SENTENZA
N. 1
ANNO
2014
Commenti alla decisione di
I. Renzo Dickmann, La Corte
dichiara incostituzionale il premio di maggioranza e il voto di lista e
introduce un sistema elettorale proporzionale puro fondato su una preferenza,
per g.c. di Federalismi.it
II. Beniamino Caravita, La
riforma elettorale alla luce della sent. 1/2014, per g.c.
di Federalismi.it
III. Giovanni Guzzetta,
La
sentenza n. 1 del 2014 sulla legge elettorale a una prima lettura,
per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
IV. Ida Nicotra, Proposte per una nuova legge
elettorale alla luce delle motivazioni contenute nella sentenza della Corte
costituzionale n. 1 del 2014, in questa Studi, 2014
V. Lorenzo Spadacini, I
limiti alla discrezionalità del legislatore in materia elettorale desumibili
dalla sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014, per g.c. del Forum
di Quaderni Costituzionali
VI. Andrea Pertici, La
Corte costituzionale dichiara l’incostituzionalità della legge elettorale tra
attese e sorprese (con qualche indicazione per il legislatore), per g.c. del Forum
di Quaderni Costituzionali
VII. Fabio Ferrari, Liste
bloccate o situazione normativa? Un’alternativa all’oggetto del giudizio di
costituzionalità, per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
VIII. Francesca Sgrò, La
censura di parziale incostituzionalità della legge elettorale e il ripristino
del sistema proporzionale, tra rappresentanza politica e governabilità, per
g.c. del Forum
di Quaderni Costituzionali
IX. Rosa Pastena, Operazione
di chirurgia elettorale. Note a margine della sentenza n. 1 del 2014, per g.c. dell’Osservatorio AIC
X. Andrea Severini, Luci
ed ombre della sentenza n. 1/2014, per g.c. dell’Osservatorio AIC
XI. Giovanni Serges, Spunti di giustizia costituzionale a margine
della declaratoria di illegittimità della legge elettorale, per g.c. della Rivista
AIC
XII. Sara Lieto e Pasquale Pasquino, La
Corte costituzionale e la legge elettorale: la sentenza n.1 del 2014, per g.c. del Forum
di Quaderni Costituzionali
XIII. Antonio Riviezzo, Nel
giudizio in via incidentale in materia elettorale la Corte forgia un tipo di
dispositivo inedito: l’annullamento irretroattivo come l’abrogazione. È
arrivato l’"abroga-mento”?, per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
XIV. Henri Schmit, La
sentenza 1/2014 e i diritti elettorali garantiti dalla Costituzione, per g.c. del Forum
di Quaderni Costituzionali
XV. Adele Anzon Demmig, Accesso al
giudizio di costituzionalità e intervento "creativo” della Corte costituzionale,
per g.c. della Rivista
AIC
XVI. Antonio Saitta, Riforme
costituzionali e sorte del costituzionalismo, in questa Rivista, Studi, 2014
XVII. Gaetano Azzariti, La riforma elettorale, per g.c. della Rivista
AIC
XVIII. Giuseppe Lodato, Simone Pajno e Gino Scaccia, Quanto
può essere distorsivo il premio di maggioranza? Considerazioni
costituzionalistico-matematiche a partire dalla sent. n. 1 del 2014, pe g.c. di Federalismi.it
XIX. Francesco Bilancia, "Ri-porcellum"
e giudicato costituzionale, per g.c. di Costituzionalismo.it
XX. Federico Ghera, La
sentenza n. 1/2014 della Corte costituzionale: profili processuali e
"sostanziali”, per g.c. di Diritti fondamentali
XXI. Roberto Bin, "Zone
franche” e legittimazione della Corte, per g.c. del Forum di Quaderni
Costituzionali
XXII. Sandro Staiano, La
vicenda del giudizio sulla legge elettorale: crisi forse provvisoria del
modello incidentale, per g.c. della Rivista
AIC
XXIII. Alessandro Martinuzzi,
La
fine di un antico feticcio: la sindacabilità della legge elettorale italiana, per g.c. del Forum di Quaderni
Costituzionali
XXIV. Francesco Gabriele, Molto rumore per nulla? La "zona franca”
elettorale colpita ma non affondata (anzi ...). Riflessioni sulla sentenza
della Corte costituzionale n. 1 del 2014, in questa Studi, 2014
XXV. Lara Trucco, Il sistema elettorale Italicum alla prova della
sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014 (note a prima lettura), in questa Rivista, Studi, 2014
XXVI. Luciana Pesole,
L'incostituzionalità
della legge elettorale nella prospettiva della Corte costituzionale, tra
circostanze contingenti e tecniche giurisprudenziali già sperimentate, per g.c. di Costituzionalismo.it
XXVII. Marta Caredda, La retroattività
bilanciabile. Ragionando intorno alla sentenza n. 1 del 2014 della Corte
costituzionale, per g.c. di Costituzionalismo.it
XXVIII. Giancarlo
Guarino, Corte
costituzionale e leggi elettorali: note di un internazionalista a margine di
una recente sentenza, in questa Rivista, Studi, 2014
XXIX. Marco Armanno, Diritto di voto, rappresentanza ed evoluzione
del sistema dei partiti politici. Riflessioni a margine della recente
giurisprudenza costituzionale,
per g.c. della Rivista
AIC
XXX. Antonello Lo
Calzo, La
convalida delle elezioni e gli effetti della sentenza della Corte
costituzionale n. 1 del 2014, per g.c. del Forum di Quaderni
Costituzionali
XXXI. Davide Brusatori, Ancora sulla sentenza n. 1/2014 in tema di rappresentanza politica: spunti per una riflessione, per g.c. di Diritti fondamentali
XXXII. Lara Trucco, Il sistema elettorale
"Italicum-bis” alla prova della sentenza della Corte
costituzionale n. 1 del 2014 (ATTO SECONDO), in questa Rivista, Studi, 2015/I, 285
XXXIII. Francesco Felicetti, Democrazia rappresentativa e illegittimità
costituzionale delle leggi elettorali, per g.c. dell’Osservatorio AIC
XXXIV. Marco Polese, L’eccezione e la regola: considerazioni sulla
giurisprudenza costituzionale in tema di ammissibilità della questione a
partire dalla sentenza n. 1/2014, per g.c. della Rivista
AIC
XXXV. Vincenzo Tondi della Mura, Ma la discrezionalità legislativa non è uno spazio vuoto. Primi spunti di riflessione sulle sentenze della Consulta n. 1/2014 e n. 35/2017, per g.c. di Diritti fondamentali
XXXVI. Adriana Ciancio, Electoral laws, judicial review and the principle of "communicating vessels”, per g.c. di Diritti
fondamentali
XXXVII. Giorgio Sobrino,
Il
problema dell’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale della
legge elettorale alla luce delle sentenze n. 1/2014 e n. 35/2017 e le sue
possibili ricadute: dalla (non più tollerabile) "zona franca” alla
(auspicabile) "zona a statuto speciale” della giustizia costituzionale?,
per g.c. di Federalismi.it
XXXVIII. Piero Pinna, La
crisi di legittimazione del governo rappresentativo. Riflessioni sulla sentenza
della Corte costituzionale n. 1 del 2014, per g.c. dell’Osservatorio AIC
XXXIX. Mario Iannella, Notazioni
a Corte cost. n. 1/2014 ad esaurimento del giudizio
di rinvio, per g.c. dell’Osservatorio AIC
XL. Vincenzo Tondi Dalla Mura, La discrezionalità del legislatore in materia
elettorale, la «maieutica» della Consulta e il favor (negletto)
verso il compromesso legislativo: continuità e discontinuità fra le
sentenze n. 1 del 2014 e n. 35 del 2017, per g.c. della Rivista
AIC
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo
Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario
Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO
"
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale degli artt. 4, comma 2, 59 e 83, comma 1, n. 5 e comma 2 del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del
testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei
deputati), nel testo risultante dalla legge
21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica);
degli artt. 14, comma 1, e 17, commi 2 e 4, del decreto
legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi
recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica), nel testo risultante dalla legge
n. 270 del 2005, promosso dalla Corte di cassazione nel giudizio civile
vertente tra Aldo Bozzi ed altri e la Presidenza del Consiglio dei ministri ed
altro con ordinanza
del 17 maggio 2013 iscritta al n. 144 del registro ordinanze 2013 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale,
dell’anno 2013.
Visto l’atto
di costituzione di Aldo Bozzi ed altri;
udito nell’udienza
pubblica del 3 dicembre 2013 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;
uditi gli
avvocati Claudio Tani, Aldo Bozzi e Felice Carlo Besostri
per Aldo Bozzi ed altri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza
del 17 maggio 2013, la Corte di cassazione ha sollevato questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, 59 e 83, comma 1, n. 5, e
comma 2, del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361
(Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della
Camera dei deputati), nel testo in vigore con le modificazioni apportate dalla
legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per
l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica), nonché
degli artt. 14, comma 1, e 17, commi 2 e 4, del decreto legislativo 20 dicembre
1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato
della Repubblica), nel testo in vigore con le modificazioni apportate dalla
legge n. 270 del 2005, in riferimento agli artt. 3, 48, secondo comma, 49, 56, primo comma, 58, primo comma, e 117, primo comma, della
Costituzione, anche alla luce dell’art. 3,
protocollo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (di seguito, CEDU),
ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed
esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo
addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952).
1.1.– Il rimettente
premette di essere chiamato a pronunciarsi sul ricorso promosso nei confronti
della sentenza della Corte d’appello di Milano, resa il 24 aprile 2012, con cui
quest’ultima, confermando la sentenza di primo grado, aveva rigettato la
domanda con la quale un cittadino elettore aveva chiesto che fosse accertato
che il suo diritto di voto non aveva potuto e non può essere esercitato in
coerenza con i principi costituzionali.
In particolare, la
Corte di cassazione precisa che il suddetto cittadino elettore aveva convenuto
in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, la Presidenza del Consiglio dei
ministri e il Ministero dell’interno, deducendo che nelle elezioni per la
Camera dei deputati e per il Senato della Repubblica svoltesi successivamente
all’entrata in vigore della legge n. 270 del 2005 e, specificamente, in
occasione delle elezioni del 2006 e del 2008, egli aveva potuto esercitare il
diritto di voto secondo modalità configurate dalla predetta legge in senso
contrario ai principi costituzionali del voto «personale ed eguale, libero e
segreto» (art. 48, secondo comma, Cost.) ed «a suffragio universale e diretto»
(artt. 56, primo comma e 58, primo comma, Cost.). Pertanto, chiedeva fosse
dichiarato che il suo diritto di voto non aveva potuto e non può essere
esercitato in modo libero e diretto, secondo le modalità previste e garantite
dalla Costituzione e dal protocollo 1 della CEDU, e quindi chiedeva di
ripristinarlo secondo modalità conformi alla legalità costituzionale. A tal
fine eccepiva l’illegittimità costituzionale di svariate disposizioni delle
leggi elettorali della Camera e del Senato. Il Tribunale di Milano, dinanzi al
quale svolgevano interventi ad adiuvandum venticinque cittadini elettori, con sentenza
del 18 aprile 2011, rigettava le eccezioni preliminari di inammissibilità per
difetto di giurisdizione e insussistenza dell’interesse ad agire e, nel merito,
respingeva le domande, giudicando manifestamente infondate le proposte
eccezioni di illegittimità costituzionale. Avverso tale decisione veniva
proposto appello che veniva, tuttavia, anche quanto alla fondatezza
dell’eccezione di illegittimità costituzionale, respinto nel merito.
1.2.– In linea
preliminare, la Corte di cassazione rileva, anzitutto, che sulla questione
della sussistenza dell’interesse ad agire dei ricorrenti, ai sensi dell’art.
100 del codice di procedura civile, in specie sull’interesse dei predetti a
proporre un’azione di accertamento della pienezza del proprio diritto di voto,
quale diritto politico di rilevanza primaria, di cui sarebbe precluso l’esercizio
in modo conforme alla Costituzione dalla legge n. 270 del 2005, si è formato il
giudicato, considerato che i giudici di merito avevano respinto le relative
eccezioni delle amministrazioni convenute in giudizio e che queste ultime non
hanno proposto ricorso incidentale.
1.3.– Il rimettente
afferma, inoltre, che anche sulla questione della giurisdizione si è formato il
giudicato, non essendo stata più riproposta. Un’azione di accertamento di un
diritto, d’altra parte, non avrebbe potuto che essere promossa dinanzi al
giudice ordinario, giudice naturale dei diritti fondamentali, non interferendo
in nessun modo con la giurisdizione riservata alle Camere, tramite le
rispettive Giunte parlamentari (art. 66 Cost.), in tema di operazioni
elettorali.
1.4.– Quanto, poi,
alla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale proposte, la Corte
di cassazione ne ravvisa la sussistenza sulla base della considerazione che
l’accertamento della pienezza del diritto di voto non può avvenire se non
all’esito del controllo di costituzionalità delle norme di cui alla legge n.
270 del 2005, da cui si ritiene derivi la lesione del predetto diritto.
1.5. – Ancora
preliminarmente, il rimettente rileva, infine, che, nella specie, sussiste il
necessario nesso di pregiudizialità delle questioni di legittimità
costituzionale proposte rispetto al giudizio principale, posto che quest’ultimo
deve essere definito con una sentenza che accerti la portata del diritto
azionato e lo ripristini nella pienezza della sua espansione, anche se per il
tramite della sentenza della Corte costituzionale. Il petitum del giudizio principale
sarebbe, pertanto, separato e distinto rispetto a quello oggetto del giudizio
di legittimità costituzionale. Peraltro, nei casi di leggi che, nel momento
stesso in cui entrano in vigore, creano in maniera immediata restrizioni dei
poteri o doveri in capo a determinati soggetti, i quali, pertanto, si trovano
per ciò stesso già pregiudicati da esse, come nel caso in esame delle leggi
elettorali, l’azione di accertamento rappresenterebbe l’unica strada
percorribile per la tutela giurisdizionale di diritti fondamentali di cui,
altrimenti, non sarebbe possibile una tutela efficace e diretta.
1.6.– Nel merito, la
Corte di cassazione, in contrasto con quanto ritenuto dai giudici di merito,
premette che l’assenza di una espressa base giuridica della materia elettorale
nella Costituzione non autorizza a ritenere che la relativa disciplina non
debba essere coerente con i conferenti principi sanciti dalla Costituzione ed
in specie con il principio di eguaglianza inteso come principio di
ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., e con il vincolo del voto personale,
eguale, libero e diretto (artt. 48, 56 e 58 Cost.), in linea, peraltro, con una
consolidata tradizione costituzionale comune a molti Stati.
Né varrebbe ad
escludere la possibilità di sollevare questioni di legittimità costituzionale
delle leggi elettorali l’obiezione che, rientrando queste ultime nella
categoria delle leggi costituzionalmente necessarie, non ne sarebbe possibile
l’espunzione dall’ordinamento nemmeno in caso di illegittimità costituzionale,
poiché, in tal modo, si finirebbe col tollerare la permanente vigenza di norme
incostituzionali, di rilevanza essenziale per la vita democratica di un Paese.
D’altra parte, la Corte di cassazione sottolinea che le questioni di
legittimità costituzionale proposte non mirano «a far caducare l’intera legge
n. 270/2005, né a sostituirla con un’altra eterogenea, impingendo
nella discrezionalità del legislatore», ma solo a «ripristinare nella legge
elettorale contenuti costituzionalmente obbligati, senza compromettere la
permanente idoneità del sistema elettorale a garantire il rinnovo degli organi
costituzionali». A tal proposito la Corte di cassazione sottolinea che «tale conclusione
non è contraddetta né ostacolata dalla eventualità che si renda necessaria
un’opera di mera cosmesi normativa e di ripulitura del testo per la presenza di
frammenti normativi residui, che può essere realizzata dalla Corte
costituzionale, avvalendosi dei suoi poteri (in specie di quelli di cui
all’art. 27, ultima parte, della legge n. 87 del 1953) o dal legislatore in
attuazione dei principi enunciati dalla stessa Corte».
1.7.– Tanto
premesso, il rimettente censura anzitutto l’art. 83, comma 1, n. 5, e comma 2,
del d.P.R. n. 361 del 1957, nella parte in cui
prevede che l’Ufficio elettorale nazionale verifica «se la coalizione di liste
o la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi
abbia conseguito almeno 340 seggi» (comma 1, n. 5) e stabilisce che, in caso
negativo, ad essa viene attribuito il numero di seggi necessario per
raggiungere tale consistenza.
Tali disposizioni,
non subordinando l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di
una soglia minima di voti e, quindi, trasformando una maggioranza relativa di
voti (potenzialmente anche molto modesta) in una maggioranza assoluta di seggi,
determinerebbero irragionevolmente una oggettiva e grave alterazione della
rappresentanza democratica.
Esse, inoltre, delineerebbero
un meccanismo premiale manifestamente irragionevole, il quale, da un lato,
incentivando il raggiungimento di accordi tra le liste al fine di accedere al
premio, si porrebbe in contraddizione con l’esigenza di assicurare la
governabilità, stante la possibilità che, anche immediatamente dopo le
elezioni, la coalizione beneficiaria del premio si sciolga o uno o più partiti
che ne facevano parte ne escano; dall’altro, provocherebbe una alterazione
degli equilibri istituzionali, tenuto conto che la maggioranza beneficiaria del
premio sarebbe in grado di eleggere gli organi di garanzia che, tra l’altro,
restano in carica per un tempo più lungo della legislatura.
La previsione
dell’attribuzione del premio di maggioranza recata dalle predette disposizioni
comprometterebbe poi l’eguaglianza del voto e cioè la «parità di condizione dei
cittadini nel momento in cui il voto viene espresso», in violazione dell’art.
48, secondo comma, Cost., tenuto conto che la distorsione provocata dalla
predetta attribuzione del premio costituirebbe non già un mero inconveniente di
fatto, ma il risultato di un meccanismo irrazionale poiché normativamente
programmato per tale esito.
1.8.– Analoghe
censure sono, poi, rivolte all’art. 17, commi 2 e 4, del d.lgs. n. 533 del 1993,
nella parte in cui prevede che l’Ufficio elettorale regionale verifica «se la
coalizione di liste o la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di
voti validi espressi nell’àmbito della circoscrizione abbia conseguito almeno
il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione, con arrotondamento all’unità
superiore» (comma 2) e che, in caso negativo, «l’ufficio elettorale regionale
assegna alla coalizione di liste o alla singola lista che abbia ottenuto il
maggior numero di voti un numero di seggi ulteriore necessario per raggiungere
il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione, con arrotondamento all’unità
superiore» (comma 4).
Anche le predette
disposizioni, infatti, nella parte in cui non subordinano l’attribuzione del
premio di maggioranza su scala regionale al raggiungimento di una soglia minima
di voti, sarebbero tali da determinare una oggettiva e grave alterazione della
rappresentanza democratica.
Esse, inoltre,
recherebbero un meccanismo intrinsecamente irrazionale, che di fatto finirebbe
con contraddire lo scopo di assicurare la governabilità, in quanto, essendo il
premio diverso per ogni Regione, il risultato sarebbe una sommatoria casuale
dei premi regionali, che potrebbero finire per elidersi tra loro e addirittura
rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base
nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti,
pur in presenza di una distribuzione del voto sostanzialmente omogenea tra i
due rami del Parlamento, e compromettendo sia il funzionamento della forma di
governo parlamentare, nella quale il Governo deve avere la fiducia delle due
Camere (art. 94, primo comma, Cost.), sia l’esercizio della funzione
legislativa, che l’art. 70 Cost. attribuisce alla Camera ed al Senato.
Un’ulteriore censura
è, infine, prospettata con riferimento agli artt. 3 e 48, secondo comma, Cost.,
in quanto, posto che l’entità del premio, in favore della lista o coalizione
che ha ottenuto più voti, varia da Regione a Regione ed è maggiore nelle Regioni
più grandi e popolose, il peso del voto (che dovrebbe essere uguale e contare
allo stesso modo ai fini della traduzione in seggi) sarebbe diverso a seconda
della collocazione geografica dei cittadini elettori.
1.9.–Vengono,
infine, censurati l’art. 4, comma 2, del d.P.R. n.
361 del 1957 e, in via consequenziale, l’art. 59, comma 1, del medesimo d.P.R., nonché l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del
1993, nella parte in cui, rispettivamente, prevedono: l’art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957, che «Ogni elettore dispone di un
voto per la scelta della lista ai fini dell’attribuzione dei seggi in ragione
proporzionale, da esprimere su un’unica scheda recante il contrassegno di
ciascuna lista»; l’art. 59 del medesimo d.P.R. n.
361, che «Una scheda valida per la scelta della lista rappresenta un voto di
lista»; nonché l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, che «Il voto si
esprime tracciando, con la matita, sulla scheda un solo segno, comunque
apposto, sul rettangolo contenente il contrassegno della lista prescelta».
Tali disposizioni
violerebbero gli artt. 56, primo comma, e 58, primo comma, Cost., che
stabiliscono che il suffragio è «diretto» per l’elezione dei deputati e dei
senatori; l’art. 48, secondo comma, Cost. che stabilisce che il voto è personale
e libero; l’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 3 del protocollo
1 della CEDU, che riconosce al popolo il diritto alla «scelta del corpo
legislativo»; e l’art. 49 Cost. Esse, infatti, non consentendo all’elettore di
esprimere alcuna preferenza, ma solo di scegliere una lista di partito, cui è
rimessa la designazione dei candidati, renderebbero il voto sostanzialmente
"indiretto”, posto che i partiti non possono sostituirsi al corpo elettorale e
che l’art. 67 Cost. presuppone l’esistenza di un mandato conferito direttamente
dagli elettori. Inoltre, sottraendo all’elettore la facoltà di scegliere
l’eletto, farebbero sì che il voto non sia né libero, né personale.
2.– Nel giudizio
innanzi alla Corte si sono costituiti i ricorrenti nel giudizio principale, i
quali, nell’atto di costituzione e nella memoria depositata nell’imminenza
dell’udienza pubblica, hanno chiesto che sia dichiarata l’illegittimità
costituzionale delle norme censurate con l’ordinanza di rimessione; nonché che
sia dichiarata l’illegittimità costituzionale, per relationem, anche dell’art. 83, commi
1, n. 3 e 6, del d.P.R. n. 361 del 1957 e dell’art.
16, comma 1, lettera b), n. 1 e n. 2,
del d.lgs. n. 533 del 1993.
In particolare, con
riguardo alle norme inerenti al premio di maggioranza, i ricorrenti ne
sostengono l’irrazionalità, sulla scia di quanto già evidenziato dalla dottrina
ed affermato dalla giurisprudenza costituzionale, in sede di sindacato di
ammissibilità del referendum
abrogativo (sentenze n. 15 e n. 16 del 2008
e n. 13 del 2012), proprio in
relazione al fatto che le vigenti leggi elettorali attribuiscono un enorme
premio di maggioranza alla lista che ha ottenuto anche un solo voto in più
delle altre, senza prevedere il raggiungimento di una soglia minima di voti.
Quanto al voto di
preferenza, i ricorrenti lamentano che l’esercizio di tale diritto sia stato
illegittimamente soppresso dal legislatore del 2005, in contrasto con la
Costituzione, che, all’art. 48, secondo comma, stabilisce che il voto è
«personale ed eguale, libero e segreto» ed agli artt. 56, primo comma, e 58,
primo comma, prevede che il voto deve avvenire «a suffragio universale e
diretto», assicurando in tal modo che il voto sia espresso dalla persona che
vota (elettorato attivo) e ricevuto direttamente dalla persona che si è
candidata (elettorato passivo). Attribuendo rilevanza esclusiva all’ordine di
inserimento dei candidati nella medesima lista, già deciso dagli organi di
partito, ed eliminando ogni potere dell’elettore di incidere direttamente sulla
composizione dell’Assemblea, la legge avrebbe trasformato le elezioni in un
procedimento di mera ratifica dell’ordine di lista deciso dagli organi di
partito, conferendo a costoro l’esclusivo potere non più di designazione di una
serie di nomi da sottoporre singolarmente alla scelta diretta degli elettori,
ma di nomina.
3.– All’udienza
pubblica, le parti costituite nel giudizio hanno insistito per l’accoglimento
delle conclusioni formulate nelle difese scritte.
Considerato in diritto
1.– La Corte di
cassazione dubita della legittimità costituzionale di alcune disposizioni del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico
delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati) e del
decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti
norme per l’elezione del Senato della Repubblica), nel testo risultante dalle
modifiche apportate dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme
per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica),
relative all’attribuzione del premio di maggioranza su scala nazionale alla
Camera e su scala regionale al Senato, nonché di quelle disposizioni che,
disciplinando le modalità di espressione del voto come voto di lista, non
consentono all’elettore di esprimere alcuna preferenza.
1.1.– In particolare,
la Corte di cassazione censura, anzitutto, l’art. 83 del d.P.R.
n. 361 del 1957, nella parte in cui dispone che l’Ufficio elettorale nazionale
verifica «se la coalizione di liste o la singola lista che ha ottenuto il
maggior numero di voti validi espressi abbia conseguito almeno 340 seggi»
(comma 1, n. 5) e stabilisce che, in caso negativo, «ad essa viene
ulteriormente attribuito il numero di seggi necessario per raggiungere tale
consistenza» (comma 2).
Tali disposizioni
violerebbero l’art. 3 Cost., congiuntamente agli artt. 1, secondo comma, e 67
Cost., in quanto, non subordinando l’attribuzione del premio di maggioranza al
raggiungimento di una soglia minima di voti e, quindi, trasformando una
maggioranza relativa di voti, potenzialmente anche molto modesta, in una
maggioranza assoluta di seggi, determinerebbero irragionevolmente una oggettiva
e grave alterazione della rappresentanza democratica.
Esse, inoltre,
avrebbero stabilito un meccanismo di attribuzione del premio manifestamente
irragionevole, il quale, da un lato, sarebbe in contrasto con l’esigenza di
assicurare la governabilità, in quanto incentiverebbe il raggiungimento di
accordi tra le liste al solo fine di accedere al premio, senza scongiurare il
rischio che, anche immediatamente dopo le elezioni, la coalizione beneficiaria
del premio possa sciogliersi, o uno o più partiti che ne facevano parte escano
dalla stessa. Dall’altro, provocherebbe un’alterazione degli equilibri
istituzionali, tenuto conto che la maggioranza beneficiaria del premio sarebbe
in grado di eleggere gli organi di garanzia che restano in carica per un tempo
più lungo della legislatura.
Tale modalità di
attribuzione del premio di maggioranza stabilita dalle predette disposizioni
comprometterebbe, inoltre, l’eguaglianza del voto e cioè la parità di
condizione dei cittadini nel momento in cui il voto viene espresso, in
violazione dell’art. 48, secondo comma, Cost. La distorsione che ne risulta non
costituirebbe, infatti, un mero inconveniente di fatto, ma sarebbe il risultato
di un meccanismo irrazionale normativamente programmato per determinare tale
esito.
1.2.– Analoghe
censure sono rivolte all’art. 17 del d.lgs. n. 533 del 1993 (concernente la
disciplina dell’elezione del Senato della Repubblica), nella parte in cui stabilisce
che l’Ufficio elettorale regionale verifica «se la coalizione di liste o la
singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi
nell’àmbito della circoscrizione abbia conseguito almeno il 55 per cento dei
seggi assegnati alla regione, con arrotondamento all’unità superiore» (comma 2)
e che, in caso negativo, «l’ufficio elettorale regionale assegna alla
coalizione di liste o alla singola lista che abbia ottenuto il maggior numero
di voti un numero di seggi ulteriore necessario per raggiungere il 55 per cento
dei seggi assegnati alla regione, con arrotondamento all'unità superiore»
(comma 4).
Anche tali
disposizioni, nella parte in cui non subordinano l’attribuzione del premio di
maggioranza su scala regionale al raggiungimento di una soglia minima di voti,
determinerebbero, irragionevolmente, una oggettiva e grave alterazione della
rappresentanza democratica. Inoltre, avrebbero creato un meccanismo
intrinsecamente irrazionale, in contrasto con lo scopo di assicurare la
governabilità. Infatti, essendo detto premio diverso per ogni Regione, il
risultato sarebbe una somma casuale dei premi regionali, che potrebbero finire
per rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base
nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti
nei due rami del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto
sostanzialmente omogenea, così da compromettere sia il funzionamento della
forma di governo parlamentare, nella quale il Governo deve avere la fiducia
delle due Camere (art. 94, primo comma, Cost.), sia l’esercizio della funzione
legislativa, che l’art. 70 Cost. attribuisce alla Camera ed al Senato.
Le predette
disposizioni violerebbero anche gli artt. 3 e 48, secondo comma, Cost., in
quanto, posto che l’entità del premio, in favore della lista o coalizione che
ha ottenuto più voti, varia da Regione a Regione ed è maggiore in quelle più
grandi e popolose, il peso del voto – che dovrebbe essere uguale e contare allo
stesso modo ai fini della traduzione in seggi – sarebbe diverso a seconda della
collocazione geografica dei cittadini elettori.
1.3.– La Corte di
cassazione censura, infine, l’art. 4, comma 2, del d.P.R.
n. 361 del 1957 e, in via consequenziale, l’art. 59 del medesimo d.P.R., nonché l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del
1993, nella parte in cui, rispettivamente, prevedono: l’art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957, che «Ogni elettore dispone di un
voto per la scelta della lista ai fini dell’attribuzione dei seggi in ragione
proporzionale, da esprimere su un’unica scheda recante il contrassegno di
ciascuna lista»; l’art. 59 del medesimo d.P.R. n.
361, che «Una scheda valida per la scelta della lista rappresenta un voto di
lista»; nonché l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, che «Il voto si
esprime tracciando, con la matita, sulla scheda un solo segno, comunque
apposto, sul rettangolo contenente il contrassegno della lista prescelta».
Tali disposizioni, ad
avviso del rimettente, violerebbero gli artt. 56, primo comma, e 58, primo
comma, Cost., i quali stabiliscono che il suffragio è diretto per l’elezione
dei deputati e dei senatori; l’art. 48, secondo comma, Cost., in virtù del
quale il voto è personale e libero; l’art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all’art. 3 del protocollo 1, della Convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre
1950 (di seguito, CEDU), ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto
1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre
1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il
20 marzo 1952), che riconosce al popolo il diritto alla «scelta del corpo
legislativo»; e l’art. 49 Cost. Dette norme, non consentendo all’elettore di
esprimere alcuna preferenza per i candidati, ma solo di scegliere una lista di
partito, cui è rimessa la designazione di tutti i candidati, renderebbero,
infatti, il voto sostanzialmente "indiretto”, posto che i partiti non
potrebbero sostituirsi al corpo elettorale e che l’art. 67 Cost. presupporrebbe
l’esistenza di un mandato conferito direttamente dagli elettori. Inoltre,
sottraendo all’elettore la facoltà di scegliere l’eletto, farebbero sì che il
voto non sia libero, né personale.
2.– In ordine
all’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale in esame, va
premesso che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, siffatto
controllo ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, (Norme sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) «va limitato
all’adeguatezza delle motivazioni in ordine ai presupposti in base ai quali il
giudizio a quo possa dirsi
concretamente ed effettivamente instaurato, con un proprio oggetto, vale a dire
un petitum,
separato e distinto dalla questione di legittimità costituzionale, sul quale il
giudice remittente sia chiamato a decidere» (tra le molte, sentenza n. 263 del
1994). Il riscontro dell’interesse ad agire e la verifica della legittimazione
delle parti, nonché della giurisdizione del giudice rimettente, ai fini
dell’apprezzamento della rilevanza dell’incidente di legittimità
costituzionale, sono, inoltre, rimessi alla valutazione del giudice a quo e non sono suscettibili di riesame
da parte di questa Corte, qualora sorretti da una motivazione non implausibile (fra le più recenti, sentenze n. 91 del 2013,
n. 280 del 2012,
n. 279 del 2012,
n. 61 del 2012,
n. 270 del 2010).
Nella specie, la
Corte di cassazione, con motivazione ampia, articolata ed approfondita, ha
plausibilmente argomentato in ordine sia alla pregiudizialità delle questioni
di legittimità costituzionale rispetto alla definizione del giudizio
principale, sia alla rilevanza delle medesime.
Essa ha affermato
che nel giudizio principale è stata proposta un’azione di accertamento avente
ad oggetto il diritto di voto, finalizzata – come tutte le azioni di tale
natura, la cui generale ammissibilità è desunta dal principio dell’interesse ad
agire – ad accertare la portata del diritto, ritenuta incerta. L’esistenza di
detto interesse e della giurisdizione – ha sottolineato l’ordinanza –
costituisce, peraltro, oggetto di un giudicato interno. La sussistenza dell’uno
e dell’altra è stata, infatti, contestata dalle Amministrazioni nella fase di
merito, con eccezione rigettata dal Tribunale e dalla Corte d’appello di
Milano, e non è stata reiterata dinanzi alla Corte di cassazione mediante la
proposizione di ricorso incidentale, con la conseguenza che deve ritenersi
definitivamente precluso il riesame di tale profilo.
Il rimettente, con
argomentazioni plausibili, ha altresì sottolineato, in ordine alla natura ed
oggetto dell’azione, che gli attori hanno agito allo scopo «di rimuovere un
pregiudizio», frutto di «una (già avvenuta) modificazione della realtà
giuridica che postula di essere rimossa mediante un’attività ulteriore,
giuridica e materiale, che consenta ai cittadini elettori di esercitare
realmente il diritto di voto in modo pieno e in sintonia con i valori
costituzionali». A suo avviso, gli attori hanno, quindi, chiesto al giudice
ordinario – in qualità di giudice dei diritti – di accertare la portata del
proprio diritto di voto, resa incerta da una normativa elettorale in ipotesi
incostituzionale, previa l’eventuale proposizione della relativa questione.
Pertanto, l’eventuale accoglimento delle questioni di legittimità
costituzionale non esaurirebbe la tutela richiesta nel giudizio principale, che
si realizzerebbe solo a seguito ed in virtù della pronuncia con la quale il
giudice ordinario accerta il contenuto del diritto dell’attore, all’esito della
sentenza di questa Corte.
Al riguardo, in
ordine ai presupposti della rilevanza della questione di legittimità
costituzionale, va ricordato che, secondo un principio enunciato da questa
Corte fin dalle sue prime pronunce, «la circostanza che la dedotta
incostituzionalità di una o più norme legislative costituisca l’unico motivo di
ricorso innanzi al giudice a quo non
impedisce di considerare sussistente il requisito della rilevanza, ogni
qualvolta sia individuabile nel giudizio principale un petitum separato e distinto dalla questione (o dalle questioni) di
legittimità costituzionale, sul quale il giudice rimettente sia chiamato a
pronunciarsi» (sentenza n. 4 del
2000; ma analoga affermazione era già contenuta nella sentenza n. 59 del
1957), anche allo scopo di scongiurare «la esclusione di ogni garanzia e di
ogni controllo» su taluni atti legislativi (nella specie le
leggi-provvedimento: sentenza n. 59 del
1957).
Nel caso in esame,
tale condizione è soddisfatta, perchè il petitum oggetto del giudizio principale è
costituito dalla pronuncia di accertamento del diritto azionato, in ipotesi
condizionata dalla decisione delle sollevate questioni di legittimità
costituzionale, non risultando l’accertamento richiesto al giudice comune
totalmente assorbito dalla sentenza di questa Corte, in quanto residuerebbe la
verifica delle altre condizioni cui la legge fa dipendere il riconoscimento del
diritto di voto. Per di più, nella fattispecie qui in esame, la questione ha ad
oggetto un diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione, il diritto di
voto, che ha come connotato essenziale il collegamento ad un interesse del
corpo sociale nel suo insieme, ed è proposta allo scopo di porre fine ad una
situazione di incertezza sulla effettiva portata del predetto diritto
determinata proprio da «una (già avvenuta) modificazione della realtà
giuridica», in ipotesi frutto delle norme censurate.
L’ammissibilità
delle questioni di legittimità costituzionale sollevate nel corso di tale
giudizio si desume precisamente dalla peculiarità e dal rilievo costituzionale,
da un lato, del diritto oggetto di accertamento; dall’altro, della legge che,
per il sospetto di illegittimità costituzionale, ne rende incerta la portata.
Detta ammissibilità costituisce anche l’ineludibile corollario del principio
che impone di assicurare la tutela del diritto inviolabile di voto,
pregiudicato – secondo l’ordinanza del giudice rimettente – da una normativa
elettorale non conforme ai principi costituzionali, indipendentemente da atti
applicativi della stessa, in quanto già l’incertezza sulla portata del diritto
costituisce una lesione giuridicamente rilevante. L’esigenza di garantire il
principio di costituzionalità rende quindi imprescindibile affermare il
sindacato di questa Corte – che «deve coprire nella misura più ampia possibile
l’ordinamento giuridico» (sentenza n. 387 del
1996) – anche sulle leggi, come quelle relative alle elezioni della Camera e
del Senato, «che più difficilmente verrebbero per altra via ad essa sottoposte»
(sentenze n. 384 del 1991
e n. 226 del 1976).
Nel quadro di tali
principi, le sollevate questioni di legittimità costituzionale sono
ammissibili, anche in linea con l’esigenza che non siano sottratte al sindacato
di costituzionalità le leggi, quali quelle concernenti le elezioni della Camera
e del Senato, che definiscono le regole della composizione di organi
costituzionali essenziali per il funzionamento di un sistema
democratico-rappresentativo e che quindi non possono essere immuni da quel
sindacato. Diversamente, si finirebbe con il creare una zona franca nel sistema
di giustizia costituzionale proprio in un ambito strettamente connesso con
l’assetto democratico, in quanto incide sul diritto fondamentale di voto; per
ciò stesso, si determinerebbe un vulnus
intollerabile per l’ordinamento costituzionale complessivamente considerato.
3.– Nel merito, la
prima delle questioni in esame riguarda il premio di maggioranza assegnato per
la elezione della Camera dei deputati. L’art. 83 del d.P.R.
n. 361 del 1957 prevede che l’Ufficio elettorale nazionale verifichi «se la
coalizione di liste o la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di
voti validi espressi abbia conseguito almeno 340 seggi» (comma 1, n. 5), sulla
base dall’attribuzione di seggi in ragione proporzionale; e stabilisce, in caso
negativo, che ad essa venga attribuito il numero di seggi necessario per
raggiungere quella consistenza (comma 2).
Secondo la Corte di
cassazione, tali disposizioni, non subordinando l’attribuzione del premio di
maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e, quindi,
trasformando una maggioranza relativa di voti, potenzialmente anche molto
modesta, in una maggioranza assoluta di seggi, avrebbero stabilito, in
violazione dell’art. 3 Cost., un meccanismo di attribuzione del premio
manifestamente irragionevole, tale da determinare una oggettiva e grave
alterazione della rappresentanza democratica, lesiva della stessa eguaglianza
del voto, peraltro neppure idonea ad assicurare la stabilità di governo.
3.1.– La questione è
fondata.
Questa Corte ha da tempo
ricordato che l’Assemblea Costituente, «pur manifestando, con l’approvazione di
un ordine del giorno, il favore per il sistema proporzionale nell’elezione dei
membri della Camera dei deputati, non intese irrigidire questa materia sul
piano normativo, costituzionalizzando una scelta proporzionalistica o
disponendo formalmente in ordine ai sistemi elettorali, la configurazione dei
quali resta affidata alla legge ordinaria» (sentenza n. 429
del 1995). Pertanto, la «determinazione delle formule e dei sistemi elettorali
costituisce un ambito nel quale si esprime con un massimo di evidenza la
politicità della scelta legislativa» (sentenza n. 242 del
2012; ordinanza
n. 260 del 2002; sentenza n. 107 del
1996). Il principio costituzionale di eguaglianza del voto – ha inoltre
rilevato questa Corte – esige che l’esercizio dell’elettorato attivo avvenga in
condizione di parità, in quanto «ciascun voto contribuisce potenzialmente e con
pari efficacia alla formazione degli organi elettivi» (sentenza n. 43 del
1961), ma «non si estende […] al risultato concreto della manifestazione di
volontà dell’elettore […] che dipende […] esclusivamente dal sistema che il
legislatore ordinario, non avendo la Costituzione disposto al riguardo, ha
adottato per le elezioni politiche e amministrative, in relazione alle mutevoli
esigenze che si ricollegano alle consultazioni popolari» (sentenza n. 43 del
1961).
Non c’è, in altri
termini, un modello di sistema elettorale imposto dalla Carta costituzionale,
in quanto quest’ultima lascia alla discrezionalità del legislatore la scelta
del sistema che ritenga più idoneo ed efficace in considerazione del contesto
storico.
Il sistema
elettorale, tuttavia, pur costituendo espressione dell’ampia discrezionalità
legislativa, non è esente da controllo, essendo sempre censurabile in sede di
giudizio di costituzionalità quando risulti manifestamente irragionevole (sentenze n. 242 del 2012
e n. 107 del 1996;
ordinanza n. 260
del 2002).
Nella specie,
proprio con riguardo alle norme della legge elettorale della Camera qui in
esame, relative all’attribuzione del premio di maggioranza in difetto del
presupposto di una soglia minima di voti o di seggi, questa Corte, pur negando
la possibilità di sindacare in sede di giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo profili di
illegittimità costituzionale, in particolare attinenti alla ragionevolezza
delle predette norme, ha già segnalato l’esigenza che il Parlamento consideri
con attenzione alcuni profili di un simile meccanismo. Alcuni aspetti
problematici sono stati ravvisati nella circostanza che il meccanismo premiale
è foriero di una eccessiva sovra-rappresentazione della lista di maggioranza
relativa, in quanto consente ad una lista che abbia ottenuto un numero di voti
anche relativamente esiguo di acquisire la maggioranza assoluta dei seggi. In
tal modo si può verificare in concreto una distorsione fra voti espressi ed
attribuzione di seggi che, pur essendo presente in qualsiasi sistema
elettorale, nella specie assume una misura tale da comprometterne la
compatibilità con il principio di eguaglianza del voto (sentenze n. 15 e n. 16 del 2008). Successivamente,
questa Corte, stante l’inerzia del legislatore, ha rinnovato l’invito al
Parlamento a considerare con attenzione i punti problematici della disciplina, così come risultante dalle modifiche introdotte con
la legge n. 270 del 2005, ed ha nuovamente sottolineato i profili di
irrazionalità segnalati nelle precedenti occasioni sopra ricordate, insiti
nell’«attribuzione dei premi di maggioranza senza la previsione di alcuna
soglia minima di voti e/o di seggi» (sentenza n. 13 del
2012); profili ritenuti, tuttavia, insindacabili in una sede diversa dal
giudizio di legittimità costituzionale.
Gli stessi rilievi,
nella perdurante inerzia del legislatore ordinario, non possono che essere
ribaditi e, conseguentemente, devono ritenersi fondate le censure concernenti
l’art. 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. n.
361 del 1957. Tali disposizioni, infatti, non superano lo scrutinio di
proporzionalità e di ragionevolezza, al quale soggiacciono anche le norme
inerenti ai sistemi elettorali.
In ambiti connotati
da un’ampia discrezionalità legislativa, quale quello in esame, siffatto
scrutinio impone a questa Corte di verificare che il bilanciamento degli
interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato con modalità
tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura
eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Tale giudizio
deve svolgersi «attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi
prescelti dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle
esigenze obiettive da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto
conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti» (sentenza n. 1130
del 1988). Il test di proporzionalità utilizzato da questa Corte come da molte
delle giurisdizioni costituzionali europee, spesso insieme con quello di
ragionevolezza, ed essenziale strumento della Corte di giustizia dell’Unione
europea per il controllo giurisdizionale di legittimità degli atti dell’Unione e
degli Stati membri, richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio, con
la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia necessaria e idonea al
conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto, tra più misure
appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e
stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti
obiettivi.
Nella specie, le
suddette condizioni non sono soddisfatte.
Le disposizioni
censurate sono dirette ad agevolare la formazione di una adeguata maggioranza
parlamentare, allo scopo di garantire la stabilità del governo del Paese e di
rendere più rapido il processo decisionale, ciò che costituisce senz’altro un
obiettivo costituzionalmente legittimo. Questo obiettivo è perseguito mediante
un meccanismo premiale destinato ad essere attivato ogniqualvolta la votazione
con il sistema proporzionale non abbia assicurato ad alcuna lista o coalizione
di liste un numero di voti tale da tradursi in una maggioranza anche superiore
a quella assoluta di seggi (340 su 630). Se dunque si verifica tale
eventualità, il meccanismo premiale garantisce l’attribuzione di seggi
aggiuntivi (fino alla soglia dei 340 seggi) a quella lista o coalizione di
liste che abbia ottenuto anche un solo voto in più delle altre, e ciò pure nel
caso che il numero di voti sia in assoluto molto esiguo, in difetto della
previsione di una soglia minima di voti e/o di seggi.
Le disposizioni
censurate non si limitano, tuttavia, ad introdurre un correttivo (ulteriore
rispetto a quello già costituito dalla previsione di soglie di sbarramento
all’accesso, di cui al n. 3 ed al n. 6 del medesimo comma 1 del citato art. 83,
qui non censurati) al sistema di trasformazione dei voti in seggi «in ragione
proporzionale», stabilito dall’art. 1, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 361 del 1957, in vista del legittimo obiettivo di
favorire la formazione di stabili maggioranze parlamentari e quindi di stabili
governi, ma rovesciano la ratio della
formula elettorale prescelta dallo stesso legislatore del 2005, che è quella di
assicurare la rappresentatività dell’assemblea parlamentare. In tal modo, dette
norme producono una eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo
della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia
rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla
Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che
costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare,
secondo l’art. 1, secondo comma, Cost.
In altri termini, le
disposizioni in esame non impongono il raggiungimento di una soglia minima di voti alla lista (o
coalizione di liste) di maggioranza relativa dei voti; e ad essa assegnano
automaticamente un numero anche molto elevato di seggi, tale da trasformare, in
ipotesi, una formazione che ha conseguito una percentuale pur molto ridotta di
suffragi in quella che raggiunge la maggioranza assoluta dei componenti
dell’assemblea. Risulta, pertanto, palese che in tal modo esse consentono una
illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare,
incompatibile con i principi costituzionali in base ai quali le assemblee
parlamentari sono sedi esclusive della «rappresentanza politica nazionale»
(art. 67 Cost.), si fondano sull’espressione del voto e quindi della sovranità
popolare, ed in virtù di ciò ad esse sono affidate funzioni fondamentali,
dotate di «una caratterizzazione tipica ed infungibile» (sentenza n. 106 del
2002), fra le quali vi sono, accanto a quelle di indirizzo e controllo del
governo, anche le delicate funzioni connesse alla stessa garanzia della
Costituzione (art. 138 Cost.): ciò che peraltro distingue il Parlamento da
altre assemblee rappresentative di enti territoriali.
Il meccanismo di
attribuzione del premio di maggioranza prefigurato dalle norme censurate,
inserite nel sistema proporzionale introdotto con la legge n. 270 del 2005, in
quanto combinato con l’assenza di una ragionevole soglia di voti minima per
competere all’assegnazione del premio, è pertanto tale da determinare
un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul
principio fondamentale di eguaglianza del voto (art. 48, secondo comma, Cost.).
Esso, infatti, pur non vincolando il legislatore ordinario alla scelta di un
determinato sistema, esige comunque che ciascun voto contribuisca
potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi (sentenza n. 43 del
1961) ed assume sfumature diverse in funzione del sistema elettorale
prescelto. In ordinamenti costituzionali omogenei a quello italiano, nei quali
pure è contemplato detto principio e non è costituzionalizzata la formula
elettorale, il giudice costituzionale ha espressamente riconosciuto, da tempo,
che, qualora il legislatore adotti il sistema proporzionale, anche solo in modo
parziale, esso genera nell’elettore la legittima aspettativa che non si determini
uno squilibrio sugli effetti del voto, e cioè una diseguale valutazione del
"peso” del voto "in uscita”, ai fini dell’attribuzione dei seggi, che non sia
necessaria ad evitare un pregiudizio per la funzionalità dell’organo
parlamentare (BVerfGE, sentenza 3/11 del 25 luglio
2012; ma v. già la sentenza n. 197 del 22 maggio 1979 e la sentenza n. 1 del 5
aprile 1952).
Le norme censurate,
pur perseguendo un obiettivo di rilievo costituzionale, qual è quello della
stabilità del governo del Paese e dell’efficienza dei processi decisionali
nell’ambito parlamentare, dettano una disciplina che non rispetta il vincolo
del minor sacrificio possibile degli altri interessi e valori
costituzionalmente protetti, ponendosi in contrasto con gli artt. 1, secondo
comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost. In definitiva, detta disciplina non è
proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, posto che determina una
compressione della funzione rappresentativa dell’assemblea, nonché dell’eguale
diritto di voto, eccessiva e tale da produrre un’alterazione profonda della
composizione della rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l’intera
architettura dell’ordinamento costituzionale vigente.
Deve, quindi, essere
dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 83, comma 1, n. 5, e comma
2, del d.P.R. n. 361 del 1957.
4.– Le medesime
argomentazioni vanno svolte anche in relazione alle censure sollevate, in
relazione agli stessi parametri costituzionali, nei confronti dell’art. 17,
commi 2 e 4, del d.lgs. n. 533 del 1993, che disciplina il premio di
maggioranza per le elezioni del Senato della Repubblica, prevedendo che
l’Ufficio elettorale regionale, qualora la coalizione di liste o la singola
lista, che abbiano ottenuto il maggior numero di voti validi espressi
nell’àmbito della circoscrizione, non abbiano conseguito almeno il 55 per cento
dei seggi assegnati alla regione, assegni alle medesime un numero di seggi
ulteriore necessario per raggiungere il 55 per cento dei seggi assegnati alla
regione.
Anche queste norme,
nell’attribuire in siffatto modo il premio della maggioranza assoluta, in
ambito regionale, alla lista (o coalizione di liste) che abbia ottenuto
semplicemente un numero maggiore di voti rispetto alle altre liste, in difetto
del raggiungimento di una soglia minima, contengono una disciplina
manifestamente irragionevole, che comprime la rappresentatività dell’assemblea
parlamentare, attraverso la quale si esprime la sovranità popolare, in misura
sproporzionata rispetto all’obiettivo perseguito (garantire la stabilità di
governo e l’efficienza decisionale del sistema), incidendo anche
sull’eguaglianza del voto, in violazione degli artt. 1, secondo comma, 3, 48,
secondo comma, e 67 Cost.
Nella specie, il test di proporzionalità
evidenzia, oltre al difetto di proporzionalità in senso stretto della
disciplina censurata, anche l’inidoneità della stessa al raggiungimento
dell’obiettivo perseguito, in modo più netto rispetto alla disciplina prevista
per l’elezione della Camera dei deputati. Essa, infatti, stabilendo che
l’attribuzione del premio di maggioranza è su scala regionale, produce
l’effetto che la maggioranza in seno all’assemblea del Senato sia il risultato
casuale di una somma di premi regionali, che può finire per rovesciare il
risultato ottenuto dalle liste o coalizioni di liste su base nazionale,
favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due
rami del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto nell’insieme
sostanzialmente omogenea. Ciò rischia di compromettere sia il funzionamento
della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana,
nella quale il Governo deve avere la fiducia delle due Camere (art. 94, primo
comma, Cost.), sia l’esercizio della funzione legislativa, che l’art. 70 Cost.
attribuisce collettivamente alla Camera ed al Senato. In definitiva, rischia di
vanificare il risultato che si intende conseguire con un’adeguata stabilità
della maggioranza parlamentare e del governo. E benché tali profili
costituiscano, in larga misura, l’oggetto di scelte politiche riservate al
legislatore ordinario, questa Corte ha tuttavia il dovere di verificare se la
disciplina legislativa violi manifestamente, come nella specie, i principi di
proporzionalità e ragionevolezza e, pertanto, sia lesiva degli artt. 1, secondo
comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost.
Deve, pertanto,
dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, commi 2 e 4, del
d.lgs. n. 533 del 1993.
5.– Occorre, infine,
esaminare le censure relative all’art. 4, comma 2, del d.P.R.
n. 361 del 1957 e, in via consequenziale, all’art. 59, comma 1, del medesimo d.P.R., nonché all’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del
1993, nella parte in cui, rispettivamente, prevedono: l’art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957, che «Ogni elettore dispone di un
voto per la scelta della lista ai fini dell’attribuzione dei seggi in ragione
proporzionale, da esprimere su un’unica scheda recante il contrassegno di
ciascuna lista»; l’art. 59 del medesimo d.P.R. n.
361, che «Una scheda valida per la scelta della lista rappresenta un voto di
lista»; nonché l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, che «Il voto si
esprime tracciando, con la matita, sulla scheda un solo segno, comunque apposto,
sul rettangolo contenente il contrassegno della lista prescelta».
Secondo il
rimettente, tali disposizioni, non consentendo all’elettore di esprimere alcuna
preferenza, ma solo di scegliere una lista di partito, cui è rimessa la
designazione e la collocazione in lista di tutti i candidati, renderebbero il
voto sostanzialmente "indiretto”, posto che i partiti non possono sostituirsi
al corpo elettorale e che l’art. 67 Cost. presuppone l’esistenza di un mandato
conferito direttamente dagli elettori. Ciò violerebbe gli artt. 56, primo
comma, e 58, primo comma, Cost., l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione
all’art. 3 del protocollo 1 della CEDU, che riconosce al popolo il diritto alla
"scelta del corpo legislativo”, e l’art. 49 Cost. Inoltre, sottraendo
all’elettore la facoltà di scegliere l’eletto, farebbero sì che il voto non sia
né libero, né personale, in violazione dell’art. 48, secondo comma, Cost.
5.1.– La questione è
fondata nei termini di seguito precisati.
Le norme censurate,
concernenti le modalità di espressione del voto per l’elezione dei componenti,
rispettivamente, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, si
inseriscono in un contesto normativo in base al quale tale voto avviene per
liste concorrenti di candidati (art. 1, comma 1, del d.P.R.
n. 361 del 1957; art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 533 del 1993), presentati
«secondo un determinato ordine», in numero «non inferiore a un terzo e non
superiore ai seggi assegnati alla circoscrizione» (art. 18-bis, comma 3, del d.P.R. n. 361 del 1957
ed art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 533 del 1993). Le circoscrizioni elettorali,
la cui disciplina non è investita dalle censure qui esaminate, corrispondono
sempre, per il Senato, ai territori delle Regioni (art. 2 del d.lgs. n. 533 del
1993); per la Camera dei deputati (Allegato A alla legge n. 270 del 2005), le
circoscrizioni corrispondono ai territori regionali, con l’eccezione delle
Regioni di maggiori dimensioni, nelle quali sono presenti due circoscrizioni
(Piemonte, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia) o tre (Lombardia).
La ripartizione dei seggi tra le liste
concorrenti è, inoltre, effettuata in ragione proporzionale, con l’eventuale
attribuzione del premio di maggioranza (art. 1, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957), che è definito, per il Senato, «di
coalizione regionale» (art. 1, comma 2, d.lgs. n. 533 del 1993); e sono
proclamati «eletti, nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, i
candidati compresi nella lista medesima, secondo l’ordine di presentazione»
nella lista (art. 84, comma 1, del d.P.R. n. 361 del
1957 ed art. 17, comma 7, del d.lgs. n. 533 del 1993).
In questo quadro, le
disposizioni censurate, nello stabilire che il voto espresso dall’elettore,
destinato a determinare per intero la composizione della Camera e del Senato, è
un voto per la scelta della lista, escludono ogni facoltà dell’elettore di
incidere sull’elezione dei propri rappresentanti, la quale dipende, oltre che,
ovviamente, dal numero dei seggi ottenuti dalla lista di appartenenza,
dall’ordine di presentazione dei candidati nella stessa, ordine di
presentazione che è sostanzialmente deciso dai partiti. La scelta
dell’elettore, in altri termini, si traduce in un voto di preferenza
esclusivamente per la lista, che – in quanto presentata in circoscrizioni
elettorali molto ampie, come si è rilevato – contiene un numero assai elevato
di candidati, che può corrispondere all’intero numero dei seggi assegnati alla
circoscrizione, e li rende, di conseguenza, difficilmente conoscibili
dall’elettore stesso.
Una simile
disciplina priva l’elettore di ogni margine di scelta dei propri
rappresentanti, scelta che è totalmente rimessa ai partiti. A tal proposito,
questa Corte ha chiarito che «le funzioni attribuite ai partiti politici dalla
legge ordinaria al fine di eleggere le assemblee – quali la "presentazione di
alternative elettorali” e la "selezione dei candidati alle cariche elettive
pubbliche” – non consentono di desumere l’esistenza di attribuzioni
costituzionali, ma costituiscono il modo in cui il legislatore ordinario ha
ritenuto di raccordare il diritto, costituzionalmente riconosciuto ai
cittadini, di associarsi in una pluralità di partiti con la rappresentanza
politica, necessaria per concorrere nell’ambito del procedimento elettorale, e
trovano solo un fondamento nello stesso art. 49 Cost.» (ordinanza n. 79 del
2006). Simili funzioni devono, quindi, essere preordinate ad agevolare la partecipazione
alla vita politica dei cittadini ed alla realizzazione di linee programmatiche
che le formazioni politiche sottopongono al corpo elettorale, al fine di
consentire una scelta più chiara e consapevole anche in riferimento ai
candidati.
Sulla base di
analoghi argomenti, questa Corte si è già espressa, sia pure con riferimento al
sistema elettorale vigente nel 1975 per i Comuni al di sotto dei 5.000
abitanti, contraddistinto anche esso dalla ripartizione dei seggi in ragione
proporzionale fra liste concorrenti di candidati. In quella occasione, la Corte
ha affermato che la circostanza che il legislatore abbia lasciato ai partiti il
compito di indicare l’ordine di presentazione delle candidature non lede in
alcun modo la libertà di voto del cittadino: a condizione che quest’ultimo sia
«pur sempre libero e garantito nella sua manifestazione di volontà, sia nella
scelta del raggruppamento che concorre alle elezioni, sia nel votare questo o
quel candidato incluso nella lista prescelta, attraverso il voto di preferenza»
(sentenza n. 203 del
1975).
Nella specie, tale
libertà risulta compromessa, posto che il cittadino è chiamato a determinare
l’elezione di tutti i deputati e di tutti senatori, votando un elenco spesso
assai lungo (nelle circoscrizioni più popolose) di candidati, che difficilmente
conosce. Questi, invero, sono individuati sulla base di scelte operate dai
partiti, che si riflettono nell’ordine di presentazione, sì che anche
l’aspettativa relativa all’elezione in riferimento allo stesso ordine di lista
può essere delusa, tenuto conto della possibilità di candidature multiple e
della facoltà dell’eletto di optare per altre circoscrizioni sulla base delle
indicazioni del partito.
In definitiva, è la
circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione,
manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la
logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione. Simili condizioni di
voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista, di scegliere in blocco
anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che non ha avuto modo di
conoscere e valutare e che sono automaticamente destinati, in ragione della
posizione in lista, a diventare deputati o senatori, rendono la disciplina in
esame non comparabile né con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate
solo per una parte dei seggi, né con altri caratterizzati da circoscrizioni
elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei
candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva
conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà
del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali).
Le condizioni
stabilite dalle norme censurate sono, viceversa, tali da alterare per l’intero
complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed
eletti. Anzi, impedendo che esso si costituisca correttamente e direttamente,
coartano la libertà di scelta degli elettori nell’elezione dei propri
rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni
della sovranità popolare, e pertanto contraddicono il principio democratico,
incidendo sulla stessa libertà del voto di cui all’art. 48 Cost. (sentenza n. 16 del
1978).
Deve, pertanto,
essere dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, e 59
del d.P.R. n. 361 del 1957, nonché dell’art. 14, comma
1, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui non consentono all’elettore
di esprimere una preferenza per i candidati, al fine di determinarne
l’elezione.
Resta, pertanto,
assorbita la questione proposta in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost.,
in relazione all’art. 3 del protocollo 1 della CEDU. Peraltro, nessun rilievo
assume la sentenza
della Corte europea dei diritti dell’uomo del 13 marzo 2012 (caso Saccomanno e
altri contro Italia), resa a seguito di un ricorso proposto da alcuni cittadini
italiani che deducevano la pretesa violazione di quel parametro precisamente
dalle norme elettorali qui in esame, sentenza che ha dichiarato tutti i motivi
di ricorso manifestamente infondati, sul presupposto dell’«ampio margine di
discrezionalità di cui dispongono gli Stati in materia» (paragrafo 64). Spetta,
in definitiva, a questa Corte di verificare la compatibilità delle norme in
questione con la Costituzione.
6.– La normativa che resta in vigore per effetto della dichiarata illegittimità costituzionale delle disposizioni oggetto delle questioni sollevate dalla Corte di cassazione è «complessivamente idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell’organo costituzionale elettivo», così come richiesto dalla costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 13 del 2012). Le leggi elettorali sono, infatti, "costituzionalmente necessarie”, in quanto «indispensabili per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi costituzionali» (sentenza n. 13 del 2012; analogamente, sentenze n. 15 e n. 16 del 2008, n. 13 del 1999, n. 26 del 1997, n. 5 del 1995, n. 32 del 1993, n. 47 del 1991, n. 29 del 1987), dovendosi inoltre scongiurare l’eventualità di «paralizzare il potere di scioglimento del Presidente della Repubblica previsto dall’art. 88 Cost.» (sentenza n. 13 del 2012).
In
particolare, la normativa che rimane in vigore stabilisce un meccanismo di
trasformazione dei voti in seggi che consente l’attribuzione di tutti i seggi,
in relazione a circoscrizioni elettorali che rimangono immutate, sia per la
Camera che per il Senato. Ciò che resta, invero, è precisamente il meccanismo
in ragione proporzionale delineato dall’art. 1 del d.P.R.
n. 361 del 1957 e dall’art. 1 del d.lgs. n. 533 del 1993, depurato
dell’attribuzione del premio di maggioranza; e le norme censurate riguardanti
l’espressione del voto risultano integrate in modo da consentire un voto di
preferenza. Non rientra tra i compiti di questa Corte valutare l’opportunità
e/o l’efficacia di tale meccanismo, spettando ad essa solo di verificare la
conformità alla Costituzione delle specifiche norme censurate e la possibilità
immediata di procedere ad elezioni con la restante normativa, condizione,
quest’ultima, connessa alla natura della legge elettorale di «legge
costituzionalmente necessaria» (sentenza n. 32 del
1993). D’altra parte, la rimettente Corte di cassazione aveva
significativamente puntualizzato che «la proposta questione di legittimità
costituzionale non mira a far caducare l’intera legge n. 270/2005 né a
sostituirla con un’altra eterogenea impingendo nella
discrezionalità del legislatore, ma a ripristinare nella legge elettorale contenuti
costituzionalmente obbligati (concernenti la disciplina del premio di
maggioranza e delle preferenze), senza compromettere la permanente idoneità del
sistema elettorale a garantire il rinnovo degli organi costituzionali», fatta
salva «l’eventualità che si renda necessaria un’opera di mera cosmesi normativa
e di ripulitura del testo per la presenza di frammenti normativi residui, che
può essere realizzata dalla Corte costituzionale, avvalendosi dei poteri che ha
a disposizione».
La presente decisione non può andare al di là di
quanto ipotizzato e richiesto dal giudice rimettente.
Per quanto riguarda la possibilità per l’elettore di
esprimere un voto di preferenza, eventuali apparenti inconvenienti, che
comunque «non incidono sull’operatività del sistema elettorale, né paralizzano
la funzionalità dell’organo» (sentenza n. 32 del
1993), possono essere risolti mediante l’impiego degli ordinari criteri d’interpretazione,
alla luce di una rilettura delle norme già vigenti coerente con la pronuncia di
questa Corte: come, ad esempio, con riferimento alle previsioni, di cui agli
artt. 84, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957, e 17,
comma 7, del d.lgs. n. 533 del 1993, che, nella parte
in cui stabiliscono che sono proclamati eletti, nei limiti dei seggi ai quali
ciascuna lista ha diritto, i candidati compresi nella lista medesima «secondo
l’ordine di presentazione», non appaiono incompatibili con l’introduzione del
voto di preferenza, dovendosi ritenere l’ordine di lista operante solo in
assenza di espressione della preferenza; o, ancora, con riguardo alle
modalità di redazione delle schede elettorali di cui all’art. 31 del d.P.R. n. 361 del 1957 ed all’art. 11, comma 3, del d.lgs n. 533 del 1993, che, nello stabilire che nella
scheda devono essere riprodotti i contrassegni di tutte le liste regolarmente
presentate nella circoscrizione, secondo il fac-simile di cui agli allegati,
non escludono che quegli schemi siano integrati da uno spazio per l’espressione
della preferenza; o, quanto alla possibilità di intendere l’espressione della
preferenza come preferenza unica, in linea con quanto risultante dal referendum
del 1991, ammesso con sentenza n. 47 del
1991, in relazione alle formule elettorali proporzionali. Simili eventuali
inconvenienti potranno, d’altro canto, essere rimossi anche mediante interventi
normativi secondari, meramente tecnici ed applicativi della presente pronuncia
e delle soluzioni interpretative sopra indicate. Resta fermo ovviamente, che lo
stesso legislatore ordinario, ove lo ritenga, «potrà correggere, modificare o
integrare la disciplina residua» (sentenza n. 32 del
1993).
7.– È evidente, infine, che la decisione che si
assume, di annullamento delle norme censurate, avendo modificato in parte qua la normativa che disciplina
le elezioni per la Camera e per il Senato, produrrà i suoi effetti
esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale,
consultazione che si dovrà effettuare o secondo le regole contenute nella
normativa che resta in vigore a seguito della presente decisione, ovvero secondo
la nuova normativa elettorale eventualmente adottata dalle Camere.
Essa, pertanto, non tocca in alcun modo gli atti
posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle
norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati
dal Parlamento eletto. Vale appena ricordare che il principio secondo il quale
gli effetti delle sentenze di accoglimento di questa Corte, alla stregua
dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30 della legge n. 87 del 1953, risalgono fino
al momento di entrata in vigore della norma annullata, principio «che suole
essere enunciato con il ricorso alla formula della c.d. "retroattività” di
dette sentenze, vale però soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con
conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla
legge dichiarata invalida» (sentenza n. 139 del
1984).
Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche
delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono,
in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il processo di
composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti.
Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere
adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali.
Rileva nella specie il principio fondamentale della
continuità dello Stato, che non è un’astrazione e dunque si realizza in
concreto attraverso la continuità in particolare dei suoi organi
costituzionali: di tutti gli organi costituzionali, a cominciare dal
Parlamento. È pertanto fuori di ogni ragionevole dubbio – è appena il caso di
ribadirlo – che nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione
neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove
consultazioni elettorali: le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed
indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la
capacità di deliberare. Tanto ciò è vero che, proprio al fine di assicurare la
continuità dello Stato, è la stessa Costituzione a prevedere, ad esempio, a
seguito delle elezioni, la prorogatio dei
poteri delle Camere precedenti «finchè non siano
riunite le nuove Camere» (art. 61 Cost.), come anche a prescrivere che le
Camere, «anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro
cinque giorni» per la conversione in legge di decreti-legge
adottati dal Governo (art. 77, secondo comma, Cost.).
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. 30 marzo 1957 n. 361 (Approvazione del testo unico
delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati);
2) dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 17, commi 2 e 4, del decreto legislativo 20 dicembre
1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato
della Repubblica);
3) dichiara l’illegittimità
costituzionale degli artt. 4, comma 2, e 59 del d.P.R.
n. 361 del 1957, nonché dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993,
nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza per
i candidati.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre
2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Giuseppe TESAURO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 gennaio
2014