Consulta OnLine (periodico
online) ISSN 1971-9892
GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EDU
(concernente
gli altri membri del Consiglio d’Europa)
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Corte
europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 17 luglio 2025 (Siles Cabrera c. Spagna) Art. 8 – Mancata violazione del diritto alla
vita familiare dal punto di vista degli obblighi positivi, nel caso del
rifiuto di concedere al padre di un bambino disabile un permesso di soggiorno
per circostanze eccezionali (integrazione sociale) per non aver soddisfatto
il criterio dei “mezzi di sussistenza sufficienti” senza ricorrere alle
prestazioni sociali. La Corte giudica che le decisioni nazionali non mancano
di fondamento giuridico, basandosi su disposizioni giuridiche pertinenti, la
cui applicazione non è imprevedibile. Vi è stata una considerazione da parte
dei tribunali nazionali della situazione personale e familiare del
ricorrente, compresa la situazione del figlio disabile e vi sarebbero state
altre vie a disposizione del ricorrente per regolarizzare la sua situazione.
Si è dunque garantito un equilibrio equo tra gli interessi in gioco e l’ampio
margine di apprezzamento non è stato superato. |
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Corte
europea dei diritti dell’uomo (Sez. IV) 15 luglio 2025 (Mzhavanadze e Rukhadze c. Georgia) Artt. 6 § 1 e 11 – Violazione dell’Art. 6,
paragrafo 1, CEDU determinata dal procedimento iniquo svoltosi nei confronti
del secondo ricorrente, a causa dell'approccio del tribunale di primo grado,
del tutto adesivo alla dichiarazione di un agente di polizia, pur se non
supportata da altre prove, e posta come base della condanna. La constatazione
dei tribunali nazionali che non sono state presentate prove “contraddittorie”
rispetto alla versione dell’agente ha infatti posto il secondo ricorrente
nella posizione di dover dimostrare la propria innocenza. Invece, la Corte
non trova nessuna iniquità complessiva nei confronti del primo ricorrente, la
cui condanna si basava anche su altre prove. Violazione della libertà di riunione
determinata dall’arresto dei ricorrenti durante delle manifestazioni e dalla
condanna per l’illecito amministrativo di disobbedienza a ordini legittimi
della polizia. La condotta contestata non è infatti di natura e gravità tali
da essere esclusa dall’ambito di protezione dell’Art. 11 CEDU. Infatti, le
manifestazioni contro l’esito delle elezioni parlamentari e il coprifuoco
imposto a causa della pandemia di COVID-19 riguardavano questioni di
interesse pubblico e hanno contribuito al dibattito in corso nella società.
La pena detentiva di tre giorni di detenzione amministrativa inflitta al
primo ricorrente per condotta non violenta è sproporzionata, data la mancanza
di motivi sufficienti a giustificare la necessità e la proporzionalità
dell’ingerenza contestata. |
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Corte
europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 10 luglio 2025 (Rodina e Borisova c. Lettonia) Art. 11 – Mancata violazione dell’Art. 11
CEDU, alla luce dell’Art. 10 CEDU, nel caso del rifiuto delle autorità
nazionali di autorizzare manifestazioni e marce celebrative della Parata per
la Vittoria del 9 maggio, che tradizionalmente celebra la vittoria
dell’Unione Sovietica contro i nazisti, su richiesta di un’associazione e di
un privato cittadino, nel contesto della situazione di tensione politica
verificatasi in Lettonia nel 2014. La Corte riconosce in questo caso allo
Stato un margine di apprezzamento leggermente più ampio, rispetto al margine
limitato concesso nei confronti dei partiti politici, perché in una società
democratica non c'è posto per inviti a esprimere la superiorità di una
nazione su un’altra o messaggi aggressivi di “propaganda bellica” volti a
esprimere sostegno a entità separatiste non riconosciute nell’Ucraina
orientale. La manifestazione si svolgeva infatti durante gli eventi che hanno
portato all’occupazione russa della Crimea e assumeva in questo caso i toni
di una rivendicazione nazionale dei russi residenti nel Paese baltico, con un
implicito collegamento con i movimenti separatisti dell’Est dell’Ucraina e in
protesta contro le autorità lettoni. La Corte riconosce la validità delle
preoccupazioni delle autorità nazionali in merito al rischio reale di
disordini e anche di più generali minacce per la sicurezza, l’integrità
territoriale e l’ordine democratico della Lettonia. La valutazione è da
ritenere sufficientemente motivata da parte dei tribunali nazionali, per via
del livello di minaccia rappresentato dagli eventi geopolitici accaduti nel
2014. L’interferenza risponde dunque a una «esigenza sociale urgente»,
«proporzionata agli obiettivi perseguiti» e «necessaria in una società
democratica». |
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Corte
europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 10 luglio 2025 (Tomenko c. Ucraina) Art. 3 P.1 – Violazione del diritto a libere
elezioni determinata dalla cessazione anticipata del mandato di deputato del
ricorrente, disposta dal suo partito politico a seguito del suo ritiro dal
proprio gruppo (“faction”)
parlamentare. La Corte censura il fatto che la misura impugnata non fosse
prevedibile e l’assenza di un quadro giuridico che tutelasse il diritto
elettorale passivo del ricorrente contro gli abusi. La misura impugnata è
dunque illegittima, sproporzionata e tale da ostacolare la libera espressione
del popolo nella scelta dell’organo legislativo. |
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Corte
europea dei diritti dell’uomo (G.C.) 10 luglio 2025 (Semenya c. Svizzera) Artt. 1, 6 § 1 – La Grande Camera si
pronuncia, dopo la precedente decisione della Sezione, su un caso concernente
il modo con cui i tribunali nazionali hanno trattato il caso di una atleta
sudafricana esclusa dalle competizioni femminili per via di alcune differenze
naturali nel suo sviluppo sessuale. In merito all’Art. 1 CEDU, la Corte
chiarisce che la situazione della
ricorrente non rientra in teoria nella giurisdizione dello Stato convenuto,
data l’assenza di un legame territoriale tra la Svizzera, da un lato, e la
ricorrente, e l’adozione da parte della World
Athletics delle norme che disciplinano la sua situazione personale e i
loro effetti su di lei, dall’altro. Il ricorso civile della ricorrente alla
Corte suprema federale elvetica (FSC) contro la sentenza del Tribunale
arbitrale dello sport (CAS), situato in Svizzera, ha però creato, in via
eccezionale, un collegamento giurisdizionale con la Svizzera ai sensi
dell’articolo 6 CEDU. La Corte rinviene tuttavia l’assenza di circostanze
eccezionali in grado di stabilire un collegamento territoriale per quanto
riguarda le denunce ai sensi degli articoli 8, 13 e 14 CEDU. Rispetto all’Art. 6 § 1 CEDU (civile), vi è
stata una violazione del diritto a un giusto processo, determinata dal
giudizio della FSC in opposizione alla sentenza del CAS che respingeva il
reclamo dell’atleta, riguardante norme non statali che le imponevano di
abbassare il suo livello naturale di testosterone per poter competere nella
categoria femminile nelle competizioni internazionali. La Corte ritiene che
il diritto a un processo equo richieda un esame particolarmente rigoroso nei
casi in cui la giurisdizione obbligatoria ed esclusiva del CAS è stata
imposta all'atleta e la controversia riguarda diritti “civili” o diritti
corrispondenti, nel diritto interno, a diritti fondamentali. Il riesame della
FSC si è invece limitato alla compatibilità della sentenza del CAS con
l'ordine pubblico sostanziale, un concetto che ha interpretato in modo molto
restrittivo, con la mancata conduzione di un esame particolarmente rigoroso
del reclamo della ricorrente. Sono presenti opinioni concorrenti e
parzialmente dissenzienti. |
req. n. 8019/16, 43800/14, 28525/20 e 11055/22 |
Corte
europea dei diritti dell’uomo (G.C.) 9 luglio 2025 (Ucraina e Paesi Bassi c. Russia) Artt. 1, 2, 3, 4, 5, 8, 9, 12, 13, 14, 32,
33, 41, 46, 1 P.1 – Nel ricorso interstatale contro la Russia, la Corte
riscontra violazioni definite come multiple, flagranti e senza precedenti
della Convenzione da parte dello Stato convenuto e sul territorio
dell’Ucraina. Tra esse vi sono l’abbattimento del volo MH17, gli attacchi
militari sul territorio ucraino e altri atti commessi nelle zone occupate in
Ucraina, ma anche nel territorio sovrano russo. La Corte ritiene inoltre si
possano trarre conclusioni anche a partire dalla limitazione all’accesso di
osservatori indipendenti e osservatori esterni, mentre né la legge russa e
gli atti giuridici della «Repubblica Popolare di Donetsk» («DPR») e della
«Repubblica Popolare di Lugansk» («LPR») nè quelli delle autorità di
occupazione russe forniscono una base giuridica valida per gli atti compiuti
in Ucraina. Invece, la base giuridica generale ai sensi del diritto
internazionale umanitario (“DIU”) per l’adozione di misure nel territorio
occupato dovrebbe trovare riscontro in disposizioni giuridiche specifiche e
in orientamenti adeguati nell’ordinamento giuridico interno. D’altra parte,
la competenza ratione temporis
della Corte non si estende oltre il 16 settembre 2022, data in cui lo Stato
convenuto ha cessato di essere una Alta Parte contraente della Convenzione.
Si segnala che ventisei Alte Parti contraenti sono intervenute nel giudizio
in qualità di terzi. La Corte conferma la giurisdizione dello
Stato convenuto sulle zone dell’Ucraina orientale sotto il controllo dei
separatisti dal 26 gennaio 2022 al 16 settembre 2022 e la giurisdizione dello
Stato convenuto sulle zone sotto il controllo delle forze armate russe dopo
l’invasione del 24 febbraio 2022. La Corte non argomenta questa conclusione
solo per il controllo effettivo esercitato dallo Stato convenuto su tale
territorio in virtù del ruolo delle forze armate russe dopo l'invasione, ma
conferma la giurisdizione dello Stato convenuto anche rispetto alle denunce
relative agli attacchi militari dei separatisti o delle forze armate russe
sul territorio ucraino dal 2014 al 2022. In contrasto con la nozione di
“caos”, la Corte ricostruisce una realtà costituita da attacchi militari
estesi, pianificati strategicamente, condotti con intenzione deliberata e con
l’effetto indiscutibile di assumere l’autorità e il controllo, pur senza
arrivare al controllo effettivo, su aree, infrastrutture e persone in
Ucraina. Gli atti e le omissioni delle forze armate russe e dei separatisti
armati della DPR e della LPR sono dunque attribuibili alla Federazione Russa.
Rispetto all’Art. 32 CEDU, la Corte richiama
l’attenzione sull’importanza del contesto storico del Consiglio d'Europa e
sulla natura e la portata della violenza e delle dichiarazioni riguardanti il
diritto stesso dell’Ucraina di esistere, che rappresentano una minaccia alla
coesistenza pacifica in Europa. Si fa riferimento a una vera e propria
mancanza di rispetto da parte dello Stato convenuto dei valori fondamentali
del Consiglio d’Europa. In riferimento alla relazione tra la Convenzione e il
diritto internazionale umanitario, la Corte si esprime nel senso d’un dovere
di interpretazione armoniosa, per quanto possibile. La Corte può quindi
interpretare e valutare la conformità al diritto internazionale umanitario
delle azioni degli Stati, ove necessario per svolgere il proprio ruolo. La Corte esamina le violazioni dell’Art. 2
(sostanziale) CEDU determinate dall’abbattimento del volo civile MH17 e
rinviene una violazione degli obblighi negativi e positivi dello Stato
convenuto, per l’uso intenzionale e ingiustificato della forza che ha
provocato l’abbattimento del volo e la morte dei civili a bordo. Sul piano
dei fatti, si fa riferimento al lancio di un missile da Buk-Telar,
nell’Ucraina orientale, in violazione del diritto internazionale umanitario.
Il lancio del missile non è stato un atto di guerra legittimo e non è
giustificato ai sensi dell'Art. 2, paragrafo 2 CEDU. La Corte non fa
riferimento solo all’esistenza di un rischio reale e immediato per la vita,
ma anche alla mancata adozione da parte dello Stato convenuto (per il tramite
delle milizie a lui riconducibili) di misure preventive volte a ridurre in
modo significativo o eliminare il rischio rappresentato dal missile per i
civili che viaggiavano su aerei civili sopra l'Ucraina orientale. La Corte rinviene anche una violazione
dell’Art. 2 CEDU dal punto di vista procedurale, nel caso dell’abbattimento
del volo MH17, determinato dalla mancata conduzione di un’indagine efficace e
dalla mancata cooperazione efficace con le indagini della squadra
investigativa congiunta internazionale (“JIT”). L’approccio della Federazione
Russa è stato ostruzionistico nei confronti dei tentativi di chiarire le
cause e le circostanze dell’incidente, con un impatto sostanziale della
mancata cooperazione sulla capacità della JIT di concludere le indagini sul
coinvolgimento delle forze armate russe e di uomini politici russi. Sempre in riferimento allo stesso caso, la
Corte rinviene una violazione dell’Art. 13 CEDU, in congiunzione con l’Art. 2
CEDU, determinata dalla mancanza d’accesso a rimedi efficaci nello Stato
convenuto per i parenti delle vittime, in grado di stabilire la
responsabilità dei funzionari statali e di concedere un risarcimento. Sempre in collegamento con questo punto, si
rinviene una violazione dell’Art. 3 CEDU (sostanziale), determinata dalla
prolungata sofferenza dei parenti delle vittime del volo, equivalente a un
trattamento inumano. La Corte rinviene poi una violazione degli
Artt. 2 e 3 CEDU, sotto il profilo sostanziale, e degli Artt. 1 P. 1 e 8
CEDU, determinata dalla pratica amministrativa di compiere attacchi militari
intensi e prolungati su tutto il territorio ucraino, condotti in violazione
del diritto internazionale umanitario. Gli attacchi militari in questione
sono da ritenere indiscriminati e sproporzionati e a volte diretti contro
zone residenziali e infrastrutture civili, avendo causato morte, feriti,
sofferenze e danni a proprietà e abitazioni su vasta scala, senza alcuna
protezione da parte dello Stato convenuto della vita e del benessere dei
civili durante gli assedi. Rispetto all’Art. 2 CEDU, dal punto di vista
sostanziale, la Corte censura anche la pratica amministrativa di commettere
uccisioni extragiudiziali di civili e personale militare ucraino fuori
combattimento nel territorio occupato in Ucraina. Rispetto all’Art. 3 CEDU e sotto il profilo
sostanziale, la Corte censura poi la pratica amministrativa di tortura e
trattamenti inumani e degradanti nel territorio occupato in Ucraina. Per la
Corte, la tortura costituisce una politica coordinata dello Stato della
Federazione Russa nei confronti dei civili ucraini e dei prigionieri di
guerra (“POW”). Si censura inoltre il ricorso diffuso e sistematico allo
stupro e alla violenza sessuale come arma di guerra, atto di estrema atrocità
equivalente alla tortura. Le sofferenze dei familiari delle persone rapite o
scomparse dopo il 24 febbraio 2022, in un contesto di detenzioni arbitrarie
di massa e abusi sistematici nei confronti dei detenuti, sono poi da ritenere
equivalenti a trattamenti inumani. La Corte rinviene poi la violazione
dell’Art. 4, paragrafo 2 CEDU, determinata dalla pratica amministrativa del
lavoro forzato nei territori occupati dell'Ucraina, nonché la violazione
dell’Art. 5 CEDU determinata dalla pratica amministrativa della detenzione
illegale e arbitraria di civili, senza alcuna base giuridica e senza garanzie
procedurali di base, nei territori occupati dell’Ucraina. Ancora, una violazione dell’Art. 8 CEDU è
ricollegata alla pratica amministrativa di trasferimento e sfollamento
ingiustificati di civili nei territori occupati dell'Ucraina e applicazione
ingiustificata di misure di filtraggio. Infatti, lo sfollamento di civili da
parte delle autorità di occupazione russe non può essere considerato
un’evacuazione legittima ai sensi del diritto internazionale umanitario,
visto che il clima di coercizione, paura, violenza e terrore in Ucraina a
causa delle violazioni di massa dei diritti umani da parte della Federazione
Russa è sostanzialmente responsabile della decisione dei civili di fuggire.
Lo sfollamento di tali civili equivale dunque a uno sfollamento forzato. La violazione dell’Art. 9 CEDU è invece
ricollegata alla pratica amministrativa nei territori occupati dell'Ucraina
di intimidazione, vessazione e persecuzione di gruppi religiosi, a eccezione
della Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca (“UOC-MP”), e dal
rapimento, maltrattamento e uccisione di leader religiosi, dall'obbligo di
registrazione per i gruppi religiosi, dall’applicazione delle leggi
sull’estremismo contro le comunità religiose diverse dall'UOC-MP, al fine di
vietare le organizzazioni religiose, sequestrare locali e materiali religiosi
e impedire il culto religioso. La violazione dell’Art. 10 CEDU è stata
determinata da pratiche amministrative nei territori occupati dell'Ucraina
consistenti in un’ingerenza ingiustificata nella libertà di ricevere e
diffondere informazioni e idee, tramite intimidazioni, detenzioni, maltrattamenti
e uccisioni di giornalisti, l’imposizione di un obbligo di registrazione e
accreditamento per i media e i giornalisti e l’applicazione di presunte norme
che vietano e puniscono la diffusione di informazioni a sostegno
dell’Ucraina, anche sui social media. La violazione dell’Art. 11 CEDU è stata
determinata dalla pratica amministrativa della dispersione forzata di
proteste pacifiche nei territori occupati dell’Ucraina nel marzo e
nell’aprile 2022, che causa una ingiustificata interferenza con il diritto di
riunirsi pacificamente. Le violazioni dell’Art. 1 P. 1 e dell’Art. 8
CEDU discendono dalla pratica amministrativa di distruzione, saccheggio ed
espropriazione senza indennizzo dei beni dei civili e delle imprese private e
saccheggio di abitazioni e beni personali nei territori occupati
dell'Ucraina. La violazione dell’Art. 2 P. 1 deriva dalla
pratica amministrativa di soppressione della lingua ucraina nelle scuole e di
indottrinamento nell'istruzione, dove la mancata erogazione dell'insegnamento
in lingua ucraina ha costituito una negazione sostanziale del diritto
all'istruzione. A tale riguardo, la Corte ritiene che le opinioni dei
genitori nei territori occupati sulla storia e lo status dell’Ucraina abbiano
raggiunto un livello di forza, serietà, coesione e importanza tale da essere
considerate vere e proprie “convinzioni”. Invece, le disposizioni adottate
dopo il 24 febbraio 2022 per promuovere la narrativa della potenza occupante
nelle scuole perseguono l’obiettivo dell’indottrinamento. Le violazioni degli Art. 3 CEDU, dal punto
di vista sostanziale, e degli Artt. 5 e 8, sono determinate dalla pratica
amministrativa di trasferimento in Russia, e in molti casi di adozione in
tale Paese, di bambini ucraini. Rispetto alle regioni separatiste, la Corte
rinviene prove schiaccianti, risalenti a poco prima dell'invasione del 2022,
di una pratica sistematica di trasferimento di bambini in Russia e di
facilitazione della loro adozione in tale Paese. La Corte censura la mancata
adozione da parte delle autorità russe di misure volte a garantire il ritorno
dei bambini e le eccessive difficoltà incontrate dai caregiver che cercano di ottenere il ricongiungimento. Questi
trasferimenti non erano qualificabili come evacuazioni legittime ai sensi del
diritto internazionale umanitario, mentre l’imposizione automatica della
cittadinanza russa costituisce una violazione del diritto internazionale
umanitario che ha facilitato l’adozione dei bambini in Russia. Il trattamento
riservato ai bambini ha raggiunto la soglia di gravità richiesta per
l’applicazione dell’Art. 3 CEDU, visto che i bambini sono stati affidati alle
cure di uno Stato occupante ostile, potenzialmente a tempo indeterminato e in
violazione del diritto internazionale. La Corte tiene anche conto dell’effetto
traumatizzante delle operazioni militari stesse e della separazione da chi si
prendeva cura dei bambini, in particolare data l’incertezza e il timore di
una separazione permanente e forzata. Vi sono anche prove di maltrattamenti
subiti da alcuni bambini dopo il loro trasferimento. La violazione dell’Art. 14 CEDU, in rapporto
con gli Artt. 2, 3, 4 § 2, 5, 8, 9, 10 e 11, e Art. 1 e 2 P.1, è determinata
dal mancato rispetto da parte dello Stato convenuto dei diritti e delle
libertà sanciti dalla Convenzione nel territorio occupato dell'Ucraina, alla
luce delle comprovate discriminazioni basate sull’opinione politica e
l’origine nazionale. La violazione dell’Art. 13, in rapporto con
gli Artt. 2, 3, 4 § 2, 5, 8, 9, 10 e 11, e Art. 1 e 2 P1, è determinata dalla
mancata indagine su accuse credibili di pratiche amministrative lesive dei
diritti e dalla mancata concessione di un risarcimento. La violazione dell’Art. 38 CEDU è
determinata dalla deplorevole mancata osservanza da parte dello Stato
convenuto del fondamentale dovere di cooperazione con la Corte, che ha
inevitabilmente influito sull’esame del caso. Rispetto al dovere d’esecuzione della
sentenza, la Corte richiede siano adottate immediatamente misure individuali.
Lo Stato convenuto deve rilasciare o restituire in modo sicuro tutte le
persone private della libertà sul territorio ucraino occupato dalle forze
russe e controllate dalla Russia prima del 16 settembre 2022 e ancora sotto
la custodia delle autorità russe. Lo Stato convenuto deve cooperare alla
creazione di un meccanismo internazionale e indipendente per garantire,
nell’interesse superiore dei minori, l’identificazione di tutti i bambini
trasferiti dall’Ucraina alla Russia e al territorio controllato dalla Russia
prima del 16 settembre 2022, il ripristino dei contatti e il ricongiungimento
sicuro di tali bambini con i loro familiari sopravvissuti o coi loro tutori
legali. La Corte decide di rinviare la decisione
sulla giusta soddisfazione, vista l’importanza di tenere debitamente conto
dei nuovi sviluppi internazionali al momento di emettere qualsiasi futura
sentenza sul punto. |
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Corte
europea dei diritti dell’uomo (Sez. II) 8 luglio 2025 (Selahattin Demirtaş c. Turchia (No. 4)) Artt. 5 § 1 c), 5 § 3, 5 § 4, 18 (+ Art 5),
35 § 1 e 35 § 3 a) – La Corte rinviene diverse violazioni nel caso della
protratta detenzione in attesa di processo del filantropo e uomo d’affari
turco Demirtaş. In primo luogo la Corte afferma la propria competenza ratione materiae a conoscere delle
doglianze formulate dal ricorrente nell’ambito della presente nuova domanda e
a seguito di una sentenza della Grande Camera che lo ha riguardato. La Corte riscontra, alla luce degli Artt. 5
§ 4 e Art. 35 § 1, la mancanza d’un controllo giurisdizionale tempestivo
dinanzi alla Corte costituzionale sulla legittimità della detenzione
provvisoria del ricorrente. Il tempo trascorso, di poco superiore a quattro
anni, non è considerato compatibile con l’obbligo di un controllo
«tempestivo», anche tenuto conto delle circostanze particolari del caso. Ne è
derivata l’inefficacia del ricorso individuale del ricorrente dinanzi alla
Corte costituzionale. Nel merito e rispetto all’Art. 5 § 1 c), la
Corte giudica vi fosse una completa assenza di sospetti plausibili nei
confronti del ricorrente al momento della sua riconsegna in custodia
cautelare e durante la fase iniziale della sua detenzione. Rispetto all’Art. 5 § 3, la Corte rinviene
poi l’assenza di motivi pertinenti e sufficienti per mantenere il ricorrente
in custodia cautelare per più di quattro anni, la misura non è dunque stata
utilizzata come ultima risorsa, alla luce della situazione dell'interessato,
contrariamente a quanto previsto dal diritto interno. Sotto il profilo delle garanzie procedurali
di controllo, la Corte sanziona poi l’impossibilità per il ricorrente e il
suo avvocato di accedere al fascicolo dell'indagine. La Corte rinviene infine una violazione
dell’Art. 18, in connessione con l’Art. 5 CEDU, in quanto le restrizioni
imposte sono adoperate per uno scopo non previsto, vale a dire lo scopo
inconfessato di soffocare il pluralismo e limitare il libero svolgimento del
dibattito politico in Turchia. |
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Corte
europea dei diritti dell’uomo (Sez. III) 8 luglio 2025 (Google LLC e altri c.. Russia) Artt . 10 e
6 § 1 – Violazione della libertà di espressione determinata
dall’imposizione di multe ingenti all’azienda Google LLC per mancata ottemperanza alle richieste di rimozione
relative a contenuti generati dagli utenti ospitati su YouTube. Per la Corte, la severità delle sanzioni, unita alla
minaccia di somministrarne di ulteriori, ha esercitato una notevole pressione
volta a censurare i contenuti della piattaforma. Le misure contestate sono
state applicate indiscriminatamente a un’ampia gamma di contenuti, tra cui
espressioni politiche, critiche al governo, reportage sull’invasione russa
dell’Ucraina da parte di testate giornalistiche indipendenti e sostegno ai
diritti LGBTQ. Appunto per questo, i contenuti in questione riguardavano
questioni di notevole interesse pubblico, in particolare nel contesto di un
conflitto armato con profonde implicazioni per la sicurezza europea e
globale. La Corte nota la mancata valutazione da parte dei tribunali
nazionali della veridicità dei contenuti, dei rischi che comportavano, del
loro impatto o portata e del danno che avevano causato o che avrebbero potuto
causare. D’altra parte, la misura contestata ha colpito il cuore stesso della
funzione di Internet come mezzo per il libero scambio di idee e informazioni.
La natura e l’entità sproporzionate delle ammende sono suscettibili di avere
un effetto paralizzante, rendendo l’ingerenza non necessaria in una società
democratica. Sempre rispetto alla libertà di espressione,
la Corte condanna l’imposizione di sanzioni a Google LLC per non aver ottemperato all’ordine dei tribunali
nazionali di ripristinare l’account
YouTube di un canale televisivo. In
specie, si trattava di una sospensione dovuta alle sanzioni imposte al
proprietario del canale televisivo per aver fornito materiale e sostegno
pubblico all’annessione della Crimea da parte della Russia e le sanzioni
imposte sono ritenute manifestamente sproporzionate e prive di qualsiasi
relazione con il danno subito. La Corte censura inoltre l’ampliamento dei
contenuti dell’ordinanza giudiziaria originaria, basato su prove peritali
commissionate senza il contributo della controparte, incompatibile con la
certezza del diritto. La Corte rileva inoltre una violazione
dell’Art. 6 § 1 CEDU sotto i profili amministrativo, esecutivo e civile,
determinata dall’imposizione di ammende alla società ricorrente per la
mancata rimozione di contenuti su YouTube,
calcolando l’ammontare di tali ammende sulla base dei ricavi di più entità (“based on revenue of multiple entities”)
senza fornire un'adeguata giustificazione della compatibilità di tale
approccio con il diritto interno. La Corte censura in specie la mancata
risposta del Governo russo all’obiezione della società ricorrente relativa
all'approccio aggregativo seguito. Inoltre, i procedimenti esecutivi sono
stati avviati nei confronti di una società ricorrente diversa senza
rispondere all’argomentazione secondo cui, in quanto entità giuridica
separata, essa non poteva essere ritenuta responsabile per conto della
società madre. La Corte ritiene non sia stata fornita una motivazione
adeguata per affermare la giurisdizione delle autorità russe sulla
controversia relativa alla sospensione dell’account YouTube di un canale televisivo russo. E’ stata dunque sminuita
l’essenza stessa del diritto delle società ricorrenti ad ottenere una
sentenza debitamente motivata. |
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Corte
europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 26 giugno 2025 (S.O. c. Spagna) Art. 8 – Violazione degli obblighi positivi
connessi al diritto al rispetto della vita privata, determinata dalla
mancanza di un valido consenso informato della ricorrente in merito
all’estensione dell’ambito dell’intervento chirurgico conservativo al seno.
La Corte non giudica vi siano carenze nel quadro normativo nazionale
applicabile, ma ritiene inadeguata la risposta delle autorità giudiziarie
nazionali davanti al reclamo della ricorrente. In particolare, la Corte
sanziona la mancata considerazione da parte dei tribunali nazionali di
aspetti importanti della sessualità femminile, con conseguente carente
attuazione pratica del quadro normativo esistente. |
req. n. 46084/21 40185/22 e 53952/22 |
Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 25 giugno 2025 (H.Q. e altri c. Ungheria) Artt. 4 P4, Art 3, Art 13 (+ Art 4 P4) e Art
46 – Violazione del divieto d’espulsione collettiva di stranieri in un caso
di allontanamento automatico dei ricorrenti, sia individualmente (il primo
ricorrente) sia insieme ad altre persone (il secondo e il terzo ricorrente),
al di fuori della recinzione di confine ungherese con la Serbia. La Corte
censura il rifiuto delle autorità di prendere in considerazione le
argomentazioni del primo ricorrente e la mancanza di una decisione di
allontanamento individuale per i restanti ricorrenti, non conseguente al loro
comportamento. Per la Corte, la «procedura dell'ambasciata» adottata
dall’Ungheria come sola possibile non fornisce un accesso reale ed effettivo
ai mezzi di ingresso legale nel Paese. La Corte rinviene poi una violazione
dell’Art. 3 in materia di divieto d’espulsione, visto il mancato esame da
parte delle autorità nazionali della possibilità di accesso dei richiedenti a
una procedura di asilo adeguata in Serbia. Si rinviene anche una violazione dell’Art.
13, insieme all’Art. 4 Prot. 4, per la mancanza di un ricorso effettivo
contro l'allontanamento. La Corte indica all’Ungheria la necessità di
adottare misure immediate e adeguate per impedire ulteriori espulsioni
collettive e garantire un accesso effettivo e reale alla procedura di
protezione internazionale. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 24 giugno 2025 (Păcurar c. Romania) Artt. 6 § 1 e 1 P1 – Mancata violazione
dell’equo processo civile per assenza
di contraddittorio in un procedimento di confisca dei beni nei confronti di
un funzionario pubblico. Il ricorrente è stato infatti rappresentato da un
avvocato di sua scelta e ha ricevuto risposte esaurienti e motivate a tutte
le sue allegazioni e richieste alle autorità amministrative e ai tribunali,
mentre l’onere della prova è stato applicato, per spiegare la fonte dei
redditi del ricorrente, in conformità con la Costituzione e la giurisprudenza
dell'Alta Corte rumena. La Corte esclude anche una violazione del
diritto al godimento pacifico dei beni, trattandosi di una confisca
proporzionata, adottata sulla base di un quadro giuridico sufficientemente
chiaro e prevedibile in materia di integrità nella funzione pubblica. La
Corte riconosce inoltre l’esistenza d’un ampio margine di apprezzamento nel
contesto specifico del Paese, in materia di lotta alla corruzione. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 24 giugno 2025 (Sagir e altri c. Grecia) Artt. 11 e 46 – Violazione della libertà
d’associazione causata dal rifiuto dei tribunali nazionali di registrare
l'“Associazione culturale delle donne turche della prefettura di Xanthi”,
dietro una motivazione basata sulla necessità di distinguere tra l’esistenza
di una minoranza musulmana in Grecia, riconosciuta dal Trattato di Losanna
del 1923, e una minoranza turca, non riconosciuta dai tribunali e dal diritto
ellenici. Per la Corte, tali conclusioni non sono basate su alcuna esistente
minaccia all'ordine pubblico. D’altra parte, il nome proposto non poteva di
per sé giustificare la mancata registrazione, per cui i motivi non sono né
pertinenti né sufficienti, in quanto restrizioni che non perseguono una
«necessità sociale urgente». Dal punto di vista dell’esecuzione della
sentenza, la Corte si pronuncia a favore di alcune misure individuali, tra
cui la riapertura su richiesta del procedimento di riconoscimento
dell’associazione, indicata come il modo più appropriato per porre fine alla
violazione e garantire un risarcimento. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 12 giugno 2025 (T.H. c. Repubblica Ceca) Art. 8 – Violazione del diritto alla vita
privata determinata dal rigetto della richiesta del ricorrente di modificare
il proprio codice numerico personale (numero di nascita) indicante il sesso
sulla carta d'identità nazionale, rigetto motivato dal fatto che il
richiedente non aveva subito l'intervento chirurgico di riassegnazione di
sesso richiesto dalla legislazione nazionale. Per la Corte la decisione
equivale a un rifiuto di riconoscere il cambiamento di sesso del ricorrente.
La Corte ritiene che subordinare il riconoscimento giuridico della nuova
identità di genere delle persone transgender
all'esecuzione di un intervento chirurgico, che comporta o può comportare
la sterilizzazione contro la loro volontà, equivale a subordinare il pieno
esercizio del loro diritto al rispetto della vita privata alla rinuncia al
pieno esercizio del diritto al rispetto dell'integrità fisica. per la Corte
le autorità nazionali hanno dunque ignorato il giusto equilibrio da
raggiungere tra l'interesse generale e gli interessi dell'individuo. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 10 giugno 2025 (K.V. Mediterranean Tours Limited c. Turchia) Artt. 6 § 1, 1 P1 e 46 – Il caso riguarda la
partecipazione di una fondazione religiosa in qualità di terza parte nel
procedimento dinanzi alla Commissione per i beni immobili dell’autoproclamata
Repubblica di Cipro Nord (IPC) avviato dalla società ricorrente in relazione
a beni abbandonati nella parte settentrionale di Cipro nel 1974, a seguito
dell’invasione turca. La Corte rinviene nell’azione della Commissione e nel
procedimento davanti ad essa, considerato nel suo complesso, un equilibrio
tra gli interessi dell'attore e la necessità di garantire la corretta
amministrazione della giustizia, compresi gli interessi della terza parte.
Non vi è dunque una lesione dell’Art. 6
CEDU. Tuttavia, la Corte rinviene una lesione del
diritto al pacifico godimento dei propri beni determinata dal non aver agito
l’IPC con coerenza, diligenza e tempestività nell'esaminare la richiesta
della società ricorrente. Sotto il profilo dell’esecuzione della
sentenza, la Corte impone l’adozione di alcune misure generali. In
particolare, lo Stato convenuto è tenuto a proseguire gli sforzi per
accelerare i tempi dei procedimenti dinanzi all'IPC e creare un rimedio
efficace che garantisca un risarcimento effettivo per i ritardi. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 5 giugno 2025 (Spivak c. Ucraina) Artt. 5 § 1, 5 § 4, 3 e 13 + (Art 3) –
Violazione dell’Art. 5 §1 CEDU determinata dall'illegittima continuazione del
ricovero obbligatorio del ricorrente, nonostante l'ordine del tribunale di
cessare il suo trattamento psichiatrico obbligatorio in regime di ricovero
ospedaliero. La Corte censura inoltre l’impossibilità per
il ricorrente di contestare la legittimità del suo ricovero psichiatrico
obbligatorio, facendo applicazione delle conclusioni della causa Gorshkov c. Ucraina. In entrambi i
casi infatti l’ordinamento nazionale risultava privo delle garanzie
fondamentali per i pazienti sottoposti a ricovero contro la loro volontà, in
specie della garanzia costituita dal fornire ai pazienti detenuti
obbligatoriamente in un ospedale psichiatrico il diritto di presentare
un'istanza individuale a un tribunale. Tale mancanza è la ragione per la
quale il ricovero obbligatorio in una struttura di cura mentale, disposto da
un tribunale penale, comportava l'autorizzazione automatica a trattare i
pazienti contro la loro volontà, in assenza d’un rimedio giuridico da questi
invocabile. Il controllo giudiziario periodico d'ufficio, pur possibile, nel
caso del ricorrente è stato caratterizzato da una manifesta mancanza di
diligenza ed è risultato incompatibile con le più basilari esigenze di giustizia. La Corte rinviene inoltre una violazione
dell’Art. 3 CEDU sotto il profilo degli obblighi positivi, data la mancata
introduzione e applicazione effettiva, da parte dello Stato convenuto, di un
quadro giuridico e normativo che disciplinasse le misure mediche obbligatorie
negli istituti psichiatrici e l'esame dei reclami relativi a tali misure. La
Corte censura inoltre la mancata indagine da parte delle autorità penali
sulle accuse del ricorrente. La Corte giudica vi sia stata una violazione
dell’Art. 3 CEDU anche dal punto di vista sostanziale del divieto di
trattamenti inumani e degradanti, in quanto non vi era nessuna comprovata
necessità terapeutica per la somministrazione giornaliera persistente e
prolungata di farmaci neurolettici, in forme e dosaggi diversi, senza un
percorso predeterminato e contro la volontà del richiedente. Questo
trattamento medico coercitivo è continuato nonostante l'ordine del tribunale
di interromperlo, aveva chiare finalità ritorsive ed era volto a esercitare
un controllo sul comportamento del richiedente. La Corte censura da ultima la mancanza di un
rimedio effettivo ex Art. 13 CEDU. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 3 giugno 2025 (Manolache c. Romania) Art. 6 § 1 – Violazione del diritto a un
processo penale equo, che ha portato alla condanna del ricorrente nel grado
d’appello dopo la sua assoluzione in primo grado. La Corte censura la nuova
interpretazione da parte d’una Corte d'appello rumena delle dichiarazioni dei
testimoni, che costituivano una prova decisiva, senza che tutti e due i
giudici del collegio avessero ascoltato direttamente i testimoni in
questione. La Corte d'appello era invece tenuta, in base agli obblighi della
Convenzione, a provvedere d'ufficio alla loro audizione diretta, per
determinare la colpevolezza o l'innocenza del ricorrente. L'assenza di un
giudice all'audizione di tutti i testimoni, tranne quello indiretto, non può
inoltre dirsi compensata dal fatto che il collegio giudicante potesse
adottare la decisione solo all'unanimità. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 3 giugno 2025 (Uygun c. Turchia) Artt. 8 e 15 – Violazione della libertà di
corrispondenza durante uno stato di deroga ex Art. 15 CEDU determinata dal
rifiuto delle autorità penitenziarie di inviare la lettera del ricorrente,
detenuto in carcere, alla sua fidanzata. Un paragrafo della lettera è stato
infatti interpretato come prova del continuo coinvolgimento del ricorrente
con l'organizzazione terroristica di cui era accusato di essere membro e del
suo continuo ruolo attivo all'interno di essa. La Corte considera tali
giustificazioni ragioni pertinenti ma non sufficienti per giustificare il
rifiuto di inviare la lettera completa, per via del mancato bilanciamento
degli interessi in gioco e della mancata prevenzione di un'interferenza
sproporzionata con il diritto del ricorrente, in assenza di garanzie
adeguate. Per quanto riguarda l’Art. 15 CEDU, la Corte considera la misura
impugnata non strettamente richiesta dalle circostanze particolari dello
stato d’emergenza dichiarato dalla Turchia a seguito del tentato colpo di
Stato del 2016 e dunque sottratta all’ambito della deroga. |
Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 27 maggio 2025 (ARB SHPK e altri c. Albania) Artt. 6 § 1, 13 e 46 – Violazione del
diritto a un equo processo determinata dal ritardo eccessivo della fase del
procedimento dinanzi alla Corte Suprema albanese, di molto superiore alla già
elevata soglia massima di tre anni e
mezzo stabilita dal diritto nazionale per il grado di giudizio in questione.
La Corte ritiene tra l’altro che in futuro, se mantenuta, la dottrina delle
“ragioni oggettive” giustificanti il maggior ritardo elaborata dalle corti
nazionali potrebbe essere considerata di per sé lesiva della Convenzione, la
quale garantisce la ragionevole durata del processo al di là di ogni
eventuale ulteriore lesione che ne sia derivata al ricorrente. Inoltre, la Corte rinviene in uno dei casi
la violazione della ragionevole durata anche per la domanda di indennizzo (“compensatory remedy”) presentata a
livello interno appunto per l’eccessiva durata del procedimento davanti alla
Corte Suprema, ritenendo vi sia stato un pregiudizio anche dal punto di vista
dell’Art. 13 CEDU. La Corte sollecita le autorità a far fronte
a un problema divenuto sistemico, adottando misure volte a prevenire
violazioni del requisito del “termine ragionevole” e a valutare l'efficacia
pratica del rimedio compensativo introdotto. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 27 maggio 2025 (Nemytov e altri c. Russia) Artt. 10, 11, 5 §1, 6 §1 e Art. 2 P. 7 –
Violazione delle libertà d’espressione e riunione determinata dal fatto che i
ricorrenti sono stati arrestati, perseguiti e sanzionati con la detenzione
amministrativa (“administrative
conviction”) o una sanzione pecuniaria di natura amministrativa per aver
partecipato a eventi pubblici o manifestazioni individuali in violazione dei
divieti e/o delle restrizioni generali o regionali relativi alla pandemia di
Covid-19 nel 2020 e nel 2021. Per la Corte, le interferenze alla libertà
di riunione sono state certo imposte nel contesto generale di un'urgente
necessità sociale di proteggere la salute individuale e pubblica, ma si
riscontra l’assenza di motivazioni pertinenti e sufficienti sulla loro
necessità nei casi di specie e anche di una valutazione circa la
proporzionalità delle misure adottate. Le sanzioni erano al contempo
suscettibili di avere un “effetto dissuasivo” generale ("chilling effect”). L’ampio margine di
apprezzamento statale è stato dunque superato, non potendosi considerare le
interferenze in questione “necessarie in una società democratica”. La Corte riscontra la violazione della
libertà di espressione determinata dalla condanna di natura amministrativa (“administrative conviction”) del primo
ricorrente in relazione all'organizzazione di una manifestazione individuale,
per non aver rispettato le regole di condotta durante uno stato di “allerta
elevata”. Il primo ricorrente è stato esentato dal pagamento della multa
inflitta per aver scontato parte della detenzione e perciò la Corte giudica
che vi è stata un'interferenza proporzionata allo scopo perseguito e l’ampio
margine di apprezzamento non sia stato superato. Sempre rispetto alle libertà di espressione
e di riunione, la Corte ritiene che le condanne amministrative del primo
ricorrente per aver partecipato a manifestazioni individuali non autorizzate
organizzate a rotazione e per aver organizzato una manifestazione individuale
nella Piazza Rossa di Mosca in violazione del divieto generale di tenere
eventi pubblici in tale luogo non fossero “necessarie in una società
democratica", in quanto dotate di effetto dissuasivo generale e segnate
dalla mancata valutazione della proporzionalità. La Corte riscontra anche una privazione
illegittima della libertà ai sensi dell’Art. 5 CEDU e una violazione
dell’Art. 6 CEDU per l’assenza della parte accusatrice nei procedimenti per i
citati illeciti amministrativi, con lesione del diritto a un tribunale
imparziale. Riscontra infine una lesione dell’Art. 2
Prot. 7 in quanto, nel riesame in appello della condanna alla detenzione
amministrativa, l'impugnazione era sprovvista di ogni effetto sospensivo. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 22 maggio 2025 (de Galbert Defforey and Others c. Francia) Art. 14 (+ Art 1 P.1) – Negata violazione
del divieto di discriminazione, in connessione con il diritto di proprietà, a
fronte di accuse di discriminazione inversa o a rovescio (“discriminations à rebours”) relative
alla tassazione delle plusvalenze realizzate in occasione di scambi di titoli
relativi a operazioni di fusione di società, a causa della presunta disparità
di trattamento derivante dall'applicazione, a operazioni di scambio di titoli
puramente interne, di norme meno favorevoli rispetto a quelle applicabili
alle situazioni disciplinate dal diritto dell'Unione europea (UE). La Corte
giudica che la differenza di trattamento non sia in realtà basata sulla
nazionalità dei contribuenti, ma su alcune oggettive e rilevanti
caratteristiche delle operazioni tassate, in particolare sul fatto che queste
si riferiscano a operazioni di fusione riguardanti società di almeno due
Stati. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 20 maggio 2025 (Russ c. Germania) Art. 11 (alla luce dell’Art. 10) –
Violazione della libertà di riunione determinata dalla condanna penale e
dalla sanzione amministrativa inflitte al ricorrente per aver indossato una
visiera di plastica (“plastic visor”)
in una manifestazione pacifica, in quanto sarebbe stata una violazione della
legge interna che proibisce le armi da protezione (“protective weapons”) nelle pubbliche manifestazioni o riunioni.
La Corte giudica vi sia stata un’assenza di ragioni sufficienti e che le
corti nazionali abbiano mancato di bilanciare il diritto del ricorrente con
gli obiettivi legittimi perseguiti dal bando, anche alla luce delle esenzioni
dal bando previste dalla legge, senza tenere in considerazione le circostanze
d’insieme della manifestazione. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 9 maggio 2025 (Sadomski c. Polonia) Art. 6 – Violazione del diritto di accesso a
un giudice determinata dalla nomina da parte del Presidente della Polonia di
sette giudici della Sezione civile della Corte suprema, nel 2018, nonostante
l'ordinanza provvisoria vincolante della Corte Suprema Amministrativa che
sospendeva l'attuazione della risoluzione su cui si basavano le nomine, in
attesa del suo controllo giurisdizionale. La violazione è stata integrata
anche dall’intervento del legislatore, sempre nel 2018, che ha escluso il
diritto al controllo giurisdizionale nei
casi di cui si discute nel presente giudizio. Per quanto riguarda
l’applicabilità dell'Articolo 6 CEDU ai funzionari pubblici, la Corte
riscontra come il ricorrente, candidato escluso, avesse diritto, ai sensi del
diritto interno, ad accedere alla carica giudiziaria al pari degli altri
concorrenti; i procedimenti interni
sono da considerarsi inoltre tali da avere natura “decisiva” rispetto al
diritto in questione. Facendo applicazione del “test di Eskelinen” e richiamando le proprie conclusioni nella causa Advance Pharma sp. z o.o contro Polonia,
la Corte giudica che le azioni sia del potere esecutivo che di quello
legislativo hanno compresso completamente (“extinguished”) il controllo giurisdizionale del caso del
ricorrente, privando le sentenze interne a suo favore di ogni effetto
pratico. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 6 maggio 2025 (Comunità ebraica di Salonicco c. Grecia) Art. 1 P.1 – Violazione del diritto al
godimento pacifico dei propri beni determinata dal rigetto della richiesta
della comunità ricorrente di essere riconosciuta giudizialmente come unica
proprietaria di un terreno, sulla base del fatto che esso era considerato
“proprietà nemica” dopo la fine della seconda guerra mondiale, sebbene la
proprietà fosse stata trasferita alla comunità, da parte di una famiglia
ebraica di origine italiana, nel 1934. Per la Corte i registri pubblici di
proprietà fondiaria (“public records of
land ownership”) non sono determinanti per stabilire la competenza ratione temporis della Corte EDU.
D’altra parte, la comunità ricorrente ha irrevocabilmente perso la proprietà
del terreno contestato in virtù di una sentenza definitiva della Corte di
cassazione greca emessa nel 2019, per cui il ricorso rientra nella competenza
ratione temporis della Corte. Nel
merito, l'interpretazione e l'applicazione da parte della Corte di cassazione
della legislazione nazionale pertinente non erano prevedibili nelle
circostanze del caso, con una mancanza di coerenza nelle azioni dello Stato
nel corso degli anni in contraddizione con il principio del “buon governo”.
Tutte ragioni per le quali la comunità ricorrente non è stata né poteva
essere in grado di prevedere il cambiamento di posizione dello Stato e
l'interpretazione della legislazione pertinente da parte dei tribunali
nazionali. L'ingerenza contestata non è dunque “conforme alla legge”. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 29 aprile 2025 (Tergek c. Turchia) Art. 10 – Mancata violazione della libertà
d'informazione e di pensiero in un caso di rifiuto da parte delle autorità
penitenziarie turche di consegnare stampe internet [“printouts”] inviate a un detenuto dalla moglie. La Corte concorda
col Governo nel ritenere che l'esame di una grande quantità di documenti
stampati o fotocopiati, oltre alle pubblicazioni regolari, potrebbe
sovraccaricare il personale penitenziario, ostacolare i suoi compiti e
gravare eccessivamente sulla magistratura. Ritiene inoltre vi siano
differenze intrinseche tra libri o periodici pubblicati ufficialmente e
stampe o fotocopie prive di un controllo preliminare alla pubblicazione, con
conseguenti rischi specifici per la sicurezza e l'ordine dell'ambiente
carcerario. Vi sono d’altra parte vari mezzi a disposizione dei detenuti per
ottenere le pubblicazioni in conformità con il diritto nazionale pertinente
ed è ragionevole che le autorità nazionali regolino le modalità con cui i
detenuti possono ottenere documenti fotocopiati o stampati al fine di
garantire il funzionamento efficiente di tutti i servizi carcerari. Vi
sarebbe già stata inoltre una valutazione dettagliata e attentamente
bilanciata degli interessi concorrenti da parte della Corte costituzionale
turca. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 29 aprile 2025 (Avagyan c. Russia) Artt. 10 e 6 § 1 – Violazione della libertà
di espressione determinata dalla condanna della ricorrente, nell'ambito di un
procedimento per un illecito amministrativo [“administrative-offence proceedings”], per diffusione intenzionale
di “informazioni non veritiere” in relazione a commenti che mettevano in
dubbio l'esistenza di casi di COVID-19 nella sua regione, postati sul suo
account Instagram, utilizzato per la sua piccola impresa. Secondo la Corte i
commenti esprimevano critiche su una presunta mancanza di trasparenza e non
pretendevano di fornire informazioni fattuali verificate, con una diffusione
limitata dei commenti. Inoltre, vi è stato un mancato accertamento
dell’intenzionalità delle false notizie da parte dei giudici nazionali e
l’assenza del pubblico ministero, figura che costituisce una carenza
strutturale del procedimento e che aggrava l'approccio superficiale
all'accertamento della colpevolezza ai fini della sanzione, comminata in un
procedimento di natura amministrativa. La Corte ricorda che, sebbene la lotta
alla disinformazione durante un'emergenza sanitaria possa essere un obiettivo
valido, non lo è sanzionare i singoli per aver espresso scetticismo nei
confronti delle informazioni ufficiali o per aver chiesto una maggiore
trasparenza. L'ammenda inflitta rappresenta un onere finanziario
significativo per il ricorrente e può avere un effetto eccessivamente
dissuasivo, così che l'ingerenza non è da considerare “necessaria in una
società democratica”. La Corte
riscontra anche l’assenza della parte accusatoria in un procedimento
come quello in oggetto, quale violazione dell’Articolo 6 CEDU nel caso di
specie. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 24 aprile 2025 (Sytnyk c. Ucraina) Artt. 6, 8 e 18 – Violazione dell’Art. 6
CEDU (penale) e del diritto all’equo processo e un tribunale imparziale,
determinata dal procedimento amministrativo gravemente viziato che ha portato
alla condanna di un alto funzionario anticorruzione, già direttore
dell’Ufficio anticorruzione del Governo ucraiano, per aver accettato dei
regali (in forma di vacanze pagate). La Corte riscontra la mancata
considerazione da parte dei tribunali nazionali delle argomentazioni della
difesa in merito all'attendibilità delle dichiarazioni testimoniali decisive
dell'accusa, mentre le prove testimoniali della difesa sono state ignorate.
L’onere della prova è stato dunque distribuito in modo arbitrario, privando
il ricorrente di qualsiasi possibilità concreta di contestare efficacemente
le accuse a suo carico, pur a fronte di timori obiettivamente giustificati in
merito all'imparzialità del giudice del processo, a causa della sua possibile
dipendenza di fatto dalla parte avversa, ossia dalla pubblica accusa. La
Corte nota anche la mancata adozione di rimedi da parte della Corte d'appello
all'irragionevole rifiuto di ricusazione del giudice del processo. La Corte riscontra poi una violazione del
diritto alla vita privata, determinata dalla pubblicazione a tempo
indeterminato di informazioni che identificano il ricorrente con una
descrizione del reato contestato e della pena inflitta sul “Registro dei funzionari
corrotti” dello Stato, accessibile al pubblico. Per la Corte, la misura
impugnata ha arrecato grave pregiudizio alla reputazione professionale e
sociale del ricorrente, in mancanza di motivazioni pertinenti e sufficienti
da parte delle autorità nazionali per procedere in questo modo. La
prosecuzione della pubblicazione del nome del ricorrente sul Registro lo ha
privato di qualsiasi mezzo per difendersi dagli attacchi alla sua integrità
morale e professionale, con una sproporzione dell'ingerenza impugnata. La Corte riscontra, da ultimo, una
violazione dell’Art. 18 CEDU, in connessione con gli Articoli 6 e 8 CEDU,
ossia una restrizione dei diritti per scopi non autorizzati dalla
Convenzione, in quanto le circostanze complessive indicano un secondo fine
predominante dietro l'azione penale intentata ai danni del ricorrente, ossia
quello di attaccare personalmente la sua integrità morale e professionale da
parte del Ministro degli Interni e dell’Ufficio del Procuratore Generale. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 24 aprile 2025 (Bogdan Shevchuk c. Ucraina) Artt. 34 e Art 5 § 1 – Violazione dell’Articolo 34 CEDU
determinata dall’ostacolo frapposto all'esercizio del diritto di ricorso, a
causa del coinvolgimento della stessa giudice della Corte distrettuale
ucraina che aveva giudicato nel procedimento penale iniziale contro il
ricorrente - avviato nel 2016 e concluso nel 2020 e poi oggetto del ricorso
dinanzi alla Corte EDU - in un nuovo procedimento penale avviato contro il
ricorrente nel 2023 e che si ritiene volto al solo scopo di spingere
quest'ultimo a chiedere di ritirare il proprio ricorso alla Corte (cosa poi
avvenuta). La Corte nota in particolare l’attribuzione e la continuazione del
nuovo procedimento da parte della precedente giudice, dopo che essa era
venuta a conoscenza del ricorso pendente di fronte alla Corte EDU, e lo
ritiene una prova indiretta sufficiente del fatto che la richiesta di ritiro
della domanda del ricorrente dinanzi alla Corte è stata presentata sotto
indebite pressioni da parte del giudice della Corte distrettuale nazionale nel
nuovo procedimento penale a suo carico. La violazione dell’Articolo 5 CEDU è stata
invece determinata dalla detenzione illegale del ricorrente, a seguito di una
proroga decisa da parte della giudice della Corte distrettuale nel 2016, nel
procedimento penale iniziale, ma dopo che la Corte d'appello aveva trasferito
il caso a un altro tribunale. La Corte qualifica l’episodio come un eccesso
di giurisdizione, che costituisce una “irregolarità grave ed evidente” [“gross and obvious irregularity”] che non poteva essere sanata da un
successivo controllo giurisdizionale. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 24 aprile 2025 (L. e altri c. Francia) Artt. 3, 8 e 14 – Violazione degli obblighi
positivi collegati agli Articoli 3 e 8 CEDU (sotto i profili materiali e
procedurali) in quanto lo Stato convenuto non ha applicato efficacemente un
sistema di diritto penale in grado di intervenire in caso di atti sessuali
non consensuali compiuti da minorenni. La Corte censura l’assenza della
nozione di “consenso” nel diritto interno pertinente e il fatto che i giudici
nazionali non abbiano analizzato correttamente l'effetto di tutte le
circostanze ‘ambientali’ del caso. In specie, i giudici nazionali non hanno
tenuto sufficientemente conto, nella valutazione del discernimento e del
consenso dei ricorrenti, della loro situazione di particolare vulnerabilità,
tenuto conto della loro minore età al momento degli atti in questione. Vi è
stata inoltre una mancanza di celerità e diligenza nella conduzione dei
procedimenti penali (almeno per i ricorsi nn. 46949/21 e 39759/22). La Corte
rinviene anche una violazione dell’Articolo 14 CEDU (in connessione con gli
Articoli 3 e 8 CEDU), data la “vittimizzazione secondaria” di una delle
minori a causa della sua esposizione, da parte delle autorità nazionali, a
commenti colpevolizzanti e moraleggianti che veicolano stereotipi sessisti
(nel caso alla base del ricorso n. 46949/21). In particolare, la motivazione
della sentenza che ha concluso la fase istruttoria [“l’arrêt de la chambre de l’instruction”] è da ritenersi
discriminatoria in base al sesso della vittima, con stereotipi di genere
falsi e lesivi della dignità della ricorrente. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 15 aprile 2025 (Bădescu e altri c. Romania) Art. 7 – Mancata violazione dei principi Nullum crimen sine lege e nulla poena sine lege in relazione
all’asserita mancanza di prevedibilità del fondamento giuridico della
condanna dei giudici romeni per abuso delle loro funzioni [“abus de fonctions”]. La Corte ritiene
la formulazione degli articoli di legge che punivano l'abuso di funzioni
sufficientemente precisa all'epoca dei fatti, se letta insieme alla
giurisprudenza che l’ha interpretata. I ricorrenti, ossia i giudici
sanzionati, hanno potuto discernere, in misura ragionevole date le
circostanze, il rischio di essere ritenuti penalmente responsabili delle loro
azioni, senza mettere in discussione la garanzia dell'indipendenza della
magistratura. L’interpretazione adottata dai giudici nazionali al fine di
stabilire la responsabilità individuale dei ricorrenti è stata dunque
coerente con la sostanza del reato contestato. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 8 aprile 2025 (Green c. Regno Unito) Art. 8 – Mancata violazione degli obblighi
positivi collegati al rispetto della vita privata in un caso di ricorso al
privilegio parlamentare da parte di un membro del Parlamento britannico al
fine di rivelare in Aula l'identità del ricorrente, tutelata da
un'ingiunzione provvisoria di riservatezza da parte di una corte e in attesa
del processo [“interim privacy
injunction pending trial”]. La divulgazione ha avuto gravi conseguenze
per il ricorrente, ma la Corte ritiene che spetti in primo luogo ai parlamenti
nazionali valutare la necessità di limitare il comportamento dei loro membri
e che la norma sul privilegio parlamentare non sia del tutto priva di
controlli ex ante ed ex post nel diritto nazionale. La
Corte nota che il privilegio parlamentare [“Parliamentary privilege”], nella maggior parte degli Stati
membri, offre una protezione assoluta da azioni legali esterne alle
dichiarazioni rilasciate dai parlamentari in Parlamento o nell'esercizio
delle loro funzioni. Per questo motivo l’ampio margine di apprezzamento non è
stato superato, in mancanza di ragioni sufficientemente forti per
giustificare l'introduzione di ulteriori controlli per impedire ai membri del
Parlamento di rivelare informazioni soggette a ingiunzioni in materia di privacy. Tuttavia, lo Stato convenuto
deve riesaminare periodicamente la necessità di controlli adeguati, dato il
grave impatto della divulgazione di informazioni soggette a ingiunzioni in
materia di riservatezza. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 3 aprile 2025 (Kulák c. Slovacchia) Art. 8 – Violazione del diritto alla vita
privata, nella forma della protezione del domicilio, causata dalla
perquisizione dello studio legale del ricorrente e dal sequestro del suo
computer di lavoro per un periodo di quasi quindici mesi, sulla base del
consenso telefonico del pubblico ministero, senza un previo mandato di
perquisizione scritto. La Corte riscontra l’assenza di un controllo
giurisdizionale immediato ex post
factum della legittimità e della giustificazione delle perquisizioni dei
locali coinvolti, ma censura anche il sequestro dell'intero computer,
nonostante lo scopo della perquisizione fosse quello di proteggere i dati
informatici limitatamente ad un'indagine penale su fatti specifici. La Corte
riscontra anche l’assenza di una procedura nazionale che garantisca la
conservazione di materiale estraneo ad un procedimento penale e soggetto al
segreto professionale legale. L’interferenza non è stata perciò conforme alla legge ai sensi dell’Articolo
8 CEDU. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 3 aprile 2025 (N.D. c. Svizzera) Art. 2
– Violazione del diritto alla vita, sotto il profilo materiale e degli
obblighi positivi, a causa del mancato adempimento da parte delle autorità
nazionali dell'obbligo di proteggere la vita della ricorrente dalla violenza
del suo partner. La Corte rimprovera alle autorità elvetiche il mancato
impedimento di quello che era già un rischio certo e immediato per la vita
della ricorrente, di cui erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza, visti
i precedenti penali del partner della stessa, dei quali però la vittima era
all’oscuro. Vi sarebbe dunque stata la mancanza di un'adeguata valutazione
del rischio per la vita della ricorrente e di misure operative che avrebbero
avuto una reale possibilità di cambiare il corso degli eventi o di mitigare
il danno causato, anche a causa dell’insufficiente coordinamento tra i vari
servizi e le carenze nel diritto interno applicabile. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 1 aprile 2025 (Doynov c. Bulgaria) Art. 6 – Mancata violazione del requisito
dell’indipendenza e imparzialità dei giudici della Corte suprema
amministrativa bulgara che hanno giudicato il ricorso per risarcimento dei
danni proposto contro questo stesso organo giurisdizionale per la violazione
del diritto dell'Unione Europea. La Corte ritiene che le preoccupazioni della
ricorrente non fossero obiettivamente giustificate, vista la presenza di
norme procedurali interne volte a garantire l'imparzialità dei giudici, unite
in concreto alla risposta motivata data alle argomentazioni della ricorrente,
volte a ottenere la ricusazione di tutti i giudici della Corte suprema. La
Corte riscontra inoltre l’assenza di qualsiasi elemento specifico e concreto
idoneo a rivelare l'esistenza di una parzialità personale dei giudici o il
rischio di paralisi del sistema giudiziario, in quanto ben due collegi
distinti della Corte suprema amministrativa si sono pronunciati sulle due
cause della ricorrente. Fra essi, il collegio giudicante sull'azione di
risarcimento danni non aveva svolto alcun ruolo nella causa della ricorrente
e non vi era nessun legame gerarchico o finanziario in grado di mettere in
discussione l'imparzialità dei giudici, in quanto non vi sarebbe stata
comunque nessuna incidenza sulla loro retribuzione, sulle loro condizioni di
lavoro o sul funzionamento dell'Alta Corte, pure in caso di condanna di
quest'ultima per violazione del diritto euro-unitario. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 27 marzo 2025 (Golovchuk c. Ucraina) Art. 8 e 6 – Violazione del diritto alla
vita privata determinata dall’interferenza illecita con l’esercizio delle
funzioni giudiziarie della ricorrente, la quale era giudice dell'Alta Corte
Amministrativa ucraina, uno dei tre tribunali di cassazione le cui attività
sono state interrotte a seguito della riforma legislativa del 2016, che ha
unificato le attività in un’unica Corte Suprema di Cassazione. La Corte
censura il mancato trasferimento della ricorrente presso un altro tribunale
da parte delle autorità nazionali in conformità al diritto interno, in base
al quale la ricorrente aveva diritto a un nuovo incarico giudiziario in linea
con il principio dell’inamovibilità dei giudici. La Corte riscontra inoltre una violazione
dell’Art. 6 § 1 (civile) determinata dall’impossibilità per la ricorrente di
contestare l’impedimento all’esercizio delle sue funzioni giudiziarie, il che
costituisce una restrizione sproporzionata al suo diritto di accesso a un
tribunale, in applicazione delle conclusioni della precedente sentenza Gumenyuk e altri c. Ucraina. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 13 marzo 2025 (Vyacheslavova e altri c. Ucraina) Artt. 2, 8 e 19 – La Corte riscontra una
violazione della Convenzione, ma in primo luogo ricorda che, alla luce
dell’Art. 19 CEDU e per quanto riguarda i disordini di massa avvenuti a
Odessa nel maggio 2014 e l’incendio di un edificio sindacale che ne è seguito,
con conseguente perdita di decine di vite umane e molti feriti, il proprio
ruolo è limitato all’esame della responsabilità internazionale dello Stato
convenuto, l’Ucraina, e ciò sebbene alcuni illeciti siano imputabili ai suoi
ex funzionari locali fuggiti verso la Federazione russa. La Corte premette di
tenere comunque in considerazione il contesto generale, in particolare il
coinvolgimento accertato della Federazione russa negli eventi in Crimea e
nell’est dell’Ucraina nel 2014. La Corte riscontra in primo luogo una
violazione degli obblighi positivi legati al diritto alla vita, per quanto
riguarda la morte di alcuni parenti dei ricorrenti per ferite da arma da
fuoco durante gli scontri di piazza o per l’incendio e le ferite riportate a
causa dell’incendio che ne è seguito. La Corte riscontra che lo Stato
convenuto ha mancato di fare tutto ciò che ci si poteva ragionevolmente
aspettare da esso per prevenire e fermare la violenza. Davanti a un rischio
reale e immediato per la popolazione di essere colpita dalla violenza, la
negligenza imputabile ai funzionari e alle autorità dello Stato è andata
oltre l’errore di giudizio o la disattenzione e la passività della polizia
l’ha resa in parte responsabile della violenza che ha causato la perdita di
vite umane, cosa a cui si aggiunge l’incapacità di assicurare misure di
salvataggio tempestive per le persone intrappolate nel’'incendio. La Corte riscontra anche una violazione
degli obblighi positivi rispetto all’Art. 2 CEDU sotto il profilo
procedurale, determinata dal mancato avvio e svolgimento da parte delle
autorità nazionali di un’indagine efficace sugli eventi. I ritardi sono infatti
stati proibitivi, con periodi significativi di inspiegabile inattività e
stasi e la conseguente scadenza del termine di prescrizione applicabile, che
ha privato il proseguimento delle indagini di ogni possibile utilità e quindi
di ogni potenziale efficacia. la Corte riscontra altresì una mancanza di
indipendenza e la mancata garanzia di un sufficiente coinvolgimento delle
vittime e di un controllo pubblico, mentre l’accusa di mancanza di
imparzialità non è stata considerata provata. La Corte riscontra infine una violazione
della vita privata e familiare determinata dall’impossibilità per una delle
ricorrenti di recuperare la salma del padre per la sepoltura per almeno
quattro mesi, visto che la conservazione della salma da parte delle autorità
è da ritenersi essere stata priva di qualsiasi scopo legittimo. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 6 marzo 2025 (F.B. c. Belgio) Art. 8 – Violazione del diritto alla privacy
determinata dal processo decisionale che ha portato alla cessazione della
presa in carico, da parte dello Stato, della ricorrente in quanto minore
straniero non accompagnato e al termine della procedura di accertamento
dell’età. La Corte riscontra garanzie insufficienti e la mancanza di un
consenso libero e informato da parte della ricorrente al triplo test osseo
per determinare la sua età. Inoltre, il colloquio con la ricorrente da parte
di un pubblico funzionario appositamente formato per trattare con i minori ha
avuto luogo solo dopo l’esecuzione dei test ossei invasivi, mentre un
colloquio preliminare avrebbe consentito di verificare se il dubbio sulla
minore età della ricorrente potesse essere eliminato con altri mezzi meno
invasivi e di garantire che la stessa ricevesse tutte le informazioni
necessarie per far valere validamente i propri diritti. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 6 marzo 2025 (T.A. c. Svizzera) Art. 8 – Mancata violazione del diritto alla
vita familiare in un caso di rifiuto delle autorità nazionali d’autorizzare
l’adozione, da parte della ricorrente, di un bambino trovato in Etiopia e
portato in Svizzera. Alla ricorrente è stata comunque concessa la tutela
legale del bambino e il loro rapporto non è stato interrotto a seguito della
decisione impugnata, e non vi è stato quindi nessun ostacolo particolare o
difficoltà pratica nel vivere la vita familiare con il bambino. D’altra
parte, il trasferimento illegale del minore in Svizzera, eludendo le
procedure, non poteva essere giustificato con il pretesto di tutelare
l’interesse superiore del bambino, mentre il diritto al rispetto della vita
familiare della ricorrente, nella misura in cui è stato toccato, è stato
giustificato dagli interessi pubblici in gioco. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 6 marzo 2025 (Gorše c. Slovenia) Art. 6 – Violazione del diritto a un
tribunale imparziale e della presunzione di innocenza determinata dalla
condanna del ricorrente per abuso d’ufficio e riciclaggio di denaro da parte
di un collegio giudicante il cui presidente, prima dell'inizio del processo,
aveva accettato le dichiarazioni di colpevolezza dei due coimputati accusati
di avere aiutato il ricorrente nel commettere tali reati. Le sentenze che
approvavano i patteggiamenti di colpevolezza dei coimputati contenevano una
descrizione fattuale dettagliata delle condotte criminali attribuite al
ricorrente e si riferivano a quest'ultimo, nel dispositivo, nei termini di
colui che aveva perpetrato il reato, con una valutazione giuridica delle
azioni del ricorrente quando non era ancora stato processato e con sforzi
insufficienti per evitare di creare l’impressione che il ricorrente fosse già
stato giudicato colpevole. Le sentenze impugnate erano dunque lesive del
diritto del ricorrente di essere considerato innocente fino a prova contraria
e rappresentavano un legittimo motivo per sospettare la non imparzialità del
presidente del tribunale, a cui si unisce la mancata correzione da parte dei
tribunali superiori dei vizi procedurali del procedimento di primo grado. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 6 marzo 2025 (Călin Georgescu c. Romania) Art. 3 P.1 – La Corte, sedendo in forma di
Comitato, ha dichiarato inammissibile il ricorso sollevato dal candidato alla
presidenza rumena contro l’annullamento delle elezioni di fine 2024. La Corte
rinviene infatti che dall’analisi dell’ordinamento rumeno nulla porti a
ritenere che il Presidente possa essere considerato condividere parte di quel
potere “legislativo”, rispetto al quale, solo, l’Art. 3 P.1 garantisce il
diritto a libere elezioni. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 4 marzo 2025 (Girginova c. Bulgaria) Artt. 10 e 13 – Violazione della libertà di
ricevere e comunicare informazioni determinata dal rifiuto della richiesta di
un giornalista di accedere alle motivazioni dell’assoluzione di un ex
Ministro degli Affari Interni dopo l’archiviazione del procedimento penale a
suo carico. La Corte ritiene che la richiesta sia stata formulata per un
corretto scopo giornalistico nell'ambito dell’esercizio delle funzioni
professionali del ricorrente, d’altra parte le accuse erano relative alla
presunta omessa vigilanza sul grave abuso di apparecchiature di sorveglianza
segreta da parte dei subordinati del Ministro, una questione di notevole
interesse pubblico a causa dei ricorrenti scandali relativi a tale uso
improprio. La Corte sottolinea inoltre l’importanza della pubblicità delle
sentenze in una società democratica, ciò a maggior ragione con riguardo ai
motivi dell’assoluzione di un alto funzionario da gravi accuse penali, a cui
si aggiunge la mancata considerazione da parte del giudice nazionale di altri
mezzi per raggiungere l’obiettivo di mantenere la segretezza sui metodi e i
mezzi utilizzati per effettuare la sorveglianza segreta. L’interferenza non
rientrava dunque nel margine di apprezzamento dello Stato e andava oltre
quanto “necessario in una società democratica”. La Corte riscontra anche una violazione
dell’Articolo 13 CEDU, in quanto il ricorso giurisdizionale presentato dal
ricorrente non si è rivelato un rimedio efficace nelle circostanze del caso,
essendosi eluso l’obbligo di trattare il ricorso in modo coerente con i
principi della giurisprudenza della Corte e di valutare se l’ingerenza fosse
“necessaria in una società democratica”, una valutazione da effettuare con
riferimento a fatti specifici piuttosto che in astratto. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 27 febbraio 2025 (Costa i Rosselló e altri c. Spagna) Artt. 6, 10, 11, 13, 18, Art. 3 P.1, Art. 1
P.12 – La Corte dichiara inammissibile il ricorso di alcuni parlamentari
catalani contro il divieto, convalidato dalla Corte costituzionale spagnola,
di tenere un nuovo dibattito
sull’indipendenza dalla Spagna della Catalogna, dopo che risoluzioni sullo
stesso tema erano già state ritenute essere incostituzionali. La Corte
inoltre non riscontra violazioni nei procedimenti penali intentati contro i
ricorrenti per aver dato comunque il via alla discussione parlamentare sui
temi di cui sopra. La Corte ritiene prevedibile e non sproporzionata la
decisione della Corte costituzionale, in quanto, in accordo con quanto
affermato dalla Corte costituzionale, la Costituzione spagnola non può essere
modificata che secondo i procedimenti previsti dalla Costituzione stessa,
mentre diversa era l’intenzione sottesa alle risoluzioni catalane. La Corte
non ritiene inoltre che i procedimenti penali contro i ricorrenti possano
essere considerati come aventi natura politica. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 27 febbraio 2025 (I.C. c.. Moldavia) Artt. 3, 4, 8 e 14 – Violazione degli
obblighi positivi derivante dal mancato adempimento da parte dello Stato
convenuto degli obblighi sostanziali e procedurali di proteggere una donna
con disabilità intellettiva dalla tratta e dalla servitù dopo il suo
allontanamento dalle cure dello Stato e il collocamento presso una famiglia
in una fattoria (una procedura di “deistituzionalizzazione”) dove è stata
costretta a lavorare senza retribuzione. Ad attivare gli obblighi positivi
sono state la plausibile argomentazione da parte della ricorrente e la prova prima facie fornita della tratta di
esseri umani e della riduzione in servitù da essa subita. Inoltre la Corte
riscontra la mancanza di un quadro giuridico e amministrativo, all’epoca dei
fatti, per la deistituzionalizzazione delle persone con disabilità intellettiva
prive di capacità giuridica, che garantisca una protezione concreta ed
efficace contro la tratta e altre forme di trattamento contrarie all'Art. 4
CEDU. Le carenze nel processo di collocamento e nel sostegno da parte delle
autorità nazionali prima e dopo il collocamento della ricorrente hanno dato
luogo a un sospetto credibile di un rischio reale e immediato di tratta o di
sfruttamento. La Corte riscontra inoltre la mancata adozione di misure di protezione
e la mancanza di un’indagine efficace, con un’attuazione carente dei
meccanismi penali previsti. La Corte riscontra poi una violazione degli
obblighi positivi sotto il profilo della mancanza di indagini efficaci sulle
denunce di stupro, violenza sessuale e abuso presentate dalla ricorrente
durante il suo collocamento e la mancanza nei procedimenti interni di
accorgimenti che tenessero in considerazione la vulnerabilità della
ricorrente e delle sue denunce di natura particolarmente delicata. Vi è stata
inoltre una valutazione carente da parte dei tribunali interni che ha esposto
la ricorrente a una vittimizzazione secondaria e una mancanza di applicazione
efficace di un sistema penale che punisca tutte le forme di stupro e abuso
sessuale. Da ultimo, la Corte censura il trattamento
discriminatorio della ricorrente in quanto donna con disabilità intellettiva,
riscontrando una generale passività istituzionale e/o mancanza di
consapevolezza del fenomeno della violenza contro le donne con disabilità in
Moldavia. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 27 febbraio 2025 (Fraisse e altri c. Francia) Art. 2 – Violazione degli obblighi positivi
collegati ad un uso della forza potenzialmente letale nel caso della morte di
un uomo in seguito all’esplosione di una granata OF-F1 lanciata da uno dei
gendarmi incaricati di mantenere l’ordine in una zona di scontro con i
manifestanti. La Corte considera soddisfatte le circostanze per innescare
l’uso della forza da parte dei gendarmi, ma riscontra anche lacune nel quadro
giuridico e amministrativo applicabile all’epoca, quali l’assenza di un
quadro preciso e protettivo per l’uso delle granate OF-F1, eccezionalmente
pericolose, carenze nella preparazione e nella conduzione delle operazioni in
questione, nella garanzia del livello di protezione necessario per
contrastare i rischi reali e immediati per la vita che questo tipo di
operazioni di ordine pubblico può comportare. La Corte non riscontra invece violazioni
dell’Art. 2 CEDU dal punto di vista procedurale, perché c’è stata un’indagine
efficace sulla morte del manifestante. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 13 febbraio 2025 (Denysyuk e altri c. Ucraina) Art. 8 e Art. 38 – Violazione del diritto al
rispetto della vita privata e della propria corrispondenza determinata dalla
sorveglianza audio e video nei confronti del primo ricorrente e
dall’intercettazione delle comunicazioni telefoniche del secondo e del terzo
ricorrente nell’ambito di operazioni di polizia effettuate nel corso di un
procedimento penale a loro carico. La Corte constata che è stato negato ai
ricorrenti l’accesso alle decisioni giudiziarie che hanno autorizzato le
misure impugnate e quindi un’impossibilità di concludere che esse siano state
autorizzate a seguito di un controllo giudiziario adeguato e approfondito, in
mancanza di garanzie sufficienti a consentire l’attuazione di misure
investigative segrete. La Corte giudica inoltre che le comunicazioni dei
ricorrenti con i loro avvocati non siano state sufficientemente protette da
norme e procedure specifiche e dettagliate che ne definissero
l’identificazione e il trattamento in caso di intercettazione accidentale. La
Corte constata poi l’assenza di un’autorità di controllo indipendente con
competenze sufficienti a proteggere i ricorrenti da abusi o errori da parte
dei funzionari incaricati dell’applicazione della legge e la mancanza di una
procedura nazionale efficace per affrontare tempestivamente il nucleo delle
loro denunce ai sensi dell’Art. 8 CEDU. Per queste ragioni l’interferenza si
deve ritenere come non “conforme alla legge”. La Corte rinviene altesì un’autonoma
violazione dell’Art. 8, per quanto attiene al diritto alla segretezza della
corrispondenza, determinata dalla carenze strutturali nel quadro giuridico
nazionale a tutela della riservatezza delle comunicazioni telefoniche degli
avvocati con i clienti sottoposti a intercettazioni telefoniche. La Corte infine giudica vi sia stata anche
una violazione dell’Art. 38 CEDU a causa del mancato rispetto dell’obbligo
dello Stato di fornire la collaborazione necessaria per facilitare la
risoluzione del caso (nel caso di specie, fornendo i documenti richiesti). |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 13 febbraio 2025 (Macharik c. Repubblica Ceca) Art. 8 e 6 § 1 – Violazione del diritto alla
vita privata e alla riservatezza della corrispondenza determinata dalla
condanna penale della ricorrente sulla base principalmente del contenuto
delle sue comunicazioni via e-mail con un altro detenuto, ottenute dalla
polizia sulla base di un ordine giudiziario di trasferire il contenuto di
tutti questi messaggi dalla casella di posta elettronica di un terzo soggetto
a cui erano stati inoltrati. La Corte constata che tale ordine giudiziario è
stato emesso nonostante il diritto interno non consenta ai fornitori di
servizi di comunicazione di conservare il contenuto di tali comunicazioni e
che non vi è stata una risposta adeguata da parte dei tribunali nazionali
alle specifiche doglianze della ricorrente in merito al dovere di
riservatezza del fornitore. Motivo per cui l’interpretazione e l’applicazione
del diritto interno mancavano di chiarezza e coerenza e non erano
prevedibili, determinando un’interferenza non “conforme alla legge”. Rispetto all’Art. 6 § 1 (penale), la Corte
giudica invece non via sia stata violazione, in quanto l’equità generale del
processo della ricorrente non è stata irrimediabilmente pregiudicata
dall’ammissione delle prove impugnate, che pure sono state decisive per la
sua condanna, in quanto non vi è nessuna indicazione che la polizia abbia
agito in malafede o in violazione intenzionale delle regole nell’ottenere e
nell’eseguire l’ordine giudiziario e le prove sono da ritenersi accurate e
affidabili, anche se ottenute illegalmente. D’altra parte la ricorrente è
stata in grado di opporsi efficacemente all’uso di tali prove dinanzi a
quattro livelli di giurisdizione, per cui i diritti della difesa sono stati
debitamente rispettati. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 11 febbraio 2025 (Novaya Gazeta e altri c. Russia) Art.
3, Art. 5 §§ 1, 3 e 4, Art. 8, Art. 10 e Art. 34 – Violazione della libertà d’espressione
determinata dai procedimenti penali e amministrativi intentati contro i
ricorrenti e dalla chiusura delle loro organizzazioni mediatiche per aver
“screditato” l’esercito russo e diffuso notizie qualificate come “fake news”
sulle sue azioni in Ucraina. Inoltre la Corte rinviene una violazione
dell’Art. 10 CEDU determinata dalla sottoposizione dei ricorrenti a varie
forme di sanzioni per aver espresso opinioni critiche nei confronti delle
azioni dello Stato russo e per aver diffuso informazioni che divergevano dai
resoconti ufficiali. La Corte nota come una condanna penale di due dei
ricorrenti sia stata pronunciata da parte dei tribunali della Crimea sulla
base del diritto russo e che per questo non possa considerarsi legittima.
Inoltre secondo la Corte i tribunali nazionali non hanno analizzato le
dichiarazioni dei restanti ricorrenti nel loro contesto specifico o non hanno
bilanciato gli interessi concorrenti in gioco. Inoltre l’applicazione
retroattiva della legge non era prevedibile, e le sanzioni sono di una
gravità eccezionale e sproporzionata e si inseriscono in una strategia più
ampia volta a reprimere il dissenso nei confronti dell’azione militare in Ucraina. La Corte rileva ancora il mancato rispetto
delle misure provvisorie indicate dalla Corte. Si riscontrano poi una violazione dell’Art.
5 § 3 CEDU, determinata dalla mancanza di motivazioni pertinenti e
sufficienti per la detenzione preventiva; una violazione dell’Art 5 § 1
determinata dall’essere stata usata la detenzione come pretesto, in mala
fede, per mettere a tacere l’espressione di opinioni critiche da parte di un
ricorrente; una violazione dell’Art 5 § 4 CEDU causata dagli eccessivi
ritardi nell’esame dei ricorsi in vertenti sulla detenzione. La Corte giudica vi sia stata altresì una
violazione dell’Art 3 CEDU determinata dal confinamento in una gabbia
metallica e in una piccola cabina di vetro durante le udienze per il ricorso
contro la detenzione cautelare. Infine, la Corte riscontra una lesione del
diritto alla protezione del domicilio di cui all’Art. 8 CEDU a causa delle
perquisizioni ingiustificate avvenute nelle abitazioni dei giornalisti. É
presente di un’opinione concorrente. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 6 febbraio 2025 (M.B. c. Spagna) Art. 5 § 1 – Violazione del diritto alla
libertà e alla sicurezza, di cui all’Art. 5 § 1 e) CEDU, determinata
dall’imposizione di una misura di sicurezza di detenzione prolungata alla
ricorrente, per motivi di salute mentale, in quanto tale misura non ha
rispettato le garanzie contro l’arbitrio dei pubblici poteri. In particolare,
non sono state soddisfatte le condizioni minime di cui all’art. 5 § 1 e),
perchè la valutazione delle condizioni di salute mentale della ricorrente da
parte dei giudici nazionali si è limitata al giorno del reato e non è stato
stabilito, al momento dell’imposizione, se le sue condizioni mentali fossero
nel frattempo cambiate e se rappresentasse ancora un pericolo. La Corte
sanziona il fatto che non vi sia stata nessuna valutazione delle esigenze
terapeutiche o mediche della ricorrente o della necessità di monitorarla, e
nessun accenno alla previsione del suo comportamento futuro. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 4 febbraio 2025 (Klimova e altri c. Russia) Art. 8 e Art. 10 – Violazione del diritto alla vita privata
causata dalla raccolta, da parte dei servizi di sicurezza russi, dei dati
degli utenti di una piattaforma di social
network relativi all’account di una ricorrente e alla comunità di social network da lei amministrata,
nell’'ambito di un procedimento per un illecito di tipo amministrativo,
avviato con l’accusa di promozione dell’omosessualità tra i minori. La Corte
rinviene una mancanza di garanzie sufficienti contro gli abusi, in quanto la
raccolta di grandi quantità di dati personali, compresi quelli sensibili,
avvenuta per un periodo prolungato, ha reso l’ingerenza intrusiva e ha avuto
un effetto dissuasivo generale, portando a qualificare l’ingerenza come non
“necessaria in una società democratica”. La Corte rinviene una violazione della
libertà di espressione causata dalle stesse sanzioni per un illecito
amministrativo in relazione a contenuti pubblicati da alcuni dei ricorrenti
(da loro stessi o da altri) in gruppi o comunità su social network da loro amministrati, e dal blocco dei loro siti o
pagine web per aver asseritamente “promosso l'omosessualità tra i minori”. La
Corte fa al riguardo applicazione dei principi enunciati nella sentenza Macatė c. Lituania [GC],
qualificando le restrizioni come ingiustificate perché basate unicamente su
considerazioni di orientamento sessuale, in mancanza di basi per considerare
le pubblicazioni inadeguate o dannose per la crescita e lo sviluppo dei
minori. Le misure impugnate sono inoltre incompatibili con l’Art. 10 CEDU
nella misura in cui miravano a limitare l’accesso dei minori a informazioni
che rappresentavano le relazioni tra persone dello stesso sesso come
essenzialmente equivalenti a quelle tra persone di sesso diverso; inoltre le
sanzioni ai danni di due ricorrenti, per un illecito amministrativo, sono
state somministrate per i contenuti pubblicati da altri soggetti in gruppi o
comunità di social network da loro
creati e amministrati, sulla base di un’interpretazione e di un’applicazione
espansive e imprevedibili del diritto nazionale. Infatti la disposizione
giuridica pertinente non consentiva ai ricorrenti di prevedere, in misura
ragionevole nelle circostanze del caso, le conseguenze di una mancata
cancellazione dei contenuti pubblicati da terzi, per cui l’interferenza non è
stata “conforme alla legge”. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 4 febbraio 2025 (A.B. e Y.W. c Malta) Art. 3 e Art. 35 § 1 – Violazione del
divieto di espulsione determinata dalla mancata valutazione da parte dello
Stato convenuto del rischio di trattamenti contrari all’Art. 3 CEDU, prima di
confermare l’allontanamento in Cina di due musulmani uiguri, sei anni dopo il
rigetto della loro domanda d’asilo. L’allontanamento senza una rigorosa
valutazione del rischio ex nunc
comporterebbe infatti una violazione. La Corte respinge l’eccezione di
inammissibilità del ricorso presentata dal governo, per asserito mancato
rispetto del requisito del previo esaurimento dei rimedi interni previsto
dall’Art. 35 § 1, in ragione del fatto che i richiedenti non erano tenuti a
presentare una successiva domanda d’asilo in quanto avevano comunque esaurito
il rimedio a loro disposizione contro il provvedimento d’espulsione all’epoca
dei fatti, vale a dire la procedura di fronte alla Commissione per i ricorsi
in materia di immigrazione, la quale non ha poi effettuato una rinnovata
valutazione del rischio al momento opportuno nonostante fosse competente a
farlo. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 23 gennaio 2025 (H.W. c. Francia) Art. 8 – Violazione del diritto alla vita
privata determinata dall’addebito (faute)
del divorzio a carico esclusivo della ricorrente per non aver adempiuto ai
suoi doveri coniugali rifiutandosi di avere rapporti intimi con il marito. La
Corte giudica che, pur a fronte della prevedibilità della legge, il margine
di apprezzamento sia in questo caso ristretto e che una definizione di dovere
coniugale che non tiene conto del consenso ai rapporti sessuali sia lesiva
della CEDU, visto il carattere prescrittivo della norma di legge nei
confronti dei coniugi nella conduzione della loro vita sessuale e il fatto
che il rifiuto di rispettarla determini conseguenze giuridiche. Un tale
obbligo coniugale è dunque contrario alla libertà sessuale e al diritto di
controllare il proprio corpo, nonché all’obbligo positivo di prevenzione che
incombe agli Stati contraenti in materia di lotta alla violenza domestica. La Corte ritiene esistano altri mezzi
possibili per garantire i diritti del marito della ricorrente, mentre in
questo caso si è avuto un mancato raggiungimento di un giusto equilibrio tra
interessi concorrenti. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 23 gennaio 2025 (Suren Antonyan c. Armenia) Art. 6 § 1 – Violazione del diritto a un
tribunale indipendente causata dal licenziamento di un giudice a seguito di
un procedimento disciplinare dinanzi al Consiglio supremo della magistratura
armeno (Supreme Judicial Council (“SJC”)),
istituito dopo alcune recenti modifiche costituzionali. Per la Corte il SJC
soddisfa in teoria i requisiti di “tribunale” di cui all’art. 6 § 1 e il modo
in cui sono stati nominati i membri non giudiziari del SJC nelle circostanze
del caso non ne ha compromesso l’indipendenza. Le disposizioni istituzionali
e operative fornivano infatti garanzie contro l’influenza indebita o la
discrezionalità illimitata del legislatore e non c’è nessuna prova che le
garanzie fossero solo teoriche e non operassero nella pratica. Per la Corte,
il fatto che due membri non giudiziari avessero in precedenza ricoperto
incarichi di alto livello nell’esecutivo non è sufficiente per concludere a
favore di una mancanza di indipendenza e non c’è nessuna prova che la nomina
dei membri non giudiziari che siedono nel caso del ricorrente sia stata
influenzata da ingerenze politiche. Non è dimostrato inoltre che i membri non
giudiziari avessero una qualche dipendenza materiale, gerarchica o
amministrativa dall’esecutivo o dal legislativo, che ne mettesse in pericolo
l’indipendenza e l’imparzialità. Non è stata sollevata del resto alcuna
questione circa la parità tra i membri giudiziari e non giudiziari del
Consiglio. La Corte osserva poi come il SJC sia stato qualificato come un
“tribunale” a cui il richiedente ha avuto accesso, mentre non rappresenta
problema la mancanza di un ulteriore controllo delle decisioni del CSM
davanti ai tribunali ordinari. Tuttavia, la Corte dà ragione alla
ricorrente rispetto alla lesione del diritto a un tribunale imparziale in
quanto almeno i dubbi del ricorrente sull’imparzialità del presidente del
CSM, derivanti dalla stretta relazione di quest’ultimo con il ministro della
Giustizia che aveva avviato il procedimento disciplinare nei suoi confronti,
erano oggettivamente giustificati. La Corte constata come si trattasse di una
relazione che aveva alcune implicazioni finanziarie e politiche e che
trascendeva la semplice amicizia tra ex colleghi, mentre era in grado di
suscitare legittimi timori sull’imparzialità del presidente. La Corte censura
la mancata dissipazione di questi timori da parte del SJC e la conseguente
mancanza di sufficienti garanzie procedurali. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 16 gennaio 2025 (Bodson e altri c. Belgio) Art. 11 – Mancata violazione della libertà
di riunirsi in modo pacifico in un caso di condanna penale dei ricorrenti con
l’accusa di aver ostacolato dolosamente la circolazione stradale e di aver
messo in pericolo altre persone partecipando al blocco di un’autostrada.
Rispetto all’applicabilità dell'Articolo 11, la Corte rileva che l’azione dei
manifestanti non fosse nè autorizzata nè giustificata dalla necessità di
reagire immediatamente ad un evento improvviso, si è trattato invece di
un’azione diretta a bloccare fisicamente un’attività che non aveva un
presunto legame diretto con l’oggetto della protesta. Al contrario il blocco
stradale contestato non era l’unico mezzo necessario per far valere le
rivendicazioni dei ricorrenti. In punto di fatto, la Corte riscontra inoltre
come l’azione sia avvenuta col contributo di ciascuno dei ricorrenti e come
il blocco non rientrasse nell’esercizio delle funzioni e azioni sindacali che
i ricorrenti intendevano svolgere quel giorno e non era stato né autorizzato
nè organizzato dal sindacato. Per la Corte le autorità hanno cercato di
bilanciare i diversi interessi in gioco al fine di garantire il regolare
svolgimento del raduno e la sicurezza delle persone e non hanno potuto
adottare misure preventive efficaci. Inoltre le sanzioni irrogate non sono
eccessive e i tribunali nazionali hanno basato le loro decisioni su una
valutazione accettabile dei fatti e su motivazioni pertinenti e sufficienti. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 16 gennaio 2025 (A.C. c. Francia) Art. 8, Art. 13 – Violazione degli obblighi
positivi di rispetto e tutela della vita privata, causata dalla mancanza di
tutela di un migrante in quanto minore non accompagnato a causa della
contestazione della sua minore età da parte delle autorità. La Corte ricorda che la procedura di
accertamento dell’età deve essere caratterizzata, in concreto, da garanzie
adeguate e sufficienti e riscontra l’esistenza di un quadro normativo
nazionale contenente, in linea di principio, le garanzie procedurali minime
richieste. Tuttavia, la Corte riscontra delle lacune nelle informazioni
fornite al ricorrente, perchè incomplete e imprecise, e un’inversione della
presunzione di minore età nelle circostanze del caso, circostanze che hanno
privato l’interessato di sufficienti garanzie procedurali. Sotto il profilo dell’esistenza di rimedi
effettivi, la Corte riscontra invece come in Francia essi esistano, sia per
il diritto che in concreto. É presente un’opinione dissenziente. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 14 gennaio 2025 (Petrović e altri c. Croazia) Art. 8, Art. 41 e Art. 46 – Violazione degli
obblighi positivi collegati alla tutela della vita privata e familiare
causata dal mancato accertamento della sorte dei neonati che sarebbero stati
rapiti negli ospedali statali in epoca comunista. Rispetto all’esecuzione della sentenza, che
richiede l’adozione di misure generali, la Corte giudica che lo Stato
convenuto sia tenuto, entro un anno dal passaggio in giudicato della
sentenza, a prendere tutte le misure appropriate, preferibilmente attraverso
una lex specialis, per istituire un
meccanismo che fornisca un risarcimento individuale a tutti i genitori che si
trovano in una situazione simile o comunque assimilabile (sufficiently similar) a quella dei
ricorrenti. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 14 gennaio 2025 (Vasile Pruteanu e altri c. Romania) Art. 6 § 1 e Art. 6 § 3 – Mancata violazione
del diritto a un equo processo in un caso di mancato esame di testimoni. In
particolare, nel caso di specie vi è stata l’impossibilità per i ricorrenti
di contestare le dichiarazioni dei testimoni nel procedimento giudiziario
penale, dichiarazione che hanno contrinuito alla loro condanna per tratta di
esseri umani e sfruttamento della prostituzione. La Corte ritiene però che vi
siano state buone ragioni per la mancata partecipazione dei testimoni, quali
la necessità di proteggere le vittime della tratta di esseri umani e dello
sfruttamento sessuale. Inoltre, la Corte ricorda come le dichiarazioni
testimoniali, seppur importanti, non sono state e non devono essere l’unica o
la decisiva base per le condanne. Devono invece esservi sufficienti fattori
di controbilanciamento che consentano di valutare in modo equo e corretto
l’attendibilità di elementi probatori non basati su testimonianze (untested evidence). |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 9 gennaio 2025 (Zafferani e altri c. San Marino) Art. 6 § 1 – Violazione del diritto a un
equo processo a causa dell’intervento legislativo che ha visto l’emanazione e
l’immediata applicazione retroattiva di una nuova legge ai procedimenti in
corso, relativi alla ricostruzione della carriera dei ricorrenti ai fini del
loro impiego nelle forze armate di San Marino, e che ne modifica
definitivamente l’esito a favore dello Stato. La Corte riscontra l’assenza di
sufficienti ragioni imperative in grado di superare i pericoli insiti
nell’uso di una legislazione retroattiva. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 7 gennaio 2025 (Alexandru Pătraşcu c. Romania) Art. 10 – Violazione della libertà
d’espressione causata dal successo di un’azione civile per il risarcimento
dei danni nei confronti di un noto appassionato di opera lirica, a causa dei
commenti pubblicati da lui e da altri sulla sua pagina Facebook in merito al
conflitto scoppiato all’interno del Teatro Nazionale dell’Opera di Bucarest.
Per la Corte, le autorità sono state incapaci di effettuare un’adeguata
ponderazione degli interessi in gioco al fine di dimostrare che la condanna
rispondeva a una “pressante esigenza sociale” ed era proporzionata allo scopo
legittimo perseguito, determinando un’interferenza qualificabile come non
necessaria in una società democratica. Per quanto riguarda invece la
responsabilità derivante da commenti pubblicati da terzi sotto il post del
ricorrente, la Corte ritiene vi sia a livello nazionale una base giuridica
che non definisce con sufficiente chiarezza la portata e le modalità di
esercizio del diritto alla libertà di espressione attraverso l’apertura di
una pagina Facebook con riguardo ai commenti di terzi. Dunque, ne risulta che
il ricorrente non ha potuto beneficiare del grado di protezione richiesto
dallo Stato di diritto in una società democratica, visto che l’interferenza
non può considerarsi prevista dalla legge. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 7 gennaio 2025 (A.R.E. c. Grecia) Art. 2, 3, 5 §§ 1, 2, 4 e Art. 13 –
Violazione dell’Art 3 CEDU determinata dal rimpatrio, da considerare come una
vera espulsione, della ricorrente nel suo paese d’origine, la Turchia, senza
esame dei presunti rischi di maltrattamento e della sua domanda di protezione
internazionale e in piena mancanza di un ricorso effettivo. La Corte rinviene inoltre una violazione dei
criteri previsti all’Art. 5 § 1 CEDU perché un arresto o detenzione siano
legittimi, a causa della detenzione informale della ricorrente, prima del suo
respingimento, avvenuta senza alcuna base giuridica. Una violazione dell’Art. 5 § 2 CEDU si
rinviene poi rispetto alla mancanza di informazioni fornite sui motivi
dell’arresto e una violazione dell’Art. 5 § 4 CEDU discende dalla mancanza di
un rimedio per riesaminare la legittimità della detenzione. La Corte giudica invece che non vi sia stata
una violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti di cui
all’Art. 3 (materiale) e del diritto alla vita. Per la Corte le affermazioni
fattuali della ricorrente al momento dell’espulsione attraverso il fiume
Evros corrispondono in gran parte al
modus operandi descritto nei rapporti delle istituzioni nazionali e
internazionali competenti e le violazioni invocate non possono essere
accertate al di là di ogni ragionevole dubbio, in assenza di prove precise e
concordanti. Riguardo al punto in questione, la Corte rinviene però una
violazione dell’Art. 13 CEDU, in rapporto agli Artt. 2 e 3 CEDU, per la
mancanza di un ricorso effettivo rispetto alle eventuali e presunte
violazioni di tali articoli. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 7 gennaio 2025 (UAB Profarma e UAB Bona Diagnosis c. Lituania) Art. 1 Prot. 1 – Mancata violazione del
diritto al godimento pacifico dei propri beni in conseguenza
dell’annullamento, da giudicare come proporzionato, dei contratti stipulati
tra le società private ricorrenti e lo Stato per l’acquisto di test COVID e per
la restituzione da parte delle società di una quota sostanziale della somma
ricevuta in eccesso dallo Stato. La Corte giudica vi sia un ampio margine di
valutazione concesso agli Stati contraenti per quanto riguarda gli obblighi
imposti ai partecipanti alle procedure di aggiudicazione degli appalti
pubblici e le conseguenze del loro mancato adempimento. La Corte, pur
osservando che la procedura di aggiudicazione degli appalti pubblici non ha
rispettato i requisiti giuridici pertinenti, compie un accertamento della
malafede delle società ricorrenti basato su una valutazione approfondita
dell’insieme delle circostanze pertinenti. Infatti le società ricorrenti
hanno cercato di approfittare dell’emergenza sanitaria per ottenere un
profitto eccessivo. Dunque, anche se vi è stato un inadempimento da parte
delle autorità dei loro obblighi amministrativi ai sensi della normativa
sugli appalti pubblici, nelle circostanze del caso ciò non può giustificare
l’esonero delle società ricorrenti dall’inadempimento degli obblighi loro
imposti dal diritto civile dello Stato, consentendo loro di trattenere il
profitto eccessivo conseguito a spese dell’erario pubblico. La Corte considera inoltre che i rapporti
contrattuali tra fornitori e amministrazioni aggiudicatrici nell’ambito degli
appalti pubblici non possono essere assimilati a situazioni in cui le
autorità pubbliche esercitano poteri amministrativi nei confronti di persone
o entità in posizione a essi subordinata. Per la Corte, l’assenza di
conseguenze finanziarie per le autorità competenti non è di per sé
sufficiente a rendere sproporzionata l’ingerenza nei diritti di proprietà
delle società ricorrenti. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 7 gennaio 2025 (Yoncheva c. Bulgaria) Art. 6 § 2 e Art. 13 – Violazione della
presunzione di innocenza causata dalla pubblicazione da parte degli uffici
del pubblico ministero di un comunicato stampa sulla ricorrente, che era
indagata, che trasmetteva l’idea che avesse consapevolmente partecipato a
un’operazione di riciclaggio di denaro su larga scala, ciò anche considerando
l’ampia diffusione da parte dei media e della stampa scritta del comunicato,
cosa che ha aggravato gli effetti dannosi della violazione del diritto alla
presunzione di innocenza, anche in considerazione della reputazione di
giornalista e politica della ricorrente. La Corte giudica vi sia stata anche una
violazione dell’Art. 13 CEDU, in relazione all’Art. 6 § 2, per la mancanza di
un ricorso effettivo. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 17 dicembre 2024 (Side by Side International Film Festival e Altri c. Russia) Art. 10 – Violazione degli obblighi positivi
legati alla libertà di espressione determinata dalla mancanza per anni da
parte delle autorità di un impegno volto a garantire lo svolgimento sicuro e
ininterrotto dell’annuale festival cinematografico internazionale LGBT
organizzato dalla società richiedente, in mancanza di un’azione globale e
dell’attuazione di misure dissuasive in relazione alle ripetute minacce
telefoniche di bombe e ad altri falsi allarmi di sicurezza durante i giorni
di proiezione dei film, con conseguente senso di impunità. La Corte non
ritiene invece di doversi soffermare, alla luce delle violazioni già
accertate, sulla dedotta pretestuosità dell’interruzione del festival per far
fronte alla pandemia da Covid-19 decisa dalle autorità nel 2020. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Panel della Grande Camera) 17 dicembre 2024 (parere consultivo) Art.
8 e Prot. 16 – La Corte ha deciso di non accettare la domanda di
opinione consultiva che le era stata rivolta dalla Corte Suprema di
Cassazione rumena per giudicare della convenzionalità del diritto nazionale in
un caso coinvolgente il rifiuto di una giudice di sottoporsi a un esame
medico richiesto per accertare le sue condizioni di salute mentale e il suo
conseguente licenziamento. La Corte di cassazione poneva due questioni
relative all’applicabilità dell’Art. 8 CEDU e al grado di determinatezza richiesto
dalla legge nazionale. La Corte ha deliberato di non accettare il parere
perché non riguarda una questione di principio, mentre i precedenti della
Corte forniscono già indicazioni sufficienti alla risoluzione della
questione. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 17 dicembre 2024 (Taganova e Altri c. Georgia e Russia) Art.
56, Art. 1, Art. 1 Prot. 1, Art. 35 § 1, Art. 6 § 1 – In via preliminare, la Corte chiarisce
come la dichiarazione della Georgia all’atto della ratifica della Convenzione
in relazione al territorio abkhazo non sia in grado di limitare
l’applicazione territoriale della CEDU. La riserva della Georgia in relazione
all’art. 1 Prot. 1 non è inoltre valida in quanto i requisiti dell’art. 57
non sono soddisfatti. La Corte arriva a questa conclusione in quanto il
governo georgiano ha indicato nella sua riserva sia l’Articolo della
Convenzione sia la legge nazionale che sarebbe con esso incompatibile, ma non
ha indicato le ragioni per questa presunta incompatibilità. La riserva,
risalente agli anni ‘90, è inoltre troppo vaga e ampia, sia per i termini
temporali che per la categoria di persone che vi sono in astratto ricomprese,
ossia i cittadini georgiani che si siano dovuti allontanare dalle loro case
dopo la secessione abkhaza. Per quanto riguarda la questione della
giurisdizione della Russia e della Georgia sulla regione separatista
dell’Abkhazia, la Corte riconosce che il controllo effettivo è esercitato
dalla Russia sul territorio abkhazo, in considerazione della forte presenza
russa e della dipendenza di fatto delle autorità abkhaze dalla Federazione
russa. Per la Corte è poi chiara la responsabilità della Russia per le
denunce riguardanti le autorità abkhaze in relazione ad alcuni dei
ricorrenti. La Corte non riscontra alcuna responsabilità della Georgia sul
territorio separatista, in quanto gli obblighi positivi, pur presenti, non
possono considerarsi violati dal governo georgiano, che è privo di controllo
sulla regione. La Corte riscontra nei confronti di alcuni
dei ricorrenti una violazione del diritto al godimento pacifico dei propri
beni e del diritto alla tutela del domicilio e della vita familiare, causato
dal mancato accesso alle proprietà e alle case lasciate in Abkhazia dai
ricorrenti, una situazione perdurante che rientra nella giurisdizione della
Corte ratione temporis: la Corte si
dichiara infatti competente a esaminare i ricorsi nei confronti della Russia
dalla data di ratifica della Convenzione (5 maggio 1998) fino alla data in
cui ha cessato di essere Parte (16 settembre 2022) e nei confronti della
Georgia, per quanto riguarda le doglianze che rientrano nell’art. 1 Prot. 1
dalla data di ratifica di tale Protocollo (7 giugno 2022), e per quanto
riguarda le altre doglianze dalla data di ratifica della Convenzione da parte
georgiana (20 maggio 1999). Per quanto riguarda l’esaurimento delle vie
di ricorso interne, la Corte riscontra la mancanza di vie di ricorso efficaci
sia in Russia che in Georgia per quanto riguarda le denunce di alcuni tra i
ricorrenti, ai sensi dell’art. 1 Prot. 1. La Corte riscontra una violazione dell’Art 1
Prot. 1 CEDU e dell’Art 8 anche rispetto ai restanti ricorrenti, perché sono
stati continuamente privati dell’accesso, del controllo, dell’uso e del
godimento dei loro beni e delle loro case senza alcun indennizzo. La Corte riscontra anche la violazione del
diritto all’accesso a un giudice determinata dall’impossibilità per il
secondo ricorrente di far esaminare il suo licenziamento dal posto di lavoro
dai tribunali abkhazi, con l’applicazione delle conclusioni già raggiunte
nella causa Mamasakhlisi e altri c.
Georgia e Russia, in quanto i tribunali abkhazi di fatto non possono
essere considerati un “tribunale istituito dalla legge”, anche se la
situazione del sistema legale e giudiziario in Abkhazia non può essere attribuita
alla Georgia. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 12 dicembre 2024 (Hasmik Khachatryan c. Armenia) Art. 3 – Violazione del divieto di
trattamenti inumani e degradanti sotto l’aspetto degli obblighi positivi ad
esso ricollegati a causa della mancanza di una risposta adeguata da parte
dello Stato convenuto a gravi atti di violenza domestica. La Corte osserva
come il quadro giuridico nazionale in vigore all’epoca non abbia rispettato
il dovere dello Stato convenuto di istituire e applicare efficacemente un
sistema che punisca tutte le forme di violenza domestica e fornisca
sufficienti garanzie alle vittime. Vi è stata infatti una mancanza di una
valutazione autonoma, proattiva e completa del rischio di ulteriori violenze
e di misure adeguate e sufficienti per proteggere la ricorrente, nonché, nel
trattare le denunce della ricorrente, la mancanza di consapevolezza da parte
delle autorità preposte all’applicazione della legge del carattere specifico
e delle dinamiche della violenza domestica. Nel trattare le denunce, le
autorità preposte all’applicazione della legge hanno anzi adottato un
approccio puramente formalistico, come dimostra anche la riqualificazione del
reato imputato e l’imposizione di una pena più mite al suo autore, in assenza
di un attento esame di tutte le circostanze pertinenti. La Corte ricorda
l’esistenza di un obbligo positivo, ai sensi dell’Art. 3 CEDU, di consentire
alle vittime di violenza domestica di chiedere il risarcimento dei danni non
patrimoniali agli autori del reato, direttamente o indirettamente tramite lo
Stato. La Corte riscontra invece che vi è in Armenia una restrizione legislativa
incondizionata che impedisce alla ricorrente di ottenere un risarcimento
esecutivo contro l’autore del reato per i danni non patrimoniali subiti a
seguito dei maltrattamenti. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. ) 12 dicembre 2024 (Borzykh c. Ucraina) Art. 10 e Art. 8 – Dichiarazione
d’inammissibilità ai sensi degli Artt. 35 §§ 3 (a) e 4 CEDU del ricorso
sollevato da parte di un cittadino ucraino, figlio di reduci ed ex ufficiale,
contro il divieto d’indossare il nastro di San Giorgio, un’onorificenza
militare conferita sotto l’Unione Sovietica e ancora oggi in Russia, per
celebrare la ricorrenza della vittoria sovietica nella Seconda Guerra
mondiale. La Corte giudica che la legge ucraina che vieta il simbolo,
successiva all’occupazione della Crimea da parte russa del 2014, non comporti
un divieto assoluto, presentando delle eccezioni, e che possa comunque
ritenersi giustificata dal valore assunto dal simbolo in questione a seguito
dell’occupazione russa del 2014 e delle vicende successive. Da questo punto
di vista per la Corte l’interferenza con l’Art. 10 CEDU può considerarsi
rientrare nel margine di apprezzamento statale sulle misure necessarie
davanti a un pressante bisogno sociale. La Corte rigetta dunque come
manifestamente infondata la questione e adotta la medesima decisione per la
presunta lesione dell’Art. 8 CEDU, dove l’inammissibilità per manifesta
infondatezza discende dal non aver provato il ricorrente né la serietà delle
conseguenze per il ricorrente del non poter indossare l’onorificenza né il
disagio che tale divieto gli avrebbe causato. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 12 dicembre 2024 (Y c. Repubblica Ceca) Art. 3 e Art. 8 – Violazione degli obblighi
positivi causata alla mancata applicazione effettiva da parte delle autorità
nazionali di un sistema di diritto penale idoneo a punire gli atti sessuali
non consensuali subiti da una vittima vulnerabile che non si è opposta
durante tali atti, che sono perciò stati compiuti senza violenza fisica
diretta, ma in assenza di consenso. La Corte fa applicazione dei principi
generali enunciati nella causa M.C. c.
Bulgaria e censura l’approccio delle autorità come non idoneo a garantire
alla ricorrente una protezione adeguata, per l’inadeguata considerazione
delle situazioni di consenso non valido dovute all’abuso di vulnerabilità e
della reazione psicologica delle vittime di atti sessuali. La Corte giudica
lesiva l’interpretazione restrittiva degli elementi costitutivi del reato di
stupro come definiti dal codice penale ceco e interpretati dalla
giurisprudenza esistente all’epoca dei fatti, che ha portato la polizia a
chiudere il caso. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 10 dicembre 2024 (F.M. e Altri c. Russia) Art. 4 e Art. 14 – Violazione degli obblighi
positivi causata dal mancato adempimento da parte dello Stato convenuto degli
obblighi sostanziali e procedurali di protezione delle lavoratrici migranti
dalla tratta e dallo sfruttamento del loro lavoro. La Corte chiarisce come
già il sospetto credibile o la prova prima
facie della tratta delle ricorrenti a fini di sfruttamento del lavoro
determini l’emersione e l’obbligo di rispetto degli obblighi positivi, e
questo tanto più in considerazione del fatto che le ricorrenti sono già state
vittime della tratta e della schiavitù transfrontaliera. In Russia si
riscontra invece la mancanza di un quadro legislativo e amministrativo
adeguato per vietare e prevenire la tratta, il lavoro forzato e la schiavitù
e per proteggerne le vittime, nonché la mancanza di misure operative da parte
delle autorità nell’identificare i ricorrenti come (potenziali) vittime della
tratta e nel fornire loro protezione e assistenza, così come la mancanza di
cooperazione e assistenza agli attori della società civile che hanno
sostenuto i richiedenti. La mancanza di indagini penali su accuse credibili
di tratta e lavoro forzato, schiavitù e violenza di genere come strumento di
coercizione ha favorito un senso di impunità tra i trafficanti e ha impedito
alle ricorrenti di riprendersi dalle loro esperienze traumatiche e le ha
private dell’opportunità di chiedere un risarcimento per i danni subiti,
compresi i guadagni trattenuti dai trafficanti. La Corte censura un
atteggiamento discriminatorio nei confronti delle lavoratrici straniere
immigrate irregolari e una mancata cooperazione efficace con gli altri Stati
interessati nei casi di tratta transfrontaliera. La Corte riscontra anche una discriminazione
nei confronti delle lavoratrici straniere irregolari, determinata
dall’inazione delle autorità nazionali, che non reprime la tratta, il lavoro
e la violenza di genere e riflette un atteggiamento discriminatorio nei
confronti delle ricorrenti in quanto donne lavoratrici straniere con uno
status di immigrazione irregolari. Per la Corte la passività generale e
discriminatoria delle autorità ha creato un clima favorevole alla tratta e
allo sfruttamento delle ricorrenti. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 5 dicembre 2024 (Giesbert e Altri c. Francia) Art. 10 – Mancata violazione della libertà
di espressione in conseguenza della condanna penale del direttore di un
settimanale e di due giornalisti dello stesso per diffamazione di un uomo
politico, a causa del contenuto di un articolo relativo al finanziamento dei
partiti politici e delle campagne elettorali. La Corte ha preso in
considerazione la gravità delle accuse mosse, a cui si unisce la mancanza di
una base fattuale sufficiente a un riscontro, sicché i passi contestati
dell’articolo risultano privi di “misura”, mentre d’altra parte la pena
inflitta non è stata sproporzionata, da ciò conseguendo che il margine di
apprezzamento non è stato superato. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 5 dicembre 2024 (Kezerashvili c. Georgia) Art. 6 § 1 e § 3 e Art. 18 (+ 6) –
Violazione del diritto a un tribunale imparziale a causa dell’inclusione
dell’ex Procuratore generale nel collegio della Corte Suprema georgiana che
si è pronunciato sul ricorso per cassazione nel caso del ricorrente (un ex
ministro della Difesa). Per la Corte ciò è infatti sufficiente a mettere in
dubbio l’imparzialità oggettiva di tale tribunale, in quanto il giudice in
questione ha ricoperto la carica di Procuratore generale durante il periodo
in cui il ricorso per cassazione era pendente dinanzi alla Corte Suprema; la
Corte tiene inoltre conto del ruolo preminente del Procuratore generale e dei
suoi ampi poteri all’interno della procura e della natura di alto profilo del
processo condotto in un contesto politicamente sensibile. La Corte giudica invece che sia stata una
violazione del diritto a un equo processo la revoca dell’assoluzione del
ricorrente da parte della Corte Suprema, mediante procedura scritta. Il
ricorrente non ha infatti partecipato alle udienze orali tenute dalle corti
inferiori, ma ha dato esplicito mandato ad avvocati di sua scelta di
rappresentare i suoi interessi e ha acconsentito al processo “in absentia”. La procedura scritta si
è dunque svolta in un contesto sufficiente a rendere prevedibile
l’eventualità di una sentenza di condanna da parte della Corte Suprema.
Inoltre le conclusioni della Corte Suprema nel condannare il ricorrente non
sono arbitrarie o manifestamente irragionevoli al punto da pregiudicare il
procedimento o da comportare un “diniego di giustizia”. Sempre alla luce dell’Art. 6 § 2 CEDU, la
Corte giudica vi sia una base insufficiente per ritenere che la dichiarazione
del Primo Ministro durante un discorso parlamentare sia stata tale da
sollevare problemi relativamente alla presunzione di innocenza del ricorrente
o all’imparzialità della Corte Suprema. Art. 18 (+ art. 6) – La Corte inoltre
rigetta come manifestamente infondata la questione sollevata dal ricorrente
ex Art. 18 CEDU, secondo cui la restrizione dei diritti convenzionali sarebbe
avvenuta per scopi non consentiti dalla CEDU, in quanto si riscontra
un’insufficienza di prove a sostegno dell’affermazione del ricorrente
dell’esistenza di un secondo fine dietro l’azione penale condotta contro di
lui. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 5 dicembre 2024 (El Aroud e Soughir c. Belgio) Art. 8 – Mancata violazione del diritto alla
vita privata in un caso di revoca della cittadinanza belga disposta nei
confronti di due persone con doppia cittadinanza condannate in Belgio per
atti di terrorismo, in quanto la Corte ritiene vadano considerate la
prevedibilità della legge, nonché la gravità della minaccia terroristica per
i diritti dell’uomo e le garanzie procedurali offerte ai ricorrenti. La Corte
rileva inoltre l’assenza di una conseguente apolidia in capo ai due
ricorrenti, così come l’assenza di espulsione automatica dal territorio, così
da considerare l’ampio margine di apprezzamento dello Stato non superato nel
caso di specie. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 3 dicembre 2024 (M.Ș.D. c. Romania) Art. 8 – Violazione degli obblighi positivi
derivanti dal diritto alla vita privata a causa dell’inadeguatezza del quadro
giuridico penale vigente all’epoca dei fatti ‒ quadro che non ha
offerto alla ricorrente protezione contro gli atti di molestie online
commessi dal suo ex partner, consistenti nella diffusione pubblica e non
consensuale di fotografie intime di lei ‒ cui si è aggiunta la mancata
conduzione di un’indagine penale tempestiva e approfondita. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 3 dicembre 2024 (Espírito Santo Silva Salgado c. Portogallo) Art. 6 § 1 e § 2 – Mancata violazione del
diritto a un equo processo in conseguenza del controllo giurisdizionale su
una decisione adottata dalla Banca di Portogallo (BdP), in quanto autorità
amministrativa, nei confronti del presidente del Consiglio di amministrazione
di una banca privata. Del pari, la Corte giudica non vi sia stata
lesione della presunzione d’innocenza in conseguenza delle varie
dichiarazioni pubbliche rilasciate dal governatore della BdP prima e dopo il
procedimento amministrativo avviato dalla BdP nei confronti del ricorrente,
in quanto esse non hanno influito sulla posizione di quest’ultimo. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 28 novembre 2024 (Klaudia Csikos c. Ungheria) Art. 8 e art. 10 – Violazione del diritto al
rispetto della vita privata, della riservatezza della corrispondenza e della
libertà di espressione in ragione dell’assenza di adeguate garanzie
procedurali per una giornalista che lamentava l’intercettazione delle proprie
telefonate con un conoscente stretto al fine di scoprire le sue fonti di
informazione |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 26 novembre 2024 (Ferrero Quintana c. Spagna) Art. 1 del Protocollo 12 – Non violazione
del divieto generale di discriminazione in conseguenza della fissazione di un
limite di età di 35 anni in un concorso pubblico per l’assunzione di agenti
di polizia di primo grado, in considerazione del fatto che le mansioni di
natura operativa o esecutiva da svolgersi erano tali da richiedere
un’idoneità fisica particolarmente accentuata, anche in considerazione degli
anni di servizio da prestare dopo l’assunzione: circostanza da cui si ricava
che la differenza di trattamento in ragione dell’età può, nelle circostanze
del caso, ritenersi adeguata all’obiettivo di garantire il buon funzionamento
del servizio di polizia, senza eccedere quanto necessario per il
conseguimento di tale legittimo e importante obiettivo. Il tutto anche alla
luce dell’ampio margine di apprezzamento riconosciuto agli Stati nell’ambito
in questione. Sono presenti tre opinioni concordanti. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 26 novembre 2024 (A.P. c. Austria) Art. 2 (procedurale e sostanziale) – Non
violazione del diritto alla vita e dei connessi obblighi positivi di
prevenzione e di indagine in un caso nascente dalla morte del figlio del
ricorrente durante una esercitazione (“heat march”) mentre svolgeva il servizio
militare obbligatorio. La Corte ha ritenuto non sufficientemente provato che
gli atti o le omissioni delle autorità siano stati responsabili della sua
morte e che le misure ragionevoli omesse dalle autorità avrebbero avuto una
reale prospettiva di modificare il tragico esito della vicenda. È presente un’opinione dissenziente. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 26 novembre 2024 (Kotov c. Russia) Artt. 5, 6, 8, 10, 11 e 13 – Art. 1 del
Protocollo 1 ‒ Violazione di tutti i diritti invocati (salvo il mancato
esame, ritenuto non necessario, della lamentata violazione dell’Art. 13) in
conseguenza, tra l’altro: della mancata motivazione da parte dei tribunali
nazionali delle condanne amministrative per la partecipazione a
manifestazioni pubbliche non autorizzate ma pacifiche e per l’affissione di
inviti a partecipare a una di tali manifestazioni; della condanna penale
sproporzionata (nonché di dubbia prevedibilità), in assenza di bilanciamento
degli interessi in gioco, per ripetute violazioni della procedura stabilita
per l’organizzazione e lo svolgimento di manifestazioni pubbliche; della
privazione illegittima della libertà personale; dell’eccessiva durata della
custodia cautelare nel procedimento penale; di carenze nella legalità del
procedimento di revisione della detenzione; di limitazioni del diritto di
esaminare i testimoni; di perquisizioni illegali del domicilio del
ricorrente, in assenza di garanzie adeguate e di motivi pertinenti o
sufficienti; del trattenimento di effetti personali del ricorrente non
connessi al caso, sequestrati durante la perquisizione del suo domicilio. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 19 novembre 2024 (Vieru c. Moldavia) Art. 2, Art. 3 (profilo procedurale e
sostanziale) e Art. 14 – Violazione di tutti i diritti invocati in un caso
rispetto al quale sono emerse: sotto il profilo procedurale, la mancata
conduzione di un’indagine efficace su accuse credibili di violenza domestica
fisica e psicologica e sulle circostanze della morte della sorella della
ricorrente e la mancata garanzia di un
processo rapido e di una punizione dell’autore di violenza domestica; sotto
il profilo sostanziale, la mancata protezione della vittima di violenza
domestica, con un documentato e ripetuto fallimento da parte delle autorità
nazionali nel prevenire e fermare la violenza contro le donne, in un contesto
giuridico nazionale rivelatosi inadeguato, senza che vi sia stato un
intervento rapido delle autorità investigative né alcuna valutazione sulla
natura reale e immediata del rischio di reiterazione della violenza, tenendo
in debito conto né, ancora, l’adozione di misure preventive e protettive per
scongiurare tale rischio; infine, sotto il profilo della violazione del
principio di non discriminazione di cui all’art. 14 (in relazione agli artt.
2 e 3), si evidenzia come non sia stata confutata la tesi della ricorrente di
una generale passività istituzionale e/o di una mancanza di consapevolezza della
violenza domestica e della violenza di genere. È presente un’opinione parzialmente
dissenziente. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 14 novembre 2024 (Mammadov c. Azerbaijan) Art. 10 – Violazione della libertà di
espressione in conseguenza della illegittima e sproporzionata radiazione del
ricorrente dall’avvocatura per azioni asseritamente incompatibili con il
patrocinio e con la deontologia forense. La Corte rileva: che le pertinenti
disposizioni di diritto interno erano formulate in termini molto generali e
vaghi, tali da consentire un’interpretazione ampia; che, nel caso specifico,
l’interpretazione e l’applicazione del diritto interno da parte dei tribunali
nazionali non ha garantito al ricorrente una protezione contro un’ingerenza
arbitraria, adottata in mancanza di motivazioni pertinenti e sufficienti. La
Corte rileva altresì come la misura adottata fosse la sanzione più severa
possibile, cosa in grado di avere un grave effetto di dissuasione sugli
avvocati, scoraggiando la denuncia di comportamenti scorretti tenuti da parte
dei vertici dei loro studi legali come pure la formulazione di critiche verso
la gestione della propria associazione professionale. Quanto all’esecuzione della sentenza ex art.
46 la Corte incarica il Comitato dei ministri di sorvegliare l’adozione di
misure volte, tra l’altro, al ripristino delle attività professionali del
ricorrente. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 12 novembre 2024 (M.I. c. Svizzera) Art. 3 – Violazione del divieto di
trattamenti umani e degradanti in un caso di espulsione determinata dal fatto
che i tribunali nazionali svizzeri non hanno sufficientemente valutato il
rischio concreto di maltrattamento da
parte della sua famiglia che avrebbe corso il ricorrente, in quanto
omosessuale, in Iran e la mancanza di una disponibilità di una protezione
statale contro tale maltrattamento nel Paese d’origine. I tribunali nazionali
aveva giudicato che il ricorrente non corresse un rischio per la sua persona
se avesse condotto la sua vita privata in modo “discreto” [discreet] al suo ritorno nello Stato
d’origine. L’allontanamento in Iran senza una nuova valutazione degli aspetti
di cui sopra comporterebbe per la Corte una violazione dell’Art. 3 CEDU. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 12 novembre 2024 (R.F. e altri c. Germania) Art. 8 – Mancata violazione degli obblighi
positivi derivanti dal diritto al rispetto della vita famigliare in
conseguenza del rifiuto dei giudici tedeschi di constatare che la minore
ricorrente (terza ricorrente), partorita dalla seconda ricorrente, è anche
figlia della prima ricorrente, che è madre genetica e partner registrato
della seconda ricorrente. Il minore è nato in Germania da una procreazione
medicalmente assistita vietata in tale Paese ed effettuata legalmente
all’estero. La Corte ritiene che lo Stato convenuto non abbia violato i suoi
obblighi, in quanto la vita familiare dei ricorrenti non è stata
significativamente influenzata. Infatti, la Corte nega che un mancato
rispetto della vita privata della prima ricorrente sia derivato dall’averle imposto
di seguire la procedura di adozione disponibile anche per le coppie
omosessuali e in assenza di particolari difficoltà nel vivere quotidianamente
il suo rapporto con il minore. In merito al rispetto del diritto alla vita
privata del bambino, la Corte giudica che l’adozione sia stata effettuata
senza particolari difficoltà e la prima ricorrente abbia goduto in precedenza
dei diritti e doveri relativi alla genitorialità del bambino in virtù della
sua unione legale con il secondo ricorrente. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 12 novembre 2024 (Associated Newspapers Limited c. Regno Unito) Art. 10 – Violazione dalla libertà di
espressione determinata dallo sproporzionato obbligo per la società
ricorrente, convenuta nel settore dei media, di versare le “spese di
successo” [success fees, quota di
onorari subordinata al raggiungimento di un risultato favorevole da parte di
un avvocato, oggi abrogate anche in Regno Unito, n.d.r.] a favore di un
attore in giudizio che aveva stipulato un accordo di onorario condizionato
con i suoi rappresentanti legali. La Corte fa applicazione delle conclusioni
della causa MGN Limited c. Regno Unito,
per le quali il pur ampio margine di apprezzamento rispetto a misure generali
che perseguono interessi sociali ed economici è da considerarsi superato in
questo caso. Mancata violazione della libertà di
espressione rispetto alla recuperabilità dei premi assicurativi “After the
Event” (“ATE”) sostenuti dagli attori in giudizio in circostanze non
sproporzionate [si tratta di un’assicurazione che copre i costi di un’eventuale
condanna alle spese legali della controparte nei casi di citazione in
giudizio di editori, n.d.r.]. Per la Corte infatti non esiste una regola
generale sulla recuperabilità dei premi ATE simile a quella applicata alla
recuperabilità delle “spese di successo”. La proporzionalità dei premi ATE
deve dunque essere valutata caso per caso e, a differenza delle “spese di
successo”, l’assicurazione ATE può potenzialmente offrire notevoli vantaggi
ai convenuti vittoriosi che desiderano recuperare i costi sostenuti. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 7 novembre 2024 (Bakradze c. Georgia) Art. 14 (+ art. 10 e art. 11) – Violazione
del divieto di discriminazione determinata dall’insufficiente controllo
giurisdizionale della lamentata discriminazione di una ex giudice georgiana
da parte dell’Alto Consiglio di Giustizia (HCJ) nei concorsi giudiziari a
causa del suo ruolo di fondatrice e presidente della ONG “The Unity of Judges of Georgia” e
delle sue opinioni critiche sullo stato del sistema giudiziario del paese. La
ricorrente ha dimostrato un caso prima
facie di discriminazione. Infatti, le circostanze specifiche dei colloqui
della ricorrente sono state tali che un osservatore indipendente avrebbe
potuto ragionevolmente trarre la conclusione che le sue attività legate alla
ONG hanno avuto un ruolo significativo nelle decisioni di non riconferma. Le
domande del colloquio sono andate oltre la verifica della sua integrità e
hanno dimostrato il pregiudizio dei singoli membri dell’HCJ nei suoi
confronti. I tribunali nazionali non hanno affrontato la denuncia di discriminazione
con la dovuta attenzione in modo da garantire alla ricorrente una protezione
reale ed effettiva da qualsiasi potenziale parzialità e discriminazione. La
Corte censura il mancato spostamento dell’onere della prova sull’HCJ per
dissipare la percezione di parzialità e dimostrare una differenza di
trattamento giustificata da una ragione obiettiva. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 24 ottobre 2024 (Eckert c. Francia) Art. 11 – Mancata violazione della libertà
di riunione pacifica in conseguenza dell’irrogazione di un’ammenda per la
partecipazione a una manifestazione vietata nell’ambito del movimento di
protesta dei “gilet gialli”. La Corte nota in primo luogo che la sanzione era
prevista da un atto avente natura legislativa e che le autorità nazionali
potevano legittimamente ritenere che vi fosse un grave rischio di violenza e
di danni e dunque un’esigenza sociale imperativa alla base della limitazione.
Inoltre, l’assenza di dichiarazione preventiva da parte degli organizzatori
della manifestazione non è giustificabile nel caso di specie, mentre il
divieto è stato limitato nello spazio e nel tempo e quindi non contrario
all’articolo 11. Per la Corte vi è stata ponderazione degli interessi in
gioco, nel rispetto dei criteri stabiliti dalla Corte stessa, e le misure
punitive non sono state quindi ritenute sproporzionate. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 22 ottobre 2024 (Kobaliya e altri c. Russia) Art. 8, Art. 10 e Art. 11 – Violazione della
libertà di espressione e della libertà di associazione determinata
dall’applicazione estesa della legislazione sugli “agenti stranieri” alle
organizzazioni dei media e ai giornalisti sulla base di criteri vaghi e
imprevedibili circa la nozione di “agente straniero” che portano a
un’applicazione arbitraria di tale legislazione. La Corte osserva l’assenza di ragioni
“pertinenti e sufficienti” per la qualificazione dei richiedenti come “agenti
stranieri” e la mancanza di una “pressante necessità sociale” per gli onerosi
requisiti di qualificazione secondo i criteri della legge per tutte le
comunicazioni pubbliche, anche per l’effetto stigmatizzante dell’etichetta
obbligatoria di “agente straniero” che scoraggia il discorso pubblico e
l’impegno civico. La Corte ritiene sproporzionate ed eccessive le multe
previste per il mancato rispetto delle norme di qualificazione o
‘etichettatura’ come “agente straniero”, in specie la sanzione estrema dello
scioglimento a carico delle ONG per le presunte violazioni. La legislazione
in oggetto appare dunque incompatibile con il pluralismo e “non necessario in
una società democratica”. La Corte rinviene anche una violazione del
diritto al rispetto della vita privata in conseguenza delle molteplici e
ingiustificate ripercussioni sulla vita privata e professionale dei singoli
ricorrenti a seguito della loro designazione come “agenti stranieri”. La
pubblicazione dei dati personali dei richiedenti sul sito web del Ministero
della Giustizia non risponde ad alcun interesse pubblico e l’obbligo di
presentare relazioni frequenti e dettagliate sulle entrate e sulle spese
personali eccede quanto potrebbe essere considerato necessario per garantire
la trasparenza. La Corte censura anche le ampie e ingiustificate restrizioni
all’esercizio di alcune professioni, tra cui l’insegnamento ai minori e la
scrittura per i giovani. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 17 ottobre 2024 (Central Unitaria de Traballadores/as c. Spagna) Art. 11 – Mancata violazione della libertà
di riunione in conseguenza del divieto di una manifestazione organizzata dal
sindacato ricorrente per il 1° maggio 2020, durante le prime fasi della
pandemia di COVID-19. La Corte giudica l’interferenza come non generalizzata
né basata sui contenuti della manifestazione, oltre che “prevista dalla
legge” e funzionale a obiettivi legittimi di tutela della salute e dei
diritti e delle libertà altrui. La pandemia di COVID-19 deve inoltre essere
qualificata come una circostanza eccezionale e imprevedibile e l’interferenza
deve considerarsi come imposta nel contesto di una pressante esigenza sociale
di tutela della salute individuale e pubblica e in circostanze particolari.
Le decisioni delle autorità nazionali sono state basate su una valutazione
accettabile dei fatti e su ragioni pertinenti e sufficienti, con un equo
bilanciamento degli interessi in gioco, in una materia in cui oltretutto
spetta agli Stati un ampio margine di apprezzamento rispetto agli interessi
in conflitto. Tale ampio margine di discrezionalità non è stato dunque
oltrepassato attraverso l’interferenza in questione, da ritenersi invece
“necessaria in una società democratica”. Vi è un’opinione dissenziente. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 17 ottobre 2024 (Amerisoc Center S.R.L. c. Lussemburgo) Art. 1 P.1 – Violazione del diritto di
proprietà determinata dalla mancanza di un mezzo di ricorso che consenta di
contestare efficacemente il sequestro di beni bancari depositati su conti
lussemburghesi a seguito di una richiesta di assistenza giudiziaria
internazionale. La Corte censura come i giudici nazionali non abbiano
valutato la proporzionalità di una misura che, per la sua natura e la sua
portata, appariva a priori significativa e severa e che si è protratta per
sei anni. La Corte censura la mancanza
di una ragionevole possibilità per la ricorrente di far valere il proprio
punto di vista nel contesto di un procedimento in contraddittorio e determina
dunque che la misura è stata sproporzionata. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 15 ottobre 2024 (H.T. c. Germania e Grecia) Art. 3, Art. 5 § 3 e § 4 – Violazione del divieto di trattamenti
inumani e degradanti in un caso di espulsione
e allontanamento immediato di un richiedente asilo siriano dalla Germania
alla Grecia nell’ambito di un accordo amministrativo tra i due paesi, a causa
del mancato esame della domanda di asilo prima dell’allontanamento. La Corte
rinviene poi un’insufficiente base, all’epoca dei fatti, per una presunzione
generale di accesso a un’adeguata procedura di asilo in Grecia, procedura che
protegga dal respingimento arbitrario e dall’ esposizione a trattamenti
contrari all’Art. 3 CEDU. La Corte riscontra la mancata previsione di
garanzie generali a tale riguardo da parte dell’accordo amministrativo,
nonché l’assenza di garanzie individuali. La Corte riscontra in particolare,
nel caso concreto, la mancanza di una valutazione del rischio
individualizzata da parte delle autorità tedesche prima dell’allontanamento,
avvenuto in modo frettoloso e senza previo accesso a un avvocato. Art. 3 (sostanziale) – La riconosciuta
violazione dell’Art. 3 sotto al profilo sostanziale è conseguente al
trattamento degradante subito dal ricorrente per via della detenzione, dopo
l’allontanamento dalla Germania, per due mesi e diciassette giorni in una
stazione di polizia greca senza il rispetto delle condizioni e la garanzia
dei servizi essenziali [“amenities”]
richiesti per i periodi di detenzione prolungati. La Corte riscontra anche una violazione
dell’Art. 5 § 4 CEDU sotto il profilo della verifica della base legale della
detenzione. La Corte non rinviene invece una violazione
dell’Art. 5 § 1 CEDU in quanto la durata della detenzione complessiva in
Grecia in attesa dell’espulsione (due mesi e ventitré giorni) è da ritenersi
giustificata. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 10 ottobre 2024 (Validity Foundation in rappresentanza di T.J. c. Ungheria) Art. 2 e Art. 34 – La Corte afferma in primo
luogo la legittimazione di un’organizzazione non governativa a presentare
ricorso per conto di una persona con grave disabilità intellettiva deceduta
in una casa di cura gestita dallo Stato. La Corte rinviene poi una violazione
dell’Art. 2 CEDU sotto ai profili sia sostanziale che procedurale per ragioni
inerenti al trattamento della defunta, sotto il controllo esclusivo dello
Stato, e per la mancata dimostrazione del rispetto del livello di protezione
richiesto per evitare il deterioramento della sua salute e la sua morte
prematura. La Corte censura l’inadeguatezza delle condizioni di vita e delle
cure mediche e terapeutiche, nonché l’uso eccessivo di mezzi di contenzione
e, ancora, la mancanza di indagini efficaci, la mancata sottoposizione del
caso della deceduta a un attento esame e in generale l’assenza di reazioni
adeguate ivi inclusa un’azione di risarcimento. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 8 ottobre 2024 (M.A. e Z.R. c. Cipro) Art. 3, Art. 4 P.4 e Art. 13 – Violazione
del divieto di trattamenti degradanti sotto al profilo procedurale
determinata dall’espulsione e dal trasferimento sommario in Libano di
cittadini siriani intercettati in mare dalle autorità cipriote e senza previo
esame delle loro richieste d’asilo e in violazione delle stesse misure
previste dal diritto nazionale. La Corte censura la mancata valutazione da
parte delle autorità cipriote del rischio di mancato accesso a una procedura
di asilo effettiva in Libano, delle condizioni di vita dei richiedenti in
tale Paese e del rischio di espulsione arbitraria in Siria. La Corte rinviene anche una violazione
dell’Art. 3 CEDU sotto al profilo sostanziale, in quanto i richiedenti sono
stati tenuti in mare a bordo della loro barca di legno per due giorni senza
poter sbarcare in un contesto caratterizzato - secondo le accuse dei
ricorrenti non confutate dal governo - da inadeguata fornitura di cibo e
acqua, esposizione al calore e mancanza di accesso alle strutture igieniche e
dunque tale da dover essere considerato, nelle particolari circostanze, come
un trattamento degradante. La Corte rinviene poi una violazione del
divieto di espulsione collettiva in conseguenza del trasferimento forzato in
Libano, anche per la mancanza di documentazione specifica per ciascun
migrante e di trascrizioni di colloqui e moduli richiesti dall’Accordo
bilaterale con il Libano. Lo Stato non ha fornito nessuna informazione sul
fatto che i richiedenti siano stati informati dei loro diritti o delle
modalità di impugnazione della decisione di allontanamento, risultando così
pregiudicato l’accesso all’assistenza legale. Si riscontra l’assenza di
decisioni di allontanamento individuali scritte, non imputabile alla condotta
dei richiedenti stessi. La Corte censura infine la mancanza di un
ricorso interno effettivo, con effetto sospensivo automatico. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (GC) 17 settembre 2024 (Pindo Mulla c. Spagna) Art. 8 e Art. 9 – Violazione del diritto al
rispetto della vita privata determinato dal trattamento medico sotto forma di
trasfusioni di sangue somministrato a una testimone di Geova, durante un
intervento chirurgico d’urgenza, nonostante il suo espresso rifiuto di
sottoporsi a trasfusioni di sangue di qualsiasi tipo. La Corte ritiene che in
principio i pazienti adulti siano sempre liberi di decidere in merito a
interventi chirurgici o trattamenti medici, con conseguente necessità di
solide salvaguardie legali e istituzionali nel processo decisionale. La
Grande Camera compie dunque una delucidazione dei requisiti procedurali
applicabili: la decisione di rifiutare un trattamento salvavita deve essere
chiara, specifica e inequivocabile e rappresentare la posizione attuale del
paziente sulla questione. In caso di dubbio, gli operatori sanitari hanno il
dovere di compiere ogni ragionevole sforzo per determinare la volontà del
paziente. Tuttavia, in caso di emergenza, nonostante gli sforzi per dissipare
i dubbi, esistono ragionevoli motivi per dubitare della decisione di un
individuo di rifiutare un trattamento salvavita, procedere con tale
trattamento non può essere considerato un mancato rispetto della sua
autonomia personale. In situazioni di pericolo di vita, il diritto alla vita
riveste pari importanza del diritto dell’individuo di decidere autonomamente
in merito alle cure mediche. La Corte rileva però come manchi un consenso
europeo sulle modalità per conciliare questi due diritti, tenendo conto della
volontà precedentemente espressa dal paziente. Da questo punto di vista, il
principio di conferire un effetto giuridico vincolante al testamento
biologico e alle relative modalità formali e pratiche resta nell’ambito del
margine di apprezzamento dello Stato. La Corte rileva altresì la necessità di
un sistema di direttive mediche anticipate su cui i pazienti facciano
affidamento perché le garanzie funzionino efficacemente. Da tale punto di
vista, il quadro nazionale spagnolo è ben sviluppato, e conforme alla Convenzione
di Oviedo, al fine di garantire il rispetto dell’autonomia del paziente nel
sistema sanitario nazionale. Tuttavia, nella pratica, le carenze del processo
decisionale nel caso di specie non hanno garantito un sufficiente rispetto
dell’autonomia del ricorrente, vista la mancata fornitura al giudice preposto
d’ufficio alla decisione (essendo la ricorrente temporaneamente incosciente)
di un’adeguata base fattuale che egli potesse poi porre alla base della
propria decisione relativa al rifiuto delle cure del ricorrente, rifiuto pur
registrato per iscritto in varie forme e in vari momenti. La mancanza di
informazioni essenziali e accurate ha avuto un effetto determinante sul
processo decisionale del giudice preposto alla decisione, con una mancata
considerazione della capacità decisionale della ricorrente, tutte carenze non
colmate dalle Corti superiori. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 29 agosto 2024 (Pasquinelli e altri c. San Marino) Art. 8 – Mancata violazione del diritto alla
vita privata nel caso della misure imposte, in ambito lavorativo, agli
operatori sanitari e socio-sanitari san-marinesi e italiani presso l’azienda
ospedaliera san-marinese per essersi rifiutati di vaccinarsi contro il
Covid-19. La Corte rileva come la vaccinazione prevista dalla normativa
impugnata non fosse obbligatoria e come la normativa non imponesse vere
sanzioni legali né portasse a conseguenze automatiche. Le misure adottate nei
confronti dei lavoratori si basavano su situazioni individuali e non possono
essere considerate sanzioni ‘mascherate’. La Corte distingue perciò il caso
di specie dal precedente Vavřička
e altri c. Repubblica Ceca [GC], dal momento che la scelta vaccinale è
stata nel caso di specie sufficientemente legata all’autonomia personale e
decisionale dei ricorrenti, senza un obbligo generalizzato di vaccinarsi. La
Corte giudica comunque l’Art. 8 applicabile al caso, ritenendo tuttavia che
la limitazione riscontrata perseguisse finalità legittime di tutela della
salute e dei diritti e delle libertà altrui e che le misure impugnate fossero
giustificate e proporzionate rispetto a tali finalità, sicché l’ampio margine
di discrezionalità in materia di politica sanitaria non è stato oltrepassato. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 27 agosto 2024 (Yasak c. Türkiye) Art. 3 e Art. 7 – Mancata violazione dei
principi nullum crimen sine lege e nulla poena sine lege in un caso di
condanna per appartenenza ad un’organizzazione terroristica armata a causa
delle attività segrete svolte dal ricorrente per conto dell’organizzazione
gulenista turca, in qualità di quadro. La Corte distingue il caso di specie
dalla propria recente giurisprudenza Yüksel
Yalçınkaya c. Türkiye [GC, 2023]. Infatti, il reato ha in questo
caso una base giuridica prevedibile al momento della sua commissione e vi è
stato da parte dei giudici nazionali un accertamento individuale, basato su
prove solide, degli elementi materiali e morali che costituiscono il reato.
L’interpretazione e l’applicazione compiuta dai giudici turchi è stata dunque
prevedibile e non è da rinersi un’interpretazione estensiva della
disposizione penale in questione. Per quanto riguarda la lamentata violazione
dell’Art. 3, per la Corte le condizioni di detenzione del richiedente non
erano inumane o degradanti. È presente un’opinione concorrente. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 27 agosto 2024 (Bielau c. Austria) Art. 10 – Mancata violazione della libertà
di espressione in un caso di irrogazione di una sanzione disciplinare a un
medico praticante austriaco, cultore dell’omeopatia, per aver rilasciato
dichiarazioni scientificamente insostenibili sull’inefficacia dei vaccini
contro il Covid. La Corte rinviene motivi pertinenti e sufficienti e un equo
bilanciamento degli interessi concorrenti nella decisione delle autorità
nazionali, anche alla luce del carattere delle informazioni diffuse dal
ricorrente, idonee a tratte in inganno un largo pubblico. La sanzione appare
inoltre proporzionata. È presente un’opinione dissenziente. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 25 luglio 2024 (Ždanoka c. Lettonia(n. 2)) Art. 3 P.1 – Mancata violazione del diritto
a candidarsi in libere elezioni in un caso di rimozione del nome della
ricorrente dalla lista dei candidati alle elezioni parlamentari lettoni, a
causa della sua passata partecipazione attiva al Partito Comunista di
Lettonia e delle sue attuali attività politiche entro un partito russofono
lettone. Il caso, che si colloca nel solco tracciato da Ždanoka c. Lettonia [GC, 2006], impone, secondo la Corte,
un’applicazione dei principi ivi enunciati relativamente alle condizioni di
legittimità delle restrizioni a candidarsi alle elezioni. Per la Corte la
restrizione impugnata è sufficientemente prevedibile e quindi sotto questo
profilo legittima, e persegue finalità legittime di tutela dell’indipendenza
dello Stato, dell’ordine democratico e della sicurezza nazionale. La Corte
constata inoltre, sul piano fattuale, un significativo cambiamento del
contesto generale rispetto alla situazione entro cui si collocava la
precedente Ždanoka v. Lettonia
[GC], con la Lettonia (e l’Europa in generale) che non gode più della
“maggiore stabilità” [“greater stability”] cui
faceva riferimento la Grande Camera nella sua decisione precedente. Nel caso
di specie, dopo Ždanoka c. Lettonia
[GC] lo Stato convenuto aveva sempre più motivi legittimi per temere per la
propria sicurezza, integrità territoriale e ordine democratico da parte di
un’eventuale minaccia russa (l’etnia della ricorrente), il che richiedeva il
riconoscimento di un margine di apprezzamento ancora più ampio per la
protezione di tali valori. L’azione limitata del legislatore per quanto
riguarda la rivalutazione periodica della restrizione impugnata, prevista
dalla Grande Camera, non è ingiustificata in un contesto specifico e
sensibile come l’attuale. La nuova interpretazione della restrizione
impugnata da parte della Corte costituzionale lettone, alla luce degli
sviluppi, incide sulla posizione giuridica delle persone che hanno messo in
passato e continuano a mettere nel presente in pericolo l’indipendenza dello
Stato lettone e i principi di uno Stato democratico di diritto. Inoltre, le
ragioni addotte dalla Commissione elettorale centrale lettone sono state
ritenute sufficienti in considerazione delle circostanze specifiche del caso
e del profilo pubblico della ricorrente, nonchè del suo sostegno alle azioni
della Federazione russa nella penisola di Crimea nel 2014 e seguenti. Per la
Corte, i procedimenti interni hanno offerto sufficienti garanzie procedurali
contro l’arbitrarietà della decisione e la ricorrente ha potuto candidarsi ed
è stata eletta alle elezioni del Parlamento europeo. Non è stato dunque
superato l’ampio margine di apprezzamento dello Stato. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 25 luglio 2024 (Couso Permuy c. Spagna) Art.
6 – Mancata violazione del diritto d’accesso a un tribunale in un caso
di interruzione del procedimento penale relativo all’uccisione di un
giornalista di nazionalità spagnola - fratello del ricorrente - avvenuta in
Iraq, a causa del dedotto difetto di giurisdizione delle corti nazionali e a
seguito di una riforma legislativa che ha limitato la giurisdizione
universale dei tribunali spagnoli per i reati commessi a livello
extraterritoriale. La Corte ritiene l’Art. 6 CEDU applicabile, sotto il
profilo civile, in considerazione del diritto del ricorrente, in base al
diritto spagnolo, di partecipare come parte civile [“private accusing party”] al procedimento penale e di ottenere un
risarcimento civile dagli autori del reato, qualora fosse stato accertato un
reato e fosse stata pronunciata una condanna nel caso di specie. La Corte
rileva come la giurisdizione obbligatoria, ai sensi della Quarta Convenzione
di Ginevra del 1949, non si sia mai estesa all’obbligo di uno Stato di
ricercare i criminali di guerra al di fuori del proprio territorio e di
rivendicare la giurisdizione per perseguirli e processarli. Non c’è dunque
nessun obbligo in capo agli Stati contraenti, derivante dal diritto
internazionale o dalla Convenzione, di dotarsi di una giurisdizione universale
sotto al profilo civilistico, e non è irragionevole che uno Stato subordini
l’esercizio della giurisdizione universale all’esistenza di determinati
elementi di collegamento o legami giurisdizionali con lo Stato stesso. Il
ricorrente ha potuto rivolgere le proprie doglianze ai tribunali spagnoli e
vi è stato un esercizio effettivo della giurisdizione da parte delle autorità
spagnole per più di dodici anni, prima dell’interruzione. Non vi sarebbe
inoltre nessun indizio di arbitrarietà o manifesta irragionevolezza nella
conclusione dei giudici spagnoli in merito al loro difetto di giurisdizione,
con un accertamento non sproporzionato rispetto agli obiettivi perseguiti,
mentre l’interpretazione dei giudici nazionali corrispondeva allo scopo della
nuova legge che mirava a limitare le controversie basate sulla giurisdizione
universale ai casi in cui esisteva un legame sufficiente con la Spagna. Tale
interpretazione rientrava nel margine di apprezzamento dello Stato, e, da
ultimo, il procedimento è stato interrotto temporaneamente, ma senza
escludere la possibilità di riaprirlo se i convenuti, membri dell’esercito
degli Stati Uniti al tempo dei fatti, fossero rientrati nel territorio
spagnolo. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 25 luglio 2024 (M.A. e altri C. Francia) Art. 8 – Mancata violazione del diritto al
rispetto della vita privata in un caso di criminalizzazione generale e
assoluta della compravendita di atti sessuali nell’ambito di un quandro
legislativo globale di lotta contro la prostituzione e la tratta di esseri
umani in Francia. La Corte accerta l’interferenza con il diritto al rispetto
della vita privata, ma accerta altresì la mancanza di una visione comune a
livello europeo e internazionale sul modo migliore di affrontare la
prostituzione e le profonde divergenze di opinione sull’uso del diritto
penale in questione come strumento di lotta contro la tratta di esseri umani,
con conseguente ampio margine di discrezionalità. La Corte accerta l’avvenuto
esame da parte del Parlamento francese di tutti gli aspetti del sistema
istituito, per inquadrare un fenomeno molto complesso che solleva questioni
morali ed etiche delicate. Il quadro d’intervento legislativo si è articolato
in quattro direttrici, ossia l’eliminazione di tutte le disposizioni legali
che potessero incoraggiare la prostituzione, senza tuttavia vietarla;
l’introduzione di una protezione per le prostitute, in particolare tramite la
repressione dello sfruttamento sessuale di altre persone; la prevenzione
dell’ingresso nel mondo della prostituzione; infine l’assistenza al
reinserimento delle prostitute che desiderano abbandonare la prostituzione.
La Corte accerta un equo bilanciamento degli interessi contrapposti da parte
della disciplina introdotta, così che il margine di apprezzamento non risulta
superato. La Corte aggiunge tuttavia che le autorità nazionali sono tenute a
riesaminare costantemente l’approccio adottato per poterlo modificare alla
luce dell’evoluzione della materia e delle conseguenze dell’applicazione
della legge. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 18 luglio 2024 (Hanovs c. Lettonia) Art.
3 e Art. 8 (+ Art. 14) – Violazione degli obblighi positivi
determinata dalla mancanza d’indagini efficaci e da una discriminazione sulla
base dell’orientamento sessuale, che hanno portato a una mancata protezione
del ricorrente da un’aggressione omofobica, non assicurando l’effettivo
perseguimento dell’autore. La Corte sanzione in particolare il mancato
perseguimento dell’aggressione come reato motivato dall’odio, laddove vi è
stata invece una semplcie condanna per cattiva condotta in un procedimento
amministrativo, con un’ammenda di 70 euro per l’aggressione, senza affrontare
i motivi alla base dell’odio. La sanzione è stata dunque manifestamente
sproporzionata, per difetto, rispetto alla gravità dell’atto. Per la Corte,
il ricorso a tali procedimenti amministrativi ha banalizzato l’incidente e
l’assenza di una risposta solida ha favorito un senso di impunità per i reati
motivati dall’odio verso le minoranze. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 16 luglio 2024 (Meli e Swinkels Family Brewers N.V. c. Albania) Art.
6 § 1 – Violazione del diritto a un equo processo e mancata violazione
del diritto di accesso a un tribunale in un caso relativo a un ricorso presso
la Corte costituzionale albanese. La Corte non rinviene una violazione del
diritto a un equo processo in conseguenza del rigetto dei rispettivi ricorsi
costituzionali dei ricorrenti a seguito di una parità dei voti espressi dal
collegio giudicante o del mancato raggiungimento della maggioranza di cinque
giudici, requisiti necessari nell’ordinamento albanese per dichiarare una
violazione costituzionale. Per la Corte, né la parità di voti né il requisito
della maggioranza qualificata costituiscono di per sé una violazione
dell’Art. 6 CEDU. Le disposizioni giuridiche pertinenti, modificate a seguito
della sentenza della Corte EDU Marini
c. Albania, sono ora sufficientemente chiare, per quanto riguarda l’esito
dei ricorsi che si concludono con una parità di voti o con qualsiasi
votazione che non produca una maggioranza di cinque giudici. Nel caso di
specie vi è poi stato un esame adeguato del merito e una determinazione
finale sulle richieste dei ricorrenti. La Corte rinviene però una violazione
dell’equo processo determinata dalla mancanza di una motivazione adeguata,
perchè la Corte costituzionale non ha fornito in concreto ragioni e motivi
sostanziali a sostegno del respingemento delle richieste dei ricorrenti. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 9 luglio 2024 (Savinovskikh e Altri c. Russia) Art. 8 e Art. 34 – Riconosciuta violazione
del diritto alla vita familiare in conseguenza della cessazione
dell’affidamento di due minori a una persona transessuale, a causa di una
diagnosi di “transessualismo” e del cambiamento d’identità di genere. La Corte
censura il mancato esame approfondito dell’intera situazione familiare da
parte delle autorità russe, che nella loro decisione hanno fatto affidamento
prevalentemente sull’impossibilità giuridica di accettare coppie dello stesso
sesso come genitori affidatari, nonché sulle tradizioni e sulla mentalità
della società russa, senza considerare le conclusioni delle autorità preposte
all’istruttoria del caso di specie. La Corte censura inoltre l’assenza di un
esame individuale da parte di esperti o di uno studio scientifico di supporto
sull’impatto del cambiamento di identità di genere sulla salute psicologica e
sullo sviluppo dei bambini, con la conseguente mancanza di una valutazione
equilibrata e ragionevole degli interessi rilevanti nel caso. Per quanto riguarda la legittimazione ad
agire, si riconosce che la ricorrente era legittimata ad agire per conto dei
bambini in quanto, al momento della presentazione della domanda, i servizi
sociali che tutelavano gli interessi dei minori ai sensi del diritto
nazionale erano all’origine dell’interferenza arbitraria. È presente un’opinione parzialmente
dissenziente (in relazione al fatto che la Corte non ha ritenuto di accertare
la violazione anche dell’Art. 14 CEDU). |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (GC) 25 giugno 2024 (Ucraina c. Russia (re Crimea)) Art. 33, Art. 2, Art. 3, Art. 5, Art. 6,
Art. 7, Art. 8, Art. 9. Art. 10, Art. 11, Art. 1P.1, Art. 2 P.1, Art. 2 P.4,
Art. 14, Art. 18, Art. 38, Art. 46 – La Corte riscontra la violazione di
plurimi diritti nel ricorso interstatale dell’Ucraina contro la Russia e
rispetto alle pratiche amministrative della Russia, avvenute prevalentemente
in Crimea. La Corte riscontra la violazione del diritto
alla vita sotto al profilo sostanziale e procedurale a causa della pratica
amministrativa di sparizioni forzate e mancanza di indagini efficaci su
accuse credibili di tale pratica. Al riguardo, l’esame da parte della Corte
non si è limitato alle sole persone irreperibili ed è stata confermata
l’applicabilità dell’Art. 2 indipendentemente dal rilascio della maggior
parte delle persone rapite. La Corte riscontra poi una violazione
dell’Art. 3 sotto al profilo sostanziale e procedurale a causa della pratica
amministrativa di maltrattamenti nei confronti di soldati ucraini, ma anche
“ucraini etnici”, tatari di Crimea e giornalisti e per i maltrattamenti nei
confronti di "prigionieri politici ucraini" sia in Crimea che nella
Federazione Russa e per la mancanza di indagini efficaci al riguardo. La
Corte ha poi accertato le condizioni degradanti di detenzione dei
"prigionieri politici ucraini" nel centro SIZO di Simferopol, in
Crimea, riconducendole a un problema sistemico derivante da carenze generali
nell’organizzazione e nel funzionamento del sistema carcerario della Crimea. Si riscontra una violazione del diritto alla
legalità di ogni forma di arresto o detenzione determinato dalla pratica
amministrativa della detenzione segreta e illegale, in isolamento, di soldati
ucraini, ma anche ucraini etnici, tatari di Crimea e giornalisti. Vi è
secondo la Corte una prassi amministrativa in corso di privazione illegale
della libertà, perseguimento e/o condanna di "prigionieri politici
ucraini" sulla base dell’applicazione illegale del diritto russo in
Crimea, con applicazione retroattiva del diritto penale ed estensione di
disposizioni penali in modo imprevedibile da parte dei tribunali in Crimea. Vi è una violazione del diritto a un
tribunale istituito dalla legge determinata dall’applicazione generalizzata
del diritto russo in Crimea dopo la sua ammissione alla Federazione russa -
in violazione della Convenzione, per come interpretata alla luce del diritto
internazionale umanitario - con una sostituzione generalizzata del diritto
ucraino. La Corte giudica i tribunali operanti in Crimea come non
"istituiti dalla legge". Vi è inoltre una violazione del diritto alla
vita privata determinata dalla prassi amministrativa che impedisce ai
cittadini della Crimea di poter effettivamente rinunciare alla nuova
cittadinanza russa, ma anche una violazione dei diritti alla casa e alla vita
famigliare per la pratica amministrativa di effettuare incursioni e
perquisizioni illegali e arbitrarie in case private e per via dei
trasferimenti illegali di prigionieri dalla Crimea verso strutture penali
situate in territorio russo. Vi è una violazione della libertà di
religione causata dalla pratica amministrativa di molestie illegali nei
confronti di leader religiosi non conformi alla fede ortodossa russa,
incursioni arbitrarie in luoghi di culto e confisca di beni religiosi, senza
alcuno scopo o giustificazione legittima. Vi è una violazione della libertà di
espressione, determinata dalla pratica amministrativa di soppressione
illegale di media non russi, compresa la chiusura di stazioni televisive
ucraine e tatare. Vi è una violazione della libertà di
riunione pacifica e della libertà di associazione, determinata dalla pratica
amministrativa di proibire illegalmente raduni pubblici e manifestazioni di
sostegno all’Ucraina o alla comunità tatara di Crimea, nonché a causa
dell’intimidazione e la detenzione arbitraria degli organizzatori delle
manifestazioni. La Corte condanna, inoltre, la pratica amministrativa di
privazione illegale della libertà, perseguimento e/o condanna di
"prigionieri politici ucraini" per aver esercitato la loro libertà
di espressione, di riunione pacifica e di associazione. Vi è inoltre una violazione del diritto di
proprietà determinata dalla pratica amministrativa di espropriazione illegale
su larga scala (in forma di nazionalizzazioni) di proprietà appartenenti a
imprese civili e private in Crimea, pratica che comporta un trasferimento
definitivo della proprietà senza alcun indennizzo. Vi è inoltre una violazione, e nella
sostanza una negazione completa, del diritto all’istruzione, determinata
dalla pratica amministrativa di soppressione della lingua ucraina nelle
scuole e di persecuzione dei bambini di lingua ucraina a scuola. Vi è una violazione della libertà di
circolazione determinata dalla pratica amministrativa di limitare
illegittimamente la libertà di circolazione tra la Crimea e l’Ucraina
continentale come conseguenza della trasformazione de facto, da parte dello Stato convenuto, della linea di confine
amministrativa in un confine di Stato tra la Federazione Russa e l’Ucraina. In collegamento con i diritti violati, la
Corte individua poi una generale discriminazione, priva di giustificazione
oggettiva o ragionevole a danno dei tatari di Crimea. Per quanto riguarda il fatto che le
limitazioni ai diritti siano mosse da scopi non autorizzati secondo la
Convenzione ai sensi dell’Art. 18, la Corte ritiene il suddetto Articolo non
applicabile in combinato disposto con l’Art. 7 in considerazione del carattere
inderogabile di tale disposizione (incompatibile dunque ratione materiae), ma l’Art. 18 risulta applicabile in combinato
disposto con gli Artt. 5, 6, 8, 10 e 11 alle pratiche amministrative di
restrizione nei confronti dei tatari di Crimea, a quella di limitare i
diritti e le libertà dei "prigionieri politici ucraini" con il
prevalente scopo ulteriore di punire e mettere a tacere qualsiasi opposizione
politica, in nome di una politica statale costante, sviluppata e promossa
pubblicamente da importanti rappresentanti delle autorità russe, di soffocare
qualsiasi opposizione in loco, con abuso della legge penale. La Corte nota, inoltre, il mancato rispetto
dell’obbligo dello Stato di fornire la propria collaborazione e i mezzi
necessari all’indagine e, sotto il profilo dell’esecuzione della sentenza e
delle misure individuali, ritiene che lo Stato convenuto debba adottare
misure, non appena possibile, per garantire il ritorno sicuro dei prigionieri
interessati trasferiti dalla Crimea a strutture penali situate sul territorio
della Federazione Russa. Tuttavia, la Corte ritiene che la questione della
giusta soddisfazione da garantire secondo l’Art. 41 CEDU non sia ancora
pronta per una decisione. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 20 giugno 2024 (Z c. Repubblica Ceca) Art. 3 e Art. 8 – Violazione degli obblighi
positivi collegati al divieto di trattamenti inumani o degradanti e al
diritto alla vita privata determinata dal non aver le autorità applicato in
concreto un sistema penale in grado di punire gli atti sessuali non
consensuali denunciati da una vittima vulnerabile che però non si è opposta
durante il compimento di tali atti. La
Corte fa applicazione dei principi generali enunciati nella sentenza M.C. c. Bulgaria e rinviene un
approccio errato da parte delle autorità nell’interpretazione dei fatti e del
quadro giuridico, contraddistinto dall’inadeguata considerazione da parte
della giurisprudenza nazionale delle situazioni di consenso non valido a
causa dell’abuso di vulnerabilità [“abus
de vulnérabilité”] e della reazione psicologica delle vittime di violenza
sessuale. La Corte censura, inoltre, l’interpretazione restrittiva degli
elementi costitutivi del reato di stupro come definito dal codice penale, che
ha portato all’archiviazione del caso da parte della polizia. La Corte rileva
infine come un ricorso a un’autorità giudiziaria contro la decisione di
archiviazione non fosse consentito dal diritto interno. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 18 giugno 2024 (Suprun e altri c. Russia) Art. 10 – Violazione della libertà di
ricevere informazioni determinata dal rifiuto di fornire ai ricorrenti
l’accesso a documenti d’archivio sulla repressione politica sovietica, di
farne copie o di scattare fotografie e della successiva condanna di uno dei
ricorrenti per aver raccolto informazioni rispetto alle quali era stato
negato l’accesso. Per la Corte la
raccolta di informazioni era una fase preparatoria rilevante per successive
ricerche e pubblicazioni scientifiche e avrebbe contribuito così al dibattito
pubblico sulla repressione politica in epoca sovietica. La Corte censura la
mancata dimostrazione da parte delle autorità di come la divulgazione delle
informazioni in questione incidesse sulla privacy
di persone presumibilmente decedute, mentre l’impatto della ricerca dei
richiedenti sui sentimenti dei discendenti, se esistente, è minimo e remoto.
D’altra parte, i tribunali nazionali non hanno fatto un vero tentativo di
valutare l’applicabilità dell’Art. 8 CEDU al caso di specie, pur invocando
aspetti del diritto alla riservatezza. Se avessero proceduto in tal senso,
per la Corte sarebbe stato evidente che l’accesso era stato richiesto
rispetto a dati ufficiali raccolti in un periodo storico risalente e relativi
alla vita pubblica o professionale (e non personale) delle persone coinvolte.
La restrizione all’accesso alle informazioni non ha dunque perseguito alcuna
"pressante esigenza sociale" e non si è basata su ragioni
pertinenti e sufficienti, non è dunque definibile come "necessaria in
una società democratica". |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 13 giugno 2024 (Daniel Karsai c. Ungheria) Art. 8 e Art. 14 – Mancata violazione del
diritto al rispetto della vita privata nel caso dell’impossibilità per un
malato terminale, affetto da una malattia neurodegenerativa progressiva e non
curabile, di essere assistito nella morte, in virtù del divieto generalizzato
ed extraterritoriale vigente in Ungheria. La Corte constata l’applicabilità
dell’Art. 8 al divieto penale di suicidio assistito, in Ungheria e
all’estero, che costituisce una restrizione al godimento del diritto
all’autodeterminazione nella morte [“right
to self-determined death”], ma rileva altresì che agli Stati è concesso
un considerevole margine di apprezzamento, in quanto la maggioranza degli
Stati membri ha continuato a vietare e perseguire l’assistenza al suicidio,
compresa la morte assistita da un
medico [“physician-assisted dying
(“PAD”)”]. Per la Corte non vi è nessuna base giuridica negli strumenti
internazionali pertinenti per concludere che gli Stati membri siano stati
consigliati o tenuti a fornire l’accesso alla PAD, mentre la legalizzazione
della PAD comporta comunque importanti implicazioni sociali e rischi di abuso
ed errore. Al contempo, cure palliative di alta qualità, compreso l’accesso a
un’efficace gestione del dolore, restano essenziali per assicurare la dignità
dell’individuo sofferente. La Corte osserva che il ricorrente non ha
sostenuto che le cure palliative a sua disposizione fossero inadeguate o che
non sarebbe stato in grado di ricevere una sedazione palliativa per alleviare
la sofferenza, mentre il rifiuto di ricevere la sedazione costituisce una
scelta personale legittima che non può di per sé richiedere alle autorità di
fornire soluzioni alternative o di legalizzare la PAD. Le autorità nazionali
non sono dunque incorse in alcun obbligo positivo derivante dall’Art. 8 in
materia di cure palliative, mentre il divieto penale di suicidio assistito,
compresa la sua applicazione a chiunque aiuti il richiedente a ricorrere alla
PAD all’estero, non è per la Corte sproporzionato, pur dovendosi tenere conto
della necessità di un continuo controllo delle misure giuridiche appropriate,
tenendo conto degli sviluppi nelle società europee e degli standard
internazionali pertinenti in materia di etica medica. La Corte nega altresì la presunta
discriminazione tra pazienti dipendenti da trattamenti di sostegno vitale e
pazienti che non lo siano e che, di conseguenza, non possono accelerare la
loro morte rifiutando tali trattamenti, in quanto tale presunta differenziazione
risulta oggettivamente e ragionevolmente giustificata, in quanto il diritto
di rifiutare o richiedere l’interruzione di trattamenti medici indesiderati è
intrinsecamente connesso al diritto al consenso libero e informato
all’intervento medico, come riconosciuto dalla Convenzione di Oviedo del
Consiglio d’Europa e la maggioranza degli Stati membri ha consentito il
rifiuto o la sospensione, su richiesta del paziente, degli interventi di
mantenimento o di salvataggio della vita. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 11 giugno 2024 (Kokëdhima c. Albania) Art. 3 P.1 – In materia di elezione e
candidature politiche, la Corte ritiene non vi sia stata violazione di alcun
diritto politico nel caso della dichiarazione di cessazione del mandato di un
deputato albanese da parte della Corte costituzionale per l’incompatibilità
del mandato con il suo coinvolgimento in attività commerciali attraverso una
società di cui era l’unico azionista e che traeva reddito da contratti con
enti statali. La Corte giudica non vi fosse nessun problema di accessibilità
delle leggi e delle prassi applicabili, mentre il ricorrente non ha adottato
tutte le misure necessarie per porre fine al conflitto di interessi in corso
al momento dell’assunzione del mandato, per cui la misura impugnata risulta
sufficientemente prevedibile e non è arbitraria. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (GC) 11 giugno 2024 (Nealon e Hallam c. Regno Unito) Art. 6
§ 2 – Mancata violazione della presunzione di innocenza in caso di diniego di
risarcimento per errore giudiziario, a seguito dell’annullamento delle
condanne penali dei ricorrenti in quanto "non sicure" [“unsafe”], per non aver soddisfatto il
nuovo test legale introdotto dopo la sentenza Allen c. Regno Unito [CG]. La Corte giudica che non ci sia motivo
di discostarsi dalla propria conclusione nella causa Allen sull’applicabilità dell’art. 6 § 2 nei casi relativi alla
questione dei costi e alle richieste di risarcimento avanzate da parte di un
ex imputato a seguito di un’assoluzione. La Corte ritiene tuttavia che la
distinzione tra assoluzioni e archiviazioni [“acquittals and discontinuances”] nella propria pertinente
giurisprudenza non vada mantenuta, mentre il criterio di distinzione generale
deve essere quello di controllare se i ragionamenti e le decisioni [“reasoning and decisions”]
impugnate dei tribunali nazionali o di altre autorità in successivi
procedimenti collegati equivalgano a un’imputazione di responsabilità penale.
Secondo la Corte lo Stato convenuto è libero di decidere come definire
l’"errore giudiziario" [“miscarriage
of justice”] e di tracciare una linea politica convenzionalmente
legittima per quanto riguarda l’ammissibilità al risarcimento, a seguito
dell’annullamento di una condanna, purché il rifiuto dell’indennizzo non
imputi la sussistenza di una responsabilità penale nei confronti del
ricorrente il cui ricorso non è accolto. In
questi casi non vi è margine per un diritto al risarcimento per un errore
giudiziario ai sensi dell’art. 6 § 2 a seguito dell’annullamento di una
condanna penale. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 6 giugno 2024 (Bersheda e Rybolovlev c. Monaco) Art. 8 – Violazione dell’Art. 8 CEDU nel
caso dell’esame dell’intero contenuto del telefono cellulare di un avvocato
disposto da un giudice istruttore al di fuori dell’ambito del suo mandato. Il
caso era caratterizzato dalla consegna spontanea del telefono da parte
dell’avvocato per dimostrare la sua buona fede in merito allo scopo del
sequestro. Le autorità avevano proceduto a una perquisizione estesa e
completa del contenuto, accessibile e nascosto, del telefono utilizzato per
scopi personali e professionali, inclusi i dati cancellati dal ricorrente. La
Corte rinviene una violazione della privacy
e della corrispondenza dell’avvocato, visto il mancato rispetto delle
disposizioni che stabiliscono un regime di protezione per gli avvocati e
l’autolimitazione insufficiente da parte delle autorità giudiziarie della
portata dell’indagine, che è stata estesa in modo eccessivo dal giudice
istruttore, con un mancato controllo delle garanzie procedurali dovute al
rispetto del segreto professionale dell’avvocato. Tutto ciò è avvenuto in un
quadro di rimedi giurisdizionali interni adeguati ed efficaci, in linea di
principio, ma che non hanno consentito, in pratica, di porre rimedio in modo
adeguato alle misure ordinate, con un’ingerenza non proporzionata alle
finalità legittime perseguite. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 4 giugno 2024 (Zouboulidis c. Grecia (no. 3)) Art. 6 § 1 – Violazione del diritto di
accesso a un tribunale, determinata dal fatto che la Corte Suprema
Amministrativa greca (SAC) abbia dichiarato irricevibile per difetto di
giurisdizione il ricorso del ricorrente contro lo Stato per i danni asseritamente
causati dal rigetto da parte della Corte di cassazione ellenica di un suo
precedente ricorso per motivi di diritto, rigetto che pure era stato
giudicato dalla Corte EDU, nella causa Zouboulidis
c. Grecia (77574/01), come una violazione dell’Art. 6 § CEDU. Il diritto interno sulla responsabilità
dello Stato è stato infatti interpretato dalla SAC nel senso di non ammettere
richieste di danni causati da un errore manifesto da parte di un organo
giudiziario fino all’emanazione di una legislazione specifica che disciplini
tale responsabilità. Per la Corte, l’interpretazione della SAC non è in linea
con la sua precedente giurisprudenza, che applicava per analogia il diritto
interno vigente a tali casi in considerazione dell’assenza di una
legislazione relativa ad essi. La nuova interpretazione ha fatto sì che la
domanda del ricorrente non fosse ammissibile “ad infinitum” rispetto a un autentico controllo giurisdizionale e
ha costituito un ostacolo insormontabile a qualsiasi futura richiesta di
risarcimento da parte del ricorrente nei confronti dello Stato per i presunti
errori dei tribunali civili, fino all’eventuale adozione di una legislazione
specifica. La Corte condanna la limitazione del diritto del ricorrente per un
periodo indeterminato, che crea incertezza giuridica a suo danno ed è
contraddistinta da un onere sproporzionato, con una conseguente limitazione
dell’essenza stessa del diritto di accesso a un tribunale. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 28 maggio 2024 (Pietrzak e Bychawska-Siniarska and Others c. Polonia) Art. 8, Art. 34 – Violazione del diritto
alla riservatezza determinata dall’inadeguatezza delle garanzie giuridiche
contro l’arbitrarietà e l’abuso in relazione alla sorveglianza segreta, alla
conservazione e all’accesso ai dati delle comunicazioni di cui alla legge
polacca sulla polizia, come emendata nel 2016. La Corte ritiene che il riconoscere lo
status di vittima dei ricorrenti nel caso di specie, pur alla luce di un
esame compiuto solo in astratto, sia giustificato della natura della
legislazione contestata, perché caratterizzata dalla segretezza e dall’ampia
portata delle misure di sorveglianza e dalla mancanza di rimedi interni
efficaci per contestarne la legittimità. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 23 maggio 2024 (M.M. c. Francia) Art. 3, Art. 6 § 1 – Il caso riguardava il
rifiuto dei giudici francesi di aprire un’inchiesta su una denuncia penale
(con richiesta di costituzione di parte civile) presentata dal ricorrente, un
cittadino egiziano, contro il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, per
presunte torture e atti di barbarie, mentre il presidente Sisi si trovava in
visita ufficiale in Francia. Il ricorso presentato alla Corte riguardava la
decisione di non indagare sulle accuse contenute nella denuncia a causa del
principio di diritto pubblico-internazionale dell’immunità dei capi di Stato.
La Corte ha innanzitutto osservato che nel caso di specie non vi erano
caratteristiche particolari che potessero creare un legame giurisdizionale
extraterritoriale [“extraterritorial
jurisdictional link”] che avrebbe imposto alle autorità francesi un
obbligo procedurale di indagare sulle accuse di atti di tortura avvenuti in
Egitto, in accordo con la parte procedurale dell’articolo 3 della
Convenzione. La Corte, come i tribunali nazionali, ritiene che il Presidente
Al-Sisi godesse dell’immunità dalla giurisdizione penale quando si trovava
all’estero, in virtù delle norme di diritto internazionale consuetudinario.
Tale immunità, tuttavia, non comporta una totale privazione del diritto di
accesso a un tribunale ai fini dell’Articolo 6 della Convenzione. La Corte
non ritiene comunque che vi sia stato nulla di manifestamente irragionevole o
arbitrario nella valutazione dei tribunali nazionali e ritiene che la
limitazione del diritto di accesso a un tribunale ai fini dell’articolo 6
della Convenzione non sia sproporzionata rispetto allo scopo legittimo
perseguito. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 14 maggio 2024 (Mitrevska c. Macedonia del Nord) Art. 8 – Violazione degli obblighi positivi
collegati al diritto alla vita privata a causa dell’impossibilità per la
ricorrente, adottata da bambina, di ottenere informazioni sulle sue origini
biologiche e sulla salute dei suoi genitori biologici, in quanto le
informazioni relative ad un’adozione conclusa costituiscono un segreto
ufficiale ai sensi del diritto interno che non può essere condiviso. La Corte
censura in particolare la mancanza di un’eccezione per motivi medici che
impedisca alle autorità nazionali di valutare le argomentazioni della
ricorrente in merito all’asserita necessità di ottenere informazioni di
carattere sanitario e la conseguente assenza di equilibrio tra gli interessi
contrapposti in gioco. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 23 maggio 2024 (Saakashvili c. Georgia) Art. 6
§ 1, Art. 6 § 3 (d), Art. 7 – Mancata violazione del diritto a un equo
processo, in specie rispetto al diritto a un tribunale indipendente e
imparziale e sotto il profilo dell’esame dei testimoni, nel caso della
condanna dell’ex Presidente della Georgia, in due distinti procedimenti
penali, per fatti commessi durante la sua carica (complicità in percosse e
abuso di autorità a causa dell’esercizio della clemenza presidenziale). La
Corte ritiene che il Tribunale monocratico di primo grado che ha condannato
il ricorrente per abuso di autorità ufficiale non mancasse di indipendenza o
imparzialità (sia in senso oggettivo che funzionale), anche considerando che
le funzioni impiegatizie o comunque tecniche dell’assistente giudiziario non
devono essere confuse con il ruolo del giudice in senso proprio. La Corte
afferma peraltro che un giudice professionale (formato [“trained”]) sia più adatto a mantenere il necessario distacco
rispetto a un giudice o a un giurato ‘laico’. Secondo la Corte, invece, i
diritti di difesa del ricorrente in entrambi i procedimenti non sono stati
violati, in quanto l’uso delle prove da parte dei tribunali nazionali nei
procedimenti penali è stato conforme alla Convenzione e le dichiarazioni dei
testimoni costituiscono testimonianze dirette. Il ricorrente ha avuto poi la
possibilità di confrontarsi con i testimoni chiave durante il processo e di
contestare le loro dichiarazioni. Sotto il profilo del principio “nullum crimen sine lege”, la Corte
ritiene che la condanna del ricorrente per abuso di autorità per aver
concesso la grazia, durante la sua presidenza, a funzionari di alto rango
condannati per omicidio, potesse essere ragionevolmente prevista. La
disposizione penale su cui si basava la condanna costituisce infatti un
esempio della tecnica legislativa del "rinvio generale" o della
"legislazione mediante rinvio" che non solleva rilievi problematici
ai sensi dell’Art. 7 § 1 CEDU in quanto tale. Il ricorrente non poteva invece
aspettarsi di godere dell’immunità dalla responsabilità penale individuale né
in base alla disposizione penale pertinente né in base al quadro
costituzionale nazionale. Alla luce della panoramica costituzionale
comparata, l’aspettativa del ricorrente che una consuetudine costituzionale
paneuropea lo mettesse al riparo dalla responsabilità penale per gli atti
commessi nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali mentre era in carica
risulta infondata. Per la Corte si deve invece adottare un approccio
deferente, in considerazione del principio di sussidiarietà, rispetto al modo
in cui i tribunali nazionali hanno affrontato, applicando il concetto di pesi
e contrappesi, la dimensione costituzionale dell’apparente dicotomia tra la
natura assoluta del potere presidenziale di clemenza e la possibilità che
tale potere diventi oggetto di abuso; la Corte ritiene che i tribunali
nazionali abbiano esaminato lo stato d’animo del ricorrente durante la
commissione del reato e compiuto un’interpretazione e applicazione del
diritto nazionale pertinente, ragionevole e coerente con l’essenza del reato. Vi è un’opinione parzialmente dissenziente
di due giudici annessa al giudizio. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 16 maggio 2024 (Mikyas e altri c. Belgio) Art. 9 – Inammissibilità per manifesta
infondatezza del ricorso proposto da alcune giovani mussulmane di
cittadinanza belga contro il divieto di indossare il velo negli istituti
scolastici pubblici della comunità fiamminga, in quanto presuntamente lesivo
della libertà religiosa. La Corte nota, infatti, come il divieto sia stato
deciso dalle autorità competenti per dare esecuzione all’Art. 24 § 1 (3)
della Costituzione dello Stato, secondo cui l’educazione deve essere
neutrale, in rapporto alle convinzioni religiose e filosofiche di studenti e
famiglie. La Corte giudica inoltre, a maggioranza, che il concetto di
neutralità del sistema scolastico fiammingo, inteso come divieto generale di
indossare simboli visibili di credo da parte degli alunni, non sia di per sé
in contrasto con l’Art. 9 della Convenzione e con i valori che ne sono alla
base. A questo proposito, osserva che il divieto contestato non si limita al
velo islamico, ma si applica indistintamente a qualsiasi simbolo visibile del
proprio credo, al fine di proteggere gli studenti da ogni forma di pressione
sociale e di proselitismo. Inoltre, le ricorrenti avevano scelto liberamente
di frequentare le scuole del sistema educativo comunitario e non potevano
ignorare che i relativi organi di governo erano tenuti, in base alla
Costituzione, a garantire il rispetto del principio di neutralità. La restrizione contestata può quindi essere
considerata proporzionata agli obiettivi perseguiti, vale a dire la tutela
dei diritti e delle libertà altrui e dell’ordine pubblico, e quindi
"necessaria" "in un contesto democratico". Ne consegue
che i reclami ai sensi dell’articolo 9 della Convenzione sono manifestamente
infondati. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 16 maggio 2024 (Domenjoud c. Francia) Art. 2 P.4, Art. 15, Art. 5 – Violazione
della libertà di circolazione nel caso dell’assegnazione a residenza
preventiva [“assignation à résidence
préventive”] imposta in via amministrativa a due ricorrenti sospettati di
possibili atti di violenza durante il vertice COP 21 di Parigi, nel 2015,
sulla base della legge sullo stato di emergenza dichiarato a seguito degli
attentati terroristici del medesimo anno. La Corte nota, in primo luogo, come
la misura non fosse direttamente connessa alla lotta contro il terrorismo,
ossia la causa di adozione dello stato d’urgenza e dell’attivazione dell’Art.
15 CEDU da parte dello Stato. La misura applicata al primo ricorrente si è
comunque caratterizzata per un generale rispetto del principio di
proporzionalità, viste le sufficienti garanzie procedurali; il sufficiente
collegamento con lo stato di emergenza nelle circostanze molto specifiche del
caso (che vedevano una forte preoccupazione delle autorità per nuovi
turbamenti dell’ordine pubblico a pochi giorni dagli attentati di Parigi); e
viste le motivazioni pertinenti e sufficienti, sorrette da prove concrete
derivanti dalla condotta e dal background
dell’interessato, che indicavano un serio rischio di partecipazione a episodi
di particolare violenza. Per quanto riguarda invece la misura applicata al
secondo ricorrente, la Corte giudica che la sostanza dei suoi diritti
procedurali non sia stata preservata, data l’assenza di una valutazione
individuale e dettagliata del suo comportamento o delle sue azioni, tale da
rendere possibile la concretizzazione del rischio. Sotto il profilo dell’Art. 15 CEDU e sempre
rispetto al secondo ricorrente, la Corte nota come l’assegnazione a residenza
non rientrasse nella lotta al terrorismo e non potesse ritenersi una misura
strettamente richiesta dalla situazione, per cui gli atti dello Stato non
sono da ritenere coperti dalla deroga derivante da un pericolo pubblico che
minacci la vita della nazione, pericolo pur esistente all’epoca dei fatti. Sotto il profilo dell’art. 5 CEDU, la Corte
nota però come l’assegnazione a residenza non possa essere considerata una
privazione della libertà, quanto piuttosto una sua mera restrizione, dato il
combinato disposto di durata, effetti e modalità di esecuzione delle misure. È presente un’opinione dissenziente. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 14 maggio 2024 (Oleg Balan c. Repubblica di Moldavia) Art. 8 – Violazione del diritto alla vita
privata sotto al profilo degli obblighi positivi a causa del rigetto del
ricorso per diffamazione presentato dal ricorrente quando era Ministro
dell’Interno e rivolto contro il leader di un partito politico di opposizione
per le dichiarazioni contenute in un documento pubblicato sulla pagina
Facebook personale di quest’ultimo. La Corte censura il mancato equilibrio
tra i diritti concorrenti di cui agli Artt. 8 e 10 CEDU, in quanto il
convenuto con l’accusa di diffamazione è stato espressamente trattato, senza
spiegazioni, come giornalista investigativo e "persona pubblica" [“public person”] dalle corti nazionali
di vertice, con conseguente applicazione della presunzione di buona fede
applicabile ai giornalisti investigativi ai sensi della giurisprudenza della
Corte EDU. D’altra parte, la Corte rinviene la mancata analisi degli elementi
del fascicolo relativi alla tutela del diritto alla reputazione del
ricorrente. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 23 aprile 2024 (Aydın Sefa Akay c. Turchia) Art. 5 § 1, Art. 8, Art. 15 – Violazione del
diritto a un equo processo secondo una procedura prevista dalla legge nel
caso dell’arresto e della detenzione preventiva di un giudice turco in
servizio presso il Meccanismo internazionale residuale per i tribunali penali
delle Nazioni Unite [“United Nations
International Residual Mechanism for Criminal Tribunals”], nonostante
l’immunità diplomatica conferitagli dallo Statuto del Meccanismo. La Corte, all’unanimità, applica, mutatis mutandis, ai giudici e ai
tribunali internazionali i principi enunciati nella propria giurisprudenza
sull’indipendenza della magistratura interna. Inoltre, censura il ritardo dei
tribunali nazionali nel valutare la rilevanza dell’immunità diplomatica del
ricorrente, evidenziando come questo ritardo sia incompatibile con l’Art. 5 §
1 CEDU e tale da rendere vana qualsiasi protezione spettante in virtù
dell’immunità stessa. L’interpretazione dei tribunali interni in merito
all’immunità non è stata dunque né prevedibile né conforme alle esigenze di
certezza del diritto di cui all’Art. 5 § 1, perché, contrariamente a quanto
dichiarato dalla Corte costituzionale turca, i giudici dei tribunali
internazionali non sono rappresentanti di uno Stato membro presso un organo
delle Nazioni Unite e il ricorrente godeva della piena immunità diplomatica,
compresa l’inviolabilità personale e l’impossibilità di essere sottoposto a
qualsiasi forma di arresto o detenzione per tutta la durata del suo mandato.
La Corte ricorda come lo scopo ultimo dei privilegi e dell’immunità è quello
di proteggere l’indipendenza dei giudici, e quindi del Tribunale del
Meccanismo ONU, nei confronti di qualsiasi Stato. La Corte rinviene una violazione dell’Art. 8
CEDU a causa delle perquisizioni della persona e del domicilio del ricorrente
non "previste dalla legge", perché il luogo di residenza del
ricorrente era da considerare ai fini in questione analogo a quello di un
ufficio, dato che egli lavorava per il Meccanismo ONU a distanza, appunto
dalla sua residenza presso il suo paese d’origine. La residenza era dunque
soggetta a una protezione rafforzata simile a quella concessa dalla
giurisprudenza della Corte ex Art. 8 alle perquisizioni presso lo studio di
un avvocato. I tribunali nazionali non hanno esaminato questo aspetto
dell’immunità del ricorrente, mentre alcuni oggetti sequestrati sono stati
successivamente utilizzati nel procedimento penale a suo carico. D’altra
parte, non vi è stata nessuna revoca dell’immunità da parte del Segretario
Generale dell’ONU né consenso a posteriori da parte dell’ONU o del
ricorrente. La Corte non ritiene potersi fare
applicazione della deroga ex Art. 15 CEDU invocata dalla Turchia, pur
concedendo che il Paese si trovava allora in uno stato di emergenza
minacciante la vita della nazione. Infatti, la presunta deroga (in realtà da
considerare una violazione) dell’Art. 5 § 1 e dell’Art. 8 CEDU è avvenuta
tramite misure incompatibili con gli "altri obblighi derivanti dal
diritto internazionale" gravanti sullo Stato convenuto, citati come
requisito dallo stesso Art. 15 e per la prima volta utilizzati dalla Corte
per escludere l’applicabilità dell’Articolo. Inoltre la Corte giudica che,
almeno per l’Art. 5, le misure derogatorie abbiano ecceduto il limite di
stretta proporzionalità gravante sullo Stato ex Art. 15. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 23 aprile 2024 (Zăicescu e Fălticineanu c. Romania) Art. 8 (+Art. 14), Art. 34 – Violazione
dell’Art. 8, insieme all’Art. 14 CEDU, a causa della discriminazione subita
dai ricorrenti nel loro diritto alla vita privata, a causa dell’assoluzione,
negli anni ‘90, di due alti ufficiali militari precedentemente condannati
negli anni ‘50 per reati connessi all’Olocausto, nell’ambito di un
procedimento d’appello straordinario non comunicato ai ricorrenti, che sono
stati essi stessi vittime dell’Olocausto. I risultati e il contesto del
procedimento sono ritenuti per la Corte essere stati in grado di incidere
sufficientemente sul senso di identità e di autostima dei ricorrenti,
causando una sofferenza emotiva che raggiunge il "livello certo" o
la "soglia di gravità" richiesti [“certain level” e “threshold
of severity”]. L’applicabilità dell’art. 8 discende dai principi
sviluppati nella giurisprudenza in materia di dichiarazioni antisemite o di
negazione dell’Olocausto, applicabili nel caso di specie, data anche la
presenza di standard comuni a livello europeo ed internazionale. I
procedimenti penali contro i responsabili dei crimini antisemiti riguardavano
inoltre una questione di estremo interesse pubblico. La Corte nota anche come
nonostante la conservazione dei fascicoli relativi alle condanne iniziali e
ai nuovi procedimenti da parte dei servizi segreti, vi sia stato però un
rifiuto iniziale di consentire ai ricorrenti l’accesso ai fascicoli, senza
una ragionevole giustificazione e a fronte della mancata divulgazione delle
sentenze di assoluzione intercorse negli anni ‘90 e delle loro motivazioni,
senza considerare che questa scelta avrebbe potuto provocare nei ricorrenti
sentimenti di umiliazione e vulnerabilità e causare loro un trauma
psicologico. La Corte rimprovera inoltre alle autorità nazionali di non aver
addotto motivazioni pertinenti e sufficienti per azioni che hanno portato
alla revisione di condanne storiche, in assenza di nuove prove,
reinterpretando fatti storicamente accertati e negando la responsabilità di
funzionari statali per l’Olocausto, in contrasto con i principi del diritto
internazionale. Le azioni delle autorità sono dunque eccessive e non possono
essere giustificate come "necessarie in una società democratica". Per quanto riguarda lo status di vittima, la
Corte ritine non sia necessario stabilire un collegamento diretto tra gli
atti commessi dai due ufficiali militari e i ricorrenti, in quanto i crimini
in questione erano diretti contro un intero gruppo di persone e la
persecuzione comunque sofferta dai ricorrenti portava questi a poter
fondatamente affermare di aver sofferto personalmente di un disagio emotivo
quando hanno scoperto la riapertura del procedimento penale e le successive
assoluzioni, con la conseguenza che i ricorrenti possono essere visti come
aventi un interesse personale nel procedimento volto a stabilire la
responsabilità di alti membri delle forze armate dell’Olocausto in Romania. La Corte ha invece ritenuto, a maggioranza,
inammissibili i ricorsi sollevati ai sensi dell’Art. 3 in combinato disposto
con l’Art. 14 CEDU. I maltrattamenti subiti dai ricorrenti sono infatti
avvenuti nove anni prima dell’esistenza della Convenzione e 50 anni prima
della sua firma da parte della Romania. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 18 aprile 2024 (Leroy e Altri c. Francia) Art. 35, Art. 3 – La Corte rileva anzitutto,
ai fini della valutazione sull’ammissibilità del ricorso, come sussistesse un
rimedio interno potenzialmente efficace e dunque da utilizzarsi per tentare
di porre fine a condizioni di detenzione indecorose verificatesi a seguito di
una protesta in prigione [“mouvement
social en prison”]. In specie, si sarebbe trattato di una situazione
legata a un evento unico di natura temporanea ed eccezionale, e il giudice
dell’esecuzione provvisoria sarebbe stato in grado di ordinare misure urgenti
suscettibili di essere attuate rapidamente e di produrre effetti in un breve
lasso di tempo, contrariamente a quanto accaduto nel caso J.M.B. e altri c. Francia. Si
riscontra dunque il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne da parte
di otto ricorrenti. La Corte non rinviene inoltre alcuna
violazione dell’Art. 3 CEDU sotto al profilo materiale a fronte
dell’intervento di squadre esterne mascherate per rafforzare la sicurezza del
carcere durante la protesta e delle perquisizioni con palpazione effettuate
al termine dell’azione su un ricorrente, in quanto tali elementi non hanno
raggiunto la soglia di gravità fissata perché un trattamento sia
qualificabile come inumano o degradante. Invece, la Corte rinviene una violazione
dell’Art 3 CEDU sotto al profilo materiale dei trattamenti degradanti a causa
delle condizioni di detenzione indegne subite da due ricorrenti durante la
protesta. Non si riscontra d’altra parte una
violazione dell’Art. 13 CEDU, visto che non si può negare l’efficacia del
rimedio offerto dall’ordinamento interno per rimediare alle cattive
condizioni di detenzione. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Grande
Camera) 9 aprile 2024 (Duarte Agostinho e Altri c. Portogallo e 32 Altri Stati) Art. 1, Art. 2, Art. 8, Art. 34 e Art. 35. –
Inammissibilità del ricorso di sei giovani cittadini portoghesi contro il
Portogallo e altri 32 Stati per le responsabilità di tali Stati rispetto alla
crisi climatica e ai danni che ne deriveranno ai giovani ricorrenti e alla
loro generazione. Per quanto riguarda la pretesa giurisdizione
extraterritoriale degli Stati convenuti diversi dal Portogallo, la Corte
ritiene che non vi siano motivi nella Convenzione per una simile estensione
tramite interpretazione giudiziaria, dovendosi perciò reputare inammissibili
i ricorsi secondo l’Art. 35 CEDU §3 e 4. Per quanto riguarda invece il ricorso contro
il solo Portogallo, considerato che i ricorrenti non hanno intrapreso alcuna
azione legale nel loro Stato d’appartenenza, il ricorso dei ricorrenti è
dichiarato irricevibile per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne
ex Art. 35 §1. Con riguardo poi allo status di vittima, la
Corte riscontra una mancanza di chiarezza in merito alla possibilità di
attribuire tale status ai ricorrenti, incertezza che ricollega al mancato
esaurimento delle vie di ricorso interne. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Grande
Camera) 9 aprile 2024 (Carême c. Francia) Art. 2, Art. 8, Art. 34 e Art. 35 –
Inammissibilità del ricorso dell’ex sindaco del comune francese di
Grande-Synthe, in un caso in cui il ricorrente sosteneva che la Francia non
avesse adottato misure sufficienti per prevenire il cambiamento climatico e
che questa mancanza avesse comportato una violazione dei suoi diritti alla
vita e al rispetto della vita privata e famigliare e del domicilio. La Corte
ritiene che il ricorrente non abbia attualmente legami rilevanti con
Grande-Synthe ne risieda più lì o altrove in Francia, essendosi trasferito a
Bruxelles dal 2019 in quanto parlamentare europeo. Pur ammettendo in principio la rilevanza
del caso alla luce degli Artt. 2 e 8 della CEDU, per come interpretati nel
caso Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e
Altri [CG], la Corte ritiene dunque che nel caso di specie il ricorrente
non possa rivendicare lo status di vittima ai sensi dell’articolo 34 della
Convenzione. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Grande
Camera) 9 aprile 2024 (Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e Altri c Svizzera) Art.
6 § 1, Art. 8, Art. 34, Art. 46 – Violazione dei diritti al rispetto
della vita privata e famigliare e di accesso a un tribunale a causa delle
inadempienze dello Stato Svizzero nella risposta alla crisi climatica. La
Corte, ritiene in primo luogo che si debbano applicare criteri distinti per
stabilire da un parte lo status di vittima dei singoli individui ricorrenti
e, dall’altra parte, la legittimazione – il locus standi o la rappresentanza [representation] - delle associazioni portatrici d’interessi nel
contesto del cambiamento climatico, alla luce della necessità di un’efficace
tutela dei diritti della Convenzione che tenga conto delle caratteristiche
peculiari del fenomeno senza pregiudicare l’esclusione dell’actio popularis dal sistema della
Convenzione. La Corte giudica che nel caso in oggetto i criteri dello status
di vittima non siano soddisfatti dai singoli richiedenti (incompatibilità ratione personae), mentre
l’associazione richiedente soddisfa i criteri pertinenti (locus standi) e quindi sia legittimata
ad agire per conto dei suoi membri, anche alla luce dell’importanza
dell’azione collettiva e della condivisione degli oneri intergenerazionali
nel contesto del cambiamento climatico. Nel merito, la Corte rinviene una
violazione degli obblighi positivi collegati al diritto alla vita privata e
familiare, derivante dal mancato rispetto da parte dello Stato convenuto
dell’obbligo positivo di attuare misure sufficienti per combattere il
cambiamento climatico. L’applicabilità dell’art. 8 viene affermata in ragione
della possibilità di desumere da tale articolo un diritto degli individui a
una protezione effettiva da parte delle autorità statali contro i gravi
effetti negativi del cambiamento climatico sulla loro vita, salute, benessere
e qualità della vita, con la necessità di sviluppare un approccio più
appropriato e personalizzato per quanto riguarda le varie questioni che
emergono nel contesto del cambiamento climatico non affrontate dalla
giurisprudenza ambientale oggi esistente. Tenendo conto degli effetti futuri dei
cambiamenti climatici, la Corte compie una enumerazione dei requisiti che le
autorità competenti devono tenere in debita considerazione, tra cui vi sono
la necessità di garanzie procedurali nazionali e di misure di mitigazione da
integrare con misure di adattamento volte ad alleviare le conseguenze più
gravi o imminenti dei cambiamenti climatici. Si rileva d’altra parte
l’esistenza di lacune critiche nel processo di attuazione del quadro
normativo nazionale da parte delle autorità svizzere, come il non aver
quantificato, attraverso un bilancio sul carbonio o in altro modo, le
limitazioni nazionali delle emissioni di gas serra e il non aver agito in
tempo utile e in modo appropriato e coerente per quanto riguarda l’elaborazione,
lo sviluppo e l’attuazione del quadro legislativo e amministrativo
pertinente, superando con ciò l’ampio margine di apprezzamento dello Stato. La Corte riscontra anche una violazione del
diritto di accesso a un tribunale, per la mancata volontà delle corti
nazionali di esaminare a fondo le azioni intentate dall’associazione
ricorrente. La Corte rileva in particolare l’assenza di motivi convincenti
per il mancato esame nel merito della questione, così come il non aver le
corti nazionali preso in considerazione le convincenti prove scientifiche
relative al cambiamento climatico né esaminato la legittimazione giuridica [legal
standing] dell’associazione ricorrente. Per la Corte
EDU rileva anche la mancanza di altre vie legali o garanzie, così che
l’essenza stessa del diritto di accesso a un tribunale sarebbe stata
compromessa. La Corte sottolinea infatti il ruolo chiave spettante ai
tribunali nazionali nelle controversie relative al cambiamento climatico e
l’importanza dell’accesso alla giustizia in questo campo. Sotto al profilo dell’esecuzione della
sentenza e delle misure generali da applicare, la Corte ritiene che lo Stato
convenuto debba valutare le misure specifiche da adottare con l’assistenza
del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 9 aprile 2024 (Georgia c. Russia) Art. 33, Art. 2, Art. 3, 5 § 1, Art. 2 P.4 e
Art. 2 P.1 – Si tratta di un ricorso interstatale riguardante le pratiche
amministrative della Russia che derivano dalla c.d. “confinizzazione” [“borderisation”] tra le regioni
secessioniste dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud e il territorio
controllato dal governo georgiano e che hanno comportato molteplici
violazioni della Convenzione lungo i territori della linea di confine
amministrativa [“administrative
boundary line” (ABL)]. La Corte rinviene una violazione dell’Art. 2
sotto i profili sostanziale e procedurale a causa della pratica
amministrativa di usare la forza letale, pur non "assolutamente
necessaria", contro civili di etnia georgiana che tentavano di entrare o
uscire dall’Abkhazia o dall’Ossezia del Sud. Le condizioni per l’esame ai
sensi dell’Art. 2 CEDU sono state soddisfatte in relazione alle vittime
sopravvissute e le responsabilità dello Stato convenuto sono da confermare
anche per la morte di civili di etnia georgiana che tentavano di attraversare
la linea di confine amministrativa attraverso percorsi alternativi di per sé
pericolosi e sempre a causa di restrizioni illegali alla libertà di movimento
imposte dalle autorità de facto dell’Abkhazia o dell’Ossezia del Sud. La Corte rinviene una violazione dell’Art. 3
CEDU sotto i profili sostanziale e procedurale a causa dei trattamenti
inumani e degradanti determinati dalla prassi amministrativa relativa alle
condizioni di detenzione di cittadini di etnia georgiana e a causa dei
maltrattamenti subiti durante la detenzione in Abkhazia e in Ossezia del Sud,
a fronte della totale assenza di indagini interne al riguardo. La Corte rinviene inoltre una violazione
dell’Art. 5 § 1 CEDU a causa dell’arresto e della detenzione illegali di
cittadini di etnia georgiana in Abkhazia e Ossezia del Sud per aver
"attraversato illegalmente" la linea di confine con le regioni
separatiste. La Corte richiama al riguardo quanto statuito nella causa Mamasakhlisi e altri c. Georgia e Russia
relativamente alle autorità e ai tribunali di fatto dell’Abkhazia, in quanto
applicabile a entrambe le regioni separatiste. La Corte rinviene una violazione dell’Art 2
P.4 a causa della pratica amministrativa di limitare illegalmente la libertà
di movimento dell’etnia georgiana tra la Georgia e l’Abkhazia e l’Ossezia del
Sud a seguito della trasformazione de facto dell’ABL in confini di Stato. Una violazione dell’Art 8 per quanto
concerne il diritto alla vita familiare e alla casa, come anche dell’Art 1
P.1 quanto al godimento pacifico dei propri beni è stata inoltre determinata
dalla pratica amministrativa di limitare illegalmente l’accesso dei cittadini
di etnia georgiana alle loro case, terreni e altre proprietà, nonché ai
cimiteri in Abkhazia e nell’Ossezia del Sud. Infine, la Corte riscontra una violazione
dell’Art. 2 P.1, ossia del diritto all’istruzione, a causa della prassi
amministrativa consistente nel negare il diritto all’istruzione in lingua
georgiana ai cittadini di etnia georgiana che vivono in Abkhazia e in Ossezia
del Sud, regioni riconosciute dalla stragrande maggioranza della comunità
internazionale come parte integrante della Georgia; il georgiano è quindi
considerato una delle lingue ufficiali in entrambe. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 4 aprile 2024 (Zöldi c. Ungheria) Art. 10 – Violazione della libertà di
ricevere e comunicare informazioni a causa del rifiuto di una richiesta
avanzata in tal senso da parte di una giornalista, che indagava sull’identità
dei beneficiari di sovvenzioni di due fondazioni create dalla Banca nazionale
ungherese. Secondo la Corte vi sarebbe stato un interesse pubblico
significativo all’aver accesso ai dati richiesti, mentre l’interesse alla
protezione dei nomi dei beneficiari delle sovvenzioni non sarebbe stato di
natura e grado tali da giustificare l’applicazione dell’Art. 8 CEDU e la sua
prevalenza rispetto ai diritti del richiedente di cui all’Art. 10. La Corte
nota anche che l’assenza di una disposizione di legge che consenta la
divulgazione dell’identità dei beneficiari di sovvenzioni in Ungheria
impedisce alle autorità nazionali di effettuare una ponderazione tra i due
diritti in gioco. Vi sarebbe dunque una mancanza di motivi sufficienti per
giustificare la necessità dell’ingerenza e un mancato raggiungimento di un
giusto equilibrio tra gli interessi concorrenti in gioco. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 4 aprile 2024 (Tamazount e Altri c. Francia) Art. 6 § 1, Art. 3, Art. 8 e Art. 1 P.1 –
Mancata violazione del diritto di accesso a un tribunale in conseguenza della
dichiarazione d’incompetenza del Conseil
d’État francese, sulla base della dottrina degli atti di governo [“actes de gouvernement”], rispetto alle
domande di risarcimento presentate dai c.d. “figli degli harkis”, per
responsabilità con colpa dello Stato francese [“faute de l’État”], derivante dall’assenza di protezione delle
famiglie dei propri ex ausiliari e collaboratori algerini al momento
dell’indipendenza del Paese e a seguito del loro rimpatrio sistematico in
Francia. La Corte ritiene l’Art. 6 § 1 applicabile nel suo aspetto civile, ma
ritiene che non via sia nessun motivo per sostituire la propria valutazione a
quella del Conseil d’État
relativamente all’interpretazione del diritto interno, né per ritenere la
posizione del giudice nazionale arbitraria o manifestamente irragionevole. Vi
sarebbe stato d’altra parte un rimedio giuridico alternativo a disposizione
dei ricorrenti, basato sulla responsabilità oggettiva dello Stato [“responsabilité sans faute de l’État”]. La Corte ritiene però vi sia stata una
violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti e del diritto alla
vita privata e al rispetto della proprietà, a causa delle condizioni di vita
di alcuni ricorrenti in un campo di accoglienza per harkis in Francia, incompatibili con il rispetto della dignità
umana e accompagnate da violazioni delle libertà individuali. La Corte
ritiene che l’importo del risarcimento concesso al riguardo ai ricorrenti
dalle autorità nazionali sita stato inadeguato e insufficiente a riparare le
violazioni da essi constatate. I ricorrenti mantengono inoltre lo status di
vittima ai sensi dell’Art. 34 CEDU, mentre la competenza ratione temporis della Corte è statuita partire dal 3 maggio
1974, data di entrata in vigore della Convenzione e del Protocollo n. 1 per
la Francia, e fino al 31 dicembre 1975, data della fine della permanenza nel
campo dei ricorrenti. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 26 marzo 2024 (Kartal c. Turchia) Art. 6 § 1 – Violazione del diritto di
accesso a un tribunale a causa della mancanza di controllo giurisdizionale
sulla cessazione prematura ed ex lege,
dopo una riforma legislativa del 2014, del mandato di un giudice allora in
servizio in qualità di vicepresidente della Commissione d’ispezione del
Consiglio superiore dei giudici e dei pubblici ministeri turco. La Corte
ritiene l’Art. 6 CEDU applicabile, trattandosi di una controversia reale e
seria su di un diritto civile [“civil
right”] riconosciuto dall’ordinamento nazionale e idoneo ad essere fatto
valere in tribunale, ossia il diritto a non subire una cessazione arbitraria
del mandato. La Corte ritiene non soddisfatta la seconda condizione del test
di Eskelinen, poiché l’esclusione
del ricorrente dall’accesso a un tribunale non è stata giustificata da
ragioni oggettive nell’interesse dello Stato, mentre la cessazione ex lege non è compatibile con uno
Stato di diritto e potrebbe minacciare l’indipendenza del potere giudiziario.
Vi è inoltre un’assenza di ragioni importanti che giustifichino
eccezionalmente la mancanza di un controllo giurisdizionale, con conseguente
lesione dell’essenza stessa del diritto di accesso a un tribunale. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 21 marzo 2024 (Sieć Obywatelska Watchdog c. Polonia) Art. 10 – Violazione della libertà di
ricevere e comunicare informazioni a causa del rifiuto di concedere alla ONG
ricorrente l’accesso all’agenda delle riunioni avute dai giudici della Corte
costituzionale nell’esercizio delle loro funzioni. Per la Corte, si tratta
infatti d’informazioni necessarie per l’esercizio del diritto alla libertà di
espressione e richieste nell’interesse pubblico, dato il contesto politico
polacco del momento. Inoltre, la Corte riscontra una mancata valutazione
individuale degli interessi in gioco da parte delle corti nazionali e una
mancata dimostrazione che il rifiuto perseguisse uno scopo legittimo o
“necessario in una società democratica”. D’altra parte, il parallelo rifiuto
di accedere ai registri di tutte le persone che sono entrate o uscite
dall’edificio della Corte costituzionale durante un certo periodo di tempo
non ha costituito un’interferenza, in quanto le informazioni in questione non
sono considerabili come “pronte e accessibili” [“ready and accessible”]. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 19 marzo 2024 (Parıldak c. Turchia) Art. 5 §1, lett. c), §3 e §4, Art. 10 e Art.
15 – Violazione del diritto alla libertà e alla sicurezza a causa della
detenzione cautelare [“détention
provisoire”] illegittima di una giornalista. Violazione del diritto di
cui all’Art. 5 CEDU determinata dalla mancanza di motivi plausibili per
sospettare la ricorrente di aver commesso il presunto reato di appartenenza a
un’organizzazione terroristica e dall’interpretazione e applicazione
irragionevoli delle disposizioni legali pertinenti. Rispetto alla deroga alla Convenzione
vigente al momento della violazione, la Corte ritiene che nessuna misura
derogatoria fosse concretamente applicabile alla situazione della ricorrente, in quanto l’articolo del codice di procedura penale
turco pertinente non è mai stato oggetto di deroga. Ricollegandosi alla propria giurisprudenza,
la Corte ritiene invece che non vi sia una violazione del diritto di habeas corpus di cui all’Art. 5 §4
CEDU in conseguenza dei tempi di riesame della legalità della custodia
cautelare da parte della Corte costituzionale durante lo stato di emergenza
turco (pari a sette mesi). Tali tempi rispettano il requisito del controllo
“rapido” richiesto dalla disposizione CEDU [“contrôle à «bref délai»”], tenuto conto delle circostanze di
fatto che la Corte costituzionale ha dovuto affrontare. Infine, la Corte ritiene che, sotto il
profilo della violazione della libertà d’espressione, l’irregolarità della
detenzione si ripercuota sulla legalità stessa dell’interferenza col diritto
convenzionale. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 12 marzo 2024 (Kanatlı c. Turchia) Art. 9 – Violazione della libertà di
coscienza in conseguenza della condanna del ricorrente, che si dichiara
obiettore di coscienza, a causa del suo rifiuto di prestare servizio nella
riserva nell’ambito dei suoi obblighi militari. La Corte applica l’articolo
9, in quanto il pacifismo può essere considerato come una convinzione
protetta dall’articolo 9 CEDU, mentre riscontra l’assenza nel diritto interno
di un servizio alternativo e di una procedura accessibile ed efficace in
relazione al diritto all’obiezione di coscienza. Vi sarebbe perciò stato un
mancato equilibrio tra gli interessi della società nel suo complesso e quelli
degli obiettori di coscienza. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 20 febbraio 2024 (Wa Baile c. Svizzera) Art. 14, Art. 8 e Art. 13 – Violazione del
divieto di discriminazione sotto il profilo procedurale a causa della mancata
indagine da parte dei tribunali nazionali svizzeri sul possibile ruolo avuto
da motivi discriminatori nei controlli d’identità effettuati alla stazione
ferroviaria di Zurigo su di un uomo dalla pelle scura che ha denunciato una
profilazione razziale nei suoi confronti [“profilage racial”]. La Corte ritiene applicabile l’Art. 14 in
congiunzione con l’Art. 8 CEDU, dal momento che è stata raggiunta la soglia
di gravità necessaria perché si rientri nell’ambito della tutela del diritto
al rispetto della vita privata. La Corte ritiene che il Governo svizzero non
sia stato in grado di confutare la presunzione di trattamento discriminatorio
durante il controllo d’identità, dovendosi invece tener conto anche dei
rapporti internazionali sulle tecniche di profiling
razziale da parte della polizia elvetica, confermati dalle parti intervenute,
che rafforzano la presunzione di una discriminazione basata sul colore della
pelle ai danni del ricorrente. Si riscontra inoltre la mancanza di un rimedio
interno effettivo ai sensi dell’Art. 13 CEDU. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 20 febbraio 2024 (Dede c. Turchia) Art. 10 – Violazione della libertà di
espressione, per quanto attiene al profilo degli obblighi positivi, in
conseguenza del licenziamento di un dipendente di una banca turca, soggetto
alle norme di diritto privato dell’epoca, per aver inviato un’e-mail interna
dal suo profilo di posta elettronica di lavoro ai collaboratori del
dipartimento delle risorse umane, criticando i metodi di gestione
dell’azionista principale. Sebbene la mail contestata fosse stata ritenuta
idonea a turbare la tranquillità del luogo di lavoro, la Corte rinviene la
mancanza di un esame sufficientemente approfondito, da parte dei giudici
nazionali, dei criteri stabiliti dalla giurisprudenza della stessa Corte EDU,
in specie per quanto riguarda la non pertinenza e sufficienza della motivazione
e la mancanza di un giusto equilibrio tra il diritto alla libertà di
espressione del ricorrente e il diritto del suo datore di lavoro di tutelare
i propri legittimi interessi. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 20 febbraio 2024 (Danileţ c. Romania) Art. 10 –
Violazione della libertà di espressione nel caso della sanzione
disciplinare inflitta dal Consiglio Superiore della Magistratura rumeno [“Consiliul Superior al Magistraturii” –
CSM] a un giudice per aver pubblicato due messaggi sulla sua pagina Facebook,
in quanto le decisioni dei giudici nazionali sono state pronunciate in
assenza di una ponderazione degli interessi in gioco secondo i criteri
stabiliti dalla giurisprudenza della stessa Corte EDU. In specie, l’esistenza
di un attentato alla dignità e all’onore della professione giudiziaria non è
stata sufficientemente provata. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 15 febbraio 2024 (Jarre c. Francia) Art. 1 P.1 e Art. 6 § 1 – Mancata violazione del diritto di proprietà
e del diritto accesso a un tribunale in conseguenza del rifiuto di
riconoscere la quota di riserva [“part
réservataire”] dei ricorrenti rispetto all’eredità del padre, regolata
dalla legge californiana, e da cui erano stati esclusi per effetto di un trust costituito negli Stati
Uniti. La Corte ritiene applicabile al
caso di specie l’Art. 1 del P.1 ma ritiene sia stata assicurata la
proporzionalità nell’applicazione immediata da parte dei giudici nazionali
dell’abrogazione da parte del Consiglio costituzionale della disposizione
legislativa che conferiva agli eredi francesi, esclusi da un’eredità
disciplinata da una legge straniera, il diritto a un prelievo compensativo
sull’eredità situata in Francia. La Corte valorizza il fatto che si sia
trattato di un abrogazione per motivi d’interesse pubblico e che la mancata
applicazione da parte dei giudici nazionali investiti della controversia
della disposizione abrogata per incostituzionalità sia dipesa dall’effetto
vincolante della decisione del Consiglio costituzionale, nel caso di specie
di doverosa applicazione anche ai giudizi pendenti, mentre non è stata
attivata l’eccezione collegata al concetto dell’ordine pubblico
internazionale francese da parte dei giudici nazionali. La Corte giudica
dunque che si sia trattato di decisioni non arbitrarie che hanno applicato il
diritto vigente, nel rispetto della libertà testamentaria del defunto e senza
che vi fosse un intento fraudolento o un vizio di validità del trust secondo il diritto californiano. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 15 febbraio 2024 (Škoberne c. Slovenia) Art. 6 § 1, Art 6 § 3 e Art. 8 – Violazione
del diritto a un equo processo determinata dal rifiuto da parte del giudice a quo della richiesta del ricorrente
di esaminare due coimputati come testimoni dopo la loro ammissione di
colpevolezza. La richiesta di esame dei coimputati poteva essere considerata
in grado di influenzare l’esito del processo o di rafforzare la posizione della
difesa, mentre il ricorrente è stato privato dell’opportunità di produrre
efficacemente, e quindi di avvalersi, delle prove testimoniali. La Corte
giudica che i tribunali nazionali non abbiano motivato sufficientemente il
rifiuto né colmato le lacune che ne sono derivate. Nel caso in oggetto, la Corte rinviene anche
una violazione del diritto alla vita privata, sub specie di diritto alla
segretezza della corrispondenza, in quanto i dati delle comunicazioni del
richiedente (dati sul traffico telefonico e sull’ubicazione del soggetto)
sono stati conservati dai fornitori di telecomunicazioni per un periodo
legale di 14 mesi per diverse finalità di interesse pubblico, ai sensi della
legge slovena del tempo. La Corte sanziona un abuso da parte delle autorità
di quella che definisce come una vera e propria sorveglianza sistemica, che
comportava la conservazione obbligatoria e indiscriminata dei dati delle
telecomunicazioni e che deve ritenersi costituire un ostacolo al godimento
del diritto alla vita privata di tutti gli utenti dei servizi coinvolti. Per
la Corte, l’ingerenza costituita dalla conservazione dei dati è di natura
grave e richiede un esame più rigoroso da parte del giudice convenzionale nel
valutare la questione dell’equo bilanciamento operato dallo Stato. I giudici
di Strasburgo sottolineano in particolare l’assenza di disposizioni o
meccanismi volti a garantire che la misura che imponeva la conservazione
fosse limitata a quanto "necessario in una società democratica" e
per conseguire gli scopi specifici elencati nel diritto interno pertinente.
Invece, i dati del ricorrente sono stati conservati in modo sistematico,
generale e indiscriminato, dunque secondo un regime inconciliabile con gli
obblighi dello Stato di cui all’art. 8 CEDU. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 15 febbraio 2024 (U. c. Francia) Art. 3 – Mancata violazione del divieto di
trattamenti inumani e degradanti a causa dell’esecuzione del provvedimento di
allontanamento di un cittadino russo di origine cecena verso la Federazione
Russa, alla luce della situazione generale attuale in Cecenia. La Corte considera la valutazione a suo
tempo effettuata da parte delle autorità della situazione personale del
richiedente alla luce del rischio presunto e compie essa stessa un nuovo
esame del rischio per il richiedente, il quale però non avrebbe dimostrato
l’esistenza di motivi seri e comprovati per ritenere che esista un pericolo
reale e attuale di subire un trattamento contrario all’articolo 3 in caso di
allontanamento. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 13 febbraio 2024 (Executief van de Moslims van België e Altri c. Belgio) Art. 9 e Art. 14 – Mancata violazione della
libertà di religione e del diritto alla sua manifestazione pubblica da parte
dei decreti delle Regioni fiamminga e vallona che vietano la macellazione di
animali senza previo stordimento, pur prevedendo uno stordimento reversibile
per la macellazione rituale. La Corte si pronuncia nel senso di ritenere
l’Art. 9 applicabile e, per la prima volta, giudica su di un bilanciamento
tra la libertà di religione e il benessere degli animali. La Corte opera
inoltre una distinzione tra la causa in oggetto e la precedente Cha’are Shalom Ve Tsedek c. Francia
[GC] e ricorda come la Convenzione non possa essere intesa come tutelante il
benessere degli animali in quanto tale, a differenza del diritto dell’UE. La
protezione del benessere degli animali viene però collegata per la prima
volta all’obiettivo legittimo di tutelare la “morale pubblica” [“morale
publique”]. Pur in assenza di un chiaro consenso
all’interno degli Stati membri, la Corte riscontra comunque la tendenza
graduale verso una maggiore protezione del benessere degli animali. In un
settore dove gli Stati godono di un non ristretto margine di apprezzamento,
la Corte ritiene che vi sia già stata una presa in considerazione delle
esigenze dell’articolo 9 nell’ambito del bilanciamento [“arbitrage”] effettuato dal legislatore e nel doppio controllo
giurisdizionale della CGUE e della Corte costituzionale belga. La misura è
dunque ritenuta proporzionata all’obiettivo perseguito. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 13 febbraio 2024 (Jann-Zwicker e Jann c. Svizzera) Art. 6 § 1 – Violazione del diritto di
accesso a un tribunale in un tempo ragionevole in ambito civile a causa
dell’intervenuta prescrizione della domanda di risarcimento dei danni da
amianto in conseguenza della presa di posizione, da parte dei giudici nazionali,
nel senso che il termine di prescrizione assoluta di dieci anni decorresse
dal momento dell’atto dannoso, e non dal momento in cui il ricorrente era
venuto a conoscenza del danno subito. La Corte giudica che nel calcolo del
termine di prescrizione si debba invece tenere conto dell’impossibilità
scientificamente provata per una persona di sapere di essere affetta da una
determinata malattia, anche considerando i lunghi periodi di latenza tra
l’esposizione all’amianto e la manifestazione del mesotelioma causato dalla
sostanza. Nelle circostanze eccezionali relative alle vittime
dell’esposizione all’amianto, il modo in cui è stato determinato il dies a quo rispetto al decorso del
termine assoluto di prescrizione ha limitato il diritto dei ricorrenti a
vedere il proprio caso esaminato in un tribunale, fino a comprometterne
l’essenza stessa. Il margine di apprezzamento è stato dunque oltrepassato e
la Corte non rinviene nessuna ragione per discostarsi dal ragionamento della
Corte nella precedente causa Howald
Moor e altri c. Svizzera. La Corte giudica inoltre eccessiva la durata
del procedimento dinanzi al Tribunale federale elvetico, a causa della
sospensione del giudizio per oltre quattro anni e mezzo. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 8 febbraio 2024 (Auray e Altri c. Francia) Art. 5 §1 (Ratione materiae),
Art 2 P.4, Art. 10 e Art 11 – Nel caso dell’accerchiamento dei ricorrenti da
parte delle forze dell’ordine per diverse ore a margine di una manifestazione
e in un contesto di violenza urbana, la Corte giudica che l’avvenuta
limitazione della libertà personale non costituisca, tenuto conto della sua
natura e del modo in cui è stata effettuata, una "privazione della
libertà" ex Art 5 CEDU, nonostante la sua durata e i suoi effetti sui
ricorrenti. Tuttavia, la Corte rinviene una violazione
della libertà di circolazione e delle libertà di riunione e di espressione, a
danno dei ricorrenti, confinati a seguito dell’accerchiamento e
impossibilitati a partecipare alla manifestazione. In specie, la Corte
ritiene che il ricorso alla tecnica dell’accerchiamento [“kettling”] di cui si discute non fosse
“previsto dalla legge” all’epoca dei fatti contestati, in assenza di un testo
destinato alle forze dell’ordine che lo menzionasse. Il regime giuridico
generale relativo al mantenimento dell’ordine pubblico in vigore all’epoca
non definiva dunque un quadro sufficientemente preciso da costituire una
garanzia contro il rischio di misure arbitrarie. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 23 gennaio 2024 (O.G. e Altri c. Grecia) Art. 8 – Violazione del diritto alla tutela
della vita privata causata dal prelievo di sangue condotto dalle autorità greche, in
una stazione di polizia e senza previo consenso, su donne sospettate di
compiere atti di prostituzione. La Corte rileva essersi trattato di
un’interferenza non prevista dalla legge e condanna altresì la successiva
decisione del pubblico ministero greco di rendere pubblici dati medici
altamente sensibili delle persone sieropositive interessate dal controllo,
insieme alla loro identità e alle loro fotografie e al motivo del
procedimento penale avviato nei loro confronti. La diffusione dei dati,
caricati sul sito web della polizia e successivamente diffusi dai media, ha
concorso a determinare un’interferenza
non sufficientemente giustificata e sproporzionata. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 18 gennaio 2024 (Allée c. Francia) Art. 10 – Violazione della libertà di
espressione a causa della condanna penale della ricorrente per pubblica
diffamazione [“diffamation publique”],
a seguito di accuse di molestie e di aggressioni sessuali rivolte al
vicepresidente esecutivo dell’associazione nella quale era impiegata, accuse
inviate per posta elettronica a sei persone. La Corte condanna l’approccio
eccessivamente restrittivo dei giudici nazionali, che hanno riconosciuto il
carattere pubblico dell’e-mail ai sensi della legge dello Stato, senza
considerare invece la necessità, alla luce dell’Art. 10 CEDU, di fornire una
tutela adeguata alle persone che denunciano atti di molestie psicologiche o
sessuali di cui si considerano vittime. I giudici nazionali, rifiutando di
adattare alle circostanze del caso la nozione di base “fattuale sufficiente”
[“base factuelle suffisante”] e i
criteri di buona fede, hanno imposto un onere della prova eccessivo alla
ricorrente, pur avendo avute le sei mail inviate degli effetti limitati sulla
reputazione del presunto aggressore. La Corte nota poi come, pur essendo
stata la sanzione di entità modesta, la condanna penale abbia un inevitabile
effetto deterrente e ciò determini l’assenza di un rapporto ragionevole di
proporzionalità. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 16 gennaio 2024 (al-Hawsawi c. Lituania) Art. 1, Art. 2, Art. 3, Art. 5, Art. 6, Art.
1 P.6, Art. 8, Art 13 e Art. 46 – Violazione di plurimi diritti convenzionali
nel caso di un cittadino saudita, sospetto terrorista islamista, detenuto in
modo extra-giudiziale presso una base segreta della C.I.A. in Lituania, Paese
al quale la Corte riconduce la giurisdizione nel caso delle violazioni in
questione. La Corte rinviene una violazione del divieto
di trattamenti inumani e degradanti subita dal ricorrente durante il periodo
di detenzione in Lituania, nel corso di una “consegna straordinaria” [“extraordinary rendition”], in specie
si condanna la complicità dello Stato convenuto nel collaborare al programma
della C.I.A, così consentendo alle autorità statunitensi di sottoporre il
ricorrente a trattamenti inumani in territorio lituano e di trasferirlo da
tale territorio nonostante il rischio reale di ulteriori trattamenti contrari
all’Art. 3. Vi è inoltre stata un’indagine inefficace sulle accuse mosse dal
ricorrente sulle gravi violazioni della Convenzione da lui subite. La violazione dell’Art. 5 riguarda la stessa
detenzione illegale e segreta del ricorrente nel centro di detenzione della
C.I.A. su territorio lituano e l’aver lo Stato convenuto acconsentito al
trasferimento del ricorrente da parte delle autorità statunitensi dal suo
territorio, nonostante il rischio reale di essere sottoposto a trattamenti
inumani. La Corte riscontra un’interferenza con la
vita privata e familiare del ricorrente non "conforme alla legge" e
priva di giustificazione, data l’imposizione a quest’ultimo di una detenzione
illegale e segreta. La Corte rinviene poi una violazione del
diritto a un equo processo in un tempo ragionevole, in correlazione alle
violazioni degli Artt. 2 e 3 CEDU e dell’art. 1 P.6, a causa della consegna
straordinaria alla C.I.A. nonostante il rischio reale e prevedibile di un
processo palesemente iniquo davanti alla commissione militare statunitense a
Guantanamo e dell’imposizione della pena di morte in capo al ricorrente. La Corte rinviene da ultimo l’assenza di
rimedi efficaci per il ricorrente, secondo quanto disposto dall’Art. 13 CEDU
e in rapporto ai diritti violati, e dispone un elenco dettagliato di misure
che lo Stato dovrebbe intraprendere in esecuzione della sentenza in oggetto e
per fare valere i diritti del ricorrente, attualmente sotto processo davanti
a una commissione militare presso la base statunitense di Guantanamo. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 16 gennaio 2024 (Alkhatib e Altri c. Grecia) Art. 2 – Violazione del diritto alla vita
sotto il profilo procedurale a causa dell’indagine inadeguata e incompleta su
di un passeggero gravemente ferito quando la Guardia Costiera greca ha
sparato sul motore di un’imbarcazione che trasportava illegalmente dei
migranti. La Corte condanna
l’incapacità da parte delle autorità nazionali, a causa delle lacunosità
dell’inchiesta condotta, di stabilire
se l’uso di una forza potenzialmente letale fosse o meno giustificato nelle
particolari circostanze dell’operazione di intercettazione. La Corte rinviene
una violazione dell’Art. 2 anche dal punto di vista sostanziale per l’uso
eccessivo della forza da parte della guardia costiera, nonostante la
presumibile presenza di passeggeri nascosti a bordo dell’imbarcazione. La
Corte riscontra la mancanza della vigilanza necessaria per ridurre al minimo
l’uso della forza letale e il possibile rischio per la vita dei soggetti
coinvolti, nonché la mancanza di un quadro normativo adeguato da parte dello
Stato che disciplini l’uso della forza potenzialmente letale nelle operazioni
di sorveglianza marittima. L’uso della forza nel caso di specie deve dunque
ritenersi come non assolutamente necessario né strettamente proporzionato
alle circostanze particolari del caso. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 14 novembre 2023 (Nika c. Albania) Art. 2 – Violazione del diritto alla vita,
sotto il profilo procedurale, a causa dell’uccisione del parente dei
ricorrenti da parte di agenti dello Stato durante una protesta politica
degenerata in violenza davanti all’ufficio del Primo Ministro, a seguito di
un colpo d’arma da fuoco. La Corte censura la mancata conduzione da parte
delle autorità di un’indagine efficace in grado di portare
all’identificazione e alla punizione dei responsabili degli eventi e di
stabilire la verità, a causa delle carenze generali nelle prime fasi
dell’indagine, così come della mancanza di un’ indagine adeguata sulle
possibili responsabilità per gli eventi da parte dei comandanti delle forze
dell’ordine presenti sul campo. Sotto il profilo sostanziale dell’Art. 2, la
Corte rinviene un uso ingiustificato della forza letale da parte degli
agenti, causato anche da carenze del quadro giuridico vigente all’epoca dei
fatti e alla disciplina dell’uso di armi potenzialmente letali in relazione
alle operazioni di controllo della folla. Nel caso concreto, ossia
quello della protezione dell’ufficio
del Primo Ministro, la Corte ritiene che l’Art. 2 della Convenzione non
consentisse l’uso della forza letale per la sola protezione della proprietà
in quanto tale, dovendosi invece definire eventuali circostanze eccezionali
che potessero giustificare l’uso letale della forza a tale scopo. Il diritto
nazionale pertinente all’epoca, che autorizzava l’uso di armi da fuoco per la
protezione della proprietà deve perciò ritenersi carente a tale riguardo. A
ciò vanno aggiunti gravi difetti nella pianificazione e nel controllo delle
operazioni di polizia in relazione alla protesta. Per quanto riguardo le misure individuali da
intraprendere secondo l’Art. 46 della Convenzione, le autorità nazionali
devono continuare ad adoperarsi per chiarire le circostanze della morte del
parente dei ricorrenti e identificare e punire i responsabili. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 9 novembre 2023 (Legros e Altri c. Francia) Art. 6
§ 1 e Art. 1 P. 1 – Violazione del diritto di accesso a un tribunale nel caso
dell’applicazione generale e retroattiva di un nuovo termine, il quale limita
nel tempo la possibilità di presentare
un ricorso, ai ricorsi proposti prima del citato mutamento della
giurisprudenza, i quali sono stati dunque respinti dal giudice amministrativo
francese, in quanto tardivi. Il mutamento giurisprudenziale in oggetto ha
limitato la possibilità di impugnare, al di fuori del termine legale o
regolamentare, una decisione presa dall’amministrazione, in assenza di un
riferimento ai mezzi e ai termini di ricorso, solo entro un "termine
ragionevole" [délai raisonnable],
di norma non superiore a un anno dalla notifica o dalla conoscenza della
decisione, a meno che non si dimostrino circostanze particolari. La Corte
rinviene la creazione, da parte del Consiglio di Stato e a titolo di
precedente (decisione "Czabaj"),
di una nuova condizione di ammissibilità, basata su motivi di per sé
sufficienti e che giustificano l’inversione della giurisprudenza, pur con una
probabile incidenza sulla sostanza del diritto al ricorso, senza violare
eccessivamente il diritto di accesso a un tribunale. Tuttavia, la Corte
ritiene che l’immediata applicazione della nuova giurisprudenza ai procedimenti
in corso fosse imprevedibile in principio e in concreto per i ricorrenti del
caso di specie, restringendo il loro diritto d’accesso a una corte in modo
tale da annullarlo nel caso concreto. Rispetto alla violazione del diritto al
godimento dei propri beni, la Corte ritiene che il ricorrente non sia stato
in grado, a seguito dell’irricevibilità del ricorso, di ottenere una risposta
giudiziaria al merito della controversia relativa alla violazione del diritto
al rispetto in oggetto, con un conseguente sconvolgimento dell’equo
bilanciamento fra i diritti convenzionali. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 7 novembre 2023 (Durdaj e Altri c. Albania) Art. 2 – Violazione del diritto alla vita,
dal punto di vista procedurale, a causa della mancanza d’efficacia del
procedimento penale relativo all’esplosione presso l’impianto di
smantellamento delle armi di Gërdec, che ha provocato morti e feriti gravi.
L’indagine è qualificata dalla Corte come adeguata dal punto di vista
dell’aver accertato le circostanze dell’incidente e dell’aver portato
all’identificazione dei responsabili, inoltre ai ricorrenti è stato concesso
l’accesso all’indagine nella misura necessaria a salvaguardare i loro
legittimi interessi. Anche la pena detentiva e il tempo trascorso in carcere
non appaiono manifestamente sproporzionati rispetto alla gravità degli atti
commessi. Ai ricorrenti non è però stata data la possibilità di partecipare
effettivamente al procedimento penale contro gli imputati, mentre il
procedimento penale rivolto contro l’ex ministro della Difesa albanese
risulta ancora in corso, dopo oltre quattordici anni, risultando dunque il
procedimento afflitto da notevoli ritardi e dall’inerzia delle autorità. Per
quanto riguarda il profilo sostanziale del diritto alla vita, sotto forma
dell’entità della compensazione data ai feriti o ai parenti delle vittime, la
Corte ritiene che i ricorrenti non abbiano esaurito le vie di ricorso
interne, nel quadro di un ordinamento giuridico nazionale che si presenta
come pertinente e che prevede diverse basi giuridiche per chiedere un
risarcimento allo Stato. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 31 ottobre 2023 (Bild GmbH & Co. KG c. Germania) Art. 10 – Violazione della libertà
d’espressione nel caso di un’ingiunzione che ordini alla società che gestisce
un sito web d’informazione di cessare la pubblicazione di un filmato a
circuito chiuso di un arresto di polizia, in quanto abbia mancato di sfocare
il volto di uno dei poliziotti. Nel caso di specie, l’ingiunzione riguardava
due pubblicazioni, ma anche qualsiasi futura pubblicazione di filmati non
modificati, indipendentemente dalla copertura che li accompagnava. La Corte
rimarca come i dipendenti pubblici e i funzionari pubblici, compresi gli
agenti di polizia, in assenza di accuse di cattiva condotta, non sono privati
di un interesse legittimo a proteggere la loro vita privata contro, tra
l’altro, la falsa rappresentazione di un abuso d’ufficio. La Corte aggiunge
che, anche se non esiste una regola generale ai sensi dell’Art. 8 secondo cui
gli agenti di polizia non dovrebbero essere generalmente riconoscibili nelle
pubblicazioni della stampa, possono esistere circostanze in cui prevale
l’interesse alla protezione della vita privata di un singolo agente. Se il
bilanciamento dei diritti concorrenti degli Artt. 8 e 10 effettuato dai
tribunali nazionali è sufficiente per la prima pubblicazione, esso non lo è
per la seconda, così come non è estendibile quale criterio generale per
qualsiasi altra pubblicazione futura. Per la Corte, particolare importanza va
attribuita alla presentazione editoriale della prima pubblicazione, in quanto
vi è stata una mancata valutazione, da parte del sito, della misura in cui la
pubblicazione dell’immagine avrebbe potuto alimentare un dibattito pubblico.
D’altra parte, il ragionamento generale secondo cui qualsiasi copertura non
pixellata sarebbe illegittima anche se riflettesse le circostanze effettive
dell’intervento della polizia, senza ritrarre negativamente l’agente di
polizia, potrebbe portare a un inaccettabile divieto di qualsiasi futura
pubblicazione non consensuale di immagini inedite di agenti di polizia che
svolgono le loro funzioni, a prescindere dall’interesse pubblico rispetto
all’uso della effettivo della forza da parte della polizia. Si determinerebbe
dunque un’interferenza qualificabile come non necessaria in una società
democratica. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 24 ottobre 2023 (Pająk e Altri c. Polonia) Art. 6 § 1, Art. 14 e Art. 8 – Violazione
del diritto di accesso a un tribunale nei confronti di tutti i ricorrenti a
causa dell’assenza di gravi motivi in grado di giustificare l’eccezionale
assenza di controllo giurisdizionale rispetto alla cessazione anticipata
delle funzioni giudiziarie dei ricorrenti a seguito di decisioni unilaterali
del Ministro della Giustizia, rappresentante dell’esecutivo, e del Consiglio
giudiziario nazionale, organo subordinato a quest’ultimo. La Corte ritiene
applicabile l’Art 6 § 1 alla luce della seconda condizione stabilita nella
causa “Eskelinen”. La Corte rinviene anche una violazione del
divieto di discriminazione, in combinato disposto con il diritto al rispetto
della vita privata, nei confronti delle tre ricorrenti che avevano presentato
ricorso per la violazione dei relativi diritti, lamentando il carattere
discriminatorio del pensionamento anticipato di cinque anni rispetto ai
giudici di sesso maschile che si trovavano in una situazione analoga e, più
in generale, della normativa che differenzia tra uomini e donne l’età di
pensionamento dei giudici e dei rifiuti ministeriali di autorizzare le
ricorrenti a continuare ad esercitare le loro funzioni oltre l’età massima
stabilita per le donne. Le ricorrenti lamentavano al riguardo il danno alle
rispettive carriere professionali e le ripercussioni significative
sull’importo delle pensioni di anzianità, con l’impossibilità di svolgere,
dopo il pensionamento, un’attività lavorativa che consenta loro di
raggiungere una soddisfacente realizzazione professionale. Due opinioni dissenzienti sono annesse al
giudizio |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 24 ottobre 2023 (Myslihaka c. Albania) Art. 3 P. 1 – Mancata violazione del diritto
di voto da parte del divieto di voto imposto dalla legge che impedisce ai
detenuti in servizio condannati per reati gravi di votare alle elezioni
politiche, in quanto si tratta di una restrizione non generale o universale.
Infatti, la Corte nota come l’applicazione della restrizione sia limitata a
un elenco specifico di reati, che interessano quindi un numero ristretto di
persone, e come sia comunque subordinata alla natura e alla gravità del reato
commesso e destinata a terminare quando la pena detentiva è stata scontata.
Nel caso in oggetto, considerata la gravità dei reati commessi dai
richiedenti, la privazione del diritto di voto è giustificata e
proporzionata, e vi è un legame discernibile e sufficiente tra i reati
commessi dai richiedenti e la revoca del diritto di voto, laddove gli
interessi contrapposti appaiono essere stati ben equilibrati, senza che il
margine di apprezzamento sia stato oltrepassato. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 24 ottobre 2023 (Stoianoglo c. Moldavia) Art. 6 – Violazione del diritto di accesso a
un tribunale causato dalla mancanza di controllo giurisdizionale rispetto
alla sospensione automatica di un pubblico ministero dalle proprie funzioni
per più di due anni, prevista
dalla legge moldava nei casi in cui sia stato avviato un procedimento penale
nei confronti del pubblico ministero. La Corte ritiene applicabile al caso di
specie l’Articolo 6, paragrafo 1. Ritiene peraltro soddisfatta la prima
condizione dei criteri “Eskelinen”,
in quanto era lo stesso diritto interno che non consentiva al ricorrente
d’impugnare il provvedimento di sospensione, pur in assenza di una
disposizione espressa al riguardo. Peraltro, successivamente la legislazione
interna è stata modificata per dare al Consiglio superiore dei pubblici
ministeri la possibilità di riesaminare l’opportunità o meno di mantenere
tale provvedimento. La Corte ritiene
però non soddisfatta la seconda condizione dei criteri dettati nel caso “Eskelinen”, perché il mancato accesso
del ricorrente a un tribunale non è giustificato da ragioni oggettive legate
agli interessi dello Stato. Infatti, anche se il requisito dell’indipendenza
di cui all’articolo 6 paragrafo 1 si applica ai giudici e ai tribunali e non
ai pubblici ministeri, non è possibile tracciare una linea di demarcazione
netta tra i giudici e i pubblici ministeri per quanto riguarda la necessità
di protezione contro le interferenze arbitrarie nelle loro funzioni da parte
delle autorità pubbliche. È dunque necessario vi sia il controllo da parte di
un organo giudiziario indipendente in grado di garantire efficacemente tale
protezione nel caso di misure come la destituzione. La Corte nota, del resto,
come nella legislazione nazionale i pubblici ministeri siano espressamente
equiparati ai giudici per quanto riguarda la loro indipendenza, deducendo che
via sia stata un’insufficiente giustificazione della limitazione del diritto
coinvolto nel caso di specie, dovuta al mero timore di un’influenza del
pubblico ministero sospeso sul procedimento penale avviato contro di lui, con
una violazione della sostanza stessa del diritto di accesso a un tribunale. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 10 ottobre 2023 (Pengezov c. Bulgaria) Art. 6 e Art. 8 CEDU – Violazione del
diritto a un equo processo nel caso di un giudice sospeso dalle sue funzioni
a causa di un procedimento penale avviato nei suoi confronti per reati
asseritamente commessi nell’esercizio delle sue precedenti funzioni e al fine
di preservare l’autorità della magistratura. La Corte infatti ritiene che la
decisione discrezionale del Consiglio superiore della magistratura bulgaro
(CSM) non sia stata circondata da sufficienti garanzie procedurali e sia
stata invece priva di motivazioni reali circa la necessità della misura
somministrata. La suprema Corte amministrativa ha poi formalmente esaminato
le condizioni di legittimità della decisione del CSM, ma ha limitato il
proprio riesame, senza portare avanti un’analisi indipendente dei fatti e
rifiutando di controllare la giustificazione dell’incriminazione. La Corte
rileva come l’incriminazione di un giudice da parte della Procura bulgara
finisca per non essere soggetta a un controllo giurisdizionale indipendente,
derivandone un effetto cumulativo problematico e un insufficiente spazio per
il controllo da parte dell’Alta Corte. La Corte rinviene poi una violazione del
diritto alla vita privata da parte della misura controversa, in quanto essa
ha avuto gravi ripercussioni sulla vita privata e professionale del
ricorrente, come la privazione della sua retribuzione e l’impossibilità di
esercitare un’altra attività professionale. Il ricorrente è stato lasciato
nell’incertezza circa la durata della sospensione in considerazione della
durata del procedimento penale e dell’assenza di mezzi di ricorso per
chiedere la revoca della misura, con un rischio intrinseco per l’indipendenza
del giudice in questione. La Corte rinviene dunque una mancanza di garanzie
adeguate contro gli abusi e una mancanza di motivi pertinenti e sufficienti a
giustificazione della compressione del diritto, per cui, nonostante il
margine di apprezzamento riservato allo Stato, la misura non appare
proporzionata. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 10 ottobre 2023 (I.V. c. Estonia) Art. 8 CEDU – Violazione del diritto alla
vita privata in una vicenda conclusa a livello interno con il tentativo
infruttuoso di un cittadino lettone di ottenere l’annullamento di una
decisione di un tribunale estone in forza della quale il suo figlio biologico
veniva adottato dal marito della madre. La Corte censura in particolare la
mancata diligenza dei giudici nazionali nel procedimento di adozione in
Estonia, in quanto hanno mancato di considerare il procedimento di
accertamento della paternità pendente ad opera del ricorrente in Lettonia e di
cui i giudici estoni erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza. A fronte
di tale profilo, la Corte censura l’avvenuto rigetto della domanda di
annullamento del ricorrente solo per motivi formali. La Corte statuisce che i
principi derivanti dalla giurisprudenza della Corte in materia di padri
putativi che contestano la paternità legale di una persona che ha
riconosciuto un figlio come proprio sono applicabili anche alla questione se
un presunto padre biologico debba essere autorizzato a contestare l’adozione
del suo presunto figlio da parte di un’altra persona. La Corte ritiene
dipendere il mancato raggiungimento di un giusto equilibrio tra le
concorrenti esigenze dalla mancata identificazione ed esame delle circostanze
particolari del caso e dalla mancata valutazione dei diritti e degli
interessi delle persone coinvolte nei procedimenti di adozione o di
annullamento. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 10 ottobre 2023 (Internationale Humanitäre Hilfsorganisation e.V. c. Germania) Art. 11 CEDU – Mancata violazione della
libertà di associazione in conseguenza della proscrizione dell’associazione
ricorrente, con connesso scioglimento e confisca dei suoi beni, a causa delle
considerevoli donazioni finanziarie da essa compiute a favore di società
caritatevoli legate all’organizzazione terroristica “Hamas”. La Corte ritiene
che la lotta contro il terrorismo internazionale attraverso la protezione del
concetto di “comprensione internazionale” [“international understanding”] abbia costituito nel caso in
oggetto un obiettivo legittimo di protezione dei diritti e delle libertà
altrui. Ciò in quanto gli obiettivi perseguiti dal divieto di sostegno
indiretto al terrorismo sono molto importanti e il margine di apprezzamento
degli Stati è in tale settore più ampio. Inoltre, la proscrizione è una
misura di ultima istanza, adottata dallo Stato tedesco a seguito di un’ampia
valutazione di misure potenzialmente meno restrittive. Nel caso di specie è
stato debitamente stabilito che l’associazione ricorrente, pur presentando le
proprie attività sotto l’apparenza di aiuti umanitari, ha consapevolmente
sostenuto il terrorismo internazionale, direttamente o indirettamente. La
condotta dell’associazione era perciò incompatibile con i valori fondamentali
della Convenzione, a fronte dell’operazione di bilanciamento completo e
trasparente condotto dai giudici nazionali. La Corte valorizza i motivi
pertinenti e sufficienti posti dietro la scelta della proscrizione per
ritenere il margine di apprezzamento non oltrepassato in questo caso come, in
generale, nei casi di incitamento alla violenza. L’interferenza è stata
dunque ritenuta proporzionata e necessaria in una società democratica. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 5 ottobre 2023 (Sarl Couttolenc Frères c. Francia) Art. 1 P. 1 CEDU – Mancata violazione del
divieto di privazione della proprietà
in conseguenza del trasferimento a un ente locale, in virtù della
regola nota come della "proprietà reversibile" [“biens de retour”], di impianti di
risalita sciistica gestiti dalla società ricorrente, la quale era stata
previamente in grado di gestire commercialmente gli impianti contestati per
oltre ventotto anni dall’entrata in vigore della legge francese del 9 gennaio
1985, da cui deriva la qualificazione generale del servizio di risalita come
"servizio pubblico" [“service
public”]. La Corte riscontra l’assenza di oneri speciali ed esorbitanti
per il solo fatto di non aver ottenuto la società il pagamento di una somma
corrispondente al valore di mercato dei beni trasferiti all’ente
territoriale. In un contesto caratterizzato da un ampio margine di
apprezzamento statale la Corte valorizza l’importanza dello scopo legittimo
perseguito, ossia la continuità di un servizio pubblico nell’ambito di una
politica di pianificazione territoriale e ritiene comunque proporzionata
l’azione dello Stato. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 5 ottobre 2023 (Gurbanov c. Armenia) Art.
8 e Art. 14 CEDU – Mancata violazione del diritto alla vita privata e
familiare in conseguenza dell’imposizione da parte delle autorità armene di
un’attesa di trentotto giorni prima del rimpatrio della salma del figlio del
ricorrente, un soldato azero, dopo la sua morte durante una sparatoria al
confine tra l’Armenia e l’Azerbaigian. La Corte ritiene che l’attesa abbia
perseguito lo scopo legittimo di stabilire le circostanze dell’incidente, che
ha portato anche alla morte di alcuni soldati armeni, rendendosi necessari
esami forensi che sono comunque stati condotti entro i tempi previsti dal
diritto interno e non sono da ritenersi eccessivi o fuori luogo, date le
relazioni conflittuali tra lo Stato convenuto e l’Azerbaigian. La Corte nota
come il Comitato internazionale della Croce Rossa sia stato tenuto informato
per tutto il periodo della necessità di varie fasi investigative e che il
periodo complessivo, non irragionevole, si è mantenuto entro un equo
equilibrio tra i diritti del richiedente ai sensi dell’Art. 8 e lo scopo
legittimo perseguito. La Corte statuisce inoltre che non vi sia
stata violazione del divieto di discriminazione, data la giustificazione
obiettiva e ragionevole per un trattamento diverso nella restituzione del
corpo del figlio del ricorrente e dei corpi dei soldati armeni deceduti. La
Corte dà rilievo all’esistenza di un contesto generale di ostilità e tensione
tra i due Paesi, che richiede misure diverse per queste diverse situazioni,
pur nel rispetto del principio di proporzionalità rispetto allo scopo
perseguito, in questo caso comunque integrato. La Corte non rinviene nessuna
indicazione di pregiudizio etnico nella gestione del fascicolo penale che
coinvolge il figlio del ricorrente. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Grande
Camera) 26 settembre 2023 (Yüksel Yalçınkaya c. Turchia) Art. 15, Art. 7, Art. 6 § 1 e Art. 11 CEDU –
Violazione del principio di legalità penale, nelle forme della duplice
violazione dei principi nullum crimen
sine lege e nulla poena sine lege, in
conseguenza di una condanna pronunciata per l’appartenenza a
un’organizzazione terroristica armata, basata in modo decisivo sull’uso
dell’applicazione di messaggistica criptata ByLock e posteriore al tentato golpe del 2016, ossia durante un periodo d’invocata deroga a taluni dei diritti
convenzionali, in tempo di emergenza pubblica minacciante la vita della
nazione. La Grande Camera ritiene che non siano stati debitamente accertati
gli elementi materiali e psichici costitutivi del reato in modo
individualizzato, seguendo invece i giudici nazionali un’interpretazione giudiziale
espansiva e imprevedibile incoerente con l’essenza del reato contestato, il
quale avrebbe richiesto il dolo specifico da parte dell’imputato. La Corte
infatti ricorda come l’art. 7 richieda, ai fini della punizione, l’esistenza
di un nesso mentale attraverso il quale si possa stabilire la responsabilità
penale personale, mentre l’interpretazione dei tribunali nazionali ha
attribuito la responsabilità penale in modo praticamente automatico agli
utenti di ByLock. In relazione
all’Art. 15, la Corte ricorda come l’art. 7 costituisca un diritto
inderogabile e le sue garanzie non avrebbero potuto essere applicate in modo
meno rigoroso nemmeno in relazione a reati terroristici presumibilmente
commessi in circostanze che abbiano minacciato la vita della nazione, dal
momento che la Convenzione richiede l’osservanza delle garanzie dell’Art. 7
anche nelle circostanze più difficili. La Corte rinviene altresì una violazione del
diritto a un equo processo, derivante dal pregiudizio per la difesa causato
dalla mancata divulgazione dei dati grezzi ottenuti dal server
dell’applicazione di messaggistica criptata, non controbilanciato da adeguate
garanzie procedurali che assicurino l’equità complessiva del procedimento. La
Corte sottolinea che le gravi difficoltà nella raccolta e nel trattamento
delle prove elettroniche, sempre più utilizzate nei processi penali, non
avrebbero richiesto un’applicazione più rigorosa o più indulgente delle
garanzie di cui all’art. 6 § 1, tuttavia l’impossibilità per la difesa di
avere accesso diretto alle prove e di verificarne in prima persona
l’integrità e l’affidabilità avrebbe imposto ai tribunali nazionali di
sottoporre tali questioni a un esame più approfondito. Invece, l’incapacità
dei tribunali nazionali di motivare la mancata divulgazione dei dati grezzi e
di affrontare le questioni relative all’uso dei dati criptati non è stata
compensata da un’adeguata garanzia procedurale. L’accesso al materiale ByLock decriptato è importante per
preservare i diritti della difesa, mentre le carenze che hanno compromesso la
capacità di condurre una difesa efficace su un piano di parità con l’accusa
sono incompatibili con l’essenza stessa dei diritti procedurali del ricorrente.
D’altra parte, il mancato rispetto dei requisiti di un equo processo non era
in questo caso strettamente richiesto dalle esigenze della situazione ai
sensi dell’Art. 15 CEDU. Per la Corte, la violazione della libertà di
associazione deriva invece dall’estensione imprevedibile della portata del
reato da parte dei tribunali nazionali quando si sono basati sulla sola
appartenenza del richiedente a un sindacato e ad un’associazione considerati
affiliati al partito FETÖ/PDY per corroborare la condanna, in quanto si
tratterebbe di un’interferenza non strettamente richiesta dalle esigenze
della situazione ex Art. 15. La Corte rinviene un problema sistemico
collegato all’orientamento giurisprudenziale sanzionato nella presente
sentenza, mentre ritiene che, dal punto di vista dell’esecuzione individuale
della propria decisione, la riapertura del procedimento, se richiesta, sia il
modo più appropriato per porre fine alle violazioni riscontrate. In
conformità all’Art. 46, lo Stato turco è invece tenuto ad adottare misure
generali appropriate per affrontare il problema sistemico relativo
all’approccio dei propri tribunali nazionali all’uso dell’applicazione ByLock. Opinioni concorrenti e dissenzienti sono
annesse al giudizio. |
Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 14 settembre 2023 (Baret e Caballero c. Francia) Art. 8 CEDU – Mancata violazione del diritto
alla tutela della vita privata in conseguenza del divieto legale assoluto di
procreazione post mortem sul
territorio nazionale francese e del divieto di esportazione di gameti ed
embrioni a tale scopo verso la Spagna, paese che invece autorizza tale
pratica. Pur ritenendo la Corte in astratto applicabile l’Art. 8, essa rileva
la mancanza di un consenso europeo sul punto, nonché l’esistenza di
differenze tra il caso in oggetto e la causa Pejřilová c. Repubblica Ceca. Nel caso francese odierno, il
divieto assoluto di inseminazione post
mortem è infatti volto a salvaguardare interessi generali ricollegabili a
considerazioni morali o etiche e lo stesso divieto di esportazione è perciò
volto a prevenire il rischio di eludere il divieto di procreazione post mortem, tant’è che non si fa
nessuna differenza a seconda che le richieste di procreazione medicalmente
assistita riguardino l’inseminazione o l’esportazione di embrioni dopo la
morte. La Corte compie sia un controllo di convenzionalità in astratto della
legge che un controllo in concreto delle conseguenze della sua applicazione
da parte del Consiglio di Stato. In concreto i ricorrenti del caso in oggetto
avevano come unico intento quello di eludere la legge francese e non hanno
indicato circostanze particolari in grado di giustificare la disapplicazione
del divieto di procreazione post
mortem. Per la Corte il consenso del coniuge poi deceduto o la presenza
di un embrione non sono sufficienti a dimostrare da soli un’ingerenza
eccessiva nel diritto al rispetto della volontà di tali due soggetti, tanto
più che un embrione non di per sé è titolare di diritti sotto la Convenzione
EDU, sicché si ritiene accettabile l’interpretazione della legge adottata dai
tribunali nazionali, che hanno raggiunto un equo equilibrio tra interessi
concorrenti, senza travalicare l’ampio margine di apprezzamento esistente in
materia. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 14 settembre 2023 (Valiullina e Altri c. Lettonia) Art. 14 + Art. 2 P.1 CEDU – Mancata
discriminazione nel godimento del diritto all’istruzione, ai danni di alcuni
cittadini lettoni e di alcuni residenti permanenti non cittadini parlanti la
lingua russa, in conseguenza delle modifiche legislative che hanno aumentato
la percentuale di materie insegnate nelle scuole pubbliche nell’unica lingua
di Stato, ossia il lettone, riducendo quindi l’uso del russo come lingua di
insegnamento. Secondo la Corte, gli alunni di lingua russa e lettone si
troverebbero nel caso di specie in una situazione analoga e la contestata
differenza di trattamento sarebbe giustificata dagli obiettivi legittimi di
tutela e rafforzamento del lettone, da considerarsi come uno dei valori
costituzionali fondamentali dello Stato, nonché dal bisogno di garantire
l’unità del sistema educativo. La Corte dà rilievo all’importanza del
contesto storico specifico dell’occupazione illegale e della successiva
annessione della Lettonia all’URSS, che ha limitato in modo significativo
l’uso del lettone per più di cinquant’anni, nonché delle difficili scelte [“difficult choices”] successive al
ripristino dell’indipendenza. Per la Corte le modifiche legislative sarebbero
comunque state attuate in modo graduale e flessibile, con sufficiente margine
di adattamento alle esigenze delle persone interessate. L’ampio margine di
apprezzamento dello Stato non è stato perciò superato, anche perché il
precedente sistema educativo in vigore garantiva l’uso delle lingue
minoritarie in proporzioni variabili, per cui la riforma ha trovato una
giustificazione obiettiva e ragionevole, essendo la differenza di trattamento
in base alla lingua coerente con le finalità legittime perseguite e
proporzionata. La Corte fa poi riferimento all’Art. 2 P.1 “Ratione materiae” e cita le
conclusioni tratte nel “caso linguistico del Belgio”, ricordando che l’art. 2
P. 1 CEDU non include il diritto di accedere all’istruzione in una lingua
particolare, ma garantisce solo il diritto all’istruzione in una delle lingue
nazionali o ufficiali del paese interessato. Essendo il lettone l’unica
lingua ufficiale, i ricorrenti non possono lamentarsi della diminuzione
dell’uso del russo come lingua d’insegnamento nelle scuole pubbliche lettoni,
considerata per se stessa. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
IV) 12 settembre 2023 (Wieder e Guarnieri c. Regno Unito) Art. 1 e Art. 8 CEDU – Con riferimento al
requisito della sussistenza della giurisdizione di uno Stato contraente, la
Corte ritiene che la presunta intercettazione di massa delle comunicazioni
dei ricorrenti, residenti al di fuori dello Stato convenuto e ricercatori in
tema di privacy e comunicazioni,
rientrasse comunque nella giurisdizione territoriale di quest’ultimo, in
quanto l’interferenza con la vita privata per il tramite della violazione
della riservatezza delle comunicazioni si verifica quando queste vengono
intercettate, fatte oggetto di perquisizione, esaminate e utilizzate e la
conseguente lesione dei diritti alla vita privata del mittente e/o del
destinatario avviene nel luogo in cui i summenzionati atti sono compiuti, in
questo caso nel territorio dello Stato convenuto. La Corte rinviene una violazione del diritto
alla vita privata basata sulle stesse ragioni individuate nel proprio
precedente “Big Brother Watch e altri
c. Regno Unito [GC]”, e dunque per le carenze fondamentali presenti nel
regime di intercettazione di massa, per l’assenza di un’autorizzazione
indipendente, per la mancata inclusione di categorie di selezionatori [“categories of selectors”] nella
richiesta di un mandato e per l’assenza di un’autorizzazione interna
preventiva per i selezionatori collegati a un individuo. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 7 settembre 2023 (Gauvin-Fournis e Silliau c. Francia) Art. 8 CEDU – Mancata violazione degli
obblighi positivi connessi al diritto alla vita privata in conseguenza del
rifiuto da parte delle autorità nazionali di consentire a persone nate da
procreazione medicalmente assistita con un donatore terzo di accedere alle
informazioni che le riguardavano, in virtù della regola dell’anonimato della
donazione di gameti presente nell’ordinamento francese fino alla recente
riforma del settembre 2022, con la quale è entrato in vigore un nuovo sistema
per accedere alle informazioni sulle proprie origini. La Corte riconosce allo
Stato un ampio margine di apprezzamento per quanto riguarda i mezzi da
utilizzare per garantire ai ricorrenti l’effettivo rispetto della propria
vita privata, benché ridotto dal fatto che sia pur sempre in gioco un aspetto
essenziale della stessa dimensione della vita privata e dal fatto che il
diritto di accesso alle proprie origini sia tutelato dalla Convenzione. La
Corte prende anche atto della sopravvenuta ponderazione degli interessi e dei
diritti coinvolti da parte del legislatore al termine di un processo di
riflessione ricco ed evolutivo sulla necessità di eliminare l’anonimato del
donatore, nonché del fatto che non vi è un chiaro consenso europeo sul
diritto di accesso alle proprie origini, nonostante una recente tendenza a
favore dell’eliminazione dell’anonimato del donatore. Nel caso di specie, si
deve ritenere che lo Stato ‒ senza superare il proprio margine di
apprezzamento ‒ abbia mantenuto un giusto equilibrio tra gli interessi
in gioco nel respingere le richieste di accesso alle informazioni mediche non
identificative di donatori terzi in base al rispetto del segreto medico,
fatte salve le deroghe a favore del medico per motivi sanitari. La scelta del
legislatore è stata di concedere l’accesso alle origini solo previo consenso
del donatore terzo, per i richiedenti nati prima dell’entrata in vigore della
nuova legge (1° settembre 2022), al fine di rispettare le situazioni sorte
prima della recente riforma. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 7 settembre 2023 (Bavčar c. Slovenia) Art. 6 § 2 CEDU – Violazione della
presunzione di innocenza in conseguenza di dichiarazioni rilasciate dal
Ministro della Giustizia e dal Primo Ministro sloveno su un importante
personaggio politico ed economico che era stato condannato in primo grado per
riciclaggio di denaro e successivamente aveva presentato appello, a causa
della stretta vicinanza temporale tra la condanna in primo grado, la
dichiarazione del Ministro e la successiva sentenza di appello da parte della
Corte Superiore. La Corte ritiene vi sia stato un effetto cumulativo delle
dichiarazioni in grado di pregiudicare il processo decisionale della Corte
Superiore [“Higher Court”] e di
incoraggiare l’opinione pubblica a ritenere il ricorrente colpevole prima che
ciò fosse provato in modo definitivo. La Corte ritiene d’altra parte che
l’interpretazione e l’applicazione del diritto interno da parte dei giudici
nazionali siano state coerenti con l’essenza del reato in questione e
prevedibili, con frequenti riferimenti alla stessa giurisprudenza della Corte
EDU. Non rinviene dunque una lesione dell’Art. 7 CEDU. Un’opinione concorrente e un’opinione in
parte dissenziente sono annesse al giudizio. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 29 agosto 2023 (Kovačević v. Bosnia-Erzegovina) Art. 1 P.12 CEDU – Violazione del divieto di
discriminazione a causa dell’impossibilità per il ricorrente, per via della
combinazione di requisiti territoriali ed etnici, di votare per i candidati
di sua scelta alle elezioni legislative e presidenziali a livello statale, in
quanto il ricorrente stesso non era affiliato a uno dei "popoli
costituenti" costituzionalmente definiti o a qualsiasi altro gruppo
etnico a cui si fa riferimento nell’ordinamento della Federazione di
Bosnia-Erzegovina. La Corte giudica che il caso in oggetto rappresenti un
trattamento discriminatorio in base all’etnia e al luogo di residenza,
stigmatizzando in particolare le disposizioni che escludono alcuni cittadini
dalla Camera dei Popoli bosniaca per motivi etnici amplificando le divisioni
etniche e minando il carattere democratico delle elezioni. La Corte rimarca
inoltre come la riforma del sistema elettorale nazionale, oggi basato sul
concetto di "popoli costituenti", fosse un obbligo a cui lo Stato
si era vincolato al momento dell’adesione al Consiglio d’Europa, anche a
seguito dei rilievi mossi dalla Commissione di Venezia nel 2002. I
"popoli costituenti" di cui alla Costituzione bosniaca godono
ancora oggi di una posizione privilegiata nell’attuale sistema politico e non
possono essere inquadrati come una minoranza in pericolo rispetto alla quale
lo Stato, in sintonia con la Convenzione EDU, possa cercare di riequilibrare
una ipotetica situazione di fatto ineguale [“factual inequalities”]. La Corte rimarca invece come nessuno
dovrebbe essere costretto a votare solo secondo le linee etniche prescritte e
indipendentemente dal suo punto di vista politico. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 18 luglio 2023 (Camara c. Belgio) Art. 6 e Art. 46 CEDU – Violazione del
diritto di accesso a un tribunale da parte del rifiuto delle autorità
nazionali di eseguire un’ordinanza immediatamente esecutiva che impone allo
Stato di fornire alloggio e assistenza materiale a un richiedente protezione
internazionale. La Corte rileva come la presa in carico del richiedente sia
avvenuta solo a seguito del provvedimento provvisorio disposto dalla Corte
europea stessa e, pur prendendo atto della difficile situazione dello Stato
convenuto in relazione al significativo aumento del numero di domande di
protezione internazionale e all’insufficiente capacità di accoglienza dei
richiedenti, rileva anche la mancata esecuzione sistematica, da parte delle
autorità nazionali, delle decisioni giudiziarie definitive relative
all’accoglienza, il che comporta un pesante carico di lavoro per le autorità
giudiziarie nazionali belghe e per la stessa Corte EDU. Dal punto di vista
della forza vincolante e dell’attuazione delle sentenze della Corte nel caso
di misure aventi carattere generale, si rileva come lo Stato convenuto sia
tenuto a porre rimedio al problema sistemico della capacità delle autorità
nazionali di rispettare il diritto interno in materia di diritto
all’accoglienza dei richiedenti asilo, diritto interne che vede ricomprese le
decisioni giudiziarie definitive aventi carattere esecutivo. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 13 luglio 2023 (A.A. c. Svezia) Art. 2 e Art. 3 CEDU – Mancata violazione
del diritto alla vita e del divieto di sottoposizione a trattamenti inumani o
degradanti da parte dell’espulsione di un cittadino libico in Libia dalla
Svezia. La Corte ritiene che l’allontanamento di un cittadino libico dopo il
rifiuto della domanda di asilo non comporti una violazione della Convenzione,
in quanto la situazione della sicurezza in Libia non è tale da far sorgere
una necessità generale di protezione internazionale per i richiedenti asilo.
D’altra parte, la valutazione da parte delle autorità nazionali delle
circostanze individuali del richiedente è accurata e fondata su motivi
razionali, mentre il richiedente non ha dimostrato il rischio di essere
ucciso o sottoposto a maltrattamenti al suo ritorno in Libia. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. V) 13 luglio 2023 (Golovin c. Ucraina) Art. 8 e Art. 6 § 1 CEDU – Violazione del
diritto alla vita privata e al diritto a un equo processo da parte della
dismissione dal servizio di un giudice della Corte costituzionale ucraina, da
parte del Parlamento e dopo i rivolgimenti politici del 2014, per aver
partecipato a una sentenza del 2010 ritenuta discutibile, senza che fosse
però offerta una chiara interpretazione della supposta "violazione del
giuramento" a lui imputata e della portata dell’immunità funzionale del
ricorrente. La Corte compie un’applicazione della precedente sentenza Ovcharenko e Kolos c. Ucraina, chiarendo come anche in questo caso sia dato
riscontrare un controllo giurisdizionale successivo alla dismissione del
ricorrente, e svolto dalla Corte Suprema, che è da ritenersi inadeguato alla
tutela dei diritti convenzionali, con l’assenza di risposte elaborate su
questioni cruciali relative alle garanzie offerte alla magistratura entro uno
Stato di diritto. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 11 luglio 2023 (Semenya c. Svizzera) Art. 14, Art. 8, Art. 13 CEDU – Violazione
del divieto di discriminazione in relazione alla tutela della vita privata,
da parte delle insufficienti garanzie istituzionali e procedurali contro la
discriminazione di una famosa atleta professionista sudafricana con
differenze nello sviluppo sessuale, obbligata da un regolamento non statale
dell’International Association of
Athletics Federations (IAAF) a ridurre il suo livello naturale di
testosterone per poter partecipare a competizioni internazionali nella categoria
femminile. La Corte ritiene applicabile l’Art. 14, in quanto la ricorrente si
trova in una situazione paragonabile a quella di altre atlete e viene
trattata in modo diverso a causa della sua esclusione dalle competizioni
sulla base dei regolamenti sportivi internazionali. La Corte rileva come
l’arbitrato imposto dai regolamenti sportivi escluda il ricorso ai tribunali
ordinari, a favore della Corte di Arbitrato per lo Sport (CAS), con sede in
Svizzera, la quale, nonostante una motivazione molto dettagliata, non ha
applicato la Convenzione e ha lasciato cadere notevoli dubbi sulla validità
dei regolamenti sportivi. La Corte EDU lamenta in proposito un controllo
molto limitato da parte del Tribunale federale svizzero sulla decisione
arbitrale, con la mancanza di un esame completo e adeguato della pretesa di
trattamento discriminatorio e di una ponderazione appropriata e adeguata di
tutti gli interessi in gioco. In particolare, la Corte rileva come la
mancanza di differenziazione tra sportive transgender e intersessuali non sia
stata sollevata dal Tribunale federale e che una discriminazione basata sul
sesso e sulle caratteristiche sessuali può essere giustificata solo da
"considerazioni molto forti". Si rileva poi come dalla decisione
abbia avuto origine un problema personale assai significativo per la
ricorrente, ossia l’esclusione dall’esercizio della sua professione, per cui
il margine di apprezzamento, comunque ridotto in questo ambito, è da
ritenersi superato, in quanto la misura imposta non è stata obiettiva né
proporzionata allo scopo perseguito. Dal punto di vista del diritto a un ricorso
effettivo, la Corte rileva la scarsa efficacia dei rimedi offerti
dall’ordinamento nazionale per la mancanza di sufficienti garanzie
istituzionali e procedurali. La Corte ritiene che la risposta del Tribunale federale alle accuse sostanziali e credibili di
discriminazione presentate dalla ricorrente sia stata inadeguata, in
particolare a causa del suo potere di controllo molto limitato. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 6 luglio 2023 (Tuleya c. Polonia) Art. 6 § 1, Art. 8 e Art. 10 CEDU –
Violazione del diritto a un equo processo sotto il profilo dell’indipendenza
e dell’imparzialità dei tribunali istituiti per legge di cui al § 1 dell’Art.
6, a causa della revoca dell’immunità penale del giudice ricorrente e della
sua sospensione dalle funzioni giudiziarie da parte della Camera disciplinare
della Corte suprema polacca. La Corte rileva in primo luogo la perdita dello
status di vittima del ricorrente in relazione alla sola decisione sulla
sospensione, in quanto la risoluzione della nuova Camera di responsabilità
professionale (CPL) della Corte suprema ha riconosciuto la violazione
dell’art. 6 § 1 in relazione al procedimento della Camera disciplinare e ha
fornito una riparazione adeguata e sufficiente, con una risoluzione adottata
da giudici la cui nomina alla Corte suprema era precedente alla riforma del
Consiglio nazionale della magistratura (NCJ). La risoluzione rappresenta
dunque uno sviluppo positivo nel contesto della crisi dello Stato di diritto
polacco. Invece, circa lo status di vittima del ricorrente in relazione alla
revoca dell’immunità, la Corte EDU ritiene che le conseguenze negative della
decisione della Camera disciplinare non siano state risolte dalla citata
risoluzione, in quanto non è stata intrapresa alcuna azione per porre fine al
procedimento penale contro il ricorrente nonostante la sentenza del CPL
sull’inesistenza di un reato. La Corte ritiene peraltro che l’art. 6 sia
applicabile, dal punto di vista del suo profilo penalistico, ai procedimenti
di immunità come quello di specie e che vi sia stata una violazione manifesta
del diritto interno a causa della procedura di nomina della Camera
disciplinare da parte della NCJ
riformata, che mancava di indipendenza dal legislatore e dall’esecutivo ed è
dunque da ritenersi intrinsecamente carente. La Corte applica al caso in
oggetto le precedenti sentenze Reczkowicz
c. Polonia e Juszczyszyn c. Polonia
e ribadisce come l’indipendenza e l’imparzialità della Camera
disciplinare polacca siano compromesse. Sotto il profilo della tutela della vita
privata, la Corte ritiene applicabile al caso l’Art. 8 e ciò già per quanto
riguarda le conseguenze sulla reputazione professionale del giudice nazionale
ricorrente determinate dall’indagine preliminare sulla domanda di pronuncia
pregiudiziale da lui presentata alla Corte di giustizia dell’Unione europea,
oltre che sulla più grave decisione della sezione disciplinare che ha
revocato l’immunità e sospeso il ricorrente dalle sue funzioni. Infatti,
tutti i provvedimenti impugnati hanno inciso in misura molto significativa
sulla vita privata del ricorrente, traendo origine però da interferenze da
ritenersi non "conformi al diritto", come è da considerarsi già
l’indagine preliminare sulla domanda di pronuncia pregiudiziale, in quanto
contraria al Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, il quale prevale
sul diritto interno. La successiva decisione di revoca dell’immunità e di
sospensione è stata poi basata su di un’interpretazione imprevedibile dello
stesso diritto interno da parte di un organo che non costituisce un
"tribunale indipendente e imparziale istituito dalla legge". La Corte riscontra anche una violazione
della libertà di espressione nel caso delle indagini preliminari riguardanti
le dichiarazioni pubbliche del ricorrente su un canale televisivo e in
riunioni pubbliche, seguite poi dalla decisione sulla revoca dell’immunità e
sulla sospensione. Il ricorrente ha lamentato la lesione del diritto di cui
all’Art. 10 nel suo secondo ricorso. La Corte ritiene che i provvedimenti
impugnati debbano essere considerati nel contesto delle successive riforme
polacche che hanno portato all’indebolimento dell’indipendenza della
magistratura e tenendo conto della sequenza degli eventi nella loro
interezza. L’azione delle autorità culminata nella decisione della Camera
disciplinare potrebbe essere considerata dunque come una sanzione dissimulata
per l’esercizio della libertà di espressione del ricorrente, per cui i
provvedimenti impugnati sono stati motivati dalle opinioni e dalle critiche
espresse pubblicamente dal ricorrente nella sua veste professionale, con
interferenze classificabili come non "previste dalla legge" e non
perseguenti scopi legittimi. Peraltro, la Corte rileva come al ricorrente non
siano state concesse garanzie procedurali minime nel corso delle indagini
preliminari, mentre la decisione sulla revoca dell’immunità e sulla
sospensione è stata presa da un organo che non costituisce un "tribunale
indipendente e imparziale istituito dalla legge" ai sensi della
Convenzione. Ne consegue l’assenza delle garanzie procedurali necessarie per
evitare l’applicazione arbitraria del diritto sostanziale pertinente, con la
conseguenza che le misure potrebbero essere caratterizzate come una strategia
volta a intimidire (o addirittura a mettere a tacere) il ricorrente. Le
misure impugnate mirerebbero dunque a ottenere un effetto di congelamento [“chilling effect”] sulla partecipazione
dei giudici al dibattito pubblico sulle riforme legislative che riguardano la
magistratura e la sua indipendenza. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 4 luglio 2023 (B.F. e Altri c. Svizzera) Art. 8 CEDU – Violazione degli obblighi positivi
derivanti dal diritto alla tutela della vita familiare, nel caso del rifiuto
di domande di ricongiungimento familiare, a causa del mancato soddisfacimento
della condizione di indipendenza economica, da parte di rifugiati ammessi
provvisoriamente in Svizzera e che temono di essere perseguitati a causa
della loro partenza illegale dal loro paese d’origine. La Corte rileva che
gli Stati membri dispongono di un margine di apprezzamento nell’esigere il
non ricorso all’assistenza sociale prima di concedere il ricongiungimento
familiare alla categoria di rifugiati corrispondenti a quella del caso in
oggetto. Tuttavia, il margine di apprezzamento che ne risulta è considerevolmente più ristretto di quello
previsto per l’introduzione di periodi di attesa per il ricongiungimento
familiare verso persone prive dello status di rifugiato, ma che hanno
piuttosto lo status collegato a una protezione sussidiaria o temporanea. La
Corte riscontra un consenso internazionale ed europeo a non distinguere tra i
diversi rifugiati della Convenzione del 1951 per quanto riguarda i requisiti
per il ricongiungimento familiare e per far sì che i rifugiati beneficino di
una procedura di ricongiungimento più favorevole rispetto agli altri stranieri.
Tale consenso riduce il margine di apprezzamento degli Stati. Inoltre, la
situazione di particolare vulnerabilità dei rifugiati in un determinato luogo
deve essere adeguatamente considerata nell’applicazione di un requisito
ulteriore alla loro richiesta di ricongiungimento familiare, senza contare
che, per la Corte, gli ostacoli insormontabili al godimento della vita
familiare nel paese d’origine assumono progressivamente maggiore importanza
nella valutazione dell’equo equilibrio con il passare del tempo. Ne discende
la necessità di applicare il requisito della non dipendenza dall’assistenza
sociale con sufficiente flessibilità, per cui ai rifugiati non deve essere
richiesto di "fare l’impossibile" per ottenere il ricongiungimento
familiare, mantenendo invece un equo equilibrio tra interessi contrastanti
che, nei casi in oggetto, è stato raggiunto in un solo ricorso ma non negli
altri tre. La Corte non riscontra invece nessuna violazione a causa della
durata del procedimento di ricongiungimento familiare. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Grande
Camera) 4 luglio 2023 (Hurbain c. Belgio) Art. 10 CEDU – Mancata
violazione del diritto alla libertà di espressione nel caso dell’editore di
un giornale a cui è stato ordinato di rendere anonima la versione archiviata
in rete di un articolo legittimo pubblicato vent’anni prima, a causa del "diritto
all’oblio" [right to be forgotten]
riconosciuto in capo a un autista che aveva causato un incidente mortale. La
Corte riconosce da un lato la necessità di preservare l’integrità degli
archivi della stampa, compiendo però un chiarimento della portata del
"diritto all’oblio” in rete, configurato come un diritto non autonomo ma
legato al diritto al rispetto della reputazione e offrendo una definizione di
criteri e regole per bilanciare i vari diritti in gioco. La Corte rileva poi
che vi è stata la dovuta considerazione da parte dei giudici nazionali della
natura e della gravità dei fatti giudiziari riportati nell’articolo, della
mancanza di attualità, interesse storico e scientifico del fatto e della
stessa circostanza che la persona interessata non fosse molto conosciuta,
ossia non rivestisse funzioni pubbliche o di rilievo. Al contempo, la
continua disponibilità in rete dell’articolo senza restrizioni avrebbe potuto
creare un "casellario giudiziario virtuale" e parallelo a quello
ufficiale in considerazione della riabilitazione della persona interessata e
del notevole lasso di tempo trascorso dalla pubblicazione dell’articolo
originale. D’altra parte, l’anonimizzazione non ha imposto all’editore un
onere eccessivo e inattuabile, pur costituendo il mezzo più efficace per
tutelare la vita privata della persona interessata. Dunque, vi è stato un
bilanciamento degli interessi concorrenti da parte dei tribunali nazionali in
conformità con i requisiti della Convenzione e con un’interferenza
proporzionata e limitata a quanto strettamente necessario. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
III) 4 luglio 2023 (Glukhin c. Russia) Art. 8 e Art. 10 CEDU –
Violazione del diritto alla libertà di espressione da parte della condanna
ingiustificata per illecito amministrativo di un manifestante pacifico
solitario, che utilizzava una figura di cartone a grandezza naturale di un
attivista politico con uno striscione, somministrata per non aver egli
presentato una notifica preventiva alle autorità. La Corte riscontra la
mancanza del necessario grado di tolleranza da parte delle autorità e la
mancanza di "ragioni pertinenti o sufficienti". Inoltre, la Corte
riscontra una violazione del diritto alla vita privata causato dal
trattamento ingiustificato dei dati biometrici personali del richiedente
mediante l’uso di una tecnologia di riconoscimento facciale altamente
intrusiva in un procedimento per illecito amministrativo, al fine di
identificarlo, localizzarlo e arrestarlo. La Corte ritiene che l’uso di tale
tecnologia per identificare e arrestare manifestanti pacifici possa avere un
effetto “raggelante” [chilling effect]
sui diritti alla libertà di espressione e di riunione. Nell’applicazione
della tecnologia di riconoscimento facciale, la Corte manifesta la previa
necessità di norme dettagliate che disciplinino la portata e l’applicazione
delle misure, nonché di forti garanzie contro il rischio di abusi e
arbitrarietà. Tale necessità di garanzie è ancora maggiore nel caso di
utilizzo di tecnologie di riconoscimento facciale dal vivo. Nel caso in
oggetto la Corte riscontra del resto come l’interferenza non sia stata
corrispondente al parametro di una "pressante necessità sociale" [pressing social need]. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. I) 29 giugno 2023 (Bijan Balahan c. Svezia) Art. 3 CEDU – Mancata violazione
del divieto di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti in caso
dell’estradizione del ricorrente dalla Svezia agli Stati Uniti. La Corte
rileva in particolare la mancanza di prove che dimostrino il rischio reale di
una condanna all’ergastolo senza condizionale o con un periodo minimo di 61
anni prima dell’ammissibilità alla libertà vigilata nel caso di specie e nel
caso il richiedente fosse estradato negli Stati Uniti e poi ivi condannato.
In particolare, non sarebbe dimostrato il rischio reale, de jure o de facto, di
una condanna all’ergastolo senza condizionale, mentre la durata del
potenziale periodo minimo sopra citato dipende da una serie di fattori
sconosciuti allo stato attuale e potrebbe essere significativamente più
breve. Dunque, la Corte rileva come già la prima fase del test di cui alla
sentenza Sanchez-Sanchez c. Regno Unito
[GC] non sia stata soddisfatta e ricorda come il test rigoroso per la
"sproporzione grave" [gross
disproportionality] ai sensi della convenzione possa venire soddisfatto
solo in rare e uniche occasioni. Al contrario, una pena non può essere
considerata gravemente sproporzionata per il solo fatto di essere più severa
di quella che sarebbe stata inflitta in un altro Stato. |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 27 giugno 2023 (Nurcan Bayraktar c. Turchia) Art. 8 e Art. 14 e Art. 34 CEDU –Violazione
del diritto al rispetto della vita privata da parte del rifiuto dei giudici
nazionali di esonerare la ricorrente, senza sottoporsi a un esame medico per
certificare la sua assenza di gravidanza, dal periodo di attesa legale di
trecento giorni imposto alle donne divorziate che desiderano risposarsi nel
diritto turco. La Corte rileva come l’obiettivo di consentire l’accertamento
biologico della paternità collegato alla previsione legale sia irrealistico
in una società moderna. La questione della gravidanza di una donna è del
resto strettamente legata all’intimità della sua vita privata, mentre la
motivazione poggiante sulle caratteristiche biologiche specifiche delle donne
riflette una visione tradizionale della sessualità femminile che non
riconosce l’importanza fisica e psicologica della stessa per lo sviluppo
delle donne come individui. Vista la mancanza di motivi pertinenti e
sufficienti, la misura è da ritenersi non proporzionata. Per quanto riguarda la violazione del
divieto di discriminazioni ex Art. 14 CEDU, in collegamento con l’Art. 12, la
Corte rileva il ristretto margine di apprezzamento in capo agli Stati nel
caso di discriminazioni dirette basate sul sesso, in questo caso peraltro non
giustificabili con l’obiettivo di prevenire l’incertezza sulla paternità di
un nascituro. Ne consegue una differenza di trattamento non oggettivamente
giustificata né necessaria. Dal punto di vista dello status
di vittima ex Art. 34 CEDU della ricorrente, la Corte rileva come
l’interessata sia da ritenersi direttamente colpita dalla disposizione di
legge che prevede il termine in questione per il solo fatto di appartenere
alla categoria delle donne divorziate capaci di contrarre matrimonio. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 27 giugno 2023 (Bryan e Altri c. Russia) Art. 35 § 2 (b), Art. 34, Art. 5
§ 1, Art. 5 § 1 (c) e Art. 10 CEDU – Circa la ricevibilità del ricorso ai
sensi dell’Art. 35 § 2 (b), la Corte rileva che, nel caso del fermo da parte russa di una nave
battente bandiera dei Paesi Bassi e degli attivisti di Greenpeace a bordo,
seppure la questione sia già stata sottoposta a un’altra procedura
internazionale, ossia a una Procedura di arbitrato interstatale ai sensi
della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, l’oggetto e gli
obiettivi delle procedure e gli stessi ricorrenti dinanzi alla Corte EDU e al
Tribunale arbitrale siano sostanzialmente diversi. La Corte conferma dunque
la ricevibilità del ricorso, anche considerando che, per quanto riguarda lo
status di vittima ai sensi dell’Art. 34, la transazione raggiunta nell’ambito
di una controversia interstatale che prevede, tra l’altro, il risarcimento
dei ricorrenti, non li priva del suddetto status di vittima ai sensi della
Convenzione. La Corte rileva del resto il mancato riconoscimento da parte del
Governo convenuto, a livello interno e internazionale, di una violazione
della Convenzione, così come il fatto che l’amnistia generale che ha
comportato l’interruzione del procedimento penale nei confronti dei
ricorrenti non fosse riferita alla loro situazione specifica o al
riconoscimento di una violazione dei loro diritti. Dal punto di vista sostanziale,
la Corte rileva una violazione delle disposizioni di cui agli Art. 5 § 1 e
Art. 5 § 1 (c) CEDU, causata già in primo luogo dall’arresto e dalla
detenzione illegali dei ricorrenti a bordo di una nave russa a seguito di una
protesta presso una piattaforma di trivellazione petrolifera offshore nel
Mare di Pechora, all’interno della zona economica esclusiva della Federazione
Russa, così come, in seguito, dall’arresto e detenzione arbitrari su
territorio russo. La Corte rileva anche una violazione del diritto alla
libertà di espressione, visto che la natura illegale della detenzione subita
incide sulla legittimità stessa dell’ingerenza statale su tale libertà. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 27 giugno 2023 (Zhablyanov c. Bulgaria) Art. 10 CEDU – Mancata
violazione della libertà di espressione nel caso della destituzione del
vicepresidente del Parlamento bulgaro per discorsi e comportamenti che
giustificano le repressioni del regime comunista. Per la Corte occorre
tracciare una distinzione tra destituzione da incarichi professionali e da
incarichi politici come quello ricoperto dal ricorrente, nel caso di
dichiarazioni non meritevoli della maggiore tutela normalmente accordata su
questioni di interesse pubblico. La Corte ritiene che la necessità del
provvedimento vada valutata alla luce della storia della Bulgaria dopo la
Seconda guerra mondiale e della natura totalitaria del regime comunista. Stati che hanno vissuto le repressioni
comuniste hanno una particolare responsabilità morale nel prendere le
distanze da esse, esercitando, come in questo caso, una forma di rimozione da
ritenersi simbolica e preventiva piuttosto che punitiva. Si è perciò trattato
di una misura qualificabile come "necessaria in una società
democratica”. Sono presenti un’opinione
concorrente e un’opinione dissenziente. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 22 giugno 2023 (Poklikayew c. Polonia) Art. 1 P. 7 CEDU – Violazione
delle garanzie procedurali relative all’espulsione di stranieri da parte
dell’avvenuta espulsione per motivi di sicurezza nazionale sulla base di
informazioni classificate non comunicate al ricorrente, senza sufficienti
garanzie di controbilanciamento, in quanto la vi è stata una limitazione
significativa del diritto del richiedente di essere informato delle
circostanze di fatto e del contenuto dei documenti alla base della decisione
di espulsione. La Corte classifica come inadeguate le informazioni comunicate
al richiedente sulle accuse a suo carico e sulla condotta che avrebbe messo
in pericolo la sicurezza nazionale e come molto generiche le motivazioni
fornite dai tribunali nazionali a sostegno di tali conclusioni. Inoltre al richiedente non è
stata concessa un’effettiva possibilità di farsi rappresentare da un
avvocato. Il coinvolgimento della più alta autorità giudiziaria si configura
dunque come una salvaguardia
significativa, ma insufficiente, date le scarse e poco specifiche
informazioni disponibili. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 22 giugno 2023 (Lorenzo Bragado e Altri c. Spagna) Art. 6 § 1 CEDU – Violazione del
diritto di accesso a un tribunale a causa del rifiuto da parte della Corte
costituzionale di un ricorso diretto per amparo, in quanto tardivo e senza
esame del merito, contro la mancata prosecuzione del processo di nomina del
nuovo Consiglio generale della magistratura (CGG) da parte del Parlamento. Il
ricorso per amparo veniva presentato da parte dei magistrati facenti parte
della lista finale dei candidati. La Corte, ritenuto l’Art. 6 applicabile, fa
valere l’obbligatorietà e la specificità dell’azione che spettava al
Parlamento intraprendere entro un determinato lasso di tempo, così come il
fatto che si trattasse di una controversia reale e seria sulla presenza o
meno di un diritto civile, in capo ai ricorrenti e ai sensi del diritto
interno, di partecipare alla procedura di nomina dei membri del CGG e di
avere un esame tempestivo delle loro candidature da parte del Parlamento. Il
reclamo dei ricorrenti avrebbe potuto essere giudicato dalla Corte
costituzionale, mentre la Corte EDU ritiene che la prima condizione del “test
di Eskelinen” non sia stata in questo caso soddisfatta, in quanto vi
sarebbero stati un’interpretazione e applicazione imprevedibili del diritto
interno pertinente da parte della Corte costituzionale, ciò comportando
l’illegittima compromissione dell’essenza stessa del diritto di accesso a un
tribunale. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 20 giugno 2023 (Alkan c. Turchia) Art. 6 § 1 CEDU – Violazione del
diritto di accesso a un tribunale causato dall’impossibilità per un candidato
giudice, dopo il completamento della formazione, di chiedere il controllo
giurisdizionale della decisione di rifiuto della nomina. In applicazione
dell’Art. 6, la Corte si esprime nel senso di un "diritto"
esistente da parte dei candidati in formazione nel diritto e nella prassi
nazionale a ricorrere contro la nomina o il rifiuto arbitrari. Facendo
applicazione dei criteri “Eskelinen” [Vilho
Eskelinen e Altri c. Finlandia], la Corte ritiene che la prima condizione
del test di Eskelinen, ossia la previsione legale dell’esclusione dalla
tutela giurisdizionale, sia stata soddisfatta da parte dello Stato, mentre la
seconda condizione del test, ossia la giustificatezza dell’eslcusione per un
determinata categoria di dipendenti pubblici, non lo sia stata. Ne discende
che l’esclusione del ricorrente, il quale soddisfa i requisiti di
ammissibilità previsti dalla legge, dalla fase finale del processo di nomina,
senza controllo giurisdizionale, non è nell’interesse di uno Stato di
diritto, dato il legame tra l’integrità del processo di nomina dei giudici e
il requisito dell’indipendenza della magistratura, nonché l’importanza
dell’equità procedurale nei casi che riguardano la selezione, la nomina e la
carriera dei giudici. La Corte riscontra del resto l’assenza di ragioni
eccezionali e convincenti che giustifichino il mancato controllo
giurisdizionale. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 20 giugno 2023 (Alkan c. Turchia) Art. 6 § 1 CEDU – Violazione del
diritto di accesso a un tribunale causato dall’impossibilità per un candidato
giudice, dopo il completamento della formazione, di chiedere il controllo
giurisdizionale della decisione di rifiuto della nomina. In applicazione
dell’Art. 6, la Corte si esprime nel senso di un "diritto"
esistente da parte dei candidati in formazione nel diritto e nella prassi
nazionale a ricorrere contro la nomina o il rifiuto arbitrari. Facendo
applicazione dei criteri “Eskelinen” [Vilho
Eskelinen e Altri c. Finlandia], la Corte ritiene che la prima condizione
del test di Eskelinen, ossia la previsione legale dell’esclusione dalla
tutela giurisdizionale, sia stata soddisfatta da parte dello Stato, mentre la
seconda condizione del test, ossia la giustificatezza dell’eslcusione per un
determinata categoria di dipendenti pubblici, non lo sia stata. Ne discende
che l’esclusione del ricorrente, il quale soddisfa i requisiti di
ammissibilità previsti dalla legge, dalla fase finale del processo di nomina,
senza controllo giurisdizionale, non è nell’interesse di uno Stato di
diritto, dato il legame tra l’integrità del processo di nomina dei giudici e
il requisito dell’indipendenza della magistratura, nonché l’importanza
dell’equità procedurale nei casi che riguardano la selezione, la nomina e la
carriera dei giudici. La Corte riscontra del resto l’assenza di ragioni
eccezionali e convincenti che giustifichino il mancato controllo
giurisdizionale. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 15 giugno 2023 (Fanouni c. Francia) Art. 2 P. 4 CEDU – Mancata
violazione della libertà di circolazione nel caso del confinamento
obbligatorio nella propria residenza [Assignation
à résidence] comminato in via cautelare e amministrativa a un islamista
radicalizzato, con armi e munizioni sequestrate nella sua abitazione,
disposta per tre mesi e due giorni sulla base allo stato di emergenza
successivo agli attentati terroristici del 2015-2016. La Corte ritiene che le
sufficienti garanzie procedurali contornanti la misura la caratterizzino come
proporzionata. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 13 giugno 2023 (Aktürk e Altri c.Turchia) Art. 1 P.1 CEDU – Mancata
violazione del diritto al rispetto dei propri beni da parte del rifiuto
dell’amministrazione di perfezionare il contratto di vendita di un terreno
agricolo, in origine di proprietà pubblica ma occupato ininterrottamente e
legalmente dal de cujus dei ricorrenti a partire dal 1966, iscrivendolo a
nome di questi ultimi nel registro fondiario dopo il versamento del
corrispettivo richiesto dalla legge turca per l’acquisto della proprietà in
casi simili. La Corte rileva in particolare che il mancato perfezionamento,
ai sensi del diritto nazionale, discende dalla decisione da parte
dell’amministrazione, intervenuta dopo il versamento del corrispettivo da
parte dei ricorrenti, di destinare il terreno a un uso di interesse pubblico,
in conseguenza di un disastro naturale. La Corte ricorda come il margine di
apprezzamento dello Stato debba ritenersi in questi casi particolarmente
ampio nel valutare quale sia l’interesse generale e che i ricorrenti
avrebbero comunque avuto la concreta possibilità di chiedere
all’amministrazione il rimborso della somma versata dal loro de cujus, senza
ulteriori oneri inquadrabili come speciali ed esorbitanti. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 6 giugno 2023 (Sarısu Pehlivan c.Turchia) Art. 10 CEDU – Violazione della
libertà di espressione determinata dalla sanzione disciplinare inflitta dal
Consiglio dei giudici e dei pubblici ministeri turco a una magistrata e
segretario generale dell’Unione dei giudici a causa della sua intervista sul
tema del referendum sulle riforme costituzionali con riguardo all’ordinamento
della magistratura. La Corte ribadisce il diritto e dovere dell’interessata
di esprimere il proprio parere su tali riforme, in grado di esercitare un
impatto sul sistema giudiziario e sull’indipendenza della magistratura. Si è
trattato infatti di dichiarazioni relative a un dibattito su questioni
d’interesse pubblico e richiedenti un elevato livello di protezione. La Corte
rileva che la pena pur moderata della trattenuta dello stipendio per due
giorni è da considerarsi idonea ad avere un effetto dissuasivo per
l’interessata e per la magistratura nel suo complesso, e rileva altresì
l’insufficienza dei motivi posti a fondamento della sanzione. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 6 giugno 2023 (Navalnyy c. Russia (no. 3)) Art. 2 e Art. 46 CEDU –
Riconosciuta violazione in conseguenza del rifiuto delle autorità nazionali
di indagare in un procedimento penale sulle plausibili affermazioni relative
all’avvelenamento del ricorrente con un agente chimico nervino vietato dalla Convenzione
sulle armi chimiche. La Corte riscontra l’inadeguatezza dell’indagine
preliminare, svolta in forma non pubblica e senza tenere conto del diritto
della vittima di partecipare al procedimento. Si riscontra inoltre la mancata
indagine su un possibile movente politico per il tentato omicidio, sul
coinvolgimento o sulla collusione di agenti statali e sull’uso dichiarato di
una sostanza vietata. Rispetto all’esecuzione delle proprie sentenze, la
Corte ribadisce la necessità di indagini tempestive conformi all’Art. 2. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 6 giugno 2023 (Demirtaş e Yüksekdağ
Şenoğlu c.Turchia) Art. 5 § 4 CEDU – Violazione del
diritto a una rapida decisione sulla legalità della detenzione determinata
dalla mancanza di un’assistenza legale effettiva per contestare la detenzione
preventiva dei ricorrenti a causa della supervisione da parte delle autorità
carcerarie degli incontri con i loro avvocati. La Corte rileva l’assenza di
garanzie adeguate e sufficienti contro gli abusi in assenza di norme
specifiche e dettagliate, nonché l’assenza di circostanze eccezionali tali da
derogare al principio essenziale della riservatezza degli incontri con gli
avvocati, rilevando come le autorità nazionali non abbiano fornito prove
dettagliate in grado di giustificare l’imposizione delle misure contestate ai
sensi del decreto-legge adottato nel contesto dello stato di emergenza
seguito al fallito colpo di Stato del 2016. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 1 giugno 2023 (Maymulakhin e Markiv c. Ucraina) Art. 14 e Art. 8 CEDU –
Violazione del divieto di discriminazione, unitamente alla mancata protezione
del diritto alla vita privata, determinata dall’assenza di qualsiasi forma di
riconoscimento giuridico e di protezione per una coppia dello stesso sesso,
in quanto integrante una differenza ingiustificata di trattamento rispetto a
coppie di sesso diverso sulla sola base dell’orientamento sessuale. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 30 maggio 2023 (Nepomnyashchiy e Altri c. Russia) Art. 14 e Art. 8 CEDU –
Violazione del divieto di discriminazione, unitamente alla mancata protezione
del diritto alla vita privata, causata dal mancato rispetto da parte delle
autorità nazionali dell’obbligo di rispondere adeguatamente alle dichiarazioni
omofobe pronunciate da funzionari statali nei confronti di membri della
comunità LGBTI. Nonostante l’esistenza di un quadro giuridico nazionale in
grado, in teoria, di offrire protezione contro le dichiarazioni
stigmatizzanti, le disposizioni giuridiche pertinenti non sono state
applicate al caso dei ricorrenti, con conseguente mancato raggiungimento, da
parte dei tribunali nazionali, di un giusto equilibrio tra i diritti
concorrenti degli Artt. 8 e 10 nei procedimenti penali e con totale assenza
di ogni tentativo di bilanciamento nei procedimenti civili. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 30 maggio 2023 (Azzaqui c. i Paesi Bassi) Art. 8 CEDU – Violazione del diritto alla vita
privata determinato dalla revoca del permesso di soggiorno di un migrante
stabilitosi da lungo tempo nello Stato e affetto da malattia mentale, a cui
si è aggiunta l’imposizione di un divieto d’ingresso di dieci anni a causa
dei reati violenti commessi, nonostante i progressi compiuti dopo anni di
detenzione in una clinica. La Corte rileva la mancata considerazione della
ridotta capacità d’intendere e di volere del richiedente a causa della sua
malattia mentale e il mancato bilanciamento degli interessi in gioco e di
tutti i fattori rilevanti nel caso di specie. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sezione IV) 23 maggio 2023 (Buhuceanu e Altri c. Romania) Art. 8 CEDU – Violazione degli
obblighi positivi relativi al diritto alla vita privata e famigliare
determinata dall’assenza di qualsiasi forma di riconoscimento giuridico e di
tutela per le coppie dello stesso sesso. La Corte fa applicazione dei principi
stabiliti nella causa Fedotova e altri
c. Russia [G.C.] e ritiene che nel caso di specie i motivi di interesse
pubblico addotti non prevalgono sugli interessi dei ricorrenti, con
conseguente oltrepassamento del margine di apprezzamento. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 15 maggio 2023 (Sanchez c. Francia) Art. 10 CEDU – Mancata
violazione della libertà di espressione nel caso di una personalità politica
multata in un procedimento penale per non aver cancellato dalla sua
"bacheca" Facebook, accessibile al pubblico e usata per la sua
campagna elettorale, commenti islamofobici da parte di terzi, anch’essi
condannati. La Corte ricorda i doveri e le responsabilità dei politici che
utilizzano i social network per scopi politici ed elettorali, anche in
conseguenza dell’impatto accentuato dell’hate
speech che provoca danni maggiori in un periodo elettorale caratterizzato
da tensioni e con la conseguente necessità di una responsabilità condivisa
tra tutti gli attori coinvolti. Ciò rende auspicabile l’attuazione di un
grado minimo di moderazione o di filtraggio preventivo da parte del titolare
dell’account per identificare e rimuovere i commenti illeciti entro un tempo
ragionevole, anche in assenza di notifica da parte della parte lesa. È stata
d’altra parte una scelta deliberata del richiedente, esperto di comunicazione
pubblica e conoscitore delle piattaforme digitali, di consentire l’accesso
pubblico all’account. Il ricorrente non ha poi proceduta alla rimozione dei
commenti nonostante fosse a conoscenza degli stessi e sebbene non si
trattasse di un account con traffico potenzialmente eccessivo. La Corte compie un’analisi di
proporzionalità in funzione del livello di responsabilità della persona
interessata e del suo grado di notorietà e rappresentatività. Alla luce di
tale analisi, la condanna penale appare proporzionata e non imprevedibile da
parte del ricorrente. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 9 maggio 2023 (Kitanovska e Barbulovski c. Macedonia del
Nord) Art. 6 § 1 CEDU – Violazione del
diritto di accesso a un tribunale determinato dal rigetto, da ritenersi
sproporzionato, dell’opposizione contro un’ingiunzione di pagamento emessa da
un notaio, perché non presentata tramite un avvocato come previsto dal
diritto interno e senza che vi sia stato un esame del merito. La Corte
ritiene che la violazione consegua dal fatto che quello in oggetto è un
requisito di ordine generale e applicato automaticamente, senza possibilità
di ottenere un’esenzione. Di conseguenza i tribunali nazionali non sono in
grado di prendere in considerazione le circostanze specifiche del caso, né vi
è nessuna possibilità di diritto interno per il debitore di rimediare a un
vizio procedurale dopo la scadenza del termine per la presentazione
dell’opposizione. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 9 maggio 2023 (Korkut e Amnesty International Turchia c.
Turchia) Art. 6 § 1 e Art. 11 CEDU –
Violazione del diritto a un equo processo determinata dalla sanzione
amministrativa inflitta al presidente della sezione turca di Amnesty International per non aver
rispettato una disposizione di legge che impone alle associazioni di
dichiarare i fondi ricevuti dall’estero alle autorità prima di utilizzarli.
Per la Corte le decisioni dei giudici nazionali non sono state
sufficientemente motivate, mentre, sotto il profilo della libertà di
associazione, si è trattato di un’interferenza non prevista da una norma
legislativa sufficientemente prevedibile. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 9 maggio 2023 (Testimoni di Geova c. Finlandia) Art. 9 CEDU – Mancata violazione
della libertà di manifestazione della propria religione da parte della
normativa nazionale che vieta alla comunità religiosa dei Testimoni di Geova
di raccogliere e trattare dati personali durante la predicazione porta a porta
senza il consenso degli interessati. La Corte ritiene non arbitraria o
irragionevole la decisione nazionale da cui origina il ricorso, in quanto
frutto dell’interpretazione delle disposizioni pertinenti in materia di
protezione dei dati e basata sugli orientamenti della Corte di giustizia
dell’Unione europea. Per la Corte l’obbligo di consenso previsto dalla legge
è una salvaguardia appropriata e necessaria, senza alcuna prova di un
lamentato "effetto paralizzante" (“chilling effect”). Vi è stato invece un equo bilanciamento tra
gli interessi contrapposti basati sugli Artt. 9 e 8. Si è trattato dunque di
un’interferenza "necessaria in una società democratica" e svoltasi
all’interno del margine di discrezionalità dello Stato. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 9 maggio 2023 (Horion c. Belgio) Art. 3 CEDU – Violazione del
divieto di trattamenti inumani e degradanti determinata dall’impossibilità
per il ricorrente, dal gennaio 2018, di essere collocato in un’unità
psichiatrica forense (“unité de
psychiatrie légale”), anche se la sua detenzione in carcere non era più
indicata come opportuna dalle autorità nazionali. L’ammissione all’unità
suddetta è stata considerata dai tribunali nazionali come una tappa
essenziale per il reinserimento nella società del detenuto del caso in
oggetto, che è stato recluso per un periodo molto lungo dal 1979, nonché come
misura necessaria per la sua liberazione. Tuttavia, tale esigenza si è
scontrata col fatto che il sostegno finanziario pubblico all’ammissione alla
suddetta unità psichiatrica fosse rivolto solo a persone internate (“internées”) e non a persone condannate
(“condamnées”) e in quanto tali
ritenute penalmente responsabili degli atti commessi. La Corte constata
dunque che nel caso concreto non residuava in realtà nessuna prospettiva
realistica di rilascio, a causa di impedimenti pratici di bilancio. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 9 maggio 2023 (Ghadamian c. Svizzera) Art. 8 CEDU – Violazione degli
obblighi positivi connessi al diritto al rispetto della vita privata a causa
del rifiuto del permesso di soggiorno per pensionati a un cittadino straniero
anziano che viveva in Svizzera da oltre 50 anni, ma illegalmente dal 2002, a
causa di una decisione di espulsione, mai eseguita, causata dalla sua
condanna per gravi reati. La Corte riscontra inizialmente l’assenza di una
vita familiare tra il ricorrente e i suoi figli adulti, ma rileva anche la
presenza di circostanze particolari, quali una durata totale del soggiorno
estremamente lunga, con conseguente radicamento per quanto riguarda la
propria vita privata, costruita durante il suo soggiorno legale a partire
dall’arrivo nel 1969. Si riscontra poi come sia dubbia l’esistenza di
relazioni nel Paese d’origine del ricorrente, l’Iran, nonché, quali altri
fattori, l’assenza di reati gravi commessi della stesso dal 2005 e
l’insufficienza degli sforzi compiuti da parte delle autorità nazionali per
oltre 20 anni ai fini di espellere il ricorrente. Inoltre, la Corte rileva
come l’ambito del controllo esercitato da parte del Tribunale federale
elvetico sia stato del tutto insufficiente, con un peso eccessivo attribuito
all’interesse pubblico rispetto al diritto alla vita privata del ricorrente. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 4 maggio 2023 (Dieudonné e Altri c. Francia) Art. 6 § 1 CEDU – Mancata
violazione del diritto ad accedere a un tribunale in conseguenza
dell’impossibilità, per i comproprietari di minoranza di un bene espropriato,
di impugnare la sentenza fissante l’indennità di espropriazione. La Corte
rileva infatti che gli interessi dei comproprietari come gruppo sono stati
rappresentati nel procedimento dal sindacato dei comproprietari, mentre sono
state le stesse autorità esproprianti a diventare comproprietari di
maggioranza a seguito di precedenti acquisti bonari. Vi era inoltre la
possibilità per i comproprietari divenuti minoranza di proporre un’azione per
abuso di maggioranza contro la decisione dell’assemblea generale dei
comproprietari di non impugnare la sentenza. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 4 maggio 2023 (A.C. e M.C. c. Francia) Art. 3, Art. 5 § 1 e § 4 CEDU –
Violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti causata dalla
detenzione amministrativa di nove giorni di una madre e del figlio minorenne
di sette mesi e mezzo, in vista del loro trasferimento in Spagna, in quanto
le condizioni di accoglienza nel centro di detenzione sono state una fonte
importante di stress e di angoscia per un bambino in tenera età, superando la
soglia di gravità dell’Articolo 3, in relazione al trascorrere del tempo.
Violazione del diritto alla libertà e alla sicurezza a causa della detenzione
amministrativa, pur di per sé regolare, ma prorogata per ventotto giorni
senza una sufficiente verifica che si trattasse di una misura di ultima
istanza e senza la possibilità di sostituzione con un’altra misura meno
restrittiva. La Corte riscontra inoltre la mancanza di un controllo sulla
legalità della proroga della detenzione amministrativa. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 2 maggio 2023 (S.P. e Altri c. Russia) Art. 3 e Art 13 CEDU –
Violazione del divieto di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti
determinata dalla segregazione, umiliazione e abuso dei detenuti da parte dei
compagni di cella a causa del loro status inferiore nella gerarchia informale
dei detenuti. La Corte rileva che si è trattato di abusi tollerati dal
personale carcerario e manifestatisi nella stigmatizzazione dei ricorrenti,
nella loro assegnazione a lavori umili e nella negazione dei bisogni primari,
con minacce e occasionali violenze fisiche e sessuali e conseguente paura
costante nel corso degli anni. La Corte rinviene la mancata adozione da parte
delle autorità nazionali di misure di protezione individuali dei detenuti più
deboli nelle carceri russe, che sarebbero invece necessarie per affrontare un
problema classificato nella sentenza come di tipo sistemico. La Corte ritiene
dunque che alla violazione dell’Art. 3 si unisca anche la violazione dell’Art
13, vista la mancanza di una possibilità di ricorso effettivo. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 2 maggio 2023 (Mestan c. Bulgaria) Art. 10 CEDU – Violazione del
diritto alla libertà di espressione, segnatamente della libertà di comunicare
e ricevere informazioni, a causa della sanzione amministrativa derivante dal
divieto assoluto per un politico di utilizzare una lingua non ufficiale in
campagna elettorale. La Corte ritiene inoltre che i tribunali nazionali siano
stati nel caso di specie privati del loro potere di esercitare un adeguato
controllo giurisdizionale e che l’Art. 10, letto alla luce dell’Art. 1 P.3,
deve essere inteso nel senso di garantire ai candidati di gruppi minoritari
il diritto di utilizzare la loro lingua madre nelle campagne elettorali al
fine di dare a queste minoranze un accesso alle elezioni pari a quello degli
altri cittadini, data l’importanza del pluralismo, della tolleranza e della tutela delle
minoranze in una società democratica. Il margine di discrezionalità statale,
particolarmente ampio nella politica linguistica, deve ritenersi dunque
ristretto per quanto riguarda il discorso politico e le elezioni. Alla luce
degli elementi sopra richiamati, il divieto in oggetto deve perciò ritenersi
sproporzionato. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 28 aprile 2023 (Georgia c. Russia (II)) Art. 41 CEDU – In punto di equa
soddisfazione, la Corte ha deciso a favore della concessione dei danni non
pecuniari al Governo ricorrente, a beneficio di vittime identificate, anche
se la decisione è basata solo su prove presentate dal Governo ricorrente in
considerazione della mancata partecipazione del Governo convenuto al
procedimento. La competenza della Corte viene ritenuta sussistente in quanto
i fatti all’origine delle violazioni si sono verificati prima della
fuoriuscita della Federazione russa al Consiglio d’Europa, mentre la mancata
collaborazione del Governo convenuto non costituisce un ostacolo all’esame
delle richieste da parte della Corte. La Corte fa in questo caso applicazione
della stessa metodologia utilizzata nella causa Georgia c. Russia (I) (per quanto riguarda l’equa soddisfazione)
e rimarca come prosegua il controllo del Comitato dei Ministri del Consiglio
d’Europa sull’esecuzione delle sentenze della Corte nei confronti della
Federazione russa, mentre l’istituzione di un meccanismo efficace per la
distribuzione delle somme assegnate alle singole vittime è affidata al
governo ricorrente. È presente un’opinione separata,
parzialmente dissenziente. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 13 aprile 2023 (E.K. c. Lettonia) Art. 8 CEDU – Violazione degli
obblighi positivi ricollegati al diritto alla vita famigliare a causa della
mancata tempestiva adozione da parte delle autorità nazionali delle misure
necessarie per far valere i diritti di contatto del ricorrente con la figlia,
cercando di superare l’atteggiamento ostruzionistico della madre e di
conciliare gli interessi contrastanti delle parti. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 11 aprile 2023 (Simonova c. Bulgaria) Art. 8 CEDU – Violazione del
diritto all’abitazione in conseguenza dell’ordine di demolizione di un
edificio costruito illegalmente, e adibito ad abitazione della ricorrente e
dei suoi figli minori, a causa dell’assenza di una valutazione di
proporzionalità della misura scelta, della mancata considerazione del rischio
di lasciare la famiglia senza casa e della mancata adozione di misure per
alleviare le gravi difficoltà derivanti dal provvedimento. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 6 aprile 2023 (Drozd c. Polonia) Art. 10 CEDU – Violazione della
libertà di espressione causata dalla mancanza di adeguate garanzie
procedurali nell’imposizione del divieto di accesso al Parlamento per un anno
ai membri di un movimento civico informale per aver esposto uno striscione durante
una manifestazione pacifica al di fuori dell’edificio; in particolare la
Corte ha censurato il fatto che ai sensi del diritto interno non fosse
possibile per i ricorrenti essere coinvolti nella procedura che ha condotto
all’imposizione del divieto e, al contempo, la mancanza di una procedura
chiara per impugnare il provvedimento. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 4 aprile 2023 (Radonjić e Romić c. Serbia) Art. 34, Art. 5 § 3 e Art. 5 § 4
CEDU – Alla luce dell’art. 34 CEDU, la Corte ritiene in primo luogo che
l’espresso riconoscimento da parte della Corte costituzionale serba della
violazione dell’Art. 5 § 3 della Convenzione, per la seconda parte della custodia
cautelare dei ricorrenti, non sia di per sé, da solo, un rimedio sufficiente
alla violazione, in assenza dell’imposizione di un risarcimento a loro
favore. La Corte osserva infatti che manca una via chiara e consolidata nel
diritto interno serbo per richiedere un adeguato risarcimento e ritiene che
nel caso di specie, che riguarda due agenti dei servizi segreti accusati
dell’omicidio di un giornalista, vi sia stata anche una violazione del
principio di ragionevolezza in rapporto alla durata della custodia cautelare,
con la mancata indicazione da parte dei tribunali competenti, come da
conclusioni della Corte Costituzionale, di motivi pertinenti e sufficienti
per giustificare la seconda parte della custodia cautelare per un periodo di
oltre due anni, con conseguente violazione generale dell’Art. 5. Dal punto di
vista dell’Art. 5 § 4 CEDU e della rapidità del controllo giurisdizionale, la
Corte rileva come la Corte costituzionale serba abbia impiegato più di due
anni a pronunciarsi sulla legittimità della detenzione, un tempo che deve
essere considerato eccessivo. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 4 aprile 2023 (A.H. e altri c. Germania) Art. 8 CEDU – Mancata violazione
degli obblighi positivi collegati al diritto alla privacy nel caso dell’impossibilità giuridica per un genitore transgender di indicare il proprio
genere attuale, estraneo alla propria funzione procreativa, sull’atto di
nascita del figlio concepito dopo il cambiamento di genere (nel giudizio in
oggetto una donna transgender era
stata indicata come padre in virtù della precedente donazione del suo sperma
per la fecondazione). La Corte prende atto della mancanza di un consenso
europeo sul punto e del conseguente ampio margine d’apprezzamento per gli
Stati. La Corte riafferma il diritto del bambino a conoscere le proprie
origini e il proprio legame con il padre e la madre in modo stabile e
immutabile e la conseguente possibilità di ridurre le situazioni che rivelino
l’identità transgender del
genitore. D’altra parte, la Corte ritiene che in questo caso il rapporto di
filiazione tra il genitore transgender
e il figlio non sia messo in discussione e che il giudice nazionale abbia trovato
un giusto equilibrio tra il diritto all’autodeterminazione del genitore transgender, gli interessi pubblici
della certezza del diritto e dell’affidabilità e coerenza dello stato civile,
e gli interessi anche in termini di benessere del bambino. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Ex Sez. V, giudizio di Revisione) 30 marzo 2023 (X c. Repubblica Ceca) Art. 8 CEDU e Artt. 28 e 80 del Regolamento
della Corte Mancata violazione del diritto
alla vita famigliare, in riferimento ai connessi obblighi positivi dello
Stato, in conseguenza dell’esecuzione dell’ordine di rimpatrio negli Stati
Uniti (ai sensi della Convenzione dell’Aia) del figlio del ricorrente, in quanto
l’esame da parte dei giudici nazionali è avvenuto nel rispetto dei requisiti
procedurali richiesti dall’art. 8, con una motivazione sufficiente e un equa
ponderazione degli interessi in gioco, avendo l’interesse superiore del
minore come considerazione principale. Dal punto di vista procedurale,
la Corte ha ritenuto che la domanda di revisione della propria precedente
sentenza fosse fondata, pur dichiarando nuovamente infondata nel merito la
pretesa sollevata in giudizio dal ricorrente. Per quanto riguarda in particolare
l’incompatibilità e l’esonero di un proprio giudice, la Corte ha dovuto
giudicare del fatto nuovo, ma d’influenza decisiva, della partecipazione ai
procedimenti presso la Corte EDU di un giudice nazionale in precedenza
coinvolto in un procedimento costituzionale strettamente connesso a quello
esaminato dalla Corte europea (nel giudizio sfociato nella sentenza oggetto
di revisione). La Corte ritiene che, ai sensi del Regolamento della Corte,
l’incompatibilità (“inability to sit”)
di un giudice, derivante da una qualsiasi causa, non dipenda (anche) dalla
posizione delle parti nel procedimento, ma (solo) dai motivi indicati
nell’articolo 28, paragrafo 2 del Regolamento della Corte. La responsabilità
per l’attuazione del principio di imparzialità oggettiva non è dunque
lasciata alla sola iniziativa delle parti e la richiesta di revisione fondata
sull’asserita esistenza di impedimenti alla partecipazione di un giudice al
procedimento non può essere respinta, in linea di principio, solo perché la
parte che ha presentato tale richiesta aveva omesso di informare la Corte dei
propri dubbi prima dell’adozione della sentenza. È invece doveroso applicare
rigorosamente il principio d’imparzialità oggettiva, che impone la revisione
quando è dimostrata l’esistenza di motivi oggettivi di possibile impedimento
del giudice, anche se non è certo che la partecipazione del medesimo possa
aver influenzato la sentenza originaria. Per questo la Corte ha giudicato che
le condizioni di cui all’articolo 80 delle Regole della Corte siano state
soddisfatte e la sentenza è stata dunque sottoposta a revisione nella sua
interezza. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 30 marzo 2023 (Szolcsán c. Ungheria) Art. 14, Art. 2 P.1 e Art. 46 – Violazione del
divieto di discriminazione, congiuntamente al diritto all’educazione, in un
caso di segregazione di un alunno rom in una scuola elementare frequentata
quasi esclusivamente da bambini rom. La Corte stigmatizza la mancata
adozione, in assenza di una giustificazione obiettiva e ragionevole, di
misure di desegregazione adeguate per correggere la situazione
d’ineguaglianza di fatto e per evitare il suo perpetuarsi, in ciò rinvenendo
gli elementi della discriminazione. Per quanto riguarda l’esecuzione della
sentenza, la Corte giudica che lo Stato convenuto sia tenuto ad adottare
misure generali, oltre al caso di specie, per porre fine alla segregazione
degli alunni rom in scuole specifiche, sottolineando la necessità di
sviluppare una più ampia politica contro la segregazione nell’istruzione. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 28 marzo 2023 (Sârbu c. Romania) Art. 8 – Mancata violazione del diritto alla
riservatezza e alla tutela della vita privata in conseguenza dell’utilizzo,
nell’ambito di un procedimento penale a carico del ricorrente, di
registrazioni effettuate a sua insaputa da un attuale coimputato, tramite una
videocamera miniaturizzata collegata ad una penna e nell’ambito della comune
attività lavorativa. Pur ritenendo che il caso in oggetto rientri nell’ambito
di applicabilità dell’art. 8 CEDU, la Corte giudica vi sia stato un controllo
effettivo dell’utilizzo del mezzo sopra indicato da parte dello Stato. In
particolare, le autorità nazionali hanno scoperto le registrazioni in oggetto
a seguito di una perquisizione informatica autorizzata nell’ambito di un
altro procedimento penale a carico del ricorrente (e non in maniera
accidentale, come sostenuto da quest’ultimo) e l’iscrizione delle stesse nel
fascicolo come prova incriminante è avvenuta in conformità alla legge. L’uso
delle suddette registrazioni è sempre stato limitato a procedimenti penali
che offrivano le dovute garanzie al ricorrente e si tratta di registrazioni
relative a due episodi specifici. Inoltre, le stesse appaiono limitate nel
tempo e non ottenute mediante una sorveglianza costante o prolungata su un
lungo periodo. Nel corso del procedimento penale, si è anche avuta una
appropriata valutazione scientifica e forense delle registrazioni tesa ad
accertarne caratteristiche e affidabilità. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 28 marzo 2023 (Saure c. Germania (n. 2)) Art. 10 – Violazione della
libertà di ricevere e comunicare informazioni causata dal rigetto della
richiesta di un giornalista tedesco di divulgare informazioni su risultanze
incriminanti, dal punto di vista penale, a carico di giudici e di un pubblico
ministero per i quali sussistevano indizi di una precedente collaborazione
con il Ministero della Sicurezza dello Stato della ex Repubblica Democratica
Tedesca (DDR). La Corte ritiene che non vi sia stato un adeguato
bilanciamento degli interessi contrapposti, né l’indicazione di ragioni
pertinenti e sufficienti per il diniego di divulgazione. Inoltre, è mancata
una verifica della possibilità di fornire le informazioni in questione in
forma anonima, a fronte del significativo interesse pubblico alla conoscenza
delle relative vicende. La Corte non ritiene invece che una violazione della
libertà di ricevere e comunicare informazioni sia stata causata dal rifiuto
della richiesta di conoscere i nomi e le sedi di servizio dei giudici e del
pubblico ministero, in quanto vi è qui stata una ponderazione accurata degli
interessi in gioco da parte delle autorità dello Stato, sussistendo motivi
pertinenti e sufficienti per la mancata divulgazione. In specie, per la Corte
esiste comunque la possibilità di avere un dibattito pubblico sulla base di
alcune delle informazioni che sono state divulgate ed è giustificato il
rifiuto della richiesta generica e non motivata di fornire informazioni sul
coinvolgimento di giudici in "procedimenti relativi ad atti illeciti
commessi dalla DDR". |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 21 marzo 2023 (Telek e altri c.Turchia) Art. 8 e Art. 2 P.2 – Violazione
del diritto al rispetto della vita privata e violazione del diritto
all’educazione causate dal ritiro illegale e arbitrario dei passaporti di
alcuni ricercatori universitari, per un periodo di tempo considerevole, in
applicazione di decreti-legge adottati durante lo stato di emergenza seguito
al tentato golpe del 2016 in
Turchia. La Corte giudica che le misure governative, adottate a seguito del
licenziamento dei ricorrenti dal servizio pubblico per presunti legami con
un’organizzazione terroristica non provati dalle autorità, abbiano avuto un
impatto significativo sulla vita all’estero dei ricorrenti, sia dal punto di
vista accademico e professionale che dal punto di vista privato. Inoltre, la
Corte rileva che nel caso in oggetto non siano state rispettate quelle
garanzie procedurali che devono circondare il potere discrezionale delle
autorità amministrative ai sensi della Convenzione, mentre il controllo
giurisdizionale è stato inadeguato e inefficace, con conseguente mancato
rispetto della proporzionalità rigorosa (“stricte
mesure”) richiesta dalle particolari circostanze dello stato d’emergenza.
Dal punto di vista del diritto all’istruzione, la Corte ritiene che il
provvedimento ha reso impossibile il proseguimento degli studi di dottorato
nelle università all’estero a cui gli accademici erano stati ammessi e che
l’Articolo 2, paragrafo 1, sia applicabile anche agli studi di dottorato con
l’obbligo per gli Stati membri di non ostacolare in modo ingiustificato – e
nel caso di specie imprevedibile – l’esercizio del diritto all’istruzione
sotto forma di studi di grado superiore negli istituti di istruzione
universitaria all’estero (“études
supérieures dans des établissements d’enseignement supérieur”). Si registra un’opinione
parzialmente dissenziente. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 23 marzo 2023 (Rogalski c. Polonia) Art. 10 – Violazione della
libertà di espressione a causa della ingiustificata sanzione disciplinare
somministrata a un avvocato, con la generica motivazione di una condotta non
etica per aver egli segnalato la commissione di un reato da parte di un pubblico
ministero senza un’adeguata base di fatto e senza moderazione,
proporzionalità e cautela, secondo le autorità dello Stato. La Corte rileva
in particolare la mancata (reale) motivazione della decisione da parte dei
tribunali disciplinari polacchi e il conseguente superamento del margine di
apprezzamento. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 14 marzo 2023 (Gran Rabbinato della comunità ebraica di Smirne c. Turchia) Art. 34, Art. 35 § 3 e Art. 1 P. 1 – Violazione
del diritto al rispetto della proprietà causata dall’imprevedibile rifiuto da
parte dei tribunali nazionali (in applicazione di disposizioni non
pertinenti, nella specie l’iscrizione del terreno a nome del pubblico erario)
di iscrizione nel catasto a nome del richiedente di un terreno su cui è
costruita un’antica sinagoga di proprietà del Rabbinato, in considerazione
del fatto che l’origine di quello che la Corte qualifica come un vero e
proprio diritto reale risale al periodo dell’Impero Ottomano. Nel merito, la
Corte ritiene infatti che l’interesse patrimoniale rappresentato in giudizio
dal Gran Rabbinato di Smirne debba considerarsi un diritto di proprietà ai
sensi del Protocollo 1, in quanto si ravvisa l’esercizio di un possesso
inequivocabile, ininterrotto e incontrastato della sinagoga per circa quattro
secoli in capo al Rabbinato e il terreno e l’edificio sono caratterizzati da
elementi particolari e da un uso specifico, legati alla vita religiosa della comunità
ebraica. Dal punto di vista procedurale, la Corte chiarisce che il ricorso è
ricevibile ai sensi degli Articoli 34 e 35 CEDU, in quanto il Gran Rabbinato
di Smirne dev’essere considerato come un legittimo ricorrente secondo la
Convenzione, in quanto rappresenta i suoi fedeli e costituisce un’istituzione
religiosa disciplinata da disposizioni risalenti al periodo ottomano, avendo
anche acquisito a suo nome e utilizzato liberamente beni immobili, tanto che
la sua capacità di agire in giudizio e di acquisire beni immobili non è mai
stata messa in discussione dalle autorità amministrative o dai tribunali
nazionali nel corso del tempo. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 14 marzo 2023 (Georgiou c. Grecia) Art. 6 § 1 e Art. 46 –
Violazione del diritto a un equo processo a causa del mancato esame da parte
della Corte di cassazione greca, senza motivazione, della domanda di rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea proposta dal
ricorrente, ex presidente dell’Autorità di Statistica Ellenica (ESTAT). In
merito all’esecuzione della sentenza, la Corte ritiene adeguata la riapertura
del procedimento interno, se richiesta dal ricorrente, per consentire l’esame
della domanda di rinvio pregiudiziale. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 9 marzo 2023 (L.B. c. Ungheria) Art. 8 – Violazione del diritto
al rispetto della vita privata in conseguenza della pubblicazione
ingiustificata dei dati identificativi del ricorrente, compreso l’indirizzo
di casa, sul portale web dell’autorità fiscale ungherese per non aver egli
adempiuto ai suoi obblighi fiscali. La Corte ritiene che a fronte delle
finalità legittime di migliorare l’efficienza del sistema fiscale e
dell’ampio margine di discrezionalità dello Stato nello stabilire il regime
di diffusione dei dati personali dei contribuenti che non adempiono agli
obblighi fiscali, non sia stato però raggiunto da parte del legislatore
statale un giusto equilibrio tra gli interessi pubblici e privati in gioco a
causa della mancata previsione legale dell’obbligo di una valutazione di
proporzionalità individualizzata da parte dell’autorità fiscale, della
mancanza di valutazione della necessità di pubblicare l’indirizzo di
residenza del debitore fiscale al fine di ottenere un effetto deterrente e
della mancanza di una valutazione dell’impatto sul diritto alla riservatezza.
La Corte ritiene in specie che non sia stato valutato l’impatto sul diritto
alla riservatezza soprattutto alla luce del mezzo utilizzato per la
diffusione (Internet). Il legislatore non ha in merito elaborato risposte
adeguatamente personalizzate alla luce del principio di minimizzazione dei
dati e di altre considerazioni sulla protezione dei dati personali su
internet. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 7 marzo 2023 (Mamasakhlisi e altri c. Georgia e Russia) Art. 1, Art. 3, Art. 5 § 1 e
Art. 6 § 1 e § 3 – Violazione dell’obbligo di rispettare i diritti umani
gravante in capo allo Stato russo, in quanto avente controllo effettivo e
influenza decisiva sul territorio georgiano dell’Abkhazia in considerazione
del sostegno politico, economico e finanziario nonché del coinvolgimento
militare alle autorità secessioniste, con conseguente responsabilità della
Russia per gli atti delle autorità dell’Abkhazia in relazione ai ricorrenti
detenuti e alle violazioni dei diritti convenzionali da essi sopportate. La
Corte chiarisce come, rispetto agli obblighi positivi della Georgia nei
confronti dell’Abkhazia, si tratti di una parte del suo territorio su cui
all’epoca dei fatti lo Stato georgiano non aveva alcun controllo, con
conseguente assenza di responsabilità da parte della Georgia per quanto
riguarda gli obblighi positivi gravanti sullo Stato. La Corte accerta la
violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti a danno dei
ricorrenti durante la loro detenzione nonché l’illegalità della detenzione
stessa e del precedente arresto, per la mancanza di informazioni sulle leggi
applicabili e la scarsità di fonti ufficiali d’informazione sul sistema
legale e giudiziario vigente nella regione separatista dell’Abkhazia. La
Corte non è anzi in grado di verificare se le autorità e i tribunali
abkhaziani soddisfino di fatto i requisiti dell’art. 5; essa ritiene che
manchi però la base per supporre l’esistenza di un sistema nella regione che
rifletta una tradizione giudiziaria compatibile con la Convenzione. La Corte
accerta la lesione del diritto a un equo processo da parte di un tribunale
indipendente e imparziale stabilito dalla legge in quanto i tribunali
abkhaziani esistono esclusivamente in via fattuale ma senza una valida base
giuridica, e non potevano né possono perciò qualificarsi come "tribunale
stabilito dalla legge”. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 7 marzo 2023 (Kogan e altri c. Russia) Art. 8, Art. 18 e Art. 38 –
Violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare in
conseguenza della ingiustificata revoca del permesso di soggiorno di
un’avvocata per i diritti umani residente in Russia ma di nazionalità
statunitense, in nome di ragioni di sicurezza nazionale non ulteriormente
motivate dalle autorità statali. Secondo la Corte si è avuto un esame
puramente formale della decisione di revoca da parte dei tribunali nazionali
con conseguente privazione a danno della ricorrente della possibilità di
contestare o rispondere in contraddittorio alle accuse fattuali a suo carico
e mancato raggiungimento da parte dei tribunali nazionali di un giusto
equilibrio tra interessi concorrenti. Di conseguenza il procedimento di
revoca è stato inficiato da gravi vizi procedurali che ne compromettono
l’equità, con una restrizione dei diritti convenzionali per scopi non
autorizzati, nello specifico la revoca del permesso di soggiorno apparendo
finalizzata a punire le attività svolte dalla ricorrente e dal marito a
tutela dei diritti umani e a impedirne la prosecuzione. La Corte prende in
esame il contesto generale di aumento delle severe restrizioni nei confronti
delle ONG, dei difensori dei diritti umani e di altri attori della società
civile in Russia, con conseguente "effetto paralizzante" (“chilling effect”) sulle loro attività.
La Corte rileva anche il mancato rispetto da parte dello Stato russo
dell’obbligo di fornire le facilitazioni necessarie all’esame della causa
secondo l’Art. 38 della CEDU. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 28 febbraio 2023 (Căpăţînă c.
Romania) Art. 1 P.1 – Mancata violazione
del diritto al godimento pacifico dei propri beni nel caso di un sequestro
temporaneo durante un procedimento penale per corruzione e della confisca dei
proventi di reato, dopo la condanna, in quanto manca ogni profilo di arbitrarietà.
La Corte non riscontra inoltre alcun profilo di sproporzione con le somme
sequestrate e confiscate, tenuto conto delle circostanze e del metodo di
calcolo utilizzato, il procedimento si svolto inoltre rispettando il
contraddittorio e i principi dell’equo processo e dunque non è stato in
questo caso alterato l’equo bilanciamento tra interessi concorrenti. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 21 febbraio 2023 (Catană c. Repubblica di Moldavia) Art. 6 – Violazione del diritto
a un equo processo determinata dall’insufficienza dei requisiti
d’indipendenza e imparzialità presenti nei due procedimenti disciplinari
contro un magistrato in Moldavia. In particolare, i giudici non erano in
maggioranza nel collegio disciplinare che ha preso le decisioni, vista anche
la presenza nel Consiglio superiore della magistratura (CSM) moldavo di
membri ex officio (tra cui il
ministro della Giustizia e il procuratore generale) e di professori di
diritto scelti senza sufficienti garanzie d’indipendenza. La Corte ritiene
che già la sola presenza di membri del Governo negli organi disciplinari
della magistratura ponga seri problemi rispetto all’art. 6, pur nei casi in
cui questi ultimi rivestano un ruolo meramente passivo. La Corte prende
peraltro atto che una recente modifica costituzionale del 2022 ha cambiato la
composizione del CSM, escludendo vi faccia parte il Ministro della Giustizia
e stabilendo requisiti di merito più stringenti. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 20 febbraio 2023 (Ucraina e Paesi Bassi c. Russia) Art. 42 e Art. 71 del
Regolamento della Corte EDU – La Corte comunica che la Grande Camera ha
deciso di riunire il ricorso inter-statale Ucraina c. Russia (X) ai precedenti ricorsi Ucraina e Paesi Bassi c. Russia. I ricorsi citati saranno da ora
denominati unitariamente come Ucraina e
Paesi Bassi c. Russia. La decisione è stata prese in sintonia con
l’interesse all’efficienza dell’amministrazione della giustizia e
l’ammissibilità del ricorso Ucraina c.
Russia (X) sarà esaminata insieme al merito dei due procedimenti
esistenti Ucraina e Paesi Bassi c.
Russia, rispetto ai quali la
decisione circa l’ammissibilità è
già stata presa dalla Corte, con esito favorevole. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Comunicato stampa) 16 febbraio 2023 (Leszczyńska-Furtak e altri c.
Polonia; Gregajtys c. Polonia; Piekarska-Drążek c. Polonia) Art. 39 del Regolamento della Corte EDU – La
Corte rende noto che il Governo polacco ha comunicato che non intende
rispettare le misure provvisorie pronunciate dalla Corte europea rispetto ai
casi sopra indicati, tutti riguardanti la rimozione o altre sanzioni
disciplinari imposte a giudici polacchi a seguito delle riforme del sistema
giudiziario entrate in vigore nel 2017-2018. Il Governo polacco fa
riferimento alla sentenza della Corte costituzionale polacca che ha negato la
competenza della Corte EDU a giudicare sull’organizzazione del giudiziario in
Polonia, oltre che su una dichiarazione pubblica del Presidente della Corte
d’Appello di Varsavia che nega vi siano elementi fattuali o di diritto per
ottemperare alle misure richieste dalla Corte di Strasburgo. La Corte EDU
offre anche una sommaria quantificazione dei ricorsi intentati da giudici
polacchi nel 2022 e tuttora pendenti davanti alla Corte. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 14 febbraio 2023 (Halet c. Lussemburgo) Art. 10 – Violazione del diritto
alla libertà di espressione a causa dell’ammenda penale di 1.000 euro
somministrata al ricorrente per aver divulgato ai media documenti riservati
di un datore di lavoro del settore privato riguardanti le pratiche fiscali di
società multinazionali (c.d. caso “Luxleaks”).
Nel caso in oggetto, la Corte compie un consolidamento della propria
precedente giurisprudenza in materia di protezione dei pubblici informatori
(“whistle-blowers”), con un
perfezionamento dei criteri stabiliti nella precedente sentenza Guja. Constatata l’assenza di una
definizione astratta e generale della nozione di pubblico informatore, la
Corte ritiene che la richiesta di protezione in base a questo status debba
essere concessa in funzione delle circostanze e del contesto di ciascun caso.
Nella decisione in oggetto, la Corte compie una valutazione complessiva dei
criteri “Guja”, considerati
separatamente, ma senza gerarchia o ordine specifico. In particolare, si
ritiene che il canale scelto per effettuare la divulgazione fosse accettabile
pur in assenza di un comportamento illegale da parte del datore di lavoro,
per l’autenticità dei documenti divulgati e la buona fede del ricorrente. È
dunque stato necessario operare un bilanciamento degli interessi concorrenti
in gioco da parte della Grande Camera, in quanto l’esercizio di bilanciamento
dei giudici nazionali non soddisfaceva i requisiti individuati dalla Corte
EDU nella presente sentenza, avendo seguito i giudici del Lussemburgo
un’interpretazione eccessivamente restrittiva dell’interesse pubblico delle
informazioni divulgate e avendo essi preso in considerazione solo il
pregiudizio arrecato al datore di lavoro. Invece, l’interesse pubblico alla
divulgazione prevale su tutti gli effetti pregiudizievoli, tra cui il furto
di dati, la violazione del segreto professionale e il pregiudizio agli
interessi privati dei clienti del datore. In conseguenza, appare
sproporzionata la natura della condanna penale inflitta. |
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req. n. 58951/18 e 1308/19 |
Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 9 febbraio 2023 (Canal 8 c. Francia) Art. 10 – Mancata violazione del
diritto alla libertà di espressione da parte delle pesanti sanzioni
pecuniarie inflitte alla società televisiva C8 dal Conseil supérieur de l’audiovisuel francese a causa del contenuto
di sequenze trasmesse nel programma "Touche
pas à mon poste", in quanto le sanzioni sono state circondate da
adeguate garanzie procedurali ed erano
previste dalla legge, e le sequenze sanzionate erano lesive dell’immagine
della donna e idonee a stigmatizzare gli omosessuali e a violarne il diritto
alla vita privata, con particolare impatto su un pubblico giovane. La
sanzione appare dunque proporzionata, considerati anche i fini solo
commerciali del programma televisivo, le ripetute violazioni da parte della
società ricorrente dei suoi obblighi etici e l’ampio margine di
discrezionalità in capo allo Stato. |
Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 7 febbraio 2023 (Elvan c. Turchia) Art. 2 (procedurale) –
Violazione del diritto alla vita determinata dalla mancanza di un’indagine
efficace sul possibile ruolo del Prefetto e del Direttore della Sicurezza
nella morte di un ragazzo di 15 anni a causa di una ferita da lanciagranate
durante gli eventi di protesta di Gezi Park, a Istambul, nel 2013. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 7 febbraio 2023 (Jovanović c. Serbia) Art. 1 P. 12 e Art. 6 –
Violazione del divieto di discriminazione e del diritto a un’equa udienza e a
un equo processo a causa del comportamento ingiustificato del giudice che
impedisce all’avvocato di utilizzare la variante “Ijekavian” o “fiumana” della lingua serbo-croata (maggioritaria
in Croazia ma riconosciuta nello Stato serbo) e consente invece l’uso del
serbo “ekaviano”, nonostante la
parità di status ufficiale di entrambe le varianti. La Corte rileva in specie
la mancanza di un’adeguata motivazione da parte della Corte costituzionale
serba nel rifiutare di trattare il ricorso del ricorrente. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 31 gennaio 2023 (Y. c. Francia) Art. 8 – Mancata violazione
degli obblighi positivi ricollegati al diritto al rispetto della vita privata
e famigliare in conseguenza del rifiuto delle autorità nazionali d’inserire
nel certificato di nascita di una persona intersessuale la dicitura "neutro"
o "intersessuale" al posto di "maschio". La Corte
riconosce che anche se la discrepanza tra l’identità biologica e quella
giuridica del richiedente è fonte per lui di sofferenza e ansia, dal punto di
vista del suo diritto all’identità personale, assumono rilevanza al contempo
gli argomenti d’interesse pubblico portati dallo Stato, ossia il principio
d’indisponibilità dello stato civile, nonché la necessità di preservare la
certezza e l’affidabilità dei registri di stato civile e degli attuali
assetti legislativi e sociali vigenti in Francia, in quanto costruiti a
partire da una concezione binaria dei sessi (“de la binarité des sexes”). In mancanza di un consenso europeo
sul punto, la Corte rileva come la questione appartiene al novero di quelle
rispetto alle quali le opinioni ragionevoli possono differire ampiamente
entro una società democratica e spetta alla società stessa di compiere una
scelta, con conseguente ampio margine di apprezzamento per lo Stato. La Corte
ritiene dunque che la decisione su quanto velocemente e in che misura
rispondere alle richieste di stato civile delle persone intersessuali rientri
nella discrezionalità dello Stato convenuto, pur tenendo conto della
difficile situazione di questa categoria di persone. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 23 gennaio 2023 (Macatė c. Lituania) Art. 10 – Violazione della libertà di
espressione a causa della sospensione temporanea di un libro di favole per
bambini che raffigura relazioni tra persone dello stesso sesso e successiva
etichettatura come dannoso per i minori di 14 anni. Si tratta infatti di un
libro che non promuove relazioni tra persone dello stesso sesso a scapito di
relazioni tra persone di sesso diverso né “insulta, degrada o sminuisce”
queste ultime. Le misure impugnate non perseguono alcuno scopo legittimo ai
sensi dell’articolo 10, par. 2, nella misura in cui cercano di limitare
l’accesso dei minori alle informazioni che descrivono le relazioni tra
persone dello stesso sesso come essenzialmente equivalenti a quelle tra
persone di sesso diverso. La Corte ricorda come l’uguaglianza e il rispetto
reciproco per le persone di diverso orientamento sessuale siano insiti
nell’intero tessuto della Convenzione. La Corte chiarisce che, ai sensi della
Convenzione, le restrizioni all’accesso dei minori alle informazioni sulle
relazioni tra persone dello stesso sesso, basate unicamente su considerazioni
di orientamento sessuale, sono incompatibili con le nozioni di uguaglianza,
pluralismo e tolleranza insite in una società democratica. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 19 gennaio 2023 (Pagerie c. Francia) Art. 2 P. 4 – Mancata violazione
della libertà di movimento nel caso dell’obbligo di permanenza domiciliare
preventiva (“assignation à résidence
préventive”) di un islamista radicalizzato, in quanto la misura,
protrattasi per tredici mesi durante lo stato di emergenza (“état d’urgence”) successivo agli
attentati terroristici del 2015, è stata circondata da sufficienti garanzie
procedurali. La Corte riconosce l’intensità della misura amministrativa in
oggetto, che assommava un coprifuoco notturno e l’obbligo di presentarsi tre
volte al giorno alla polizia, pena l’incarcerazione, ma ritiene che la legge
francese sull’“état d’urgence”
stabilisca con sufficiente chiarezza lo scopo e i modi d’esercizio del potere
del Ministro dell’Interno e garantisca comunque un controllo giurisdizionale
effettivo contro il rischio d’arbitrarietà e abusi. Inoltre, vi è stata nel
caso di specie una verifica periodica della necessità della misura da parte
della stessa amministrazione. Dunque, la misura è da considerarsi proporzionata
e non ha impedito la vita sociale e le relazioni con il mondo esterno del
ricorrente. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 17 gennaio 2023 (Minasian e altri c. Repubblica di Moldavia) Art. 5 § 1 e § 4 – Violazione del diritto alla
libertà e alla sicurezza causata dalla detenzione di figli minori che abbiano
accompagnato la madre, migrante irregolare e soggetto di provvedimento di
espulsione, in detenzione. La detenzione in sé è da considerare rispettosa
dei criteri convenzionali di legalità, ma la Corte censura invece la mancata
verifica da parte dei tribunali nazionali del carattere di ultima istanza
della misura della detenzione dei minori e la mancata verifica del fatto che
il centro di detenzione fosse o meno appropriato per ospitare famiglie con
figli minori, vista anche l’impossibilità per i minori di contestare la
legittimità della loro detenzione. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 17 gennaio 2023 (Axel Springer SE c. Germania) Art. 10 – Mancata violazione
della libertà di espressione da parte di un ordine giustificato e
proporzionato del tribunale alla società ricorrente, una casa editrice, di
pubblicare la risposta di un funzionario politico interessato ad un suo
articolo di giornale al fine di rettificare un’inesattezza fattuale, dal
momento che la valutazione del giudice nazionale risulta ben motivata e che
tiene in debito conto la giurisprudenza della Corte. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 17 gennaio 2023 (Fedotova e altri c. Russia) Art. 8 – Violazione degli
obblighi positivi collegati alla tutela della vita privata e famigliare
determinata dall’assenza di qualsiasi forma di riconoscimento giuridico e di
protezione per le coppie dello stesso sesso. La Corte conferma l’obbligo
positivo di fornire un quadro giuridico che garantisca a tali coppie un
riconoscimento e una protezione adeguati, facendo riferimento al fatto che i
precedenti giurisprudenziali della Corte sono consolidati da una chiara
tendenza in atto nelle legislazioni della maggioranza degli Stati contraenti
e da posizioni convergenti di vari organismi internazionali. Nell’ambito
della tutela delle minoranze omosessuali entro gli Stati membri, la Corte
ritiene che il margine di apprezzamento sia ridotto per la fornitura di un
qualche quadro giuridico e più ampio per la determinazione dell’esatta natura
della forma di riconoscimento e del contenuto della protezione. Non è infatti
richiesta la forma del matrimonio. Tuttavia, i motivi di interesse pubblico
addotti dallo Stato (nella specie, le preferenze espresse dalla maggioranza)
non prevalgono sugli interessi dei richiedenti e il margine di apprezzamento
è stato oltrepassato nel caso di specie. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 12 gennaio 2023 (Potoczká e Adamčo c. Slovacchia) Art. 8 e Art. 13 –
Violazione del diritto al rispetto della vita privata e della corrispondenza
da parte del mandato del tribunale che autorizza le intercettazioni
telefoniche durante un procedimento penale senza motivazione e in modo non
conforme allo stesso diritto interno, in mancanza di un ricorso effettivo a
tutela del diritto leso. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 12 gennaio 2023 (Ovcharenko and Kolos c. Ucraina) Art. 8 e Art. 6 –
Violazione del diritto a un equo processo e del diritto al rispetto della
vita privata a causa del licenziamento, dopo i rivolgimenti politici del
2014, di due giudici della Corte costituzionale ucraina per aver partecipato
a una sentenza del 2010 ritenuta discutibile (“debatable”) e che aveva dichiarato l’incostituzionalità degli
emendamenti costituzionali approvati dal Parlamento ucraino nel 2004, a causa
di vizi procedurali. La Corte EDU censura l’avvenuta rimozione perché
disposta senza che vi sia stata una chiara interpretazione dell’imputata
"violazione del giuramento" e della portata dell’immunità
funzionale dei giudici. La Corte rileva inoltre come dopo la propria
decisione precedente Oleksandr Volkov
c. Ucraina (del gennaio 2013) non sia intervenuta nessuna modifica
legislativa per portare a una maggiore prevedibilità nei procedimenti contro
i giudici per “violazione del giuramento”, sottolineando che è richiesta la
massima cautela e che una motivazione dettagliata è cruciale quando i giudici
costituzionali sono licenziati dal Parlamento. L’uso di poteri discrezionali
da parte delle autorità nazionali mina la certezza del diritto e non è
giustificato dal contesto di proteste massicce e da un cambiamento
straordinario del potere dello Stato, eventi avvenuti in Ucraina a inizio
2014. Si rileva inoltre come vi sia stato un inadeguato controllo
giudiziario, senza una risposta elaborata sulle questioni cruciali, a fronte
di una chiara tendenza europea verso la necessità di motivi rigorosi e
ristretti per sanzionare i giudici costituzionali. In termini generali e
nell’ambito dei giudizi sui giudici nazionali, la Corte traccia poi la
necessità di operare una distinzione tra un’interpretazione o un’applicazione
discutibile della legge, da un lato, e una violazione grave e flagrante della
legge, l’arbitrarietà, una grave distorsione dei fatti o un’evidente mancanza
di base giuridica per un provvedimento giudiziario, dall’altro. Inoltre, le
decisioni riguardanti la responsabilità dei giudici richiedono sempre l’esame
dell’elemento psicologico dietro la presunta cattiva condotta e la
conseguente distinzione tra un errore del giudice fatto in buona o in cattiva
fede. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Misura provvisoria) 21 dicembre 2022 (Armenia c. Azerbaigian n. 4) Art. 39 del Regolamento della
Corte EDU – Nell’ambito del contezioso intra-statale tra Armenia e
Azerbaigian, che si prolunga dal riaccendersi delle ostilità tra i due Stati
intorno alla regione separatista del Nagoro-Karbakh, la Corte si è nuovamente
pronunciata - in via provvisoria ex art. 39 del Regolamento - richiedendo al
Governo dell’Azerbaigian di adottare tutte le misure, nella sua sfera di
competenza domestica secondo il diritto internazionale (within their jurisdiction), per garantire un passaggio sicuro
attraverso il “Corridoio di Lachin”, che collega Nagoro-Karabakh e Armenia,
alle persone gravemente malate che necessitano di cure mediche in Armenia e
alle altre persone che sono rimaste bloccate sulla strada senza un riparo o
mezzi di sussistenza. La Corte fa riferimento, oltre alla Convenzione, agli
impegni assunti dall’Azerbaigian ai sensi dell’art. 6 della Dichiarazione
Trilaterale siglata il 9 novembre 2020. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 20 dicembre 2022 (Bakoyanni
c. Grecia) Art. 6 – Violazione del diritto a un equo
processo in conseguenza del rifiuto del Parlamento greco di revocare
l’immunità di un ministro dinnanzi all’azione penale intentata contro di lui
su iniziativa della ricorrente, membro del Parlamento, per presunta
diffamazione. La Corte rileva in primo luogo che il rimedio specifico
richiesto dalla ricorrente per tutelare il suo diritto civile alla
reputazione, attraverso la pubblicazione sui giornali di qualsiasi futura
sentenza in caso di condanna del ministro, è possibile solo nell’ambito di un
procedimento penale. La Corte rileva poi la mancanza di un chiaro
collegamento tra il presunto comportamento del ministro e le sue attività
parlamentari o ministeriali, con conseguente lesione dell’essenza stessa del
diritto di accesso al tribunale della ricorrente. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 20 dicembre 2022 (Zemmour c. France) Art. 10 – Mancata
violazione del diritto alla libertà di espressione in conseguenza di una
condanna penale e di un’ammenda per incitamento alla discriminazione e
all’odio religioso nei confronti della comunità musulmana francese,
pronunciate a seguito di osservazioni formulate dal ricorrente (noto
giornalista e, in seguito, politico francese) nel 2016, nel corso di un
programma televisivo e nel contesto degli attentati terroristici del 2015. La
Corte ritiene le dichiarazioni del ricorrente non sufficienti a dimostrare in
modo immediato il loro essere dirette alla distruzione dei diritti e delle
libertà sanciti dalla Convenzione (rispetto alla popolazione musulmana
francese); inoltre, le affermazioni incriminate si sono svolte in un
dibattito d’interesse pubblico. Tuttavia, la Corte fa riferimento all’ampio
margine di apprezzamento riservato allo Stato in casi come quello in oggetto,
dal momento che discorsi di incitamento all’odio come quello del ricorrente
non godono di una protezione rinforzata sotto l’art. 10 e che sono stati
pronunciati da una persona e in un contesto tali da accrescerne la
diffusione. La Corte rileva poi la presenza, nella decisione dei giudici
nazionali, di una motivazione sufficiente e pertinente, anche se non
espressamente fondata sull’articolo 10, e il fatto che la pena inflitta vada
considerata come non eccessiva. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 15 dicembre 2022 (Olivares Zúñiga c. Spagna) Art. 6 – Violazione del diritto
di accesso a un tribunale in conseguenza della dichiarazione di
inammissibilità di un ricorso di Amparo
in relazione al requisito imprevedibile del previo esperimento di altro
ricorso. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 15 dicembre 2022 (Rutar e Rutar Marketing D.O.O. c. Slovenia)
Art. 6 – Violazione del
diritto a un equo processo causata dalla mancata motivazione da parte del
giudice nazionale del rifiuto di accogliere la domanda di rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea presentata dal
ricorrente. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 13 dicembre 2022 (RTBF. c. Belgio) Art. 10 – Violazione della
libertà di espressione in un caso di condanna in sede civile di un’emittente
radio-televisiva per aver questa violato i diritti alla privacy e alla presunzione di innocenza di due persone attraverso
la diffusione di una notizia sul loro comportamento sospetto relativo a
possibili abusi sessuali su minori. La Corte ritiene la motivazione della
decisione statale pertinente ma insufficiente, a fronte dell’assenza di un
ragionevole rapporto di proporzionalità, e questo nonostante la riconosciuta
leggerezza della sanzione inflitta. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 13 dicembre 2022 (Florindo de Almeida Vasconcelos Gramaxo
c. Portogallo) Art. 8 e Art. 6 – Mancata
violazione del diritto al rispetto della vita privata in conseguenza del
licenziamento disposto sulla base dei dati raccolti grazie a un GPS
installato dal datore di lavoro per misurare i chilometri percorsi con l’auto
aziendale dal ricorrente. Pur considerando in astratto applicabile l’Art. 8,
la Corte riconosce, da un lato, l’esistenza di un quadro normativo statale a
tutela dei lavoratori, dall’altro, l’assenza di un precedente ricorso
giurisdizionale, da parte dell’attuale ricorrente, in merito
all’installazione del dispositivo GPS, a lui già nota. Inoltre, il Tribunale portoghese di ultima
istanza ha ridotto la portata dell’intrusione nella vita privata limitandola
ai dati strettamente necessari per il fine legittimo perseguito dall’azienda
(controllo delle spese), compiendo una ponderazione dettagliata dei diritti
concorrenti in gioco, in conformità alla giurisprudenza della Corte. Il
margine di apprezzamento non è stato perciò superato. Mancata violazione al diritto a
un equo processo nel corso del procedimento di contestazione dei motivi di
licenziamento, in quanto esso non risulta viziato dall’utilizzo esclusivo dei
dati di geolocalizzazione legale come prova, infatti altri mezzi di prova
sono stati presi in considerazione, nel rispetto dei diritti della difesa.
Perciò la sentenza, emessa al termine di un procedimento in contraddittorio e
motivata in fatto e in diritto, non è arbitraria né manifestamente
irragionevole. Un’opinione dissenziente comune
a tre giudici è annessa al giudizio. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 8 dicembre 2022 (Yakovlyev c. Ucraina) Art. 3 – Violazione del divieto di trattamenti
inumani e degradanti in un caso di alimentazione forzata di un detenuto in
sciopero della fame per protestare contro il regime carcerario a cui era
sottoposto. La Corte ritiene la necessità medica dell’alimentazione forzata
non dimostrata in modo convincente, a fronte di garanzie procedurali
insufficienti a causa dell’assenza di norme giuridiche e dell’inefficacia del
controllo giudiziario. Per la Corte, la risposta dello Stato alle proteste
pare essere limitata all’alimentazione forzata dei detenuti, a fronte della
necessità di indagare le ragioni alla base delle proteste dei detenuti e di
garantire una risposta significativa alle loro denunce, essenziale per un
esame e una gestione adeguati della situazione. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 8 dicembre 2022 (M.K. e altri c. Francia) Art. 6 – Violazione del diritto
di accesso a un tribunale in conseguenza del rifiuto delle autorità
amministrative di eseguire le ordinanze provvisorie di un giudice
amministrativo che impongono allo Stato di fornire un alloggio d’emergenza ai
richiedenti asilo e ai loro figli. La Corte ritiene che l’Art. 6 § 1 sia
applicabile alla concessione e al rifiuto di un posto in un alloggio
d’emergenza, nella misura in cui questo costituisce un diritto civile. Si
rileva poi la completa passività delle autorità amministrative, nonostante il
fatto che le ordinanze fossero il risultato di una procedura d’emergenza,
mentre la presa in carico dei ricorrenti è avvenuta solo a seguito delle
misure provvisorie pronunciate dalla Corte europea. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 6 dicembre 2022 (Leszczyńska-Furtak e altri c. Polonia)
Art. 39 del Regolamento della Corte EDU – In un
caso concernente il trasferimento di Sezione di tre giudici polacchi, per
motivi disciplinari e potenzialmente ricollegabile alle recenti riforme del
sistema giudiziario in Polonia, la Corte dispone in via provvisoria che lo
Stato sospenda il trasferimento dei ricorrenti fintanto che la Corte non
abbia deliberato sul merito dei ricorsi. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 6 dicembre 2022 (Spasov c. Romania) Art. 6 e Art. 1 Prot. 1 –
Violazione del diritto a un equo processo in conseguenza di una condanna
penale basata su disposizioni del diritto nazionale manifestamente contrarie
a norme dell’U.E. prevalenti sulle prime e direttamente applicabili. La Corte
giudica che la mancata considerazione della prevalenza del diritto
euro-unitario dia luogo a un errore manifesto di diritto che comporta un
diniego di giustizia La confisca del valore e il
divieto temporaneo di pesca nella zona economica esclusiva rumena, in quanto
conseguenti a una condanna penale contraria al diritto dell’Unione Europea e
perciò priva di base legale, integrano anche una violazione dell’Art. 1 Prot.
1 della Convezione. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 6 dicembre 2022 (K.K. e altri c. Danimarca) Art. 8 – Affrontando diversi
profili in un caso nel quale ricorrenti erano congiuntamente dei minori nati
all’estero tramite maternità surrogata e moglie del loro padre genetico -
alla quale era stato concesso l’affidamento congiunto ma non l’adozione, in
conformità con il divieto posto dalla legge danese per l’ipotesi di
versamento di un qualsiasi tipo di corrispettivo economico volto a ottenere
l’adozione - la Corte non rinviene violazioni dell’Art. 8 né sotto il profilo
del rispetto della vita famigliare, in quanto nel caso di specie non vi è
stato nessun ostacolo al godimento di tale diritto da parte di tutti i
ricorrenti, né sotto il profilo del rispetto della vita privata della
ricorrente madre intenzionale, in ragione della legittima prevalenza degli
interessi pubblici in gioco. Invece, la Corte giudica che via
sia stata violazione dell’Art. 8 sotto il profilo del rispetto della vita
privata dei minori ricorrenti a causa del rifiuto di consentire l’adozione da
parte della moglie del loro padre genetico, nonostante l’assenza di altre
possibilità di riconoscimento di un rapporto giuridico genitore-figlio
nell’ordinamento statale. La Corte riconosce in particolare l’impatto
negativo che sul diritto dei bambini al rispetto della loro vita privata ha
l’incertezza giuridica sulla loro identità all’interno della società, non
risultando le soluzioni previste dalla legge danese sufficienti a compensare
il rifiuto dell’adozione del figlio del partner (stepchild adoption), da ciò derivando il mancato raggiungimento
di un giusto equilibrio tra gli interessi concorrenti in gioco. Un’opinione dissenziente è
annessa al giudizio. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 6 dicembre 2022 (Pannon Plakát Kft e altri c. Ungheria) Art. 34 e Art. 1 Prot. 1 –
Chiarendo i limiti entro i quali si applica lo status di “vittima” ai sensi
dell’Art. 34, la Corte rimarca come il diritto di petizione individuale non
sia un diritto proprietario e non sia come tale trasferibile. La Corte rinviene una violazione
del diritto al rispetto del godimento pacifico dei propri beni, nella forma
di un eccessivo controllo dell’uso della proprietà, in conseguenza dello
sproporzionato divieto legale di affissioni pubblicitarie stradali al di
fuori dei centri abitati, che ha causato l’estinzione di una parte
sostanziale delle attività delle società ricorrenti. Pur essendo legittimo
l’obiettivo della sicurezza del traffico stradale e ampio il margine
d’apprezzamento dello Stato in materia, la misura impugnata si caratterizza
per la sua natura inattesa e in parte retroattiva, risultando il periodo
transitorio molto breve e insufficiente per consentire un’adeguata
riorganizzazione delle società ricorrenti a fronte del repentino venir meno
di un’importante fonte di entrate, in assenza di un regime di compensazione,
da tali elementi derivando un onere eccessivo imposto ai ricorrenti, che
oltrepassa il margine d’apprezzamento. La Corte riconosce
congiuntamente un danno patrimoniale e non patrimoniale per la perdita di
opportunità economica e per la frustrazione subita a causa dell’interferenza
legislativa. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 1 dicembre 2022 (A.D. e altri c. Georgia) Art. 8 – Violazione degli
obblighi positivi di tutela della vita privata in un caso di impossibilità
per i ricorrenti, uomini transgender, di ottenere il riconoscimento legale
del proprio genere senza sottoporsi a procedure mediche per cambiare le
proprie caratteristiche sessuali, a causa dell’imprecisione del quadro
giuridico e della mancanza di procedure rapide, trasparenti e accessibili per
il riconoscimento legale del genere da parte delle autorità nazionali. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 29 novembre 2022 (Godenau c. Germania) Art. 10 – Mancata violazione
della libertà di espressione a seguito dell’inserimento della ricorrente in
un elenco interno regionale di insegnanti ritenuti non idonei alla nomina
nelle scuole pubbliche a causa di dubbi sulla sua fedeltà alla Costituzione,
per i legami con movimenti di estrema destra. La Corte chiarisce come il caso
vada distinto dal precedente Vogt c. Germania, giacché la decisione esaminata
nel caso odierno è stata basata su motivi pertinenti e sufficienti, mentre la
limitata gravità della misura impugnata non impedisce l’assunzione della
ricorrente come insegnante in un altro Land tedesco o in una scuola privata.
Non si riscontra nessun grave effetto negativo sulla reputazione della
ricorrente a causa della limitata accessibilità dell’elenco e la ricorrente
ha potuto beneficiare di garanzie procedurali sufficienti. Il margine di
apprezzamento dello Stato non è stato oltrepassato. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 22 novembre 2022 (D.B. e altri c. Svizzera) Art. 8 – Violazione del diritto
al rispetto della vita privata del minore nel caso di non riconoscimento
prolungato della filiazione tra un bambino nato da maternità surrogata per
contratto all’estero e il partner registrato intenzionale del padre genetico.
La Corte europea ha applicato al caso di specie, pur in presenza di un’unione
civile registrata tra partner dello stesso sesso (‘partenaire enregistré’), i medesimi principi giurisprudenziali
relativi ai bambini nati da maternità surrogata con genitori di sesso
diverso, uniti da un rapporto di matrimonio. La Corte censura il mancato
perseguimento dell’interesse superiore del bambino da parte dell’ordinamento
dello Stato, con un’interferenza sproporzionata con il diritto del minore al
rispetto della sua vita privata. La Corte riscontra come l’adozione del
figlio di un partner registrato sia stata prevista tardivamente dal
legislatore elvetico, con superamento del margine di apprezzamento dello
Stato. La Corte ha ritenuto invece che
la vita familiare di entrambi i genitori non sia stata significativamente
compromessa, escludendo una lesione dell’Art. 8 nei loro confronti. Opinioni concorrenti e
dissenzienti sono annesse al giudizio. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 22 novembre 2022 (G.M. e altri c. la Repubblica di Moldavia) Art. 3 – Violazione del divieto
di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti, sia sotto il profilo
procedurale che sostanziale, causata, sotto il profilo procedurale,
dall’inefficacia dell’indagine sulle accuse di aborti forzati e
contraccezione forzata dopo uno stupro da parte di un medico in un manicomio
residenziale neuropsichiatrico di tre ricorrenti con disabilità intellettiva.
Sotto il profilo sostanziale e degli obblighi positivi dello Stato, la
violazione dell’Art. 3 è stata ricollegata alla mancata istituzione e
applicazione effettiva da parte dello Stato convenuto di un sistema di
protezione delle donne con disabilità intellettiva ricoverate in istituti
psichiatrici contro gravi violazioni della loro integrità. Il quadro
giuridico interno è infatti privo di adeguate garanzie per ottenere un valido
e libero consenso da parte delle donne con disabilità intellettiva e vi è
un’inadeguata legislazione penale e una generale mancanza di meccanismi per
prevenire gli abusi. La Corte statuisce dunque che vi sia stata una mancata
protezione dell’integrità fisica delle richiedenti dall’aborto non
consensuale e, per quanto riguarda la prima richiedente, anche dalla
contraccezione forzata. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 10 novembre 2022 (Bakirdzi e E.C. c. Ungheria) Art. 3 P.1 e Art. 14 – Violazione del diritto a
libere elezioni, in congiunzione con il divieto di discriminazione, a causa
delle carenze del sistema di voto per le minoranze nazionali in Ungheria,
tali da incidere sulla segretezza del voto e sulla libertà di scelta degli
elettori e tali da precludere a un candidato delle minoranze nazionali la
possibilità di conquistare un seggio in Parlamento. Con riferimento alla
regola che impone al candidato di una minoranza nazionale di essere
appoggiato dagli elettori della stessa minoranza, la Corte sottolinea in
particolare l’impossibilità per il candidato di ottenere un seggio quando il
numero totale di elettori della stessa minoranza è inferiore alla soglia
elettorale preferenziale fissata dalla legge. La Corte censura poi la
possibilità per gli elettori di una minoranza nazionale di votare solo per le
rispettive liste di minoranza nazionale e non per le liste dei partiti
politici e rileva inoltre la possibilità che la scelta elettorale di un
elettore di una minoranza nazionale sia indirettamente rivelata a tutti.
Secondo la Corte il sistema, dunque, limita l’opportunità degli elettori
delle minoranze nazionali di migliorare la loro efficacia politica come
gruppo e minaccia di ridurre la diversità e la partecipazione delle minoranze
al processo politico. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 3 novembre 2022 (Sanchez-Sanchez c. Regno Unito) Art. 3 – Mancata violazione del divieto di
trattamenti inumani o degradanti in conseguenza dell’estradizione di un
cittadino messicano dal Regno Unito agli Stati Uniti, per la mancanza di
prove che dimostrino un rischio reale di condanna all’ergastolo senza
condizionale del ricorrente. La Corte aggiorna la propria
giurisprudenza sull’estradizione, chiarendo come gli Stati contraenti non
possono essere ritenuti responsabili, ai sensi della Convenzione, per le
carenze del sistema di uno Stato terzo, se valutate alla luce dell’intero
standard stabilito nella sentenza Vinter
e Altri c. Regno Unito, trattandosi in quel caso di una decisione
riferita alla giurisdizione interna agli Stati contraenti, e non
all’estradizione in uno Stato terzo. La Corte supera la propria
precedente sentenza Trabelsi c. Belgio
e chiarisce come, nell’ambito di un’estradizione qual è quella sottoposta al
suo giudizio, laddove il ricorrente non è stato condannato ma deve ancora
essere sottoposto a giudizio, la disponibilità di garanzie procedurali per i
"detenuti a vita" nello Stato richiedente non è un prerequisito per
il rispetto dell’Art. 3 da parte dello Stato Contraente di invio. La Corte adatta un approccio in
due fasi (“adapted two-stage approach”) sviluppato per i casi di
estradizione, consistente in 1) Una
prima fase in cui si deve valutare se il richiedente ha prodotto prove in
grado di dimostrare l’esistenza di motivi sostanziali per ritenere che, in
caso di condanna, vi sia un rischio reale di ergastolo senza condizionale. 2)
Una seconda fase in cui si deve valutare se, a partire dal momento della
condanna, esiste un meccanismo di revisione che consenta alle autorità
nazionali di prendere in considerazione i progressi del detenuto verso la
riabilitazione, o qualsiasi altro motivo di scarcerazione basato sul suo
comportamento o su altre circostanze personali rilevanti. Nel caso di specie il ricorrente
non ha fornito elementi tali da far ritenere di correre un rischio reale,
negli Stati Uniti, di subire una condanna obbligatoria all’ergastolo senza
condizionale. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 3 novembre 2022 (Mamaladze c. Georgia) Art. 6 e Art. 35 – Nell’ambito
della condanna di un arciprete per la preparazione dell’omicidio del
segretario personale del Patriarca, la Corte non riscontra una violazione del
diritto a un equo processo nel modo in cui sono state ottenute e utilizzate le
prove. Vi è stata invece una violazione
del diritto alla pubblicità del processo, a causa della decisione di svolgere
sia il giudizio di primo grado che quello di appello a porte chiuse, per via
della non considerazione dell’impatto negativo della chiusura totale sulla
fiducia generale nella corretta amministrazione della giustizia e della
mancata considerazione dell’opportunità di misure meno restrittive, senza che
vi sia stato un adeguato bilanciamento. La Corte riscontra poi una
violazione della presunzione di innocenza a causa della combinazione di
dichiarazioni pubbliche da parte di funzionari pubblici e autorità
inquirenti, della diffusione del materiale del fascicolo sui media e
dell’applicazione non uniforme dell’obbligo di non divulgazione
(“non-disclosure obligation”), consentendo al testimone principale di
formulare accuse pubbliche. In punto di ammissibilità ai
sensi dell’Art. 35 e in merito all’esaurimento delle vie di ricorso interne,
la Corte ritiene fondato, in astratto, il rilievo dello Stato sul mancato
esperimento da parte del ricorrente di un’azione civile di diffamazione, ma
ritiene che, nel caso di specie, non ci si possa aspettare che il ricorrente
intraprenda un’azione civile, in quanto la violazione della presunzione di
innocenza è legata alla violazione del principio di pubblicità. Nel caso di
specie, la presunzione di innocenza è cioè vista come una garanzia
procedurale nel contesto dello stesso processo penale, con conseguente
esclusione della necessità di esperire anche l’azione civile di diffamazione
prima di poter adire la Corte. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 3 novembre 2022 (Vegotex international S.A. c. Belgio) Art. 6 – Mancata violazione del
diritto a un equo processo nel caso del debito fiscale prescritto per effetto
retroattivo di una nuova giurisprudenza ma successivamente ripristinato, a
controversia ancora in corso, da una normativa retroattiva ma prevedibile,
che ha ripristinato la certezza del diritto.
La Corte chiarisce la propria
posizione in ordine all’applicabilità in un caso fiscale dei principi
giurisprudenziali in materia di legislazione retroattiva che influisce sulla
determinazione giudiziaria di una controversia in cui lo Stato è parte. Al riguardo,
la Corte chiarisce che le garanzie dell’Art. 6 della Convenzione non si
applicano con tutta la loro forza alla materia fiscale, che esula dal
nocciolo duro del diritto penale. Il giudice sovranazionale fornisce poi dei
criteri per la valutazione del carattere imperativo delle pertinenti ragioni
di diritto qualificate come di interesse generale (“relevant grounds of
general interest”). La Corte statuisce che, nel caso
di specie, non vi è stata violazione del diritto di accesso al tribunale, del
principio del contraddittorio e del principio della parità delle armi; la
Corte rileva però una violazione del diritto all’equità del processo a causa
dell’eccessiva durata del procedimento, pari a più di tredici anni. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 3 novembre 2022 (Loste c. Francia) Art. 13, Art. 3 e Art. 9. – Violazione del
diritto a un ricorso effettivo determinata dall’inefficacia dell’azione
risarcitoria, causata dall’eccessivo formalismo dei tribunali amministrativi
nazionali nell’applicazione delle norme sulla decadenza quadriennale dei
diritti fatti valere in giudizio e dalla mancata considerazione del fatto che
solo dopo la decadenza del termine la ricorrente aveva avuto pieno accesso ai
documenti atti a provare la responsabilità dell’amministrazione nei suoi
confronti. La Corte rileva inoltre una
violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti, sotto il profilo
degli obblighi positivi dello Stato, per l’aver le autorità nazionali omesso
di proteggere la ricorrente per dodici anni dai maltrattamenti subiti durante
il suo collocamento in una famiglia affidataria, con conseguente mancata
attuazione delle misure preventive previste dalla legge allo scopo
d’individuare il rischio di maltrattamenti del minore. La Corte rileva, da ultimo, una
violazione degli obblighi positivi collegati al diritto di libertà di
religione, per non aver le autorità nazionali adottato le misure necessarie
affinché la famiglia affidataria rispettasse la clausola di neutralità religiosa,
in base alla quale si era impegnata a rispettare le opinioni religiose della
bambina e della sua famiglia di origine musulmana, lasciando di conseguenza
che la minore fosse esposta al proselitismo dei coniugi affidatari, membri
dei Testimoni di Geova. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 3 novembre 2022 (Dahan c. Francia) Art. 6 – Mancata violazione del diritto a un equo
processo nel ricorso amministrativo (ricorso per "excès de
pouvoir") che ha portato il Consiglio di Stato francese a esercitare,
nell’ambito di una piena giurisdizione (“plénitude de juridiction”), un
controllo sufficientemente ampio sul procedimento disciplinare nei confronti
del ricorrente, l’ambasciatore Dahan. La Corte ritiene che il Consiglio di
Stato abbia condotto uno scrutinio completo, discostandosi dalla propria
precedente giurisprudenza ed esaminando anche la proporzionalità della
sanzione del prepensionamento obbligatorio inflitta al ricorrente. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 18 ottobre 2022 (Fabbri e altri c. San Marino) Art. 6 – Violazione del
diritto di accesso a un tribunale a causa dell’impossibilità per i
ricorrenti, parti lese in un procedimento penale, di ottenere l’accertamento
delle loro pretese civili come previsto dalla legge, per la totale inattività
delle autorità giudiziarie, che ha portato alla prescrizione dell’azione
penale. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 13 ottobre 2022 (Bouton c. Francia) Art. 10 – Violazione del diritto alla libertà di
espressione in conseguenza dell’irrogazione di una pena detentiva, sospesa,
per esibizione sessuale in relazione a un’esibizione di un’attivista del
gruppo “Femen” a torso nudo in una chiesa, volta a denunciare la posizione
della Chiesa cattolica sull’aborto, in quanto in materia di libertà di
espressione il margine di apprezzamento dello Stato è attenuato e vi è stata
nel caso di specie una ponderazione inadeguata degli interessi in gioco, non
conforme ai criteri stabiliti dalla Corte e con l’attribuzione di una pena
sproporzionata. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 11 ottobre 2022 (Beeler c. Svizzera) Art. 14 e Art. 8 – Violazione
del diritto al rispetto della vita famigliare in conseguenza del trattamento
discriminatorio di un vedovo, che si occupa a tempo pieno dei figli, con la
soppressione della sua pensione di reversibilità quando il figlio minore ha
raggiunto l’età adulta, mentre in situazioni analoghe le vedove continuano a
ricevere la pensione. La Corte chiarisce i criteri che specificano o
circoscrivono le prestazioni sociali che rientrano nell’ambito dell’Art. 8,
richiamando la decisione Konstantin
Markin c. Russia (Grande Camera), includendovi la prestazione in
questione, in quanto mira a promuovere la vita familiare e incide
necessariamente sulle modalità di organizzazione della vita familiare del
ricorrente. Le norme nazionali che disciplinano la pensione di reversibilità
risultano basate su considerazioni e ipotesi superate, dal momento che il
ritorno al mercato del lavoro è ugualmente difficile per entrambi i sessi
all’età del ricorrente e dopo diversi anni senza lavoro, mentre non c’è nessuna
indicazione che la cessazione della pensione abbia un impatto minore sul
ricorrente rispetto a una vedova in una situazione analoga. In questo caso
resta dunque allo Stato un margine di apprezzamento ristretto, in assenza di
"ragioni molto forti" o "particolarmente importanti e
convincenti" che giustifichino la differenza di trattamento in base al
sesso. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 11 ottobre 2022 (Constantin-Lucian Spînu c. Romania) Art. 9 – Mancata violazione del diritto alla
libertà di religione per il rifiuto specifico, a causa della pandemia da
Covid-19, di consentire a un detenuto di partecipare al culto nella sua
chiesa d’appartenenza all’esterno del carcere, considerati il carattere
imprevedibile e senza precedenti della crisi sanitaria e il conseguente ampio
margine di apprezzamento dello Stato nel farvi fronte, nonché gli sforzi
ragionevoli delle autorità nazionali per controbilanciare le restrizioni, con
considerazione da parte delle autorità penitenziarie della situazione
individuale del ricorrente e dell’evoluzione della crisi sanitaria. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 6 ottobre 2022 (Liu c. Polonia) Art. 3 e Art. 5 – Violazione del
divieto di tortura in conseguenza della proposta di estradizione del
ricorrente verso la Cina, dove egli correrebbe un rischio reale di
maltrattamenti durante la detenzione, come da lui stesso affermato senza che
le autorità nazionali esaminassero con la dovuta attenzione le allegazioni
credibili e coerenti di gravi abusi, equiparati a una situazione generale di
violenza nelle carceri cinesi, e dovendo in questo caso prevalere il
beneficio del dubbio concesso al richiedente protezione, specie di fronte ad
assicurazioni informali dalla Cina che offrono garanzie insufficienti. La
Corte rinviene inoltre una violazione del diritto alla libertà e alla
sicurezza della detenzione illegale dovuta a ritardi ingiustificati nel
procedimento. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 6 ottobre 2022 (Juszczyszyn c. Polonia) Art. 6, Art. 8 e Art. 18 –
Violazione del diritto a un equo processo per le gravi irregolarità nella
nomina dei giudici della Camera disciplinare della Corte Suprema polacca, di
recente istituzione, che ha sospeso un giudice dalle sue funzioni per l’aver
questi cercato di verificare l’indipendenza di un altro giudice nominato su
raccomandazione del Consiglio nazionale della magistratura (NCJ), da poco
riformato. Nel caso di specie, l’essenza stessa del diritto a un
"tribunale istituito dalla legge" è compromessa, in quanto sono
compromesse l’indipendenza e l’imparzialità della Camera disciplinare; la
Corte procede dunque all’applicazione dei criteri seguiti nel precedente Reczkowicz c. Polonia, alla luce del
test in tre fasi formulato in Guðmundur
Andri Ástráðsson c. Islanda (Grande Camera). La Corte ritiene vi sia stata
anche una violazione del diritto alla vita privata del ricorrente, per
l’imprevedibilità della sua sospensione, avvenuta in relazione all’emissione
di una decisione giudiziaria e basata su un’applicazione manifestamente irragionevole
della legge, da parte di un organo che non è "un tribunale istituito
dalla legge". Vi è stata dunque una restrizione ai diritti della
Convenzione per scopi non autorizzati dalla stessa, con violazione dell’Art.
18 da parte delle misure disciplinari che hanno portato alla sospensione del
ricorrente al fine di sanzionare e dissuadere quest’ultimo dal verificare la
legittimità della nomina di giudici su raccomandazione dell’NCJ riformato, in
un contesto di riforme successive che hanno portato all’indebolimento
dell’indipendenza giudiziaria e a misure incompatibili con i principi
fondamentali dell’indipendenza giudiziaria e dello Stato di diritto, come
statuito anche dalla CGUE e della Corte suprema polacca. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 4 ottobre 2022 (Mortier c. Belgio) Art. 2 e Art. 8 – In un caso di eutanasia della
madre del ricorrente, che soffriva di depressione da circa quarant’anni, e
che ha compiuto la sua scelta in conformità alla legge che la autorizzava,
non si riscontra la violazione del diritto alla vita dal punto di vista
sostanziale e degli obblighi positivi dello Stato, in quanto il quadro
legislativo appare in grado di garantire in linea di principio il diritto
alla vita dei pazienti per quanto riguarda gli atti e la procedura che
precedono l’eutanasia, in particolare prevedendo delle garanzie supplementari
in materia di eutanasia per sofferenze psichiche che non comportano la morte
a breve termine. Si riscontra invece una violazione del diritto alla vita ex
Art. 2 dal punto di vista procedurale e degli obblighi positivi dello Stato,
per la mancanza di indipendenza della commissione che controlla a posteriori
tutte le eutanasie permettendo al medico che le ha eseguite di votare sulla
loro legalità e per la non conformità ai requisiti dell’Art. 2 della verifica
sulla sola base della parte anonima del documento di registrazione, allo
scopo di preservare la riservatezza. La Corte ritiene invece che non
configuri una violazione degli obblighi positivi dello Stato di assicurare il
diritto alla vita privata e famigliare il mancato coinvolgimento del figlio
da parte dei medici nel processo di eutanasia in assenza della volontà della
madre, in conformità con la legge statale e stanti gli obblighi di
riservatezza e mantenimento del segreto medico posti dalla legislazione, in
un giusto equilibrio tra i vari interessi in gioco. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 4 ottobre 2022 (De Legé c. Paesi Bassi) Art. 6 – Mancata violazione del diritto a un
equo processo nel caso dell’utilizzo di documenti bancari in possesso del
ricorrente, per la rideterminazione di un’ammenda fiscale, ottenuti con un
ordine giudiziario di divulgazione nei confronti del signor. De Legé, a pena
di sanzioni. La Corte ritiene che il caso in oggetto non rientri nell’ambito
del privilegio contro l’autoincriminazione, relativo in questo ambito alla
coercizione nel fornire documenti nel contesto del diritto finanziario. Il
Collegio rileva che le autorità erano a conoscenza di documenti preesistenti
che attestavano la detenzione di un conto bancario estero quando hanno
richiesto un ordine giudiziario di divulgazione e che il suddetto ordine
indicava specificamente i documenti da fornire. Inoltre, l’imposizione di
penali in caso di inosservanza dell’ordine giudiziario non equivale a un
trattamento in violazione dell’art. 3 |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 15 settembre 2022 (Rabczewska c. Polonia) Art. 10 – Violazione del diritto
alla libertà di espressione per la mancanza di motivazioni sufficienti per la
condanna e l’ammenda del ricorrente per aver questi offeso i sentimenti
religiosi altrui insultando pubblicamente la Bibbia, trattandosi di dichiarazioni
non equivalenti a discorsi di odio o ad aggressioni ingiuriose e non
minacciose per l’ordine pubblico, con conseguente travalicamento del pur
ampio margine di apprezzamento riservato allo Stato in materia. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 14 settembre 2022 (H.F. e altri c. Francia) Art. 1, Art. 3 P. 4 e Art. 46 – Violazione del diritto del
cittadino a entrare nel territorio del proprio Stato (Art. 3 P. 4) in
conseguenza del rifiuto di rimpatriare cittadini detenuti con i loro figli
minorenni in campi gestiti dai curdi dopo la caduta dello "Stato
Islamico". La Corte chiarisce che, pur in assenza di un diritto generale
al rimpatrio (in particolare per coloro che non sono in grado di raggiungere
la frontiera dello Stato a causa della situazione materiale), vi sono in
questo contesto obblighi procedurali positivi che scattano in circostanze
eccezionali (come fattori extraterritoriali che minacciano direttamente la
vita e il benessere fisico di un minore in una situazione di estrema
vulnerabilità), tra i quali l’obbligo di garantire che il processo
decisionale sia circondato da adeguate garanzie contro l’arbitrarietà e sia
soggetto a una revisione indipendente. In materia di competenza degli Stati, sotto l’Art. 1 della
Convenzione, la competenza è stata stabilita per quanto riguarda la
violazione del diritto di entrare nel proprio Stato, in considerazione delle
caratteristiche speciali relative alla situazione nei campi di accoglienza,
mentre non è stata stabilita per quanto riguarda la denuncia di
maltrattamenti subiti in prigionia. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 13 settembre 2022 (Timur Sharipov c. Russia) Art. 10 – Violazione del diritto
alla libertà di espressione da parte delle autorità nazionali che, in assenza
di una motivazione pertinente e sufficiente, allontanano un osservatore
elettorale dal seggio elettorale, in quanto la funzione di “cane da guardia
pubblico” (“public watchdog”)
esercitata dagli osservatori elettorali richiede una tutela rafforzata del
diritto di cui all’Art. 10 nei loro confronti. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 8 settembre 2022 (Janson c. Lettonia) Art. 8 – Violazione del diritto
al rispetto del proprio domicilio per il mancato adempimento dell’obbligo
positivo di proteggere il ricorrente dal nuovo proprietario che è entrato
illegalmente e con la forza nella sua casa e ne ha impedito l’accesso, con
susseguente sfratto illegale da parte dello stesso ufficiale giudiziario e
con garanzie procedurali interne rese inoperanti a causa della loro mancata
osservanza da parte delle autorità. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 8 settembre 2022 (Drelon c. France) Art. 8 – Violazione del diritto
al rispetto della vita privata, con superamento del margine di apprezzamento
dello Stato, nel caso di una raccolta di dati relativi alle pratiche sessuali
di potenziali donatori di sangue, esclusi dalla donazione sulla base di una
legge che impone una controindicazione agli uomini che hanno avuto rapporti
sessuali con altri uomini. La Corte ritiene che l’applicazione della
normativa statale sia viziata da speculazioni non poggianti su una base
fattuale, bensì sul solo rifiuto dei ricorrenti di rispondere alle domande
sul proprio orientamento sessuale, oltre che dall’eccessiva durata della
conservazione dei dati da parte di un’istituzione pubblica. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 6 settembre 2022 (Ete c. Türkiye) Art. 10 – Violazione del diritto
alla libertà di espressione della condanna penale del ricorrente per
propaganda a favore di un’organizzazione terroristica per aver tagliato e
distribuito una torta che celebrava il compleanno del leader del PKK (Partito
dei Lavoratori del Kurdistan). Per la Corte si tratta di atti che non devono
essere percepiti come un appello all’uso della violenza, alla resistenza
armata o alla rivolta, né come un discorso di odio, con conseguente assenza
di un’esigenza sociale imperativa e mancanza di proporzionalità della
sanzione, che risulta quindi esorbitare da quanto possa ritenersi necessario
in una società democratica. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 30 agosto 2022 (Y.G. c. Russia) Art. 8 – Violazione degli
obblighi positivi dello Stato nell’assicurare il diritto al rispetto della
vita privata per la mancanza di una protezione adeguata della riservatezza
dei dati sanitari del richiedente da parte delle autorità e la successiva
mancata indagine sulla loro divulgazione, compiuta attraverso una banca dati
poi venduta sul mercato nero. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 11 luglio 2022 (Kavala c. Turchia) Art. 46, Art. 5 e Art. 18 –
Violazione dell’obbligo di esecuzione delle sentenze della Corte e
conseguente procedura di infrazione contro la Turchia per non aver rispettato
la decisione definitiva della Corte che richiedeva esplicitamente la
liberazione immediata del ricorrente, a fronte della continuazione della sua
detenzione per motivi insufficienti riguardanti esattamente lo stesso
contesto fattuale, con una mera riqualificazione degli stessi fatti incapace
di modificare la base delle conclusioni della sentenza definitiva in mancanza
di altre circostanze pertinenti e sufficienti, in violazione del diritto alla
libertà e alla sicurezza, considerato in sé e in combinazione con l’Art. 18
della Convezione. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 7 luglio 2022 (Chocholáč c. Slovenia) Art. 8 – Violazione del rispetto
della vita privata del detenuto in conseguenza del divieto generale e
indiscriminato di possesso di materiale pornografico da parte dei detenuti,
divieto che non consente di valutare la proporzionalità in un caso individuale. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 5 luglio 2022 (Association of Civil Servants and Union
for Collective Bargaining e altri c. Germania) Art. 11 – Mancata violazione del
diritto di costituire e aderire ai sindacati da parte della normativa che
renda inapplicabili i contratti collettivi tra loro contrastanti stipulati da
sindacati minoritari, entro la medesima “unità operativa” di azienda, in
quanto la restrizione, di portata limitata, ricade entro il margine di
apprezzamento dello Stato e non
pregiudica la libertà sindacale, laddove l’interferenza statale persegue il
rilevante obbiettivo di garantire il corretto funzionamento del sistema di
contrattazione collettiva, nell’interesse dei lavoratori e dei datori di
lavoro. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 23 giugno 2022 (Rouillan c. Francia) Art. 10 – Violazione della
libertà di espressione per la mancanza di proporzionalità della pena
detentiva inflitta a un ex terrorista per aver inneggiato agli autori degli
attentati di Parigi del 2015, in un’intervista poi trasmessa via radio e
Internet, in quanto la restrizione della libertà di espressione si sarebbe
verificata oltre il margine di apprezzamento dello Stato, tenuto conto che le
esternazioni pronunciate nell’ambito di un dibattito di interesse pubblico
possono essere sottoposte a restrizioni solo in casi eccezionali. Nel caso di
specie l’ingerenza nella libertà di espressione, pur rispondente in astratto
a un imperioso bisogno sociale, non è motivata in modo sufficiente da poter
ritenere che la sanzione in concreto inflitta sia proporzionata allo scopo
legittimo perseguito. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V ) 16 giugno 2022 (Goulandris e Vardinogianni c. Grecia) Art. 4 P. 7 – Viola il diritto a
non essere giudicato o punito due volte la duplicazione dei procedimenti
verificatasi nel caso dell’irrogazione di un’ammenda amministrativa avente
natura penale e del successivo procedimento penale per la costruzione di muri
in violazione della licenza edilizia, in quanto i due procedimenti non sono
sufficientemente collegati nella sostanza e nel tempo per essere ritenuti
parti di un procedimento complessivo coerente e proporzionato. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 9 giugno 2022 (Xavier Lucas c. Francia) Art. 6 – Violazione del diritto a un equo processo
(diritto di accesso al giudice) in conseguenza della dichiarazione di
inammissibilità dell’atto introduttivo non trasmesso per via telematica, in
quanto l’eccessivo formalismo non tiene conto degli ostacoli pratici che
rendevano la piattaforma Internet inadatta alla presentazione del tipo di
ricorso in esame (un ricorso di annullamento di un lodo arbitrale). |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 31 maggio 2022 (Arnar Helgi Lárusson c. Islanda) Art. 8 e Art. 14 – Mancata
violazione del diritto al rispetto della vita privata e dell’obbligo di non
discriminazione, segnatamente dei connessi obblighi positivi in capo allo
Stato, nel caso di una persona in sedia a rotelle impossibilitata ad accedere
a due edifici pubblici locali, all’esito positivo della valutazione, da parte
della Corte, se lo Stato abbia apportato "adattamenti necessari e
appropriati", che non costituiscano un "onere sproporzionato o
indebito", in modo da accogliere e agevolare le persone con disabilità,
nei limiti delle disponibilità finanziarie concrete e secondo un ragionevole
ordine di priorità nella scelta degli edifici da adeguare. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 5 maggio 2022 (Vlahov c. Croazia) Art. 11 – Violazione della libertà di associazione
per la condanna penale di un rappresentante sindacale, il quale aveva
rifiutato l’ammissione al sindacato di aspiranti membri, poi comunque ammessi
dopo la rimozione del ricorrente. La Corte qualifica la condanna avutasi nel caso di specie come non
necessaria in una società democratica e rileva inoltre la mancanza di
motivazione nelle decisioni dei tribunali nazionali. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 28 aprile 2022 (Wang c. Francia) Art. 6 – Violazione del diritto
a un equo processo e dei diritti di difesa, a seguito dell’audizione
informale della ricorrente da parte delle forze dell’ordine, non preceduta da
espresso avviso del diritto al silenzio e del diritto a essere assistita da
un’interprete, a cui aveva fatto seguito l’utilizzo delle dichiarazioni rese
senza garanzie per confermare le dichiarazioni rese successivamente davanti
al giudice, dando luogo a una violazione dell’Art. 6 determinata dalla
necessità di considerare contestualmente specifici elementi che, presi
singolarmente, pur non avrebbero da soli determinato una lesione del diritto
all’equità del processo. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 7 aprile 2022 (Miklić c. Croazia) Art. 5 – Violazione determinata
dall’illegittimo prolungamento dell’internamento psichiatrico obbligatorio
del richiedente a seguito della sua condanna penale per reati commessi in
mancanza di capacità mentale, essendosi svolta la procedura di valutazione
dello stato mentale del richiedente in violazione del diritto interno e non
essendo basata su perizie mediche obiettive e recenti. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 5 aprile 2022 (NIT S.R.L. c. Repubblica di Moldavia) Art. 10 e Art. 1 P. 1 –
Riconoscimento della mancata violazione della libertà di espressione, per la
giustificatezza della revoca della licenza di radiodiffusione di un canale
televisivo dopo la ripetuta e grave violazione dell’obbligo di legge di
garantire l’equilibrio politico e il pluralismo nei notiziari, con
conseguente elaborazione di principi generali per l’equilibrio tra pluralismo
politico nei media e libertà editoriale, stante la necessità di valutare in
via combinata il pluralismo interno agli organi d’informazione e quello
esterno a essi. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 5 aprile 2022 (Teslenko e altri c. Russia) Art. 5 e 10 - Violazione del
divieto di arresti e detenzioni illegittime e violazione della libertà di
espressione, in conseguenza del mancato rispetto del diritto interno
nell’accompagnare i richiedenti alla stazione di polizia, nell’ambito di un
illecito amministrativo consistente nell’aver invitato gli elettori a non
votare per un determinato partito politico o ad astenersi dal voto, con
conseguente superamento del margine di apprezzamento nazionale. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 31 marzo 2022 (N.B. et autres c. France) Art. 3 e 34 – Violazione del
divieto di trattamenti inumani e degradanti a causa del protrarsi per
quattordici giorni di una detenzione amministrativa in un centro inidoneo,
allo scopo di allontanare un bambino straniero di otto anni accompagnato dai
suoi genitori, con ingiustificata mancata esecuzione per sette giorni del
provvedimento provvisorio di cessazione della detenzione del minore. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 29 marzo 2022 (Nuh Uzun et autres c. Turquie) Art. 8 – Violazione determinata
dalla registrazione ed inserimento della corrispondenza privata dei detenuti
nel sistema informatico della Rete giudiziaria nazionale, misure disposte
sulla base di istruzioni interne e non pubblicate formulate dal Ministero
della Giustizia e inidonee pertanto a offrire una adeguata base legale ai
sensi dell’art. 8 della Convenzione. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 24 marzo 2022 (C.E. et autres c. France) Art. 8 – Riconoscimento della
non violazione degli obblighi positivi relativi alla tutela della vita
privata e familiare in conseguenza dell’impossibilità di ottenere, mediante
adozione o mediante atto notorio, il pieno riconoscimento ufficiale di una relazione
genitore-figlio tra un minore e l’ex partner della sua madre biologica,
valorizzandosi invece la garanzia, da parte dello Stato convenuto, del
rispetto effettivo della vita privata e familiare dei ricorrenti, e
dell’interesse superiore del minore, in virtù di altre previsioni del diritto
interno. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 24 marzo 2022 (Zayidov v. Azerbaijan - no. 2) Art. 10 e Art. 6 – Riconosciuta
violazione della libertà di espressione in conseguenza del sequestro e della
distruzione del manoscritto di un libro, scritto da un giornalista in
detenzione, sul fondamento di una base legale insufficientemente prevedibile
e priva di garanzie contro decisioni arbitrarie ‒ Riconosciuta iniquità
del procedimento per danni, per non aver i tribunali nazionali considerato la
necessità e le modalità della presenza del ricorrente alle udienze, per aver
essi irragionevole rifiutato di chiamare ulteriori testimoni, e per aver
adottato decisioni non adeguatamente motivate. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 24 marzo 2022 (Wikimedia Foundation, Inc. v. Turkey) Art. 10 – Decisione di
inammissibilità di un’istanza della Wikimedia Foundation riguardante un
ordine di blocco del suo sito web, a seguito di una decisione della Corte
costituzionale turca che aveva sostanzialmente riconosciuto la violazione
dell’articolo 10 della Convenzione e concesso una riparazione adeguata, con
conseguente perdita dello status di vittima del ricorrente, il tutto con
significative precisazioni sul rispettivo ruolo della Corte costituzionale
interna e della Corte europea in un contesto in cui era stata riconosciuta la
natura sistemica del problema. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 22 marzo 2022 (Filippovy v. Russia) Art. 2 (profilo sostanziale e
procedurale) – Riconosciuta inosservanza degli obblighi positivi relativi
alla tutela del diritto alla vita in ragione della mancata adozione di misure
normative e operative idonee a salvaguardare la vita del militare di leva,
suicidatosi in seguito a vessazioni da parte di compagni di leva, e in
ragione del mancato svolgimento di una indagine efficace sulla morte. Art. 3 (profilo sostanziale e
procedurale) - Riconosciuta inosservanza degli obblighi positivi relativi al
divieto di trattamenti degradanti in ragione della mancata protezione
effettiva del militare di leva contro i maltrattamenti subiti da altri militari
di leva per un lungo periodo di tempo, tali da causare un stato di costante
ansia, e riconosciuta inefficacia dell’indagine svolta, con mancata
attribuzione di responsabilità ai livelli gerarchici superiori dell’autorità,
nel contesto generale delle pratiche endemiche di nonnismo all’interno delle
forze militari russe. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 22 marzo 2022 (Gvozdeva v. Russia) Art. 2 (profilo procedurale) –
Riconosciuta violazione degli obblighi positivi di tutela del diritto alla
vita in ragione del mancato svolgimento, a seguito del suicidio di un
coscritto, di una indagine inefficace sulla possibilità che vi fosse stato un
incitamento al suicidio da parte di altri militari, non essendosi chiarita
tra l’altro l’origine delle ferite trovate sul corpo del coscritto, non
essendosi inspiegabilmente proceduto all’interrogatorio di due testimoni
nonostante le istruzioni del tribunale nazionale in tal senso, ed essendo
rimaste irrisolte le discrepanze nelle dichiarazioni di altri testimoni. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 22 marzo 2022 (Y and Others v. Bulgaria) Art 2 (profilo sostanziale) –
Inosservanza degli obblighi positivi di tutela del diritto alla vita,
essendosi riscontrata una mancata protezione, da parte delle autorità, della
vita di una donna uccisa dal marito, nonostante le sue numerose denunce di violenza
domestica per un periodo di 9 mesi, essendosi in particolare riscontrata
l’inadeguatezza delle misure preventive inadeguate, la mancata risposta
immediata e la mancata valutazione dei rischi in ogni occasione di denuncia. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 15 marzo 2022 (Grzęda v. Poland) Art. 6 § 1 (civile) -
Indipendenza della magistratura e necessità di proteggere l’indipendenza di
un consiglio giudiziario dai poteri esecutivo e legislativo in modo da
salvaguardare l’integrità del processo di nomina giudiziaria - Necessità di
garanzie procedurali simili a quelle previste nei casi di licenziamento o
rimozione dei giudici anche nei casi di rimozione dei membri del consiglio
giudiziario - Riforme polacche che hanno portato all’indebolimento
dell’indipendenza giudiziaria e dell’aderenza agli standard dello Stato di
diritto, con compromissione dell’essenza del diritto di accesso a un giudice. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 15 marzo 2022 (OOO Memo v. Russia) Art. 10 – Violazione della
libertà d’espressione in conseguenza di un’azione civile per diffamazione nei
confronti di un mezzo di comunicazione, azione ritenuta priva di obiettivo
legittimo e asseritamente volta a proteggere la “reputazione” di un’autorità
pubblica in quanto tale, con considerazioni della Corte circa la differenza
tra gli interessi degli organi esecutivi titolari di poteri pubblici a
mantenere una buona reputazione e quelli delle persone fisiche o giuridiche
che competono sul mercato, e segnatamente sul rischio di ostacolare la
libertà dei media e di ottenere un effetto di ingessamento attraverso la
protezione degli organi esecutivi dalle critiche dei media, in un contesto in
cui gli individui membri dell’organo in questione risultavano facilmente
identificabili e avrebbero avuto la possibilità di intentare eventualmente
un’azione a proprio nome. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 15 marzo 2022 (Communauté genevoise d’action syndicale
(CGAS) c. Suisse) Art. 11 – Riconosciuta
violazione della libertà di riunione in conseguenza del divieto generale di
riunioni pubbliche per due mesi e mezzo all’inizio della pandemia Covid-19,
accompagnato da sanzioni penali e senza controllo giudiziario di
proporzionalità, laddove una misura così radicale che incideva (anche)
sull’attività dell’associazione ricorrente per un periodo di tempo
considerevole avrebbe richiesto una giustificazione solida e un controllo
giudiziario particolarmente serio, non posto in essere dato il riscontrato
mancato esame del merito dei ricorsi da parte della Corte federale durante il
confinamento generalizzato, il tutto senza che si sia fatto ricorso all’art
15 da parte dello Stato per adottare misure derogatorie. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 10 marzo 2022 (Shenturk and Others v. Azerbaijan) Art. 3 (profilo procedurale) e
Ar. 5 ‒ Illegittima detenzione dei ricorrenti nel contesto di
un’espulsione e di un trasferimento extra-legale verso i loro paesi d’origine
in violazione delle garanzie di diritto interno e internazionale, con diniego
di effettive garanzie di protezione contro il respingimento arbitrario e
mancata valutazione dei rischi cui sarebbero stati così esposti i ricorrenti. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 8 marzo 2022 (Y.Y. and Y.Y. v. Russia) Art. 8 - Obblighi positivi in
relazione al diritto al rispetto della vita familiare - Mancata adozione da
parte delle autorità, senza indebito ritardo, di ogni ragionevole misura
volta a far rispettare l’ordine di residenza del minore presso la madre. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 8 marzo 2022 (Reyes Jimenez c. Espagne) Art. 8 - Violazione degli
obblighi positivi relativi alla rispetto della vita privata in conseguenza
del rigetto ingiustificato da parte dei giudici interni del ricorso contro il
mancato rispetto dell’obbligo legale di ottenere il consenso scritto ad una
operazione chirurgica, con affermazione da parte della Corte della necessità
di rispettare le prescrizioni del diritto interno in materia ancorché la
Convenzione di per sé non stabilisca
alcuna forma particolare di rilascio del consenso. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 8 marzo 2022 (Ekrem Can and Others v. Turkey) Art. 11 letto alla luce
dell’art. 10 – Riconosciuta violazione della libertà di riunione in
conseguenza di una detenzione preventiva e di pene detentive
sproporzionatamente lunghe per la partecipazione a una protesta non violenta
in tribunale tale da disturbare l’ordinata amministrazione della giustizia,
con precisazioni circa l’ampiezza, non illimitata, del margine di
apprezzamento in materia. Art. 6 – Riconoscimento della
complessiva iniquità del processo in ragione, tra l’altro, del mancato esame
da parte dei tribunali nazionali delle condizioni relative alla presunta
rinuncia dei ricorrenti al diritto a un avvocato durante la detenzione da parte
della polizia, dell’utilizzo di prove raccolte in assenza di un avvocato e
del mancato rispetto delle necessarie garanzie procedurali. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 8 marzo 2022 (Tonkov c. Belgique) Art. 6 – Riconoscimento
dell’iniquità del processo per l’essere stata la condanna del ricorrente
basata sul contenuto delle dichiarazioni sue e dei suoi coaccusati rese nella
fase iniziale delle indagini senza la presenza di un avvocato, con
precisazioni della Corte circa la portata delle restrizioni al diritto di
accesso a un avvocato derivanti dalla legge applicabile e circa il modo di
interpretare questa da parte dei giudici. |
Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 8 marzo 2022 (Sabani c. Belgique) Art. 8 - Violazione del
domicilio e del diritto al rispetto alla vita privata in conseguenza
dell’ingresso della polizia nell’abitazione del ricorrente, senza base legale
né consenso - l’apertura volontaria della porta alla polizia non potendo
essere considerata come una rinuncia libera e informata al diritto alla
protezione del proprio domicilio – nell’ambito di una verifica
sull’esecuzione di un ordine di espulsione, con censura altresì dell’utilizzo
non necessario delle manette sulla ricorrente durante il suo arresto in
presenza della figlia. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 3 marzo 2022 (Nikoghosyan and Others v. Poland) Art. 5 – Riconosciuta violazione
in conseguenza del collocamento automatico di una famiglia di adulti e
bambini richiedenti asilo in un stato di detenzione per sei mesi in assenza
di una valutazione approfondita e individualizzata della situazione e dei bisogni
particolari, con riconoscimento della necessità di procedere con maggior
rapidità e diligenza dato il coinvolgimento di minori. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 3 marzo 2022 (Shorazova v. Malta) Art. 1 Prot. 1 – Riconosciuta
violazione del diritto all’uso dei propri beni in ragione della mancanza di
garanzie procedurali per il lungo congelamento di tutti i beni del ricorrente
a Malta su richiesta delle autorità kazake, probabilmente per motivi di
persecuzione politica. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 1 marzo 2022 (Kozan c. Turquie) Art. 10 – Riconosciuta
violazione della libertà di dare e ricevere informazioni in conseguenza di
una sanzione disciplinare inflitta a un magistrato per aver condiviso, nel
suo gruppo Facebook riservato ai suoi colleghi, un articolo di stampa che
criticava il Consiglio superiore dei giudici e dei procuratori e metteva in
dubbio la sua indipendenza dal potere politico, tale sanzione non rispondendo
ad alcuna necessità sociale impellente. Art. 13 - Riconosciuta mancanza
di rimedi effettivi. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 1 marzo 2022 (I.V.Ț. v. Romania) Art. 8 – Riconosciuta violazione
degli obblighi positivi di tutela del rispetto della vita privata in un caso
in cui, senza il consenso dei genitori, si era effettuata un’intervista di un
minore, successivamente trasmessa in televisione, sulla morte accidentale di
un compagno di scuola durante una gita scolastica alla quale l’intervistato
non aveva partecipato – Riconoscimento della necessità di assolvere al dovere
di informare il pubblico proteggendo al contempo l’identità dei minori
interessati, in particolare considerando che, data la maggiore vulnerabilità
di un bambino, la divulgazione di informazioni sulla sua identità potrebbe
mettere in pericolo la sua dignità e il suo benessere più gravemente che nel
caso degli adulti, da ciò derivando la necessità di speciali garanzie
giuridiche e di un bilanciamento tra il diritto alla vita privata e la
libertà di espressione che sia conforme (come non è avvenuto nel caso di
specie) ai criteri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 24 febbraio 2022 (Association des familles des victimes du
JOOLA c. France) Art. 6 e Art. 13 - Decisione di
inammissibilità di un ricorso presentato da un’associazione di parenti e
amici di persone decedute nell’affondamento di un traghetto senegalese, o
vittime sopravvissute all’incidente, nel quale si lamentava di essere stati
privati del diritto di accesso ad un tribunale a causa del opposizione
dell’immunità giurisdizionale degli Stati, che ha portato all’interruzione
del procedimento avviato dalle loro denunce penali in Francia ‒
Riconoscimento preliminare da parte della Corte, alla stregua della sua
giurisprudenza costante, che la concessione dell’immunità sovrana di uno
Stato in un procedimento civile persegue l’obiettivo legittimo di rispettare
il diritto internazionale al fine di promuovere le buone relazioni tra gli
Stati attraverso il rispetto della sovranità di un altro sovranità di un
altro Stato ‒ Presa d’atto, con riferimento al caso di specie, della
considerazione dei tribunali francesi secondo cui le violazioni delle norme
internazionali di navigazione marittima, che sono state imputate a
personalità di alto livello del governo senegalese, derivavano dall’esercizio
da parte del Senegal della sua sovranità, e non da atti di amministrazione
privata, avendo in particolare la Corte di Cassazione sottolineato che le
condotte dei dirigenti senegalesi al momento del naufragio, per quanto gravi
potessero essere, non rientravano nelle eccezioni al principio dell’immunità
dei rappresentanti dello Stato su questioni “sovrane” ‒ Assenza di
discostamento dalle norme internazionali attualmente accettate e di elementi
di arbitrarietà o irragionevolezza nell’interpretazione da parte dei giudici
nazionali dei principi giuridici applicabili o nel modo in cui sono stati
applicati nel caso di specie. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 24 febbraio 2022 (Bonnet c. France) Art. 10 - Decisione di
inammissibilità, per manifestamente infondatezza, di un ricorso sollevato a
seguito della condanna penale del ricorrente (al pagamento di una pena
pecuniaria di 10.000 euro) da parte dei tribunali francesi per proferimento
di un insulto pubblico di natura razziale contro un individuo o gruppo a
causa della loro origine o dell’appartenenza a una determinata etnia,
nazione, razza o religione, e per il reato di mettere in dubbio l’esistenza
di crimini contro l’umanità ‒ Esame e valutazione approfondita
dell’operato dei giudici nazionali, con significative indicazioni su come
questo debba essere condotto, soppesando il diritto alla libertà di
espressione, da un lato, e la protezione dei diritti degli altri, dall’altro,
sulla base di una motivazione adeguata e pertinente ‒ Conclusione che,
anche supponendo che l’articolo 10 della Convenzione fosse applicabile,
l’interferenza con la libertà di espressione del ricorrente era stata
necessaria in una società democratica, risultando quindi il reclamo
manifestamente infondato. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 17 febbraio 2022 (Y v. Poland) Art. 8 – Non violazione del
diritto al rispetto della vita privata e familiare per il fatto che una
persona transgender non può ottenere la rimozione dal certificato di nascita
del riferimento al suo genere assegnato o la predisposizione un nuovo certificato
di nascita completo senza riferimento al cambiamento di sesso, laddove invece
il suo estratto breve e i nuovi documenti d’identità indicano solo il sesso
riassegnato - Mancata dimostrazione da parte del richiedente di conseguenze
negative sufficientemente gravi di tale impossibilità, anche in ragione della
rara necessità di utilizzare la copia completa del certificato di nascita,
non essendo il potenziale rischio di conseguenze negative di per sé in grado di rendere carente l’attuale
sistema nazionale, espressivo di un equo bilanciamento tra i diversi
interessi in gioco, rientrante nell’ambito del margine di apprezzamento
consentito non superato. Art. 14 (+ Art. 8) – Non
riscontrata discriminazione, non trovandosi il richiedente in una situazione
analoga a quella dei bambini adottati che abbiano ottenuto un nuovo
certificato di nascita in caso di adozione completa. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 15 febbraio 2022 (Anatoliy Marinov v. Bulgaria) Art. 3 Prot. 1 – Violazione del
diritto di voto in conseguenza della sua privazione sproporzionata per il
ricorrente a causa di un provvedimento di tutela parziale basato sulla sua
disabilità mentale senza un controllo giudiziario individualizzato della capacità
di voto – Inammissibilità di una restrizione automatica e generale che
colpisce tutti coloro che siano sotto tutela parziale, indipendentemente
dalle loro effettive facoltà - Mancato bilanciamento da parte del legislatore
degli interessi concorrenti e mancata valutazione della proporzionalità della
restrizione – Discutibilità di un trattamento unitario, come una singola
classe, delle persone con disabilità intellettuali o mentali, la cui
limitazione dei diritti richiede invece uno scrutinio rigoroso. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 3 febbraio 2022 (Advance Pharma sp. z o.o v. Poland) Art. 6 - Tribunale istituito per
legge e indipendenza del potere giudiziario – Riconoscimento di violazioni
manifeste (anche del diritto interno) e di una disfunzioni sistemica, a
seguito della riforma legislativa, nella nomina dei giudici della Camera civile
della Corte suprema che ha esaminato l’appello della società ricorrente -
Mancanza di indipendenza del Consiglio nazionale della magistratura dal
legislatore e dall’esecutivo - Nomina dei giudici della Camera da parte del
presidente della Polonia, nonostante la sospensione dell’attuazione della
risoluzione applicabile in attesa del controllo giurisdizionale, ed
intervento del legislatore nel processo di nomina con vanificazione degli
effetti di tale controllo - Assenza di mezzi di ricorso per contestare i
difetti. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 3 febbraio 2022 (N.M. et autres c. France) Art. 1 Prot. 1 – Ritenuta
violazione del diritto di proprietà in conseguenza dell’applicazione
retroattiva di una legge tale da determinare il venire meno della possibilità
di compensazione degli oneri derivanti dall’handicap di un bambino non
individuato come tale a causa di un errore nella diagnosi prenatale. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 25 gennaio 2022 (Yücel c. Turquie) Art. 5 ‒ Riconosciuta
violazione sotto plurimi profili ‒ Detenzione preventiva illegale di un
giornalista in assenza di ragionevoli sospetti di un reato (senza possibilità
di invocare, con riguardo al caso, deroghe ex Art. 15 ‒ Manifesta
insufficienza del risarcimento concesso e connessa manifesta ineffettività,
nel caso di specie, del ricorso individuale alla Corte costituzionale. Art. 10 – Riconosciuta
violazione della libertà di espressione, l’irregolarità della detenzione
riverberandosi sulla (il)legalità dell’interferenza con tale libertà. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 25 gennaio 2022 (Negovanović e Altri c. Serbia) Art. 1 Prot. 12 ‒ Divieto
di discriminazione (con emersione delle differenze rispetto all’articolo 14)
– Riconoscimento della natura discriminatoria della negazione a giocatori di
scacchi non vedenti dei premi concessi a giocatori vedenti come riconoscimento
sportivo nazionale per aver vinto competizioni internazionali di alto livello
– Precisazioni sull’ampiezza (fortemente ridotta) del margine di
apprezzamento nei casi in cui si stabilisca un trattamento giuridico diverso
per le persone con disabilità, anche in relazione all’esistenza di standard
previsti da plurime convezioni internazionali sull’inclusività – Necessità
che il “prestigio” di una competizione non dipenda semplicemente dal fatto
che vi partecipino persone con o senza disabilità. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 20 gennaio 2022 (Edzgveradze c. Georgia) Art. 2 (aspetto procedurale) –
Diritto alla vita e portata dell’obbligo delle autorità nazionali di condurre
indagini penali effettive, con riferimento a un caso di suicidio avvenuto il
giorno dopo la sottoposizione a un interrogatorio di polizia. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 18 gennaio 2022 (Lyubov Vasilyeva v. Russia) Art. 2 – Violazione dei relativi
“obblighi positivi” per mancata adozione di misure appropriate per proteggere
la vita del figlio del ricorrente, suicidatosi durante il servizio militare
obbligatorio in un contesto di pratiche di nonnismo, in mancanza di specifici
meccanismi e garanzie, nel quadro normativo nazionale, per proteggere le
vittime e coloro che denunciano pratiche di nonnismo, bullismo o altre forme
di maltrattamento nelle forze armate. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 18 gennaio 2022 (Atristain Gorosabel v. Spain) Art. 6 - Utilizzo nel processo
delle dichiarazioni inizialmente rese da un sospetto terrorista tenuto in
isolamento e privato, senza ragioni individualizzate, dell’accesso a un
avvocato di propria scelta e anche, in quella fase, della possibilità di comunicare
privatamente con un avvocato d’ufficio (pur presente durante
l’interrogatorio), con conseguente compromissione della complessiva equità
del procedimento penale. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 21 dicembre 2021 (Kuzminas v. Russia) Art. 8 – Violazione del
domicilio e della vita privata in conseguenza di una perquisizione illegale e
ingiustificata dell’abitazione del ricorrente effettuata utilizzando la
“procedura d’urgenza” nell’ambito di un’indagine penale per reati connessi al
possesso di sostanze stupefacenti, con precisazioni circa l’inadeguatezza del
controllo giudiziario ex post. |
Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 16 dicembre 2021 (Women’s Initiatives Supporting Group and
Others v. Georgia) Art. 3 e Art. 11 (+ Art. 14) –
Violazione degli obblighi positivi volti a prevenire e reprimere la
sottoposizione a trattamenti degradanti e le violazioni della libertà di
riunirsi pacificamente e del diritto a non essere discriminati, in
conseguenza della mancata adozione da parte dello Stato di misure preventive
e operative tali da proteggere i richiedenti dalla violenza omofobica e/o
transfobica e da garantire che la manifestazione LGBT procedesse
pacificamente, il tutto in assenza di un’indagine efficace sui fatti
verificatisi e in presenza, al contrario, di indicazioni ufficiali di
acquiescenza, connivenza e partecipazione attiva a comportamenti individuali
motivati dal pregiudizio. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 16 dicembre 2021 (Zaklan v. Croatia) Art. 1 Prot. 1 – Violazione del
diritto al godimento pacifico dei beni in conseguenza di una sospensione
prolungata di un procedimento, nell’ambito della successione degli Stati,
tale da impedire al ricorrente di recuperare il denaro temporaneamente confiscato
dall’ex Repubblica socialista federale di Iugoslavia ("RFI"), con imputabilità della violazione alla
Croazia, che si è fatta carico del procedimento dopo la dichiarazione di
indipendenza. |
Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 14 dicembre 2021 (Tunikova and Others v. Russia) Art. 3 (sostanziale e
procedurale) - Obblighi positivi - Mancata adozione di misure adeguate per
proteggere le vittime di violenza domestica e condurre un’indagine efficace,
a causa del persistente problema strutturale – Assenza nel quadro giuridico
nazionale di una definizione di "violenza domestica", di adeguate
disposizioni sostanziali e procedurali per perseguire le sue varie forme, e
di qualsiasi forma di ordini di protezione ‒ Impossibilità per le
autorità, in ragione delle carenze del quadro giuridico, di adottare una
visione globale in presenza di un continuum di violenza ed affrontarla il
problema a livello sistemico. Art. 14 (+ Art. 3) - Effetti
discriminatori sulle donne della perdurante assenza di una legislazione volta
a combattere la violenza domestica e di qualsiasi misura di protezione Art. 46 - Sentenza pilota -
Indicazione da parte della Corte di misure generali dettagliate che
comprendono tutti i settori dell’azione statale per affrontare in modo
globale la mancanza strutturale e discriminatoria di protezione delle donne
contro la violenza domestica. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 14 dicembre 2021 (Mukhin v. Russia) Art. 10 - Libertà di espressione
- Ingiustificata condanna del direttore di un giornale e revoca dello status
di mass-media del giornale stesso, con conseguente divieto assoluto e
permanente di distribuzione, sulla base delle leggi anti-estremismo. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 10 dicembre 2021 (Abdi Ibrahim v. Norvegia) Art. 8 letto alla luce dell’art.
9 - Rispetto della vita familiare - Carenze nel processo decisionale che ha
portato alla rottura dei legami madre-figlio, in un contesto di diversità dei
background culturali e religiosi della madre e dei genitori adottivi -
Insufficiente peso attribuito all’interesse reciproco della madre e del
bambino di mantenere i legami attraverso il contatto e mancata considerazione
dell’interesse della madre di permettere al bambino di mantenere alcuni
legami con le sue origini culturali e religiose. |
Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 7 dicembre 2021 (Savran v. Denmark) Art. 3 e Art. 8 - Violazione del
diritto al rispetto della vita privata in conseguenza dell’adozione di un
provvedimento di espulsione nei confronti di un immigrato di lunga data
affetto da schizofrenia, nonostante i progressi dopo anni di cure obbligatorie,
a causa di reati violenti, senza alcuna considerazione per la mancanza di
colpevolezza penale del ricorrente a causa della malattia mentale, e in
assenza di una adeguata considerazione e di un bilanciamento da parte delle
autorità degli interessi in gioco e di tutti i fattori pertinenti. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 7 dicembre 2021 (Yefimov and Youth Human Rights Group v.
Russia) Art. 10 e Art. 11 - Violazione
della libertà d’espressione e della libertà di associazione in conseguenza
della ingiustificata accusa di incitamento all’odio e dell’inserimento nella
lista dei terroristi ed estremisti, nonché dello scioglimento dell’associazione
di cui era fondatore il ricorrente, per aver questi pubblicato una nota in
cui si criticava la Chiesa ortodossa russa. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 28 novembre 2021 (Genov and Sarbinska v. Bulgariay) Art 10 - Violazione della
libertà di espressione in conseguenza di una ingiustificata condanna penale
(per “hooliganismo”) per aver imbrattato con della vernice spray un monumento
legato al regime comunista (qualificato come “criminale” da un Atto dell’Assemblea
nazionale del 2000) nel contesto di una protesta politica. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 23 novembre 2021 (Turan and Others v. Turkey) Art. 5 § 1 - Illegittima
detenzione preventiva di giudici sospettati di appartenere a
un’organizzazione illegale in seguito a un tentativo di colpo di stato, sulla
base di un’estensione irragionevole del concetto di flagranza di reato |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 8 novembre 2021 (Dolińska - Ficek and Ozimek v. Poland) Art. 6 (civile) - Violazioni
manifeste nella procedura di nomina dei giudici della Camera di revisione
straordinaria e degli affari pubblici della Corte suprema polacca, tali da
minare la sua legittimità e compromettere il nucleo essenziale del diritto a
un “tribunale istituito dalla legge” - Applicazione del test a tre fasi
formulato in Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda [GC] - Mancanza di
indipendenza del Consiglio nazionale della magistratura dal legislatore e
dall’esecutivo - Nomina dei giudici della Camera da parte del presidente
della Polonia, nonostante la sospensione dell’attuazione della pertinente
risoluzione in pendenza di controllo giudiziario - Assenza di adeguate
procedure e rimedi disponibili. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 28 ottobre 2021 (Bancsók and László Magyar (no.2) v.
Hungary) Art 3 - divieto di trattamenti
inumani o degradanti - violazione in un caso in cui, a seguito di condanna
all’ergastolo, si consenta di valutare la possibilità di liberazione
condizionata solo dopo aver scontato quarant’anni. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 26 ottobre 2021 (León Madrid c. Espagne) Art. 14 (+ Art. 8) – Principio
di non discriminazione in base al sesso, rispetto delle vita privata e
attribuzione del cognome – Violazione riscontrata nell’automatica precedenza
del cognome del padre rispetto a quello della madre nell’ordine dei cognomi
del bambino, se i genitori non sono d’accordo, senza possibilità di tener
conto di circostanze particolari – Non giustificabilità dell’applicazione
automatica della legge, eccessivamente rigida e discriminatoria nei confronti
delle donne, senza che assuma rilevanza nel caso di specie la possibilità di
cambiare cognome nel corso della vita. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 19 ottobre 2021 (Vedat Şorli c. Turquie) Art. 10 – Riconosciuta
violazione della libertà d’espressione per I’irrogazione di sanzioni penali
per vilipendio al Presidente della Repubblica (commesso mediante condivisione
di alcune caricature e commenti sarcastici su Facebook) in applicazione di una
norma speciale volta a tutelare l’interesse dello Stato a proteggere la
reputazione del suo leader. Art. 46 - Misure generali –
Riconosciuta necessità di allineare la norma in questione all’articolo 10
alla CEDU come forma appropriata di riparazione. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 12 ottobre 2021 (J.C. et autres c. Belgique) Art. 6 § 1 (civile) - Diritto di
accesso a un tribunale e immunità dalla giurisdizione della Santa sede - Non
violazione dell’art. 6§1 della Convenzione in conseguenza del diniego di
giurisdizione da parte del giudice interno con riguardo ad azioni di responsabilità
civile per abusi sessuali intentate contro la Santa Sede, in virtù del
riconoscimento a quest’ultima dell’immunità dalla giurisdizione, con
decisioni delle Corti interne ritenute conformi ai principi di diritto
internazionale generalmente riconosciuti, non arbitrarie né manifestamente
irragionevoli, e non sproporzionate, in presenza tra l’altro della astratta
possibilità di esaminare nel merito le domande dei ricorrenti laddove dirette
contro i funzionari della Chiesa cattolica belga. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 7 ottobre 2021 (Zambrano c. France) Decisione di irricevibilità, per
diverse ragioni, di un ricorso in tema di pass sanitario (green pass) e
obbligo vaccinale, con argomentazioni di rilievo sotto più profili. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 16 settembre 2021 (X v. Poland) Art. 14 e Art. 8 -
Discriminazione - Vita familiare - Riconosciuta violazione -Rifiuto di
concedere alla ricorrente la piena potestà genitoriale e la custodia del suo
figlio minore unicamente o prevalentemente sul fondamento di considerazioni
relative al suo orientamento sessuale e del rilievo decisivamente e
discriminatoriamente attribuito all’importanza del modello maschile. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 15 settembre 2021 (richiesta di
parere consultivo presentata dal Comitato per la Bioetica del Consiglio
d’Europa) Non ammissione di una richiesta
di parere consultivo presentata ai sensi dell’articolo 29 della Convenzione
sui Diritti dell’Uomo e la biomedicina (cd. “Convenzione di Oviedo”), con
innovative precisazioni sull’oggetto e i limiti di tale competenza consultiva. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 14 settembre 2021 (Tuncer Bakirhan c. Turquie) Art 5 § 3 e art. 10 -
Ragionevolezza della detenzione preventiva e Libertà di espressione -
Mancanza di motivi sufficienti e mancato rispetto del principio di
proporzionalità nel disporre e mantenere una misura di detenzione preventiva
nei confronti di un rappresentante eletto (un sindaco esponente di un partito
di opposizione) in attesa di giudizio, per circa due anni e undici mesi, a
causa delle sue attività politiche. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 2 settembre 2021 (Sanchez c. France) Articolo 10 – Assenza di
violazione della libertà di espressione in un caso di condanna penale, con
pena proporzionata, di un candidato alle elezioni a causa del non aver egli
prontamente cancellato dichiarazioni illecite di terzi (integranti il reato
di provocazione all’odio o alla violenza contro persone di fede musulmana)
sulla bacheca del proprio account Facebook pubblicamente accessibile,
utilizzato durante la campagna elettorale - Responsabilità del ricorrente in
quanto titolare dell’account, distinta dai terzi redattori (che sono stati
parimenti condannati). |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 22 luglio 2021 (Reczkowicz v. Poland) Art. 6, par. 1 – Violazione
dell’essenza del diritto a un “tribunale costituto per legge” a causa di
gravi irregolarità nella nomina dei giudici della nuova Camera disciplinare
della Corte suprema riconducibili all’assenza di indipendenza del riformato Consiglio
nazionale della magistratura rispetto al potere legislativo ed esecutivo, il
tutto in mancanza di un’analisi completa, equilibrata e obiettiva delle
questioni sottoposte alla Corte costituzionale nella prospettiva della
Convenzione ed in mancanza di rimedi interni per contestare le carenze
allegate. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 22 luglio 2021 (Gumenyuk and Others v. Ukraine) Art. 6 e Art. 8 – Lesione
dell’indipendenza del potere giudiziario, interferenza illegale con
l’esercizio delle funzioni giudiziarie dei ricorrenti come giudici della
Corte Suprema dell’Ucraina dopo la liquidazione della stessa e la sua
sostituzione con una nuova Corte, dalla quale essi erano stati esclusi in
violazione delle indicazioni di diverso tenore fornite dalla Corte
costituzionale. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 8 luglio 2021 (D.A. and Others v. Poland) Art. 3, Art. 4 protocollo 4,
Art. 13 e Art. 34 - Espulsioni collettive e dinieghi di accesso alla
procedura di asilo alla frontiera polacco-bielorussa, con conseguente rischio
di respingimenti a catena verso la Siria e sottoposizioni a torture e
trattamenti inumani e degradanti, nel quadro di una più ampia politica di
rifiuto d’ingresso e noncuranza verso l’intenzione dei richiedenti di
chiedere protezione internazionale, con assenza di rimedi efficaci per
presentare reclami alle autorità nazionali, e ancora con ostacolo
all’esercizio del diritto di ricorso ex art. 34 e mancato rispetto del
provvedimento provvisorio ex art. 39. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 6 luglio 2021 (Norman v. the United Kingdom) Art 10 - Libertà d’informazione
– Non violazione per azione penale e condanna di un agente penitenziario per
aver fornito informazioni sulla prigione a un giornalista in cambio di denaro
- Forte interesse pubblico all’azione penale per il mantenimento dell’integrità,
dell’efficacia e della fiducia pubblica nel servizio penitenziario - Assenza
di interesse pubblico nella maggioranza delle informazioni divulgate e
assenza di allegazioni volte alla riconduzione della condotta a quella del
“whistle-blower” - Divulgazione del nome del ricorrente da parte del
proprietario del giornale non imputabile allo Stato convenuto, in assenza di
qualsiasi coercizione da parte della polizia. Art 7 - Nullum crimen sine lege
- Sufficiente prevedibilità dell’imputazione e della condanna per il reato di
cattiva condotta in pubblico ufficio . |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 25 maggio 2021 (Big Brother Watch and Others c. The United
Kingdom) Art. 8 - Vita privata -
Conformità alla Convenzione di un regime di sorveglianza segreta, compresa
l’intercettazione di massa delle comunicazioni e la condivisione
dell’intelligence - Necessità di sviluppare la giurisprudenza alla luce delle
importanti differenze tra l’intercettazione mirata e l’intercettazione di
massa - Carenze fondamentali presenti nel regime di intercettazione di massa. Art 10 - Libertà di espressione
- Protezione insufficiente del materiale giornalistico confidenziale nei
regimi di sorveglianza elettronica. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 25 maggio 2021 (Centrum för rättvisa c. Suède) Art 8 - Privacy - Conformità
alla convenzione di un regime di sorveglianza segreta - Necessità di
sviluppare la giurisprudenza alla luce delle significative differenze tra
intercettazioni mirate e intercettazioni di massa. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 8 aprile 2021 (Vavřička et autres c. République
tchèque) Art. 8 e obblighi di
vaccinazione - mancata violazione in caso di multa al genitore ed esclusione
dei bambini dalla scuola materna per il rifiuto di rispettare l’obbligo di
vaccinazione dei bambini, alla luce tra l’altro del dovere di solidarietà
verso i più vulnerabili, che richiede al resto della popolazione di assumersi
un rischio minimo con la vaccinazione, e della coerenza dell’obbligo con
l’interesse superiore dei bambini - Riconoscimento della proporzionalità
delle misure impugnate rispetto agli scopi legittimi perseguiti e mancato
superamento dell’ampio margine di apprezzamento statale. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 1 aprile 2021 (Sedletska v. Ukraine) Art 10 - Libertà d’espressione e
protezione delle fonti giornalistiche - Interferenza con i diritti della
ricorrente a causa di un accesso giudizialmente autorizzato ai dati delle sue
comunicazioni telefoniche mobili non necessaria in una società democratica,
gravemente sproporzionata e non giustificata da una esigenza imperativa di
interesse pubblico. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 16 febbraio 2021 (Hanan c. Allemagne) Art. 1 e 2 (aspetto procedurale)
- Esistenza di un “nesso giurisdizionale” tale da far scattare l’obbligo di
indagare sulle morti di civili causate da un attacco aereo ordinato durante
una fase di ostilità attiva di un conflitto armato extraterritoriale,
giurisdizione esclusiva dello Stato su gravi violazioni commesse dalle
proprie truppe e obbligo di indagare ai sensi del diritto internazionale
umanitario (IHL) e del diritto interno. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 16 febbraio 2021 (Budinova and Chaprazov v. Bulgaria) Violazione congiunta degli artt.
8 e 14 per mancata tutela contro affermazioni discriminatorie rese
pubblicamente da un politico nei confronti di una minoranza etnica, con
chiarimenti espliciti sui criteri per determinare se una affermazione
discriminatoria relativa ad un gruppo etnico abbia "raggiunto il livello
necessario" per costituire violazione dei diritti di un singolo. |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 16 febbraio 2021 (V.C.L. and A.N. v. the United Kingdom) Tratta di esseri umani e
obblighi statali di protezione con particolare riguardo all’ipotesi di
incriminazione delle relative vittime (violazione degli artt. 4 e 6). |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 2 febbraio 2021 (X et Autres c. Bulgarie) Obblighi positivi, procedurali e
sostanziali, derivanti dall’art. 3 ed abusi sessuali nei confronti dei minori
(violazione dell’art. 3 sotto il profilo procedurale). |
Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 20 aprile 2020 (Tête
c. Francia) Libertà di espressione |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 9 aprile 2019 Parere consultivo ex Prot. n. 16
in tema di maternità surrogata, su domanda della Corte di Cassazione francese
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 20 marzo 2018 (Mehmet Hasan Altan c. Turchia) Condanna della Turchia per le
misure adottate contro giornalisti a seguito del tentato colpo di Stato |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 27 giugno 2017 (Charlie Gard and Others V. United Kingdom)
Sospensione delle cure mediche |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 17 gennaio 2017 (Hutchinson C. Royaume Uni) Ergastolo |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 29 marzo 2016 (Bédat C. Suisse) Segreto istruttorio e libertà di
stampa) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 19 gennaio 2016 (Görmüş e A. c. Turchia) Libertà di stampa |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 15 ottobre 2015 (Perinçek c. Switzerland) Negazionismo |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 10 novembre 2015 (M’Bala M’Bala c. Francia) Libertà di opinione |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 5 giugno 2015 (Lambert. c. Francia) Legittimità dell’ordine
d’interruzione delle cure tese al mantenimento artificiale in vita |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. ex II) 10 marzo 2015 (Y.Y. c. Turchia) Diritto di cambiare sesso |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera 1 luglio 2014 (S.A.S. c. France) Divieto d’indossare il burqa
integrale nello spazio pubblico; violazione degli artt. 8 e 9 CEDU:
insussistenza |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 27 maggio 2014 (Baka v. Hungary) Fine anticipata prevista in
Costituzione del mandato del presidente della Corte suprema ungherese;
violazione dell’articolo 6 CEDU - diritto ad un processo equo; violazione
dell’art. 10 CEDU - libertà di espressione |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (ex Sez. V) 12 giugno 2014 (Couderc et Hachette Filipacchi Associés c.
France) Libertà di stampa e tutela della
privacy |
Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 12 maggio 2014 (Chypre c. Turquie) "Gravi e continue"
violazioni dei diritti commesse dalla Turchia nei confronti dei
greco-ciprioti della parte nord di Cipro |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 21 ottobre 2013 (Del Rio Prada c. Russia) Principio di legalità delle pene |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 14 marzo 2013 (Öcalan c. Turquie n. 2) Condizioni di detenzione in
carcere |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 19 settembre 2013 (Von Hannover c. Allemagne n. 3) Rispetto della vita privata |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 14 marzo 2013 (Eon c. France) Offesa al Presidente della
Repubblica |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 19 febbraio 2013 (c.d. caso “Pirate Bay”) Violazione del copyright |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 19 febbraio 2013 (caso X e al.) Adozione della prole del partner
omosessuale |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 15 gennaio 2013 (caso Eweida) Libertà di religione |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 13 dicembre 2012 (caso De Souza Ribeiro) Immigrazione |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 13 dicembre 2012 (caso El-Masri) Terrorismo |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 25 ottobre 2012 (caso Vistiņš et Perepjolkins) Diritto di proprietà |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 19 ottobre 2012 (caso Catan) Diritto all’istruzione |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 4 ottobre 2012 (caso Chabauty) Non discriminazione e diritto di
proprietà |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 12 settembre 2012 (caso Nada) Terrorismo |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 6 novembre 2012 (caso Ekoglasnost) Elezioni |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. II) 12 settembre 2012 (caso Savda) Obiezione di coscienza |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 28 giugno 2012 (caso Ressiot) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 8 giugno 2012 (caso Célice) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 8 giugno 2012 (caso Cadène) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 15 marzo 2012 (caso Austin et autres c. Rouyame Uni) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 3 novembre 2011 (caso S.H. e altri c. Austria) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 20 settembre 2011 (caso Oao Neftyanaya Kompaniya Yukos c.
Russia) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 1 aprile 2010 (caso S.H. et altri c. Austria) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 29 marzo 2010 (caso Medvedyev c. Francia) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 16 marzo 2010 (caso Oršuš et altri c. Croazia) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 16 marzo 2010 (caso Carson e altri c. Regno Unito) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. V) 28 ottobre 2009 (caso Si Amer c. Francia) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 22 dicembre 2009 (caso Sejdić e Finci c. Bosnia Erzegovina) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. III) 21 giugno 2007 (caso Scanner de L’Ouest Lyonnais e altri
c. Francia) |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Grande
Camera) 10 aprile 2007 (caso Evans c. Regno Unito) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 27 novembre 2007 (caso Luczak c. Pologna) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 10 novembre 2005 (caso Leyla Sahin c. Turchia) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 6 ottobre 2005 (caso Draon c. Francia) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 25 ottobre 2005 (caso Niedzwiecki c. Germania) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. I) 27 maggio 2004 (caso Ogis-institut Stanislas, Ogec St. Pie
X e Blanche De Castille e altri c. Francia) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo, (Sez. II) 20 febbraio 2003 (caso Forrer-Niedenthal c. Germania) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo, (Grande Camera) 13 febbraio 2003 (caso Refah Partisi et a. c Turchia c.
Germania) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo, (Sez. II) 30 settembre 2003 (caso Koua Poirrez c. France) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Grande Camera) 11 luglio 2002 (caso Christine Goodwin c. Regno Unito) |
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Corte europea dei diritti
dell’uomo (Sez. IV) 29 aprile 2002 (caso Pretty c. Regno Unito) |
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Corte europea dei diritti dell’uomo
(Sez. III) 20 dicembre 2001 (caso P.S. c. Germania) |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez.
II) 22 giugno 2000 (caso Coëme et a. c. Belgio) |
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Corte europea dei diritti dell’uomo (Grande
Camera) 28 ottobre 1999 (caso Zielinski e altri c. Francia) |
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Corte europea dei diritti dell’uomo, 23 ottobre 1997 (caso National & Provincial
Building Society, Leeds Permanent Building Society Et Yorkshire Building
Society C. Regn. Unito) |
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Corte europea dei diritti dell’uomo 22 ottobre 1997 (caso
Papageorgiou c. Grecia) |
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Corte europea dei diritti dell’uomo 9 dicembre 1994 (caso Raffineries Grecques Stran e Stratis Andreadis c. Grecia) |
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Corte europea dei diritti dell’uomo 2 marzo 1987 (caso Mathieu-Mohin et Clerfayt c. Belgio) |