SENTENZA N.
50
ANNO 2017
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario
MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio
BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale
degli artt. 2, commi 1 e 3; 3, comma 2; 12, comma 1; 14, comma 1; 15, comma 1;
17, comma 1; 18, comma 1; 27, comma 1; 31, comma 1; 34, comma 1; 50, comma 1;
51, comma 1; 61, comma 6; 68, comma 7, e 80, comma 1, lettera b), della legge
della Regione Liguria 2 aprile 2015, n. 11, recante «Modifiche alla legge
regionale 4 settembre 1997, n. 36 (Legge urbanistica regionale)», promosso
dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso
notificato l’8-10 giugno 2015, depositato in cancelleria il 15 giugno 2015 ed
iscritto al n. 64 del registro ricorsi 2015.
Visto
l’atto di costituzione della
Regione Liguria;
udito nell’udienza pubblica del 7 febbraio 2017 il Giudice relatore Daria de Pretis;
uditi l’avvocato dello Stato Marco Corsini
per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Barbara Baroli per la
Regione Liguria.
Ritenuto in fatto
1.‒ Con ricorso notificato l’8-10
giugno 2015, depositato il 15 giugno 2015 ed iscritto al n. 64 del registro
ricorsi 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato diversi articoli della legge
della Regione Liguria 2 aprile 2015, n. 11, recante «Modifiche alla legge
regionale 4 settembre 1997, n. 36 (Legge urbanistica regionale)», per
violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere l) e s), e terzo comma, della
Costituzione.
1.1.‒ In primo luogo, il Governo censura gli artt. 2,
comma l, 14, comma l, 15, comma l, e 17, comma l, della legge della Regione
Liguria n. 11 del 2015.
L’art. 2, comma l, della legge impugnata
integra il primo periodo del comma 1 dell’art. 2 della legge reg. Liguria n. 36
del 1997, specificando che la pianificazione territoriale si svolge «nel
rispetto delle competenze in materia di governo del territorio previste
nell’ordinamento statale e regionale».
L’art. 14, comma 1, della legge
impugnata sostituisce integralmente l’art. 13 della legge reg. Liguria n. 36
del 1997, il cui comma 3 ora recita: «Il PTR assume il valore di piano
urbanistico-territoriale, con specifica considerazione dei valori
paesaggistici, anche in vista della successiva attribuzione ad esso del valore
di Piano paesaggistico ai sensi degli articoli 135 e 143 del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio)
e successive modificazioni e integrazioni, da conseguirsi mediante procedura di
variante di cui all’articolo 16 o di accordo di pianificazione di cui
all’articolo 57».
L’articolo 15 della legge impugnata ha
sostituito l’art. 14 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, che disciplina il
procedimento per l’approvazione del Piano territoriale regionale (PTR) Vi si
prevede che il piano è trasmesso al Ministero dei beni e delle attività
culturali e del turismo (di seguito MiBACT) ai soli
fini dell’espressione di un parere.
In termini analoghi l’art. 17 della
legge impugnata, che ha sostituito l’art. 16 della legge reg. Liguria n. 36 del
1997, disciplina il procedimento di variante al PTR.
Le norme citate (artt. 2, comma l, 14,
comma l, 15, comma l, e 17, comma l) si porrebbero in contrasto con gli artt.
135 e 143 del decreto-legislativo
22 gennaio 2004, n. 42, recante il «Codice dei beni culturali e del paesaggio,
ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137» (di seguito:
codice dei beni culturali e del paesaggio), secondo cui la pianificazione
paesaggistica avviene con un atto elaborato congiuntamente dalla singola
regione e dal Ministero, con modalità disciplinate da apposite intese che
riguardano anche le successive modifiche, revisioni ed integrazioni, prima
della sua approvazione da parte della regione interessata. Ne conseguirebbe la
loro illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost., che riserva alla potestà esclusiva dello Stato la materia
della «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali».
1.2.‒ L’art. 2, comma 3, della legge reg. Liguria n. 11
del 2015 ‒ che sostituisce il comma 5 dell’art. 2 della legge reg.
Liguria n. 36 del 1997 ‒ violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost., nella parte in cui subordina il PTR (ivi compresa la parte dello
strumento pianificatorio avente valore paesaggistico)
ai piani di bacino e ai piani per le aree protette. Ciò in quanto, si sensi
dell’art. 145, comma 3, del codice dei beni culturali e del paesaggio, le
disposizioni dei piani paesaggistici sono prevalenti sulle disposizioni
contenute negli altri atti di pianificazione territoriale previsti dalle
normative di settore.
1.3.‒ L’art. 3, comma 2, della legge reg. Liguria n. 11
del 2015 ‒ il quale sostituisce il comma 3 dell’art. 3 della legge reg.
Liguria n. 36 del 1997 ‒ prevede che il PTR sia elaborato secondo le
modalità partecipative previste nell’art. 6 della legge reg. Liguria n. 36 del
1997. Secondo l’art. 6 da ultimo citato, «[l]a Regione, la Città metropolitana,
e le province, in vista della formazione, del monitoraggio e della variazione,
in forma concertata dei rispettivi piani territoriali convocano apposite
conferenze di pianificazione». Alle «conferenze di pianificazione» partecipano
tutte le pubbliche amministrazioni rappresentative degli interessi pubblici
coinvolti, le quali «espongono le proprie osservazioni, proposte e valutazioni,
delle quali si dà atto nel relativo verbale ai fini della loro considerazione
nel processo di pianificazione avviato».
Ebbene, la disposizione regionale
censurata, laddove implicitamente include anche il MiBACT
tra le pubbliche amministrazioni partecipanti alle «conferenze di
pianificazione», assegnandogli un ruolo meramente partecipativo e propositivo,
violerebbe ancora una volta gli artt. 135 e 143 del codice dei beni culturali e
del paesaggio, secondo i quali la pianificazione paesaggistica avviene con un
atto elaborato congiuntamente dalla singola regione e dal MiBACT.
1.4.‒ L’art. 12, comma l, della legge reg. Liguria n. 11
del 2015, sostituisce l’art. 11 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, il cui
comma 5 disponeva al momento del ricorso: «Il PTR può demandare al PTGcm e al PTC provinciale l’integrazione e lo sviluppo di
alcuni elementi della disciplina di cui al comma 3, fornendo specifiche
indicazioni in tal senso».
Osserva il ricorrente come, tra gli
elementi che possono essere integrati e sviluppati dal PTGcm
(piano territoriale generale della città metropolitana) e dal PTC (piano
territoriale di coordinamento) provinciale, figuri anche «la disciplina di
tutela, salvaguardia, valorizzazione e fruizione del paesaggio in ragione dei
differenti valori espressi dai diversi contesti territoriali che lo
costituiscono» (art. 11, comma 3, lettera a), della legge reg. Liguria n. 36
del 1997).
La disciplina regionale contrasterebbe,
pertanto, con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
in quanto le pertinenti norme statali (artt. 143, comma 9, e 145 del codice dei
beni culturali e del paesaggio) escludono che gli strumenti di pianificazione
territoriale possano sostituirsi al piano paesaggistico.
1.5.‒ L’art. 18, comma l, della legge reg. Liguria n. 11
del 2015 ha introdotto nella legge reg. Liguria n. 36 del 1997 l’art. 16-bis,
il cui comma 1 prevede che il PTR sia attuato «mediante progetti a scala
urbanistica od edilizia, costituenti strumenti operativi da promuovere ed
approvare da parte della Regione».
Secondo il Governo, la mancata
partecipazione degli organi ministeriali al procedimento di conformazione ed
adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione
paesaggistica contrasterebbe con l’art. 145 del codice dei beni culturali e del
paesaggio e, quindi, con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (viene citata la sentenza di questa
Corte n. 64 del 2015). Sotto altro profilo, non sarebbe dato comprendere se
il procedimento di approvazione dei citati strumenti attuativi presupponga
l’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica (in conformità con quanto
stabilito dall’art. 146 del codice dei beni culturali e del paesaggio), ovvero
sia sostitutivo della stessa, nonché se il medesimo procedimento sostituisca
anche il parere previsto dagli artt. 16 e 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150
(Legge urbanistica statale).
1.6.‒ L’art. 27, comma l, sostituisce l’art. 23 della
legge regionale n. 36 del 1997, il cui comma 2 ora prevede: «Decorsi cinque
anni dall’approvazione del PTC provinciale il Consiglio provinciale ne accerta
l’adeguatezza, alla luce anche del PTR e degli esiti delle verifiche effettuate
in attuazione del programma di monitoraggio approvato in sede di procedure di
VAS». Tale disposizione, nella parte in cui non contempla alcuna partecipazione
del MiBACT alle attività di verifica dell’adeguatezza
del PTC provinciale al PTR, si porrebbe anch’essa in contrasto con le
previsioni di cui all’art. 145, comma 5, del codice dei beni culturali e del
paesaggio, con conseguente illegittimità costituzionale per violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
1.7.‒ L’art. 34, comma l, della
legge impugnata ha inserito nel corpo della legge reg. Liguria n. 36 del 1997,
tra gli altri, l’art. 29-ter, il cui comma 3 prevede: «Per credito edilizio si
intende la quantità di superficie agibile della costruzione esistente oggetto
di demolizione eventualmente ridotta in relazione alla destinazione d’uso degli
edifici da demolire in base ai coefficienti previsti dal PUC (Piano urbanistico
comunale) in funzione degli obiettivi di riqualificazione urbanistica
perseguiti. Non possono dar luogo al riconoscimento del credito edilizio gli
edifici realizzati in assenza od in difformità dai prescritti titoli
abilitativi edilizi e paesaggistici, se non previa loro regolarizzazione».
Secondo il ricorrente, la disposizione
citata, nel consentire il riconoscimento di un credito edilizio a fronte della
demolizione di edifici o complessi di edifici realizzati in assenza o in
difformità dai prescritti titoli abilitativi e paesaggistici «previa loro regolarizzazione»,
travalicherebbe i limiti della potestà legislativa regionale in materia di
condono edilizio (si citano le sentenze di questa
Corte n. 225 del 2012 e n. 290 del 2009).
Segnatamente, la norma regionale violerebbe i principi fondamentali in materia
di «governo del territorio» di cui agli artt. 36 e 37 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A), di
seguito TUE, i quali subordinano il rilascio del titolo in sanatoria alla
conformità dell’intervento edilizio alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda.
1.8.‒ Secondo il ricorrente la disciplina dei «margini di
flessibilità» del PUC (Piano urbanistico comunale), contenuta negli artt. 31,
comma l, 50, comma l, 51, comma l, 68, comma 7, e 80, comma l, lettera b),
della legge impugnata, contrasterebbe con le norme del codice dei beni
culturali e del paesaggio nonché con i principi fondamentali in materia di
«governo del territorio» contenuti nel TUE, con conseguente violazione
dell’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost.
L’art. 31, comma l, sostituisce l’art.
27 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, il cui comma 1, al momento del
ricorso, recitava: «La struttura del PUC è costituita da: […] b) norme degli
ambiti di conservazione, di riqualificazione e di completamento e norme dei
distretti di trasformazione, comprensive della disciplina paesistica, dei margini
di flessibilità delle relative indicazioni, della disciplina geologica e
dell’eventuale disciplina di cui agli articoli 29-bis, 29-ter, 29-quater e
29-quinquies […]».
L’art. 50 sostituisce l’art. 43 della
legge reg. Liguria n. 36 del 1997, stabilendo che le norme del PUC «definiscono
i margini di flessibilità entro cui le relative previsioni possono essere
attuate senza ricorso né alla procedura di aggiornamento di cui al comma 3, né
alla procedura di variante di cui all’articolo 44».
L’art. 51 sostituisce l’art. 44 della
legge reg. Liguria n. 36 del 1997, il cui comma 1, al momento del ricorso, così
prevedeva: «Costituiscono varianti al PUC le modifiche non rientranti nei
margini di flessibilità o nell’aggiornamento di cui all’articolo 43. Le
varianti sono adottate ed approvate secondo la procedura stabilita agli
articoli 38 o 39 a seconda del tipo di PUC da variare».
L’art. 68 modifica l’art. 60, comma 5,
lettera b), della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, prevedendo che: «In sede
di approvazione dei progetti a norma della presente legge può essere demandata
al Comune: […] b) la facoltà di assentire direttamente in sede di titoli
edilizi varianti non essenziali al progetto rientranti nei margini di
flessibilità, da prefissare in apposito elaborato facente parte di quelli
costitutivi del progetto approvato».
L’art. 80, comma l, lettera b), prevede
che: «Fino all’approvazione del PUC a norma della L.R. 36/1997 come modificata
dalla presente legge: […] b) per i comuni dotati di PUC già approvato a norma
delle previgenti disposizioni della L.R. 36/1997 si applicano le disposizioni
di cui al Titolo IV, Capo III e IV, ed al Titolo V della L.R. 36/1997 come
modificata dalla presente legge, salvo quanto previsto all’articolo 81, comma
2, della presente legge».
Il Governo premette che, benché le norme
regionali perseguano evidenti finalità di semplificazione, il concetto di
«margini di flessibilità» dei piani urbanistici non è definito dalla vigente
legislazione statale in materia urbanistica. Nel dettaglio, evidenzia i
seguenti elementi di contrasto con la legislazione statale in materia
paesaggistica ed edilizia.
La possibilità per il comune di
modificare unilateralmente la disciplina paesistica contenuta nel PUC, senza
contestualmente prevedere la partecipazione dei competenti organi ministeriali,
violerebbe l’art. 145 del codice del paesaggio e dei beni culturali, sia perché
non si prevederebbe che queste modifiche debbano
essere conformi alla pianificazione paesaggistica, sia in quanto non si
assicurerebbe la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento di
variante.
Per effetto del combinato disposto delle
disposizioni regionali sopra richiamate, un indeterminato numero di
fattispecie, relative anche alla disciplina paesaggistica e geologica,
sarebbero sottratte alle ordinarie procedure di varianti al piano.
Potendo gli interventi edilizi
realizzati in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia contenuta nel
PUC essere «successivamente legittimati sotto il profilo urbanistico ed
edilizio», le norme censurate introdurrebbero una surrettizia forma di condono
edilizio, in violazione dei principi fondamentali della materia del «governo
del territorio» di cui agli artt. 30, comma 1, 36 e 37 del TUE (si citano le
sentenze di questa Corte n. 225 del 2012 e n. 290 del 2009).
Da ultimo, la facoltà per i Comuni di
assentire direttamente in sede di rilascio dei titoli edilizi, varianti non
essenziali al progetto rientranti nei margini di flessibilità, si porrebbe in
contrasto con l’art. 22, comma 2-bis, del TUE, il quale prevede che «[s]ono realizzabili mediante segnalazione certificata d’inizio
attività e comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, le
varianti a permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale,
a condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano
attuate dopo l’acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla
normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del
patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di
settore».
1.9.– L’art. 61, comma 6, ha aggiunto la
lettera d-bis), al comma l dell’art. 53 della legge reg. Liguria n. 36 del
1997, il quale ora prevede che «I P.U.O. sono considerati conformi al P.U.C.
anche qualora, oltre i margini di flessibilità previsti dal PUC e dal PUO,
comportino: […] d-bis) la fissazione di distanze tra fabbricati inferiori a
quelle stabilite dal PUC che risultino idonee ad assicurare un equilibrato
assetto urbanistico e paesaggistico in relazione alle tipologie degli
interventi consentiti e tenuto conto degli specifici caratteri dei luoghi e
dell’allineamento degli immobili già esistenti, fermo restando comunque il
rispetto delle norme del codice civile e dei vincoli di interesse culturale e
paesaggistico. Tale riduzione è applicabile anche nei confronti di edifici
ubicati all’esterno del perimetro del PUO».
Il ricorrente lamenta che la possibilità
di ridurre le distanze tra edifici anche per quelli ubicati all’esterno del
perimetro del PUO (progetto urbanistico operativo) invaderebbe la competenza
dello Stato nella materia dell’«ordinamento civile».
La Regione Liguria non avrebbe utilizzato in modo corretto la facoltà
derogatoria concessa dall’art. 2-bis del TUE, in quanto la norma regionale
censurata conterrebbe previsioni urbanistiche del tutto generali e generiche,
senza alcun riferimento a quelle particolari e specifiche esigenze legate al
territorio che soltanto consentirebbero una disciplina delle distanze diversa
da quella inderogabilmente fissata dal legislatore statale (si cita la sentenza
di questa Corte n. 134 del 2014).
2.‒ Il 17 luglio 2015 si è costituita in giudizio la
Regione Liguria, argomentando diffusamente sull’infondatezza dell’avverso
ricorso.
2.1.‒ Con riguardo al primo ordine
di motivi, la resistente osserva che il parere del MiBACT
previsto dall’art. 14, comma 3, lettera a), della legge reg. Liguria n. 36 del
1997, come novellato dalla legge reg. Liguria n. 11 del 2015, non sarebbe
sostitutivo dell’intesa prescritta dall’art. 143, comma 2, del codice dei beni
culturali e del paesaggio, bensì costituirebbe un contributo ulteriore e
diverso apportato dal Ministero (sempre nell’iter di approvazione del PTR ma)
ai fini della procedura di valutazione ambientale strategica (VAS), nel cui
ambito è appunto previsto il coinvolgimento della soprintendenza. Analogamente,
il procedimento di variante non eliderebbe affatto l’intesa prescritta dal
codice dei beni culturali e del paesaggio.
2.2.‒ L’art. 2, comma 3, della legge regionale n. 11 del
2015, non si porrebbe in contrasto con l’art. 145, comma 3, del codice dei beni
culturali e del paesaggio, giacché non intenderebbe derogare al principio di
prevalenza del piano paesaggistico rispetto agli altri strumenti di
pianificazione settoriale.
2.3.‒ Quanto all’impugnazione dell’art. 3, comma 2, della
legge regionale n. 11 del 2015, la «conferenza di pianificazione» non
sostituirebbe l’intesa tra Regione e Ministero, la quale dovrebbe esser già
stata raggiunta in altra e diversa sede rispetto a quella della conferenza
stessa.
2.4.‒ La resistente esclude che l’art. 11, comma 5, della
legge reg. n. 36 del 1997, come sostituito dall’art. 12 della legge regionale
n. 11 del 2015, possa determinare la sostituzione del piano paesaggistico con
il piano territoriale generale della città metropolitana e con il piano
territoriale di coordinamento provinciale. Questi due piani potrebbero soltanto
integrare e sviluppare i contenuti paesaggistici del PTR, già elaborato ed approvato
in forma co-pianificata da regione e Ministero.
2.5.‒ L’art. 18 della legge reg. n. 11 del 2015 non si
porrebbe in contrasto con gli artt. 135, 143 e 145, comma 5, del codice dei
beni culturali e del paesaggio, atteso che i «progetti a scala urbanistica od
edilizia, costituenti strumenti operativi da promuovere ed approvare da parte
della Regione» potrebbero attuare soltanto le previsioni del PTR approvato
secondo le prescritte modalità di co-pianificazione con gli organi
ministeriali.
Anche la doglianza relativa alla
asserita violazione del procedimento di cui all’art. 146 del codice dei beni
culturali e del paesaggio sarebbe infondata, essendo pacifico che nell’iter di
rilascio dei titoli abilitativi debba essere acquisito il parere della soprintendenza.
La previsione regionale in esame sarebbe
conforme anche agli artt. 16 e 28 della legge n. 1150 del 1942, in quanto il
novellato art. 51, comma 3, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, prevede
che: «In caso di PUO aventi ad oggetto aree od immobili soggetti a vincolo
paesaggistico ai sensi del D.Lgs. 42/2004 e
successive modificazioni e integrazioni il Comune è tenuto a trasmettere il PUO
adottato alla Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici per
l’acquisizione del relativo parere entro il termine di sessanta giorni dal
ricevimento degli atti e, comunque, prima dell’approvazione ai sensi del comma
4».
2.6.‒ Quanto all’impugnazione
dell’art. 27, comma l, della legge regionale n. 11 del 2015, il ricorrente
avrebbe operato una indebita commistione tra l’obbligo di conformazione dei
piani territoriali alle previsioni del piano paesaggistico prescritto dall’art.
145, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio – al quale
l’ordinamento ligure si è adeguato con le previsioni contenute agli artt. 13,
comma l, lettera b), e 79 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997 – e il
diverso procedimento di «verifica di adeguatezza» del PTC provinciale al PTR
previsto dalla norma regionale censurata, il quale risponderebbe a finalità ed
effetti diversi rispetto al primo.
In primo luogo, la «verifica di
adeguatezza» opera decorsi cinque anni dall’approvazione di un nuovo PTC
provinciale, quindi successivamente al termine di due anni prescritto dal comma
4 dell’art. 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio. Inoltre, è volta
a far accertare l’adeguatezza delle previsioni del piano provinciale «alla luce
anche del PTR e degli esiti delle verifiche effettuate in attuazione del
programma di monitoraggio approvato in sede di procedure di VAS».
2.7.‒ L’art. 29-ter della legge reg. Liguria n. 36 del
1997, introdotto dall’art. 34, comma l, della legge regionale n. 11 del 2015,
costituisce attuazione dell’art. 3-bis del TUE. La norma specifica che i PUC,
al fine di promuovere taluni interventi di riqualificazione edilizia o
urbanistica, possono riconoscere ai soggetti interessati un credito edilizio.
La «regolarizzazione» delle opere
realizzate in difformità dai titoli abilitativi, cui è subordinato il
riconoscimento del credito edilizio, equivarrebbe all’accertamento di
conformità previsto dagli artt. 36 e 37 del TUE (corrispondenti in Liguria agli
artt. 43 e 49 della legge regionale 6 giugno 2008, n. 16, recante «Disciplina
dell’attività edilizia») e non ad un condono edilizio, come erroneamente
presupposto dal ricorrente.
2.8.‒ Con riguardo all’impugnazione delle norme relative
ai «margini di flessibilità» del PUC, la Regione osserva che, per quanto il
concetto di «margini di flessibilità» dei piani urbanistici non sia attualmente
definito dalla vigente legislazione statale, la loro previsione non sarebbe
preclusa dal quadro normativo statale di riferimento, trattandosi di istituto
di semplificazione nella gestione dei piani urbanistici. I margini di
flessibilità, infatti, consistono in previsioni alternative del PUC (relative a
destinazioni d’uso, tipologie costruttive, parametri e materiali) individuate
nella disciplina degli ambiti di conservazione, di riqualificazione e di
completamento e dei distretti di trasformazione fra loro fungibili già
individuati nel contesto delle norme degli ambiti e dei distretti. Superando la
rigidità dei contenuti propria del tradizionale piano regolatore generale, il
nuovo modello di PUC mirerebbe a evitare il ricorso frequente alle varianti del
piano urbanistico e a renderne più snella l’attuazione.
Su queste basi, sarebbe infondata la
dedotta violazione dell’art. 145 del codice dei beni culturali e del paesaggio,
dal momento che i contenuti del PUC costituenti «margini di flessibilità»
consisterebbero in previsioni normative che fanno già parte del PUC approvato
dalla Regione in conformità alle indicazioni del PTCP e del PTR approvato sulla
base del preventivo accordo con gli organi ministeriali.
Sarebbe inoltre escluso che in
applicazione dei «margini di flessibilità» siano legittimati interventi edilizi
abusivi o realizzati in contrasto con la vigente disciplina
urbanistico-edilizia stabilita nei piani urbanistici, considerato che
l’utilizzo dei «margini di flessibilità» comporta comunque il rilascio dei pertinenti
titoli abilitativi previo riscontro della piena conformità con la normativa del
PUC.
L’art. 68, comma 7, concernente
l’applicazione dell’istituto dei «margini di flessibilità» nel rilascio dei
titoli edilizi in attuazione di progetti approvati mediante le procedure di
accordo di pianificazione, di accordo di programma e di conferenza di servizi,
non interferirebbe con la disciplina dell’art. 22, comma 2-bis, del TUE che
regola la variante a permessi di costruire assentibile mediante presentazione di
segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). La flessibilità del
progetto in sede di rilascio del titolo abilitativo, cui si riferisce la norma
impugnata, non autorizzerebbe (come erroneamente presupposto dal Governo) la
diretta esecuzione di varianti in corso d’opera.
2.9.‒ L’ultimo periodo dell’art.
53, comma 1, lettera d-bis), della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, come
modificato dall’art. 61, comma 6, della legge impugnata, presuppone che il
comune in sede di approvazione del PUO verifichi preventivamente che la
riduzione della distanza tra costruzioni assicuri «un equilibrato assetto
urbanistico e paesaggistico in relazione alle tipologie degli interventi
consentiti e tenuto conto degli specifici caratteri dei luoghi e
dell’allineamento degli immobili già esistenti, fermo restando comunque il
rispetto delle norme del codice civile e dei vincoli di interesse culturale e
paesaggistico». Il Comune, pertanto, sarebbe tenuto a riscontrare la
sussistenza delle specifiche condizioni urbanistiche e paesaggistiche che
giustifichino la riduzione del parametro della distanza per assicurare un
coerente assetto urbanistico.
Non vi sarebbe, dunque, alcun contrasto
con l’art. 2-bis del TUE.
3.‒ Con memoria depositata il 17 gennaio 2017, la
resistente ha riferito che, in corso di causa, è stata emanata la legge della
Regione Liguria 18 novembre 2016, n. 29, recante «Prime disposizioni in materia
urbanistica e di attività edilizia in attuazione della legge regionale 16 febbraio
2016, n. 1 (Legge sulla crescita)». La normativa sopravvenuta, in gran parte
modificativa di quella oggetto di impugnativa, sarebbe idonea a far cessare la
materia del contendere in ordine alle questioni di costituzionalità promosse
nei primi sei motivi di ricorso.
In particolare, nel riassetto degli atti
di pianificazione regionale operato con la nuova legge, il PTR non assume più
valore di piano urbanistico territoriale con specifica considerazione dei
valori paesaggistici, essendo stato riconfigurato in termini di «piano
territoriale di area vasta a valenza strategica». Nel contempo, tra gli
strumenti della pianificazione territoriale, è stato introdotto il «Piano
paesaggistico» con contenuti, effetti e modalità di co-pianificazione con il MiBACT conformi a quelle previste dagli artt. 135, 143 e
145 del codice dei beni culturali e del paesaggio. L’art. 16-bis della legge
reg. Liguria n. 36 del 1997 (introdotto dall’art. 12 della legge impugnata) è
stato invece soppresso.
La Regione Liguria sottolinea che le
disposizioni della legge impugnata oggetto delle modifiche apportate con legge
reg. Liguria n. 29 del 2016 non hanno avuto applicazione nel periodo di loro
efficacia, in quanto il PTR in essa previsto non è mai stato approvato.
Insiste invece perché siano respinte le
questioni promosse nei restanti tre motivi (settimo, ottavo e nono).
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha
promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose norme della legge
della Regione Liguria 2 aprile 2015, n. 11, recante «Modifiche alla legge
regionale 4 settembre 1997, n. 36 (Legge urbanistica regionale)», per
violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere l) e s), e terzo comma, della
Costituzione.
2.– In via preliminare, deve essere dichiarata la
cessazione della materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 2, comma 1, 3, comma 2, 12, comma 1, 14, comma 1,
15, comma 1, 17, comma 1, 18, comma 1, e 27, comma 1, della legge reg. Liguria
n. 11 del 2015, per i seguenti motivi.
2.1.– Il Governo sostiene che la
disciplina del procedimento di formazione (art. 15 della legge impugnata) e
variante (art. 17 della legge impugnata) del «Piano territoriale regionale» (di
seguito: PTR) contrasterebbe con gli artt. 135, comma 1, e 143, comma 2, del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il «Codice dei beni
culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002,
n. 137» (di seguito: codice dei beni culturali e del paesaggio), in quanto non
è previsto che la formazione e la variazione avvenga con atto elaborato
congiuntamente dalla singola regione e dal ministero, con modalità disciplinate
da apposite intese, prevedendosi soltanto la trasmissione dello strumento pianificatorio al Ministero dei beni e delle attività
culturali e del turismo (di seguito MiBACT) per la
formulazione di un semplice parere. Va rimarcato che, sebbene il Governo abbia
formalmente impugnato anche gli artt. 2, comma l, e 14, comma l, i motivi di
ricorso riguardano i soli artt. 15, comma l, e 17, comma l.
Nelle more del giudizio, l’art. 8, comma
3, della legge della Regione Liguria 18 novembre 2016, n. 29, recante «Prime
disposizioni in materia urbanistica e di attività edilizia in attuazione della
legge regionale 16 febbraio 2016, n. 1 (Legge sulla crescita)», ha abrogato
l’art. 13, comma 3, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997 che attribuiva al
PTR il valore di «piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione
dei valori paesaggistici». La stessa legge sopravvenuta ha altresì espunto dal
contenuto del PTR qualsivoglia riferimento alla tutela dei valori
paesistico-ambientali (come risulta dall’attuale formulazione degli artt. 8 e
11 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997). Nel contempo, tra gli strumenti
della pianificazione territoriale regionale, è stato introdotto il «Piano
paesaggistico», il quale «ha i contenuti e gli effetti» previsti negli
artt. 135, 143 e 145 del codice dei beni
culturali e del paesaggio (si veda l’art. 3 della legge reg. Liguria n. 36 del
1997, come modificato dall’art. 2 della legge reg. Liguria n. 29 del
2016). Esso è inoltre predisposto attraverso modalità di elaborazione congiunta
(previa intesa e successivo accordo) con il MiBACT,
conformi a quanto prescritto dagli artt. 135, comma 1, terzo periodo, e 143,
comma 2, del codice dei beni culturali e del paesaggio (come risulta ora
dal nuovo art. 14-bis della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, aggiunto
dall’art. 10, comma 1, della legge reg. Liguria n. 29 del 2016).
Come è noto, «perché possa essere
dichiarata cessata la materia del contendere, devono
congiuntamente verificarsi le seguenti condizioni: a) la sopravvenuta
abrogazione o modificazione delle norme censurate in senso satisfattivo della
pretesa avanzata con il ricorso; b) la mancata applicazione, medio tempore,
delle norme abrogate o modificate (ex plurimis, sentenze n. 32
e n.
16 del 2015, n.
87 del 2014, n. 300, n. 193 e n.
32 del 2012, n.
325 del 2011)» (sentenza n.
149 del 2015).
Nel caso di specie ricorrono entrambi i
presupposti citati. Da un lato, è venuta meno ogni ragione di contrasto tra le
disposizioni regionali impugnate dal Governo e le norme statali che prescrivono
determinate forme di collaborazione tra Stato e regioni nella formulazione dei
piani paesaggistici. Quanto alla seconda condizione, la Regione Liguria ha
dichiarato, senza contestazione di controparte, che le disposizioni della legge
impugnata non hanno avuto applicazione nel periodo di loro efficacia, in quanto
il PTR non è mai stato approvato.
2.2.‒ Alle medesime conclusioni si
deve pervenire, per le stesse ragioni appena esposte, anche per quanto riguarda
l’impugnazione dell’art. 3, comma 2, della legge reg. Liguria n. 11 del 2015,
il quale, sostituendo il comma 3 dell’art. 3 della legge reg. Liguria n. 36 del
1997 e richiamando le «modalità partecipative» indicate nell’art. 6 di tale
legge, prevede che, ai fini dell’elaborazione del PTR, la Regione convoca
apposite «conferenze di pianificazione», nell’ambito delle quali le pubbliche
amministrazioni rappresentative degli interessi pubblici coinvolti «espongono
le proprie osservazioni, proposte e valutazioni, delle quali si dà atto nel
relativo verbale ai fini della loro considerazione nel processo di
pianificazione avviato».
Secondo il Governo, l’impugnato art. 3,
comma 2, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
in riferimento agli artt. 135, comma 1, e 143, comma 2, del codice dei beni
culturali e del paesaggio, secondo i quali la pianificazione paesaggistica avviene
con un atto elaborato congiuntamente dalla singola regione e dal MiBACT, con modalità disciplinate da apposite intese, prima
della sua approvazione da parte della regione interessata.
Il venir meno della valenza
paesaggistica del PTR, che la sopravvenuta legge reg. Liguria n. 29 del 2016 ha
riconfigurato in termini di strumento pianificatorio
avente portata esclusivamente urbanistica, determina la cessazione della
materia del contendere sul punto.
2.3.‒ Parimenti superata dallo ius superveniens risulta la
questione posta con riferimento all’art. 12, comma 1, della legge impugnata,
che aveva sostituito l’art. 11 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997,
inserendo fra gli elementi dei quali il PTR avrebbe potuto demandare al PTGcm (Piano territoriale generale della città
metropolitana) e al PTC (piano territoriale di coordinamento) provinciale
l’integrazione e lo sviluppo, fornendo specifiche indicazioni, anche: «a) la
disciplina di tutela, salvaguardia, valorizzazione e fruizione del paesaggio in
ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti territoriali che lo
costituiscono».
Secondo il Governo la norma avrebbe
violato l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
in relazione agli artt. 143, comma 9, e 145, comma 3, del codice dei beni culturali
e del paesaggio, i quali escludono che gli strumenti di pianificazione
territoriale possano sostituirsi al piano paesaggistico.
L’art. 7 della legge reg. Liguria n. 29
del 2016 ha espunto dal contenuto del PTR (il quale, come si è detto, non è mai
stato approvato) ogni riferimento alla tutela dei valori paesistico-ambientali,
come risulta dall’attuale novellata formulazione dell’art. 11 della legge reg.
Liguria n. 36 del 1997.
2.4.‒ Analoghe considerazioni valgono per la questione
posta con riferimento all’art. 18, comma l, che aveva introdotto nella legge
reg. Liguria n. 36 del 1997 l’art. 16-bis, secondo cui il PTR è attuato
«mediante progetti a scala urbanistica od edilizia, costituenti strumenti
operativi da promuovere ed approvare da parte della Regione». Le censure del
Governo riguardanti la mancata previsione della partecipazione degli organi
ministeriali al procedimento di conformazione e adeguamento degli strumenti
urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica prescritta dall’art.
145, comma 5, del codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché
dell’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica prescritta all’art. 146
dello stesso codice e del parere previsto dagli artt. 16 e 28 della legge 17
agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), sono superate dall’intervenuta
modifica della legge regionale censurata. L’art. 12 della legge reg. Liguria n.
29 del 2016 ha infatti abrogato il citato art. 16-bis (introdotto dall’art. 18,
comma 1, della legge impugnata), che non ha avuto alcuna applicazione.
2.5.– La perdita del valore di strumento
di pianificazione paesaggistica del PTR in conseguenza della citata novella del
2016 determina infine anche il venire meno dell’interesse all’impugnazione
dell’art. 27, comma l, della legge reg. Liguria n. 11 del 2015, il quale
sostituisce integralmente l’art. 23 della precedente legge regionale n. 36 del
1997, il cui comma 2 ora prevede: «Decorsi cinque anni dall’approvazione del
PTC provinciale il Consiglio provinciale ne accerta l’adeguatezza, alla luce
anche del PTR e degli esiti delle verifiche effettuate in attuazione del
programma di monitoraggio approvato in sede di procedure di VAS».
L’illegittimità della norma era infatti
individuata dal ricorrente esclusivamente nel fatto che essa non contemplava la
partecipazione del MiBACT alle attività di verifica
dell’adeguatezza del PTC provinciale al PTR, ponendosi così in contrasto con le
previsioni dell’art. 145, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004.
3.– Non può ritenersi invece cessata la
materia del contendere per quanto riguarda l’impugnazione dell’art. 2, comma 3,
della legge regionale n. 11 del 2015, il quale sostituisce il comma 5 dell’art.
2 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997 con il comma seguente: «I piani di
bacino, nonché i piani delle aree protette di cui alla vigente legislazione
regionale, vincolano, nelle loro indicazioni di carattere prescrittivo, la
pianificazione territoriale di livello regionale, metropolitano, provinciale e
comunale con effetto di integrazione della stessa e, in caso di contrasto, di
prevalenza su di essa».
Secondo il ricorrente, la norma
violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
in relazione all’art. 145, comma 3, del codice dei beni culturali e del
paesaggio, il quale prevede che le disposizioni dei piani paesaggistici
prevalgono sulle disposizioni contenute negli altri atti di pianificazione
territoriale di settore.
3.1.‒ La questione è fondata.
La norma regionale, subordinando la
pianificazione territoriale di livello regionale ai piani di bacino e ai piani
per le aree protette, si pone in evidente contrasto con il principio di
prevalenza del piano paesaggistico sugli atti di pianificazione ad incidenza
territoriale posti dalle normative di settore, dettato dall’art. 145, comma 3,
del codice dei beni culturali e del paesaggio. Infatti, ai sensi dell’art. 3
della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, nella formulazione vigente al momento
della proposizione del ricorso, lo strumento della pianificazione territoriale
di livello regionale è il PTR, avente (a norma dell’art. 13, comma 3, della
legge reg. Liguria n. 36 del 1997, poi abrogato dall’art. 8, comma 3, della
legge reg. Liguria n. 29 del 2016) valore di «piano urbanistico-territoriale,
con specifica considerazione dei valori paesaggistici». La chiarezza
dell’enunciato normativo non lascia margini all’interpretazione conforme
suggerita dalla Regione Liguria.
La rilevata antinomia non è stata
superata dallo ius superveniens.
Anche dopo la legge reg. Liguria n. 29 del 2016, il comma 5 dell’art. 2 della
legge reg. Liguria n. 36 del 1997 continua a vincolare ai piani di bacino e
delle aree protette l’intera «pianificazione territoriale di livello
regionale», categoria quest’ultima che ‒ a seguito delle modifiche
apportate all’art. 3 della legge reg. n. 36 del 1997 dall’art. 2, comma
1, della legge reg. n. 29 del 2016 ‒ include ora anche il «Piano
paesaggistico».
4.‒ L’art. 34, comma l, della legge impugnata inserisce
nella legge urbanistica regionale della Liguria n. 36 del 1997 l’art. 29-ter.
Questa disposizione consente al PUC (piano urbanistico comunale) di
individuare, all’interno degli ambiti e dei distretti di trasformazione, gli
edifici o complessi di edifici esistenti suscettibili di riqualificazione
edilizia o urbanistica, in quanto caratterizzati da: condizioni di rischio
idraulico o di dissesto idrogeologico; condizioni di incompatibilità per
contrasto con la destinazione d’uso dell’ambito o del distretto di
trasformazione o per la tipologia edilizia; situazioni di degrado strutturale,
funzionale od igienico-sanitario; situazioni di interferenza con la
realizzazione di servizi pubblici o di infrastrutture pubbliche. È inoltre
previsto che, qualora gli interventi di riqualificazione rendano necessaria la
demolizione totale o parziale dei fabbricati, i proprietari interessati
maturino un «credito edilizio» corrispondente alla quantità di superficie
agibile da demolirsi. I crediti edilizi sono negoziabili e trasferibili tra i
soggetti interessati, previa trascrizione ai sensi dell’art. 2643 del codice
civile. Il PUC individua gli ambiti e i distretti nei quali il credito può
essere trasferito.
Il Governo si duole dell’ultimo periodo
del comma 3 dell’art. 29-ter, secondo cui: «non possono dar luogo al riconoscimento
del credito edilizio gli edifici realizzati in assenza od in difformità dai
prescritti titoli abilitativi edilizi e paesaggistici, se non previa loro
regolarizzazione». La disposizione censurata travalicherebbe i limiti della
potestà legislativa regionale in materia di condono edilizio, ponendosi in
contrasto con i principi fondamentali in materia di «governo del territorio»
contenuti agli artt. 36 e 37 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A),
di seguito TUE, i quali subordinano il rilascio del titolo in sanatoria alla
conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia
al momento della realizzazione dello stesso che al momento della presentazione
della domanda.
5. ‒ La questione non è fondata.
L’accertamento di conformità, oggi
previsto dall’art. 36 del TUE, fa riferimento alla possibilità di sanare opere
che, sebbene sostanzialmente conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia,
sono state realizzate in assenza del titolo stesso, ovvero con varianti
essenziali. Il condono edilizio, invece, ha quale effetto la sanatoria non solo
formale ma anche sostanziale dell’abuso, a prescindere dalla conformità delle
opere realizzate alla disciplina urbanistica ed edilizia.
Il termine «regolarizzazione»,
utilizzato dalla norma in esame, richiama già sul piano semantico situazioni di
mera irregolarità formale, come è confermato del resto dal fatto che la
regolarizzazione ivi prevista ha per oggetto soltanto gli edifici «realizzati
in assenza od in difformità dai prescritti titoli abilitativi edilizi e
paesaggistici».
Si deve concludere pertanto che il
legislatore regionale ha inteso subordinare il riconoscimento del credito
edilizio, nel caso in cui ciò sia necessario, all’accertamento di conformità
dettato dall’art. 36 del TUE, in coerenza con la disciplina statale.
6.‒ Secondo il Governo, la disciplina dei «margini di
flessibilità» del PUC, contenuta negli artt. 31, comma l, 50, comma l, 51,
comma l, 68, comma 7, e 80, comma l, lettera b), contrasterebbe con i principi
fondamentali della materia del «governo del territorio» definiti nel TUE,
nonché con le norme del codice dei beni culturali e del paesaggio, con
conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma,
Cost.
L’art. 31, comma l, della legge
impugnata sostituisce l’art. 27 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, il cui
comma 1, al momento del ricorso, recitava : «La struttura del PUC è costituita
da: […] b) norme degli ambiti di conservazione, di riqualificazione e di
completamento e norme dei distretti di trasformazione, comprensive della
disciplina paesistica, dei margini di flessibilità delle relative indicazioni,
della disciplina geologica e dell’eventuale disciplina di cui agli articoli
29-bis, 29-ter, 29-quater e 29-quinquies».
L’art. 50 sostituisce l’art. 43 della
legge urbanistica regionale n. 36 del 1997, stabilendo che le norme del PUC
«definiscono i margini di flessibilità entro cui le relative previsioni possono
essere attuate senza ricorso né alla procedura di aggiornamento di cui al comma
3, né alla procedura di variante di cui all’articolo 44».
L’art. 51, comma 1, sostituisce il comma
1 dell’art. 44 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, che, al momento del
ricorso, così prevedeva: «Costituiscono varianti al PUC le modifiche non
rientranti nei margini di flessibilità o nell’aggiornamento di cui all’articolo
43. Le varianti sono adottate ed approvate secondo la procedura stabilita agli
articoli 38 o 39 a seconda del tipo di PUC da variare».
L’art. 68, comma 7, modifica l’art. 60,
comma 5, lettera b), della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, prevedendo che:
«In sede di approvazione dei progetti a norma della presente legge può essere
demandata al Comune: […] b) la facoltà di assentire direttamente in sede di
titoli edilizi varianti non essenziali al progetto rientranti nei margini di
flessibilità, da prefissare in apposito elaborato facente parte di quelli
costitutivi del progetto approvato».
L’art. 80, comma l, lettera b), della
legge reg. Liguria n. 11 del 2015 prevede infine che: «Fino all’approvazione
del PUC a norma della L.R. 36/1997 come modificata dalla presente legge: […] b)
per i comuni dotati di PUC già approvato a norma delle previgenti disposizioni
della L.R. 36/1997 si applicano le disposizioni di cui al Titolo IV, Capo III e
IV, ed al Titolo V della L.R. 36/1997 come modificata dalla presente legge,
salvo quanto previsto all’articolo 81, comma 2, della presente legge».
6.1.‒ Il Governo dubita innanzitutto che lo strumento
urbanistico comunale possa legittimamente dettare prescrizioni dotate di
«margini di flessibilità» e lamenta che, per effetto del combinato disposto
delle norme richiamate, un indeterminato numero di fattispecie sarebbe
sottratto alle ordinarie procedure di variante.
La censura non è fondata.
La definizione in termini di
"flessibilità”, peraltro entro limiti definiti dalle previsioni del PUC, delle
caratteristiche tipologiche e planivolumetriche dei singoli interventi non si
pone in contrasto con i principi della legislazione urbanistica statale,
giacché da quest’ultima non si desume alcun principio fondamentale della
materia del «governo del territorio» che imponga allo strumento pianificatorio di dettare sin da subito e con carattere
stringente le coordinate e gli indici della trasformazione territoriale.
L’ordinamento urbanistico ligure prevede
un sistema di pianificazione a due stadi, imperniato sul binomio piano
strutturale-piano operativo. Il PUC (piano urbanistico comunale) è lo strumento
urbanistico di primo livello, il cui sviluppo operativo è affidato nei
distretti di trasformazione al PUO (progetto urbanistico operativo) (artt. 24 e
seguenti della legge reg. n. 36 del 1997). Questa articolazione del piano
comunale consente di non adottare decisioni puntuali immediate e di modulare
progressivamente la prescrittività delle scelte
urbanistiche mano a mano che maturano le condizioni propizie alla concreta
realizzazione, senza che sia necessario ricorrere di volta in volta a procedure
di variante. A tale fine, determinati criteri e vincoli fissati dal piano di
primo livello (densità abitativa, popolazione insediabile, limiti d’altezza
delle costruzioni, standards urbanistici, ed altro)
sono fisiologicamente dotati di un certo margine di flessibilità,
principalmente negli ambiti (di trasformazione o di riqualificazione) in cui
non è possibile prevedere quale sarà la specifica tipologia della domanda
d’insediamento, ovvero quando occorrono interventi molto complessi che
richiedono il coinvolgimento delle disponibilità finanziarie private.
Le disposizioni contestate peraltro non
consentono una generica flessibilità delle previsioni del PUC, bensì
autorizzano soltanto «indicazioni alternative» di elementi determinati (del
tipo: funzioni ammesse, dotazioni infrastrutturali, densità territoriale,
quantità di superficie da destinare a servizi pubblici), che devono mantenersi
inoltre entro limiti ragionevoli. I margini di flessibilità, in particolare,
non possono comunque incidere «sul carico urbanistico e sul fabbisogno di
standard urbanistici» (si veda art. 43, comma 1, della legge reg. Liguria n. 36
del 1997, come novellato dalla legge impugnata).
6.2.‒ Secondo il Governo le disposizioni impugnate
introdurrebbero inoltre una surrettizia forma di condono edilizio, ponendosi in
contrasto con gli artt. 30, comma 1, 36 e 37 del TUE.
La censura è inammissibile per assoluta
carenza di argomenti a suo sostegno.
Il rimettente non chiarisce per quale
ragione gli interventi edilizi realizzati in contrasto con la disciplina
urbanistico-edilizia del PUC potrebbero essere «successivamente legittimati
sotto il profilo urbanistico ed edilizio».
Le norme sulle modalità di sviluppo
operativo del piano urbanistico comunale, le quali contraddicono apertamente la
prospettazione del Governo, non vengono prese in considerazione. In base a
quanto previsto dall’art. 48 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, il PUC si
attua negli ambiti di conservazione e di riqualificazione e negli ambiti di
completamento «sulla base del titolo edilizio prescritto dalla vigente
legislazione urbanistico-edilizia». I distretti di trasformazione sono invece
attuati mediante il PUO, il quale contiene gli elementi urbanistici, edilizi,
economici e gestionali idonei a realizzare lo sviluppo operativo dei distretti
di trasformazione. La prevista possibilità che il PUC detti le sole condizioni
minime di trasformabilità e rinvii alla successiva pianificazione operativa la
puntualizzazione delle costruzioni e delle attività concretamente insediabili
non legittima in alcun modo la sanatoria di interventi edilizi abusivi.
6.3.‒ Secondo il ricorrente, la
facoltà per i Comuni di assentire direttamente in sede di rilascio dei titoli
edilizi varianti non essenziali al progetto rientranti nei margini di
flessibilità (art. 60, comma 5, della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, come
novellato dall’art. 68, comma 7, della legge regionale n. 11 del 2015)
costituirebbe una violazione dell’art. 22, comma 2-bis, del TUE, secondo cui:
«Sono realizzabili mediante segnalazione certificata d’inizio attività e
comunicate a fine lavori con attestazione del professionista, le varianti a
permessi di costruire che non configurano una variazione essenziale, a
condizione che siano conformi alle prescrizioni urbanistico-edilizie e siano
attuate dopo l’acquisizione degli eventuali atti di assenso prescritti dalla
normativa sui vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali, di tutela del
patrimonio storico, artistico ed archeologico e dalle altre normative di
settore».
La questione è inammissibile perché il
ricorrente non spiega le ragioni per le quali vi sarebbe contrasto tra la
disposizione censurata e il parametro (interposto) di costituzionalità. Per
costante giurisprudenza di questa Corte, la mera indicazione delle norme da
raffrontare, senza che siano forniti argomenti a sostegno del lamentato
contrasto, non consente di valutare la compatibilità dell’una rispetto al
contenuto precettivo dell’altra (ex plurimis, sentenze n. 120
del 2015 e n.
236 del 2011; ordinanze
n. 26 del 2012, n. 321 del 2010
e n. 181 del
2009).
In ogni caso, ai sensi dell’art. 22,
comma 2-bis, del TUE, le varianti esecutive a permessi di costruire, ove non
configurino una variazione essenziale del progetto assentito e siano conformi
alle prescrizioni urbanistico-edilizie, non richiedono il rilascio di un nuovo
titolo edilizio, bensì sono realizzabili direttamente dall’interessato mediante
segnalazione certificata d’inizio attività e successiva comunicazione a fine
lavori con attestazione del professionista.
L’art. 68 della impugnata legge reg.
Liguria n. 11 del 2015 non si occupa delle variazioni esecutive di un titolo
edilizio già assentito. La disposizione regionale, nello specifico ambito dei
procedimenti di natura concertativa connessi alla pianificazione territoriale
(accordi di pianificazione, di programma, conferenze di servizi), accorda al
Comune la (diversa) facoltà «di assentire direttamente in sede di titoli
edilizi varianti non essenziali al progetto rientranti nei margini di
flessibilità, da prefissare in apposito elaborato facente parte di quelli
costitutivi del progetto approvato».
La disposizione regionale e quella
statale hanno dunque contenuti non sovrapponibili: la prima opera una
semplificazione "a monte” del titolo edilizio, in quanto l’amministrazione in
sede di rilascio di quest’ultimo deve indicare preventivamente le variazioni
non essenziali che sono consentite; la seconda opera una semplificazione "a
valle” del titolo edilizio, in quanto consente la diretta esecuzione di
varianti in corso d’opera, con l’unico onere della previa segnalazione.
6.4.‒ Da ultimo, il Governo si duole del fatto che,
introducendo la possibilità per il Comune di modificare unilateralmente la
disciplina paesaggistica contenuta nel PUC, senza prevedere la partecipazione
degli organi ministeriali, le norme impugnate violerebbero l’art. 145 del
codice dei beni culturali e del paesaggio.
Nemmeno questa questione è ammissibile.
Il contrasto con la norma interposta è
semplicemente affermato, senza che a suo sostegno siano offerti argomenti
idonei a giustificare la pretesa lesione delle prerogative statali.
Il Governo muove del resto da un erroneo
presupposto. La struttura "flessibile” del PUC non consente al Comune di modificare
unilateralmente o rendere "flessibili” i vincoli "eteronomi e sovraordinati”
discendenti dalla disciplina paesistica. L’obbligo di conformazione dello
strumento urbanistico alle prescrizioni del piano paesaggistico, del resto, è
ribadito dall’art. 13 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, nella
formulazione vigente al momento della proposizione del ricorso.
7.‒ L’art. 61, comma 6, della
legge reg. Liguria n. 11 del 2015 ha aggiunto la lettera d-bis) al comma l
dell’art. 53 della legge reg. Liguria n. 36 del 1997, il quale prevede: «I PUO
sono considerati conformi al PUC anche qualora, oltre i margini di flessibilità
previsti dal PUC e dal PUO, comportino: […] d-bis) la fissazione di distanze
tra fabbricati inferiori a quelle stabilite dal PUC che risultino idonee ad
assicurare un equilibrato assetto urbanistico e paesaggistico in relazione alle
tipologie degli interventi consentiti e tenuto conto degli specifici caratteri
dei luoghi e dell’allineamento degli immobili già esistenti, fermo restando
comunque il rispetto delle norme del codice civile e dei vincoli di interesse
culturale e paesaggistico. Tale riduzione è applicabile anche nei confronti di
edifici ubicati all’esterno del perimetro del PUO».
Secondo il Governo, la possibilità di
ridurre le distanze tra edifici anche nei confronti di edifici ubicati
all’esterno del perimetro del PUO contrasterebbe con l’art. 2-bis, del TUE.
Consentendo interventi edilizi puntuali in deroga alla normativa statale in
materia di distanze, la disposizione regionale non sarebbe diretta a soddisfare
esigenze urbanistiche, ma regolerebbe direttamente rapporti fra proprietari,
invadendo così la sfera di competenza legislativa esclusiva statale in materia
di «ordinamento civile».
7.1.‒ Secondo la giurisprudenza di questa Corte sul
riparto di competenze in tema di distanze legali, «la disciplina delle distanze
minime tra costruzioni rientra nella materia dell’ordinamento civile e, quindi,
attiene alla competenza legislativa statale; alle Regioni è consentito fissare
limiti in deroga alle distanze minime stabilite nelle normative statali, solo a
condizione che la deroga sia giustificata dall’esigenza di soddisfare interessi
pubblici legati al governo del territorio. Dunque, se da un lato non può essere
del tutto esclusa una competenza legislativa regionale relativa
alle distanze tra gli edifici, dall’altro essa, interferendo con
l’ordinamento civile, è rigorosamente circoscritta dal suo scopo − il
governo del territorio − che ne detta anche le modalità di esercizio» (sentenza n. 6 del
2013; nello stesso senso, sentenze n. 134 del
2014 e n.
114 del 2012; ordinanza
n. 173 del 2011).
Si è affermato di conseguenza che:
«Nella delimitazione dei rispettivi ambiti di competenza − statale in
materia di "ordinamento civile” e concorrente in materia di "governo del
territorio” −, il punto di equilibrio è stato rinvenuto nell’ultimo comma
dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che questa
Corte ha più volte ritenuto dotato di efficacia precettiva e inderogabile (sentenze n. 114 del
2012 e n.
232 del 2005; ordinanza
n. 173 del 2011). Tale disposto ammette distanze inferiori a
quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo "nel caso di gruppi di
edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni
convenzionate con previsioni planovolumetriche”. In
definitiva, le deroghe all’ordinamento civile delle distanze tra
edifici sono consentite se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a
conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio
(sentenza n. 6
del 2013)» (sentenza
n. 134 del 2014).
Queste conclusioni devono essere
ribadite anche alla luce dell’introduzione − ad opera dall’art. 30, comma
1, 0a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il
rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,
della legge 9 agosto 2013, n. 98 − dell’art. 2-bis del TUE. La
disposizione recepisce la giurisprudenza di questa Corte, inserendo nel testo
unico sull’edilizia i principi fondamentali della vincolatività, anche per le
regioni e le province autonome, delle distanze legali stabilite dal decreto del
Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 e dell’ammissibilità di
deroghe solo a condizione che esse siano «inserite in strumenti urbanistici,
funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone
del territorio» (sentenza
n. 134 del 2014; da ultimo, sentenze n. 231,
n. 185 e n. 178 del 2016).
7.2.‒ Su queste basi, la questione non è fondata.
L’impugnato art. 61, comma 6, della
legge reg. Liguria n. 11 del 2015 rientra nell’ambito applicativo dell’art.
2-bis del TUE, giacché, nel disciplinare i «limiti di conformità» del piano
operativo rispetto a quello strategico, consente al PUO di derogare alle
distanze previste nel PUC, il quale a sua volta ‒ in forza dell’art.
29-quinquies, comma 1, lettera b), della legge reg. Liguria n. 36 del 1997,
anch’esso inserito dall’art. 34, comma 1, della legge regionale n. 11 del 2015,
ma non impugnato dal Governo ‒ potrebbe averle fissate in misura anche
inferiore a quanto previsto nel d.m. n. 1444 del
1968.
La disposizione regionale, tuttavia,
rispetta le condizioni stabilite dall’art. 2-bis del TUE, in quanto la
possibilità di derogare alle distanze minime è accordata con la necessaria
garanzia dell’intermediazione dello strumento urbanistico e al fine di
conformare in modo omogeneo l’assetto di una specifica zona del territorio
(circoscritta, per l’appunto, agli edifici ricompresi nel PUO), e non con
riferimento a tipi di interventi edilizi singolarmente considerati
(ristrutturazioni, sopraelevazioni, recupero di sottotetti, ed altro).
La previsione regionale non risulta
priva di riferimento a specifiche esigenze del territorio neppure nella parte
in cui dispone che la riduzione delle distanze è «applicabile anche nei
confronti di edifici ubicati all’esterno del perimetro del PUO». L’inciso si
giustifica in ragione del fatto che il territorio comunale viene ripartito in
plurimi ambiti (di conservazione, di riqualificazione, di completamento) e
distretti (di trasformazione), con la conseguente necessità che sia
disciplinata anche la distanza tra un edificio ricompreso nel perimetro di uno
strumento operativo e un edificio "frontista” rispetto al primo, ma esterno a
quel perimetro e ricadente in altro ambito o distretto. Anche in questa parte,
pertanto, la disposizione regionale è conforme alla disciplina statale, in
quanto, da un lato, condiziona l’operatività del suo precetto alla presenza di
uno strumento urbanistico, dall’altro lato autorizza la riduzione delle
distanze solo se essa è idonea ad assicurare un «equilibrato assetto
urbanistico e paesaggistico in relazione alle tipologie degli interventi
consentiti e tenuto conto degli specifici caratteri dei luoghi e
dell’allineamento degli immobili già esistenti».
per
questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, della legge della Regione
Liguria 2 aprile 2015, n. 11, recante «Modifiche alla legge regionale 4
settembre 1997, n. 36 (Legge urbanistica regionale)»;
2) dichiara
cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 2, comma 1, 3, comma 2, 12, comma 1, 14, comma 1,
15, comma 1, 17, comma 1, 18, comma 1, e 27, comma 1, della legge reg. Liguria
n. 11 del 2015, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera
s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il
ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 31, comma
1, 50, comma 1, 51, comma 1, 68, comma 7, e 80, comma 1, lettera b), della
legge reg. Liguria n. 11 del 2015, promosse, in riferimento all’art. 117,
secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost., dal
Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 31, comma 1,
50, comma 1, 51, comma 1, 68, comma 7, e 80, comma 1, lettera b), della legge
reg. Liguria n. 11 del 2015, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo
comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei
ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma
1, della legge reg. Liguria n. 11 del 2015, promossa, in riferimento all’art.
117, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio
dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 61, comma 6,
della legge reg. Liguria n. 11 del 2015, promossa, in riferimento all’art. 117,
terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei
ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Daria de PRETIS, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 marzo
2017.