Sentenza n. 231 del 2016

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SENTENZA N. 231

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                           GROSSI                                        Presidente

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                  Giudice

-           Giorgio                        LATTANZI                                           

-           Aldo                            CAROSI                                                

-           Mario Rosario              MORELLI                                             

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                         

-           Giuliano                       AMATO                                                

-           Silvana                         SCIARRA                                             

-           Daria                            de PRETIS                                            

-           Nicolò                          ZANON                                                

-           Franco                         MODUGNO                                         

-           Augusto Antonio       BARBERA                                           

-           Giulio                          PROSPERETTI                                     

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 3, 6, 8, secondo trattino, 11, secondo e terzo trattino, 15, 20 e 21, primo e secondo trattino, della legge della Regione Liguria 7 aprile 2015, n. 12 (Disposizioni di adeguamento della normativa regionale), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 13-17 giugno 2015, depositato in cancelleria il 17 giugno 2015 ed iscritto al n. 65 del registro ricorsi 2015.

Visto l’atto di costituzione della Regione Liguria;

udito nell’udienza pubblica del 20 settembre 2016 il Giudice relatore Daria de Pretis;

uditi l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Gabriele Pafundi per la Regione Liguria.

Ritenuto in fatto

1.‒ Con ricorso notificato il 13-17 giugno 2015, depositato il 17 giugno 2015 e iscritto al n. 65 del registro ricorsi del 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato diversi commi dell’art. 6 della legge della Regione Liguria 7 aprile 2015, n. 12 (Disposizioni di adeguamento della normativa regionale), per violazione degli artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettere l) e m), e terzo comma, della Costituzione.

Le disposizioni impugnate recano tutte modifiche alla legge della Regione Liguria 6 giugno 2008, n. 16 (Disciplina dell’attività edilizia).

1.1.‒ Secondo il Governo i commi 3, 8, secondo trattino, e 11, terzo trattino, dell’art. 6 della legge reg. Liguria n. 12 del 2015 contrasterebbero con l’art. 117, terzo comma, Cost.

Con tali disposizioni, il legislatore regionale ha, per un verso, incluso nella nozione di manutenzione ordinaria l’installazione, all’esterno degli edifici, di impianti tecnologici e di elementi di arredo urbano «e privato pertinenziali non comportanti la creazione di volumetria» (art. 6, comma 3, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015, che modifica l’art. 6, comma 2, secondo trattino, della legge regionale n. 16 del 2008, eliminando l’inciso contenuto nella previsione novellata, secondo cui i medesimi interventi rientravano nella manutenzione ordinaria solo se «non comportanti opere edilizie». Per altro verso, ha assoggettato al regime di edilizia libera «l’installazione di opere di arredo pubblico e privato, anche di natura pertinenziale, purché non comportanti creazione di nuove volumetrie, anche interrate» (art. 6, comma 8, secondo trattino, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015, che modifica l’art. 21, comma 1, della legge reg. n. 16 del 2008), escludendoli dall’ambito di applicazione della SCIA, cui erano prima subordinati (art. 6, comma 11, terzo trattino, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015, che modifica l’art. 21-bis, comma 1, della legge reg. n. 16 del 2008).

Il ricorrente reputa che il legislatore regionale abbia ampliato l’àmbito dei lavori di «manutenzione ordinaria» fino a ricomprendervi tipologie di interventi edilizi ‒ quali appunto l’installazione di impianti tecnologici e di elementi di arredo privato pertinenziali comportanti opere edilizie ‒ che esulerebbero dalla definizione fornita dall’art. 3, comma 1, lettera a) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A, di seguito "TUE”), contenente i principi fondamentali della legislazione statale in materia di «governo del territorio».

L’installazione degli impianti tecnologici e degli arredi, in base al citato art. 3, del TUE, dovrebbe essere ricompresa: tra gli «interventi di manutenzione straordinaria» se rientrante tra le opere e le modifiche necessarie per «realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici» (art. 3, comma l, lettera b, del TUE); tra gli «interventi di ristrutturazione edilizia», se comportante «l’inserimento di nuovi elementi ed impianti» (art. 3, comma l, lettera d, del TUE); tra gli «interventi di nuova costruzione» ove integri «interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione» o comporti «la realizzazione di un volume superiore al 20 per cento del volume dell’edificio principale» (art. 3, comma l, lettera e.6, del TUE).

Il ricorrente precisa che la questione di costituzionalità investe anche la disciplina della realizzazione degli impianti tecnologici ‒ sebbene già l’art. 6, comma 2, secondo trattino, della legge reg. n. 16 del 2008 li annoverasse alla lettera i) ‒ in quanto dopo le modifiche introdotte essi rientrerebbero nel novero degli interventi di manutenzione ordinaria anche se comportanti opere edilizie (sia pure alla condizione che non si determini un aumento di volumetria). La nozione di interventi «non comportanti opere edilizie» (espressione ricorrente nella formulazione originaria dell’art. 6, comma 2, lettera i) della legge reg. n. 16 del 2008) e quella di interventi «non comportanti la creazione di nuove volumetrie» non sarebbero affatto equivalenti. Ciò che importerebbe ai fini della rilevanza edilizia dell’opera non sarebbe infatti la creazione o meno di volumetria, né la realizzazione dell’opera in spazi aperti anziché chiusi, ma il carattere di solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, e la sua idoneità a determinare una trasformazione permanente del territorio rispetto alla sua condizione naturale.

Per effetto della sua illegittima qualificazione come intervento di manutenzione ordinaria, la realizzazione delle opere sopra considerate verrebbe inclusa tra gli interventi edilizi eseguibili liberamente (ai sensi dell’art. 21 della legge reg. n. 16 del 2008), in contrasto con la disciplina statale.

Anche i commi 8, secondo trattino, e 11, terzo trattino, dell’art. 6 della legge reg. Liguria n. 12 del 2015 contrasterebbero con la normativa statale di riferimento. L’«installazione di opere di arredo pubblico e privato, anche di natura pertinenziale, purché non comportanti creazione di nuove volumetrie, anche interrate», infatti, non si identificherebbe con la realizzazione degli «elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici», che possono essere eseguiti senza titolo abilitativo ai sensi dell’art. 6, comma 2, del TUE. A questo riguardo, il Governo osserva che la norma regionale fa riferimento alla installazione di opere di arredo pubblico e privato "anche” (e non "solo”) di natura pertinenziale, mentre l’art. 6, comma 2, lettera e), del TUE si riferisce agli «elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici». Pertanto, mentre la norma statale consentirebbe interventi liberi per l’installazione di arredi solo su aree di pertinenza degli edifici, quella regionale permetterebbe di realizzare arredi, sia pubblici che privati, anche su aree non pertinenziali, includendo potenzialmente anche gli interventi di privati su aree demaniali di tipo non pertinenziale. Inoltre, a differenza della disciplina regionale, l’art. 6, comma 2, del TUE assoggetta a comunicazione di inizio attività l’esecuzione di tali interventi.

1.2.‒ Il secondo ordine di censure si appunta sull’art. 6, comma 6, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015. La disposizione, modificando l’art. 18 della legge reg. n. 16 del 2008, consente di derogare alla normativa statale in materia di distanze degli edifici in caso di interventi di recupero dei sottotetti esistenti ‒ anche se non compresi, come previsto dalla disciplina pregressa, tra gli interventi sul patrimonio edilizio o tra quelli di ristrutturazione edilizia ‒ onde consentire il rispetto dell’allineamento dell’edificio preesistente.

Secondo il Governo, la riformulazione dell’art. 18 della legge reg. n. 16 del 2008, con la sostituzione delle parole «ivi compresi» con la parola «nonché» avrebbe mutato il contenuto della norma rispetto al testo precedente. Infatti, l’inciso «interventi di recupero dei sottotetti esistenti», non più collegato ad ipotesi di «interventi sul patrimonio edilizio esistente fino alla ristrutturazione edilizia», potrebbe essere riferito anche ad interventi di carattere mirato. Di conseguenza la disciplina derogatoria dei limiti di distanza fissati dall’articolo 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della L. 6 agosto 1967, n. 765) verrebbe estesa anche ad interventi su singoli edifici, non oggetto di un più ampio intervento sul patrimonio edilizio esistente.

La disposizione regionale, in difformità dall’articolo 2-bis del TUE, non sarebbe finalizzata a soddisfare esigenze di carattere urbanistico, in quanto non realizzerebbe un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio. Non costituendo espressione della competenza legislativa regionale in materia urbanistica, essa invaderebbe la materia dell’«ordinamento civile» in violazione dei principi contenuti nell’art. 117, secondo comma, lettera l), e nell’art. 117, terzo comma, Cost. con riferimento alla materia del «governo del territorio» (si citano le sentenze della Corte n. 232 del 2005 e n. 134 del 2014).

1.3.‒ Osserva ancora il Governo che l’art. 6, comma 11, secondo trattino, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015, assoggettando a SCIA gli interventi di ristrutturazione edilizia «con contestuali modifiche all’esterno», si porrebbe in contrasto con l’articolo 10, comma l, lettera c), del TUE. Secondo quest’ultima disposizione, infatti, costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire (oppure a DIA alternativa, ai sensi dell’art. 22, comma 3, lettera a, del TUE) «gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti […]».

Il denunciato contrasto comporterebbe la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. perché le norme statali sulla SCIA attengono alla materia della «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni», nonché la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto le norme relative ai titoli abilitativi contenute nei menzionati articoli del TUE costituiscono principi fondamentali in materia di «governo del territorio».

1.4.‒ Il Governo impugna anche l’art. 6, comma 15, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015, per violazione dell’art. 117, comma 3, Cost., in riferimento all’art. 10, comma l, lettera c) del TUE.

La novella assoggetta a comunicazione di inizio dei lavori e a DIA "obbligatoria” gli «interventi [di ristrutturazione edilizia] comportanti mutamenti della destinazione d’uso aventi ad oggetto immobili compresi nelle zone omogenee A o nelle zone o ambiti ad esse assimilabili e non rientranti nei casi di cui al ridetto articolo 21 bis, comma 1, lettera f)».

La norma, secondo il ricorrente, contrasterebbe anch’essa con l’art. 10, comma l, lettera c) del TUE, che assoggetta a permesso di costruire o a DIA alternativa (art. 22, comma 3, lettera a, del d.P.R. n. 380 del 2001) la suddetta tipologia di interventi edilizi.

1.5.‒ Con ulteriore motivo di ricorso, il Governo sospetta di incostituzionalità anche i commi 20 e 21, primo e secondo trattino, dell’art. 6 della medesima legge regionale, per violazione degli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, Cost.

L’articolo 6, comma 20, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015, recante modifica dell’art. 38, comma 1, della legge reg. n. 16 del 2008, assoggetta a contributo di costruzione gli interventi sul patrimonio edilizio esistente che determinino un incremento del carico urbanistico, o comunque un’incidenza significativa sotto il profilo urbanistico, conseguenti a: «un aumento della superficie agibile dell’edificio o delle singole unità immobiliari ai sensi dell’articolo 67, con esclusione del caso di incremento della superficie agibile all’interno di unità immobiliari inferiore al limite di 25 metri quadrati e comunque delle variazioni di superficie derivanti da mera eliminazione di muri divisori (nuova lettera a dell’art. 38, comma 1)»; «interventi edilizi di frazionamento di unità immobiliari relativi ad edifici di qualunque destinazione d’uso che determinino un numero di unità immobiliari superiore al doppio di quelle esistenti, anche se non comportanti aumento di superficie agibile» (nuova lettera c dell’art. 38, comma 1).

L’art. 6, comma 21, primo trattino, recante modifica dell’art. 39 della legge reg. n. 16 del 2008, esonera dal contributo di costruzione «gli interventi di accorpamento e di frazionamento di unità immobiliari non rientranti nelle fattispecie dell’articolo 38, comma 1, lettere a) e c), anche se comportanti la mera eliminazione di muri divisori od incrementi di superficie delle unità immobiliari inferiori a 25 metri quadrati» (nuova lettera g-bis dell’art. 39, comma 1).

L’art. 6, comma 21, secondo trattino, modifica il comma 2-bis dell’art. 39 della legge reg. n. 16 del 2008, il quale ora recita: «gli interventi di manutenzione straordinaria, che comportino un aumento del carico urbanistico determinato da incremento della superficie agibile all’interno dell’unità immobiliare pari o superiore a 25 metri quadrati e non derivante dalla mera eliminazione di pareti divisorie, sono soggetti al contributo di costruzione commisurato all’incidenza delle sole opere di urbanizzazione da applicarsi sulla totalità della superficie dell’unità immobiliare interessata dall’incremento».

Secondo il Governo tali disposizioni contrasterebbero con l’art. 117, terzo comma, Cost., in riferimento all’art. 17, comma 4, del TUE, il quale prevede che per gli interventi di manutenzione straordinaria (di cui all’art. 6, comma 2, lettera a del TUE), qualora comportanti aumento del carico urbanistico, il contributo di costruzione è commisurato alla incidenza delle sole opere di urbanizzazione, purché ne derivi un aumento della superficie calpestabile. La disciplina statale commisura il contributo di costruzione ai soli oneri di urbanizzazione a fronte dell’aumento del carico urbanistico e della superficie agibile, prescindendo da qualsiasi limite di aumento della superficie calpestabile o del numero delle unità immobiliari soggette a frazionamento o accorpamento, previsti invece dalla normativa regionale. Inoltre, diversamente da quanto previsto dalla legislazione statale, la normativa regionale esonera del tutto dal contributo di costruzione alcuni tipi di interventi.

Avendo il legislatore statale preferito non fornire una definizione rigida della nozione di "carico urbanistico”, che resta affidata alla elaborazione giurisprudenziale, non sarebbe consentito al legislatore regionale definire puntualmente la nozione, intervenendo così sulle condizioni che determinano l’obbligo di versamento del contributo rispetto a quelle desumibili dalla normativa statale di riferimento.

Le norme censurate si porrebbero altresì in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui assoggettano al contributo di costruzione gli interventi edilizi di frazionamento di unità immobiliari relativi ad edifici di qualunque destinazione d’uso che determinino un numero di unità immobiliari superiore al doppio di quelle esistenti, con aumento di superficie agibile superiore a 25 metri quadrati. In particolare, le richiamate disposizioni regionali contrasterebbero con i canoni di ragionevolezza e di buona amministrazione desumibili dalle predette norme costituzionali, in considerazione della eccessiva gravosità degli oneri economici imposti agli interessati.

1.6.‒ Con memoria depositata il 30 agosto 2016, il Governo ha ulteriormente precisato gli argomenti posti a fondamento dell’impugnazione.

2.‒ Il 24 luglio 2015 si è costituita la Regione Liguria, argomentando diffusamente l’infondatezza del ricorso avversario.

2.1.‒ Quanto al paventato contrasto della disposizione contenuta nell’art. 6, comma 3, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015 con l’art. 3, comma l, lettera a), del d.P.R. 380 del 2001, la Regione Liguria ha eccepito in via pregiudiziale l’inammissibilità della questione nella parte relativa all’installazione di impianti tecnologici. La modifica apportata alla legislazione regionale pregressa non avrebbe riguardato tale categoria di interventi (già prevista nell’originaria disposizione regionale), bensì si sarebbe limitata ad inserire negli interventi di manutenzione ordinaria la fattispecie dell’installazione di elementi di arredo privato di natura pertinenziale, nel frattempo inserita dal legislatore fra gli interventi di attività edilizia libera nell’art. 6, comma 2, lettera e), del testo unico edilizia.

In ogni caso, la disciplina regionale relativa all’installazione di impianti tecnologici sarebbe pienamente coerente con la definizione statale degli interventi di manutenzione ordinaria. Difatti la disposizione impugnata dovrebbe intendersi esclusivamente riferita alle installazioni di impianti necessarie per l’integrazione e il mantenimento in efficienza degli impianti tecnologici esistenti (quali ad esempio quelli di riscaldamento e di climatizzazione), sempreché non comportino alterazioni dell’aspetto esterno del fabbricato e delle sue pertinenze (caso quest’ultimo in cui gli interventi rientrerebbero nella fattispecie della manutenzione straordinaria di cui all’art. 7, comma 2, lettera e, della legge reg. n. 16 del 2008).

Sotto altro profilo, occorrerebbe considerare che l’attuale formulazione dell’art. 6, comma 1, lettera a) del TUE – come modificato dal decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito in legge 11 novembre 2014, n. 164 – ha ricompreso nell’ambito della manutenzione ordinaria gli interventi di installazione di pompe di calore aria di potenza non inferiore a 12 kW.

Nemmeno le censure sollevate con riguardo alla riconduzione al regime dell’attività edilizia libera dell’installazione di «opere di arredo pubblico e privato, anche di natura pertinenziale, purché non comportanti creazione di volumetria» sarebbero fondate. Le opere di arredo oggetto delle previsioni censurate sarebbero assimilabili alle fattispecie di attività edilizia libera individuate dalla normativa statale di principio agli artt. 3, comma l, lettera a), e 6, comma 2, lettera e) del d.P.R. n. 380 del 2001. La modifica alla precedente disposizione regionale riguarderebbe, infatti, elementi di arredo privato di natura pertinenziale che, in quanto non comportanti creazione di volumetria (e cioè non concretanti la creazione di manufatti chiusi), non presenterebbero alcuna rilevanza sotto il profilo edilizio, consistendo, ad esempio, nell’installazione di panchine, fioriere, gazebo aperti che sono da posizionare in spazi esterni alla costruzione principale. Si rileva anche che la legge reg. n. 16 del 2008 aveva mantenuto correttamente distinte le opere di arredo di irrilevante impatto urbanistico-edilizio, dai manufatti pertinenziali aventi rilevanza urbanistico-edilizia (disciplinati dall’art. 17 della medesima legge reg. n. 16 del 2008).

La disposizione regionale censurata, tra l’altro, avrebbe introdotto una modifica restrittiva rispetto alla corrispondente fattispecie prevista all’art. 6, comma 2, lettera e) del d.P.R. n. 380 del 2001. Infatti, a fronte della generica formulazione statale «elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici», il legislatore regionale ha individuato gli elementi di arredo privato suscettibili di rientrare nella fattispecie a riferimento in quelli «non comportanti creazione di volumetria», restringendo così il campo di applicazione della norma statale.

2.2.‒ Quanto alla disposizione riguardante la deroga alle distanze legali in caso di interventi di recupero a fini abitativi dei sottotetti, la Regione osserva che la norma impugnata avrebbe fornito concreta applicazione dall’art. 2-bis del TUE. La regola dell’allineamento stabilita all’art. 18, comma l, della legge reg. n. 16 del 2008 perseguirebbe specifiche finalità di natura urbanistica e di adeguato assetto del territorio, in quanto volta a garantire che gli interventi di recupero a fini abitativi dei locali sottotetto (assentibili in base alla legge reg. Liguria 6 agosto 2001, n. 24, recante «Recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti») non determinino effetti di disorganico inserimento nel contesto urbanistico-edilizio degli innalzamenti della costruzione funzionali al recupero dei sottotetti, effetti che potrebbero impropriamente determinarsi laddove, in assenza della previsione impugnata, per il generale rispetto della distanza minima di metri 10,00 da pareti finestrate, risultassero necessari arretramenti rispetto al filo della costruzione, non compatibili con l’assetto urbanistico-edilizio dell’edificato esistente.

2.3.‒ Con riguardo agli interventi di ristrutturazione edilizia comportanti incrementi della superficie all’interno delle singole unità immobiliari o dell’edificio «con contestuali modifiche all’esterno», la Regione deduce che, con la previsione oggetto di impugnazione, sarebbero stati assoggettati a SCIA soltanto quei tipi di ristrutturazione edilizia che interessano essenzialmente l’interno degli edifici esistenti (e, cioè, comportanti operazioni di ridistribuzione delle superfici all’interno della scatola volumetrica attraverso lo spostamento di solai) e che non implicano né interventi di demolizione e ricostruzione, né modifiche della sagoma, né ampliamento di volumetria originaria (tali fattispecie rientrerebbero nelle previsioni rispettivamente della successiva lettera e-bis dell’art. 21-bis e dell’art. 23, comma l, lettera b, della legge reg. n. 16 del 2008). Le «contestuali modifiche all’esterno» potrebbero consistere soltanto in modifiche di dettaglio delle facciate esistenti quali gli adattamenti delle bucature o di altri elementi già presenti e che siano connessi ai lavori di ristrutturazione interna, e non in modifiche della dimensione e delle caratteristiche essenziali dei prospetti.

In via subordinata, la Regione stigmatizza l’incoerenza del legislatore statale, il quale, mentre (con le recenti modifiche apportate al TUE agli artt. 3, comma l, lettera d, e 10, comma l, lettera c) ha espressamente eliminato l’obbligo di rispetto della sagoma originaria per gli interventi di ristrutturazione edilizia comportanti demolizione e ricostruzione, assoggettando a SCIA tale operazione, avrebbe invece mantenuto assoggettati a permesso di costruire gli interventi di ristrutturazione che comportino modifiche dei prospetti, trascurando di considerare che il concetto di sagoma secondo la comune definizione tecnico-edilizia racchiuderebbe anche quello di prospetto.

2.4.‒ Per un altro profilo, la censura sollevata con riferimento all’art. 6, comma 15 della legge impugnata ‒ che ha assoggettato a DIA "obbligatoria” gli interventi di ristrutturazione edilizia comportanti mutamenti di destinazione d’uso aventi ad oggetto immobili compresi nelle zone omogenee A o ambiti ad esse assimilabili ‒ si fonderebbe su una inesatta ricostruzione della natura della DIA "obbligatoria” regolata dall’art. 23, comma l, della legge reg. n. 16 del 2008. Nell’ordinamento regionale ligure, la DIA "obbligatoria” costituirebbe propriamente una DIA "sostitutiva” del permesso di costruire, conforme a quanto previsto dall’art. 22, comma 3, del TUE.

2.5.‒ Da ultimo, con riguardo alla impugnazione dell’art. 6, commi 20 e 21, viene fatto osservare che il legislatore regionale, a fronte dell’art. 17, comma 4 del TUE, che individua il presupposto per assoggettamento a contributo nell’incremento del carico urbanistico «purché ne derivi un incremento della superficie calpestabile», ha inteso rendere in concreto operativa la norma statale di principio, specificando puntuali criteri idonei a definire, sia i presupposti per la sussistenza dell’incremento del carico urbanistico (art. 38, comma l), sia le condizioni per la sussistenza dell’aumento della superficie calpestabile (art. 39, comma l, lettera g-bis, e comma 2-bis). L’obiettivo delle modifiche introdotte dalla legge reg. Liguria n. 12 del 2015 sarebbe di far sì che un incremento della superficie agibile assuma rilevanza in termini di carico urbanistico aggiuntivo solo se di entità tale da consentire l’insediamento di almeno un nuovo abitante teorico (cui corrisponde, in base al d.m. n. 1444 del 1968, una superficie quantificabile in 25 mq), oppure se l’intervento, pur non comportando incrementi delle superfici originarie, determini la realizzazione di un numero di unità immobiliari che si risolva in un oggettivo aumento del peso insediativo.

2.6.‒ Con memoria depositata il 30 agosto 2016, la Regione resistente ha ribadito le proprie difese.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 3, 6, 8, secondo trattino, 11, secondo e terzo trattino, 15, 20 e 21, della legge della Regione Liguria 7 aprile 2015, n. 12 (Disposizioni di adeguamento della normativa regionale), per violazione degli artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettere l) e m), e terzo comma, della Costituzione.

2.– Con un primo ordine di motivi, il ricorrente impugna l’art. 6, commi 3, 8, secondo trattino, e 11, terzo trattino, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015, nella parte in cui, per un verso, ha incluso nella nozione di manutenzione ordinaria l’installazione, all’esterno degli edifici, di impianti tecnologici o di elementi di arredo urbano «e privato pertinenziali non comportanti la creazione di volumetria» (così l’art. 6, comma 3, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015, che modifica l’art. 6, comma 2, della legge della Regione Liguria 6 giugno 2008, n. 16, recante «Disciplina dell’attività edilizia»), eliminando l’inciso secondo cui i medesimi interventi rientravano nella manutenzione ordinaria solo se «non comportanti opere edilizie»; per altro verso, ha assoggettato al regime di edilizia libera «l’installazione di opere di arredo pubblico e privato, anche di natura pertinenziale, purché non comportanti creazione di nuove volumetrie, anche interrate» (così l’art. 6, comma 8, secondo trattino, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015, che modifica l’art. 21, comma 1, della legge reg. n. 16 del 2008), escludendole dall’ambito di applicazione della SCIA, cui erano prima subordinate (così l’art. 6, comma 11, terzo trattino, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015, che modifica l’art. 21-bis, comma 1, della legge reg. n. 16 del 2008).

Le disposizioni regionali citate violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost., in riferimento ai principi fondamentali della legislazione statale in materia di «governo del territorio» contenuti nel d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A» (di seguito "TUE”), in quanto gli interventi menzionati non rientrerebbero nell’àmbito dei lavori di manutenzione ordinaria come definiti dall’articolo 3 del TUE, né sarebbero identificabili con gli «elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici» di cui all’art. 6, comma 2, del TUE. Per effetto di tale illegittima qualificazione, la realizzazione delle opere in questione verrebbe inclusa tra gli interventi edilizi eseguibili liberamente (ai sensi dell’art. 21 della legge reg. n. 16 del 2008), senza nemmeno l’onere della previa comunicazione di inizio attività.

I profili di censura concernenti l’installazione di impianti tecnologici devono essere trattati separatamente da quelli riferiti alle opere di arredo.

2.1.– Quanto alla installazione di impianti tecnologici, la difesa regionale eccepisce preliminarmente che il motivo di ricorso sarebbe inammissibile, dal momento che l’oggetto delle modifiche apportate dalla legge reg. Liguria n. 12 del 2015 andrebbe esclusivamente circoscritto alla sostituzione delle originarie parole «non comportanti opere edilizie» con le parole «e privato pertinenziali non comportanti creazione di volumetria».

L’eccezione non è fondata.

La struttura sintattica dell’enunciato riferisce la modifica dell’inciso anche agli impianti tecnologici (il connettivo "o” posto tra «impianti tecnologici» e «elementi di arredo urbano e privato pertinenziali» è utilizzato come disgiunzione inclusiva e non esclusiva). La disposizione impugnata, dunque, ha l’effetto di includere innovativamente tra gli interventi di manutenzione ordinaria anche l’installazione di impianti tecnologici «comportanti opere edilizie ma senza creazione di nuova volumetria». Sussiste, dunque, l’interesse del Governo all’impugnazione.

La questione, nel merito, è fondata.

Secondo la giurisprudenza costituzionale, la definizione delle categorie di interventi edilizi a cui si collega il regime dei titoli abilitativi costituisce principio fondamentale della materia concorrente del «governo del territorio», vincolando la legislazione regionale di dettaglio (sentenza n. 303 del 2003; in seguito, sentenze n. 259 del 2014, n. 171 del 2012; n. 309 del 2011). Cosicché, pur non essendo precluso al legislatore regionale di esemplificare gli interventi edilizi che rientrano nelle definizioni statali, tale esemplificazione, per essere costituzionalmente legittima, deve essere coerente con le definizioni contenute nel testo unico dell’edilizia.

L’art. 6 del TUE identifica le categorie di interventi edilizi c.d. "liberi”, ovvero non condizionati al previo ottenimento di un assenso da parte dell’amministrazione, distinguendo: le attività libere per le quali l’interessato è del tutto esonerato da oneri (art. 6, comma 1); le attività libere per le quali viene prescritta una comunicazione dell’interessato di inizio dei lavori, cosiddetto "cil” (art. 6, comma 2); le attività libere che richiedono comunicazione di inizio dei lavori asseverata da tecnico abilitato, cosiddetto "cila” (art. 6, comma 4).

Nel novero delle attività completamente deformalizzate, il TUE include «gli interventi di manutenzione ordinaria», definiti come «gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti» (art. 3, comma 1, lettera a, del TUE).

La previsione impugnata, non limitandosi a considerare l’integrazione o il mantenimento in efficienza di impianti tecnologici già esistenti, e includendo, con l’espressione «installazione», anche la realizzazione di nuovi impianti (sia pure non comportanti la creazione di volumetria), si pone in contrasto con la disciplina del TUE che assoggetta quest’ultima tipologia di intervento al regime della cila o della SCIA, a seconda della consistenza del manufatto.

Al fine di dimostrare la coerenza della disposizione impugnata con la citata nozione statale di «manutenzione ordinaria», la Regione resistente sottolinea che, nell’impianto della legge reg. Liguria n. 16 del 2008, gli impianti tecnologici sono presi in considerazione anche da altre norme, che riservano ad essi un regime differenziato in ragione di loro caratteristiche strutturali. Così, in particolare: le opere di adeguamento, rinnovo e sostituzione di impianti tecnologici comportanti «alterazione delle caratteristiche distributive» sono incluse nella definizione di «manutenzione straordinaria» (art. 7, comma 2, lettera e); le opere di natura pertinenziale (tra le quali l’art. 17, comma 3, include anche gli impianti tecnologici) sono subordinate a DIA "obbligatoria” se comportanti creazione di volumetria (ai sensi dell’art. 23, comma 1, lettera c); la «realizzazione di impianti tecnologici, anche comportanti la realizzazione di volumi tecnici, diversi da quelli al servizio di edifici o di attrezzature esistenti», è anch’essa subordinata a DIA "obbligatoria” (ai sensi dell’art. 23, comma 1, lettera e).

Tuttavia, la lettura sistematica di tali disposizioni non esclude, bensì accresce, l’ambiguità semantica della disposizione impugnata, la quale può assumere il significato di consentire che, al di fuori delle ipotesi appena menzionate, manufatti tecnologici vengano realizzati senza alcuna forma di controllo edilizio, neppure indiretta mediante denuncia, in violazione del limite generale fissato dalla legislazione statale di principio.

Non vale, del resto, a superare la censura di estraneità dell’oggetto della previsione regionale alla nozione statale di manutenzione ordinaria, neppure l’inclusione in quest’ultima ad opera del TUE ‒ a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 17, comma 1, lettera c), numero 01), del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014 n. 164 ‒ degli «interventi di installazione di pompe di calore aria-aria di potenza non inferiore a 12 kW». La novella non modifica invero la nozione generale contenuta all’art. 3, comma 1, lettera a), del TUE, alla quale soltanto occorre fare riferimento per stabilire il regime edilizio di opere per le quali manchino espresse indicazioni normative.

2.2.– Con riguardo al profilo di impugnazione concernente le opere di arredo, va precisato che l’art. 6, comma 3, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015 riconduce nella nozione di manutenzione ordinaria ‒ e, quindi, al regime giuridico della edilizia libera, ai sensi dell’art. 21, comma 1, lettera a) della legge reg. n. 16 del 2008 ‒ l’installazione di «elementi di arredo urbano e privato pertinenziali non comportanti creazione di volumetria» (art. 6, comma 2, lettera i, della legge reg. n. 16 del 2008 come novellato). Nel contempo, l’art. 6, commi 8, secondo trattino, e 11, terzo trattino, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015 ha incluso nel novero delle attività edilizie "libere” l’«installazione di opere di arredo pubblico e privato, anche di natura pertinenziale, purché non comportanti creazione di nuove volumetrie, anche interrate» (art. 21, comma 1, lettera i-bis, della legge reg. n. 16 del 2008 come novellato). Le due tipologie di intervento non sembrano presentare significative differenze: né l’utilizzo del termine «elementi» in luogo di «opere», né l’aggiunta dell’esclusione delle volumetrie «anche interrate», appaiono in grado di segnare una apprezzabile diversità dei rispettivi connotati edilizi.

Poiché il Governo lamenta l’illegittima inclusione delle opere in questione tra gli interventi edilizi eseguibili liberamente, senza necessità di titolo abilitativo, occorre verificare se il legislatore regionale, nel precisare l’ambito riservato all’attività edilizia libera, si sia mantenuto nei limiti di quanto gli è consentito. L’art. 6, comma 6, del TUE prevede che le regioni a statuto ordinario possano estendere tale disciplina a «interventi edilizi ulteriori» (lett. a), nonché disciplinare «le modalità di effettuazione dei controlli» (lett. b). Nel definire i limiti del potere così assegnato alle regioni, questa Corte ha escluso «che la disposizione appena citata permetta al legislatore regionale di sovvertire le "definizioni” di "nuova costruzione” recate dall’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001» (sentenza n. 171 del 2012). L’attività demandata alla Regione si inserisce pur sempre nell’ambito derogatorio definito dall’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, attraverso la enucleazione di interventi tipici da sottrarre a permesso di costruire e SCIA (segnalazione certificata di inizio attività). Non è perciò ragionevole ritenere che il legislatore statale abbia reso cedevole l’intera disciplina dei titoli edilizi, spogliandosi del compito, proprio del legislatore dei principi fondamentali della materia, di determinare quali trasformazioni del territorio siano così significative da soggiacere comunque a permesso di costruire. Lo spazio attribuito alla legge regionale si deve quindi sviluppare secondo scelte coerenti con le ragioni giustificatrici che sorreggono, secondo le previsioni dell’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, le specifiche ipotesi di sottrazione al titolo abilitativo» (sentenza n. 139 del 2013). Il limite assegnato al legislatore regionale dall’art. 6, comma 6, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001 sta, dunque, nella «possibilità di estendere i casi di attività edilizia libera ad ipotesi non integralmente nuove, ma "ulteriori”, ovvero coerenti e logicamente assimilabili agli interventi di cui ai commi 1 e 2 del medesimo art. 6» (così ancora la sentenza n. 139 del 2013).

Su queste basi, si deve ritenere che il legislatore regionale ligure, nell’includere nel novero delle attività edilizie "libere” l’installazione di opere di arredo privato, anche di natura pertinenziale, purché non comportanti creazione di nuove volumetrie, non abbia esteso i casi di attività edilizia libera a un’ipotesi integralmente nuova, non coerente e logicamente assimilabile agli interventi già previsti ai commi 1 e 2 dell’art. 6 del TUE. Come si può desumere anche dalla diversa disciplina riservata dallo stesso legislatore regionale alle «opere di sistemazione e di arredo» di natura pertinenziale (art. 17 della legge reg. n. 16 del 2008) assoggettate a DIA "obbligatoria” (ai sensi dell’art. 23 della stessa legge), la tipologia di arredo incluso tra gli interventi non subordinati a titoli abilitativi corrisponde a manufatti che, per le loro caratteristiche di precarietà strutturale e funzionale, sono destinati a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte nel tempo, e non sono pertanto idonei a configurare un aumento del volume e della superficie coperta, né ad alterare il prospetto o la sagoma dell’edificio.

Si tratta dunque di opere assimilabili a quelle previste all’art. 6, comma 6, del TUE, che alla lettera e) considera gli «elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici». La legge regionale appare anzi più restrittiva, perché precisa (a differenza della legge statale) che tali opere non possono comportare la creazione di volumetria. Sussiste, tuttavia, un profilo rispetto al quale il legislatore regionale ha ecceduto dalla sfera della competenza concorrente assegnata dall’art. 117, terzo comma, Cost.

Mentre il citato art. 6, comma 2, lettera e), del TUE, subordina gli «elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici» alla previa comunicazione dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato al comune, la previsione regionale impugnata accomuna la disciplina dell’arredo su area pertinenziale e di quello sugli spazi "scoperti” dell’edificio, ma non impone per il primo lo stesso onere formale.

Le regioni possono sì estendere la disciplina statale dell’edilizia libera ad interventi "ulteriori” rispetto a quelli previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 6 del TUE, ma non anche differenziarne il regime giuridico, dislocando diversamente gli interventi edilizi tra le attività deformalizzate, soggette a cil e cila

L’omogeneità funzionale della comunicazione preventiva (asseverata o meno) rispetto alle altre forme di controllo delle costruzioni (permesso di costruire, DIA, SCIA), deve indurre a riconoscere alla norma che la prescrive ‒ al pari di quelle che disciplinano i titoli abilitativi edilizi ‒ la natura di principio fondamentale della materia del «governo del territorio», in quanto ispirata alla tutela di interessi unitari dell’ordinamento e funzionale a garantire un assetto coerente su tutto il territorio nazionale, limitando le differenziazioni delle legislazioni regionali.

Essendo precluso al legislatore regionale di discostarsi dalla disciplina statale e di rendere talune categorie di opere totalmente libere da ogni forma di controllo, neppure indiretto mediante denuncia, l’art. 6 della legge reg. Liguria n. 12 del 2015 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo limitatamente ai commi 3, 8, secondo trattino, e 11, terzo trattino.

3.‒ Il Governo ritiene ancora che le modifiche apportate dal sesto comma dell’art. 6 della legge impugnata all’art. 18, comma l, della legge regionale n. 16 del 2008, recante la disciplina delle distanze da osservare negli interventi sul patrimonio edilizio esistente e di nuova costruzione, contrastino con l’art. 2-bis del TUE, in quanto la disciplina introdotta dalla Regione Liguria sarebbe destinata, non a soddisfare esigenze di carattere urbanistico, bensì a consentire interventi edilizi puntuali, in deroga alla normativa statale in materia di distanze, e invaderebbe così la sfera di competenza legislativa esclusiva statale in materia di «ordinamento civile» (di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.).

La questione è fondata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte sul riparto di competenze in tema di distanze legali, «la disciplina delle distanze minime tra costruzioni rientra nella materia dell’ordinamento civile e, quindi, attiene alla competenza legislativa statale; alle Regioni è consentito fissare limiti in deroga alle distanze minime stabilite nelle normative statali, solo a condizione che la deroga sia giustificata dall’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio. Dunque, se da un lato non può essere del tutto esclusa una competenza legislativa regionale relativa alle distanze tra gli edifici, dall’altro essa, interferendo con l’ordinamento civile, è rigorosamente circoscritta dal suo scopo − il governo del territorio − che ne detta anche le modalità di esercizio» (sentenza n. 6 del 2013; nello stesso senso, sentenze n. 134 del 2014 e n. 114 del 2012; ordinanza n. 173 del 2011).

Si è affermato di conseguenza che: «Nella delimitazione dei rispettivi ambiti di competenza − statale in materia di "ordinamento civile” e concorrente in materia di "governo del territorio” −, il punto di equilibrio è stato rinvenuto nell’ultimo comma dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che questa Corte ha più volte ritenuto dotato di efficacia precettiva e inderogabile (sentenze n. 114 del 2012 e n. 232 del 2005; ordinanza n. 173 del 2011). Tale disposto ammette distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo "nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”. In definitiva, le deroghe all’ordinamento civile delle distanze tra edifici sono consentite se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio (sentenza n. 6 del 2013)» (sentenza n. 134 del 2014).

Queste conclusioni meritano di essere ribadite anche alla luce dell’introduzione − ad opera dall’art. 30, comma 1, 0a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98 − dell’art. 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001. La disposizione recepisce la giurisprudenza di questa Corte, inserendo nel testo unico sull’edilizia i principi fondamentali della vincolatività, anche per le regioni e le province autonome, delle distanze legali stabilite dal d.m. n. 1444 del 1968 e dell’ammissibilità di deroghe solo a condizione che esse siano «inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio» (sentenza n. 134 del 2014; da ultimo sentenze 185 e 178 del 2016).

La disposizione regionale impugnata, non affidando l’operatività dei suoi precetti a «strumenti urbanistici» e non essendo funzionale ad un «assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio», riferisce la possibilità di deroga a qualsiasi ipotesi di intervento, quindi anche su singoli edifici, con la conseguenza che essa risulta assunta al di fuori dell’ambito della competenza regionale concorrente in materia di «governo del territorio», in violazione del limite dell’«ordinamento civile» assegnato alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

Va ancora precisato che, se è vero che ‒ come sembra opinare il Governo ‒ le stesse ragioni di contrasto con il riparto di competenze costituzionali potevano essere riferite al testo originario della norma, in quanto non conseguono alla sostituzione delle parole «ivi compresi» con la parola «nonché» (anche gli «interventi sul patrimonio edilizio esistente» possono infatti esaurirsi in un intervento mirato), la mancata impugnazione a suo tempo, da parte dello Stato, della disposizione originaria non rileva ai fini del presente giudizio, poiché la disposizione censurata – che peraltro presenta un contenuto di novità rispetto alla disposizione modificata, anche per l’aggiunta della previsione che il recupero del sottotetto non costituisce creazione di un nuovo piano – ha comunque l’effetto di reiterare la lesione da cui deriva l’interesse a ricorrere dello Stato. L’omessa impugnazione da parte di quest’ultimo di precedenti norme regionali, analoghe a quelle oggetto di ricorso, non ha rilievo, dato che l’istituto dell’acquiescenza non è applicabile nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale (ex plurimis, sentenze n. 215 e n. 124 del 2015, n. 139 del 2013, n. 71 del 2012 e n. 187 del 2011).

4.‒ È altresì fondata, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, Cost., in riferimento all’art. 10, comma l, lettera c), del TUE, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 11, secondo trattino, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015, con il quale è stata sostituita la lettera e) del comma l, dell’art. 21-bis della legge reg. n. 16 del 2008. In virtù di tale modifica la ristrutturazione edilizia comportante incrementi della superficie all’interno delle singole unità immobiliari o dell’edificio «con contestuali modifiche all’esterno» è stata assoggettata a SCIA.

La norma regionale impugnata, assoggettando a SCIA gli interventi di ristrutturazione edilizia con «contestuali modifiche all’esterno», si pone in evidente contrasto con l’art. 10, comma l, lettera c), del TUE ‒ costituente principio fondamentale della materia «governo del territorio» ‒ il quale prevede che gli interventi di ristrutturazione edilizia comportanti modifiche «dei prospetti» sono assoggettati a permesso di costruire o a DIA alternativa (art. 22, comma 3, lettera a, del TUE). La modifica dei prospetti (ovvero, del fronte o della facciata) comporta infatti inevitabilmente una modifica «all’esterno» dell’edificio.

L’interpretazione riduttiva della Regione, secondo la quale la norma impugnata si limiterebbe a subordinare alla presentazione della SCIA le sole modifiche di dettaglio – che non potrebbero consistere in modifiche della dimensione e delle caratteristiche essenziali dei prospetti, bensì soltanto in modifiche di dettaglio delle facciate esistenti (quali gli adattamenti delle bucature o di altri elementi già presenti e che siano connessi ai lavori di ristrutturazione interna) – non corrisponde alla lettera della disposizione, che si riferisce invece genericamente e senza alcuna limitazione a tutte le modifiche esterne eseguite contestualmente ai lavori di ristrutturazione interni alle singole unità immobiliari.

4.1.‒ Il concorrente profilo di contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., denunciato dal Governo, perché il citato art. 6, comma 11, avrebbe invaso la potestà esclusiva dello Stato in materia di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni», cui andrebbe ricondotta la disciplina della SCIA, può ritenersi assorbito.

5.‒ È fondata anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 15, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015, nella parte in cui assoggetta obbligatoriamente a DIA gli «interventi [di ristrutturazione edilizia] comportanti mutamenti della destinazione d’uso aventi ad oggetto immobili compresi nelle zone omogenee A o nelle zone o ambiti ad esse assimilabili e non rientranti nei casi di cui al ridetto articolo 21-bis, comma 1, lettera f)», per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in riferimento all’art. 10, comma l, lettera c), del TUE.

L’art. 10, comma l, lettera c), del TUE, subordina a permesso di costruire la realizzazione delle opere di ristrutturazione edilizia sugli immobili compresi nelle zone omogenee A, che comportino mutamenti della destinazione d’uso. Per la stessa tipologia di opere, l’art. 22, comma 3, del TUE consente all’interessato, per ragioni di carattere acceleratorio, di optare per la presentazione della DIA (cosiddetta "super DIA”). Tale facoltà esaurisce i propri effetti sul piano esclusivamente procedimentale, mentre sul piano sostanziale dei presupposti, nonché su quello penale e contributivo, resta ferma l’applicazione della disciplina dettata per il permesso di costruire.

L’art. 23, comma 1, della legge reg. n. 16 del 2008, come novellato dalla norma censurata, assoggetta a comunicazione di inizio dei lavori e a DIA "obbligatoria” vari interventi, tra i quali i lavori di ristrutturazione edilizia comportanti mutamenti della destinazione d’uso su immobili compresi nelle zone omogenee A o nelle zone o ambiti ad esse assimilabili (lettera b). Anche la DIA regionale "obbligatoria” ‒ come la cosiddetta "super DIA” del citato art. 22, comma 3, del TUE ‒ esaurisce i propri effetti sul piano procedimentale (art. 23, comma 3, della legge reg. n. 16 del 2008). Sotto questo profilo, dunque, il regime regionale contestato è coerente con quanto previsto dal TUE.

La previsione della DIA "obbligatoria” come modello procedimentale sostitutivo del permesso di costruire, anziché come modello alternativo (secondo quanto previsto nel TUE), tuttavia, rappresenta un disallineamento non consentito della disciplina regionale rispetto a quella statale. La facoltà per il privato, prevista dal legislatore statale, di chiedere il permesso di costruire o di presentare, alternativamente, denuncia di inizio di attività per la realizzazione degli interventi previsti all’art. 22, comma 3, del TUE, ricade nella disciplina dei titoli abilitativi, e quindi tra i principi fondamentali della materia concorrente del «governo del territorio».

L’ordinamento statale attribuisce una particolare considerazione all’interesse del privato a munirsi di un assenso esplicito – anche a garanzia della migliore certezza delle situazioni giuridiche, tanto più rilevante quando, come nella materia edilizia, possano sopravvenire interventi interdittivi dell’amministrazione – come è confermato dal successivo comma 7, del medesimo art. 22 del TUE, il quale fa comunque sempre salva la possibilità per l’interessato di chiedere il rilascio del permesso di costruire per interventi che sarebbero realizzabili con la mera presentazione della denuncia di inizio attività.

6.‒ Il Presidente del Consiglio censura infine le disposizioni contenute nell’art. 6, commi 20 e 21, primo e secondo trattino, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015.

L’articolo 6, comma 20, recante modifica dell’art. 38, comma 1, della legge reg. n. 16 del 2008, assoggetta a contributo di costruzione gli interventi sul patrimonio edilizio esistente che determinano un incremento del carico urbanistico, o comunque un’incidenza significativa sotto il profilo urbanistico, conseguenti a: «un aumento della superficie agibile dell’edificio o delle singole unità immobiliari ai sensi dell’articolo 67, con esclusione del caso di incremento della superficie agibile all’interno di unità immobiliari inferiore al limite di 25 metri quadrati e comunque delle variazioni di superficie derivanti da mera eliminazione di muri divisori (nuova lettera a dell’art. 38, comma 1)»; «interventi edilizi di frazionamento di unità immobiliari relativi ad edifici di qualunque destinazione d’uso che determinino un numero di unità immobiliari superiore al doppio di quelle esistenti, anche se non comportanti aumento di superficie agibile» (nuova lettera c dell’art. 38, comma 1).

L’art. 6, comma 21, primo trattino, di modifica dell’art. 39 della legge reg. n. 16 del 2008, esonera dal contributo di costruzione «gli interventi di accorpamento e di frazionamento di unità immobiliari non rientranti nelle fattispecie dell’articolo 38, comma 1, lettere a) e c), anche se comportanti la mera eliminazione di muri divisori od incrementi di superficie delle unità immobiliari inferiori a 25 metri quadrati» (nuova lettera g-bis dell’art. 39, comma 1).

L’art. 6, comma 21, secondo trattino, modifica il comma 2-bis dell’art. 39 della legge reg. n. 16 del 2008, il quale ora recita: «gli interventi di manutenzione straordinaria, che comportino un aumento del carico urbanistico determinato da incremento della superficie agibile all’interno dell’unità immobiliare pari o superiore a 25 metri quadrati e non derivante dalla mera eliminazione di pareti divisorie, sono soggetti al contributo di costruzione commisurato all’incidenza delle sole opere di urbanizzazione da applicarsi sulla totalità della superficie dell’unità immobiliare interessata dall’incremento».

Secondo il Governo tali disposizioni contrasterebbero con l’art. 117, terzo comma, Cost., in riferimento all’articolo 17, comma 4, del TUE, il quale prevede che per gli interventi di manutenzione straordinaria (di cui all’art. 6, comma 2, lettera a, del TUE), qualora comportanti aumento del carico urbanistico, il contributo di costruzione sia commisurato alla incidenza delle sole opere di urbanizzazione, purché ne derivi un aumento della superficie calpestabile. La disciplina statale condiziona l’obbligo di corrispondere il contributo di costruzione (commisurato in questo caso ai soli oneri di urbanizzazione), all’aumento del carico urbanistico e della superficie agibile, prescindendo da limiti di aumento della superficie calpestabile o di numero delle unità immobiliari soggette a frazionamento o accorpamento. Prevedendo una soglia al di sotto della quale gli interventi sarebbero esonerati dal contributo, la Regione Liguria avrebbe introdotto ipotesi di esonero non contemplate dalla legislazione statale.

6.1.‒ La questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 20 e 21, primo trattino, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015, è fondata.

Con tali disposizioni il legislatore regionale esonera dal contributo di costruzione due categorie di intervento che secondo la legge statale devono invece restare soggette a contribuzione, nei termini fissati dal TUE: gli interventi sul patrimonio edilizio esistente che determinano un aumento della superficie agibile dell’edificio o delle singole unità immobiliari, quando l’incremento della superficie agibile all’interno delle unità immobiliari sia inferiore a 25 metri quadrati, e quando le variazioni di superficie derivino da mera eliminazione di muri divisori; gli interventi di frazionamento di unità immobiliari che determinino un numero di unità immobiliari inferiore al doppio di quelle esistenti, sia pure con aumento di superficie agibile.

A seconda delle loro concrete caratteristiche costruttive, questi interventi (qualificati genericamente dal legislatore regionale come «interventi sul patrimonio edilizio esistente») possono rientrare nella nozione di «manutenzione straordinaria», come definita agli artt. 3, comma 1, lettera b) e 6, comma 2, lettera a) del TUE, o in quella di «ristrutturazione edilizia», come definita dall’art. 3, comma 1, lettera d) del TUE. La disciplina statale prevede per la prima (ove ricorrano i presupposti dell’art. 17, comma 4, del TUE) una riduzione del contributo alla sola parte corrispondente alla incidenza delle opere di urbanizzazione, e per la seconda la regola del pagamento del contributo per intero, salvi casi particolari di esonero, come quello della ristrutturazione di edifici unifamiliari (art. 17, comma 3, lettera b, del TUE), o di riduzione, come quello della ristrutturazione di immobili dismessi o in via di dismissione (art. 17, comma 4-bis, del TUE).

Le fattispecie di esonero introdotte dalle norme regionali impugnate vanno al di là di queste ipotesi e contrastano, dunque, con i principi fondamentali della materia. L’onerosità del titolo abilitativo «riguarda infatti un principio della disciplina un tempo urbanistica e oggi ricompresa fra le funzioni legislative concorrenti sotto la rubrica "governo del territorio”» (sentenza n. 303 del 2003), e anche le deroghe al principio (elencate all’art. 17 del TUE), in quanto legate a quest’ultimo da un rapporto di coessenzialità, partecipano della stessa natura di principio fondamentale (sentenze n. 1033 del 1988 e n. 13 del 1980).

6.2.‒ Resta da scrutinare la censura riferita all’art. 39, comma 2-bis, della legge reg. Liguria n. 16 del 2008 (come novellato dall’art. 6, comma 21, secondo trattino, della legge reg. n. 12 del 2015), ai sensi del quale: «Gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’art. 21-bis, comma 1, qualora comportanti un aumento del carico urbanistico determinato da incremento della superficie agibile all’interno dell’unità immobiliare pari o superiore a 25 metri quadrati e non derivante dalla mera eliminazione di pareti divisorie, sono soggetti al contributo di costruzione commisurato all’incidenza delle sole opere di urbanizzazione e da applicarsi sulla totalità della superficie dell’unità immobiliare interessata dall’incremento».

La questione non è fondata.

È vero che l’art. l7, comma 4, del TUE assoggetta a contributo di costruzione, sia pur in misura ridotta, come visto, tutti gli interventi di manutenzione straordinaria previsti all’articolo 6, comma 2, lettera a), se comportanti aumento del carico urbanistico e purché ne derivi un aumento della superficie calpestabile, e che la disposizione regionale quantifica il presupposto impositivo dell’aumento di carico urbanistico, stabilendo che esso ricorre quando vi sia un incremento della superficie agibile all’interno dell’unità immobiliare pari o superiore a 25 metri quadrati e non derivante dalla mera eliminazione di pareti divisorie.

Così facendo, peraltro, la legge regionale non invade l’ambito della normativa di principio, in quanto si limita a introdurre una più precisa quantificazione dei presupposti applicativi della disposizione statale. Il principio fondamentale della materia che quest’ultima esprime, ossia la riduzione della contribuzione per le opere di manutenzione straordinaria comportanti un aumento del carico urbanistico, resta salvo, risultando solo precisata, nella norma regionale, la nozione di aumento del carico urbanistico.

6.3.‒ Il Governo sostiene infine che l’art. 6, commi 20 e 21, primo e secondo trattino, contrasterebbe anche con gli artt. 3 e 97 Cost., in relazione ai canoni di ragionevolezza e di buona amministrazione, in considerazione di una ritenuta eccessiva gravosità degli oneri imposti agli interessati.

La censura è formulata in termini così generici da non consentire di identificare le ragioni per le quali i parametri invocati sarebbero violati. Il ricorrente non spiega per quale motivo l’imposizione del contributo di costruzione nella misura ordinaria dovrebbe ritenersi eccessivamente onerosa e neppure in quali termini tale maggiorazione potrebbe riflettersi sul buon andamento della pubblica amministrazione. In quanto non offre un percorso logico argomentativo idoneo a collegare le norme impugnate ai parametri invocati, la questione deve essere dichiarata inammissibile (sentenze n. 250 e n. 221 del 2013).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, commi 3, 8, secondo trattino, e 11, terzo trattino, della legge della Regione Liguria 7 aprile 2015, n. 12 (Disposizioni di adeguamento della normativa regionale);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 6, della legge della Regione Liguria n. 12 del 2015;

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 11, secondo trattino, della legge della Regione Liguria n. 12 del 2015;

4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 15, della legge della Regione Liguria n. 12 del 2015;

5) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, commi 20 e 21, primo trattino, della legge della Regione Liguria n. 12 del 2015;

6) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 20 e 21, primo e secondo trattino, della legge della Regione Liguria n. 12 del 2015, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

7) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 21, secondo trattino, della medesima legge della Regione Liguria n. 12 del 2015, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 settembre 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Daria de PRETIS, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 3 novembre 2016.