energia, e impianti di deposito e di
stoccaggio di oli minerali); comma 5, per la parte in cui disciplina la
autorizzazione unica per i gasdotti e per le reti di trasporto di fluidi
termici.
La censura
sarebbe comunque non fondata nel merito, sia nella parte in cui si riferisce
alle reti elettriche, sia nella parte in cui essa si dovesse riferire ai
rimanenti impianti e strutture considerati dagli artt. 12 e 13 della legge
regionale. E ciò in quanto l’autorizzazione unica è rilasciata a seguito di una
conferenza di servizi convocata al fine di giungere all’adozione di una
decisione nel merito, che deve avere necessariamente ad oggetto un progetto
definitivo.
2.3.1.– La Regione sostiene la inammissibilità e infondatezza anche del secondo
motivo di censura avente ad oggetto sempre l’art. 13, commi 2, 3, 4 e 5, della
legge regionale in esame, legato alla violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera m), Cost.
La Regione
ritiene che la disposizione statale che sarebbe stata violata – l’art.
1-sexies, comma 3, del d.l. n. 239 del 2003, nella parte in cui stabilisce che
il procedimento di autorizzazione unica può essere avviato sulla base di un
progetto preliminare o analogo − si riferisce ad elettrodotti facenti
parte della rete nazionale di trasporto dell’energia elettrica, per i quali
l’autorizzazione unica è rilasciata dal Ministero delle attività produttive di
concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e previa
intesa con la regione o le regioni interessate. Le autorizzazioni uniche cui si
riferisce l’impugnato art. 13 della legge regionale sono invece solo quelle di
competenza regionale, provinciale e comunale. Ne deriverebbe che il comma 3 del
citato art. 1-sexies non potrebbe essere qualificato come norma diretta a
stabilire prestazioni essenziali, cui le regioni si debbano uniformare.
2.3.2.– Con riferimento, infine, al terzo motivo di censura del predetto art. 13,
commi 2, 3, 4 e 5, legato alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera
l), Cost., a parere della Regione la questione sarebbe frutto di un errore di
prospettiva e, conseguentemente, palesemente non fondata. Nella disposizione
impugnata il riferimento a elaborati della progettazione definitiva delle opere
pubbliche sarebbe solo un mero espediente redazionale per indicare in forma
sintetica certi atti, mediante rinvio ad una altra fonte che già li descrive,
non avendo, invero, nulla a che fare con l’applicazione della disciplina che
regola i contratti pubblici. Del resto, la norma regionale non richiamerebbe
tutti gli elaborati tecnici che devono accompagnare il progetto per la
realizzazione di un’opera pubblica, limitandosi a quelli rilevanti, per il loro
contenuto, ai fini del rilascio o del diniego della autorizzazione unica.
2.4.– Non fondata sarebbe, a parere della Regione, anche la questione avente ad
oggetto l’art. 13, comma 6, della legge regionale n. 19 del 2012.
Per
comprendere le ragioni della infondatezza, la Regione precisa, in via
preliminare, che la necessità di «atti definitivi attestanti la titolarità
delle aree», richiesta dalla norma, risulterebbe in realtà circoscritta e
mitigata ad opera della stessa legge regionale. Da un lato, alla luce delle
disposizioni del comma 6 e del comma 8 del medesimo art. 13, non è richiesta la
titolarità delle aree per gli impianti idroelettrici, eolici, geotermici (per
l’installazione dei quali è necessaria una concessione) e, più in generale, per
tutti i casi in cui vi sia un atto amministrativo che individua uno specifico
sito ai fini dello sfruttamento di una risorsa rinnovabile. Dall’altro, il
comma 7 dello stesso art. 13, dispone che il procedimento autorizzativo possa
essere avviato anche sulla base di dichiarazioni sostitutive di atti di
notorietà, che attestino la titolarità delle aree, ovvero sulla base di
contratti preliminari regolarmente registrati, purché entro la data di adozione
del provvedimento autorizzativo finale l’istanza sia integrata con gli atti
definitivi redatti in forma di atti pubblici regolarmente registrati.
Tanto
premesso sul quadro normativo nel quale si inserisce la norma impugnata, la
Regione, in ordine alla presunta violazione dell’art. l, comma l, del d.lgs. n.
79 del 1999, sostiene che libertà delle attività di produzione, importazione,
esportazione, acquisto e vendita di energia elettrica significa che suddette
attività non sono soggette a contingentamenti o a concessioni, rimanendo,
invece, del tutto impregiudicata la questione, affatto diversa, relativa alla
disponibilità del bene che sia strumentalmente necessario allo svolgimento
della attività stessa. In ogni caso la norma regionale impugnata non
contrasterebbe affatto con il principio di libertà della attività produttiva,
in quanto, in concreto, essa considera idoneo ogni soggetto o come imprenditore
o come auto produttore (che sia tale sulla base delle definizioni statali).
Ad avviso
della Regione non sarebbe neanche fondata la censura in ordine alla presunta
violazione dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, il quale mostrerebbe che
l’iniziativa produttiva può essere intrapresa anche da soggetti non in possesso
di «atti definitivi attestanti la titolarità delle aree». Ed invero, anche alla
luce della precisa − e ben ristretta − delimitazione del campo di
applicazione della norma impugnata, come sopra esposta, la previsione della
necessità del titolo di disponibilità rappresenterebbe un ragionevole
bilanciamento tra l’interesse alla produzione di energia da fonti rinnovabili e
l’interesse dei proprietari del fondo.
È
sostenuta, altresì, l’inammissibilità o infondatezza delle censure relative
agli artt. 3 e 41 Cost. In ordine alla prima censura, si profilerebbe una
disparità costituzionalmente irrilevante, derivante dalla legittima
esplicazione della potestà legislativa regionale. In ordine alla seconda
censura, la norma sarebbe il frutto del ragionevole bilanciamento tra il
diritto di iniziativa economica privata e il diritto proprietario del titolare
del fondo su cui l’attività di produzione sarebbe destinata a svolgersi.
2.5.– In ordine all’art. 14 della legge regionale impugnata, la Regione, con
riferimento alle misure di salvaguardia, ne valorizza l’elemento funzionale,
concludendo che esse atterrebbero – secondo un giudizio di prevalenza −
alla materia dell’urbanistica, di competenza primaria della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, ai sensi dell’art. 4, numero 12, dello statuto, in
quanto esse toccano in modo assolutamente rilevante e condizionante la
programmazione dell’uso del territorio. Non sussisterebbe, quindi, alcuna
violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. Viene ritenuta non fondata anche
la censura relativa all’art. 97 Cost., in quanto, da
un lato, essa presuppone − ad avviso della Regione inesattamente −
che sia sempre l’interesse alla realizzazione della rete a prevalere sull’interesse
ad altre utilizzazioni del territorio. Dall’altro lato, l’autorizzazione unica
comprende anche il permesso di costruire, in ordine al quale il Comune
interessato deve esprimersi in conferenza di servizi, ermo restando che – una
volta avviato l’iter per l’autorizzazione unica – l’ente locale, nelle proprie
determinazioni in materia urbanistica, già in base ai principi generali dovrà
comunque tenere conto dell’opera per la quale il proponente ha chiesto la
autorizzazione.
Anche con
riferimento alla mancata previsione che l’autorizzazione unica costituisca
titolo sufficiente pure per realizzare ogni opera inserita nel progetto
approvato che si renda necessaria per la risoluzione delle interferenze, la
questione promossa non sarebbe fondata. E ciò in quanto una tale omissione non
sussisterebbe e non sarebbe ravvisabile alcun contrasto con la disposizione
statale assunta a parametro. La Regione giunge a tale conclusione sulla base di
due norme della legge regionale censurata: l’art. 13, comma 2, il quale
stabilisce, con norma generale, che l’istanza di autorizzazione unica «deve
contenere l’elenco di tutte le interferenze», con i relativi progetti, e l’art.
12, comma 3, primo periodo, il quale prevede che «[l’]autorizzazione unica
rilasciata a seguito di conferenza di servizi sostituisce autorizzazioni,
concessioni, pareri, nulla osta e atti di assenso comunque denominati, contiene
la dichiarazione di pubblica utilità nei casi previsti dalla legge e
costituisce a tutti gli effetti titolo a costruire ed esercire gli impianti e
le infrastrutture relative, in aderenza e in conformità al progetto tecnico
approvato».
2.6.– Con riferimento alla questione avente ad oggetto l’art. 14, comma 2, della
legge regionale impugnata, la Regione ne sostiene l’inammissibilità
relativamente all’art. 97 Cost., in quanto priva di qualunque motivazione
specifica, e l’infondatezza, relativamente agli altri parametri invocati. E ciò
in quanto la norma regionale si limiterebbe a riprendere il contenuto delle
linee guida, le quali, al punto 13.3., prevedono una
comunicazione alle competenti soprintendenze nei medesimi termini della legge
regionale.
2.7.– In ordine all’art. 14, comma 7, della legge regionale n. 19 del 2012,
relativamente all’art. 117, terzo comma, Cost., la Regione segnala come il
ricorrente parta dal presupposto errato che la disposizione regionale chieda
l’acquisizione del parere di ARPA al di fuori della conferenza di servizi.
Quanto alla
presunta violazione degli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera m), Cost., la Regione ritiene che le censure, prima che
infondate (perché il contenuto della disposizione non è quello che vi legge il
Governo), siano inammissibili per genericità e difetto di motivazione,
limitandosi esse a sostenere che la (supposta) violazione dei principi
fondamentali è anche violazione di queste due ultime disposizioni
costituzionali.
2.8.–
Passando alla trattazione degli artt. 14, comma 9, e 18, comma 2, della legge
regionale in esame, la Regione ritiene opportuno rammentare come nel sistema regionale
si preveda che, nel caso di mancata acquisizione del parere favorevole del
consiglio comunale, l’organo esecutivo dell’ente titolare del procedimento
autorizzativo (secondo il riparto di competenze tracciato dagli artt. 2 e 3
della medesima legge regionale n. 19 del 2012) abbia il potere di assumere la
determinazione conclusiva in luogo della conferenza di servizi, eventualmente
superando il dissenso urbanistico comunale qualora esso dovesse apparire
ingiustificato.
Quanto alle
più volte citate linee guida, la Regione sostiene trattarsi di un parametro del
tutto inconferente, in quanto, analogamente al decreto legislativo che ne è
alla base, esse riguardano solo gli impianti di produzione di energia da fonti
rinnovabili, mentre le disposizioni regionali impugnate riguardano solo le
infrastrutture energetiche lineari (elettrodotti e gasdotti, nei limiti sopra
evidenziati).
Infine, si
contesta la totale assenza di motivazione in ordine alla violazione dell’art.
117, secondo comma, lettera m), Cost.
2.9.– Con
riferimento all’art. 16, comma 2, lettera a), della legge reg. n. 19 del 2012,
la Regione sostiene che il quadro normativo regionale complessivo,
caratterizzato da una valutazione più ampia degli effetti del regime di
autorizzazione o comunicazione sulle destinazioni e sulle utilizzazioni del
territorio, consentirebbe di ritenere che l’estensione della facoltà
riconosciuta alle Regioni dall’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 ad
altre ipotesi, corrispondenti per ratio e per gli effetti perseguiti e
prodotti, costituisca non una contraddizione del principio espresso dalla norma
statale ma un suo sviluppo coerente.
La Regione
puntualizza inoltre che la disposizione censurata interseca inestricabilmente
la materia dell’urbanistica, di competenza primaria della Regione, non
soggetta, come tale, al limite dei principi fondamentali della materia.
In ordine
agli artt. 3 e 41 Cost., la Regione segnala come, più
che per avanzare una censura autonoma, il richiamo a tali parametri
costituzionali sembrerebbe valere come argomento per attribuire il carattere di
principi fondamentali alla richiamata norma del d.lgs. n. 28 del 2011. Quanto
alla asserita violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., si rileva che il ricorso non indicherebbe alcuna
norma (diversa da quella del d.lgs. n. 28 del 2011) in qualche modo attinente
all’ambiente e al paesaggio violata dalla disposizione regionale.
2.10.– Affrontando la questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto
l’art. 17 della legge regionale impugnata, la Regione preliminarmente traccia
il perimetro della norma, evidenziando che la stipula dell’accordo con il
proponente è configurata dalla legge regionale come una delle opzioni a
disposizione della Regione nel momento in cui si appresta a prendere le proprie
decisioni in materia. Sarebbe, poi, ben possibile − fisiologico, anzi −
che l’accordo si raggiunga. Né potrebbe costituire una ragione di
incostituzionalità della legge la circostanza che in certe ipotesi la Regione
non ritenga di addivenire all’intesa.
In ordine
al lamentato appesantimento e aggravamento del procedimento, con la conseguente
violazione dell’art. 97 Cost., la Regione rileva che la posizione di siffatte
regole procedurali circa il modo in cui si forma la volontà della Giunta
regionale su questioni rilevanti come quelle per le quali occorre l’intesa,
piuttosto che contrastare con l’invocato parametro costituzionale, lo attuano
sotto il profilo della controllabilità dell’azione amministrativa, anche di
governo, e comunque ricadono nella potestà di autorganizzazione dell’esecutivo
regionale, riconosciuta dallo statuto speciale (art. 12, comma 2, e art. 4,
numero l).
Relativamente
alla censura legata al contrasto con l’art. 34, comma 16, del d.l. n. 179 del
2012, la Regione ne sostiene la palese inammissibilità, in quanto la
disposizione statale invocata è successiva alla legge regionale impugnata, e,
comunque, la assoluta infondatezza.
Con
riferimento alla censura relativa al presunto contrasto con il principio
fondamentale in materia di «produzione, distribuzione e trasporto di energia»
dettato dal legislatore statale all’art. l, comma 5, della legge n. 239 del
2004, la Regione segnala che, diversamente da quanto sostenuto nella
prospettazione del ricorrente, la disposizione statale non escluderebbe affatto
che le misure − in particolare quelle di compensazione − possano
riferirsi ad altri ambiti, ove non espressamente vietati ed ove ragionevolmente
correlati all’opera da realizzare.
2.11.−
La Regione sostiene l’infondatezza della questione avente ad oggetto l’art. 18,
comma 4, della legge reg. n. 19 del 2012, in quanto la legislazione statale,
nel definire gli obiettivi generali di politica energetica del Paese,
consentirebbe a tutte le istituzioni di esercitare i propri poteri al fine, tra
l’altro, di «salvaguardare le attività produttive con caratteristiche di
prelievo costanti e alto fattore di utilizzazione dell’energia elettrica,
sensibili al costo dell’energia» (art. 1, comma 3, lettera m, della legge n.
239 del 2004). A tale obiettivo si ispirerebbe la norma impugnata, la quale
stabilirebbe una modesta correlazione tra il sacrificio subito dalla comunità
regionale e la partecipazione ai vantaggi che l’impianto di reti elettriche
transfrontaliere produce.
2.12.− Con riferimento agli artt. 35, comma 7, e 34, comma l,
lettere f) ed h), della legge regionale impugnata, la Regione rileva
l’infondatezza della questione promossa dal Presidente del Consiglio dei
ministri. Viene innanzitutto evidenziato che le caratteristiche delle «stazioni
di servizio» stabilite dalla legge regionale risponderebbero tutte ad esigenze
di pubblica utilità prese in considerazione dalla normativa statale. Così,
l’obbligo di installare apparecchiature di tipo self-service prepagamento
funzionanti autonomamente 24 ore su 24 risponderebbe all’esigenza di garantire
la continuità nell’accesso al bene carburante, strumentale alla libertà di
circolazione e di impresa; l’installazione di pannelli fotovoltaici sulle
coperture risponderebbe al principio di massima diffusione delle energie
rinnovabili sulle nuove costruzioni; l’obbligo di servizi igienici e di
parcheggi per gli utenti risponderebbe alle esigenze delle persone e dei
consumatori e alle esigenze di accessibilità per soggetti diversamente abili; la
presenza di apparecchiature di ricarica per auto elettriche sarebbe funzionale
alla incentivazione della diffusione di questo mezzo di trasporto non
inquinante; la previsione di accessi per i veicoli separati e distinti per
entrata e uscita risponderebbe a esigenze di sicurezza della circolazione
stradale.
Quanto alla
asserita discriminazione in danno dei nuovi operatori entranti, essa non
sussisterebbe affatto, stante la previsione regionale, a carico degli impianti
esistenti, dell’obbligo di adeguamento − entro termini prestabiliti e con
la sola eccezione per l’obbligo dell’installazione dei pannelli fotovoltaici
sulle coperture − ai nuovi requisiti (art. 37, comma 6; art. 41, comma 2,
lettera a), alla cui mancata ottemperanza possono seguire persino la chiusura e
la rimozione dell’impianto (art. 42, comma 6).
Con
specifico riferimento alla norma relativa ai nuovi impianti del tipo «stazione
di rifornimento elettrico», viene segnalato che essa è stata abrogata dall’art.
191 della legge regionale 21 dicembre 2012, n. 26 (Legge di manutenzione
dell’ordinamento regionale 2012), cosicché oggi alla definizione di «stazione
di rifornimento elettrico» non si collega alcuna conseguenza normativa. La
Regione attesta che, nel breve lasso di tempo nel quale la norma è stata in
vigore, essa non ha avuto applicazione, in quanto la limitazione alla
realizzazione non era assistita da alcuna sanzione, né la installazione e
l’esercizio dell’impianto erano soggetti ad alcuna autorizzazione. Ne
conseguirebbe, pertanto, la cessazione della materia del contendere.
3.– All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle
conclusioni svolte nelle difese scritte.
Considerato in diritto
1.– Il
Presidente del Consiglio dei ministri dubita della legittimità costituzionale
di numerose disposizioni della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia 11 ottobre 2012, n. 19 (Norme in materia di energia e distribuzione dei
carburanti), ed in particolare degli artt. 5, comma 9; 12, comma 8; 13, commi
2, 3, 4, 5 e 6; 14 per intero e, in subordine, commi 2, 7 e 9; 16, comma 2,
lettera a); 17; 18, commi 2 e 4; 34, comma 1, lettere f) ed h), e 35, comma 7,
in riferimento agli artt. 3, 41, 97, 117, secondo comma, lettere e), l), m) ed
s), e terzo comma, della Costituzione, e agli artt. 4 e 5 della legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia).
2.–
Preliminarmente va evidenziato che il richiamo da parte del Presidente del
Consiglio dei ministri agli artt. 4 e 5 dello statuto va letto come esposizione
delle ragioni per le quali non trovano applicazione le norme speciali
statutarie, bensì quelle del Titolo V della Costituzione (sentenze n. 165 del 2009
e n. 286 del
2007), e non come parametro invocato a supporto di specifici motivi di
censura.
In effetti,
lo statuto regionale non contempla una competenza in materia di ambiente (cui
va ricondotta la disposizione oggetto della prima questione) né in materia di
concorrenza (cui va ricondotta la disposizione oggetto dell’ultima questione)
né in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale di energia
(cui vanno ricondotte le disposizioni oggetto delle restanti questioni);
pertanto, secondo la clausola di equiparazione di cui all’art. 10 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda
della Costituzione) si applica il nuovo Titolo V per le parti in cui prevede
«forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite».
3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 5, comma 9, della
legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 42 (recte:
19) del 2012, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.
La
disposizione stabilisce che l’atto di programmazione regionale (d’ora in avanti
APR) predisposto, nelle more dell’approvazione del piano energetico regionale
(d’ora in avanti PER), in attuazione del provvedimento ministeriale previsto
dall’art. 2, comma 167, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale o pluriennale dello Stato − legge
finanziaria 2008), è sottoposto alle procedure relative alla valutazione
ambientale strategica (VAS) «nel caso in cui contenga l’individuazione delle
aree e dei siti non idonei» (implicitamente escludendola negli altri casi).
Il ricorrente
evidenzia che l’APR rientra, per le sue caratteristiche, nella definizione di
cui all’art. 5, comma 1, lettera e), numero 1), del decreto legislativo 30
aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) quale «atto» di
«programmazione» elaborato da «un’autorità a livello regionale» per «essere
approvato […] mediante una procedura legislativa». Pertanto, trattandosi di
«piano» concernente il «settore energetico», ai sensi dell’art. 6, comma 2,
lettera a), del predetto d.lgs. n. 152 del 2006, rientrerebbe nel novero dei
piani assoggettati sempre − ad eccezione dei limitati casi previsti dal
comma 3 dello stesso art. 6 (in questa sede non rilevanti) − alla VAS
prevista da tale fonte statale.
3.1.– La Regione eccepisce l’inammissibilità della questione, in quanto
l’esclusione delle procedure di VAS sarebbe disposta dal comma 8, e non dal
comma 9, oggetto di impugnazione.
L’eccezione
non è fondata in quanto la disposizione impugnata (il comma 9, appunto)
individua le ipotesi in cui il piano è sottoposto alla VAS e, comunque, dal
contesto complessivo del ricorso è chiaro che la disposizione censurata è
quella che esclude le procedure relative alla VAS se non nelle ipotesi in cui
contenga l’individuazione delle aree e dei siti non idonei.
3.2.– Nel merito, la questione è fondata.
3.3.–
L’art. 5 del citato d.lgs. n. 152 del 2006, al comma 1, lettera e), numero 1),
fornisce una precisa definizione di piano energetico: «ai fini del presente
decreto si intende per: […] e) piani e programmi: gli atti e provvedimenti di
pianificazione e di programmazione comunque denominati, compresi quelli
cofinanziati dalla Comunità europea, nonché le loro modifiche: 1) che sono
elaborati e/o adottati da un’autorità a livello nazionale, regionale o locale
oppure predisposti da un’autorità per essere approvati, mediante una procedura
legislativa, amministrativa o negoziale e 2) che sono previsti da disposizioni
legislative, regolamentari o amministrative».
Ebbene,
l’APR, sia per l’oggetto che per le modalità di adozione, è atto avente natura
di piano energetico.
È da
escludere, in particolare, che l’APR possa essere considerato atto di mera
programmazione finanziaria delle risorse da destinare al settore, come sostiene
la Regione sulla base della circostanza che esso è emanato, nelle more
dell’approvazione del PER, «in attuazione del provvedimento ministeriale
previsto dall’art. 2, comma 167, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Legge
finanziaria 2008), (burden sharing)»,
il quale ha il compito di «definire la ripartizione fra regioni e province
autonome di Trento e di Bolzano della quota minima di incremento dell’energia
prodotta con fonti rinnovabili necessaria per raggiungere l’obiettivo del 17
per cento del consumo interno lordo entro il 2020».
Difatti, la
norma regionale, nel perimetrare contenuto e finalità dell’APR, smentisce tale
lettura limitativa, in quanto dispone che esso «assicura uno sviluppo
equilibrato delle diverse fonti, definisce le misure e gli interventi necessari
al raggiungimento degli obiettivi fissati dal provvedimento ministeriale, può
individuare le aree e i siti del territorio non idonei all’installazione di
impianti a fonti rinnovabili», con evidente incidenza sulla programmazione
energetica.
Del resto,
lo stesso carattere transitorio dell’APR, destinato ad una fisiologica fine al
momento della adozione del PER, conferma l’identità di natura dei due atti.
L’atto di
programmazione in questione, pertanto, rientrando nell’ambito applicativo della
norma interposta, è affetto dal vizio di costituzionalità dedotto dal
ricorrente.
3.4.– Va, dunque, dichiarato costituzionalmente illegittimo il comma 9 dell’art.
5 della legge regionale impugnata, e «in via consequenziale», ai sensi
dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, deve essere dichiarato
incostituzionale il comma 8 del medesimo articolo, limitatamente alle parole
«escluse le procedure relative alla VAS», trattandosi di disposizione la cui
illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata.
4.– Il ricorrente impugna, poi, l’art. 12, comma 8, della citata legge
regionale per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., oltre che degli
artt. 4 e 5 dello Statuto speciale.
La
disposizione censurata, nella parte in cui assoggetta alla procedura
abilitativa semplificata, di cui all’art. 6 del decreto legislativo 3 marzo
2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso
dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione
delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), gli interventi per modifiche non sostanziali
da realizzarsi «anche in corso d’opera» su impianti e infrastrutture che hanno
ottenuto l’autorizzazione unica, contrasterebbe con l’art. 5, comma 3, dello
stesso decreto legislativo.
Quest’ultimo
articolo, infatti, nell’attribuire ad un decreto del Ministro dello sviluppo
economico (adottato di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela
del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza unificata)
l’individuazione degli interventi di modifica «sostanziale» degli impianti da assoggettare
ad autorizzazione unica, prevede che, nelle more dell’approvazione di tale
decreto, «non sono considerati sostanziali e sono sottoposti alla disciplina di
cui all’art. 6 [cioè alla procedura abilitativa semplificata] gli interventi da
realizzare sugli impianti fotovoltaici, idroelettrici ed eolici esistenti».
4.1.− La questione è fondata.
4.2.− La norma regionale, estendendo l’autorizzazione
semplificata anche agli interventi relativi ad impianti non necessariamente
esistenti, si pone in contrasto con la normativa statale di principio fissata
dal d.lgs. n. 28 del 2011 nella materia di «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia», cui va ricondotta la disposizione
censurata.
4.3.– La norma statale, infatti, ha natura di principio fondamentale della
materia, secondo quanto già riconosciuto da questa Corte (vedi sentenze n. 275 e n. 99 del 2012),
in particolare quanto alla necessità dell’esistenza (intesa come completa
realizzazione) dell’impianto ai fini del ricorso alla procedura semplificata
per le modifiche «non sostanziali». La giustificazione di tale disciplina è
evidentemente legata al suo carattere transitorio e alla preoccupazione che la
suddetta fase possa incidere negativamente sull’efficienza degli impianti
esistenti: questa giustificazione non può essere estesa al caso in questione.
5.– L’art. 13, commi 2, 3, 4 e 5, della legge regionale in esame è impugnato
per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5
dello statuto speciale.
Le
disposizioni censurate – che disciplinano i contenuti dell’istanza di
autorizzazione unica − eccederebbero l’ambito della potestà legislativa
concorrente riservata alla Regione in materia di produzione, trasporto e
distribuzione nazionale di energia, introducendo oneri amministrativi – «a pena
di improcedibilità» – superflui e comunque non previsti dalla normativa statale
di riferimento: l’art. 1-sexies del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239
(Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico
nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica), convertito, con
modificazioni, dall’art. della legge 27 ottobre 2003, n. 290.
In
particolare, il ricorrente censura le disposizioni regionali nella parte in cui
prevedono «che il progetto da allegare all’istanza di autorizzazione unica,
nonché il progetto relativo a tutte le interferenze, siano corredati da
elaborati tecnici con grado di approfondimento analogo a quello richiesto per
il progetto definitivo dei lavori pubblici e che "a pena di improcedibilità”
l’istanza sia corredata da un progetto con contenuti assimilabili al progetto
definitivo dell’opera pubblica, comprensivo di: 1) opere per la connessione
alla rete; 2) altre infrastrutture indispensabili alla costruzione e
all’esercizio dell’impianto; 3) elaborati grafici e normativi di variante al
PRGC, qualora necessaria».
5.1.– Va
dichiarata la non fondatezza, per inconferenza del
parametro interposto (sentenza n. 255 del 2013
e n. 263 del
2012; ordinanze n. 31 del 2013,
n. 84 del 2011,
n. 286 e n. 77 del 2010),
della questione relativa all’art. 13, commi 2 e 3, per la parte in cui
riguardano impianti e strutture diverse dalle reti elettriche; comma 4 (che riguarda
impianti di produzione di energia elettrica, impianti e depositi di stoccaggio
di oli minerali); comma 5, per la parte in cui disciplina la autorizzazione
unica per i gasdotti e per le reti di trasporto di fluidi termici.
Secondo il
Presidente del Consiglio dei ministri, le disposizioni regionali
contrasterebbero con il citato art. 1-sexies, assunto a parametro interposto.
Senonché tale norma disciplina la costruzione e l’esercizio degli elettrodotti
facenti parte della rete nazionale di trasporto dell’energia elettrica (comma
1) e, al comma 5, precisa che «Le regioni disciplinano i procedimenti di
autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di reti elettriche di
competenza regionale in conformità ai principi e ai termini temporali di cui al
presente articolo». Essa è, quindi, inconferente rispetto alle questioni
relative ai commi sopra indicati, aventi diverso oggetto.
5.2.– Anche per la parte rimanente della disposizione, la questione non è
fondata.
5.3.– Per valutare la correttezza o meno della necessaria allegazione del
progetto definitivo – e non di quello preliminare, come, in sostanza, preteso
dal ricorrente – vanno tenute presenti la natura e la portata della relativa
istanza. Questa è, nella specie, finalizzata alla convocazione di una
conferenza di servizi nell’ambito della quale devono essere valutati in modo
definitivo tutti gli interessi pubblici coinvolti: essa, infatti, si conclude
con il rilascio dell’autorizzazione unica che «sostituisce autorizzazioni,
concessioni, pareri, nulla osta e atti di assenso comunque denominati, contiene
la dichiarazione di pubblica utilità nei casi previsti dalla legge e
costituisce a tutti gli effetti titolo a costruire ed esercire gli impianti e
le infrastrutture relative, in aderenza e in conformità al progetto tecnico
approvato» (art. 12, comma 3, della legge reg. n. 19 del 2012).
Ebbene, ciò
richiede necessariamente che sia presentato un progetto definitivo, quale
indispensabile supporto delle valutazioni da effettuare.
Né dalla
disciplina statale si desume un principio diverso, in quanto la previsione che
per l’avvio della conferenza di servizi sia sufficiente un progetto preliminare
o analogo va letta in aderenza alla legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in
materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi). Quest’ultima perimetra, in via generale, la possibilità che la
conferenza di servizi sia convocata sulla base di un progetto preliminare,
disciplinando, all’art. 14-bis, la «conferenza di servizi preliminare». La
norma regionale, al contrario, si riferisce, come si è visto, all’apertura
della conferenza di servizi decisoria e dunque non contraddice la richiesta di
un progetto definitivo.
In tal
senso, del resto, è la disciplina introdotta dal legislatore statale con le
linee guida adottate con decreto del Ministro dello sviluppo economico 10
settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da
fonti rinnovabili). Tali linee guida, al punto 13.1.,
dispongono che «[l’]istanza per il rilascio dell’autorizzazione unica [...] è
corredata da: a) progetto definitivo dell’iniziativa […]». Esse, anche se
riguardano solo gli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da
fonti rinnovabili – disciplinati dall’impugnato comma 4 dell’art. 13, in ordine
al quale (per quanto sopra scritto) la questione è manifestamente infondata per
inconferenza del parametro –, rappresentano
un’ulteriore dimostrazione della correttezza della norma regionale.
Resta
peraltro ferma la possibilità, prevista dal comma 3 dell’impugnato art. 13, per
le ipotesi in cui l’intervento debba essere sottoposto a VIA, che si apra una
prima fase sulla base di progetto composto da «elaborati tecnici con grado di
approfondimento analogo a quello richiesto per il progetto preliminare dei
lavori pubblici», finalizzata all’emissione del provvedimento di VIA,
successivamente alla quale si richiede l’integrazione con progetto di natura
definitiva.
6.– Lo stesso art. 13, commi 2, 3, 4 e 5, è impugnato anche per violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., oltre che degli artt. 4 e 5
dello statuto speciale.
Le
disposizioni, prevedendo «a pena di improcedibilità» oneri amministrativi
documentali superflui e comunque non previsti dalla normativa statale di riferimento,
contrasterebbero con i principi fondamentali dettati con legge statale in
materia di procedimento amministrativo e, in particolare, con il principio di
semplificazione dell’attività amministrativa, in violazione della competenza
legislativa statale in materia di «determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale», nel cui novero andrebbero sussunte anche le
norme che attuano il principio di semplificazione amministrativa.
6.1.–
Analogamente a quanto argomentato sulla questione precedente, va, innanzitutto,
dichiarata la non fondatezza per inconferenza del
parametro interposto della questione relativa all’art. 13, commi 2 e 3, per la
sola parte in cui essi riguardano impianti e strutture diverse dalle reti
elettriche; comma 4 (che riguarda impianti di produzione di energia elettrica,
impianti ed depositi di stoccaggio di oli minerali); comma 5, per la parte in
cui disciplina la autorizzazione unica per i gasdotti e per le reti di
trasporto di fluidi termici.
6.2.– Per la parte rimanente della disposizione, la questione non è fondata.
6.3.– È corretto invocare l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. posto che
«le norme di semplificazione amministrativa sono state ricondotte da questa
Corte alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali, in quanto "anche l’attività amministrativa, […] può assurgere
alla qualifica di "prestazione” (quindi, anche i procedimenti amministrativi in
genere), della quale lo Stato è competente a fissare un "livello essenziale” a
fronte di una specifica pretesa di individui, imprese, operatori economici ed,
in generale, di soggetti privati” (sentenze n. 207 e n. 203 del 2012)»
(sentenza n. 62
del 2013).
Tuttavia
non può ritenersi, per quanto già argomentato in riferimento alla questione
precedentemente trattata, che rientri nel concetto di semplificazione
amministrativa la previsione dell’avvio della conferenza di servizi in assenza
di un progetto definitivo.
7.– L’art. 13, commi 2, 3, 4 e 5, viene, infine, impugnato per violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., oltre che degli artt. 4 e 5
dello statuto speciale.
Le
disposizioni censurate sarebbero contrastanti con quanto previsto dal decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e
2004/18/CE), che, all’art. 206, nell’individuare le norme applicabili ai
settori speciali (gas, energia termica ed elettricità), non richiama le
disposizioni sui livelli di progettazione di cui agli artt. 93 e 94, ai quali,
invece, si ispirerebbe la disciplina regionale nell’individuare i requisiti e i
contenuti della progettazione.
7.1.– La questione non è fondata.
7.2.– Nella disposizione impugnata il riferimento a elaborati della
progettazione definitiva delle opere pubbliche non concreta un’applicazione
della disciplina di cui ai richiamati artt. 93 e 94 del citato decreto
legislativo, ma solo un espediente di tecnica redazionale per indicare in forma
sintetica una serie di documenti, rimandando ad un’altra fonte normativa che
già li descrive analiticamente. La norma regionale, del resto, non richiama
tutti gli elaborati tecnici che devono accompagnare il progetto per la
realizzazione di un’opera pubblica indicati nei predetti articoli.
8.− Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, poi, l’art. 13, comma 6,
della citata legge regionale n. 19 del 2012 per violazione degli artt. 3, 41 e
117, terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.
Tale
disposizione, nel prevedere che l’autorizzazione per gli impianti alimentati da
fonti rinnovabili sia rilasciata esclusivamente al richiedente che dimostri di
essere in possesso di idonei requisiti soggettivi, nonché di atti definitivi
attestanti la titolarità delle aree, contrasterebbe con la normativa statale di
principio di cui al d.lgs. n. 28 del 2011; al decreto legislativo 16 marzo
1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il
mercato interno dell’energia elettrica) e al decreto legislativo 29 dicembre
2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione
dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato
interno dell’elettricità).
In
particolare, la previsione della dimostrazione del possesso degli idonei
requisiti soggettivi contrasterebbe con l’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 79 del
1999, il quale sancirebbe la natura libera dell’attività in esame; mentre
quella avente ad oggetto il possesso di atti attestanti la titolarità delle
aree contrasterebbe con il d.lgs. n. 387 del 2003, dalla cui disciplina, ed in
particolare dall’art. 12, potrebbe desumersi che l’iniziativa può essere
intrapresa anche da soggetti non in possesso di «atti definitivi attestanti la
titolarità delle aree».
Il
ricorrente censura la norma anche in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., in quanto inciderebbe sul diritto costituzionale di
iniziativa economica e creerebbe ingiustificata disparità di trattamento tra
operatori del settore.
8.1.– Va
premesso che, da quanto esposto nel ricorso e dai parametri invocati, la
questione deve intendersi limitata alla parte in cui la disposizione impugnata
riguarda gli impianti alimentati da fonte rinnovabile (art. 12, comma 1,
lettera a, della legge regionale n. 19 del 2012) e non anche, quindi, gli
elettrodotti (art. 12, comma 1, lettera b), gli impianti di produzione di
energia elettrica che utilizzano fonti tradizionali (art. 12, comma 1, lettera
e), gli impianti e i depositi di stoccaggio di oli minerali (art. 12, comma 1,
lettera f).
8.2.– La questione, così delimitata, è fondata con riferimento alla denunciata
violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
8.3.– Relativamente al profilo della libertà dell’attività, la disposizione
regionale individua i «soggetti dotati di idonei requisiti», disegnando una
precisa, per quanto ampia, perimetrazione degli stessi e, pertanto, limitando
il novero di coloro che possono produrre energia rinnovabile; essa si pone così
in contrasto con la norma interposta che prevede che l’attività di produzione,
importazione, esportazione, acquisto e vendita di energia elettrica sia
«libera».
8.4.– Quanto alla dimostrazione del possesso di atti definitivi attestanti la
titolarità delle aree come presupposto per il rilascio dell’autorizzazione,
emerge un chiaro contrasto con l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003.
La norma
interposta, al comma 1, dispone che «[l]e opere per la realizzazione degli
impianti alimentati da fonti rinnovabili [...] sono di pubblica utilità ed
indifferibili ed urgenti», e, al comma 3, che «l’autorizzazione unica […]
costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico». Da ciò si evince
che l’iniziativa produttiva può essere intrapresa anche da soggetti che
acquisiscano la «titolarità» delle aree a seguito della successiva
espropriazione per pubblica utilità. Si aggiunga che la disposizione statale –
al comma 4-bis, limitatamente agli impianti alimentati a biomassa e agli
impianti fotovoltaici – richiede la (mera) disponibilità e mai la «titolarità
delle aree».
8.5.– Restano assorbiti i motivi di censura formulati in riferimento agli
ulteriori parametri.
9.– Viene impugnato, per violazione degli artt. 97 e 117, terzo comma, Cost.,
oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale, l’art. 14 della legge
regionale in esame, il quale disciplina il procedimento per il rilascio
dell’autorizzazione.
La norma regionale
eccederebbe la competenza legislativa regionale in materia di «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», in quanto contrasterebbe con
la normativa statale di principio di cui al d.l. n. 239 del 2003, sotto due
distinti profili.
Si deduce,
innanzitutto, che essa non prevede l’apposizione di «misure di salvaguardia»
volte ad impedire che, nelle more dell’autorizzazione della nuova
infrastruttura, vengano rilasciati permessi di costruire sui terreni
potenzialmente impegnati dal progetto, mentre l’art. 1-sexies del citato
decreto-legge, al comma 3, disporrebbe la sospensione, dalla data di
comunicazione dell’avviso dell’avvio del procedimento ai comuni interessati, di
ogni determinazione comunale in ordine alle domande di permesso di costruire
nelle aree potenzialmente impegnate, fino alla conclusione del procedimento
autorizzativo.
La norma,
inoltre, non prevede che l’autorizzazione unica sia titolo sufficiente a
realizzare ogni opera si renda necessaria, in conformità al progetto approvato
ed alle prescrizioni eventualmente contenute nel decreto autorizzatorio,
mentre il predetto articolo 1-sexies, al comma 1, sancirebbe il principio
contrario.
A parere
del ricorrente la norma censurata violerebbe anche il principio costituzionale
di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost.,
incidendo negativamente sulla economicità ed efficacia dell’azione
amministrativa.
9.1.– Va premesso che dal complessivo tenore del ricorso, oltre che dai
parametri invocati, risulta che la questione è limitata alla parte in cui la
disposizione impugnata riguarda gli elettrodotti (art. 12, comma 1, lettera b,
della legge regionale).
Diversamente
opinando, le questioni riferite alle autorizzazioni uniche di impianti o
strutture diverse dagli elettrodotti sarebbero comunque manifestamente
infondate per totale inconferenza del parametro.
L’art. 14, infatti, disciplina il procedimento relativamente a tutte le
autorizzazioni uniche, per ogni tipologia di impianto od opera, mentre la
disposizione invocata come principio fondamentale della materia – come si è già
osservato – concerne unicamente le reti elettriche (i commi l e 3 dell’art.
1-sexies del d.l. n. 239 del 2003 riguardano gli elettrodotti facenti parte
della rete di trasporto nazionale dell’energia elettrica, e il comma 5 vincola
la Regione espressamente per la disciplina dei «procedimenti di autorizzazione
alla costruzione e all’esercizio di reti elettriche»).
Le
questioni, sotto tale profilo, devono, quindi, intendersi limitate alla sola
autorizzazione di cui all’art. 12, comma l, lettera b), della legge regionale
n. 19 del 2012.
9.2.– Con riferimento alla lamentata violazione dell’art. 117, terzo comma,
Cost., la questione promossa in ordine alla mancata previsione delle misure di
salvaguardia è fondata.
9.3.– Va disattesa, infatti, la tesi della Regione, secondo cui le norme in
esame andrebbero ricondotte alla materia urbanistica, e ciò in considerazione
di un presunto elemento funzionale. Infatti, proprio in riferimento a tale
elemento, esse vanno ascritte alla materia «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia», attesa la natura degli interessi
pubblici sottesi allo svolgimento delle attività (sentenza n. 383 del
2005).
In questa
prospettiva, la norma statale interposta (art. 1-sexies, comma 3, del d.l. n. 239 del 2003) costituisce un principio
fondamentale della legislazione statale, come dispone il comma 5 dello stesso
articolo, secondo cui «Le regioni disciplinano i procedimenti di autorizzazione
alla costruzione e all’esercizio di reti elettriche di competenza regionale in
conformità ai principi e ai termini temporali di cui al presente articolo».
Esso è infatti espressione della volontà di incentivazione della produzione e
distribuzione di energia elettrica e, pertanto, la mancata previsione delle
misure di salvaguardia si pone in contrasto con un principio fondamentale
fissato dal legislatore statale.
9.4.– Anche la questione relativa alla portata dell’autorizzazione unica è
fondata relativamente alla denunciata lesione dell’art. 117, terzo comma, Cost.
9.5.– Il
più volte citato art. 1-sexies, al comma 1, sancisce che l’autorizzazione unica
«sostituisce autorizzazioni, concessioni, nulla osta e atti di assenso comunque
denominati previsti dalle norme vigenti e comprende ogni opera o intervento
necessari alla risoluzione delle interferenze con altre infrastrutture
esistenti, costituendo titolo a costruire ed esercitare tali infrastrutture, opere
o interventi, in conformità al progetto approvato» e, anche tale disposizione,
va considerata, ai sensi del comma 5 del medesimo articolo, quale principio
fondamentale in materia di «produzione, trasporto e distribuzione di energia»
per le considerazioni prima svolte.
La norma
regionale, non specificando con chiarezza tale portata, deve ritenersi
contrastante con il principio in questione.
9.6.– Restano assorbite le altre censure di legittimità costituzionale
prospettate dal Presidente del Consiglio dei ministri.
10.– Oggetto di impugnazione è anche l’art. 14, comma 2, della legge regionale
in esame.
La
disposizione, oltre a porsi in contrasto con gli artt. 4 e 5 dello statuto
speciale, eccederebbe la competenza legislativa regionale in materia di «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» di cui all’art. 117, terzo
comma, Cost., in quanto contrasterebbe con la
normativa statale di principio di cui all’art. 12, commi 3 e 4, del d.lgs. n.
387 del 2003, oltre che con le linee guida. L’art. 12 da ultimo citato, in
particolare, al comma 4, prevede che l’autorizzazione unica sia «rilasciata a
seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le Amministrazioni
interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le
modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241».
La
disciplina regionale, secondo il ricorrente, aggraverebbe e irrigidirebbe il
procedimento, imponendo al proponente, qualora l’impianto non ricada in zona
sottoposta a tutela, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
(Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della
legge 6 luglio 2002, n. 137), di effettuare, contestualmente all’istanza per il
rilascio dell’autorizzazione unica, una comunicazione alle competenti
soprintendenze.
Sussisterebbe,
anche, la violazione della competenza legislativa statale ex art. 117, secondo
comma, lettera m), Cost. («determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale»), sotto il profilo del contrasto con il
principio di semplificazione amministrativa nonché con il principio di buon
andamento di cui all’art. 97 Cost.
10.1.– Va dichiarata l’inammissibilità della questione relativa al parametro da
ultimo citato.
Si deve
ribadire la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la
questione di legittimità costituzionale è inammissibile allorché sia omesso
qualsiasi accenno alla stessa nella delibera di impugnazione dell’organo
politico, dovendo, in questo caso, «escludersi la volontà del ricorrente di
promuoverla» (ex pluribus: sentenze n. 20 del 2013;
n. 227 del 2011,
n. 365 e n. 275 del 2007).
Nel caso di
specie, l’esame della delibera governativa di impugnazione dell’11 dicembre
2012 consente di rilevare che la stessa non contiene alcun riferimento al
parametro costituzionale dettato dall’art. 97 Cost.,
sul quale peraltro, nel ricorso, manca qualsivoglia sviluppo motivazionale,
come rilevato dalla Regione.
10.2.– Con riferimento ai restanti parametri, la questione non è fondata.
10.3.– La norma regionale, infatti, si limita a riprendere il contenuto delle
linee guida, le quali, al punto 13.3., dispongono l’obbligo di comunicazione
alle soprintendenze, disciplinandolo in maniera sostanzialmente sovrapponibile
alla norma in esame.
11.– Il
Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 14, comma 7, della legge
reg. n. 19 del 2012, per violazione degli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera
m), e terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale,
nella parte in cui prevede che le autorizzazioni per la realizzazione degli
elettrodotti, sia di quelli ricompresi nella rete di trasmissione nazionale,
sia di quelli che rientrano nella spettanza della Regione, siano rilasciate
«[...] previa espressione del parere favorevole di ARPA» quanto alle emissioni
elettromagnetiche.
La
disciplina regionale contrasterebbe con la normativa statale di principio
dettata in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia» di cui all’art. 1-sexies, comma 5, del d.lgs. n. 329 del 2003 (recte: d.l. 29 agosto 2003, n.
239), e con il principio di semplificazione in esso contenuto, violando, in tal
modo, anche la competenza legislativa statale ex art. 117, secondo comma,
lettera m), Cost.
11.1.– Va premesso che anche la censura in esame è limitata, secondo quanto
esposto dallo stesso ricorrente, agli elettrodotti, cui si riferisce la norma
interposta, secondo quanto già argomentato supra.
11.2.– Relativamente alla denunciata violazione dell’art. 117, terzo comma,
Cost., la questione è fondata.
11.3.– La materia cui è ascrivibile la norma in esame è la «produzione, trasporto
e distribuzione nazionale dell’energia elettrica», nel cui ambito il già citato
comma 5 dell’art. 1-sexies del d.l. n. 239 del 2003 dispone che le Regioni
disciplinino i relativi procedimenti di autorizzazione alla costruzione e
all’esercizio di reti elettriche in conformità ai termini e ai principi da esso
enunciati, in particolare a quello della unicità del procedimento. In contrasto
con esso la norma impugnata prevede che sia acquisito il parere di ARPA al di
fuori della conferenza di servizi.
Al
contrario di quanto sostenuto dalla Regione, infatti, dal complesso della
normativa regionale non può desumersi che il parere sia acquisito nell’ambito
della conferenza di servizi. Ciò si evince dalla disposizione censurata, la
quale prevede che le autorizzazioni siano rilasciate «previa» espressione del
parere di ARPA, e si desume anche dalla mancata previsione di tale parere
nell’Allegato A, cui rinvia l’art. 13, comma 1, della legge reg. n. 19 del
2012, richiamato dall’art. 14, comma 1, della stessa legge regionale per
individuare quali siano le amministrazioni che partecipano alla conferenza di
servizi.
11.4.– Restano assorbiti i motivi di censura formulati in riferimento agli
ulteriori parametri.
12.– Gli artt. 14, comma 9, e 18, comma 2, della legge regionale in esame
vengono impugnati, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), e
terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.
Il
ricorrente rileva che le disposizioni censurate prevedono che l’autorizzazione
unica rilasciata dalla Regione per infrastrutture energetiche lineari non abbia
di per sé effetto di variante urbanistica, essendo necessario a tal fine anche
l’assenso del Comune, espresso in sede di conferenza di servizi sulla base del
previo parere favorevole del Consiglio comunale. Tale disciplina si porrebbe in
contrasto con l’art. 1-sexies, comma 2, lettera b), del d.l. n. 239 del 2003,
secondo cui «[…] [q]ualora le opere di cui al comma
1, comportino variazione degli strumenti urbanistici, il rilascio
dell’autorizzazione ha effetto di variante urbanistica», e con le linee guida,
le quali, al punto 13.4., con riferimento agli impianti alimentati da fonti
rinnovabili, prevedono, che «Le Regioni o le Province delegate non possono
subordinare la ricevibilità, la procedibilità dell’istanza o la conclusione del
procedimento alla presentazione di previe convenzioni ovvero atti di assenso o
gradimento, da parte dei comuni il cui territorio è interessato dal progetto».
12.1.– Va premesso, anche in ordine alla censura in esame, che essa deve essere
limitata, secondo quanto esposto dallo stesso ricorrente, alle infrastrutture
energetiche lineari, cui, ad ogni buon conto, si riferisce la norma interposta
(art. 1-sexies del d.l. n. 239 del 2003), secondo quanto già argomentato supra.
12.2.– Relativamente alla lamentata lesione dell’art. 117, terzo comma, Cost., la
questione è fondata.
12.3.– È evidente, infatti, la difformità di tale disciplina rispetto a quella
statale (art. 1-sexies, comma 2, lettera b, del d.l. n. 239 del 2003, invocato
dal ricorrente quale parametro interposto), poiché essa introduce un passaggio
ulteriore e superfluo nell’iter procedimentale dell’autorizzazione.
Né rileva,
come invece pretende la Regione, la previsione di un meccanismo normativo per
superare l’eventuale dissenso del Consiglio comunale, ricostruito sulla base
dell’art. 12, comma 2, della legge regionale in esame. Ciò infatti non elide
l’aggravio del procedimento prodotto dalle disposizioni censurate, consistente
nella necessaria acquisizione dell’assenso del Comune.
12.4.− Restano assorbiti i restanti profili di illegittimità
costituzionale dedotti da parte ricorrente.
13.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 16, comma 2,
lettera a), della legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, per
violazione degli artt. 3, 41 e 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma,
Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.
La
disposizione assoggetta al regime della comunicazione di inizio lavori
l’installazione degli impianti di produzione di energia elettrica o termica da
fonti rinnovabili su edifici o aree di pertinenza degli stessi.
Secondo il
ricorrente tale disciplina contrasterebbe con la normativa statale di principio
di cui al d.lgs. n. 387 del 2003 e al d.lgs. n. 28 del 2011. In particolare,
l’art. 6, comma 11, del decreto legislativo da ultimo citato rimette alle linee
guida la determinazione degli interventi da assoggettare a comunicazione,
precisando che «[l]e Regioni e le Province autonome possono estendere il regime
della comunicazione [...] ai progetti di impianti alimentati da fonti
rinnovabili con potenza nominale fino a 50 kW, nonché agli impianti
fotovoltaici di qualsivoglia potenza da realizzare sugli edifici, fatta salva
la disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale e di tutela delle
risorse idriche». La disposizione regionale, quindi, estenderebbe il predetto
regime abilitativo oltre i limiti fissati dal legislatore statale: il limite di
potenza («non superiore a 50 kW») per gli impianti alimentati da fonti
rinnovabili e la limitazione legata alla ubicazione («sugli edifici») per gli
impianti solari fotovoltaici.
Il
ricorrente lamenta altresì la violazione degli artt. 3 e 41 Cost.,
in considerazione della ingiustificata discriminazione tra le iniziative
economiche nelle diverse regioni, e dell’art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost., in quanto «la disciplina statale inerente il regime abilitativo
garantisce la sussistenza di un equilibrio tra la competenza esclusiva statale
in materia di ambiente e paesaggio e quella concorrente in materia di energia».
13.1.– In ordine alla denunciata violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., la
questione è fondata.
13.2.– Al di là delle argomentazioni difensive in ordine alla ratio della
normativa, resta indiscusso (e la stessa Regione, significativamente, non lo
contesta, limitandosi a motivarlo) il contrasto con la normativa statale, più
volte qualificata di principio, dettata in materia di «produzione, trasporto e
distribuzione nazionale di energia».
La disposizione
regionale censurata, infatti, estende lo speciale regime abilitativo oltre i
limiti fissati dalla legge statale in ordine all’ubicazione e alla potenza
degli impianti.
13.3.− Restano assorbite le altre censure di legittimità
costituzionale prospettate dal Presidente del Consiglio dei ministri.
14.− Il ricorrente impugna l’art. 17 della legge regionale in esame per
violazione degli artt. 97 e 117, terzo comma, Cost., e degli artt. 4 e 5 dello
statuto speciale.
La norma
dispone che l’Assessore regionale competente in materia di energia possa
proporre alla Giunta regionale l’approvazione di uno schema di accordo con i
proponenti volto ad attribuire vantaggi economici o occupazionali per il
territorio regionale, misure compensative ovvero opere di razionalizzazione di
linee elettriche esistenti. In tal caso l’espressione dell’intesa tra Stato e
Regione nell’ambito delle funzioni riservate allo Stato ed esercitate, appunto,
d’intesa con la Regione ai sensi dell’art. 2 del decreto legislativo 23 aprile
2002, n. 110 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione
Friuli-Venezia Giulia concernenti il trasferimento di funzioni in materia di
energia, miniere, risorse geotermiche e incentivi alle imprese) è subordinata
alla stipula dell’accordo.
La
disposizione è censurata, con riferimento al parametro dettato dall’art. 117,
terzo comma, Cost. sotto diversi aspetti: a) la
previsione che la stipula dell’accordo condizioni l’espressione dell’intesa di
cui all’art. 11 della legge regionale impugnata; b) l’ampiezza di contenuto
degli accordi, maggiore di quella perimetrata dalla normativa statale di
riferimento; c) il contrasto con la norma statale che prevede che gli accordi
siano stipulati nei modi stabiliti da un decreto ministeriale.
Sotto il
primo aspetto, tale disciplina si porrebbe in contrasto con il principio
fondamentale dettato dal legislatore statale all’art. 1, comma 5, della legge
23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al
Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), il
quale, pur consentendo alle regioni e agli enti locali di stipulare accordi con
i soggetti proponenti che individuino misure di compensazione e di riequilibrio
ambientale, non prevedrebbe che la stipula di detti accordi possa condizionare −
subordinandola − l’espressione dell’intesa ed il correlato rilascio dei
pareri propedeutici all’ottenimento dell’autorizzazione alla costruzione ed
esercizio della infrastruttura energetica.
Con
riferimento allo stesso aspetto, inoltre, il ricorrente lamenta che la norma
impugnata, stabilendo già la «posizione» che la Regione deve assumere ai fini
dell’intesa disciplinata all’art. 11, comporterebbe, per le ipotesi di mancato
raggiungimento della stessa, la sostanziale obbligatorietà del ricorso alla
procedura alternativa prevista dal comma 3 dell’art. 2 del d.lgs. n. 110 del
2002. Il conseguente aggravamento del procedimento volto al rilascio
dell’autorizzazione unica rappresenterebbe una violazione del principio
costituzionale di buon andamento previsto dall’art. 97 Cost.
Viene, poi,
evidenziato, in ordine al secondo aspetto, che la facoltà di individuare misure
di compensazione e di riequilibrio ambientale sarebbe circoscritta dalla
legislazione nazionale esclusivamente a quegli interventi compensativi che
presentino carattere ambientale e che, al contempo, siano coerenti con gli
obiettivi generali di politica energetica, mentre la norma regionale impugnata
consentirebbe la stipula di accordi esorbitanti tali connotazioni e finalità.
In particolare il comma 2 dell’impugnato art. 17 prevede, alla lettera a),
«quantificate e positive ricadute sul territorio in termini di vantaggi
economici, occupazionali e di sviluppo per le utenze produttive o civili del
territorio regionale» e, alla lettera c), «opere di razionalizzazione di linee
elettriche esistenti che prevedano, ove possibile, interventi di demolizione e
interramento di linee aeree esistenti».
Infine, con
riferimento al terzo aspetto, viene segnalato che la norma censurata, attribuendo
all’assessore regionale competente in materia di energia il potere di
concludere i suddetti accordi, contrasterebbe con l’art. 34, comma 11 (recte: comma 16), del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179
(Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con
modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, a norma del quale «[g]li
accordi di cui all’art. 1, comma 5, della legge 23 agosto 2004, n. 239, sono
stipulati nei modi stabiliti con decreto del Ministero dello sviluppo economico,
di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, sentita la
Conferenza unificata, da adottarsi entro sei mesi».
14.1.– Va premesso che, anche in questo caso, alla luce di quanto argomentato
dallo stesso ricorrente e considerato l’ambito applicativo della norma
interposta, la questione in esame va limitata alle infrastrutture energetiche.
14.2.– La questione legata al primo profilo (la subordinazione della stipula
dell’intesa al raggiungimento dell’accordo) è fondata.
14.2.1.– Se
pure è vero − come evidenziato dalla Regione – che la stipula
dell’accordo è configurata dalla legge regionale come una mera possibilità
(posto che vi è la facoltà di proporre uno schema di accordo), e che, quando si
sposa tale opzione, è possibile che l’accordo si raggiunga e che,
conseguentemente, non vi sia alcun riflesso negativo sull’intesa, cionondimeno
vi è la possibilità che, intrapresa la via dell’accordo, lo stesso non venga
raggiunto, con la conseguente preclusione di addivenire all’intesa.
Ebbene, ciò
comporta la violazione della norma di principio su enunciata, poiché genera un
ingiustificato aggravamento del procedimento.
14.2.2.– Sussiste, inoltre, la violazione dell’art. 97 Cost. a
nulla rilevando, nel caso di specie, la potestà di autorganizzazione
dell’esecutivo regionale, riconosciuta dallo statuto speciale (artt. 4, numero
1, e 12, comma 2), invocata dalla Regione.
14.3.– La questione in ordine al secondo profilo (l’ampiezza di contenuto degli
accordi), invece, non è fondata.
14.3.1.– Il contrasto ravvisato dal ricorrente con il principio fondamentale di cui
all’art. l, comma 5, della legge n. 239 del 2004 − per cui gli accordi
sono funzionali alla tutela del solo interesse ambientale, con la conseguente
esclusione della possibilità per le regioni di prendere in considerazione altri
interessi, come quelli indicati dal comma 2 dell’impugnato art. 17 − non
sussiste.
La norma
statale non esprime un principio che esclude la possibilità di stipulare
accordi che si riferiscano ad altri ambiti, ove non espressamente vietati (come
accade, ad esempio, nell’ipotesi dell’art. 12, comma 6, del d.lgs. n. 387 del
2003, che la legge regionale fa salvo) e ove gli interessi che vengono in
rilievo siano ragionevolmente correlati all’opera da realizzare.
In
conclusione, l’esercizio della facoltà in questione non deve trovare una norma
statale di legittimazione ad hoc, dovendo solo osservare eventuali limitazioni
e divieti posti espressamente dal legislatore statale.
14.4.– Neanche è fondata la questione relativa al terzo profilo, legato al
contrasto dell’art. 17 della legge regionale con l’art. 34, comma 16, del d.l.
n. 179 del 2012.
14.4.1.− Difatti, in mancanza del decreto ministeriale, previsto
da tale articolo, che disciplini le modalità di stipula degli accordi, il
contrasto è solo ipotetico, ben potendo la normativa statale prevedere modalità
del tutto compatibili con quelle della disposizione regionale.
15.− L’art. 18, comma 4, della legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 19 del
2012 viene impugnato dal Presidente del Consiglio dei ministri per violazione
dell’art. 117, terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto
speciale.
La norma
censurata, che disciplina l’autorizzazione unica per le reti degli scambi transfontalieri, prevede che sia riservata una quota
significativa dell’energia disponibile importata al fabbisogno energetico
regionale.
Essa, a
parere del ricorrente, violerebbe l’art. 1, comma 4, lettere a), b) e c), della
legge n. 239 del 2004, in quanto recherebbe un vulnus al sistema unitario
nazionale di gestione dell’approvvigionamento energetico con conseguente
alterazione delle regole di concorrenza del mercato dell’energia.
15.1.– La questione è fondata.
15.2.– La disposizione impugnata si pone in evidente contrasto con la citata
norma interposta, da ritenersi norma di principio della materia di «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale di energia».
Quest’ultima,
infatti, prevede che lo Stato e le regioni, «al fine di assicurare su tutto il
territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni concernenti
l’energia nelle sue varie forme e in condizioni di omogeneità, sia con riguardo
alle modalità di fruizione sia con riguardo ai criteri di formazione delle
tariffe e al conseguente impatto sulla formazione dei prezzi, garantiscano: a)
il rispetto delle condizioni di concorrenza sui mercati dell’energia, in
conformità alla normativa comunitaria e nazionale; b) l’assenza di vincoli,
ostacoli o oneri, diretti o indiretti, alla libera circolazione dell’energia
all’interno del territorio nazionale e dell’Unione europea; c) l’assenza di
oneri di qualsiasi specie che abbiano effetti economici diretti o indiretti
ricadenti al di fuori dell’ambito territoriale delle autorità che li prevedono
[…]».
La disposizione
impugnata, subordinando il rilascio dell’autorizzazione unica alla sottrazione
di una quota, peraltro non marginale, del totale dell’energia elettrica
importata per destinarla al fabbisogno energetico regionale, comporta una
chiara violazione delle condizioni puntualmente indicate dal legislatore
nazionale. Essa, in particolare, incide negativamente sulla libera circolazione
dell’energia e impone un significativo onere idoneo a produrre rilevanti
effetti economici, certamente non limitati all’àmbito regionale.
16.– Il ricorrente impugna, infine, gli artt. 35, comma 7, e 34, comma 1,
lettere f) ed h), della legge regionale indicata in epigrafe per violazione
degli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera e), Cost., oltre che degli artt. 4
e 5 dello statuto speciale.
L’art. 35,
comma 7, prevede che «possono essere autorizzati sul territorio regionale
esclusivamente nuovi impianti di tipologia stazione di servizio come definiti
all’articolo 34, comma 1, lettera f)», sicché essi devono comprendere, secondo
tale ultimo articolo, «apparecchiature di tipo self-service prepagamento
funzionanti automaticamente 24 ore su 24 − apparecchiature di ricarica
per alimentazione auto elettriche − locale per l’attività del gestore con
relativo servizio igienico – [...] servizi igienici separati per sesso di
utenti, di cui almeno uno con servizio igienico per diversamente abili −
pensiline di copertura delle aree di rifornimento − pannelli fotovoltaici
sulle coperture, di potenza installata nell’area almeno pari a 10 chilowatt −
uno o più parcheggi per gli utenti − accessi dei veicoli alla stazione
separati e distinti per entrate e uscita − eventuali servizi accessori
[…]».
Sempre il
citato comma 7, nel testo antecedente la modifica introdotta dall’art. 191
della legge regionale Friuli Venezia-Giulia 21 dicembre 2012, n. 26 (Legge di
manutenzione dell’ordinamento regionale 2012), prevedeva, all’ultimo periodo,
che «Nuovi impianti di tipologia stazione di rifornimento elettrico, come
definiti dall’art. 34, comma 1, lettera h), possono essere realizzati
esclusivamente negli ambiti territoriali dei Comuni tra loro limitrofi con
popolazione superiore ai 40.000 abitanti», riferendosi, con tale locuzione, a
quanto indicato nell’articolo ivi indicato ovvero all’«impianto costituito da
apparecchiature di ricarica per l’alimentazione di auto elettriche di tipo self
service prepagamento funzionanti autonomamente 24 ore su 24, locale per
l’attività del gestore con relativo servizio igienico, servizio gestito di car sharing».
A parere
del ricorrente, tali disposizioni, prevedendo onerosi requisiti per l’apertura
di nuovi impianti, introdurrebbero significative e sproporzionate barriere
all’ingresso nei mercati, non giustificate dal perseguimento di specifici
interessi pubblici, e delineerebbero una regolazione asimmetrica, che
aggraverebbe gli adempimenti per i nuovi entranti, condizionandone o
ritardandone l’ingresso e, conseguentemente, ingenerando ingiustificate
discriminazioni a danno della concorrenza.
Nel ricorso
viene inoltre evidenziato che le diposizioni impugnate contrasterebbero con il
principio contenuto nell’art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 24
gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle
infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, che considera contraria al principio
di libertà di iniziativa economica sancito dall’art. 41 Cost. e al principio di concorrenza stabiliti dal Trattato
dell’Unione europea le norme «che pongono divieti o restrizioni alle attività
economiche non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche perseguite
[…], che in particolare impediscono, condizionano o ritardano l’avvio di nuove
attività economiche o l’ingresso di nuovi operatori economici, ponendo un
trattamento differenziato rispetto agli operatori già presenti sul mercato
[…]». Il ricorrente segnala anche che il comma 4 del medesimo articolo 1
obbliga le Regioni ad adeguarsi a tale principio entro il 31 dicembre 2012.
16.1.– In
via preliminare, va dichiarata la cessazione della materia del contendere con
riferimento alla questione avente ad oggetto la disposizione relativa agli
impianti del tipo «stazione di rifornimento elettrico», in quanto,
successivamente alla proposizione del ricorso, essa è stata abrogata dal già
ricordato art. 191 della legge reg. n. 26 del 2012 e la Regione attesta che la
disposizione, nel breve lasso di tempo nel quale è stata in vigore, non ha
avuto applicazione, secondo quanto richiesto dalla giurisprudenza di questa
Corte (sentenze n.
19 e n. 18
del 2013; n.
300, n. 245,
n. 226 e n. 193 del 2012;
n. 325 del 2011).
16.2.– Quanto alla parte della disposizione concernente la tipologia «stazione di
servizio», la questione è fondata con riferimento alla denunciata violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
16.3.– L’art. 35, comma 7, pone divieti e restrizioni che condizionano e
ritardano l’avvio di nuove attività economiche e l’ingresso di nuovi operatori,
senza che tali ostacoli siano proporzionati alle finalità pubbliche perseguite.
Sussiste,
in particolare, un trattamento differenziato rispetto agli operatori già
presenti sul mercato, operanti in contesti e condizioni analoghi.
Per questi
ultimi, infatti, la legge regionale dispone che gli impianti debbano essere
adeguati, ma in modo graduale anche in ordine ai diversi obblighi imposti (art.
37, comma 6). Inoltre, decorso inutilmente un anno dalla data di entrata in
vigore della legge, è concesso un ulteriore lasso di tempo per presentare un
programma di adeguamento (non meglio delimitato nel suo tempo esecuzione) (art.
42, comma 4) e, solo in ipotesi di mancata presentazione del programma, di
inammissibilità dello stesso a seguito di verifica del Comune o di sua mancata
esecuzione secondo le modalità e le scadenze in esso previste, si verifica,
infine, la decadenza dell’autorizzazione (artt. 42 e 43). A ciò va aggiunto che
l’adeguamento non ricopre tutti gli obblighi previsti per i nuovi entranti e
non riguarda, in particolare, l’installazione dei pannelli fotovoltaici, oltre
che delle apparecchiature di tipo self-service prepagamento funzionanti
automaticamente 24 ore su 24.
16.4.– Restano assorbiti i motivi di censura formulati in riferimento agli
ulteriori parametri.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 5, comma 9, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
11 ottobre 2012, n. 19 (Norme in materia di energia e distribuzione dei
carburanti), limitatamente alle parole «Nel caso in cui contenga
l’individuazione delle aree e dei siti non idonei di cui al comma 8»;
2) dichiara, altresì, in via
consequenziale, l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 8, della
medesima legge regionale n. 19 del 2012, limitatamente alle parole «escluse le
procedure relative alla VAS»;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 12, comma 8, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
n. 19 del 2012, nella parte in cui non prevede che si tratti di interventi da
realizzarsi relativamente a impianti e infrastrutture «esistenti»;
4) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 13, comma 6, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
n. 19 del 2012, limitatamente alla disciplina degli impianti di produzione di
energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili;
5) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 14 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 19 del
2012, nella parte in cui, limitatamente agli elettrodotti, non dispone che
«dalla data di comunicazione dell’avviso dell’avvio del procedimento ai comuni
interessati, è sospesa ogni determinazione comunale in ordine alle domande di
permesso di costruire nelle aree potenzialmente impegnate, fino alla
conclusione del procedimento autorizzativo» e nella parte in cui, limitatamente
agli elettrodotti, non dispone che l’autorizzazione unica «sostituisce
autorizzazioni, concessioni, nulla osta e atti di assenso comunque denominati
previsti dalle norme vigenti e comprende ogni opera o intervento necessari alla
risoluzione delle interferenze con altre strutture, costituendo titolo a
costruire e ad esercire tali infrastrutture, opere o interventi, in conformità
con il progetto approvato»;
6) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 14, comma 7, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
n. 19 del 2012, limitatamente alla disciplina degli elettrodotti, nella parte
in cui non prevede che il parere di ARPA sia acquisito in conferenza di
servizi;
7) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 14, comma 9, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
n. 19 del 2012, limitatamente alla disciplina delle infrastrutture energetiche
lineari, nella parte in cui prevede che il rilascio dell’autorizzazione
sortisca l’effetto di variante urbanistica solo subordinatamente alla
circostanza che, in sede di conferenza di servizi, il rappresentante del Comune
esprima il suo assenso, sulla base del previo parere favorevole espresso dal
Consiglio comunale;
8) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 16, comma 2, lettera a), della legge della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, nella parte in cui non prevede che la
possibilità di realizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica
o termica da fonti rinnovabili su edifici o aree di pertinenza degli stessi
all’interno delle zone destinate ad attività produttive o commerciali previste
dagli strumenti urbanistici comunali, ai sensi dell’art. 16, comma 1, lettera
m-bis), della legge regionale 11 novembre 2009, n. 19 (Codice regionale
dell’edilizia), previa comunicazione dell’inizio dei lavori, sia limitata ai
progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili «con potenza nominale fino
a 50 kW» e agli impianti fotovoltaici «di qualunque potenza da realizzare sugli
edifici»;
9) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 17 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012,
con riferimento alle sole infrastrutture energetiche, limitatamente alle parole
«In tal caso l’espressione dell’intesa di cui all’articolo 11 è subordinata
alla stipula dell’accordo»;
10) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 18, comma 2, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
n. 19 del 2012, limitatamente alle parole «anche qualora sia stata approvata la
variante urbanistica ai sensi di quanto disposto all’articolo 14, comma 9»;
11) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 18, comma 4, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
n. 19 del 2012;
12) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 35, comma 7, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
n. 19 del 2012, nella parte in cui prevede che, a seguito dell’entrata in
vigore della legge regionale, possano essere autorizzati sul territorio
regionale esclusivamente nuovi impianti di tipologia stazione di servizio
aventi le caratteristiche indicate nell’art. 34 della medesima legge regionale;
13) dichiara la cessazione della materia del
contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale degli artt.
35, comma 7, e 34, comma 1, della legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 19
del 2012, promossa, in riferimento agli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera
e), della Costituzione e agli artt. 4 e 5 della legge costituzionale n. 1 del
1963 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), dal Presidente del
Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
14) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 2, 3, 4 e 5, della legge della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, promossa dal Presidente
del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere
l) ed m), e terzo comma, della Costituzione e agli artt. 4 e 5 della legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia), con il ricorso indicato in epigrafe;
15) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, della legge della Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, promossa dal Presidente del
Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera m),
e terzo comma, della Costituzione e agli artt. 4 e 5 della legge costituzionale
n. 1 del 1963 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), con il
ricorso indicato in epigrafe;
16) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 17 della legge della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, promossa dal Presidente del Consiglio dei
ministri, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione e agli
artt. 4 e 5 della legge costituzionale n. 1 del 1963 (Statuto speciale della
Regione Friuli-Venezia Giulia), con il ricorso indicato in epigrafe, nella parte
in cui consente alla Regione di individuare misure di compensazione e di
riequilibrio ambientale anche diverse dagli interventi compensativi che
presentino carattere ambientale e che, al contempo, siano coerenti con gli
obiettivi generali di politica energetica;
17) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 17 della legge della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, promossa dal Presidente del Consiglio dei
ministri, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione e agli
artt. 4 e 5 della legge costituzionale n. 1 del 1963 (Statuto speciale della
Regione Friuli-Venezia Giulia), con il ricorso indicato in epigrafe, nella
parte in cui attribuisce all’assessore regionale competente in materia di energia
il potere di concludere gli accordi, anziché rinviare ai «modi stabiliti con
decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero
dell’economia e delle finanze, sentita la conferenza unificata, da adottare
entro sei mesi» individuati dall’art. 34, comma 16, del decreto-legge 18
ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese),
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 17 dicembre
2012, n. 221;
18) dichiara la inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, della legge
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, promossa dal
Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 97 della
Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso
in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2
dicembre 2013.
F.to:
Gaetano
SILVESTRI, Presidente
Giancarlo
CORAGGIO, Redattore
Gabriella
MELATTI, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria l'11 dicembre 2013.