SENTENZA
N. 198
ANNO
2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI
Presidente
- Aldo CAROSI
Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto
Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’intero testo e degli artt. 3, comma 1, lettere g) e h); 4;
5; 8; 9; 12; 13, comma 1; 14; 16, commi 1 e 2; 17; 18, comma 3; 21; 22, commi
1, 2, 3 e 4; 23, commi 1, 2, 3 e 4; 24; 26, comma 1, lettera a), e 27 del decreto
legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della direttiva 2014/52/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la
direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di
determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della
legge 9 luglio 2015, n. 114), promossi dalla Regione
autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste,
dalla Regione
Lombardia, dalla Regione
Puglia, dalla Regione
Abruzzo, dalla Regione
Veneto, dalla Provincia
autonoma di Trento, dalla Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia, dalla Regione
autonoma Sardegna, dalla Regione
Calabria e dalla Provincia
autonoma di Bolzano, con ricorsi, il primo, spedito per la notifica il 1°
settembre, gli altri notificati il 30 agosto, il 1°-6 settembre, il 4-6
settembre, il 4 settembre, il 4-7 settembre, il 1°-6 settembre, il 4-7
settembre e il 4-11 settembre 2017, depositati in cancelleria il 5, 6, 7, 8, 13
e 14 settembre 2017, iscritti, rispettivamente, ai numeri da 63 a 71 e 73 del
registro ricorsi 2017 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
numeri da 41 a 45, prima serie speciale, dell’anno 2017.
Visti
gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
uditi nell’udienza pubblica del 19
giugno 2018 i Giudici relatori Franco Modugno e Augusto Antonio Barbera;
uditi
gli avvocati Francesco Saverio Marini per la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Piera Pujatti per la Regione Lombardia, Stelio Mangiameli per la
Regione Puglia, Fabio Franco per la Regione Abruzzo, Andrea Manzi per la
Regione Veneto, Giandomenico Falcon e Andrea Manzi
per la Provincia autonoma di Trento, Massimo Luciani per la Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia e per la Regione autonoma Sardegna, Aristide Police e
Nicola Greco per la Regione Calabria, Renate von Guggenberg
per la Provincia autonoma di Bolzano e l’avvocato dello Stato Gabriella
Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1.– Con ricorso
notificato il 1° settembre 2017 e depositato il 5 settembre 2017 (reg. ric. n.
63 del 2017), la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste ha promosso questioni di legittimità costituzionale,
in riferimento agli artt.
3, 5, 76, 97, 117, primo, terzo e
quinto comma, 118
e 120 della
Costituzione, nonché agli artt. 2, primo comma, lettere a), d), f), m), 3,
4 e 10 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta),
di alcune disposizioni del decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104
(Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la
valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati,
ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114), pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale n. 156 del 6 luglio 2017.
1.1.– La ricorrente
premette che il d.lgs. n. 104 del 2017 è stato adottato sulla base della delega
legislativa conferita dagli artt. 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114
(Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di
altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2014), al fine di
dare attuazione alla direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, concernente la
valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati.
Ad avviso della
ricorrente, l’atto normativo realizzerebbe un pervasivo riassetto del riparto
delle competenze fra Stato e Regioni in materia di valutazione di impatto
ambientale (VIA), lesivo delle sue competenze costituzionali.
La Regione censura,
anzitutto, l’art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017, denunciando la violazione degli
artt. 2, primo comma, lettere a), d), f) e m), 3 e 4 del proprio statuto,
nonché degli artt. 3, 5, 76, 117, primo e terzo comma, e 120 Cost.,
anche in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).
La norma impugnata
aggiunge al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in
materia ambientale» (da ora in poi, anche: cod. ambiente), l’art. 7-bis,
recante «Competenze in materia di VIA e di verifica di assoggettabilità a VIA».
La nuova
disposizione, ai commi 2 e 3, ridisegna la distribuzione delle competenze fra
Stato e Regioni in relazione ai progetti da sottoporre a VIA e a verifica di
assoggettabilità a VIA, assegnando allo Stato i progetti di cui agli Allegati
II e II-bis e alle Regioni quelli di cui agli Allegati III e IV, Parte II, del
d.lgs. n. 152 del 2006. Stabilisce, inoltre, al comma 4, che in sede statale
l’autorità competente è il Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare, che esercita le proprie competenze in collaborazione con
il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per le attività
istruttorie relative al procedimento di VIA, soggiungendo che il provvedimento
di verifica di assoggettabilità a VIA è adottato dal Ministero dell’ambiente e
della tutela del territorio e del mare, mentre il provvedimento di VIA è
adottato nelle forme e con le modalità di cui al nuovo art. 25, comma 2, e
all’art. 27, comma 8, cod. ambiente, che non contemplano più – diversamente dal
passato – il parere delle Regioni interessate.
La nuova disposizione
prevede, ancora, al comma 7, che nell’ipotesi in cui un progetto sia sottoposto
a verifica di assoggettabilità a VIA o a VIA di competenza regionale, le
Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano debbano assicurare che le
procedure siano svolte in conformità agli articoli da 19 a 26 e da 27-bis a 29
del d.lgs. n. 152 del 2006, stabilendo, altresì, che il procedimento di VIA si
svolge con le modalità di cui al citato art. 27-bis: con la conseguenza che
tale procedura risulterebbe disciplinata «integralmente dal centro».
Il comma 8
circoscrive, poi, la potestà normativa, legislativa e regolamentare, delle
Regioni e delle Province autonome alla disciplina dell’organizzazione e delle
modalità di esercizio delle funzioni amministrative ad esse attribuite in
materia di VIA, nonché all’eventuale conferimento di tali funzioni o di compiti
specifici agli altri enti territoriali sub-regionali. La potestà normativa in
parola viene vincolata al rispetto della legislazione europea e di quanto previsto
dal d.lgs. n. 152 del 2006, fatto salvo solo il potere di stabilire regole
particolari e ulteriori per la semplificazione dei procedimenti, per le
modalità della consultazione del pubblico e di tutti i soggetti pubblici
potenzialmente interessati, per il coordinamento dei provvedimenti e delle
autorizzazioni di competenza regionale e locale, nonché per la destinazione
alle finalità di cui all’art. 29, comma 8, dei proventi derivanti
dall’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, con espressa
esclusione della derogabilità dei termini procedimentali massimi di cui agli
artt. 19 e 27-bis.
Il comma 9
sottopone, da ultimo, le Regioni e le Province autonome a penetranti controlli
e obblighi informativi, stabilendo che, a decorrere dal 31 dicembre 2017 e con
cadenza biennale, esse debbano informare il Ministero dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare circa i provvedimenti adottati e i
procedimenti di verifica di assoggettabilità a VIA e di VIA, fornendo una serie
di dati.
Tale «pervasiva
interferenza» con le competenze regionali risulterebbe costituzionalmente
illegittima, tanto in rapporto allo strumento attraverso il quale è stata
attuata, quanto nei contenuti.
1.1.1.– Sotto il primo profilo, il
censurato art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017, violerebbe anzitutto l’art. 76 Cost. per eccesso di delega. Il
profondo riassetto delle competenze fra Stato e Regioni operato con la norma
impugnata risulterebbe, infatti, privo di qualsiasi fondamento esplicito nelle
norme della legge di delegazione.
In base all’art. 1
della legge n. 114 del 2015, il legislatore delegato, nell’attuare le direttive
elencate negli Allegati A e B, avrebbe dovuto attenersi, in primo luogo, ai
principi e ai criteri direttivi generali sanciti dagli artt. 31 e 32 della
legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia
alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione
europea). Nessuno di tali principi e criteri direttivi autorizzerebbe,
peraltro, la modifica del riparto di competenze tra Stato e Regioni. Da essi
emergerebbe, al contrario, la «massima attenzione» per la salvaguardia delle
attribuzioni dei singoli livelli di governo, essendo previsto nell’art. 32,
comma 1, lettera g), che, nei casi di sovrapposizione di competenze tra
amministrazioni diverse, «i decreti legislativi individuano, attraverso le più
opportune forme di coordinamento, rispettando i principi di sussidiarietà,
differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni
e degli altri enti territoriali, le procedure per salvaguardare l’unitarietà
dei processi decisionali, la trasparenza, la celerità, l’efficacia e
l’economicità nell’azione amministrativa e la chiara individuazione dei
soggetti responsabili».
Ancora più
significativo risulterebbe, peraltro, il silenzio sul punto, considerati i
principi e criteri direttivi specifici enunciati dall’art. 14 della legge n.
114 del 2015, alla luce dei quali la normativa delegata avrebbe dovuto
perseguire i seguenti obiettivi: «a) semplificazione, armonizzazione e
razionalizzazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale anche in
relazione al coordinamento e all’integrazione con altre procedure volte al
rilascio di pareri e autorizzazioni a carattere ambientale; b) rafforzamento
della qualità della procedura di valutazione di impatto ambientale, allineando
tale procedura ai principi della regolamentazione intelligente (smart regulation) e della
coerenza e delle sinergie con altre normative e politiche europee e nazionali;
c) revisione e razionalizzazione del sistema sanzionatorio da adottare ai sensi
della direttiva 2014/52/UE, al fine di definire sanzioni efficaci,
proporzionate e dissuasive e di consentire una maggiore efficacia nella
prevenzione delle violazioni; d) destinazione dei proventi derivanti dalle
sanzioni amministrative per finalità connesse al potenziamento delle attività
di vigilanza, prevenzione e monitoraggio ambientale, alla verifica del rispetto
delle condizioni previste nel procedimento di valutazione ambientale, nonché
alla protezione sanitaria della popolazione in caso di incidenti o calamità
naturali, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».
Il combinato
disposto degli artt. 1 e 14 di tale legge lascerebbe, quindi, chiaramente
intendere come le Camere abbiano conferito al Governo una mera delega di
revisione, riordino e semplificazione delle norme preesistenti, senza
autorizzare l’introduzione di soluzioni sostanzialmente innovative rispetto al
sistema legislativo previgente. Secondo la costante giurisprudenza
costituzionale, infatti, un simile intervento è ammissibile solo nel caso in
cui siano stabiliti principi e criteri direttivi idonei a circoscrivere la
discrezionalità del legislatore delegato: in mancanza di essi, la delega deve
essere intesa, di contro, in senso "minimale”, tale, cioè, da non consentire
l’adozione di norme delegate sostanzialmente innovative.
A comprova del fatto
che il silenzio della legge n. 114 del 2015 assurga a indice della volontà
delle Camere di non consentire interventi innovativi del legislatore delegato
sul piano della disciplina dei rapporti tra Stato e Regioni, militerebbe anche
la considerazione che tale legge, nel disciplinare il procedimento di
formazione del decreto delegato, ha prescritto il coinvolgimento delle Regioni
nella forma del mero parere, e non già dell’intesa. Tale soluzione si
giustificherebbe, infatti, solo sul presupposto che le Camere abbiano abilitato
il Governo a una "blanda” operazione di riordino e semplificazione della
materia, che intacca in misura minima o non intacca affatto le competenze
regionali, così da non richiedere l’attivazione di più penetranti strumenti di
collaborazione.
Ove si ritenesse, al
contrario, che le Camere abbiano voluto implicitamente consentire al Governo di
riformare le competenze statali e regionali in materia di VIA, lo strumento del
mero parere si rivelerebbe del tutto inidoneo a consentire una seria
interlocuzione fra i livelli di governo coinvolti, stante la quantità e
l’intensità delle competenze regionali sacrificate. In questa prospettiva, gli
artt. 1 e 14 della legge n. 114 del 2015 risulterebbero illegittimi per
violazione del principio di leale collaborazione (artt. 5 e 120 Cost.), nella parte in cui prevedono il mero parere e non
l’intesa, conformemente a quanto già deciso dalla Corte costituzionale, in
situazione analoga, con la sentenza n. 251 del
2016. Proprio la prescrizione del mero parere, anziché dell’intesa, avrebbe
del resto consentito al Governo di disattendere del tutto sette delle nove
condizioni che le Regioni avevano indicato come irrinunciabili nel parere
17/52/SR8/C5 (Parere sullo schema di decreto legislativo della direttiva
2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, che
modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell’impatto
ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli
1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114), reso in sede di Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di
Trento e di Bolzano sullo schema di decreto delegato.
La Regione
ricorrente chiede pertanto che la Corte – ove ritenesse che gli artt. 1 e 14
della legge n. 114 del 2015 abilitino il Governo al riassetto delle competenze
statali e regionali – sollevi avanti a sé stessa questione di legittimità
costituzionale delle citate disposizioni, dichiarando l’illegittimità
costituzionale in via derivata dell’art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017.
1.1.2.– Dal punto di vista
contenutistico, la disposizione impugnata si porrebbe in contrasto con l’art.
2, primo comma, lettere a), d), f) e m), nonché con gli artt. 3 e 4 dello
statuto reg. Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, in combinato disposto con l’art. 117, primo e terzo
comma, Cost., anche in relazione alla "clausola di
maggior favore” di cui all’art. 10 della legge cost.
n. 3 del 2001.
L’art. 2 dello
statuto attribuisce alla Regione autonoma la competenza legislativa piena in
materia di ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e
stato giuridico ed economico del personale; agricoltura e foreste, zootecnia,
flora e fauna; strade e lavori pubblici di interesse regionale; acque pubbliche
destinate ad irrigazione ed a uso domestico. Tale competenza incontra il solo
limite degli obblighi internazionali, degli interessi nazionali, nonché delle
norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica.
L’art. 3 riconosce,
poi, alla Regione autonoma la potestà di emanare – sempre entro i limiti dianzi
indicati – norme legislative di integrazione e di attuazione delle leggi della
Repubblica, per adattarle alle condizioni regionali, in tutta una serie di
materie che si intrecciano con quelle implicate nella valutazione di impatto
ambientale: industria e commercio, disciplina dell’utilizzazione delle acque
pubbliche ad uso idroelettrico, disciplina dell’utilizzazione delle miniere,
igiene e sanità, antichità e belle arti.
Infine, l’art. 4
demanda alla Regione autonoma le funzioni amministrative sulle materie nelle
quali ha potestà legislativa a norma degli artt. 2 e 3, salve quelle attribuite
ai Comuni e agli altri enti locali dalle leggi della Repubblica.
A fronte di questo
ampio elenco di competenze regionali, l’operazione effettuata dallo Stato, con
l’art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017, apparirebbe evidentemente illegittima e
sproporzionata. A seguito dell’intervento normativo censurato, infatti, la
Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste:
a) si troverebbe
confinata – nei casi di progetto sottoposto a verifica di assoggettabilità a
VIA o a VIA di competenza regionale – al ruolo di mero "custode” delle norme e
delle procedure prescritte dallo Stato (comma 7): ruolo ulteriormente gravato
da un obbligo di informazione periodica (comma 9);
b) vedrebbe limitata
la propria potestà normativa, tanto legislativa quanto regolamentare, alla
disciplina dell’organizzazione e delle modalità di esercizio delle funzioni
amministrative ad esse attribuite in materia di VIA, salva la sola facoltà di
dettare norme particolari e ulteriori per la semplificazione dei procedimenti e
altre specifiche finalità (comma 8);
c) subirebbe
l’integrale «regolazione dal centro» della procedura di VIA regionale –
cristallizzata nella disciplina dell’art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 – e
perderebbe ogni possibilità di interlocuzione nel procedimento di VIA statale,
essendo stato eliminato il parere regionale precedentemente prescritto
dall’art. 25, comma 2, del citato decreto legislativo.
In pratica, la Regione
speciale sarebbe stata «"declassata” a ufficio territoriale dello Stato»,
peraltro in palese violazione del principio di leale collaborazione, essendo
state disattese tutte le proposte di emendamento formulate dalla Conferenza
Stato-Regioni.
Tale "declassamento”
non troverebbe alcuna giustificazione nel diritto europeo. La direttiva
2014/52/UE apparirebbe, al contrario, «attenta alle specificità territoriali,
ed incline a valorizzare […] le competenze degli enti sub-statali», come
attesterebbero, tra l’altro, le indicazioni del considerando n. 9 (nel quale si
pone in evidenza «l’importanza economica e sociale di una corretta
pianificazione territoriale» e la rilevanza di «opportuni piani di utilizzo del
suolo e politiche a livello nazionale, regionale e locale») e del novellato
art. 6, paragrafo 1, della direttiva 2011/92/UE (in forza del quale «[g]li
Stati membri adottano le misure necessarie affinché le autorità che possono
essere interessate al progetto, per la loro specifica responsabilità in materia
di ambiente o in virtù delle loro competenze locali o regionali, abbiano la
possibilità di esprimere il loro parere sulle informazioni fornite dal
committente e sulla domanda di autorizzazione»).
L’impugnato
"declassamento” risulterebbe, altresì, incompatibile con il riparto
costituzionale delle competenze delineato dall’art. 117 Cost.
Alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale, benché la
disciplina della VIA sia in larga parte riconducibile alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, ciò non
sarebbe incompatibile con interventi specifici del legislatore regionale che
attengano alle proprie competenze, specie in materia di governo del territorio
e di tutela della salute. La competenza statale in questione, se pure di natura
"trasversale”, rimarrebbe soggetta, comunque sia, ai limiti della
ragionevolezza e della proporzionalità, non valendo di per sé ad escludere ogni
margine di competenza delle Regioni, alle quali è consentito, ad esempio,
incrementare gli standard di tutela dell’ambiente prefigurati dalla legge
statale.
La conclusione
varrebbe a fortiori per la ricorrente, in forza delle ulteriori competenze
attribuite dallo statuto speciale. La consapevolezza dell’esistenza di
incomprimibili competenze delle Regioni speciali emergerebbe, peraltro, anche
dal parere della commissione ambiente del Senato della Repubblica, nel quale si
raccomandava di adottare gli emendamenti al riguardo suggeriti dalla Conferenza
Stato-Regioni (parere espresso il 16 maggio 2017 dalla XIII Commissione
permanente del Senato della Repubblica), nonché dal parere della Commissione
affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio dei ministri e Interni,
nel quale si auspicavano modifiche proprio per salvaguardare le condizioni
delle autonomie speciali (parere espresso il 10 maggio 2017 dalla I Commissione
permanente Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio dei ministri e
Interni della Camera dei deputati).
1.2.– Vengono altresì censurati
l’art. 16, comma 2, e l’art. 24 del d.lgs. n. 104 del 2017. L’art. 16
stabilisce che il «provvedimento unico regionale» sostituisce ogni tipologia di
autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta
comunque denominati, necessari alla realizzazione e all’esercizio del progetto
sottoposto a VIA regionale. Tali atti vengono acquisiti – ai sensi dell’art. 24
del d.lgs. n. 104 del 2017, che sostituisce l’art. 14, comma 4, della legge 7
agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di
diritto di accesso ai documenti amministrativi) – nell’ambito di una conferenza
di servizi, convocata in «modalità sincrona» ai sensi dell’art. 14-ter della
legge n. 241 del 1990.
La nuova normativa
statale disciplinerebbe «in ogni minuto dettaglio» il procedimento per il
rilascio della VIA regionale, privando il legislatore regionale di ogni spazio
di autonomia.
1.2.1.– La
ricorrente lamenta la lesione dell’art. 76 Cost.,
poiché, secondo quanto già posto in evidenza, dal combinato disposto dei
principi e criteri direttivi desunti dagli artt. 1 e 14 della legge n. 114 del
2015 emergerebbe l’intenzione delle Camere di conferire al Governo una delega
«minimale», con «meri» obiettivi di «semplificazione, armonizzazione e
razionalizzazione» delle procedure di VIA (art. 14, comma 1, lettera a), mentre
il Governo avrebbe fatto «tabula rasa» delle previgenti discipline regionali e
avrebbe uniformato tutte le procedure «in maniera pervasiva e vincolante».
1.2.2.– Gli articoli impugnati sarebbero
illegittimi anche rispetto all’art. 2, primo comma, lettere a), d), f), m),
nonché agli artt. 3 e 4 dello statuto reg. Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste, in combinato disposto con l’art. 117, primo
e terzo comma, Cost., in riferimento alla «clausola
di maggior favore», di cui all’art. 10 della legge cost.
n. 3 del 2001.
La titolarità in
capo alla Regione autonoma di una pluralità di potestà legislative piene e
integrative-attuative in materie strettamente connesse alla VIA, nonché delle
corrispondenti funzioni amministrative, impedirebbe allo Stato di dettare «in
modo unilaterale e vincolante» il procedimento per la VIA, in lesione del
principio di leale collaborazione; la pretesa del legislatore statale di
disciplinare dal centro e in modo uniforme la VIA regionale, senza considerare
le specificità locali, apparirebbe, inoltre, «manifestamente irragionevole» e
contraria ai principi di buon andamento (art. 97 Cost.),
sussidiarietà e differenziazione (art. 118 Cost.).
Anche a voler
ritenere che lo Stato abbia avocato a sé, tramite «chiamata in sussidiarietà»,
la disciplina del procedimento, «l’integrale regolazione apprestata dal
legislatore nazionale» violerebbe i principi di ragionevolezza e
proporzionalità (è richiamata la sentenza n. 303 del
2003).
1.3.– La ricorrente impugna, altresì,
l’art. 22, commi 1, 2, 3 e 4 del d.lgs. n. 104 del 2017 per violazione degli
artt. 2, primo comma, lettere a), d), f) e m), 3 e 4 dello statuto reg. Valle
d’Aosta/Vallée d’Aoste,
nonché degli artt. 3, 5, 76, 117, primo e terzo comma, 118 e 120 Cost., anche in relazione all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
La ricorrente rileva
come la norma impugnata abbia ampiamente novellato gli Allegati alla Parte II
del d.lgs. n. 152 del 2006, i quali contengono gli elenchi dei procedimenti
sottoposti a VIA statale (Allegato II), a verifica di assoggettabilità a VIA
statale (Allegato II-bis), a VIA regionale (Allegato III) e a verifica di
assoggettabilità a VIA regionale (Allegato IV).
Rispetto al testo
previgente, risultano drasticamente ridotti i procedimenti di competenza
regionale, con corrispondente incremento di quelli di competenza statale.
Anche tale
intervento esulerebbe dal circoscritto perimetro della delega di armonizzazione
e semplificazione conferita dalle Camere con gli artt. 1 e 14 della legge n.
114 del 2015, salvo a voler considerare quest’ultima costituzionalmente
illegittima per la previsione di insufficienti strumenti di leale
collaborazione.
L’«impoverimento»
degli elenchi regionali lederebbe, altresì, le competenze legislative piene e
integrative-attuative riconosciute alla ricorrente dai citati artt. 2, primo
comma, lettere a), d), f) e m), e 3 dello statuto reg. Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, nonché delle
parallele competenze amministrative ad essa riconosciute dal successivo art. 4.
Risulterebbero violate, inoltre, le ulteriori competenze di cui la Regione gode
ai sensi dell’art. 117 Cost., in virtù della "clausola di maggior favore” di cui
all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, a
cominciare da quelle in materia di tutela della salute e governo del
territorio.
La riscrittura degli
Allegati suindicati sarebbe stata operata, ancora – in violazione degli artt. 5
e 120 Cost. – al di fuori di meccanismi di leale
collaborazione: l’acquisizione del mero parere della Conferenza Stato-Regioni,
peraltro in larga parte disatteso, costituirebbe, infatti, uno strumento del
tutto insufficiente a compensare il sacrificio delle attribuzioni regionali.
La nuova sistematica
degli elenchi non risponderebbe, per altro verso, ad alcun canone di
razionalità, ma soltanto a «un’ispirazione tutoria e centralistica fine a sé
stessa». Nella distribuzione delle competenze fra Stato e Regioni, infatti,
sarebbero stati adottati criteri del tutto scollegati dal dato territoriale – ad
esempio, la potenza termica o la dimensione dello specchio acqueo – privi di
valore sintomatico riguardo alla dimensione regionale o sovraregionale
dell’intervento, assegnando alla competenza statale anche progetti che
pacificamente interessano una sola Regione.
Risulterebbero in
tal modo violati, oltre all’art. 3 Cost., anche gli artt. 97 e 118 Cost.,
essendo stati completamente disattesi i principi di buon andamento e
sussidiarietà.
1.4.– Sarebbe illegittimo
anche l’art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, per asserita violazione
degli artt. 2, primo comma, lettere a), d), f) e m), 3 e 4 dello statuto reg.
Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste,
dell’art. 8 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526
(Estensione alla regione Trentino Alto-Adige ed alle province autonome di
Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica
24 luglio 1977, n. 616), nonché degli artt. 3, 5, 76, 117, primo, terzo e
quinto comma, 118 e 120 Cost., anche in relazione
art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
La norma censurata
stabilisce che «[l]e Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano
adeguano i propri ordinamenti esercitando le potestà normative di cui
all’articolo 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, come introdotto
dall’articolo 5 del presente decreto, entro il termine perentorio di centoventi
giorni dall’entrata in vigore dello stesso decreto. Decorso inutilmente il
suddetto termine, in assenza di disposizioni regionali o provinciali vigenti
idonee allo scopo, si applicano i poteri sostitutivi di cui all’articolo 117,
quinto comma, Cost., secondo quanto previsto dagli articoli 41 e 43 della
legge n. 234 del 2012».
La disposizione si
porrebbe in contrasto con i parametri evocati, stante l’assoluta genericità e
vaghezza del presupposto al quale è connessa l’attivazione del potere
sostitutivo dello Stato: vale a dire, il difetto di "idoneità allo scopo” delle
norme regionali e provinciali adottate in forza del nuovo art. 7-bis, comma 8,
del d.lgs. n. 152 del 2006. In mancanza di qualsiasi criterio atto a delimitare
la discrezionalità dello Stato, il potere sostitutivo potrebbe essere
esercitato sulla base di valutazioni squisitamente politiche, che troverebbero
un unico contrappeso – «tenue e anch’esso tutto politico» – nella
sottoposizione dell’atto sostitutivo alla Conferenza Stato-Regioni, ai sensi
dell’art. 41 della legge n. 234 del 2012: con la conseguenza che il legislatore
statale sarebbe posto «nella condizione di rimodulare a piacere i confini
costituzionali delle competenze».
Sfuggente e
indefinito risulterebbe, peraltro, lo stesso «scopo» cui le norme regionali
devono tendere, individuato tramite il richiamo alle potestà normative previste
dal citato art. 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, concernenti
l’organizzazione e le modalità di esercizio delle funzioni amministrative
attribuite alle Regioni e alle Province autonome in materia di VIA, nonché
l’eventuale conferimento di tali funzioni o di compiti specifici agli altri
enti territoriali sub-regionali.
Le funzioni così
delineate sarebbero, peraltro, tutte a esercizio eventuale e facoltativo,
sicché rispetto a esse non potrebbe configurarsi alcun potere sostitutivo dello
Stato, il quale, secondo la pacifica giurisprudenza costituzionale, è
esercitabile solo in relazione ad atti e attività vincolati nell’an.
Nella specie, solo la competenza normativa relativa all’organizzazione e alle
modalità di esercizio delle funzioni amministrative potrebbe ritenersi ad
esercizio obbligatorio: senonché, da un lato, non si comprenderebbe quale sia
rispetto a essa lo scopo, posto che la nuova disciplina statale già determina
in modo esaustivo ogni aspetto delle funzioni in questione, soprattutto con il
nuovo art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006; dall’altro, risulterebbe ancora
più difficile valutare l’idoneità allo scopo di norme regionali di così scarso
rilievo, una volta che il successo della riforma dipende tutto dall’efficacia
della «pervasiva disciplina dello Stato».
Tali criticità
risulterebbero acuite dall’autonomia speciale di cui gode la ricorrente, che
dovrebbe garantirle un presidio ancora maggiore rispetto a interventi
unilaterali dello Stato: non a caso, in sede di Conferenza Stato-Regioni erano
stati proposti correttivi finalizzati a garantire una maggiore compatibilità
tra potere sostitutivo e competenze delle Regioni speciali (punto 53 del citato
parere).
2.– Si è costituito, con atto
depositato il 10 ottobre 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il
rigetto del ricorso.
2.1.– Con riguardo alle questioni che
investono l’art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017 e, in via subordinata, gli artt.
1 e 14 della legge n. 114 del 2015, il resistente eccepisce in via preliminare
l’inammissibilità del ricorso, in ragione del fatto che non è mai stata
promossa dalla Regione ricorrente questione di legittimità costituzionale della
legge delega.
Al riguardo,
l’Avvocatura generale dello Stato ricorda come, secondo la giurisprudenza
costituzionale, la legge di delegazione legislativa possa essere autonomamente
impugnata allorché contenga un principio di disciplina sostanziale della
materia o una regolamentazione parziale della stessa, ovvero stabilisca norme
attributive di competenze che incidano in modo diretto e immediato sulle
attribuzioni costituzionalmente garantite delle Regioni e delle Province
autonome.
Ne deriva che ogni
qualvolta i contenuti della legge di delega, per il loro grado di
determinatezza e inequivocità, possano dar luogo a
effettive lesioni delle competenze regionali o provinciali, tale legge deve
essere impugnata tempestivamente nel termine di sessanta giorni stabilito
dall’art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul
funzionamento della Corte costituzionale). Qualora, infatti, si riconoscesse la
possibilità di impugnare il decreto legislativo senza aver preventivamente
impugnato la legge delega che risulti immediatamente lesiva si consentirebbe,
da un lato, l’elusione del predetto termine stabilito a pena di decadenza;
dall’altro, la sopravvivenza, «ancorché formale», di una normativa (quella
della legge delega) i cui effetti immediati e diretti (stabiliti dal decreto
legislativo) siano stati dichiarati costituzionalmente illegittimi.
Di qui anche
l’inammissibilità della richiesta della Regione ricorrente di autorimessione, da parte della Corte costituzionale, della
questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 14 della legge n. 114
del 2015, nella parte in cui prevedono il mero parere e non l’intesa: richiesta
che assumerebbe, per l’appunto, carattere elusivo del termine per
l’impugnazione della legge delega.
2.1.1.– Nel merito, le censure della
ricorrente risulterebbero, in ogni caso, infondate.
Quanto alla pretesa
esorbitanza dell’intervento dai limiti tracciati dalla legge di delegazione,
risulterebbe evidente come, nel caso in esame, l’oggetto, i principi e criteri
direttivi della delega debbano essere desunti non soltanto dalla legge n. 114
del 2015, ma anche dalla direttiva 2014/52/UE che il Governo è stato chiamato
ad attuare. Tale direttiva reca una disciplina puntuale delle fasi del
procedimento di VIA (art. 1, paragrafo 1, numero 1, lettera a), che vincola
rigorosamente gli Stati membri e, dunque, il Governo italiano nella sua qualità
di legislatore delegato, riducendo fortemente i margini di discrezionalità di
quest’ultimo e, pertanto, la possibilità di differenziare su base regionale
tale procedimento. Non vi sarebbe, quindi, alcuna ragione per intendere la
delega al riassetto in senso minimale e formale, dovendosi ritenere, al
contrario, che essa giustifichi anche interventi sostanziali quale quello che
il ricorso regionale contesta.
La norma censurata
rende, infatti, omogenea su tutto il territorio nazionale l’applicazione delle
nuove regole per i procedimenti di VIA e di assoggettabilità a VIA proprio al
fine di recepire fedelmente la nuova direttiva, che impone di superare la
pregressa situazione di frammentazione e contraddittorietà del quadro
regolamentare, dovuta alle diversificate discipline regionali, e di assicurare
l’efficace applicazione per tutti gli operatori delle semplificazioni
introdotte. La previgente disciplina attribuiva, in effetti, alle Regioni e
alle Province autonome la potestà generale di disciplinare il procedimento di
VIA (art. 7, comma 7, lettera e), del d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo
anteriore): potestà che non avrebbe più ragione di essere mantenuta, una volta
che la direttiva 2014/52/UE prevede regole dettagliate insuscettibili di
varianti negli ordinamenti nazionali, pena il rischio di procedure di
infrazione. Peraltro, la disposizione impugnata, oltre a prevedere che le
Regioni e le Province autonome possano disciplinare l’organizzazione e le
modalità di esercizio delle funzioni amministrative loro attribuite in materia
di VIA, in conformità alla normativa europea e nel rispetto di quanto previsto
dalla nuova disciplina, fa salvo il potere di tali enti di stabilire regole
particolari e ulteriori per la semplificazione dei procedimenti, per la
consultazione del pubblico e di tutti i soggetti pubblici potenzialmente
interessati, nonché per il coordinamento dei provvedimenti e delle
autorizzazioni di competenza regionale e locale.
In tale quadro,
sarebbe stato razionalizzato anche il riparto delle competenze amministrative
tra Stato e Regioni, prevedendo che siano sottoposti alla procedura di VIA e
alla verifica di assoggettabilità a VIA in sede statale i progetti di cui agli
Allegati II e II-bis, Parte II, del d.lgs. n. 152 del 2006, e alla procedura di
VIA e alla verifica di assoggettabilità a VIA in sede regionale i progetti di
cui agli Allegati III e IV.
2.1.2.– Con
riguardo, poi, alla censura di illegittima compressione delle potestà
legislative e delle competenze amministrative regionali connesse alla VIA, il
resistente rileva come, anche alla luce della definizione offerta dall’art. 1,
paragrafo 1, numero 1), lettera a), della direttiva 2014/52/UE, la VIA consista
in un procedimento mediante il quale vengono preventivamente individuati gli
effetti significativi sull’ambiente di determinate attività antropiche
(progetti, opere, infrastrutture e impianti produttivi). Al riguardo, l’art. 4,
comma 4, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006 elenca dettagliatamente i fattori
sui quali possono ricadere gli impatti ambientali negativi, individuandoli
segnatamente nella popolazione e salute umana; nella biodiversità, con
particolare attenzione alle specie e agli habitat protetti; nel territorio,
suolo, acqua, aria e clima; nei beni materiali, patrimonio culturale e
paesaggio; nell’interazione tra tali fattori.
Sarebbe, quindi,
evidente come la disciplina della VIA si collochi nell’ambito della materia, di
competenza esclusiva statale, «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», di cui
all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Si
tratta di materia che, per costante giurisprudenza della Corte costituzionale,
si connota come «trasversale» e «prevalente», in maniera tale che la normativa
statale ad essa relativa si impone integralmente nei confronti delle Regioni:
conclusione che si imporrebbe anche in rapporto alle Regioni ad autonomia
speciale.
I ripetuti
riferimenti della Regione ricorrente alla giurisprudenza costituzionale in tema
di "intreccio” di materie sarebbero, pertanto, non pertinenti. Nel caso della
VIA non vi sarebbe, infatti, alcun "intreccio” di materie. Come già ampiamente
riconosciuto dalla Corte costituzionale, l’esercizio della valutazione
ambientale può certamente incidere sull’esercizio di funzioni regionali, ma ciò
non escluderebbe che la relativa regolamentazione vada ascritta in via
esclusiva alla competenza statale in materia ambientale, salva l’esigenza –
quando tale incidenza sia particolarmente significativa – che la legislazione
statale preveda passaggi collaborativi con la Regione interessata (è citata, in
specie, la sentenza
n. 232 del 2009). Ciò sarebbe puntualmente avvenuto con il d.lgs. n. 104
del 2017, il cui art. 12, novellando l’art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, ha
previsto il necessario coinvolgimento, non soltanto della Regione, ma di tutte
le amministrazioni anche solo potenzialmente interessate.
Con riguardo alla
VIA di competenza statale, d’altro canto, l’art. 6 del d.lgs. n. 104 del 2017
prevede, nei procedimenti per i quali sia riconosciuto un concorrente interesse
regionale, che un esperto designato dalle Regioni e dalle Province autonome
interessate partecipi all’attività istruttoria della Commissione tecnica di
verifica dell’impatto ambientale (VIA) e della valutazione ambientale
strategica (VAS).
Non conferente
risulterebbe, quindi, il richiamo della Regione ricorrente alla sentenza n. 251 del
2016, la quale ha ritenuto che la decretazione legislativa statale debba
essere in taluni casi assistita da passaggi collaborativi "forti” con il
sistema regionale: ma ciò esclusivamente qualora la medesima si muova
nell’ambito di un "intreccio inestricabile” di competenze, e non già quando si
sia di fronte ad un fenomeno di semplice «incidenza» delle norme statali in
materia di competenza esclusiva su funzioni regionali; fenomeno che
caratterizza naturalmente le materie "trasversali”, quali la tutela
dell’ambiente o la fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni (art.
117, secondo comma, lettera m, Cost.).
Le norme del d.lgs.
n. 104 del 2017 volte a garantire l’omogeneità procedimentale delle valutazioni
di impatto ambientale su tutto il territorio nazionale risulterebbero, in
effetti, ascrivibili proprio a quest’ultima materia, avendo la giurisprudenza
costituzionale chiarito che norme procedimentali a carattere semplificatorio
possono costituire «livelli essenziali delle prestazioni» ai sensi del citato
art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in grado di vincolare i legislatori regionali.
2.1.3.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri eccepisce, in ogni caso, l’inammissibilità, per genericità e carenza
di motivazione, della censura relativa alla presunta violazione delle norme
dello statuto reg. Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, congiuntamente a quella dell’art. 117, terzo comma, Cost.
Per un verso,
infatti, la Regione non avrebbe indicato le ragioni per le quali la disciplina
della VIA dettata dallo Stato inciderebbe sulle richiamate competenze
statutarie; per altro verso, avrebbe invocato simultaneamente la disciplina
statutaria e quella costituzionale, senza motivare circa l’applicabilità
dell’una o dell’altra al caso di specie, alla stregua della clausola di
adeguamento automatico di cui all’art. 10 della legge cost.
n. 3 del 2001. Ai fini dell’ammissibilità della censura, la Regione avrebbe
dovuto, in particolare, individuare – fornendone adeguata motivazione – per
quali materie la Costituzione pone un regime competenziale
di maggior favore per la Regione speciale rispetto alla disciplina statutaria,
e per quali materie accade l’opposto, invocando, di conseguenza, il parametro
adeguato per ciascuna materia.
2.1.4.– Con riferimento, infine, al
mancato recepimento da parte del Governo delle proposte emendative avanzate
dalle Regioni e dalle Province autonome in sede di Conferenza Stato-Regioni,
per il resistente, l’istituto del mero parere, oltretutto neppure obbligatorio,
non impedisce al procedente di determinarsi in modo differente dalle risultanze
dell’attività consultiva.
Tutte le proposte
delle Regioni sarebbero state, peraltro, dettagliatamente analizzate nella
relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo, con l’indicazione,
per quelle non accolte, delle ragioni del mancato accoglimento.
2.2.– Sulla presunta violazione
dell’art. 76 Cost., da parte dell’art. 16, comma 2 e
dell’art. 24 del d.lgs. n. 104 del 2017, l’infondatezza della censura sarebbe
palese ove si consideri che la delega era volta all’attuazione della direttiva
2014/52/UE. Essa avrebbe richiesto agli Stati membri di individuare il grado e
le modalità dell’integrazione del procedimento di VIA in altri procedimenti a
carattere autorizzatorio, prevedendo che in detto
provvedimento autorizzatorio fosse necessariamente
contenuta la decisione motivata di valutazione di impatto ambientale. Alla luce
di ciò, sarebbe intervenuta la modifica del contestato art. 27-bis del d.lgs.
n. 152 del 2006; i principi e criteri direttivi della legge delega, volti ad
attuare la direttiva europea, avrebbero dovuto integrarsi con le previsioni di
questa, da cui si dovrebbe evincere l’esistenza di «norme ben precise che
orientavano il legislatore delegato e ne vincolavano l’operato».
L’Avvocatura nota
che l’integrazione procedimentale richiesta dalla direttiva 2014/52/UE si
sarebbe potuta raggiungere solo attraverso un procedimento unico o comunque
tramite l’integrazione con gli altri procedimenti di settore.
Dall’art. 2,
paragrafo 2, della richiamata direttiva, si dedurrebbe che «gli Stati membri
dispongono di varie possibilità per dare attuazione alla direttiva relativamente
all’integrazione delle valutazioni dell’impatto ambientale nelle procedure
nazionali». Considerando che gli elementi di tali procedure nazionali possono
variare, appare conseguente la previsione di cui all’art. 16, comma 2, del
d.lgs. n. 104 del 2017, che ha introdotto una disciplina specifica per le
procedure di VIA incardinate nel procedimento autorizzatorio
unico regionale, confermando la scelta già operata con il decreto legislativo
30 giugno 2016, n. 127 (Norme per il riordino della disciplina in materia di
conferenza di servizi in attuazione dell’art. 2 della legge 7 agosto 2015, n.
124), di riforma della legge n. 241 del 1990.
2.3.– L’impugnato art. 24, inoltre,
razionalizzerebbe un istituto già esistente e non innoverebbe la disciplina
previgente, come modificata dall’art. l, comma 4, del citato d.lgs. n. 127 del
2016. Esso, infine, rappresenterebbe una disposizione di coordinamento con il
d.lgs. n. 152 del 2006, al fine di adeguare il procedimento unico regionale
alla norma europea.
2.4.– Egualmente infondate
risulterebbero le questioni che investono le modifiche degli allegati disposte
dall’art. 22, commi 1 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017 e la correlata riduzione
degli elenchi dei procedimenti di competenza regionale.
2.4.1.– Quanto,
infatti, al ventilato eccesso di delega, la revisione del quadro allocativo
delle competenze a livello statale o regionale dovrebbe ritenersi, in realtà,
pienamente ricompresa nell’ambito dei principi e criteri direttivi specifici di
cui all’art. 14, comma 1, lettere a) e b), della legge n. 114 del 2015, che
demandavano al Governo il compito di armonizzare e razionalizzare le procedure
di VIA, nonché di rafforzarne la qualità, allineandole ai principi della
coerenza e delle sinergie con altre normative e politiche europee e nazionali
(quali quelle energetiche e infrastrutturali).
Ma, soprattutto, la
nuova ripartizione delle competenze in materia di VIA risponderebbe pienamente
al più generale principio e criterio direttivo – richiamato dalla stessa
ricorrente – di cui all’art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del
2012, relativo all’ipotesi in cui si verifichino «sovrapposizioni di competenze
tra amministrazioni diverse»: principio e criterio direttivo che, lungi dal
"cristallizzare” il quadro previgente delle competenze, avrebbe imposto al
legislatore delegato di verificare il puntuale rispetto, da parte del
precedente assetto, dei principi di sussidiarietà, differenziazione,
adeguatezza e leale collaborazione, alla luce dell’esperienza maturata,
procedendo, nel caso di riscontrata non conformità, ai necessari adeguamenti.
Con la modifica
degli Allegati da II a IV, Parte II, del d.lgs. n. 152 del 2006, il Governo
avrebbe inteso, per l’appunto, razionalizzare il riparto delle competenze
amministrative tra Stato e Regioni, attraendo al livello statale le procedure
per i progetti relativi alle infrastrutture e agli impianti energetici, tenuto
conto delle esigenze di uniformità, efficienza e del dirimente criterio della
dimensione sovraregionale degli impianti da valutare (che rende ontologicamente
inadeguato il livello di valutazione regionale), fatte salve puntuali e
limitate eccezioni. Ciò, con la precisazione che la valutazione di adeguatezza,
o non, del livello regionale non potrebbe che essere effettuata ex ante e per
«classi di casi», senza che rilevi l’eventualità che, in concreto, un singolo
progetto resti privo di impatti extraregionali.
Se pure è vero,
d’altro canto, che il criterio dimensionale degli impianti da valutare non trova
un ancoraggio nella direttiva europea da attuare, esso troverebbe, però,
fondamento nell’art. 118, primo comma, Cost., ai fini della corretta allocazione delle funzioni
amministrative ai diversi livelli territoriali di governo. Al riguardo,
occorrerebbe considerare che, prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 104
del 2017, la ripartizione delle competenze relative alle varie categorie
progettuali di VIA risaliva al decreto del Presidente della Repubblica 12
aprile 1996 (Atto di indirizzo e coordinamento per l’attuazione dell’art. 40,
comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in
materia di valutazione di impatto ambientale): dunque, ad epoca anteriore alla
riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione, che ha riscritto in modo
profondamente innovativo il citato art. 118 Cost.,
ponendo a fondamento dell’allocazione di funzioni amministrative i principi di
sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione. Di conseguenza, la precedente
ripartizione delle funzioni non soltanto era molto risalente nel tempo, ma
rispondeva a un quadro costituzionale sensibilmente diverso dall’attuale:
sicché il legislatore delegato, anche alla luce dell’esperienza maturata medio
tempore, ben poteva – e anzi doveva – rivisitare profondamente tale ripartizione
alla luce dei principi dianzi richiamati.
2.4.2.– Quanto, poi, all’asserita
violazione delle competenze legislative e amministrative regionali, non
potrebbe che ribadirsi come non ricorra, in materia di VIA, un "intreccio” di
competenze, ma, trattandosi di materia di competenza esclusiva dello Stato, si
debba parlare di mera incidenza sull’esercizio di funzioni regionali.
2.4.3.– Tale considerazione varrebbe
anche ad escludere la violazione del principio di leale collaborazione,
ventilata dalla Regione ricorrente sull’assunto dell’insufficienza del mero
parere della Conferenza Stato-Regioni, previsto dalla legge delega, a
compensare il sacrificio delle attribuzioni regionali.
2.4.4.– Per quel che concerne, poi, la
dedotta violazione degli artt. 3, 97 e 118 Cost., il
criterio dimensionale, per la determinazione della competenza in materia di
VIA, sarebbe stato adottato dal legislatore nazionale quale discrimine per
individuare i progetti che "potenzialmente” assumano una rilevanza
sovraregionale.
Sebbene, infatti, la
procedura di VIA implichi una valutazione "sito specifica”, e nonostante la
locazione delle opere possa ricadere in un ambito territoriale ristretto (anche
meramente comunale), i potenziali impatti ambientali travalicano l’ambito territoriale
direttamente interessato, richiedendo valutazioni di area vasta
(sovraregionale) per la natura stessa dei complessi fenomeni di inquinamento o,
comunque, di impatto quali-quantitativo sulle risorse ambientali coinvolte.
2.5.– Con riferimento, infine, alle
questioni che investono l’art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, il
Presidente del Consiglio dei ministri rileva come l’art. 7-bis, comma 8, del
d.lgs. n. 152 del 2006, introdotto dall’art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017,
attribuisca alle Regioni e alle Province autonome il compito di dettare, in via
legislativa o regolamentare, misure a carattere strettamente organizzativo in
ordine ai procedimenti di VIA di propria competenza. Si tratterebbe di
adempimento a carattere sicuramente obbligatorio («disciplinano»), giustificato
dall’esigenza di evitare che la carenza di adeguate soluzioni organizzative
pregiudichi, a livello regionale, lo svolgimento dei procedimenti di VIA nel
rispetto delle innovative regole stabilite dal legislatore delegato e – quel
che più conta – comprometta la piena attuazione della direttiva europea nella
quale siffatte regole si radicano.
Gli ulteriori
contenuti, a carattere facoltativo, delle normative regionali e provinciali,
previsti dal citato art. 7-bis, comma 8, non ne esaurirebbero il perimetro, e
neppure ne rappresenterebbero la parte principale. In questa prospettiva
"l’idoneità allo scopo”, della quale la ricorrente denuncia la vaghezza, si
colorerebbe di ben precisi significati, consistenti segnatamente nella
sussistenza delle condizioni organizzative indispensabili per garantire
l’integrale attuazione della direttiva europea.
Il censurato potere
sostitutivo statale troverebbe, pertanto, sicuro fondamento nell’art. 117,
quinto comma, Cost., in forza del quale le Regioni e le Province autonome,
nelle materie di loro competenza, provvedono all’attuazione e all’esecuzione
degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, «nel rispetto
delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le
modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza». Tale
disposizione sarebbe direttamente applicabile anche alle autonomie speciali,
senza la mediazione della clausola di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
La rigorosa
delimitazione dei presupposti di esercizio del potere sostitutivo sarebbe
confermata dalla previsione della norma censurata in base alla quale, per
l’attivazione della sostituzione statale, non è sufficiente il mancato rispetto
del termine di centoventi giorni, ma è necessario accertare, altresì, l’assenza
all’interno degli ordinamenti regionali di disposizioni idonee, comunque sia, a
raggiungere gli scopi sopra indicati.
3.– La Regione autonoma Valle
d’Aosta/Vallée d’Aoste ha
depositato una memoria, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
3.1.– In replica alle difese svolte
dal Presidente del Consiglio dei ministri, la ricorrente reitera
l’argomentazione secondo la quale la drastica ridistribuzione di competenze in
materia di VIA operata dal d.lgs. n. 104 del 2017 avrebbe inciso su numerosi
ambiti di competenza della Regione, sia in forza del suo statuto di autonomia,
sia in forza dell’art. 117, terzo e quarto comma, Cost.,
in relazione all’art. 10 della legge cost. n. 3 del
2001.
3.2.– Insiste la
ricorrente che l’inestricabile intreccio delle competenze determinato dalla
disciplina impugnata, legittimerebbe la Regione a dedurne l’incostituzionalità
per eccesso di delega, dal momento che il riassetto delle competenze operato
dal Governo non troverebbe alcuna base di legittimazione né nei criteri
direttivi enunciati dalla legge di delegazione, né – contrariamente a quanto
asserito dall’Avvocatura generale dello Stato – nella direttiva europea che il
Governo era chiamato ad attuare.
3.3.– L’illegittimità costituzionale
della disciplina impugnata discenderebbe, peraltro, anche dalla violazione del
principio di leale collaborazione, posto che il riassetto di competenze è stato
operato all’infuori di qualsiasi meccanismo partecipativo "forte” delle Regioni.
3.4.– Egualmente infondato sarebbe
l’ulteriore assunto dell’Avvocatura, secondo il quale la disciplina in materia
di VIA afferirebbe in via prevalente alla materia «tutela dell’ambiente», di
competenza esclusiva statale: circostanza che legittimerebbe la mancata
previsione di strumenti concertativi ed escluderebbe la configurazione della
"chiamata in sussidiarietà”.
Per un verso,
infatti, la Corte costituzionale ha riconosciuto l’obbligo del legislatore
statale di assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione in
senso "forte” anche nel caso in cui la disciplina, pur ascrivendosi
prevalentemente a una materia di competenza legislativa esclusiva statale,
coinvolga una pluralità di interessi e competenze regionali (sono citate le sentenze
n. 230 del 2013
e n. 33 del 2011).
Per altro verso,
poi, la dedotta incostituzionalità risulterebbe avvalorata in ragione
dell’autonomia della Regione ricorrente. Secondo la giurisprudenza
costituzionale, infatti, la normativa riconducibile alla materia trasversale di
cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. è applicabile solo laddove non entrino in gioco le
competenze riconosciute dalla normativa statutaria agli enti ad autonomia
differenziata. La Corte costituzionale ha affermato, in particolare, che, a
seguito della riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione, il legislatore
statale conserva il potere di vincolare la potestà legislativa primaria della
Regione a statuto speciale attraverso l’emanazione di leggi qualificabili come
«riforme economico-sociali»: e ciò anche sulla base del titolo di competenza
legislativa nella materia «tutela dell’ambiente». Di conseguenza, non è
invocabile il solo limite dell’ambiente, in sé e per sé considerato, il quale
va congiunto con il limite statutario delle riforme economico-sociali, sia pure
riferite alle tematiche ambientali (sono citate le sentenze n. 212 del 2017,
n. 51 del 2006
e n. 536 del
2002). Limite non invocato e, comunque sia, non sussistente nel caso in
esame.
Il d.lgs. n. 152 del
2006 reca, d’altra parte, tuttora, all’art. 35, comma 2-bis – a chiusura della
Parte II, dedicata alle procedure per la VAS, la VIA e l’autorizzazione
integrata ambientale (AIA) – una specifica clausola di salvaguardia, secondo la
quale «[l]e Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di
Bolzano provvedono alle finalità del presente decreto ai sensi dei relativi
statuti». Senonché, le disposizioni contestate si rivolgono senza alcuna
clausola di salvaguardia – pur richiesta in sede di parere – e senza adeguato
coordinamento anche alle regioni ad autonomia speciale e alle province
autonome, con conseguente violazione di tutti i parametri statutari evocati.
4.– Con ricorso notificato il 30
agosto 2017 e depositato il 5 settembre 2017, la Regione Lombardia (reg. ric.
n. 64 del 2017) ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt.
3, comma 1, lettera g), 5, 16, comma 2, 21, 22, commi da 1 a 4, 26, comma 1,
lettera a), e 27 del d.lgs. n. 104 del 2017.
4.1.– L’impugnato art. 3, comma 1,
lettera g), sostituisce l’art. 6, comma 10, del d.lgs. n. 152 del 2006. La
norma dispone che «[p]er i progetti o parti di
progetti aventi quale unico obiettivo la difesa nazionale e per i progetti
aventi quali unico obiettivo la risposta alle emergenze che riguardano la
protezione civile, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e
del mare, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del
turismo, dopo una valutazione caso per caso, può disporre, con decreto,
l’esclusione di tali progetti dal campo di applicazione delle norme di cui al
Titolo III, Parte II del presente decreto, qualora ritenga che tale
applicazione possa pregiudicare i suddetti obiettivi».
4.1.1.– Secondo la ricorrente, la
norma, in precedenza diretta a regolare i progetti di difesa nazionale, estende
ora la possibilità di deroga, con una valutazione caso per caso, ai progetti
aventi come unico obiettivo la risposta ad emergenze che riguardino la
protezione civile. Verrebbe incisa così la materia «protezione civile», di
competenza concorrente, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., dato che il decreto ministeriale che porterebbe
all’esclusione di alcuni progetti dal campo di applicazione delle norme sulla
VIA non prevedrebbe alcun coinvolgimento della Regione interessata, in
violazione degli artt.
5 e 120 Cost., sotto il profilo della leale collaborazione.
4.1.2.– Nella specie sussisterebbe un
concorso di competenze statali e regionali (ambiente, salute e protezione
civile), senza che le Regioni siano coinvolte nel processo decisionale. Si
prefigura altresì un dubbio sulla ragionevolezza della compressione della leale
collaborazione, in violazione dell’art. 3 Cost., «per mancanza di proporzionalità e di rispondenza logica
rispetto alle finalità dichiarate». La norma determinerebbe una disamina "caso
per caso”, senza alcun riferimento all’ente territorialmente prossimo e quindi
maggiormente idoneo alla valutazione; si genererebbero, inoltre, «inefficienze
e disfunzioni sull’ordine delle competenze».
4.2.– Quanto alla seconda delle
disposizioni censurate, la ricorrente rileva come l’art. 5 del d.lgs. n. 104
del 2017, introducendo l’art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, riscriva
sostanzialmente le competenze regionali in materia di VIA, circoscrivendole a
profili organizzativi e a modalità di esercizio delle funzioni amministrative
conferite.
4.2.1.– In questo modo, la norma
impugnata violerebbe la potestà legislativa concorrente della Regione in
materia di «tutela della salute», prevista dall’art. 117, terzo comma, Cost.
Le norme in materia
di VIA, di derivazione comunitaria, se pure certamente riferibili alla materia
della tutela dell’ambiente, sarebbero tuttavia ascrivibili anche ad alcune materie
di competenza concorrente regionale, e segnatamente, per l’appunto, a quella
della tutela della salute. Lo stretto collegamento fra la disciplina
ambientale, in particolare quella dei rifiuti, e la tutela della salute è
considerato, del resto, pacifico dalla giurisprudenza costituzionale (è citata,
in specie, la sentenza
n. 75 del 2017).
L’attinenza della
disciplina della VIA a tale ambito di materia è reso, d’altronde, palese dalle
premesse della direttiva
2014/52/UE, che, al considerando n. 41, afferma espressamente che
l’obiettivo da essa perseguito è quello di garantire un elevato livello di
protezione dell’ambiente e della salute umana, grazie alla definizione dei
requisiti minimi per la valutazione dell’impatto ambientale dei progetti. Lo
stesso art. 4, comma 4, lettera b), del d.lgs.
n. 152 del 2006 conferma che la VIA mira a proteggere la salute umana.
Per altro verso, la
Corte costituzionale ha posto in evidenza come l’attribuzione allo Stato della
competenza legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente non escluda
interventi del legislatore regionale diretti a soddisfare, nell’ambito delle
proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario
definite dallo Stato (viene citata la sentenza n. 407 del
2002). Inoltre, pur riconoscendo specificamente che le norme in materia di
VIA rientrano nel perimetro dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., la
Corte ha anche riscontrato la presenza di ambiti materiali di spettanza
regionale, soprattutto nel campo della tutela della salute (sono citate le
sentenze n. 234
del 2009 e n.
398 del 2006).
4.2.2.– Nel caso di specie, la
violazione della potestà legislativa regionale sarebbe resa ancora più evidente
dal nuovo testo dell’art. 7 del d.lgs. n. 152 del 2006, come modificato
dall’art. 4 del d.lgs. n. 104 del 2017, nel quale si conferma la competenza
legislativa e amministrativa delle Regioni e delle Province autonome in materia
di VAS e di AIA.
La diversa
disciplina a fronte di materie che presentano un analogo riparto della potestà
legislativa tra Stato e Regioni (VIA e VAS) non potrebbe essere giustificata
sulla base del generico richiamo, contenuto nella legge delega, ai principi di
«semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione» delle procedure di VIA,
«anche in relazione al coordinamento e all’integrazione con altre procedure
volte al rilascio di pareri e autorizzazioni di carattere ambientale».
In nessun caso,
d’altra parte, l’attuazione di tali condivisibili principi potrebbe legittimare
un intervento, quale quello operato dal decreto legislativo censurato, inteso a
ridisegnare ex novo l’assetto dei rapporti tra Stato e Regioni. Al contrario,
la semplificazione, l’armonizzazione e la razionalizzazione non potrebbe «che
fondarsi sul riparto di competenze». Di qui, dunque, la violazione anche
dell’art. 76 Cost.
4.2.3.– La diversa
disciplina prevista per la VAS e la VIA comporterebbe, altresì, la violazione
dell’art. 3 Cost., «per mancanza di proporzionalità in ragione
delle identiche finalità dichiarate», di «proteggere la salute umana,
contribuire con un migliore ambiente alla qualità della vita, provvedere al
mantenimento della specie e conservare la capacità di riproduzione degli
ecosistemi» (art. 4 del d.lgs. n. 152 del 2006, come modificato dall’art. 1 del
d.lgs. n. 104 del 2017).
L’art. 3 Cost. risulterebbe violato anche
sotto il profilo della irragionevole compromissione della potestà normativa
regionale conseguente, in particolare, alla previsione di cui all’art. 7-bis,
commi 7 e 8, del d.lgs.
n. 152 del 2006. La giurisprudenza costituzionale ha, infatti, riconosciuto
che le Regioni possono stabilire, in materia ambientale, livelli di tutela più
elevati rispetto alla disciplina statale: intervento che rimarrebbe, tuttavia,
precluso dalla limitazione della potestà legislativa regionale ai soli profili
organizzativi.
4.3.– L’impugnato art. 16, comma 2,
del d.lgs. n. 104 del 2017, che disciplina il provvedimento autorizzatorio
unico regionale, obbligatorio in caso di VIA regionale, prevedrebbe una
«dettagliata regolazione» del provvedimento stesso, quale modalità «esclusiva e
obbligatoria di procedimento».
4.3.1.– Per la ricorrente la
disposizione sarebbe illogica dal momento che l’art. 16, comma 1, dispone per i
progetti soggetti a VIA statale che il provvedimento non sia unico, salvo
richiesta del proponente, mentre «in caso di VIA regionale vige la obbligatorietà
del procedimento unico», gravando l’interessato di preventivi oneri istruttori.
Il provvedimento
unico statale, inoltre, considererebbe solo alcuni atti abilitativi, indicati
dal citato art. 16, comma 2, lettere da a) ad h); la finalità di integrare le
valutazioni di impatto ambientale, inoltre, sarebbe rimessa agli Stati membri,
secondo quanto previsto dal considerando n. 21 della direttiva (UE) n. 2014/52,
nonché dall’art. 2, comma 2, della direttiva 2011/92/UE.
4.3.2.– La ricorrente lamenta altresì
che la norma censurata riunirebbe nell’autorizzazione unica procedimenti
relativi a materie diverse rispetto a quella ambientale, in contrasto con i
principi costituzionali sulla delega legislativa, di cui all’art. 76 Cost.
4.3.3.– Ad avviso della ricorrente, con
l’introduzione della norma impugnata l’autorità competente in materia di VIA
«diviene sportello unico» quale «luogo, fisico o virtuale» cui rivolgersi per
ottenere quanto necessario all’autorizzazione dei progetti. La disposizione si
porrebbe in contrasto con il d.lgs. n. 127 del 2016, che poneva in capo
all’autorità competente l’onere procedimentale dell’apertura della fase
istruttoria. La previsione impugnata sarebbe difforme anche rispetto alla legge
delega n. 114 del 2015, la quale richiedeva un riordino attraverso
l’integrazione dei soli procedimenti in materia ambientale (sono richiamate le
sentenze n. 293
del 2010 e n.
199 del 2003). Siffatta norma, infine, inciderebbe su procedimenti non
attinenti all’ambiente (governo del territorio, tutela della salute, ovvero la
protezione civile nel caso dell’autorizzazione antisismica).
4.3.4.– Fa presente la ricorrente che,
secondo questa Corte, soluzioni innovative del sistema legislativo previgente
sarebbero ammissibili solo in presenza di principi e criteri direttivi «idonei
a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato» (sentenza n. 293 del
2010).
4.3.5.– Esulerebbe,
inoltre, dalla delega, «il riassetto generale dei rapporti tra Stato e Regioni
in materie non di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma,
Cost.», in quanto la disciplina per operare tale
riassetto dovrebbe coinvolgere le Regioni, sia nel rapporto tra principi
fondamentali e legislazione di dettaglio, nelle materie di competenza
concorrente, sia, a fortiori, nell’esercizio del potere di avocazione da parte
dello Stato di funzioni amministrative e legislative sulla base dell’art. 118, primo comma, Cost., nelle materie di competenza regionale residuale
(richiamata la sentenza
n. 80 del 2012).
La Regione ricorrente
ritiene che l’autorizzazione unica, «solo» regionale, non determini una più
penetrante difesa dell’ambiente, in quanto la finalità della norma non sarebbe
quella di fissare standard uniformi sul territorio nazionale; il provvedimento
unico regionale delineato dall’impugnato art. 16, comma 2, (in difformità alla
delega legislativa), imporrebbe altresì termini perentori all’autorità
competente in materia di VIA regionale e determinerebbe in capo alla stessa
delle responsabilità «significative» al di fuori delle normative e dei
procedimenti in materia ambientale», senza l’attribuzione di adeguati strumenti
operativi, violando «il canone costituzionale del buon andamento» (sono
richiamate le sentenze n. 40 e n. 135 del
1998).
4.3.6.– Il
procedimento delineato, infine, non prevedrebbe forme di coordinamento con
altri procedimenti, generando un’incertezza applicativa con possibile
pregiudizio della garanzia di buon andamento dell’amministrazione pubblica, di
cui all’art. 97 Cost.; la ricorrente dubita della ragionevolezza di
tale scelta in violazione dell’art. 3 Cost., e del principio di leale
collaborazione, per mancanza di proporzionalità e di rispondenza logica
rispetto alle finalità dichiarate.
4.4.– La Regione
Lombardia impugna, inoltre, l’art. 21 del d.lgs. n. 104 del 2017, che,
sostituendo l’art. 33 del d.lgs. n. 152 del 2006, stabilisce che «[l]e tariffe
da applicare ai proponenti, determinate sulla base del costo effettivo del
servizio, per la copertura dei costi sopportati dall’autorità competente per
l’organizzazione e lo svolgimento delle attività istruttorie, di monitoraggio e
controllo delle procedure di verifica di assoggettabilità a VIA, di VIA e di
VAS sono definite con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze».
La ricorrente
lamenta il mancato coinvolgimento delle Regioni nella determinazione delle
tariffe, essendo questa basata su un elemento – il «costo effettivo del
servizio» – la cui quantificazione non può prescindere da un confronto con
tutte le autorità competenti in materia di VIA (e dunque anche le Regioni).
L’assenza di tale confronto comporterebbe una lesione della potestà
organizzativa delle Regioni, considerato anche il fatto che l’introduzione, con
l’art. 16 del d.lgs. n. 104 del 2017, dell’autorizzazione unica regionale
implica che il provvedimento finale sia connesso a competenze che esulano dalla
tutela dell’ambiente e ricadono nelle materie di competenza regionale.
L’irragionevolezza
della scelta legislativa risulterebbe esaltata dalla previsione dell’art. 33,
comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 (non modificato), secondo la quale «[p]er le finalità di cui al comma 1, le Regioni e le Province
autonome di Trento e di Bolzano possono definire proprie modalità di
quantificazione e corresponsione degli oneri da porre in capo ai proponenti».
In sostanza, dunque, il legislatore, da un lato, avrebbe riconosciuto alle
Regioni la potestà di attuare una propria definizione tariffaria; dall’altro,
avrebbe obliterato del tutto l’esigenza di consultarle.
La disposizione
censurata risulterebbe, quindi, incompatibile con il principio di leale
collaborazione, in violazione degli artt. 5 e 120 Cost.,
e comprimerebbe il potere della Regione di individuare le migliori condizioni
di esercizio delle funzioni di propria competenza, secondo i principi di
sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza (riaffermati anche dall’art.
3-quinquies del d.lgs. n. 152 del 2006), in violazione degli artt. 117, terzo e
quarto comma, e 118
Cost.
4.5.– La ricorrente rileva, ancora,
che gli artt. 22, commi da 1 a 4, e l’art. 26, comma 1, lettera a), del d.lgs.
n. 104 del 2017, modificano gli Allegati alla Parte II del d.lgs. n. 152 del
2006, sottraendo alle Regioni un considerevole numero di tipologie progettuali
soggette a VIA o a verifica di assoggettabilità a VIA, riguardanti materie di
potestà legislativa anche regionale, per attribuirle alla competenza
amministrativa dello Stato. L’art. 26, comma 1, lettera a), dispone poi le
conseguenti abrogazioni.
La giurisprudenza
costituzionale ha chiarito che, in materia ambientale, il legislatore statale
può emanare anche norme di dettaglio, purché finalizzate alla tutela
dell’ambiente: condizione non riscontrabile nella specie. Le disposizioni
censurate non ampliano, infatti, i casi di sottoposizione a valutazione o
verifica ambientale e, dunque, non pongono ulteriori garanzie a difesa
dell’ambiente, ma si limitano a disporre uno spostamento verso il centro delle
competenze, senza che ciò sia richiesto dalla direttiva europea e dalla legge
delega, la quale si limita a richiamare l’esigenza di regolare aspetti
procedurali in materia di VIA, con conseguente violazione degli artt. 117, terzo comma,
e 76 Cost.
Le norme censurate
violerebbero, altresì, l’art. 118 Cost., ridimensionando le competenze amministrative
regionali e quelle a suo tempo conferite, per categorie di progetti, dalla
stessa Regione agli enti locali: e ciò a prescindere da valutazioni in ordine
all’adeguatezza, o non, del livello costituzionale coinvolto, con ulteriore
violazione del principio di leale collaborazione (artt. 5 e 120 Cost.),
per mancata previa intesa tra lo Stato e le Regioni interessate.
Né, d’altra parte,
potrebbe ravvisarsi la necessità di un esercizio unitario delle funzioni,
poiché i progetti indicati dalla norma sono attribuiti allo Stato a prescindere
dal fatto che essi ricadano nel territorio di più Regioni.
4.6.– La Regione Lombardia impugna,
da ultimo, l’art. 27 del d.lgs. n. 104 del 2017, il quale reca una clausola di
invarianza finanziaria, stabilendo, al comma 1, che «[d]all’attuazione del
presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica», e, al comma 2, che «[f]ermo il disposto di cui all’articolo
21, le attività di cui al presente decreto sono svolte con le risorse umane,
strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente».
In sostanza, quindi,
si sarebbero imposti alle Regioni nuovi adempimenti, con conseguenti nuovi
oneri, intervenendo anche su materie di competenza concorrente, senza alcuna
previsione finanziaria e imponendo, anzi, il «blocco delle risorse».
Ad avviso della
ricorrente, la disposizione violerebbe gli artt. 76, 117, terzo comma, e 118 Cost.
Essa si porrebbe in contrasto
con la legge di delega n. 114 del 2015, che all’art. 1, comma 4, prevede la
possibilità di riconoscere risorse in relazione a spese non contemplate dalle
leggi vigenti e che non riguardino l’attività ordinaria delle amministrazioni,
nei limiti occorrenti per l’adeguamento alla direttiva.
L’irrazionalità
della scelta operata dal legislatore delegato e la sua incoerenza rispetto agli
scopi perseguiti dalla legge
n. 114 del 2015 risulterebbero, d’altra parte, palesi, specie alla luce
dell’introduzione, con il menzionato art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del
2017 (pure impugnato dalla ricorrente), del provvedimento autorizzatorio
unico, che implicherebbe una modifica dello svolgimento delle funzioni
regionali. La norma censurata non avrebbe, peraltro, alcuna attinenza con la
tutela dell’ambiente, rimanendo, dunque, estranea al perimetro della
legislazione statale esclusiva.
4.7.– In rapporto a
tutte le disposizioni censurate, la Regione sottolinea di essere legittimata a
denunciare la violazione anche dei parametri di cui agli artt. 3 e 76 Cost.,
non attinenti al riparto delle competenze tra Stato e Regioni, in quanto tale
violazione implica, per le ragioni esposte, la compromissione delle
attribuzioni regionali, ridondando quindi sul riparto delle competenze.
5.– Si è costituito, con atto
depositato il 6 ottobre 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il
rigetto del ricorso.
5.1.– La difesa statale eccepisce
l’infondatezza della censura relativa all’art. 3, comma 1, lettera g), del
d.lgs. n. 104 del 2017.
La scelta del
legislatore troverebbe fondamento nel corretto recepimento della «Direttiva
VIA» che pone in evidenza come, in alcuni casi riguardanti la protezione
civile, l’osservanza della direttiva 2011/92/UE potrebbe avere effetti negativi
sull’ambiente, «ed è dunque opportuno, ove del caso, autorizzare gli Stati
membri a non applicare la direttiva». L’art. 1, paragrafo 3, della direttiva
rimette inoltre agli Stati membri di decidere con una valutazione "caso per
caso” e, ove disposto dalla normativa nazionale, di non applicare la direttiva
a progetti o parti di essi aventi quale unico obiettivo la difesa o la
protezione civile, qualora l’applicazione possa pregiudicare tali obiettivi.
I commi 10 e 11 del
nuovo art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, sostituiti dall’art. 3 del d.lgs. n.
104 del 2017, allineerebbero la disciplina nazionale alla direttiva,
distinguendo i progetti relativi a difesa e protezione civile (comma 10) dalle
altre condizioni di esenzione (comma 11).
La disciplina si
rivelerebbe garantista, grazie alla riserva del potere di esenzione dalla VIA
in capo al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, che
ne assumerebbe la responsabilità politicoamministrativa
sul territorio nazionale e nei confronti dell’Unione europea. Non si
ravviserebbero ragioni per ridurre lo standard di tutela ambientale,
consentendo che le esclusioni citate possano essere disposte dalla singola
Regione.
5.2.– Con
riferimento alla violazione delle norme costituzionali in tema di riparto delle
competenze legislative, la disciplina della VIA sarebbe considerata dalla
giurisprudenza costituzionale espressione della competenza esclusiva statale in
materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera s), Cost.: l’esclusività della
competenza statale, pur in presenza di un’incidenza sull’esercizio di
competenze afferenti ad «ambiti materiali di spettanza regionale»,
determinerebbe la «prevalenza» della normativa statale (sentenza n. 234 del
2009).
5.3.– Neppure si
ritiene leso il principio di leale collaborazione, poiché l’impugnato art. 3,
comma 1, lettera g), riferendosi «ai progetti aventi quale unico obiettivo la
risposta alle emergenze che riguardano la protezione civile (oltre a quelli
riferibili alla difesa nazionale)», rientrerebbe nel campo di applicazione
della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della
protezione civile), che all’art. 5 disciplinerebbe gli interventi da operarsi
«durante la (e a seguito della) "dichiarazione dello stato di emergenza”»; il
decreto ministeriale, adottato per escludere taluni progetti dal campo di
applicazione delle norme in materia di VIA, sarebbe successivo rispetto alla
valutazione – operata dal Dipartimento della protezione civile «d’intesa con la
Regione interessata» – degli interventi sulla protezione civile.
A norma dell’art. 5,
comma 2, della citata legge n. 225 del 1992, per l’attuazione degli interventi
di protezione civile da effettuarsi durante lo stato di emergenza, secondo
l’Avvocatura, «si provvede con apposita ordinanza di protezione civile da
emanarsi una volta "acquisita l’intesa delle regioni territorialmente
interessate”».
5.3.1.– La partecipazione regionale sarebbe
assicurata, infine, per i progetti di protezione civile, successivi allo stato
di emergenza.
5.4.– L’Avvocatura contesta la
fondatezza delle questioni aventi ad oggetto l’art. 5 del d.lgs. n. 104 del
2017 sulla scorta di considerazioni analoghe a quelle svolte in relazione al
ricorso della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste (reg. ric. n. 63 del 2017).
5.5.– L’Avvocatura dello Stato
eccepisce altresì l’infondatezza della censura dell’impugnato art. 16, comma 2
del d.lgs. 104 del 2017, poiché il coordinamento del procedimento di VIA con
altri procedimenti sarebbe «implicitamente, ma chiaramente», necessario dallo
stesso oggetto della delega. Quest’ultimo consisterebbe nell’attuazione della
direttiva 2014/52/UE, la quale, all’art. 2, prevede che «la valutazione
dell’impatto ambientale può essere integrata nelle procedure esistenti di
autorizzazione dei progetti negli Stati membri ovvero, in mancanza di queste,
in altre procedure o nelle procedure da stabilire per rispettare gli obiettivi
della presente direttiva».
5.5.1.– Per il Presidente del Consiglio
dei ministri sarebbe stato possibile giungere a tale risultato solo attraverso
la previsione di un procedimento unico o comunque tramite l’integrazione e il
coordinamento con gli altri procedimenti di settore. Poiché la direttiva
prevede che «gli Stati membri dispongono di varie possibilità per dare
attuazione alla direttiva relativamente all’integrazione delle valutazioni
dell’impatto ambientale nelle procedure nazionali», ritiene che gli elementi di
tali procedure nazionali possano variare. In simile contesto, l’art. 16, comma
2, avrebbe previsto una disciplina per le procedure di VIA incardinate nel
procedimento autorizzatorio unico regionale,
confermando la scelta operata con la riforma della legge n. 241 del 1990, così
come modificata dal d.lgs. n. 127 del 2016.
5.6.– Prive di fondamento
risulterebbero, altresì, le censure mosse all’art. 21 del d.lgs. n. 104 del
2017.
Tale disposizione
sostituisce, infatti, esclusivamente l’art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 152 del
2006, lasciando impregiudicate le competenze regionali stabilite dal successivo
art. 33, comma 2.
Dalla lettura
coordinata delle due previsioni emergerebbe come il comma 1 contenga una norma
di principio, che indica i criteri generali per la determinazione delle
tariffe, destinata ad applicarsi sia alla VIA statale, sia alla VIA regionale.
In pari tempo, tuttavia, il medesimo comma 1 reca una previsione concernente
solo la VIA statale: ossia la delega a un decreto del Ministro dell’ambiente
per la definizione in concreto delle tariffe. Che tale previsione riguardi solo
le tariffe statali lo si desumerebbe chiaramente dal comma 2, che affida alle
Regioni l’attuazione del comma 1 nella concreta definizione dei profili
tariffari. Di qui l’infondatezza delle doglianze della ricorrente: le Regioni
non soltanto risulterebbero "coinvolte” nella definizione delle tariffe
concernenti la VIA regionale, ma ne sarebbero, anzi, le principali
protagoniste, dovendo semplicemente rispettare la norma di principio statale.
5.7.– Per quanto attiene, poi, alle
questioni che investono gli artt. 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera
a), del d.lgs. n. 104 del 2017, con le quali si lamenta la sottrazione alle
competenze regionali di un rilevante numero di tipologie progettuali, la difesa
dello Stato ne eccepisce l’inammissibilità per genericità e carenza di
motivazione. Mancherebbe del tutto la specifica individuazione dei progetti la
cui sottrazione alla VIA regionale comporterebbe l’asserita lesione dell’art.
118 Cost. e,
conseguentemente, qualunque argomento a sostegno dell’adeguatezza del livello
regionale allo svolgimento della relativa funzione amministrativa: elementi,
questi, imprescindibili per poter apprezzare una denuncia di violazione del
principio di sussidiarietà.
Quanto al merito,
l’Avvocatura ribadisce le considerazioni già svolte in relazione al ricorso
della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (reg. ric. n. 63 del 2017) circa la piena
riconducibilità dell’intervento modificativo censurato tanto ai principi e
criteri direttivi specifici enunciati dall’art. 14, comma 1, della legge n. 114
del 2015, quanto al principio e criterio direttivo generale di cui all’art. 32,
comma 1, lettera g) della legge n. 234 del 2012. Ribadisce, altresì, come la
modifica degli allegati al d.lgs. n. 152 del 2006 risponda all’obiettivo di
razionalizzare il riparto delle competenze amministrative tra Stato e Regioni,
sulla base del dirimente criterio della dimensione sovraregionale degli
impianti: criterio che troverebbe fondamento nell’art. 118, primo comma, Cost.,
per la corretta allocazione di dette funzioni.
5.8.– Inammissibili per genericità e
difetto di motivazione in punto di violazione dei parametri costituzionali
evocati sarebbero – secondo l’Avvocatura – anche le censure che investono
l’art. 27 del d.lgs. n. 104 del 2017.
Nel merito, le
censure sarebbero basate sull’erroneo assunto che la disciplina di riferimento
avrebbe posto non meglio precisati «nuovi e maggiori oneri procedimentali in
capo alle amministrazioni regionali», riconducibili, in specie, al
«provvedimento autorizzatorio unico» introdotto
dall’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017. Tale ultimo intervento
sarebbe, peraltro, confermativo e speculare rispetto alle scelte già operate
con la riforma dell’art. 14, comma 4, della n. 241 del 1990, di cui al d.lgs.
n. 127 del 2016.
La doglianza della
Regione risulterebbe inoltre illogica, posto che la stessa ricorrente, per un
verso, lamenta di essere stata spogliata delle proprie precedenti competenze e,
per l’altro, della impossibilità di adottare misure di implementazione
finanziaria, strumentale e di personale.
La Regione avrebbe
omesso, infine, di tener conto di quanto disposto dall’art. 33, commi 1 e 2,
del d.lgs. n. 152 del 2006, ove si prevede la totale copertura di tutti i costi
sopportati dall’autorità competente a valere sulle tariffe da applicare ai
proponenti, nonché la possibilità per gli enti territoriali di definire proprie
modalità di quantificazione e corresponsione di tali tariffe.
6.– Con ricorso notificato il 1°
settembre 2017, depositato il 6 settembre 2017 (reg. ric. n. 65 del 2017), la
Regione Puglia ha promosso le seguenti questioni di legittimità costituzionale:
a) in via
principale, dell’intero d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione dell’art. 76 Cost., sotto il profilo del tardivo esercizio della delega
legislativa, nonché del principio di leale
collaborazione;
b) in via
subordinata, degli artt. 3, 4, 5 e 22 del d.lgs. n. 104 del 2017, per
violazione dell’art.
76 Cost., sotto il profilo dell’eccesso di
delega; degli artt. 3, comma 1, lettera g), 14 e 18, comma 3, per violazione
degli artt. 3, 9, 24 (evocato solo in
relazione all’art. 18, comma 3), 76 e 97 Cost.
6.1.– Con riferimento alla prima
censura la ricorrente rileva che il decreto legislativo impugnato è stato
adottato sulla base della delega conferita dalla legge n. 114 del 2015. L’art.
1, comma 2, di tale legge individua il termine per l’esercizio della delega
mediante rinvio all’art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, in forza del
quale, relativamente alle deleghe legislative conferite con la legge di
delegazione europea per il recepimento delle direttive, «il Governo adotta i
decreti legislativi entro il termine di quattro mesi antecedenti a quello di
recepimento indicato in ciascuna delle direttive».
La direttiva
2014/52/UE, che il Governo era chiamato nel frangente ad attuare, all’art. 2,
paragrafo 1, prevede come termine di recepimento il 16 maggio 2017: di conseguenza,
la delega avrebbe dovuto essere esercitata entro il 16 gennaio 2017. Ai fini
della verifica del rispetto di tale termine, dovrebbe aversi riguardo alla data
di emanazione del decreto legislativo da parte del Presidente della Repubblica,
a norma dell’art. 87 Cost.: adempimento che vale ad immettere l’atto nell’ordinamento
giuridico della Repubblica.
Nella specie, il
decreto legislativo impugnato è stato emanato dal Presidente della Repubblica
solo il 16 giugno 2017. Risulterebbe, pertanto, evidente che il termine della
delega non è stato rispettato dal Governo, con conseguente illegittimità
dell’intero decreto per violazione dell’art. 76 Cost., che prevede tra i
vincoli della delegazione legislativa il «tempo limitato».
La conclusione non
muterebbe neppure qualora si volesse fare riferimento alla data di
deliberazione del Consiglio dei ministri (9 giugno 2017), o addirittura a
quella della deliberazione preliminare (10 marzo 2017, come si desume dal
preambolo del decreto impugnato). Anche tali date risultano, infatti, entrambe
posteriori al termine di esercizio della delega.
6.2.– L’intero d.lgs. n. 104 del 2017
risulterebbe, altresì, illegittimo per violazione del principio di leale
collaborazione.
Le materie sulle
quali incide la direttiva andrebbero individuate non soltanto – e certamente –
nell’ambiente, ma anche nella tutela della salute, nella pianificazione
territoriale e, più in generale, nell’uso del territorio, nella protezione del
patrimonio culturale, nella difesa e nella protezione civile, tutte di
competenza regionale.
Nel settore preso in
considerazione dalla direttiva si determinerebbe, quindi, un intreccio di campi
materiali dello Stato e delle Regioni, che, se pure abilita lo Stato ad
assumere la competenza legislativa, lo obbliga, tuttavia – secondo la
giurisprudenza costituzionale – ad instaurare procedure collaborative
nell’esercizio della medesima.
Con la sentenza n. 251 del
2016, la Corte costituzionale ha, infatti, esteso l’ambito applicativo
della leale collaborazione anche al sistema delle fonti normative e, in
particolare, ai decreti legislativi. Secondo la citata pronuncia, in presenza
di un concorso di competenze, inestricabilmente connesse, nessuna delle quali
si riveli prevalente, non è costituzionalmente illegittimo l’intervento del
legislatore statale, se necessario a garantire l’esigenza di unitarietà sottesa
alla riforma del settore. Tuttavia, esso deve muoversi nel rispetto del
principio di leale collaborazione: principio che trova il suo luogo idoneo di
espressione nella Conferenza Stato-Regioni.
Nella specie, il
d.lgs. n. 104 del 2017 è stato deliberato – come risulta dal suo preambolo –
dopo l’acquisizione del parere della Conferenza Stato-Regioni, espresso nella
seduta del 4 maggio 2017. Tenuto conto, tuttavia, del fatto che la disciplina
di recepimento della direttiva europea incide profondamente sul riparto delle
competenze tra lo Stato e le Regioni, l’acquisizione del semplice parere di
detta Conferenza non sarebbe sufficiente a rendere legittimo il decreto
legislativo, dovendosi ritenere necessario l’avvio di procedure collaborative
nella fase di attuazione della delega volte al conseguimento dell’intesa.
Al riguardo, la
Regione Puglia lascia alla Corte costituzionale la valutazione «se sollevare
davanti a sé stessa la questione di legittimità costituzionale della legge di
delega», che non ha espressamente previsto l’intesa per la deliberazione del
decreto legislativo, oppure se censurare direttamente il vizio in capo al
decreto legislativo.
A ciò va aggiunto
che il parere della Conferenza sarebbe stato, nella specie, negativo, avendo le
Regioni posto nove condizioni irrinunciabili per il superamento di tale
giudizio: condizioni totalmente disattese dal legislatore delegato.
6.3.– In via subordinata, la ricorrente
censura in modo specifico le disposizioni di cui agli artt. 3, 4, 5 e 22 del
d.lgs. n. 104 del 2017, che rispettivamente modificano gli artt. 6 e 7,
introducono l’art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 e modificano gli Allegati
alla parte seconda di tale ultimo decreto.
Con tali
disposizioni, il d.lgs. n. 104 del 2017 avrebbe ampiamente inciso sul riparto
delle competenze amministrative di Stato e Regioni in materia di VIA,
attribuendo alla competenza dello Stato una serie di procedimenti in precedenza
di spettanza regionale.
Al riguardo,
verrebbero in particolare rilievo non soltanto le ipotesi che l’impugnato art.
22, comma 1, lettere a), c), i) e l), ha aggiunto all’Allegato II (il quale, ai
sensi dell’art. 7-bis, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, inserito dal
decreto impugnato, individua i progetti sottoposti a VIA in sede statale), ma
anche quelle abrogazioni che, elidendo parole che circoscrivevano l’ambito di
applicazione della fattispecie, ne hanno esteso la portata (art. 22, comma l, lettera
b). Peraltro, anche laddove il medesimo art. 22, comma l, ha operato
sostituzioni, ciò ha comportato un’estensione della competenza statale, come
nel caso della lettera d), che, nel sostituire il punto 7-quater, ha inserito
nell’Allegato anche l’attività di ricerca e coltivazione di risorse geotermiche
in mare.
L’Allegato II-bis,
nell’individuare ex novo i «[p]rogetti sottoposti
alla verifica di assoggettabilità di competenza statale», estenderebbe la
competenza statale (ad esempio, con le previsioni di cui al punto 1, lettere a)
e d) a detrimento della precedente competenza regionale).
Tutto ciò, per
tacere dei casi nei quali il decreto legislativo ricorre «alla tecnica della
"sostituzione” delle ipotesi», rendendo poco agevole il riscontro di una estensione
della competenza (come, ad esempio, nel caso di cui all’art. 22, comma 1,
lettera f, relativo allo «stoccaggio», per il quale le soglie sono state tutte
dimezzate, con ampliamento della competenza, tranne l’ultima, che rimane
immutata).
Ad avviso della
ricorrente, le disposizioni censurate violerebbero l’art. 76 Cost. per eccesso di delega, posto
che né la legge di delegazione, né la direttiva europea che il Governo era
chiamato ad attuare, avrebbero richiesto una revisione delle competenze interne
o fornito una base adeguata per legittimarla.
6.4.– Vengono impugnati altresì gli
artt. 3, comma 1, lettera g), l’art. 14 e l’art. 18, comma 3.
6.4.1.– La prima disposizione
prevedrebbe l’esonero di alcuni progetti dalla valutazione ambientale. Premette
la ricorrente che l’art. 1 della direttiva 2014/52/UE stabilisce che «gli Stati
membri, in casi eccezionali, possono esentare in tutto o in parte un progetto
specifico dalle disposizioni della presente direttiva, qualora l’applicazione
di tali disposizioni incida negativamente sulla finalità del progetto, a
condizione che siano rispettati gli obiettivi della presente direttiva».
La direttiva farebbe
riferimento «a una mera facoltà e non a un obbligo» e il legislatore delegato
avrebbe imposto il principio direttivo del «rafforzamento della qualità della
procedura di valutazione di impatto ambientale»; in assenza di un obbligo per
il legislatore di prevedere questa facoltà, «nulla autorizzava il legislatore
delegato nello stesso senso».
L’impugnato art. 3,
comma 1, lettera g), prevedrebbe una duplice possibilità di esonero dalla VIA;
per un verso, «per i progetti o parti di progetti aventi quale unico obiettivo
la difesa nazionale e per i progetti aventi quali unico obiettivo la risposta
alle emergenze che riguardano la protezione civile»; per altro verso, in altri
« casi eccezionali, previo parere del Ministro dei beni e delle attività
culturali e del turismo», qualora l’applicazione di tali disposizioni incida
negativamente sulla finalità del progetto.
6.4.2.– L’art. 14, nel riformulare
l’art. 25 del d.lgs. n. 152 del 2006, non contemplerebbe più il parere della
Regione interessata nell’ambito delle valutazioni ambientali di competenza
statale; ciò rileverebbe sotto un duplice profilo.
Per un verso, nessuna
norma di delega legislativa avrebbe previsto, fra i propri principi e criteri
direttivi, la modifica del coinvolgimento regionale nelle procedure
amministrative, né il depotenziamento della partecipazione. Nella formulazione
pregressa, la disposizione muoveva dalla considerazione che le attività sul
territorio sottoposte a VIA, anche se di competenza dello Stato, riguardavano
anche le Regioni, per il loro rilievo sulle competenze di queste ultime.
Appare alla
ricorrente irragionevole ravvedere in un mero parere «per sua natura non
vincolante» un ostacolo alla semplificazione normativa. Le amministrazioni
interessate, al contrario, potrebbero fornire utili elementi all’esame del
Ministero dell’ambiente. Nulla avrebbe autorizzato il legislatore delegato «a
irrompere nell’assetto del riparto delle competenze in materia di VIA»
eliminando simile forma di compensazione del coinvolgimento regionale
attraverso il parere; allo stato attuale le Regioni verrebbero deprivate di
ogni forma di partecipazione, in modo irragionevole e senza una base
legislativa di riferimento. In ragione del rilevato intreccio delle competenze
in materia, la rimozione di questa forma di partecipazione sarebbe altresì in
contrasto con il principio di leale collaborazione.
Tale previsione
normativa si porrebbe in contrasto con l’art. 76 Cost., per mancanza di un
criterio direttivo nella legge di delega; essa, inoltre, in combinato disposto
con l’impugnato art. 18, comma 3, violerebbe altresì gli artt. 3, 9 e 97 Cost., per irragionevolezza, in quanto potrebbe non essere
realizzato «un serio sindacato giurisdizionale sulla decisione ministeriale»,
in assenza di particolari oneri motivazionali per agire in deroga alla
normativa stessa. Neppure vi sarebbero elementi per compensare «la recessività
del bene-ambiente tutelato dall’art. 9 Cost.» e la
deroga al principio di buon andamento e imparzialità della pubblica
amministrazione; tale esenzione, infatti, non contemplerebbe valutazioni
successive «in grado di "sanare” la deroga iniziale».
Con riferimento
all’esenzione motivata da esigenze di protezione civile, la decisione sottesa
verrebbe adottata in violazione del principio di leale collaborazione. Infatti,
la ponderazione di interessi che dovrebbero condurre alla rinuncia del
perseguimento della tutela ambientale, in vista del raggiungimento dei
richiamati obiettivi di protezione civile (di competenza concorrente), dovrebbe
contemplare meccanismi cooperativi. Ove il giudizio di prevalenza previsto
dalla norma fosse conforme al quadro costituzionale, l’esercizio della
competenza concorrente, che prevale su quella esclusiva in materia ambientale,
necessiterebbe della previa intesa regionale.
6.4.3.– L’impugnato
art. 18, comma 3, infine, prevede che «[n]el caso di
progetti a cui si applicano le disposizioni del presente decreto realizzati
senza la previa sottoposizione al procedimento di verifica di assoggettabilità
a VIA, al procedimento di VIA ovvero al procedimento unico di cui all’articolo
27 o di cui all’articolo 27-bis, in violazione delle disposizioni di cui al
presente Titolo III, ovvero in caso di annullamento in sede giurisdizionale o
in autotutela dei provvedimenti di verifica di assoggettabilità a VIA o dei
provvedimenti di VIA relativi a un progetto già realizzato o in corso di realizzazione,
l’autorità competente assegna un termine all’interessato entro il quale avviare
un nuovo procedimento e può consentire la prosecuzione dei lavori o delle
attività a condizione che tale prosecuzione avvenga in termini di sicurezza con
riguardo agli eventuali rischi sanitari, ambientali o per il patrimonio
culturale […]».
Per la ricorrente,
la disposizione non corrisponde ad alcun criterio direttivo e si porrebbe in
contrasto anche con il principio di ragionevolezza, il perseguimento della
tutela ambientale (art. 9 Cost.), il principio di
legalità (art. 97 Cost.) e di difesa dei propri
diritti e interessi legittimi in giudizio (art. 24 Cost.).
Il decreto consentirebbe, infatti, che nonostante la violazione in termini di
valutazioni ambientali (per erroneo esonero o altra illegittimità), «possano
continuare a essere assentite le attività di riferimento, entro un termine non
specificato in via legislativa».
7.– Si è costituito, con atto
depositato il 10 ottobre 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il
rigetto del ricorso.
7.1.– Infondata, secondo la difesa
dello Stato, sarebbe la censura, riferita all’intero d.lgs. n. 104 del 2017, in
violazione dell’art. 76 Cost., per tardività
dell’esercizio della delega legislativa.
La ricorrente
avrebbe, infatti, richiamato il testo attualmente vigente dell’art. 32, comma
1, della legge n. 234 del 2012, trascurando il fatto che esso è stato oggetto
di modifica ad opera dell’art. 29, comma 1, lettera b), della legge 29 luglio
2015, n. 115 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti
dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea - Legge europea 2014), entrata
in vigore il 18 agosto 2015.
La legge delega per
l’attuazione della direttiva 2014/52/UE (la richiamata legge n. 114 del 2015) è
entrata invece in vigore il 15 agosto 2015, quando era ancora vigente il
precedente testo dell’art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, il quale
prevedeva che il Governo dovesse adottare i decreti legislativi entro il
termine di due mesi (e non già di quattro mesi, come nella versione novellata)
antecedenti quello di recepimento indicato in ciascuna delle direttive.
Alla luce del
principio di irretroattività delle leggi, stabilito dall’art. 11, comma 1,
delle disposizioni preliminari al codice civile, la modifica del termine
generale per l’esercizio delle deleghe legislative per l’attuazione delle
direttive europee, operata dalla legge n. 115 del 2015, senza alcuna previsione
che ne affermi la portata retroattiva, potrebbe riguardare solo le deleghe
legislative ad essa successive: non, dunque, quella di cui alla legge n. 114
del 2015, entrata in vigore in data antecedente.
Il termine che il
Governo doveva rispettare nella specie era, pertanto – secondo il resistente –
quello dei due mesi antecedenti alla data di scadenza della direttiva (16
maggio 2017): ossia il 16 marzo 2017, termine poi prorogato al 16 giugno 2017
in applicazione di quanto espressamente previsto dall’art. 31, comma 3, della
legge n. 234 del 2012.
7.2.– Quanto alla
dedotta illegittimità dell’intero d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione del
principio di leale collaborazione in relazione al procedimento di adozione del
decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce l’inammissibilità
della censura, in ragione del fatto che non è mai stata promossa dalla Regione
Puglia questione di legittimità costituzionale della legge delega, allegando, a
sostegno dell’eccezione, considerazioni analoghe a quelle svolte in relazione
alla similare doglianza prospettata nel ricorso della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (reg. ric. n. 63
del 2017).
Nel merito, la
censura risulterebbe, ad ogni modo, infondata, anche in questo caso per ragioni
analoghe a quelle svolte in relazione al ricorso ora indicato. In particolare,
posto che la normativa sulla VIA rientra nelle materie – "traversali” e
prevalenti – della tutela dell’ambiente e della fissazione dei livelli
essenziali delle prestazioni, di competenza esclusiva statale, la Regione
ricorrente avrebbe confuso il paradigma giurisprudenziale dell’«intreccio» di
materie – al quale si riferisce la richiamata sentenza n. 251 del
2016, di questa Corte – con quello della semplice «incidenza» delle norme
dettate dello Stato in materie di competenza esclusiva su funzioni regionali:
fenomeno, questo, che caratterizza naturalmente le materie «trasversali». In
tale ipotesi, è sufficiente che la legislazione statale disciplini l’esercizio
della funzione prevedendo passaggi collaborativi con la Regione interessata:
onere che sarebbe stato assolto con la previsione del nuovo art. 23 del d.lgs.
n. 152 del 2006.
7.3.– Con riguardo, infine, alla
questione che investe gli artt. 3, 4, 5 e 22 del d.lgs. n. 104 del 2017,
l’Avvocatura generale dello Stato ne eccepisce del pari l’inammissibilità,
avendo la Regione evocato il solo parametro dell’art. 76 Cost.,
senza alcuna motivazione sulla «ridondanza» del vizio sulle competenze
costituzionalmente riconosciute alla Regione.
La questione
sarebbe, in ogni caso, infondata.
L’Avvocatura
ribadisce, anche a questo riguardo, quanto dedotto in rapporto al ricorso della
Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste
(reg. ric. n. 63 del 2017), e cioè che la modifica del quadro allocativo delle
competenze sarebbe ricompresa nel «potere/dovere», conferito al Governo
dall’art. 14, comma 1, lettere a) e b), della legge n. 114 del 2015, di
«armonizzazione» e «razionalizzazione» delle procedure di VIA, nonché di
«rafforzamento» della loro qualità, allineandole ai principi della coerenza e
della sinergia con altre normative e politiche europee e nazionali, e
risulterebbe, anzi, imposta dal principio e criterio direttivo generale, di cui
all’art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012, relativo
all’ipotesi in cui si verifichino «sovrapposizioni di competenze».
7.4.– Secondo il Presidente del
Consiglio dei ministri la censura dell’art. 14 sarebbe manifestamente
inammissibile per difetto di motivazione circa la presunta «ridondanza» del
vizio prospettato sulla lesione di competenze costituzionalmente riconosciute
alle Regioni dagli artt. 117, 118 e 119 Cost., ovvero
di altre norme costituzionali poste a presidio di prerogative regionali.
7.5.– Le censure sull’art. 3, comma
l, lettera g), in relazione all’art. 76 Cost.,
sarebbero inammissibili in assenza di alcuna motivazione circa la presunta
«ridondanza» dei vizi prospettati sulla lesione di competenze
costituzionalmente riconosciute alle Regioni. La censura, in ogni caso, sarebbe
generica, dal momento che non sarebbe dato comprendere se la Regione Puglia ha
censurato la disciplina contenuta effettivamente nella disposizione richiamata
(che ha sostituito l’art. 6, comma 10, del d.lgs. n. 152 del 2006, e che è
riferita alle sole esenzioni dei progetti aventi quale unico obiettivo la
difesa nazionale e la risposta ad emergenze di protezione civile), ovvero
quella contenuta nella successiva lettera h) (che ha sostituito l’art. 6, comma
11, del d.lgs. n. 152 del 2006, riferita ai soli "casi eccezionali”).
7.6.– Le doglianze regionali
sarebbero poi infondate nel merito. La procedura di VIA di competenza statale,
di cui all’art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, prevedrebbe per tutto l’iter
procedurale un adeguato coinvolgimento delle amministrazioni interessate,
introducendo obblighi informativi e di pubblicità; alla Regione inoltre non
sarebbe sottratto alcun potere di esprimere il proprio parere e le proprie
osservazioni nei procedimenti di VIA di competenza statale, poiché l’art. 6 del
d.lgs. n. 104 del 2017 prevedrebbe la partecipazione, all’attività istruttoria
della Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale del Ministero, di
un esperto designato dagli enti territoriali interessati.
7.7.– Anche le residue censure
sarebbero non fondate.
7.7.1.– Quanto alla censura mossa in
relazione alle esenzioni dei progetti aventi quale unico obiettivo la difesa
nazionale e la risposta ad emergenze di protezione civile, la scelta del
legislatore troverebbe il suo fondamento nel corretto recepimento della
«Direttiva VIA».
I commi 10 e 11
dell’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, introdotti dall’art. 3 del d.lgs. n.
104 del 2017, avrebbero lo scopo di allineare la disciplina nazionale alle
novità introdotte dalla richiamata direttiva. La disciplina sarebbe
particolarmente garantista in termini di potenziale esclusione dei progetti
dalla disciplina recata dal Titolo III, della Parte II del d.lgs. n. 152 del
2006, grazie alla riserva del potere di esenzione dalla VIA in capo al Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, che ne assumerebbe la
responsabilità politicoamministrativa su valere per
tutto il territorio nazionale e nei confronti dell’Unione Europea. Non sarebbe
ridotto lo standard di tutela ambientale.
7.8.– L’impugnato art. 18, comma 3,
ricalcherebbe quanto già previsto nel previgente art. 29 del d.lgs. n. 152 del
2006; la possibilità di consentire la prosecuzione delle attività sarebbe solo
eventuale e rimessa ad una specifica decisione della medesima autorità misurata
sulle peculiarità del caso concreto, in assenza della quale dovrà arrestarsi,
risultando sospesa in attesa dello svolgimento del nuovo procedimento di VIA.
7.9.– In relazione
alla cosiddetta «VIA postuma», l’Avvocatura fa presente che la sentenza
della Corte di giustizia dell’Unione europea del 26 luglio 2017, nelle cause
riunite da C-196/16 a C-197/16, ha stabilito che in caso di omissione di
una valutazione di impatto ambientale di un progetto «il diritto dell’Unione,
da un lato, impone agli Stati membri di rimuovere le conseguenze illecite di
tale omissione e, dall’altro, non osta a che una valutazione di tale impatto
sia effettuata a titolo di regolarizzazione, dopo la costruzione e la messa in
servizio dell’impianto interessato, purché le norme nazionali che consentono
tale regolarizzazione non offrano agli interessati l’occasione di eludere le
norme di diritto dell’Unione o di disapplicarle e la valutazione effettuata a
titolo di regolarizzazione non si limiti alle ripercussioni future di tale
impianto sull’ambiente».
In maniera coerente,
il legislatore delegato avrebbe previsto che l’autorità competente assegna un
termine all’interessato, entro il quale avviare un nuovo procedimento, e può
consentire la prosecuzione dei lavori o delle attività a condizione che essa
avvenga in termini di sicurezza riguardo agli eventuali rischi sanitari,
ambientali o per il patrimonio culturale; ove il termine fosse scaduto, ovvero
nel caso in cui il nuovo provvedimento di VIA, adottato ai sensi degli artt.
25, 27 o 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, abbia contenuto negativo,
l’autorità competente, inoltre, dispone la demolizione delle opere realizzate e
il ripristino dello stato dei luoghi e della situazione ambientale a cura e a
spese del responsabile, definendone i termini e le modalità. In caso di
inottemperanza, l’autorità competente provvede d’ufficio a spese
dell’inadempiente.
7.10.– Con riferimento all’ipotizzato
eccesso di delega, il d.lgs. n. 104 del 2017 sarebbe coerente con la norma
nazionale di delega e con le norme di diritto UE, le quali assumerebbero valore
di parametro interposto, potendo autonomamente giustificare l’intervento del
legislatore delegato (sentenze n. 131 del 2013,
n. 272 del 2012,
n. 230 del 2010,
n. 98 del 2008,
n. 163 del 2000,
n. 134 del 2013
e n. 32 del 2005).
8.– La Regione ha depositato una
memoria illustrativa, insistendo nelle conclusioni già formulate.
8.1.– Relativamente alla censura
dell’intero d.lgs. n. 104 del 2017, per tardivo esercizio della delega, la
ricorrente osserva – in replica alle difese dell’Avvocatura generale dello
Stato – che il principio di irretroattività della legge, da questa invocato,
riguarda le norme che descrivono fattispecie, non quelle che disciplinano
termini e procedimenti (salvo che l’effetto retroattivo risulti espressamente
escluso).
Risulterebbe ad ogni
modo dirimente il rilievo che, anche qualora si ritenesse operante il termine
dei due mesi (anziché dei quattro mesi) antecedenti il termine di recepimento
della direttiva, previsto dal testo originario dell’art. 32, comma 1, della
legge n. 234 del 2012, l’esercizio della delega rimarrebbe tardivo. Per
ammissione della stessa Avvocatura, infatti, in tale ipotesi il termine sarebbe
scaduto il 16 marzo 2017 e, dunque, in data anteriore a quella di emanazione
del decreto delegato.
Solo in applicazione
della proroga prevista dall’art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012,
sarebbe possibile arrivare al 16 giugno 2017. Tale disposizione non sarebbe,
tuttavia, affatto richiamata dalla legge n. 114 del 2015, la quale, con riguardo
ai termini di esercizio della delega, fa riferimento al solo comma 1 dell’art.
31.
In presenza di una
legge delega che faccia espresso riferimento al solo termine "ordinario” di
esercizio, non sarebbe possibile applicare analogicamente la proroga automatica
prevista da altra disposizione non oggetto di richiamo. Diversamente opinando,
uno dei requisiti previsti dall’art. 76 Cost. per la
delegazione legislativa (il limite temporale di esercizio) risulterebbe
stabilito in via generale e per sempre dalla legge n. 234 del 2012, rispetto a
tutti i casi di recepimento del diritto europeo: conclusione, questa, non in
linea con il dettato costituzionale, in base al quale la legge di delegazione
dovrebbe soddisfare i previsti requisiti di validità «con un atto di volontà,
che, volta per volta, sia […] diretto a disciplinare la rimessione al Governo
della disciplina di uno specifico settore».
8.2.– Con riguardo, poi, alla censura
dell’intero d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione del principio di leale
collaborazione, infondata apparirebbe l’eccezione di inammissibilità per
mancata impugnazione della legge delega, formulata dall’Avvocatura generale
dello Stato.
La mancata
partecipazione regionale nella forma dell’intesa rileverebbe, infatti, non solo
come vizio in procedendo, ma anche come vizio sostanziale di lesione del
riparto delle competenze costituzionalmente stabilito, il quale non è nella
disponibilità dello Stato e delle Regioni. Di conseguenza, non si potrebbe
ritenere che la mancata impugnazione della legge delega comporti la rinuncia
alla competenza: anzi, proprio la circostanza che la concreta lesione delle
competenze regionali si sia verificata solo all’esito dell’adozione del decreto
legislativo lascerebbe impregiudicata l’impugnabilità di quest’ultimo.
Stante, inoltre,
l’intima connessione tra legge delega e decreto delegato, resterebbe sempre
offerta alla Corte costituzionale la possibilità di sollevare davanti a sé la
questione di legittimità costituzionale della disposizione delegante.
Nel merito, la tesi
della difesa dello Stato – secondo la quale la disciplina statale accentratrice
sarebbe giustificata dal fatto che la direttiva 2014/52/UE, prevede regole
dettagliate delle procedure di valutazione ambientale, che non ammettono varianti
negli ordinamenti nazionali – non potrebbe essere condivisa. La giurisprudenza
costituzionale avrebbe, infatti, superato l’originario assunto secondo il quale
la competenza a recepire le direttive spetterebbe sempre allo Stato, pena il
rischio di procedure di infrazione nel caso di inerzia regionale: problema che
risulterebbe, peraltro, integralmente superato con l’introduzione dei
meccanismi sostitutivi, di cui agli artt. 117, quinto comma, e 120, secondo
comma, Cost.
Il diritto europeo
non potrebbe, pertanto, legittimare alcuna deroga del riparto costituzionale
delle competenze, il quale, nel caso considerato, avrebbe postulato l’utilizzo
di adeguati strumenti cooperativi, visto il concorrente interesse regionale e
statale nella disciplina della materia.
9.– Con ricorso notificato il 4-6
settembre 2017 e depositato il 7 settembre 2017 (reg. ric. n. 66 del 2017), la
Regione Abruzzo ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt.
3, comma 1, lettera g), 5, 16, comma 2, 21, 22, commi da 1 a 4, 26, comma 1,
lettera a), e 27 del d.lgs. n. 104 del 2017, identiche a quelle formulate dalla
Regione Lombardia (reg. ric. n. 64 del 2017) e sorrette dai medesimi argomenti.
10.– Costituitosi in giudizio a
mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 13 ottobre
2017, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto che il ricorso venga
respinto sulla base di considerazioni analoghe a quelle svolte in riferimento
al richiamato ricorso della Regione Lombardia.
11.– Con ricorso notificato il 4
settembre 2017 e depositato l’8 settembre 2017 (reg. ric. n. 67 del 2017), la
Regione Veneto ha impugnato:
a) l’art. 3, comma
1, lettere g) e h), del d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione degli artt. 3, 76, 97, 117, commi terzo e
quarto, 118 e
120 Cost.;
b) gli artt. 5,
comma 1, 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 104 del
2017, per violazione degli artt. 76, 117, terzo e quarto
comma, 118 e 120 Cost.;
c) l’art. 21 del
d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione degli artt. artt. 3, 97, 117, quarto comma, 118, 119 e 120 Cost.
11.1.– L’art. 3, comma 1, lettera g),
sarebbe invasivo della competenza regionale in materia di «protezione civile» e
lesivo del principio di leale collaborazione, poiché non prevede alcuna forma
di partecipazione delle Regioni nell’ambito del procedimento derogatorio, in un
ambito di competenza legislativa ripartita. Per la ricorrente i progetti
afferenti a situazioni emergenziali di protezione civile sarebbero
inevitabilmente collegati al territorio ove la situazione si è verificata,
ritenendo necessaria la partecipazione «istruttoria e/o codecisoria»
degli enti territoriali «al fine di salvaguardare la stessa ragionevolezza
della disposizione di legge», che altrimenti si porrebbe in contraddizione con
l’art. 3 Cost. e con il
canone del buon andamento.
11.1.1.– La Regione Veneto dubita che la
disposizione afferisca alla «tutela dell’ambiente», di competenza esclusiva
dello Stato, poiché essa farebbe prevalere «gli interessi afferenti alla
protezione civile rispetto a quelli ambientali». Sul punto questa Corte avrebbe
statuito che in presenza di una competenza esclusiva dello Stato, ove siano
coinvolti interessi e funzioni regionali, s’impone una «fisiologica dialettica»
tra Stato e Regioni improntata alla leale collaborazione (sentenza n. 169 del
2017).
La Regione sarebbe
esautorata dalla mancata distinzione dei progetti assoggettati a VIA regionale
ovvero statale con l’effetto che il Ministero dell’ambiente potrebbe sottrarre
alla competenza delle Regioni la VIA di progetti affidati alla propria potestà
decisoria, in violazione dell’art. 118 Cost., comprimendo una competenza amministrativa regionale.
11.1.2.– La disposizione censurata
modificherebbe il riparto delle competenze in materia di VIA, in contrasto con
i principi e criteri direttivi di cui all’art. 14 della legge n. 114 del 2015,
che vincolerebbe il legislatore delegato a introdurre esclusivamente regole di
«semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di
valutazione di impatto ambientale.
Secondo la Regione
Veneto, l’ambito della delega legislativa escluderebbe la disciplina del
riparto delle competenze decisorie in materia di valutazione di impatto
ambientale, contemplando unicamente gli aspetti procedurali, da modificare in
ragione della rinnovata disciplina comunitaria. Si configurerebbe un eccesso di
delega, che ridonda in una lesione dell’art. 117, comma terzo, Cost.,
con riguardo alla competenza legislativa regionale in materia di «protezione civile»,
e, al contempo, in una lesione dell’art. 118 Cost.,
in quanto opera una espropriazione delle competenze amministrative regionali in
materia di VIA, delineate dall’ordinamento.
11.2.– È impugnato anche l’art. 3,
comma 1, lettera h), del d.lgs. n. 104 del 2017, che ha modificato l’art. 6,
comma 11, del d.lgs. n. 152 del 2006. La disposizione prevede: «[f]atto salvo
quanto previsto dall’art. 32, il Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare può, in casi eccezionali, previo parere del Ministro dei
beni e delle attività culturali e del turismo, esentare in tutto o in parte un
progetto specifico dalle disposizioni di cui al titolo III della parte seconda
del presente decreto, qualora l’applicazione di tali disposizioni incida
negativamente sulla finalità del progetto, a condizione che siano rispettati
gli obiettivi della normativa nazionale ed europea in materia di valutazione di
impatto ambientale. In tali casi il Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare:
a) esamina se sia
opportuna un’altra forma di valutazione;
b) mette a
disposizione del pubblico coinvolto le informazioni raccolte con le altre forme
di valutazione di cui alla lettera a), le informazioni relative alla decisione
di esenzione e le ragioni per cui è stata concessa;
c) informa la
Commissione europea, prima del rilascio dell’autorizzazione, dei motivi che
giustificano l’esenzione accordata fornendo tutte le informazioni acquisite».
La norma
introdurrebbe un’ulteriore ipotesi di deroga alla disciplina generale, senza
prevedere alcun criterio direttivo che guidi l’autorità amministrativa in
ordine all’an dell’esercizio del relativo potere. Il
che attesterebbe l’irragionevolezza della norma e la sua contrarietà al
principio di legalità. Né a giustificare tale genericità si potrebbe addurre il
fatto di avere riprodotto una previsione della direttiva europea, la quale non
contiene per sua natura, «salvo le rare ipotesi di norme self executing», disposizioni immediatamente precettive. La
disposizione impugnata altererebbe il riparto delle competenze in materia di
VIA, senza che sia prevista alcuna forma di partecipazione, decisoria o
istruttoria, da parte delle Regioni, in lesione del principio di leale
collaborazione.
11.2.1.– La violazione degli artt. 76 e
97 Cost., alterando il riparto di competenze
esistente tra Stato e Regioni, ridonderebbe in una lesione degli artt. 117,
commi terzo e quarto, e 118 Cost., oltreché del
principio di leale collaborazione, in quanto non contemplerebbe la
partecipazione delle Regioni, nelle ipotesi in cui il progetto afferisca ad una
materia di competenza regionale ovvero sia assoggettato a VIA regionale.
11.3.– Per effetto dell’impugnato art.
5 del d.lgs. n. 104 del 2017, osserva la ricorrente, il riparto di competenze tra
Stato e Regioni in materia di VIA è demandato a quattro allegati che, a loro
volta, sono stati ampiamente modificati dall’art. 22, commi da 1 a 4, del
medesimo decreto, nonché dalla disposizione abrogatrice
contenuta nell’art. 26, comma 1, lettera a), dello stesso provvedimento. A
seguito di tali disposizioni, si è realizzata una complessiva redistribuzione
delle competenze tra Stato e Regioni, le quali non sono più competenti in
materia di VIA ed in materia di verifica di assoggettabilità a VIA per una consistente
serie di tipologie progettuali che vengono analiticamente passate in rassegna.
Il legislatore delegato, dunque, avrebbe provveduto a modificare, non soltanto
le procedure inerenti alla valutazione di impatto ambientale, al fine di dare
attuazione alla direttiva 2014/52/UE, ma avrebbe anche disposto una complessiva
ristrutturazione del quadro delle competenze decisorie in materia.
Una simile
operazione normativa – deduce la ricorrente – si porrebbe in contrasto con i
principi e criteri direttivi dettati dall’art. 14 della legge delega n. 114 del
2015, riguardando gli stessi solo aspetti di armonizzazione, semplificazione e
razionalizzazione delle procedure, senza che il Governo fosse autorizzato ad
alterare il riparto di competenze esistenti tra Stato e Regioni.
Il denunciato vizio
di eccesso di delega si riverbererebbe anche in una lesione delle competenze
amministrative della Regione, in violazione dell’art. 118 Cost., essendo state
sottratte alle Regioni le potestà decisorie di cui godevano in materia.
Ancorché la tutela
dell’ambiente sia materia di competenza esclusiva dello Stato, le modifiche
apportate alla normativa previgente avrebbero richiesto l’ordinario
procedimento legislativo o specifiche direttive in tal senso: il che avrebbe
salvaguardato, in sede parlamentare, la normale dialettica democratica tra
maggioranza e opposizione. L’utilizzo "improprio” del potere legislativo
avrebbe dunque integrato una violazione degli artt. 76 Cost., in uno con gli artt.
117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.
Per altro verso,
coinvolgendo la riforma anche numerose competenze regionali (energia,
trasporto, viabilità e, in genere, salute) sarebbe stato necessario prevedere
un coinvolgimento delle autonomie locali attraverso «un’intesa in sede di
conferenza intergovernativa», secondo quanto avrebbe affermato questa Corte
nella sentenza
n. 251 del 2016, con conseguente violazione del principio di leale
collaborazione, di cui all’art. 120 Cost. Vizio,
questo, che non resterebbe confinato solo all’interno della legge di delega, ma
si proietterebbe anche sul decreto delegato, in quanto lesivo delle
attribuzioni regionali.
11.4.– L’art. 21 del
d.lgs. n. 104 del 2017, nello stabilire disposizioni in tema di tariffe da
applicare ai proponenti, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 97, 117,
quarto comma, 118 e 119 Cost., nonché con il
principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.,
in quanto non è prevista alcuna forma di partecipazione, neppure consultiva,
delle autonomie territoriali, malgrado il novellato art. 7-bis del d.lgs. n.
152 del 2006 consenta alle Regioni ed alle Province autonome di disciplinare
con proprie leggi o regolamenti l’organizzazione e le modalità di esercizio
delle funzioni amministrative ad esse attribuite in materia di VIA. Le
peculiarità procedurali derivanti dalla normativa regionale renderebbero, per
converso, necessaria una consultazione delle Regioni stesse nella
determinazione delle tariffe concernenti i procedimenti VIA di loro competenza.
Da ciò deriverebbe
la lesione del principio di leale collaborazione e la irragionevolezza di una
disciplina che «attribuisce una competenza decisoria ad un soggetto senza
prevedere adeguati apporti istruttori da parte delle altre autorità competenti
a disciplinare il relativo procedimento e i suoi aspetti organizzatori».
Irragionevolezza, soggiunge la Regione ricorrente, che ridonderebbe in una
lesione dell’autonomia legislativa in materia di organizzazione amministrativa,
prevista dall’art. 117, quarto comma, Cost., nonché
in una lesione dell’autonomia amministrativa di cui all’art. 118 Cost., e dell’autonomia finanziaria di cui all’art. 119 Cost., posto che le valutazioni amministrative e
finanziarie in materia di VIA vengono ad essere condizionate dalla remuneratività delle tariffe stabilite unilateralmente
dallo Stato.
Si osserva, infine,
che la partecipazione delle Regioni al processo decisionale, potendo comportare
semplificazioni procedurali, potrebbe determinare risparmi di spesa, con la
conseguenza che la mancanza di tale partecipazione finirebbe per tradursi anche
in un inutile aggravio di spese con violazione del principio di buon andamento
dell’agire pubblico.
12.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, si è
costituito il 13 ottobre 2017 chiedendo il rigetto del ricorso.
12.1.– La difesa statale eccepisce
l’infondatezza della censura di cui all’impugnato art. 3, comma l, lettera g),
reiterando le medesime argomentazioni fatte proprie per avversare i ricorsi
delle Regioni Lombardia e Abruzzo, quanto alla violazione del riparto delle
competenze e del principio di leale collaborazione.
12.2.– Eccepisce altresì la non
fondatezza della censura di cui all’art. 3, comma l, lettera h), che conferirebbe
al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare il potere,
in casi eccezionali, di esentare un progetto specifico dall’applicazione delle
disposizioni di cui al Titolo III della Parte II del d.lgs. n. 152 del 2016.
L’infondatezza si
evincerebbe dalla richiamata direttiva 2014/52/UE, in base alla quale «può
risultare opportuno in casi eccezionali esonerare un progetto specifico dalle
procedure di valutazione previste dalla presente direttiva, a condizione di
informare adeguatamente la Commissione e il pubblico interessato»; l’art. 2,
paragrafo 4, della direttiva disporrebbe che «[f]atto salvo l’articolo 7, gli
Stati membri, in casi eccezionali, possono esentare in tutto o in parte un
progetto specifico dalle disposizioni della presente direttiva, qualora
l’applicazione di tali disposizioni incida negativamente sulla finalità del
progetto, a condizione che siano rispettati gli obiettivi della presente
direttiva. In tali casi gli Stati membri: a) esaminano se sia opportuna
un’altra forma di valutazione; b) mettono a disposizione del pubblico coinvolto
le informazioni raccolte con le altre forme di valutazione di cui alla lettera
a), le informazioni relative alla decisione di esenzione e le ragioni per cui è
stata concessa; c) informano la Commissione, prima del rilascio
dell’autorizzazione, dei motivi che giustificano l’esenzione accordata e le
forniscono le informazioni che mettono eventualmente a disposizione, ove
necessario, dei propri cittadini. […]».
A parere del
resistente, il legislatore delegato si sarebbe avvalso di una facoltà concessa
dalla norma europea. La fattispecie di esenzione atterrebbe «alla disciplina
giuridica della VIA», e rientrerebbe in modo univoco «nella competenza
esclusiva dello Stato sulla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema».
12.2.1.– Non fondati sarebbero anche i
rilievi che fanno riferimento ai principi di ragionevolezza e di legalità.
Il potere
ministeriale di esenzione sarebbe circondato da rigorose garanzie, sia di tipo
sostanziale sia di tipo procedurale. Sul piano sostanziale la norma non si
limiterebbe a legittimare l’esercizio in casi eccezionali, ma richiederebbe una
valutazione circa gli effetti negativi che potrebbero discendere in ordine alle
finalità del progetto, esigendo che siano rispettati gli obiettivi della
direttiva. Sotto il profilo procedurale il Ministro sarebbe chiamato ad
esaminare l’opportunità di un’altra forma di valutazione e si prefigurerebbero
obblighi informativi nei confronti del pubblico coinvolto e (prima del rilascio
dell’autorizzazione) della Commissione europea. La scelta del legislatore
delegato di riprodurre la previsione europea senza ulteriori aggiunte, dunque,
discenderebbe dalla constatazione che essa già circostanzia a sufficienza il
potere di esenzione.
12.3.– Con riguardo
agli impugnati artt. 5, comma 1, 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a),
infondata risulterebbe la censura di eccesso di delega, in quanto la revisione
dell’assetto delle competenze amministrative e la riallocazione delle stesse ai
diversi livelli territoriali di governo risponderebbero appieno ai criteri di
semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure e di
rafforzamento della qualità della procedura di VIA, in sinergia con altre
normative e politiche nazionali ed europee, quali, in particolare, quelle
energetiche ed infrastrutturali.
Non sarebbe poi
fondato il rilievo secondo il quale, in base alla sentenza n. 251 del
2016, la legge di delegazione avrebbe dovuto prevedere l’intesa con le
Regioni, in quanto – a differenza dell’ipotesi allora scrutinata da questa
Corte – nella specie non è dato intravedere un «intreccio inestricabile» con
materie regionali, dal momento che le norme che riguardano la VIA rientrano
nella competenza esclusiva statale in tema di «tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema». D’altra parte, l’art. 12 del d.lgs. n. 104 del 2017 ha
previsto, novellando l’art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, il necessario
coinvolgimento della Regione e di tutte le amministrazioni potenzialmente
interessate, mentre l’art. 6 del decreto impugnato prevede che all’attività
istruttoria della Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale
partecipi un esperto designato dalle Regioni e dalle Province autonome
interessate alla realizzazione del progetto oggetto di procedura VIA.
Previsioni, quelle citate, con le quali il legislatore statale avrebbe
adempiuto all’onere collaborativo in considerazione della "incidenza” che
l’esercizio delle funzioni di valutazione di impatto ambientale presentano
rispetto all’esercizio di funzioni regionali.
12.4.– Sarebbero infondate anche le
censure riguardanti l’art. 21 del d.lgs. n. 104 del 2017.
Tale norma, infatti,
si è limitata a sostituire, in tema di tariffe applicabili nei confronti dei
proponenti, esclusivamente l’art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006,
mentre lascerebbe inalterate le competenze regionali dettate dal comma 2 dello
stesso articolo. Il comma 1 novellato, quindi, introdurrebbe solo una norma di
principio, relativa ai criteri da applicare per la determinazione delle
tariffe, valida sia per la VIA statale che per quella regionale, mentre il
rinvio ad un decreto del Ministro dell’ambiente per la definizione in concreto
delle tariffe riguarderebbe esclusivamente la VIA statale. Ciò emergerebbe con
chiarezza, sostiene l’Avvocatura generale dello Stato, proprio dal citato comma
2 dell’art. 33 del d.lgs. n. 152 del 2006, che affida alle Regioni e alle
Province autonome la possibilità di definire concretamente i profili tariffari.
13.– La Regione Veneto ha depositato
memoria, con la quale insiste nelle censure, contestando la fondatezza dei
rilievi svolti dalla Avvocatura generale dello Stato, sia a proposito della
conformità del decreto legislativo all’art. 76 Cost.,
sia in merito al fatto che la competenza esclusiva dello Stato in materia
ambientale renderebbe prive di fondamento doglianze regionali.
14.– La Provincia autonoma di
Trento, con ricorso notificato il 4 settembre 2017 e depositato l’8 settembre
2017 (reg. ric. n. 68 del 2017), ha promosso questioni di legittimità
costituzionale del d.lgs. n. 104 del 2017, nella sua interezza, e in subordine
degli artt. 5, comma 1, 8, 16, commi 1 e 2, 22, commi da 1 a 4, 23, comma 4, 24
e 26, comma 1, lettera a), in quanto riferibili anche alle Province autonome,
deducendo la violazione di vari parametri costituzionali e statutari.
14.1.– Un primo gruppo di tre censure
coinvolge l’intero decreto, per eccesso di delega prospettato sotto vari
profili.
Si deduce,
anzitutto, che il decreto delegato sarebbe illegittimo perché adottato oltre il
termine prescritto dalla legge di delegazione e, quindi, in violazione dell’art. 76 Cost., nonché dell’art. 77 Cost. L’adozione del decreto legislativo a termine
scaduto, infatti, costituirebbe violazione del divieto per il Governo di
adottare atti aventi forza di legge senza delegazione delle Camere, salvi i
casi di straordinaria necessità ed urgenza.
Si osserva, al
riguardo, che il decreto legislativo impugnato è stato emanato il 16 giugno
2017, ed è quindi con riferimento a tale data che deve essere valutata – a
norma dell’art. 14, comma 2, della legge n. 400 del 1988 (Disciplina
dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei
Ministri) – la tempestività dell’atto rispetto al termine fissato dalla legge
di delegazione. Tale termine, individuato dall’art. 1, comma 2, della legge n.
114 del 2015, deve infatti ritenersi scaduto il 16 gennaio 2017. Ciò in quanto
quel termine risulta fissato con rinvio all’art. 31, comma 1, della legge n.
234 del 2012, il quale, a sua volta, dispone che «in relazione alle deleghe
legislative conferite con la legge di delegazione europea per il recepimento
delle direttive, il Governo adotta i decreti legislativi entro il termine di
quattro mesi antecedenti a quello di recepimento indicato in ciascuna delle
direttive». Considerato che l’art. 2 della direttiva 2014/52/UE fissa il
termine per il proprio recepimento al 16 maggio 2017, la delega sarebbe scaduta
quattro mesi prima e cioè il 16 gennaio 2017.
È ben vero, si
osserva, che l’art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012 fissava il termine
in origine in «due mesi antecedenti a quello di recepimento indicato in
ciascuna delle direttive» e che tale disposizione è stata modificata, portando
il termine a quattro mesi, con l’art. 29, comma 1, lettera b), della legge 29
luglio 2015, n. 115, successiva all’entrata in vigore della legge delega n. 114
del 2015. Ma il rinvio non può che intendersi operato alla fonte nel suo
complesso, risultando comprensivo, quindi, delle eventuali modifiche
successivamente apportate alla stessa. Ciò in linea con quanto affermato da
questa Corte, nella sentenza n. 258 del
2014, ove si afferma che il rinvio si presume formale e mobile, anziché
materiale o recettizio, salvo che risulti una contraria volontà del legislatore
o il rinvio recettizio sia desumibile da elementi univoci e concludenti. Si
richiama, a proposito della necessità che il legislatore delegato tenga conto
dei mutamenti del quadro normativo entro cui si colloca la legislazione
delegata, anche la sentenza n. 219 del
2013.
Tuttavia, soggiunge
il ricorrente, anche a voler considerare come recettizio il rinvio, il termine
sarebbe comunque scaduto il 16 marzo 2017, in quanto il rinvio "secco” e
recettizio al comma 1 dell’art. 31 della legge n. 234 del 2012 escluderebbe la
possibilità di proroga prevista dal comma 3 dello stesso articolo. Il fatto che
il Governo abbia preteso di giovarsi della proroga starebbe peraltro a
significare che lo stesso Consiglio dei ministri ha interpretato il rinvio come
di tipo dinamico, «cioè come rinvio alla fonte e non come rinvio alla norma
fissata una volta per tutte nel tempo». La conseguenza sarebbe, in ogni caso,
quella della tardività dell’esercizio della delega.
Poiché il decreto
impugnato è riduttivo delle competenze e delle prerogative della Provincia
autonoma, la violazione degli indicati parametri ridonderebbe in lesione della
autonomia provinciale (si richiamano, al riguardo, la già citata sentenza n. 219 del
2013 e la sentenza
n. 303 del 2003).
14.2.– In subordine,
la Provincia ricorrente deduce la illegittimità dell’intero decreto legislativo
impugnato per violazione delle procedure stabilite dall’art. 1, commi 1 e 3,
della legge delega n. 114 del 2015, nonché dall’art. 31, comma 3, della legge
n. 234 del 2012, lamentando conseguentemente la violazione degli artt. 76 e 117, primo comma, Cost., e, in linea ulteriormente subordinata, del principio di leale
collaborazione.
Anche, infatti, a voler
ritenere – contro il tenore letterale della disposizione di delega e il
supposto carattere recettizio del rinvio da essa operato – che possa trovare
applicazione nella specie la proroga prevista dal comma 3 dell’art. 31 della
legge n. 234 del 2012, l’emanazione del decreto impugnato sarebbe affetta da un
vizio di procedura sub specie di "abuso del procedimento”.
Interpretando il
rinvio contenuto nell’art. 1, comma 2, della legge n. 114 del 2015 come rinvio
fisso, il termine per l’esercizio della delega doveva ritenersi scaduto nei due
mesi antecedenti il termine previsto per il recepimento della direttiva, e cioè
il 16 marzo 2017. L’ultimo giorno utile per l’esercizio della delega, il
Governo ha trasmesso lo schema di decreto alle competenti commissioni
parlamentari all’evidente fine di far operare il meccanismo di proroga di cui
all’art. 31, comma 3, terzo periodo, della legge n. 234 del 2012, ove si
stabilisce che «[q]ualora il termine per
l’espressione del parere parlamentare di cui al presente comma ovvero i diversi
termini previsti dai commi 4 e 9 scadano nei trenta giorni che precedono la
scadenza dei termini di delega previsti ai commi 1 o 5 o successivamente,
questi ultimi sono prorogati di tre mesi».
In questo modo, il
Governo avrebbe violato la delega sotto un diverso profilo. L’art. 1, comma 3,
della legge n. 114 del 2015 prevedeva, infatti, che gli schemi dei decreti
attuativi delle direttive comprese nell’Allegato B, e dunque anche della
direttiva 2014/52/UE, dovessero essere trasmessi, «dopo l’acquisizione degli
altri pareri previsti dalla legge», alle Camere per l’espressione del parere
dei competenti organi parlamentari. Disposizione, questa, peraltro analoga a
quella dettata dall’art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012. Dunque, il Governo
avrebbe dovuto acquisire il previo parere della Conferenza Stato-Regioni,
obbligatorio in ordine agli schemi di decreto legislativo nelle materie di
competenza delle Regioni o delle Province autonome, in ragione dell’art. 2,
comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed
ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra
lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed
unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni,
delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato - città ed autonomie
locali).
Alla Conferenza
Stato-Regioni lo schema di decreto legislativo è stato peraltro trasmesso, per
il prescritto parere, soltanto lo stesso giorno (16 marzo 2017). In quella
data, dunque, lo schema di decreto non avrebbe potuto essere trasmesso alle
Commissioni parlamentari, proprio perché non preceduto dai pareri previsti
dalla legge, fra i quali va annoverato quello della indicata Conferenza
Stato-Regioni.
Tale inversione
dell’ordine dei pareri costituirebbe, anzitutto, violazione della previsione a
tal proposito dettata dalla legge di delega e, al tempo stesso, rimedio
strumentale al fine di ottenere, in violazione della stessa legge di delega, la
proroga del termine di esercizio della delega legislativa, eludendo anche il
termine per il recepimento della direttiva comunitaria, fissato al 16 maggio
2017, con correlativa violazione, sotto questo profilo, dell’art. 117, primo
comma, Cost., oltre che dell’art. 76 della stessa
Carta costituzionale.
In ulteriore
subordine, la ricorrente denuncia che attraverso la censurata inversione
dell’ordine dei pareri si sarebbe realizzata una violazione del principio di leale
collaborazione sancito dall’art. 120, secondo comma, Cost.
Tutte le segnalate
violazioni ridonderebbero in lesioni delle prerogative costituzionali della
Provincia autonoma, in quanto l’omessa previa acquisizione del parere della
Conferenza Stato-Regioni avrebbe impedito alle Commissioni parlamentari di
prendere cognizione delle posizioni delle Regioni e Province autonome ed
esprimersi sulle relative osservazioni.
14.3.– Viene poi denunciata
l’illegittimità costituzionale degli artt. 5, comma 1, 22, commi da 1 a 4, e
26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017, se ed in quanto
applicabili alle Province autonome.
Per effetto di tali
disposizioni una lunga serie di funzioni di competenza provinciale, anche per
disposto statutario, sarebbero state avocate alla competenza dello Stato.
Il d.lgs. n. 104 del
2017 non contiene, d’altra parte, alcuna clausola di salvaguardia delle
competenze delle autonomie speciali, nonostante la stessa fosse stata richiesta
tanto dalla Conferenza Stato-Regioni nel parere reso il 4 maggio 2017, quanto
dalle Commissioni affari costituzionali e ambiente della Camera dei deputati e
dalle Commissioni del Senato.
Le disposizioni
impugnate hanno inoltre operato con la tecnica della novella, modificando la
disciplina del d.lgs. n. 152 del 2006 e gli Allegati alla Parte II,
rispettivamente intitolati «Progetti di competenza delle regioni e delle
province autonome di Trento e di Bolzano» e «Progetti sottoposti alla verifica
di assoggettabilità di competenza delle regioni e delle province autonome di
Trento e di Bolzano». Le Province risultano, inoltre, espressamente menzionate
nei commi 5, 7, 8 e 9 del nuovo art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006,
introdotto dall’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017. Tutto lascerebbe
supporre, dunque, che le norme censurate pretendano di applicarsi anche alla
Provincia autonoma ricorrente.
Ciò posto, la
Provincia autonoma di Trento osserva che l’effetto combinato degli artt. 5,
comma 1, che ridefinisce le competenze in materia di VIA e di verifica di
assoggettabilità a VIA, dell’art. 22, che modifica gli Allegati alla Parte II
del d.lgs. n. 152 del 2006, e dell’art. 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n.
104 del 2017, il quale dispone le correlative abrogazioni delle disposizioni
anteriormente vigenti in materia, è quello di avocare allo Stato competenze
relative a progetti – dei quali il ricorso fornisce analitica indicazione – che
rientrerebbero sicuramente in materie di competenza legislativa, e conseguentemente
amministrativa (art. 16 dello Statuto), della Provincia autonoma.
Le materie
interessate sarebbero, in specie:
- la produzione,
trasporto e distribuzione dell’energia, di competenza concorrente ai sensi
dell’art. 117, terzo
comma, Cost., combinato con l’art. 10
della legge
cost. n. 3 del 2001;
- i porti lacuali,
di competenza primaria (art. 8, n. 11, dello statuto speciale),
e più in generale i porti, di competenza concorrente (art. 117, terzo comma, Cost. e art. 10 della legge
cost. n. 3 del 200l);
- il turismo, di
competenza primaria (art. 8, n. 20, dello statuto speciale),
o se più favorevole di competenza residuale (art. 117, quarto comma, Cost. e art. 10, legge
cost. n. 3 del 2001);
- la «viabilità,
acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale» e le «comunicazioni e
trasporti di interesse provinciale», di potestà primaria (art. 8, numeri 17 e
18 del richiamato statuto speciale);
- le miniere e cave
(art. 8, n. 14, dello statuto speciale);
- gli aeroporti, di
competenza concorrente (art. 117, terzo comma, Cost. e art. 10, legge
cost. n. 3 del 2001).
Tali progetti
intersecherebbero, inoltre, le competenze provinciali in materia di urbanistica
e piani regolatori (art. 8, n. 5, dello statuto speciale)
e di tutela del paesaggio (art. 8, n. 6, dello statuto speciale),
e – in rapporto proprio ai profili che attengono alla VIA e alla verifica di
assoggettabilità a VIA – i titoli su cui si radica la competenza provinciale in
materia di ambiente, e dunque, oltre alle materie appena citate, quelle in
punto di prevenzione e di pronto soccorso per calamità naturali (art. 8, n. 13,
dello statuto
speciale), protezione civile, apicultura e parchi (art. 8, n. 16, dello statuto speciale),
agricoltura (art. 8, n. 21, dello statuto speciale),
igiene e sanità (art. 9, n. 10, dello statuto speciale),
ora tutela della salute (art. 117, terzo comma, Cost. e art. 10, legge
cost. n. 3 del 2001) e utilizzazione delle acque
pubbliche (art. 9, n. 9, dello statuto speciale).
Nell’ambito di queste materie, le competenze amministrative anche in tema di
VIA e di verifica di assoggettabilità, sarebbero di spettanza provinciale, a
norma dell’art. 16 dello statuto speciale
regionale.
14.3.1.– La ricorrente denuncia, al riguardo,
anzitutto il vizio di eccesso di delega (art. 76 Cost.),
sotto i profili dell’assenza nella legge delega di un principio che autorizzi
l’avocazione allo Stato di una serie di funzioni già esercitate dalle Regioni e
dalle Province autonome, e della violazione dei principi dettati dall’art. 32
della legge n. 234 del 2012.
Viene sottolineato
come il d.lgs. n. 152 del 2006, oggetto della novella legislativa censurata,
fosse stato emanato sulla base di una legge delega che prevedeva espressamente
il rispetto delle attribuzioni delle Regioni e degli enti locali e faceva salvo
il rispetto degli statuti e delle relative disposizioni di attuazione delle
regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano
(art. 1, comma 8, della legge 15 dicembre 2004, n. 308, recante «Delega al
Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione
in materia ambientale e misure di diretta applicazione»).
Il riparto delle
competenze tra Stato e autonomie locali non avrebbe potuto, dunque, essere
toccato in assenza di un diverso indirizzo parlamentare che, nella specie, ha
fatto difetto.
Nel caso di specie,
inoltre, la delega era stata conferita al limitato fine di attuare una
direttiva europea che, a sua volta, nulla dice in punto di competenze, posto
che il considerando n. 37 prende atto delle diverse «strutture istituzionali»
degli Stati membri, autorizzandoli a «designare più autorità» in materia di
VIA.
L’intervento sui
rapporti di competenza tra Stato e Regioni non poteva ritenersi ricompreso,
ancora, in alcuno dei principi e criteri direttivi enunciati dall’art. 14 della
legge n. 114 del 2015, che non coinvolgevano il riparto delle competenze
istituzionali. Dovevano al contrario osservarsi i criteri generali fissati
dall’art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012, che impongono,
quando si verifichino sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni «il
rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale
collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali».
14.3.2.– Viene dedotta anche la
violazione degli artt. 8 (in particolare, numeri 1, 3, 5, 6, 11, 13, 14, 16,
17, 18, 20 e 21), 9 (in particolare, numeri 3, 9, e 10) e 16 dello statuto
della Provincia autonoma e degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, primo
comma, Cost., nonché, ulteriormente, l’eccesso di
delega per mancanza di intesa costituzionalmente necessaria.
La ricorrente
rileva, in ordine alla denunciata sottrazione di competenze amministrative, che
quelle conferite dallo statuto non possono formare oggetto di chiamata in
sussidiarietà, vigendo per esse il principio del parallelismo di cui all’art.
16 dello statuto speciale regionale, mentre per quelle derivanti dalla
Costituzione mancherebbero i presupposti ai quali la giurisprudenza
costituzionale subordina la chiamata in sussidiarietà.
L’apprezzamento
delle esigenze unitarie compiuto dal decreto delegato non sarebbe, infatti, né
ragionevole, né proporzionato, essendo state allocate presso lo Stato un numero
elevatissimo di funzioni già esercitate dalle Regioni e dalle Province
autonome. Mancherebbe, poi, il requisito dell’accordo con le autonomie
regionali, essendo stata operata detta allocazione, senza una previa intesa ed
anzi col dissenso della Provincia autonoma di Trento.
Il che, oltre a
violare il principio di leale collaborazione, implicherebbe anche un vizio di
eccesso di delega, dal momento che, nel caso di specie, la legge di delega
doveva ritenersi integrata da un limite implicito che imponeva l’acquisizione
della intesa, alla luce di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 251 del
2016, con riguardo al caso di intreccio di competenze non risolubile con il
criterio della prevalenza, e ancor prima dalla sentenza n. 303 del
2003, per la chiamata in sussidiarietà.
14.4.– Si denuncia, poi,
l’illegittimità costituzionale del solo art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 104 del
2017, nella parte in cui introduce i commi 7, 8 e 9 dell’art. 7-bis del d.lgs.
n. 152 del 2006.
In particolare, il
comma 7 impone alla Provincia autonoma di regolare le proprie procedure in
materia di VIA o di verifica di assoggettabilità a VIA in conformità a varie
disposizioni novellate del d.lgs. n. 152 del 2006, tutte di estremo dettaglio e
autoapplicative; il comma 8 ribadisce tali obblighi
di conformazione, vincolando la potestà delle Regioni e delle Province autonome
di regolare l’organizzazione e le modalità di esercizio delle funzioni in
materia di VIA al rispetto di quanto previsto nel medesimo decreto, con la sola
possibilità di introdurre regole particolari per specifici aspetti; il comma 9
viene contestato in quanto, nello stabilire obblighi informativi, fa
riferimento alle Province autonome, confermando così che la disciplina in
questione si rivolge anche ad esse.
Si tratta di oggetti
– sottolinea la ricorrente – che la Provincia autonoma di Trento ha già
organicamente regolato nell’ambito della propria autonomia legislativa,
mediante la legge provinciale 17 settembre 2013, n. 19, recante «Disciplina
provinciale della valutazione dell’impatto ambientale. Modificazioni della
legislazione in materia di ambiente e territorio e della legge provinciale 15
maggio 2013, n. 9 (Ulteriori interventi a sostegno del sistema economico e
delle famiglie)», con la quale ha dato esecuzione alla direttiva 2011/92/UE,
concernente la VIA. Competenza, questa, mai contestata dallo Stato, che aveva,
anzi, introdotto una specifica clausola di salvaguardia per le Regioni a
statuto speciale e le Province autonome nell’art. 35, comma 2-bis, del d.lgs.
n. 152 del 2006, conformemente, come già osservato, a quanto stabilito dalla
relativa legge delega. Clausola che, secondo la ricorrente, dovrebbe ritenersi
ancora operante, in quanto le norme oggetto di censura sono state inserite, con
la tecnica della novellazione, proprio nel corpo
dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006, mentre, al contrario, le norme qui
contestate sono state espressamente rivolte alle Province autonome.
Risulterebbe
pertanto violato l’art. 8 dello statuto speciale, relativo alla potestà
primaria di autoorganizzazione comprensiva del procedimento di VIA, competenza
da tempo esercitata, in conformità all’art. 19-bis del d.P.R.
22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la
regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche), ove
è espressamente menzionata la VIA, anche per le opere soltanto delegate. È
ovvio, sostiene la ricorrente, che, a maggior ragione, quelle funzioni sono
riservate alla Provincia autonoma nell’ambito delle materie che statutariamente
sono attribuite alla competenza legislativa provinciale. Non potrebbe al
riguardo venire in discorso la competenza esclusiva statale in tema di
ambiente, a norma dell’art. 117, secondo comma, lettera s) Cost., in quanto l’incisione
delle materie statutarie è preclusa dalla clausola di maggior favore prevista
dall’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
Si deduce, inoltre,
la violazione dell’art. 117, quinto comma, Cost., che sancisce, in
generale, il potere delle Province autonome di dare immediata attuazione alle
raccomandazioni e direttive comunitarie nelle materie di competenza esclusiva,
salvo adeguarsi, nei limiti statutari, alle leggi statali di attuazione degli
atti comunitari. Tale potere è ribadito dalla legge di attuazione n. 234 del
2012, che fa salve, per le Regioni a statuto speciale e per le Province
autonome, le previsioni dettate dai rispettivi statuti speciali e le relative
norme di attuazione. Sicché le disposizioni censurate verrebbero a sovrapporsi
alla disciplina provinciale, senza che ricorrano le ipotesi sostitutive
previste dall’art. 41, comma 1, della stessa legge n. 234 del 2012.
Sarebbero violati
anche gli artt. 3 e 97 Cost. La dettagliatissima
disciplina statale, infatti, sarebbe sproporzionata nell’assicurare uniformità
all’attuazione della direttiva europea; mentre la prescrizione di un modello
unitario coinvolgerebbe anche il principio di buon andamento della
amministrazione, che risulterebbe leso anche perché appare irrazionale – e fonte
di cattiva amministrazione – consentire una legislazione locale se questa deve
essere meramente riproduttiva di quella nazionale. Violazioni, quelle
denunciate, che ridonderebbero sulle competenze provinciali, in quanto atte a
comprimere le competenze statutarie nelle materie di competenza provinciale,
già passate in rassegna.
14.4.1.– In ulteriore subordine, la
ricorrente fa presente che ove la Corte costituzionale accogliesse le censure
relative all’art. 5, essa non sarebbe tenuta ad adeguarsi agli artt. da 19 a 26
e da 27-bis a 29 del d.lgs. n. 152 del 2006, se non nei limiti di cui allo
statuto speciale.
In caso contrario,
la Provincia autonoma impugna l’art. 8, nella parte in cui introduce l’art. 19
nel d.lgs. n. 152 del 2006, e l’art. 16, comma 2, nella parte in cui introduce
l’art. 27-bis nel medesimo decreto.
14.4.1.1.– L’art. 8 disciplinerebbe
analiticamente lo svolgimento del procedimento di verifica di assoggettabilità
a VIA (dalle modalità di trasmissione dello studio preliminare alle modalità di
pubblicazione, alla istruttoria, ai termini del procedimento, ai modi, ai tempi
e ai limiti delle possibilità di interlocuzione con gli interessati).
14.4.1.2.– L’art.
16, comma 2, è impugnato nell’ipotesi che la disposizione da esso introdotta
sia vincolante e/o applicabile anche alle Province autonome, come sembrerebbe
indicare il nuovo art. 7-bis, commi 7, primo periodo, 8 e 9 (in senso contrario
potrebbero deporre l’art. 7-bis, comma 7, secondo periodo, per cui «il
procedimento di VIA di competenza regionale si svolge con le modalità di cui
all’art. 27-bis», e lo stesso testo dell’art. 27-bis, a partire dalla sua
intitolazione, che non cita le province autonome). Esso recherebbe una
disciplina «ugualmente analitica e minuziosa» del procedimento di VIA di
competenza regionale.
Le disposizioni
sarebbero invasive delle competenze primarie, di cui agli artt. 8, 9 e 16 dello
statuto
speciale, in base ai quali la Provincia autonoma ricorrente avrebbe una
potestà primaria di auto-organizzazione, comprensiva della disciplina del
procedimento di VIA; tali disposizioni, inoltre, stabilirebbero le competenze
legislative e le funzioni amministrative provinciali, le quali, in virtù della
clausola di cui all’art. 10 della legge
cost. n. 3 del 2001, non dovrebbero essere incise
dalla competenza esclusiva statale in materia di ambiente.
Attraverso le norme
censurate si produrrebbe altresì la lesione della competenza provinciale a dare
attuazione al diritto dell’Unione europea, riconosciuta dall’art. 117, quinto comma, Cost. Sarebbe violato anche il principio direttivo che
limita l’intervento del legislatore delegato alla «armonizzazione» delle
procedure, e non consentiva, pertanto, la loro totale uniformità.
14.4.1.3.– Per corrispondenti ragioni
risulterebbe illegittimo (ove applicabile anche alla Provincia ricorrente),
l’art. 24, sostitutivo dell’art. 14, comma 4, della richiamata legge n. 241 del
1990.
Secondo la
ricorrente, solo formalmente il procedimento atterrebbe alla VIA, dal momento
che interviene su ogni profilo di un progetto, costretto nelle modalità
specifiche della conferenza di servizi disciplinata dalla legislazione statale
anziché dalla disciplina provinciale, con interi ambiti di materia sottratti
alla disciplina regionale. In altre parole, la disciplina statale della
conferenza di servizi non opererebbe come limite verticale all’interno della
materia, ma come diretta disciplina della fattispecie, sottratta alla
disciplina provinciale.
Evidente sarebbe
altresì la violazione dell’art. 2 del decreto
legislativo 16 marzo 1992 n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale
per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra gli atti legislativi
statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo
e coordinamento), che vieterebbe la sostituzione di discipline statali alle
discipline provinciali, ponendo invece il rispettivo rapporto nei termini di un
dovere di adeguamento, limitato dalle regole statutarie e presidiato da questa
Corte. Anche questa censura è formulata dalla ricorrente per l’ipotesi che tale
disposizione si dovesse ritenere applicabile alle Province autonome, nonostante
essa menzioni solo progetti di competenza regionale (e non provinciale), sia
perché essa verrebbe immessa nella legge n. 241 del 1990, che contiene,
all’art. 29, comma 2-quinquies, la clausola di garanzia per cui «le regioni a
statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la
propria legislazione alle disposizioni del presente articolo secondo i
rispettivi statuti e le relative norme di attuazione». Dovrebbe prevalere
l’interpretazione costituzionalmente conforme, anche in forza del citato art. 2
del d.lgs. n. 266, che risulterebbe altrimenti violato.
14.5.– Viene denunciata
l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104
del 2017, per violazione dell’art. 2 del d.lgs.
n. 266 del 1992, recante disposizioni di attuazione dello statuto di autonomia,
e per violazione degli artt. 8 e 9 dello statuto medesimo,
nonché degli artt.
117, quinto comma, e 120 Cost.
Si lamenta, altresì, la violazione dell’art. 8 del d.P.R. n. 526 del 1987.
La norma censurata,
dedicata alle disposizioni transitorie e finali, impone alla ricorrente obblighi
di adeguamento che sarebbero in contrasto con l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del
1992, il quale, dettando disposizioni di attuazione dello Statuto, prevede che
la Provincia autonoma di Trento adegui la propria legislazione a quella statale
entro sei mesi dalla pubblicazione della legge sulla Gazzetta ufficiale o entro
il maggior termine previsto dalla stessa legge, restando nel frattempo
applicabili le disposizioni provinciali. La immediata applicabilità è prevista
solo per le "norme comunitarie direttamente applicabili” e non – sottolinea la
ricorrente – per la disciplina statale attuativa del diritto dell’UE. La norma
censurata risulterebbe pertanto in contrasto con la disciplina di attuazione
dello statuto, in quanto essa riduce a centoventi giorni il termine di
adeguamento della disciplina provinciale a quella statale. Inoltre, stabilendo
la perentorietà di tale termine, alla Provincia sarebbe inibito procedere ad
emanare norme di adeguamento, in violazione degli artt. 117, quinto comma,
come attuato dall’art. 41 della legge
n. 234 del 2012, e 120,
quinto comma, Cost., i quali impongono che i
poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto dei principi di leale
collaborazione e sussidiarietà. La norma censurata, inoltre, sarebbe
illegittima anche nella parte in cui stabilisce che, decorso il termine
previsto, si applicano i poteri sostitutivi di cui all’art. 117, quinto comma, Cost. secondo le previsioni dettate dagli artt. 41 e 43
della legge
n. 234 del 2012, in quanto in contrasto con l’art. 8 del richiamato d.P.R. n. 526 del 1987, di attuazione dello statuto speciale,
il quale prevede un potere sostitutivo solo in caso di accertata inattività
degli organi regionali e provinciali che comporti inadempimento agli obblighi
comunitari e, comunque sia, previa concessione di un ulteriore termine alla
Provincia autonoma. La norma sarebbe illegittima anche se interpretata come
disposizione direttamente sostitutiva, ai sensi dell’art. 41 della legge n. 234
del 2012, e quindi direttamente operante nell’ordinamento provinciale, in
quanto sprovvista del necessario carattere della cedevolezza, e comunque in
contrasto con l’art. 2, commi 1, 2 e 4 del d.lgs.
n. 266 del 1992.
14.6.– Con un ultimo
gruppo di censure la ricorrente lamenta la violazione della propria autonomia
amministrativa (art. 16 dello statuto speciale,
in relazione agli artt. 8 e 9; art. 4 del d.lgs.
n. 266 del 1992) oltre che dei principi di sussidiarietà e di leale
collaborazione (art.
118 e 120 Cost.), derivanti dall’introduzione del provvedimento
unico in materia ambientale.
14.6.1.– Sarebbe illegittimo l’art. 16,
comma 1, il quale novella l’art. 27 del d.lgs. n. 152 del 2006, introducendo il
provvedimento unico in materia ambientale per i procedimenti di VIA di
competenza statale. Il nuovo art. 27 stabilisce «[n]el
caso di procedimenti di VIA di competenza statale, il proponente può richiedere
all’autorità competente che il provvedimento di VIA sia rilasciato nell’ambito
di un provvedimento unico comprensivo di ogni autorizzazione, intesa, parere,
concerto, nulla osta, o atto di assenso in materia ambientale, richiesto dalla
normativa vigente per la realizzazione e l’esercizio del progetto (comma 1,
primo periodo). Il comma 2 dispone che «[i]l provvedimento unico di cui al comma
1 comprende il rilascio dei seguenti titoli laddove necessario: a)
autorizzazione integrata ambientale ai sensi del titolo III-bis della parte II
del presente decreto;
b) autorizzazione
riguardante la disciplina degli scarichi nel sottosuolo e nelle acque
sotterranee di cui all’art. 104 del presente decreto;
c) autorizzazione
riguardante la disciplina dell’immersione in mare di materiale derivante da
attività di escavo e attività di posa in mare di cavi e condotte di cui
all’art. 109 del presente decreto;
d) autorizzazione
paesaggistica di cui all’art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio
di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;
e) autorizzazione
culturale di cui all’art. 21 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di
cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;
f) autorizzazione
riguardante il vincolo idrogeologico di cui al regio decreto 30 dicembre 1923,
n. 3267, e al decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n 616;
g) nulla osta di
fattibilità di cui all’art. 17, comma 2, del decreto legislativo 26 giugno
2015, n. 105;
h) autorizzazione
antisismica di cui all’art. 94 del decreto del Presidente della Repubblica 6
giugno 2001, n. 380».
14.6.2.– I commi successivi
dell’impugnato art. 27 regolano le fasi del procedimento che seguono alla
iniziativa; al comma 8, la disposizione stabilisce che «[…]l’autorità
competente convoca una conferenza di servizi», alla quale partecipano il
proponente e tutte le Amministrazioni competenti «o comunque potenzialmente
interessate al rilascio del provvedimento di VIA e dei titoli abilitativi in
materia ambientale richiesti dal proponente».
La medesima
disposizione precisa che «la conferenza di servizi si svolge secondo le
modalità di cui all’art. 14-ter, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 7, della legge 7 agosto
1990, n. 241»; che «[i]l termine di conclusione dei lavori della conferenza di
servizi è di duecentodieci giorni»; che «[l]a determinazione motivata di
conclusione della conferenza di servizi, che costituisce il provvedimento unico
in materia ambientale, reca l’indicazione espressa del provvedimento di VIA ed
elenca, altresì, i titoli abilitativi compresi nel provvedimento unico»; che
«la decisione di rilasciare i titoli di cui al comma 2 è assunta sulla base del
provvedimento di VIA, adottato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività
culturali e del turismo, ai sensi dell’art. 25»; che «[i] termini previsti
dall’art. 25, comma 2, quarto periodo, sono ridotti alla metà e, in caso di
rimessione alla deliberazione del Consiglio dei ministri, la conferenza di
servizi è sospesa per il termine di cui all’art. 25, comma 2, quinto periodo»;
che «[t]utti i termini del procedimento si
considerano perentori ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 2, commi
da 9 a 9-quater, e 2-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241». Il successivo
comma 9 prevede che «[l]e condizioni e le misure supplementari relative
all’autorizzazione integrata ambientale di cui al comma 2, lettera a), e
contenute nel provvedimento unico, sono rinnovate e riesaminate, controllate e
sanzionate con le modalità di cui agli articoli 29-octies, 29-decies e
29-quattuordecies» e che «le condizioni e le misure supplementari relative agli
altri titoli abilitativi in materia ambientale di cui al comma 2, sono
rinnovate e riesaminate, controllate e sanzionate con le modalità previste
dalle relative disposizioni di settore da parte delle amministrazioni
competenti per materia». Infine, il comma 10 stabilisce che «[l]e disposizioni
contenute nel presente articolo si applicano in deroga alle disposizioni che
disciplinano i procedimenti riguardanti il solo primo rilascio dei titoli
abilitativi in materia ambientale di cui al comma 2».
14.6.3.– La Provincia ricorrente osserva
che le funzioni coinvolte «sono state incrementate in misura esorbitante»,
tanto che l’intera disposizione sembrerebbe scritta come se tutte le
amministrazioni coinvolte fossero amministrazioni statali. Fa presente la
ricorrente che taluni provvedimenti indicati (come quelli relativi agli
scarichi nel sottosuolo, alla autorizzazione paesaggistica, alla autorizzazione
culturale e alla autorizzazione riguardante il vincolo idrogeologico) sarebbero
di competenza della Provincia autonoma, che ha potestà legislativa ed
amministrativa in materia di acque, di tutela e conservazione del patrimonio
storico, artistico e culturale e di tutela del paesaggio (art. 8, numeri 3, 6,
17 e 24, e art. 9, comma 9, in combinazione con l’art. 16 dello statuto di
autonomia). Essa lamenta, dunque, che, nel regolare proprie funzioni, lo Stato
l’abbia espropriata della potestà decisoria.
Così facendo, lo
Stato finirebbe per esercitare, mediante i meccanismi di decisione finale della
conferenza di servizi statale, le funzioni amministrative proprie della
ricorrente, in violazione dell’art. 16 dello statuto speciale, nonché dell’art.
4 del d.lgs. n. 266 del 1992. Inoltre, osserva che il legislatore statale
avrebbe scelto il modulo procedimentale della conferenza di servizi «con
modalità sincrona», prevista dall’art. 14-ter della legge n. 241 del 1990
(richiamato nei commi 1, 3, 4, 5, 6 e 7); la norma impugnata richiama soltanto
la disposizione (art. 14-ter, comma 7) che prevede la possibilità per la
conferenza di servizi di deliberare sulla base delle posizioni prevalenti
espresse dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza, mentre non
richiama l’art. 14-quinquies che regola i rimedi per le amministrazioni
dissenzienti.
Ove il rinvio
contenuto nell’art. 27, comma 8, al solo art. 14-ter della legge n. 241 del
1990 (anziché all’art. 14-ter e seguenti) e la mancata menzione dell’art.
14-quinquies, fossero da intendere come una volontà legislativa di escludere
l’applicabilità della disciplina dettata dall’art. 14-quinquies per i dissensi
qualificati, e in particolare per quelli manifestati dalle Province autonome,
la disposizione impugnata sarebbe ulteriormente illegittima: (i) per violazione
dell’autonoma amministrativa della Provincia autonoma in relazione a tutte le
competenze da essa esercitate in materia ambientale (acque, paesaggio, opere
idrauliche, viabilità), che verrebbero scavalcate da una decisione deliberata
da organi di altro ente; (ii) per violazione anche la potestà legislativa della
Provincia autonoma, visto che secondo il comma 10, il procedimento unico
comporta una deroga alle disposizioni che disciplinano i procedimenti dei
titoli abilitativi in materia ambientale di cui al comma 2, in relazione al
primo rilascio; (iii) per violazione del principio di sussidiarietà e perché
l’assorbimento della funzione dell’ente autonomo non avverrebbe in una cornice
di leale collaborazione.
L’istituto del
rimedio per le amministrazioni dissenzienti, nella sua conformazione rispettosa
della leale collaborazione, sarebbe infatti una condizione necessaria per la
legittimità costituzionale delle previsioni di conferenze di servizi decisorie,
ove siano coinvolti enti di livello regionale (è richiamata la sentenza n. 179 del
2012).
Questa ulteriore
censura non avrebbe ragione di essere, a parere della ricorrente, ove il
richiamo all’art. 14-quater (e attraverso di questo al 14-quinquies), contenuto
nell’art. 14-ter, comma 7, potesse assicurare comunque l’applicazione della
disciplina di garanzia per il dissenso della ricorrente Provincia autonoma.
15.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
depositato il 13 ottobre 2017, memoria di costituzione, chiedendo che il
ricorso venga rigettato.
15.1.– In merito alla pretesa
violazione degli artt. 76 e 77 Cost., l’Avvocatura
generale dello Stato deduce preliminarmente l’inammissibilità del motivo di
ricorso, in quanto la legge di delega non ha formato oggetto di impugnazione.
Si osserva, al riguardo, che ove i contenuti della delega diano luogo ad
effettiva lesione delle competenze regionali o provinciali, gli stessi devono
formare oggetto di tempestiva impugnazione a norma dell’art. 39 della legge n.
87 del 1953: ciò a fine di consentire a questa Corte di eliminare gli eventuali
profili di illegittimità senza aspettare che tali vizi vengano riprodotti o
addirittura ampliati nei decreti delegati.
Il motivo relativo
alla denunciata tardività dell’esercizio della delega legislativa, con
conseguente violazione degli artt. 76 e 77 Cost., sarebbe comunque
infondato. L’Avvocatura dello Stato osserva che il rinvio operato dalla legge
di delega n. 114 del 2015, ai termini di cui all’art. 31, comma 1, della legge
n. 234 del 2012, poi modificato ad opera della legge n. 115 del 2015, entrata
in vigore il 18 agosto 2015, ha natura recettizia. Innanzi tutto, perché la
legge non può avere portata retroattiva e, dunque, la legge novellatrice del
termine, non può che riguardare le fattispecie di delegazione legislativa successive,
e non certo quelle di cui alla legge n. 114 del 2015, entrata in vigore tre
giorni prima. In secondo luogo, ove la legge n. 115 del 2015 fosse ritenuta di
portata retroattiva, la stessa avrebbe potuto generare l’effetto di produrre la
scadenza di una delega ancora in corso, come si sarebbe verificato almeno in un
caso (si cita, al riguardo, la delega per l’attuazione della direttiva
2012/29/UE, non ancora esercitata al momento della entrata in vigore della
legge n. 115 del 2015, e per la quale, ove i nuovi e ridotti termini – da
quattro a due mesi antecedenti al termine di recepimento della direttiva –
fossero stati ritenuti di immediata applicabilità, il termine per l’esercizio
della delega sarebbe addirittura decorso prima della entrata in vigore della
stessa legge n. 115 del 2015). Simili approdi risulterebbero ulteriormente
evidenziati dalla incoerenza che si determinerebbe nel disporre la
abbreviazione dei termini di recepimento di direttive, allo scopo verosimile di
favorirne una celere attuazione, con il contrario effetto di precludere il
potere delegato di attuazione.
Quanto all’ulteriore
rilievo della ricorrente, secondo cui il rinvio "secco” all’art. 31, comma 1,
della legge n. 234 del 2012, avrebbe comportato l’impossibilità di avvalersi del
meccanismo di proroga del termine previsto in via generale dall’art. 31, comma
3 della stessa legge, la censura risulterebbe infondata per più ragioni. La
legge di delega n. 114 del 2015, infatti, rievoca le "procedure” nonché gli
artt. 31 e 32 della legge n. 234 del 2012, nella loro interezza, richiamando,
così, anche le regole relative ai pareri delle Commissioni parlamentari e i
loro riflessi sui termini di esercizio della delega legislativa.
Inoltre, si osserva,
l’art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012 contiene una norma di carattere
generale destinata ad applicarsi a tutte le leggi di delegazione europea, a
meno che queste non dispongano diversamente. Pertanto, una volta che la legge
n. 114 del 2015 ha previso come obbligatorio il parere delle Commissioni
parlamentari, senza ulteriori puntualizzazioni, ne deriva l’integrale
applicabilità della disciplina dettata dalla stessa legge n. 234 del 2012, in
dipendenza di tale opzione. Pertanto, la natura recettizia del rinvio operato
all’art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, non impediva al Governo di
usufruire della proroga di cui all’art. 31, comma 3, della medesima legge.
15.2.– Sarebbero
infondati pure i rilievi subordinati, concernenti la pretesa illegittimità
della procedura in ragione della scelta del Governo di trasmettere
contestualmente lo schema di decreto delegato alle Commissioni parlamentari ed
alla Conferenza Stato-Regioni, in violazione di quanto stabilito dall’art. 1,
comma 3, della richiamata legge di delega n. 114 del 2015 e dall’art. 31, comma
3, della legge n. 234 del 2012, in merito al fatto che la trasmissione alla
Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica dello schema di decreto
delegato debba avvenire solo «dopo l’acquisizione degli altri pareri previsti
dalla legge». Ma, sostiene l’Avvocatura, è proprio la pretesa obbligatorietà
del parere della Conferenza Stato-Regioni ad essere non fondata, in quanto la
disciplina della valutazione di impatto ambientale non rientrerebbe fra le
"materie” di competenza regionale, essendo ascrivibile, per consolidata
giurisprudenza costituzionale, alla «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema»,
di competenza statale esclusiva, a norma dell’art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost. e non vi sarebbe
alcun "intreccio” con diversi ambiti materiali, ma soltanto "incidenza”
rispetto a funzioni regionali.
Deriverebbe da ciò
che il Governo non aveva l’obbligo di consultare la detta Conferenza, in ordine
allo schema di decreto legislativo per l’attuazione della «direttiva VIA»:
dunque, il parere richiesto avrebbe natura facoltativa e sfuggirebbe, pertanto,
dal campo di applicazione delle norme la cui violazione viene censurata dalla
ricorrente; esso poteva di conseguenza essere richiesto anche contestualmente
alla trasmissione alle Camere dello schema di decreto. Risulterebbe
correlativamente rispettato anche il principio di leale collaborazione.
15.3.– Non fondate sarebbero anche le
censure rivolte verso gli artt. 5, comma 1, 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1,
lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017, in ragione del profondo riassetto e
allocazione presso lo Stato di numerose funzioni già provinciali in tema di
VIA. Si ribadisce, infatti, che la valutazione di impatto ambientale rientra
nella tutela dell’ambiente di esclusiva competenza statale, imponendosi dunque
alle Regioni ed alle stesse autonomie speciali. Le funzioni amministrative
statutariamente garantite alle Province autonome sono dunque, in base all’art.
16 dello statuto speciale, solo quelle relative alle materie per le quali la Provincia
autonoma può adottare norme legislative.
15.4.– A proposito, poi, della
lamentata violazione degli artt. 8, 9 e 16 delle disposizioni statutarie, e
degli artt. 117, terzo e quarto comma, Cost, in
riferimento all’art. 10 della legge cost. n. 3 del
2001, nonché al prospettato eccesso di delega per mancanza di intesa
costituzionalmente necessaria, l’Avvocatura generale dello Stato ne deduce la
infondatezza, anzitutto ribadendo il principio che, in tema di VIA,
sussisterebbe la competenza esclusiva dello Stato, vertendosi in materia di
tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. Pertanto, sulla base del principio del
parallelismo amministrativo di cui all’art. 16 dello statuto di autonomia, le
funzioni amministrative in materia di VIA non rientrerebbero fra quelle
statutariamente garantite alla Provincia autonoma ricorrente. Nella specie
sarebbe dunque inconferente il richiamo alla chiamata in sussidiarietà,
applicandosi questa soltanto nella ipotesi in cui lo Stato si appropri di
funzioni amministrative in materie di legislazione regionale: il che non si
verifica nel caso di specie. Conseguentemente, non si richiedeva alcuna intesa
con le Regioni, posto che tale modulo procedurale riguarda la chiamata in
sussidiarietà in relazione all’esercizio di funzioni amministrative, ma non per
il procedimento di formazione legislativa.
Inconferente sarebbe
la pretesa irragionevolezza per sproporzione dell’intervento di riallocazione
delle funzioni amministrative, tenuto conto della già rilevata applicazione dei
principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, mentre improprio si
rivela il richiamo alla sentenza n. 251 del
2016, in quanto l’intesa si impone come contenuto obbligatorio della legge
di delegazione solo nel caso di intreccio inestricabile tra ambiti competenziali statali e regionali: il che non avviene in
materia di VIA.
15.5.– L’Avvocatura ribadisce la
esclusività della competenza statale in materia, la quale non presenterebbe
alcun intreccio con le materie legislative rimesse alla Provincia autonoma,
rievocando la giurisprudenza costituzionale formatasi al riguardo. Quanto, poi,
alla disciplina del procedimento amministrativo, il legislatore statale
disporrebbe di un ulteriore titolo di competenza esclusiva nel dettare i
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, a
norma dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.
Pertanto, la
circostanza che in materia di VIA la Provincia autonoma avesse dettato una
propria disciplina, non inibiva allo Stato di intervenire nuovamente per
dettare regole tese a consentire l’uniforme svolgimento del procedimento di VIA
su tutto il territorio nazionale. D’altra parte, sia pure ridimensionato,
residua per le Regioni e le Province autonome il potere di disciplinare con
proprie norme (art. 7-bis¸comma 8, del d.lgs. n. 152 del 206, introdotto
dall’art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017) l’organizzazione e l’esercizio delle
funzioni amministrative loro conferite in materia di VIA, anche con regole
intese a semplificare i procedimenti, l’accesso del pubblico e degli altri
soggetti pubblici interessati e il coordinamento dei provvedimenti di
competenza regionale e locale. A sua volta, la clausola di salvaguardia dettata
dall’art. 35-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, non opera per la VIA, essendo
materia di competenza esclusiva statale, ma si riferisce a profili che ricadano
nelle materie previste dagli statuti speciali.
15.6.– Le disposizioni impugnate,
prosegue l’Avvocatura, sarebbero illegittime, in quanto invasive, secondo la
Provincia ricorrente, di numerose competenze legislative provinciali, derivanti
dalle disposizioni statutarie (artt. 8, 9 e 16) e costituzionali (art. 117,
terzo e quarto comma, Cost, in combinazione con la
clausola di equiparazione di cui all’art. 3 della legge cost.
n. 3 del 2001). Le stesse disposizioni sarebbero, ad avviso della ricorrente,
lesive della norma di attuazione dello statuto speciale recata dall’art. 19-bis
del d.P.R. n. 381 del 1974, in base alla quale "[a]i
fini dell’esercizio delle funzioni delegate con il presente decreto le Province
autonome di Trento e di Bolzano, per il rispettivo territorio, applicano la
normativa provinciale in materia di organizzazione degli uffici, di
contabilità, di attività contrattuale, di lavori pubblici e di valutazione di impatto
ambientale”.
Anche queste censure
sarebbero infondate. Si ribadisce, al riguardo, che la pretesa lesione di
competenze legislative provinciali non sussisterebbe, in quanto la materia
della VIA rientra nell’ambito della legislazione statale esclusiva in tema di
tutela dell’ambiente, senza che sia registrabile alcun riflesso o
"frazionabilità” del regime competenziale in questo o
quell’ambito materiale di spettanza provinciale. A proposito, poi, della
pretesa violazione dell’art. 19-bis del d.P.R. n. 381
del 1974, si tratterebbe di disposizione relativa alle sole funzioni delegate
dallo Stato, diverse ed ulteriori rispetto a quelle garantite statutariamente
alla Provincia autonoma; disposizione che sarebbe nella specie rispettata in
ragione del fatto che, come già osservato, le competenze provinciali in tema di
VIA sono state ridotte ma non azzerate.
15.7.– Le censure degli artt. 8 e 16,
comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017 sarebbero prive di fondamento, essendo le
disposizioni impugnate necessarie a garantire l’omogenea applicazione delle
norme sulla VIA sul territorio nazionale, a seguito dell’entrata in vigore
delle regole più stringenti, di cui alla direttiva 2014/52/UE.
15.8.– Infondata anche la doglianza di
cui all’impugnato art. 24 (ove applicabile alle Province autonome). Per
l’Avvocatura la disciplina rientrerebbe nella competenza esclusiva dello Stato
sulla tutela dell’ambiente e, per quanto concerne il procedimento di VIA
regionale, nella competenza esclusiva in materia di livelli essenziali delle
prestazioni; la possibilità di ricondurre alcuni istituti del procedimento
amministrativo – compresa la conferenza di servizi – alla competenza statale
sui livelli essenziali delle prestazioni sarebbe affermata all’art. 29, commi
2-bis e 2-ter, della legge n. 241 del 1990, che dunque si colloca, sotto questo
aspetto, in linea di continuità con le pronunce del giudice costituzionale.
Di conseguenza,
l’impugnato art. 24 non realizzerebbe alcuna espropriazione delle competenze
provinciali, né alcun contrasto con l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, atteso
che tale norma di attuazione dello statuto speciale si riferirebbe alla diversa
fattispecie delle materie statutariamente spettanti alla Provincia autonoma,
rispetto alle quali essa regolerebbe le modalità di adeguamento della
legislazione provinciale ai limiti recati dalla legislazione statale.
15.9.– L’Avvocatura dello Stato passa
poi ad esaminare la pretesa violazione della competenza provinciale a dare
immediata attuazione alle direttive europee nelle materie provinciali;
competenza, questa, già prevista dall’art. 7 del d.P.R.
n. 526 del 1987 ed ora sancita dall’art. 117, quinto comma, Cost.
e ribadita dall’art. 59 della legge n. 234 del 2012,
che mantiene ferme, per le autonomie speciali, le disposizioni contenute negli
statuti di autonomia e nelle relative norme di attuazione.
Pure tali doglianze
risulterebbero infondate, ancora una volta partendo dalla premessa che la VIA
rientra nella competenza esclusiva statale in tema di tutela dell’ambiente e di
previsione dei livelli essenziali delle prestazioni. L’art. 117, quinto comma, Cost. consente, infatti, alle
Regioni e alle Province autonome di provvedere all’attuazione ed esecuzione
degli atti dell’Unione europea soltanto nelle materie di loro competenza. Nella
specie, pertanto, non sarebbe stato esercitato alcun potere sostitutivo,
venendo dunque meno la pertinenza del richiamo all’art. 41, comma 1, della
legge n. 234 del 2012 e la pretesa violazione dell’art. 117, quinto comma Cost.
15.10.– Le censure di violazione degli
artt. 3 e 97 Cost. sarebbero,
invece, anzitutto inammissibili per genericità, in quanto la ricorrente avrebbe
speso argomenti apodittici per dedurre la violazione dei principi di
ragionevolezza, proporzionalità e buon andamento della pubblica
amministrazione. Non sarebbero stati infatti chiariti i profili di peculiarità
organizzative e istituzionali incisi dalla disciplina statale, né spiegate le
ragioni per le quali le limitazioni degli spazi rimessi alla legislazione
locale comprometterebbero la buona amministrazione. Nel merito, si tratterebbe
comunque di doglianze infondate, in quanto la disciplina impugnata mira ad
attuare la direttiva europea in modo uniforme, in linea con il carattere di
particolarmente dettaglio delle procedure stabilite in sede comunitaria e non
drogabili da parte degli ordinamenti nazionali, pena il rischio di procedure di
infrazione. Infine, nessuna lesione sarebbe riscontrabile in riferimento ai
principi e criteri direttivi di cui all’art. 14 della legge delega n. 114 del
2015, in quanto l’intervento legislativo censurato avrebbe pienamente
realizzato l’obiettivo della "armonizzazione” e gli altri principi di
semplificazione e razionalizzazione tracciati dalla legge di delega.
15.11.– In relazione
all’impugnato art. 23, comma 4, sarebbero non fondate le doglianze correlate
agli obblighi di adeguamento della legislazione provinciale ai limiti
introdotti dalla legislazione statale, in base alle disposizioni di attuazione
dello statuto speciale previste dal d.lgs. n. 266 del 1992, dal momento che gli
obblighi di adeguamento di cui all’art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del
2017, riguardando la tutela dell’ambiente e i livelli essenziali, di competenza
esclusiva dello Stato, esulano dal citato d.lgs. n. 266 del 1992. A proposito
poi del termine "perentorio” di adeguamento, lo stesso non equivale ad
escludere definitivamente il potere di adeguamento della Provincia autonoma, ma
legittima esclusivamente l’intervento sostitutivo dello Stato. Ciò è dimostrato
dal rinvio all’art. 41 della legge n. 234 del 2012, ove si stabilisce il
carattere cedevole dell’intervento sostitutivo dello Stato stesso.
15.12.– Parimenti
infondate si rivelerebbero le censure rivolte al potere sostitutivo di cui alla
norma censurata, laddove – richiamando l’art. 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152
del 2006, introdotto dall’art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017 – stabilisce
l’obbligo per le Regioni e Province autonome di dettare norme di organizzazione
e disciplina delle modalità di esercizio delle funzioni ammnistrative loro
attribuite in materia di VIA, trattandosi di un obbligo connesso alle esigenze
di funzionamento unitario delle procedure in materia. Il potere sostitutivo di
cui all’art. 23, comma 4, del decreto impugnato rinverrebbe, dunque, la propria
legittimazione direttamente nell’art. 117, quinto comma, Cost,
applicabile alle autonomie speciali, senza la mediazione dell’art. 10 della
legge cost. n. 3 del 2001, e della clausola di
adeguamento automatico ivi prevista. A proposito, poi, dell’esigenza –
lamentata nel ricorso – di un ulteriore termine di diffida, lo stesso è
assicurato dall’art. 43, comma 2, della legge n. 234 del 2012, che rinvia
all’art. 8 della legge cost. n. 3 del 2001, ove
appunto si prevede che la procedura sostitutiva sia preceduta da diffida.
16.– La Provincia autonoma di Trento
ha depositato, il 29 maggio 2018, una diffusa memoria, nella quale ha formulato
deduzioni per contrastare la fondatezza dei rilievi svolti dall’Avvocatura
generale dello Stato nell’atto di costituzione in giudizio.
16.1.– A proposito
della preliminare eccezione di inammissibilità, per mancata impugnazione della
legge delega, la Provincia ricorrente rammenta che l’istituto della
acquiescenza non è applicabile nel giudizio di legittimità costituzionale in
via principale, dal momento che anche la mera riproduzione di una norma reitera
la lesione, legittimando il ricorso, sottolineando come argomenti contrari non
siano desumibili dalla sentenza n. 261 del
2017, riferendosi questa non alla riproduzione, ma alla semplice
applicazione della legge di delega.
16.2.– Quanto al rinvio operato
dall’art. 1, comma 2, della legge delega n. 114 del 2015, all’art. 31, comma 1,
della legge n. 234 del 2012, la Provincia autonoma ricorrente contesta la tesi
dell’Avvocatura che invoca il principio di irretroattività della legge, in
quanto trattandosi di successione temporale connessa ad un procedimento vale il
principio tempus regit actum. Sicché gli inconvenienti esemplificati
dall’Avvocatura potevano trovare altrimenti rimedio, considerato, fra l’altro,
che residuava intatto – decaduto il potere normativo del Governo – il potere
normativo del Parlamento.
16.3.– A proposito del meccanismo di
proroga di cui all’art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012, la lettura estensiva
offerta dall’Avvocatura non sarebbe praticabile, in quanto la fissazione del
termine è contenuta in una norma speciale, rappresentata dal solo art. 31,
comma 1, della citata legge. Interpretazione estensiva, d’altra parte,
contraddittoria rispetto alla ritenuta natura recettizia del richiamo operato
dall’art. 1, comma 2, della legge di delega, giacché allo stesso rinvio
verrebbe attribuito un valore diverso a due effetti: recettizio, nella misura
de termine, e mobile quanto alla "procedura” di proroga.
16.4.– Sul tema
della acquisizione dei pareri, la tesi dell’Avvocatura, secondo la quale in
tema di VIA, attesa la competenza esclusiva dello Stato, il parere della
Conferenza Stato-Regioni sarebbe non "obbligatorio per legge”, la Provincia
ricorrente osserva che nella specie non viene in discorso la sentenza n. 251 del
2016 (ipotesi di intreccio di competenze non risolvibile sul piano della
prevalenza, la quale darebbe luogo, piuttosto, alla necessità della intesa e
non del parere), ma la previsione dettata dall’art. 2, comma 3, del d.lgs. n.
281 del 1997, per il quale il parere della Conferenza è obbligatorio nelle
materie di competenza delle Regioni o delle Province autonome, conformemente al
principio di leale collaborazione, di cui all’art. 120, secondo comma, Cost. La disposizione indicata si riferirebbe, infatti, a
tutti i casi di interferenza tra ambiti competenziali,
come, dopo la riforma del Titolo V, della Parte seconda della Costituzione,
avviene in tutte le materie trasversali, quali la disciplina ambientale: in
particolare, con riferimento alla VIA e alla Valutazione di incidenza
ambientale (VINCA), «che condiziona direttamente la regolazione dei
procedimenti amministrativi regionali (e provinciali) e le stesse funzioni
amministrative esercitate da Regione e Province autonome, nei termini già
compiutamente esposti nel ricorso». Si conclude sul punto osservando che se il
legislatore fosse intervenuto con legge ordinaria non sarebbe stato necessario
acquisire il parere della Conferenza per i profili di prevalente competenza
statale: nel caso di decreto delegato, il Governo era obbligato ad acquisire il
parere.
16.5.– A proposito dell’applicazione
della disciplina della proroga del termine per l’esercizio della delega, si
ribadisce che la doglianza si è concentrata sull’abuso del procedimento, che
avrebbe ingenerato una proroga artificiosa, e sulla violazione dell’obbligo
costituzionale – desumibile dall’art. 117, primo comma, Cost.
– di tempestivo recepimento della direttiva. Ragione per la quale il caso di
specie sarebbe diverso da quello che è stato scrutinato con la sentenza n. 261 del
2017. La disciplina dettata dall’art. 1, comma 3, della legge di delega,
riflettendosi nei rapporti con l’Unione europea, prevedeva una scansione
precisa che faceva scattare la proroga solo nel momento in cui mancasse
l’ultimo parere che veniva riservato alle Commissioni parlamentari.
16.6.– A proposito
delle censure relative agli artt. 5, comma 1, 22, commi da 1 a 4, e 26, comma
1, lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017, connesse al massiccio spostamento in
capo allo Stato di funzioni provinciali, si contesta l’assunto dell’Avvocatura
relativo alla competenza statale esclusiva in materia, evocando la
giurisprudenza costituzionale che avrebbe sempre riconosciuto che la Provincia
autonoma dispone di funzioni regolatorie ed esecutive
in materia, mentre il dovere di rispettare i limiti derivanti dalla
legislazione statale non contrasta con tale competenza, dal momento che anche
le potestà statutarie si imbattono nei limiti tracciati dagli artt. 4 e 5 dello
statuto speciale. Si ribadisce, al riguardo la pertinenza del richiamo al già
citato art. 19-bis del d.P.R. n. 381 del 1974, di
attuazione dello Statuto in tema di competenza provinciale in tema di VIA,
circa le funzioni delegate dallo Stato in materia di opere pubbliche e, quindi,
"anche” alle funzioni delegate, presupponendo che la legislazione provinciale
riguardi la VIA, anche per ciò che attiene alle materie "proprie” della
Provincia autonoma. Il tutto – afferma la Provincia ricorrente – sarebbe
asseverato da quanto previsto dal novellato art. 13 dello statuto speciale,
ove, nella determinazione delle concessioni in materia di demanio idrico, siano
valutati anche "gli aspetti paesaggistici e di impatto ambientale”.
16.7.– Errato sarebbe anche l’assunto
secondo il quale la nuova allocazione delle competenze era necessario in
ragione dell’assetto delle competenze derivante dalla riforma del Titolo V
della seconda parte della Costituzione, dal momento che, per un verso,
l’originaria ripartizione era stata già rivista dal d.lgs. n. 152 de 2006 e,
per altro, simile linea sarebbe stata «giocata contro» le Province autonome e
dunque contro l’art. 10 della legge cost. n. 3 del
2001.
16.8.– In merito
agli obblighi di adeguamento, stabiliti dall’impugnato art. 23, comma 4 – in
contrasto con le garanzie contenute nell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, e
con la disciplina del potere sostitutivo di cui all’art. 117, quinto comma, e
con l’art. 120, secondo comma, Cost., nonché rispetto
alle norme di attuazione dello statuto speciale contenute nell’art. 8 del d.P.R. n. 526 del 1987 – si osserva, a fronte dei rilievi
della Avvocatura, che lo Stato nell’esercitare la propria competenza a norma
dell’art. 117, secondo coma, Cost., non può
cancellare i poteri normativi provinciali previsti dallo statuto e dalle
relative norme di attuazione; ribadendosi, per il resto, i rilievi già svolti
nel ricorso.
17.– Con ricorso notificato
il 4-7 settembre 2017 e depositato l’8 settembre 2017 (reg. ric. 69 del 2017),
la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha promosso questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 5, comma 1 – nella parte in cui introduce i commi 2
e 3 dell’art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 – 12, 13, comma 1, 14, 22, commi
da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017, deducendo la
violazione degli artt.
3, 5, 76, 97, 117, primo, secondo e
terzo comma, e 118
Cost., nonché degli artt. 4 e 5 della legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia) e dell’art. 10 della legge
cost. n. 3 del 2001.
17.1.– L’impugnato art. 5,
introducendo i commi 2 e 3 dell’art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, opera un
rinvio agli appositi allegati, ripartiti per progetti sottoposti a VIA statale,
progetti sottoposti a verifica di assoggettabilità VIA in sede statale,
progetti sottoposti a VIA e a verifica di assoggettabilità VIA in sede
regionale.
17.2.– Ad avviso della ricorrente,
l’impugnato art. 22, a sua volta, opera una modifica del contenuto degli
elenchi in senso "unidirezionale”, giacché, attraverso le nuove
classificazioni, si determina un sensibile depotenziamento delle competenze
regionali, con contestuale incremento della competenza statale. Gli spostamenti
all’ambito rimesso all’attività amministrativa statale sono completati
attraverso l’abrogazione della precedente disciplina da parte del censurato
art. 26 del d.lgs. n. 104 del 2017.
La contestata
riduzione delle competenze dell’amministrazione regionale determinerebbe
un’ulteriore limitazione delle competenze regionali, definite dagli artt. 4 e 5
dello statuto di autonomia e dall’art. 117, terzo comma, Cost., venendo queste in
rilievo in procedimenti complessi come quello di valutazione dell’impatto
ambientale.
17.3.– Il censurato
art. 12 sostituisce l’art. 23, comma 4, secondo periodo, del d.lgs. n. 152 del
2006, ove si prevede che, a seguito della presentazione dell’istanza e della
sua eventuale integrazione, «l’autorità competente comunica contestualmente per
via telematica a tutte le Amministrazioni e a tutti gli enti territoriali
potenzialmente interessati e comunque competenti ad esprimersi sulla
realizzazione del progetto, l’avvenuta pubblicazione della documentazione nel
proprio sito web»; l’art. 13, comma 1, ha riformato l’art. 24, comma 3, secondo
periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006, ove si prevede che «Entro il medesimo
termine [60 giorni dall’avviso pubblico di presentazione dell’istanza di VIA,
ai sensi del novellato art. 24, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del
2006] sono acquisiti per via telematica i pareri delle Amministrazioni e degli
enti pubblici che hanno ricevuto la comunicazione di cui all’art. 23, comma 4»;
l’impugnato art. 13, comma 1, ha riformato l’art. 24, comma 5, secondo periodo,
del d.lgs. n. 152 del 2006, ove si prevede che, in caso di richiesta di
modifiche o integrazioni della documentazione da parte dell’istante, «in
relazione alle sole modifiche o integrazioni apportate agli elaborati
progettuali e alla documentazione si applica il termine di trenta giorni per la
presentazione delle osservazioni e la trasmissione dei pareri delle Amministrazioni
e degli enti pubblici che hanno ricevuto la comunicazione di cui all’art. 23,
comma 4»; ancora, l’impugnato art. 14 ha modificato l’art. 25, comma 1, primo
periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006, in base al quale «[l]’autorità competente
valuta la documentazione acquisita tenendo debitamente conto dello studio di
impatto ambientale, delle eventuali informazioni supplementari fornite dal
proponente, nonché, dei risultati delle consultazioni svolte, delle
informazioni raccolte e delle osservazioni e dei pareri ricevuti a norma degli
articoli 24 e 32».
17.3.1.– Il profilo di lesione
emergerebbe dal raffronto con la precedente formulazione dell’art. 25, comma 2,
del d.lgs. n. 152 del 2006: «l’autorità competente acquisisce e valuta tutta la
documentazione presentata, le osservazioni, obiezioni e suggerimenti inoltrati
ai sensi dell’art. 24, nonché, nel caso dei progetti di competenza dello Stato,
il parere delle regioni interessate che dovrà essere reso entro novanta giorni
dalla presentazione di cui all’art. 23, comma l».
Nella precedente
formulazione il ruolo regionale nella «VIA statale» sarebbe stabilito «in
maniera esplicita», fugando ogni dubbio sulla necessaria consultazione delle
Regioni nel procedimento stesso; la nuova formulazione, invece, ridurrebbe
simile garanzia di partecipazione procedimentale, atteso che le disposizioni
impugnate farebbero riferimento soltanto alle «Amministrazioni» e agli «enti
territoriali potenzialmente interessati» alla realizzazione del progetto.
Per la ricorrente,
l’amministrazione statale competente, alla quale verrebbe affidato, senza la
determinazione di criteri valutativi, l’apprezzamento di quali siano tali
«Amministrazioni» ed «enti», potrebbe opinare la mancata competenza della
Regione in proposito, con la conseguenza che la essa sarebbe «messa di fronte
al fatto compiuto», anche dopo la scadenza dei termini utili per far valere le
proprie ragioni in sede giurisdizionale.
Ad avviso della
Regione autonoma, le menzionate disposizioni non avrebbero adeguatamente recepito
la direttiva 2014/52/UE; al contrario, ne avrebbero violato l’art. 6, paragrafo
1, lettera a).
Il d.lgs. n. 104 del
2017 non avrebbe rispettato i criteri della legge di delega n. 114 del 2015,
espressi dagli artt. 1 e 14 e dagli artt. 31 e 32 della legge n. 234 del 2012,
in quanto richiamati dall’art. 1 della legge delega stessa, nonché dalla
direttiva da recepire (atteso che, per costante giurisprudenza costituzionale,
«nel caso di delega per l’attuazione di una direttiva comunitaria, i principi che
quest’ultima esprime si aggiungono a quelli dettati dal legislatore nazionale e
assumono valore di parametro interposto» in riferimento all’art. 76 Cost.; sono richiamate le sentenze n. 250 del 2016
e n. 210 del
2015).
Per la ricorrente il
dato normativo di riferimento, rappresentato dal richiamato art. 6, paragrafo
1, della direttiva 2014/52/UE, imporrebbe la consultazione delle
amministrazioni territoriali competenti sul territorio sul quale si riverberano
gli effetti ambientali dell’intervento sottoposto a VIA. Per la Regione
autonoma la disposizione della direttiva richiederebbe la consultazione di ogni
amministrazione che risponda al criterio di competenza «funzionale»
(responsabilità in materia di ambiente) o territoriale («competenze locali o regionali»).
Sarebbe pertanto sufficiente che un’amministrazione avesse una sola di queste
caratteristiche per entrare nell’ambito d’applicazione della norma, sicché
l’istruttoria non potrebbe considerarsi completa se l’autorità statale avesse
consultato solamente un’amministrazione che ha responsabilità ambientali «o»
una che ne ha di territoriali.
Per recepire
adeguatamente la direttiva, lo Stato avrebbe dovuto garantire la partecipazione
al procedimento di tutte le amministrazioni territoriali (vengono citati gli
artt. 7 e seguenti della Convenzione sull’accesso alle informazioni, la
partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia
in materia ambientale, con due allegati, fatta ad Aahrus
il 25 giugno 1998 e ratificata con legge 16 marzo 2001, n. 108, e richiamata
nel considerando n. 18 della direttiva 2011/92/UE); le impugnate disposizioni
pertanto non avrebbero adeguatamente recepito la direttiva richiamata,
prevedendo genericamente la consultazione degli enti territoriali interessati.
17.3.2.–
Risulterebbe evidente anche il vizio di eccesso di delega, per violazione degli
artt. 1 e 14 della legge n. 114 del 2015, con conseguente violazione dell’art.
76 Cost., nonché, la lesione dei principi di
ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione ex artt. 3 e
97 Cost., atteso che il legislatore statale, invece
di «designare» in astratto gli enti da consultare avrebbe lasciato
l’amministrazione statale procedente «arbitra dell’intero procedimento» nel
coinvolgimento degli enti, determinando un «irragionevole malfunzionamento» del
procedimento stesso.
Il vizio di eccesso
di delega emergerebbe anche dalla violazione dei principi e criteri direttivi
per l’esercizio della delega, sanciti dall’art. 32, comma 1, lettera g), della
legge n. 234 del 2012, richiamato dall’art. 1 della citata legge delega n. 114
del 2015, che indicano l’individuazione delle «opportune forme di
coordinamento» procedimentale per i casi di coinvolgimento delle competenze di
più amministrazioni.
Nella specie il
procedimento di VIA determinerebbe una «sovrapposizione di competenze» tra
amministrazione statale e regionale; ciononostante, in violazione dell’art.
117, secondo comma, Cost., sarebbe stato negato il necessario coinvolgimento
regionale derivante dall’intreccio delle competenze.
Il procedimento di
VIA avrebbe ad oggetto la localizzazione, la realizzazione e la successiva
gestione di interventi di rilievo per l’ambiente, le comunità locali, il loro
sviluppo e la salute pubblica. Si tratterebbe di procedimenti che concernono la
gestione tanto dei beni ambientali quanto delle altre risorse socio-economiche
di un territorio. In simile contesto, il procedimento inciderebbe su numerose
competenze che lo statuto di autonomia e l’art. 117, comma 3, Cost., attribuiscono alla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia e in particolare: le materie di competenza primaria regionale ex art. 4
dello statuto, quali «industria e commercio»; «viabilità, acquedotti e lavori
pubblici di interesse locale e regionale»; «turismo e industria alberghiera»;
«trasporti su funivie e linee automobilistiche, tranviarie e filoviarie, di
interesse regionale»; «urbanistica»; «acque minerali e termali»; le materie di
competenza concorrente ex art. 5 dello statuto «disciplina dei servizi pubblici
di interesse regionale ed assunzione di tali servizi»; «miniere, cave e
torbiere»; «linee marittime di cabotaggio tra gli scali della Regione»;
«utilizzazione delle acque pubbliche, escluse le grandi derivazioni: opere
idrauliche di 4ª e 5ª categoria»; «igiene e sanità»; «servizi antincendi»;
«opere di prevenzione e soccorso per calamità naturali»; le materie di
competenza concorrente ex art. 117, comma 3, Cost. (applicabile alle Regioni speciali secondo l’art. 10 della
legge cost. n. 3 del 2001) «tutela e sicurezza del
lavoro»; «ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i
settori produttivi»; «tutela della salute»; «protezione civile»; «porti e
aeroporti civili»; «grandi reti di trasporto e di navigazione»; «produzione, trasporto
e distribuzione nazionale dell’energia»; «valorizzazione dei beni culturali e
ambientali.
Emergerebbe la
competenza della Regione autonoma, quale ente esponenziale della comunità
territoriale (è richiamata la sentenza n. 81 del
2013, oltre alle sentenze n. 303 del 2003,
n. 407 e n. 536
del 2002). La ricorrente valorizza anche la giurisprudenza amministrativa
che avrebbe sottolineato il «carattere ampiamente discrezionale che connota la
valutazione di impatto ambientale» (sentenze del Consiglio di Stato, sezione
quinta, 23 marzo 2015, n. 1564; 31 maggio 2012, n. 3254; 22 giugno 2009, n.
4206; sezione quarta, 5 luglio 2010, n. 4246; sezione sesta, 17 maggio 2006, n.
2851).
Conseguentemente,
nel disciplinare il procedimento di adozione della VIA statale, il d.lgs. n.
104 del 2017 avrebbe dovuto espressamente prevedere la partecipazione al
procedimento della Regione ricorrente per gli interventi che ricadono nel suo
territorio, e non genericamente la consultazione delle amministrazioni
«potenzialmente interessate», in lesione dei principi e criteri direttivi della
legge delega e di conseguenza dell’art. 76 Cost., che
determinerebbe un’irragionevole compressione delle competenze della ricorrente,
di cui agli artt. 4 e 5 dello statuto speciale e dell’art.117 Cost.
17.3.3.– Per la ricorrente, inoltre,
l’inespressa previsione dell’obbligo di richiedere il parere regionale nel
procedimento di VIA statale, per contrasto con l’art. 32, comma 1, lettera g),
della legge n. 234 del 2012, determinerebbe anche la violazione del principio
di leale collaborazione. Ricorda la ricorrente che la giurisprudenza
costituzionale imporrebbe l’adozione di meccanismi di partecipazione
procedimentale delle Regioni, sia quando la funzione pubblica regolata si pone
all’incrocio di varie materie regionali e statali, legate «in un nodo
inestricabile» (è richiamata la sentenza n. 21 del
2016), sia quando un giudizio di prevalenza è possibile (sentenza n. 230 del
2013). Ancorché la disciplina della VIA sarebbe riconducibile alla materia
della «tutela dell’ambiente», l’incidenza sugli ambiti competenziali
regionali imporrebbe «una reale e significativa partecipazione della Regione»
al procedimento, assicurata solo attraverso la garanzia della consultazione
regionale. Anche per questo profilo la violazione del principio di leale
collaborazione determinerebbe un’irragionevole e illegittima compressione
dell’autonomia della ricorrente negli ambiti materiali sopra elencati, ai sensi
degli artt. 4 e 5 dello statuto e dell’art. 117, terzo comma, Cost.
17.3.4.– La Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia ritiene altresì illegittimo l’art. 13, comma 1, del
d.lgs. n. 104 del 2017, nella parte in cui sostituisce l’art. 24, comma 5, del
d.lgs. n. 152 del 2006. La disposizione sarebbe illegittima nella parte in cui,
in caso di VIA statale, rimetterebbe alla discrezionalità dello Stato la
richiesta di un supplemento di parere da parte delle altre amministrazioni
consultate, in caso di modifiche o integrazioni agli elaborati progettuali,
anziché prevedere che ad esse sia sempre consentito di formulare ulteriori
osservazioni e pareri.
Il mancato
riconoscimento di tale garanzia procedimentale determinerebbe la violazione
dell’art. 76 Cost., per violazione dei principi
direttivi espressi dall’art. 1, paragrafo 6, della direttiva 2014/52/UE, nonché
dall’art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012, richiamato
dall’art. 1 della legge n. 114 del 2015; l’illegittimo esercizio della
competenza legislativa statale in materia di «tutela dell’ambiente», ex art.
117, comma 2, lettera s), Cost.; la violazione dei
principi di ragionevolezza, buon andamento della pubblica amministrazione e
leale collaborazione, ex artt. 3, 5, 97, 117 e 118, Cost.
Tali vizi determinerebbero un’irragionevole compressione dell’autonomia
regionale, negli ambiti di competenza legislativa, ai sensi degli artt. 4 e 5
dello statuto speciale e dell’art. 117, comma terzo, Cost.
17.3.5.– La ricorrente censura altresì
gli artt. 5, 12, 13, 14, 22 e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione del
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5, 117 e 118 Cost. (per un ulteriore profilo),
oltre che per violazione degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale e dell’art.
117 Cost.
Ribadisce la Regione
autonoma di non contestare la competenza statale nel regolare il procedimento
di VIA; lamenta però la violazione del principio di leale collaborazione per il
profilo relativo al procedimento di adozione del decreto delegato n. 104, in
conformità ai dettami della sentenza n. 251 del
2016 (è richiamata anche la sentenza n. 81 del
2013).
Anche ove si
configurasse la «prevalenza» della competenza esclusiva statale in materia di
«tutela dell’ambiente», sarebbe comunque necessario il ricorso all’intesa con
la ricorrente per l’adozione del decreto delegato qui impugnato (si richiama la
sentenza n. 230
del 2013); anche in questo caso la partecipazione regionale non sarebbe
garantita dalla formula «sentite le regioni interessate».
Nella definizione
del decreto delegato, lo Stato, dopo aver acquisito il «parere favorevole
condizionato» della Conferenza Stato-Regioni (richiamato l’atto rep. n. 61/ESR
del 4 maggio 2017), non avrebbe ritenuto di attivare le ulteriori «procedure di
consultazione» tese al «superamento delle divergenze, basate sulla reiterazione
delle trattative o su specifici strumenti di mediazione» (sono richiamate le
sentenze n. 1
e n. 251 del
2016; n. 121 del
2010) e avrebbe confermato il testo dello schema di decreto sottoposto
all’esame della Conferenza, senza recepire alcuna indicazione formulata nel
parere.
Non sarebbero state
recepite le proposte emendative relative al ruolo delle Regioni nel
procedimento di VIA in sede statale (artt. 12, 13 e 14 del d. lgs. n. 104 del 2017; sono richiamate le pagine «5, 12, 17
del parere della Conferenza Stato-Regioni»); alla riduzione delle competenze
regionali sugli interventi sottoposti alla valutazione d’impatto ambientale e
alla verifica di assoggettabilità alla VIA (artt. 5 e 22 del d.lgs. n. 104 del
2017; «cfr. p. 5, 6, 7, 12, 22 e 27 del parere della Conferenza
Stato-Regioni»); alla deroga per i progetti concernenti interventi di
protezione civile (art. 3 del d.lgs. n. 104 del 2017; «cfr. p. 15 del parere
della Conferenza Stato-Regioni»), determinando così una condotta «di blocco»,
estranea al principio di leale collaborazione.
17.3.6.– Premessi tali rilievi, la
ricorrente deduce la insussistenza, nella legge di delega, di principi e
criteri direttivi che legittimassero una simile operazione di riparto di
competenze. D’altra parte, la Corte di giustizia dell’Unione europea avrebbe
rimesso agli Stati la libertà di regolare le competenze normative sul piano
interno. Nel caso di specie dovrebbe applicarsi la giurisprudenza
costituzionale che, in tema di delega per il riassetto di complessi normativi,
permette di modificare il riparto delle competenze tra Stato e Regioni solo nel
caso in cui la legge di delega lo abbia espressamente consentito. Non
ricorrendo tale ultima condizione, risulterebbe violato l’art. 76 Cost. ed illegittimamente
esercitata la competenza statale in materia di tutela dell’ambiente (art. 117,
secondo comma, lettera s, Cost.), con correlativa
illegittima compressione della competenza della ricorrente, garantita dagli
artt. 4 e 5 dello statuto speciale e dall’art. 117, terzo comma, Cost.
18.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha
depositato il 13 ottobre 2017, memoria di costituzione, chiedendo il rigetto
del ricorso.
18.1.– A proposito della dedotta
violazione delle norme statutarie, congiuntamente a quella dell’art. 117,
secondo e terzo comma, Cost., il relativo motivo di
ricorso sarebbe inammissibile per genericità e carenza di motivazione.
La ricorrente
avrebbe infatti lamentato la violazione degli artt. 4 e 5 dello statuto
speciale, senza indicare le ragioni per le quali la disciplina statale sulla
VIA inciderebbe sulle materie previste dalle indicate disposizioni statutarie,
né quali progetti attribuiti alla competenza statale ricadrebbero fra quelle
materie. Sarebbero state poi cumulativamente evocate le disposizioni statutarie
e quelle costituzionali senza operare differenziazioni fra le stesse, tenuto
conto della clausola di adeguamento automatico prevista dall’art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001.
18.2.– La censura sarebbe comunque
infondata, in quanto la nuova allocazione di funzioni si inquadrerebbe nei
criteri di semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure
e di rafforzamento delle procedure di valutazione di impatto ambientale e di
rafforzamento della qualità delle stesse, enunciati nell’art. 14, comma 1,
della legge delega n. 114 del 2015. Infatti, sottolinea l’Avvocatura,
armonizzare, razionalizzare e rafforzare le procedure comporta anche la
possibilità di modificare il quadro allocativo delle competenze, non senza
sottolineare come tale nuova ripartizione risulti rispondente al generale
criterio di delega contenuto nell’art. 32, comma 1, lettera g), della legge n.
234 del 2012, in tema di ripartizione delle funzioni fra enti in caso di
sovrapposizioni di competenze o coinvolgimento di competenze fra più
amministrazioni, in vista della unitarietà dei processi decisionali e della
ottimizzazione dell’azione amministrativa. Dunque, il legislatore delegato era
chiamato a verificare il rispetto dei principi di sussidiarietà,
differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione, anche alla luce
dell’esperienza maturata nel tempo, e ad adeguare tale assetto al quadro delle
competenze che la Costituzione «riconosce e garantisce alle Regioni tanto sul
piano della potestà normativa quanto sul piano della potestà amministrativa,
ove il primo non fosse conforme al secondo».
Il che sarebbe
puntualmente avvenuto nel caso di specie. Attraverso le modifiche apportate con
le norme impugnate, il legislatore delegato avrebbe infatti conseguito
l’obiettivo strategico – sottolinea l’Avvocatura – di razionalizzare il riparto
di competenze amministrative tra Stato e regioni, attraendo a livello statale
le procedure per i progetti relativi alle infrastrutture ed agli impianti
energetici sulla base della dimensione sovra-regionale degli impatti da
valutare, fatte salve le valutazioni di progetti ad impatto endo-regionale.
Valutazioni che, agli effetti dello scrutinio di adeguatezza o inadeguatezza
del livello regionale, devono essere effettuate ex ante e per classi di casi,
presentandosi il criterio "dimensionale” degli impianti come espressivo del
principio sancito dall’art. 118, primo comma, Cost., per la corretta allocazione
delle funzioni amministrative ai diversi livelli territoriali di governo.
18.3.– A proposito del motivo di
ricorso nel quale si lamenta la violazione del principio di leale
collaborazione ex artt. 5, 117 e 118 Cost., per
mancata richiesta della intesa nell’esercizio della delega legislativa, nonché
la violazione degli artt. 4 e 5 dello statuto di autonomia, si osserva che,
versandosi in materia «trasversale» e «prevalente», la normativa statale in
tema di tutela dell’ambiente si imporrebbe integralmente nei confronti delle
Regioni che non possono contraddirla. Il che vale anche nei confronti delle
Regioni ad autonomia speciale. La giurisprudenza costituzionale, d’altra parte,
ha in varie occasioni puntualizzato come la tematica della VIA debba ascriversi
esclusivamente alla competenza statale in materia ambientale, malgrado la
possibile incidenza rispetto all’esercizio delle funzioni regionali. Il che
assevera la legittimità delle disposizioni censurate, non trascurando il fatto
che, nel novellare l’art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, il decreto impugnato
ha previsto il necessario coinvolgimento non soltanto della Regione, ma di
tutte le amministrazioni potenzialmente interessate. La difesa regionale,
dunque, avrebbe confuso fra loro i piani dell’«intreccio
inestricabile» tra materie, che avrebbe comportato l’intesa, rispetto alla
semplice «incidenza» rispetto a funzioni regionali, che è quanto normalmente
accade per materie trasversali, come la tutela dell’ambiente o la fissazione
dei livelli essenziali delle prestazioni.
In merito, poi, alle
doglianze relative al mancato recepimento delle proposte emendative avanzate in
sede di Conferenza Stato-Regioni, si segnala come nella relazione illustrativa
che ha accompagnato lo schema di decreto, siano state «dettagliatamente
analizzate tutte le condizioni e proposte emendative formulate dalle Regioni,
fornendo per tutte quelle non accolte una puntuale descrizione delle
motivazioni alla base del mancato accoglimento».
18.4.– L’Avvocatura
generale dello Stato eccepisce anche l’infondatezza delle censure di cui agli
artt. 12, 13 e 14, in quanto secondo il Presidente del Consiglio dei ministri,
nella procedura di VIA ascrivibile alla competenza statale, come disciplinata
dal novellato art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, dette disposizioni
assicurerebbero la piena e completa attuazione della normativa europea e la
partecipazione «e la tempestiva informazione di tutte le Amministrazioni e di
tutti gli enti territoriali che siano interessati» e comunque competenti ad
esprimersi sulla realizzazione del progetto.
18.5.– Infondata sarebbe la censura,
sempre riferibile agli impugnati artt. 12, 13 e 14, con riferimento alla
violazione dei principi di ragionevolezza e buon andamento, in quanto non
esisterebbe alcuna discrezionalità in capo allo Stato quanto al coinvolgimento
degli enti territoriali interessati.
18.6.– L’Avvocatura dello Stato
eccepisce, infine, l’inammissibilità della censura riferita all’eccesso di
delega, in violazione dell’art. 76 Cost., perché non
sarebbe mai stata sollevata la questione di costituzionalità della legge
delega.
18.6.1.– La censura sarebbe comunque
infondata per le motivazioni già illustrate, riferite all’ampia partecipazione
delle amministrazioni interessate alla realizzazione del progetto su cui
interviene la VIA. Ritiene erronea la ricostruzione dell’assetto competenziale in materia di VIA, con particolare riguardo
alla sussistenza di un «intreccio di competenze», ribadendo che l’istituto
della VIA ricadrebbe nell’ambito materiale di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost., da cui si ricaverebbe l’inesistenza di alcuna violazione
del principio di leale collaborazione.
19.– La Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia ha depositato, il 29 maggio 2018, memoria con la quale ha
insistito nelle conclusioni già rassegnate.
19.1.– A proposito della eccezione di
inammissibilità, per genericità e difetto di motivazione, delle censure rivolte
agli artt. 5, 22 e 26 del decreto impugnato, si osserva che nel ricorso sono
stati analiticamente indicati i progetti già attribuiti alla competenza
regionale trasferiti a quella statale.
In merito, poi,
all’eccezione di inammissibilità perché la ricorrente avrebbe cumulativamente
dedotto la violazione dei parametri statutari e di quelli costituzionali, dal
momento che solo uno tra i due è destinato ad applicarsi, alla stregua della
clausola di adeguamento automatico di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, si osserva che – a differenza di
quanto accade nel caso di ricorso dello Stato contro una legge di una Regione
ad autonomia speciale – la Regione ad autonomia speciale può evocare
congiuntamente il parametro statutario e quello costituzionale, dal momento che
le garanzie costituzionali si aggiungono a quelle statutarie.
Nel merito, le
deduzioni svolte dall’Avvocatura per contestare la fondatezza della questione
relativa all’eccesso di delega, sarebbero non fondate. Si osserva, infatti, che
tanto per i profili di «semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione
delle procedure», che per quelli di «rafforzamento della qualità della
procedura» e di «smart regulation»,
l’identificazione dell’autorità procedente sarebbe del tutto irrilevante.
20.– Con ricorso
notificato il 1°-6 settembre 2017 e depositato il 13 settembre 2017 (reg. ric.
n. 70 del 2017), la Regione autonoma Sardegna ha promosso questioni di
legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 1, 12, 13 e 14, 22, commi da 1
a 4, e 26, identiche a quelle sollevate dalla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia (reg. ric. n. 69 del 2017), salvo il riferimento – quanto ai parametri
statutari che si assumono violati – agli artt. 3 e 4 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna).
20.1.– Le restanti censure di cui agli
artt. 3, comma 1, lettere g) e h), 8, 16 e 17, riguardano la partecipazione al
procedimento di VIA (e/o ai procedimenti connessi) da parte del Ministero dei
beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT), come amministrazione
incaricata della protezione del paesaggio.
20.1.1.– L’art. 3, comma 1, lettera g),
viene censurato nella parte in cui rimette al Ministro dell’ambiente, dopo una
valutazione caso per caso, l’esclusione di progetti aventi come obiettivo la
difesa nazionale e la protezione civile dal campo di applicazione delle norme
di cui al Titolo III della Parte II dello stesso d.lgs. n. 104 del 2017,
qualora ritenga che tale applicazione possa pregiudicare i suddetti obiettivi.
20.1.1.1.– Per la ricorrente, la
«protezione civile» rientrerebbe tra le materie di competenza concorrente, ai
sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. (ad essa applicabile, ai sensi dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001). Ne conseguirebbe l’illegittimità
della disposizione, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., e
dei parametri già richiamati, nella parte in cui non prevede che la decisione
di deroga sia assunta anche d’intesa con la Regione autonoma, in virtù della
sua specifica competenza in materia. La Regione autonoma Sardegna reitera le
proprie argomentazioni per dimostrare che le disposizioni impugnate sono
illegittime nella parte in cui non prevedono un coinvolgimento delle Regioni al
medesimo livello di intensità e di efficacia giuridica assicurato al MIBACT.
Ove questa Corte non
dovesse ritenere di dover sancire il parallelismo tra le attribuzioni del
MIBACT e quelle della ricorrente nei procedimenti indicati, la ricorrente
chiede che sia garantita la partecipazione procedimentale almeno nella forma
del parere obbligatorio.
20.1.2.– L’art. 3,
comma 1, lettera h), prevede che: «Fatto salvo quanto previsto dall’art. 32
[ovverosia i casi di consultazione transfrontaliera], il Ministro dell’ambiente
e della tutela del territorio e del mare può, in casi eccezionali, previo
parere del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, esentare
in tutto o in parte un progetto specifico dalle disposizioni di cui al titolo
III della parte seconda del presente decreto, qualora l’applicazione di tali
disposizioni incida negativamente sulla finalità del progetto, a condizione che
siano rispettati gli obiettivi della normativa nazionale ed europea in materia
di valutazione di impatto ambientale».
20.1.3.– L’art. 8,
nella parte in cui modifica l’art. 19, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006,
stabilisce: «qualora l’autorità competente stabilisca di non assoggettare il
progetto al procedimento di VIA, specifica i motivi principali alla base della
mancata richiesta di tale valutazione in relazione ai criteri pertinenti
elencati nell’allegato V, e, ove richiesto dal proponente, tenendo conto delle
eventuali osservazioni del Ministero dei beni e delle attività culturali e del
turismo per i profili di competenza, specifica le condizioni ambientali
necessarie per evitare o prevenire quelli che potrebbero altrimenti
rappresentare impatti ambientali significativi e negativi».
20.1.4.– L’art. 16,
nella parte in cui modifica l’art. 27, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, prescrive
che: «fatto salvo il rispetto dei termini previsti dall’art. 32, comma 2, per
il caso di consultazioni transfrontaliere, entro dieci giorni dalla scadenza
del termine di conclusione della consultazione ovvero dalla data di ricevimento
delle eventuali integrazioni documentali, l’autorità competente convoca una
conferenza di servizi alla quale partecipano il proponente e tutte le
amministrazioni competenti o comunque potenzialmente interessate al rilascio
del provvedimento di VIA e dei titoli abilitativi in materia ambientale
richiesti dal proponente. La conferenza di servizi si svolge secondo le
modalità di cui all’articolo 14-ter, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 7, della legge 7
agosto 1990, n. 241. Il termine di conclusione dei lavori della conferenza di
servizi è di duecentodieci giorni. La determinazione motivata di conclusione
della conferenza di servizi, che costituisce il provvedimento unico in materia
ambientale, reca l’indicazione espressa del provvedimento di VIA ed elenca,
altresì, i titoli abilitativi compresi nel provvedimento unico. La decisione di
rilasciare i titoli di cui al comma 2 è assunta sulla base del provvedimento di
VIA, adottato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del
mare, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del
turismo, ai sensi dell’art. 25».
20.1.5.– L’art. 17 modifica l’art. 28,
comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, statuendo che l’autorità competente, in
collaborazione con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo
per i profili di competenza, «verifica l’ottemperanza delle condizioni
ambientali di cui al comma 1 al fine di identificare tempestivamente gli
impatti ambientali significativi e negativi imprevisti e di adottare le
opportune misure correttive».
20.1.6.– Le disposizioni richiamate
sarebbero illegittime nella parte in cui, per i procedimenti concernenti
interventi da realizzare nel territorio sardo, o che su di esso possono
produrre impatti ambientali, non prevedono la partecipazione procedimentale della
Regione autonoma Sardegna.
La ricorrente
rammenta di essere titolare di una competenza in materia di tutela del
paesaggio, ai sensi degli artt. 3 dello statuto e 6 del d.P.R.
22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della
Regione autonoma della Sardegna). Tale ultima disposizione darebbe attuazione
allo statuto d’autonomia e avrebbe trasferito all’amministrazione regionale le
attribuzioni del Ministero per i beni e le attività culturali in materia di
«redazione» e «approvazione dei piani territoriali paesistici».
In virtù di tale
competenza, la ricorrente, nell’esercizio della propria competenza legislativa
primaria, potrebbe intervenire sulla regolamentazione dei beni di pregio
paesaggistico, ancorché nel rispetto delle disposizioni di tutela fissate dal
legislatore statale (è citata la sentenza n. 308 del
2013). Tale competenza sarebbe rilevante nel procedimento di VIA, atteso
che uno dei suoi elementi fondamentali sarebbe la localizzazione
dell’intervento che inciderebbe nell’esercizio della competenza legislativa in
materia di «edilizia e urbanistica» (art. 3, comma 1, lettera f, dello statuto
speciale), la quale si estenderebbe alla tutela paesaggistica.
Per i procedimenti
concernenti gli interventi che ricadono nel territorio sardo, il legislatore
statale dovrebbe garantire alla ricorrente una partecipazione avente la
medesima efficacia giuridica assicurata al MIBACT; tale partecipazione
procedimentale si imporrebbe in ossequio al principio di leale collaborazione, anche
nel caso di «prevalenza» della materia di competenza esclusiva statale, anche
sulla base di quanto indicato dall’art. 32, comma 1, lettera g), della legge n.
234 del 2012, richiamato dall’art. 1 della legge delega n. 114 del 2015.
21.– Costituitosi in giudizio a
mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato l’11 ottobre
2017, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto il rigetto del
ricorso, svolgendo difese del tutto analoghe a quelle prospettate in rapporto
al ricorso della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, per quanto attiene
alle censure coincidenti con detto ricorso.
21.1.– Ad avviso dell’Avvocatura,
risulterebbero infondate anche le censure degli artt. 3, 8, 14, 16 e 17, in
riferimento all’art. 3 dello statuto speciale, all’art. 6 del d.P.R. n. 480 del 1975, al principio di leale
collaborazione e all’art. 76 Cost., in relazione
all’art. l della legge delega n. 114 del 2015, e in relazione all’art. 32 della
legge n. 234 del 2012, nonché in violazione dei principi di ragionevolezza e
buon andamento della pubblica amministrazione.
L’art. 3 dello
statuto speciale, infatti, tra le materie di competenza legislativa esclusiva
della Regione autonoma Sardegna non contemplerebbe né la tutela del paesaggio,
né quella dell’ambiente.
Pur riconoscendo la
titolarità regionale della potestà legislativa primaria in materia di «edilizia
ed urbanistica» ai sensi dell’art. 3, comma l, lettera f), dello statuto
speciale e la competenza esclusiva in materia di «piani territoriali
paesistici», ai sensi dell’art. 6, comma 2, del d.P.R.
n. 480 del 1975, per l’Avvocatura esse devono essere esercitate in armonia con
la Costituzione e con i principi dell’ordinamento giuridico, rispettando gli
obblighi internazionali, gli interessi nazionali, nonché le norme fondamentali
delle riforme economico-sociali, quali sarebbero quelle in tema di «tutela
dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», adottate dallo Stato in
base alla competenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (sono richiamate le sentenze
n. 51 del 2006
e n. 536 del 2002).
21.2.– Priva di fondamento sarebbe
anche la censura dell’impugnato art. 3, comma 1, lettera g), sulla possibilità
di sottrarre alla VIA gli interventi aventi quali unico obiettivo la risposta
alle emergenze che riguardano la protezione civile.
I commi 10 e 11 del
nuovo art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, introdotti dall’art. 3 del d.lgs. n.
104 del 2017, avrebbero lo scopo di allineare la disciplina nazionale alla
richiamata direttiva, distinguendo, da un lato, i progetti aventi quale unico
obiettivo la difesa e la risposta alle emergenze che riguardano la protezione
civile (comma 10); dall’altro, le più stringenti condizioni di esenzione nei
casi eccezionali (comma 11). La disciplina introdotta si rivelerebbe garantista
con riferimento alla potenziale esclusione dei progetti dalla disciplina recata
dal Titolo III della Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, grazie alla riserva
del potere di esenzione dalla VIA in capo al Ministro dell’ambiente e della
tutela del territorio e del mare, che ne assume la responsabilità politicoamministrativa sul territorio nazionale e nei
confronti dell’Unione europea. Non si ravviserebbero ragioni per ridurre lo
standard di tutela ambientale, consentendo che le esclusioni citate possano
essere disposte dalla singola Regione.
Sulla violazione del
riparto costituzionale delle competenze, ricorda l’Avvocatura come questa Corte
comprenda la disciplina della VIA nella competenza esclusiva statale in materia
di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», di cui all’art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost.» (sono
richiamate le sentenze n. 186 del 2010,
n. 225 del 2009
e n. 117 del
2015); l’esclusività della competenza statale in materia, pur incidendo
sull’esercizio di competenze regionali, determinerebbe la «prevalenza» della
normativa statale (è richiamata la sentenza n. 234 del
2009).
21.3.– Infondata sarebbe anche la
censura del richiamato art. 3, comma l, lettera g), per violazione del
principio di leale collaborazione.
La disposizione
sarebbe riconducibile alla legge 24 febbraio 1992, n. 225, (Istituzione del
Servizio nazionale della protezione civile), che, all’art. 5, contiene la
disciplina degli interventi da operarsi durante la «dichiarazione dello stato
di emergenza». In tale contesto, il decreto del Ministro dell’ambiente, per
disporre l’esclusione di taluni progetti dal campo di applicazione delle norme
in materia di VIA, sarebbe consequenziale rispetto alla previa valutazione –
effettuata in via esclusiva dal Dipartimento della protezione civile d’intesa
con la Regione interessata – degli interventi aventi quale obiettivo la
risposta alle emergenze di protezione civile. L’art. 5, comma 2, della legge n.
225 del 1992, stabilirebbe che per l’attuazione degli interventi di protezione
civile da effettuarsi durante lo stato di emergenza si provvede con apposita
ordinanza da emanarsi «acquisita l’intesa delle regioni territorialmente
interessate».
22.– Alle difese statali ha
replicato la ricorrente con memoria illustrativa, anche in questo caso di
contenuto pienamente corrispondente a quello della memoria della Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia, per quanto riguarda le censure coincidenti in
essa contenute.
23.– Con ricorso
notificato il 4-7 settembre 2017 e depositato il 13 settembre 2017 (reg. ric.
n. 71 del 2017), la Regione Calabria ha promosso questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettera g), 5, 16, commi 1 e 2, 21, 22,
commi da 1 a 4, 26, comma 1, lettera a), e 27 del d.lgs. n. 104 del 2017,
deducendo la violazione degli artt. 3, 5, 32, 76, 81, 117, 118 e 120 Cost.
23.1.– La ricorrente, dopo aver
rievocato l’articolato procedimento di approvazione del decreto impugnato,
sottolineando come le Regioni e le Province autonome avessero espresso in sede
di Conferenza Stato-Regioni una posizione nettamente divergente rispetto al
contenuto dello schema di decreto, considerato che l’ambito materiale attinto
dal provvedimento, che sottraeva numerose competenze alle Regioni, si inseriva
nell’ambito di materie oggetto di potestà legislativa concorrente. Poiché tali
divergenze non sarebbero state prese in adeguata considerazione, e poiché non
sarebbe stato nella specie assicurato un adeguato coinvolgimento dei vari
livelli di governo coinvolti, si sarebbe di conseguenza determinata una lesione
del principio di leale collaborazione.
23.2.– L’art. 3,
comma 1, lettera g), viene censurato con argomentazioni coincidenti con quelle
dei ricorsi delle Regioni Lombardia, Abruzzo, Puglia e Veneto: la disposizione
avrebbe introdotto la possibilità di attribuire alla «autorità competente in
sede statale» la valutazione caso per caso dell’esclusione della VIA per i
«progetti relativi ad opere ed interventi destinati esclusivamente a scopo di
difesa nazionale» e avrebbe inserito tra i progetti che possono essere esclusi
anche quelli che riguardano le «emergenze di protezione civile». Si
prevedrebbe, così, un procedimento identico per progetti che riguardano due
materie diverse.
Lo Stato avrebbe
avocato a sé la possibilità di valutare caso per caso i progetti per far fronte
ad emergenze di protezione civile, incidendo su materie di competenza
concorrente, senza prevedere un coinvolgimento regionale, in lesione del
principio di leale collaborazione, comprimendo le prerogative regionali anche
in materia di tutela della salute delle persone e dell’ambiente, in violazione
degli artt. 32 e 3 Cost. In particolare, la tutela
del diritto alla salute, di cui all’art. 32 Cost., nella sua dimensione
sociale esprimerebbe un diritto alla salubrità dell’ambiente, nel rispetto del
principio della libertà di iniziativa economica privata, che non può svolgersi
in modo dannoso per la sicurezza delle persone. Il contenuto di tale diritto si
tradurrebbe anche «nella tutela costituzionale dell’integrità psico-fisica, del
diritto ad un ambiente salubre» e sarebbe connesso al valore della dignità
umana, di cui all’art. 3 Cost.
23.3.– L’impugnato
art. 5 ha introdotto l’art. 7-bis nel d.lgs. n. 152 del 2006, ove vengono
definite, con un sensibile ridimensionamento di quelle regionali, le competenze
in materia di VIA e di assoggettabilità a VIA, con correlativa violazione
dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto sarebbe
stato compromesso l’esercizio della potestà legislativa regionale in materie
concorrenti, (tra le altre, porti e aeroporti civili, produzione, governo del
territorio, trasporto e distribuzione dell’energia), e, in particolare, in tema
di tutela della salute, attese le finalità della valutazione di impatto
ambientale, come emergerebbe dal punto 41 delle premesse della direttiva da
attuare, nonché dall’art. 4 del d.lgs. n. 152 del 2006.
La necessità di
scomporre tra i vari ambiti di competenza le diverse funzioni che la direttiva
comunitaria coinvolge in modo unitario, comporta che le diverse materie
concorrono fra loro senza alcun rapporto di prevalenza; cosicché – osserva la
ricorrente – la complessità del settore oggetto di recepimento evocava la
necessità di un coinvolgimento più intenso dei vari livelli di governo e,
dunque, il ricorso allo strumento della intesa, in seno alla Conferenza
Stato-Regioni.
Si rileva, poi, con
riferimento all’art. 76 Cost., che nella specie la legge delega non avrebbe previsto una
compressione della potestà normativa regionale nella materia, sicché, non
essendovi proporzionalità né rispondenza logica di tale compressione rispetto
alle finalità perseguite, sussisterebbe un eccesso di delega in relazione ai
principi e criteri direttivi posti dagli artt. 1 e 14 della legge delega n. 114
del 2015.
23.4.– È impugnato altresì l’art. 16,
commi 1 e 2, per violazione degli artt. 5, 76, 117, 118 e 120 Cost.
La disposizione
introduce il cosiddetto provvedimento autorizzatorio
unico regionale. Fa presente la ricorrente che la disposizione non era prevista
nella bozza di schema di decreto inviato dal Governo alla Conferenza
permanente; la disposizione sarebbe stata introdotta «senza che fosse concessa
la possibilità alle regioni e alle province autonome di esaminare il testo
della disposizione e presentare le proprie osservazioni», in lesione del
principio di leale collaborazione.
Sotto altro profilo,
la ricorrente sottolinea l’eccessivo dettaglio delle disposizioni che
introducono il provvedimento autorizzatorio unico
regionale. Esso comprenderebbe non solo la VIA, ma anche i titoli abilitativi
necessari per la realizzazione dei relativi progetti e per l’esercizio delle
attività da essi derivanti. Viene richiamata la giurisprudenza costituzionale
contraria a «normative eccessivamente puntuali» (sentenze n. 189 del 2015,
n. 278 del 2010).
23.5.– Si impugna, poi, l’art. 21, nel
quale sono dettate norme in tema di tariffe da applicare ai proponenti, nella
parte in cui non prevede un adeguato coinvolgimento delle Regioni nella fase di
approvazione del decreto ministeriale, con il quale si dispongono le modalità
di determinazione delle tariffe per la copertura dei costi istruttori, con
correlativa lesione delle potestà organizzative delle Regioni e in violazione
degli artt. 5, 117 e 120 Cost.
23.6.– Gli artt. 22, commi da 1 a 4, e
26, comma 1, lettera a), vengono censurati nella parte in cui, modificando gli
Allegati alla Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, determinano una sottrazione
alle Regioni di un considerevole numero di tipologie progettuali (riguardanti
materie di competenza legislativa anche regionale), che vengono attribuite alla
competenza statale. Il tutto, si osserva, in controtendenza rispetto ai
precedenti interventi sul codice dell’ambiente, ove era stato invece
incrementato l’ambito applicativo della VIA regionale, e neppure in linea con i
criteri stabiliti dall’art. 31, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del
2012.
Deriverebbe da ciò
la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto
viene compromessa la potestà legislativa regionale in collegate materie a
legislazione concorrente; la violazione dell’art. 118 Cost.,
in quanto vengono ridimensionate le competenze amministrative regionali e
quelle conferite dalla stessa Regione agli enti locali, prescindendo da
valutazioni sulla adeguatezza del livello istituzionale coinvolto, con
correlativa violazione del principio di leale collaborazione e, dunque, degli
artt. 5 e 120 Cost., anche perché la compressione del
potere legislativo regionale si sarebbe realizzato senza lo strumento della
intesa.
Violato sarebbe
infine anche l’art. 76 Cost., in quanto la legge delega non contempla espressamente la
revisione del riparto delle potestà legislative ed amministrative tra Stato e
Regioni.
24.– Si impugna infine l’art. 27 del
d.lgs. n. 104 del 2017, il quale introduce una clausola di invarianza
finanziaria, per violazione degli artt. 76 e 81 Cost.
Si osserva che tale
clausola sarebbe del tutto aleatoria, in quanto le procedure VIA implicano nuovi
oneri per le autorità competenti in ragione dei nuovi adempimenti procedurali,
e in contrasto con quanto previsto in tema di spese per l’attuazione delle
direttive da parte dell’art. 1, comma 4, della legge delega.
25.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha
depositato il 13 ottobre 2017 memoria di costituzione chiedendo il rigetto del
ricorso in quanto infondato.
25.1.– Vengono utilizzate le medesime
argomentazioni per confutare la censura dell’impugnato art. 3, comma 1, lettera
g), da parte delle Regioni Abruzzo, Lombardia e Veneto.
25.2.– A proposito delle doglianze
relative all’art. 5 del decreto impugnato, l’Avvocatura osserva che la
disciplina contestata ha inteso rendere omogenea per tutto il territorio
nazionale la disciplina in materia di VIA, al fine di recepire fedelmente la
direttiva comunitaria, che ha previsto al riguardo regole dettagliate sul
procedimento, non trascurando peraltro lo spazio che è stato mantenuto in capo
agli enti locali. Dalla analisi delle variazioni intervenute in materia
risulterebbe evidente che il legislatore avrebbe correttamente ritenuto la
materia della valutazione di impatto ambientale come afferente alla tutela
dell’ambiente, di esclusiva competenza statale, pur se con incidenza su ambiti
materiali di competenza regionale.
25.3.– Viene eccepita altresì
l’infondatezza delle censure di cui all’art. 16 commi 1 e 2, del d.lgs. n. 104
del 2017, sul provvedimento autorizzatorio unico
regionale, con argomenti spesi nelle altre memorie difensive.
25.4.– Non fondate sarebbero anche le
censure rivolte all’art. 21 del decreto impugnato, con le quali la Regione
Calabria lamenta, nella sostanza, il mancato coinvolgimento delle Regioni nel
processo decisionale per definire le risorse destinate a coprire i costi
istruttori dei procedimenti VIA, nonché la lesione dei poteri organizzativi in
violazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza,
nonché leale collaborazione. Si osserva, al riguardo, che la norma censurata si
limita a sostituire il comma 1 dell’art. 33 del d.lgs. n. 152 del 2006, mentre
lascia inalterato il comma 2 dello stesso articolo ove sono stabilite le
competenze regionali in tema di tariffe da stabilire a carico dei proponenti.
Dunque, la norma impugnata contiene un principio generale per determinare le
tariffe da applicare tanto per la VIA statale che per quella regionale. Nella
parte in cui la norma impugnata rimette ad un decreto del ministro dell’ambiente
la determinazione in concreto delle tariffe, essa si riferisce esclusivamente
alla VIA statale; pertanto, le Regioni sono dunque «protagoniste» del
procedimento di determinazione delle tariffe per le procedure di propria
competenza, dovendo solo rispettare la norma di principio circa i criteri di
commisurazione.
Va poi rammentato,
soggiunge l’Avvocatura, che le modalità di svolgimento del procedimento VIA
vanno ricondotte alla competenza esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera m), Cost. inerente
la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, in quanto la
individuazione delle norme generali inerenti la determinazione delle tariffe da
applicare su tutto il territorio nazionale deve ritenersi aspetto centrale del
livello essenziale della prestazione amministrativa fissata in materia dal
legislatore.
25.5.– In merito, poi, alle censure
relative agli artt. 22, commi da 1 a 4, e 26 del decreto impugnato,
l’Avvocatura eccepisce la inammissibilità del ricorso, in quanto non sarebbe
stata sollevata mai questione di legittimità costituzionale della legge di
delega.
La censura sarebbe
inammissibile anche perché generica e immotivata, in quanto non sono
individuati progetti la cui sottrazione alla competenza regionale comporterebbe
la lesione dell’art. 118 Cost. e
non viene svolto alcun argomento per sostenere l’adeguatezza del livello
regionale a svolgere la relativa funzione amministrativa.
La censura sarebbe
comunque infondata in quanto la revisione dell’assetto delle competenze si
inquadrerebbe nei principi e criteri direttivi tracciati dall’art. 14, comma 1,
della legge delega n. 114 del 2015, tanto sul versante della armonizzazione e
razionalizzazione delle procedure che su quello del rafforzamento della qualità
delle procedure, in vista delle sinergie con le politiche europee e nazionali,
specie in tema di politiche energetiche e infrastrutturali. Non sarebbe neppure
pertinente il richiamo al criterio di cui all’art. 32, comma 1, lettera g),
della legge n. 234 del 2012 per le ipotesi di sovrapposizioni di competenze tra
amministrazioni diverse, in quanto tale criterio direttivo si limita a sancire
il rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e
leale collaborazione in ordine alle competenze regionali sul piano normativo e
amministrativo. Ed è quanto il legislatore avrebbe fatto, sul presupposto della
dimensione "sovra-regionale” delle procedure VIA in tema di infrastrutture e
impianti energetici attratti nella competenza statale, in linea con quanto previsto
dall’art. 118, primo comma, Cost. per
la corretta allocazione delle funzioni amministrative ai vari livelli
territoriali di governo.
25.6.– A proposito, infine, della
clausola di invarianza finanziaria di cui all’impugnato art. 27, l’Avvocatura
deduce l’inammissibilità del motivo di ricorso perché del tutto generica e
immotivata, e comunque infondata in quanto nessun nuovo onere procedimentale
sarebbe stato posto a carico delle Regioni. La pretesa violazione dell’art. 1,
comma 4, della legge delega sarebbe, poi, oltre che non perspicua, comunque
infondata, in quanto residua in capo agli enti territoriali la possibilità di
definire, con proprie modalità di quantificazione, gli oneri da porre a carico
dei proponenti a copertura dei costi sopportati dalla autorità competente.
26.– La Regione Calabria ha
depositato il 29 maggio 2018 memoria con la quale ha insistito nelle
conclusioni già rassegnate.
A proposito del
motivo di ricorso riguardante l’art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017, si ribadisce
che, in mancanza di specifiche direttive della legge di delega, non poteva
ritenersi consentito al legislatore delegato operare una così profonda
revisione della ripartizione delle competenze in materia di VIA, ribadendosi
che, nella specie, il Governo avrebbe disatteso anche le previsioni dettate
dall’art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012.
In merito, poi, alle
doglianze formulate in ordine agli artt. 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1,
lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017, si osserva che, analizzando i progetti
per i quali la competenza è passata dalle Regioni allo Stato, la materia
dell’ambiente si incrocia con diversi ambiti materiali di competenza
concorrente, e si attrae nella competenza statale anche la valutazione su
modifiche o estensioni di progetti anche se oggetto di autorizzazioni regionali
già intervenute.
Si insiste,
ugualmente, sull’accoglimento anche degli altri motivi di ricorso.
27.– Con ricorso
notificato il 4-11 settembre 2017 e depositato il 14 settembre 2017 (reg. ric.
n. 73 del 2017), la Provincia autonoma di Bolzano ha promosso questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, «se ed in quanto riferito alle
Province autonome» – nella parte in cui introduce l’art. 7-bis, commi 2, 3, 7,
8 e 9, nel d.lgs. n. 152 del 2006 – dell’art. 8, «se ed in quanto riferito alle
Province autonome»; dell’art. 16, commi 1, «in quanto non prevede un
coinvolgimento delle Province autonome», e 2 «se ed in quanto riferito alle
Province autonome»; dell’art. 22, commi 1, 2, 3 e 4, «se riferito alle Province
autonome», e dell’art. 23, commi 1 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017.
27.1.– In via preliminare, la
Provincia ricorrente passa in rassegna i contenuti delle norme censurate,
rilevando come i commi 2 e 3 dell’art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006,
aggiunto dall’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017, individuino nel
dettaglio i progetti sottoposti a VIA o a verifica di assoggettabilità a VIA in
sede statale (allegati II e II-bis alla Parte seconda del d.lgs. n. 152 del
2006) e quelli sottoposti alle predette procedure in sede regionale (Allegati
III e IV).
In forza del comma 8
del medesimo art. 7-bis, le Province autonome, al pari delle Regioni,
nell’esercizio delle proprie potestà legislative debbono conformarsi alla
legislazione europea e a quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006, fatto
salvo il potere di stabilire ulteriori regole per la semplificazione dei
procedimenti, per la consultazione del pubblico e degli altri soggetti pubblici
interessati, per il coordinamento dei procedimenti di competenza regionale e
locale, nonché per la destinazione dei proventi derivanti dalle sanzioni
amministrative alle finalità indicate dallo stesso d.lgs. n. 152 del 2006,
ferma restando l’inderogabilità dei termini procedimentali massimi.
Alla stregua di
quanto previsto dall’art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, le potestà
normative delle Province autonome (così come delle Regioni) si limitano, in
pratica, al semplice adeguamento dei rispettivi ordinamenti entro il termine
perentorio di centoventi giorni dall’entrata in vigore dello stesso decreto,
con la previsione che, decorso inutilmente detto termine, in assenza di
disposizioni regionali o provinciali vigenti idonee allo scopo, si applicano i
poteri sostitutivi di cui all’art. 117, quinto comma, Cost.,
secondo quanto previsto dagli artt. 41 e 43 della legge n. 234 del 2012.
Il decreto delegato
interviene in modo egualmente puntuale sulle funzioni amministrative delle
Province autonome (così come delle Regioni), imponendo loro, tra l’altro, di
assicurare che le procedure di VIA e verifica di assoggettabilità a VIA di
competenza regionale siano svolte in conformità agli artt. da 19 a 26 e da
27-bis a 29 del d.lgs. n. 152 del 2006 (comma 7 dell’art. 7-bis del d.lgs. n.
152 del 2006), nonché di informare il Ministero dell’ambiente e della tutela
del territorio e del mare, a partire dal 31 dicembre 2017 e con cadenza
biennale, circa i provvedimenti adottati e i procedimenti di verifica di
assoggettabilità a VIA e di VIA, fornendo una serie di atti (comma 9 dell’art.
7-bis).
Con il decreto
legislativo in questione viene, altresì, sensibilmente modificato il riparto
delle competenze amministrative, attribuendo alla competenza dello Stato un
rilevante numero di progetti e interventi che nel regime previgenti erano
invece attribuiti alla competenza delle Regioni (art. 22 del d.lgs. n. 104 del
2017 e correlative abrogazioni disposte dall’art. 26). A questo riguardo, il
ricorso reca, «a titolo di esempio», un lungo elenco di progetti attualmente inseriti
negli Allegati II e II-bis, e dunque tra quelli di competenza statale e non più
regionale.
27.2.– Ciò premesso, la Provincia
autonoma ricorrente assume che il decreto legislativo in questione violerebbe
anzitutto l’art. 76 Cost., per tardività dell’esercizio della delega
legislativa da parte del Governo. L’art. 1, comma 2, della legge n. 114 del
2015 individuava, infatti, il termine per l’esercizio della delega mediante
rinvio all’art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, recependo, in tal
modo, le successive modifiche della norma richiamata.
A seguito della
modifica operata dall’art. 29, comma 1, lettera b), della legge n. 115 del
2015, il richiamato art. 1 della legge n. 234 del 2012 stabilisce che, in
relazione alle deleghe legislative conferite con la legge di delegazione
europea per il recepimento delle direttive, il Governo debba adottare i decreti
legislativi entro il termine di quattro mesi antecedenti a quello di recepimento
indicato in ciascuna delle direttive. Nella specie, il recepimento della
direttiva 2014/52/UE sarebbe dovuto avvenire, ai sensi dell’art. 2, paragrafo
1, entro il 16 maggio 2017. Di conseguenza, il Governo avrebbe dovuto
esercitare la delega entro il 16 gennaio 2017: termine che non è stato
rispettato, essendo il decreto stato emanato soltanto il 16 giugno 2017.
Irrilevante sarebbe
la circostanza che nelle note del 16 marzo 2017, con le quali lo schema di
decreto legislativo è stato trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni e alle
Camere per l’espressione dei rispettivi pareri, venga indicato come termine per
l’esercizio della delega lo stesso 16 marzo 2017, sull’assunto che la legge
delega avrebbe fatto rinvio al testo originario dell’art. 31, comma 1, della
legge n. 234 del 2014, che prevedeva il termine di scadenza di due mesi,
anziché quattro mesi, dal termine di recepimento fissato nella direttiva.
Secondo la
giurisprudenza costituzionale, infatti, si deve presumere che i rinvii
contenuti nelle leggi abbiano carattere mobile, anziché fisso, sicché la natura
recettizia del rinvio deve essere espressa, oppure desumibile da elementi
univoci e concludenti (è citata la sentenza n. 258 del
2014): evenienze che non ricorrerebbero nel caso di specie.
La ricorrente
rileva, per altro verso, che – in assenza di una chiara previsione di
"cedevolezza” della normativa statale – le disposizioni contenute nel decreto
legislativo impugnato hanno indubbie ripercussioni sulla legislazione già
vigente nella Provincia autonoma di Bolzano nelle materie di sua competenza
indicate più avanti nel ricorso, incidendo, quindi, sulla disciplina di rango
costituzionale e statutario del riparto di competenze tra lo Stato e la
Provincia: con la conseguenza che quest’ultima deve ritenersi legittimata a far
valere il vizio di eccesso di delega legislativa, che pure esula dalla
disciplina del riparto.
27.3.– Il decreto legislativo
violerebbe l’art. 76 Cost., anche sotto il profilo del mancato rispetto dei
principi e criteri stabiliti nella legge di delega.
Non sarebbero stati
rispettati, infatti, né i principi generali per l’attuazione delle direttive
dell’Unione europea, tra cui, principalmente, il divieto di aggravare i livelli
di regolazione rispetto a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse (art.
32, comma l, lettera c, della legge n. 234 del 2012), né i principi specifici
indicati dall’art. 14 della legge n. 114 del 2015, riconducibili essenzialmente
ai concetti di semplificazione e coordinamento con altre procedure del settore
dell’ambiente, nonché di miglioramento della qualità del procedimento
(«regolamentazione intelligente»), e, in ultima analisi, di maggiore
efficienza.
Il decreto
legislativo censurato avrebbe spostato, in effetti, pressoché in blocco le
competenze dalle Regioni allo Stato, andando così ben oltre non solo i principi
della delega, ma anche la stessa direttiva 2014/52/UE, la quale non potrebbe
disporre un simile spostamento di competenze nell’ordinamento interno degli
Stati membri e che neppure, peraltro, lo imporrebbe.
Risulterebbe
violato, inoltre, il disposto dell’art. 32, comma 1, lettera g), della legge
n. 234 del 2012 (richiamato dall’art. 1, comma 1, della legge
delega n. 114 del 2015), in forza del quale, quando si verifichino sovrapposizioni
di competenze tra amministrazioni diverse, i decreti legislativi debbono
individuare, «attraverso le più opportune forme di coordinamento, rispettando i
principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione
e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, le procedure per
salvaguardare l’unitarietà dei processi decisionali, la trasparenza, la
celerità, l’efficacia e l’economicità nell’azione amministrativa e la chiara
individuazione dei soggetti responsabili».
Nel procedimento di
adozione del decreto legislativo, il principio di leale collaborazione non è
stato, per converso, rispettato. Il Governo non si è, infatti, adeguato ai
rilievi né ha cercato un’intesa, benché vi fosse tenuto in forza dell’intreccio
di materie di competenza dello Stato e delle Province autonome: ciò, in
conformità alla più recente giurisprudenza della Corte costituzionale, che in
simile situazione subordina alle intese l’esercizio da parte del Governo della
funzione legislativa delegata, diversamente dalla funzione legislativa
esercitata dal Parlamento (è citata la sentenza n. 251 del
2016).
Non sarebbe stato
rispettato, per altro verso, neppure il principio di sussidiarietà, con
conseguente violazione dell’art. 118 Cost., così come sarebbero state violate le regole che
disciplinano la chiamata in sussidiarietà.
27.4.– La nuova
normativa statale inciderebbe, altresì, in ambiti di materia che, in forza del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico
delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige), sono attribuiti alla potestà legislativa, nonché alla
corrispondente potestà regolamentare ed amministrativa delle Province autonome:
potestà che da tempo sono state anche effettivamente esercitate.
Lo statuto speciale
– in combinato disposto con l’art. 117 Cost. e con l’art. 10 della legge cost.
n. 3 del 2001 – attribuisce, infatti, alle Province autonome in via esclusiva
la potestà legislativa in un’ampia gamma di materie, quali «tutela e
conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare», «urbanistica e
piani regolatori», «tutela del paesaggio», «porti lacuali», «opere di
prevenzione e di pronto soccorso per calamità naturali» e, in altri termini,
«protezione civile», «alpicoltura e parchi per la protezione della flora e
della fauna», «viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse
provinciale», «comunicazioni e trasporti di interesse provinciale», «turismo e
industria alberghiera», «agricoltura, foreste e corpo forestale»,
«artigianato», «opere idrauliche» (art. 8, numeri 3, 5, 6, 9, 11, 13, 16, 17,
18, 20, 21, 24) e «commercio» (art. 9, n. 3). Attribuisce, altresì, alle
Province autonome la potestà legislativa concorrente nella materia «igiene e
sanità» – riqualificata come più ampia «tutela della salute» alla luce
dell’art. 117, terzo comma, Cost., in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 – e nella materia «utilizzazione delle
acque pubbliche» (art. 9, numeri 9 e 10). In tutte tali materie le Province
autonome esercitano anche le correlate potestà amministrative (art. 16).
Sul piano
organizzativo – e, dunque, in un ambito comune alle varie materie ora elencate
– alle Province autonome competono, altresì, per statuto la funzione normativa
e quella amministrativa in materia di «ordinamento degli uffici e del
personale» (artt. 8, numero 1, e 16), nell’esercizio della quale sono stati
disciplinati anche i procedimenti amministrativi.
L’assegnazione delle
predette potestà è operata dalle rispettive norme di attuazione statutaria. Al
riguardo, assumerebbe particolare rilievo il d.P.R.
22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la
Regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche), che
trasferisce e delega alle Province le funzioni dello Stato in materia di
utilizzazione delle acque pubbliche, di opere idrauliche, di opere di
prevenzione e pronto soccorso per calamità pubbliche, di viabilità, acquedotti
e lavori pubblici. L’art. 19-bis del citato decreto – aggiunto dall’art. 8 del
decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463 – riconosce, infatti,
espressamente alle Province autonome la competenza in materia di VIA
nell’esercizio delle funzioni delegate: dal che si desumerebbe che a maggior
ragione le Province debbono ritenersi titolari di tale competenza nelle materie
proprie.
Inoltre, già secondo
la normativa di attuazione statutaria del 1987 (d.P.R.
19 novembre 1987, n. 526), alle Province autonome è attribuito il potere di
dare diretta attuazione alle direttive europee nelle materie di competenza
esclusiva: potere esteso nel 1989, con legge ordinaria, anche alle materie di
competenza concorrente (art. 9, commi 1 e 2, della legge 9 marzo 1989, n. 86,
recante «Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo
comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari») e indi
elevato, nel 2001, con norma di rango costituzionale, a principio fondamentale
dell’ordinamento della Repubblica (art. 117, quinto comma, Cost.,
come modificato dalla legge cost. n. 3 del 2001).
Sarebbe assodato,
d’altro canto – alla luce del disposto dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 – che il sistema normativo e
organizzativo fondato sullo statuto speciale continui ad operare anche dopo la
riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, trattandosi di
riforma che non restringe la sfera di autonomia già spettante alle Province
autonome, ma può solo ampliarla.
In questa
prospettiva, questa Corte ha recente affermato – con particolare riguardo al
servizio idrico – che il sistema delle attribuzioni provinciali «non è stato
sostituito dalla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della
concorrenza e di tutela dell’ambiente» (sentenza n. 51 del
2016).
27.5.– Analogamente, per quanto
attiene alla disciplina del potere sostitutivo, non vi potrebbero essere
disposizioni, specie di legge ordinaria, peggiorative rispetto all’assetto
costituzionale e statutario anteriore alla riforma del 2001. Questa Corte ha
avuto modo, in particolare, di chiarire che solo per le materie di nuova
acquisizione da parte delle Province autonome la disciplina del potere
sostitutivo statale è demandata a nuova normativa di attuazione statutaria,
mentre per le materie già attribuite dallo statuto rimangono ferme le
previgenti norme di attuazione, e dunque anche l’art. 8 del d.P.R.
n. 526 del 1987 (è citata la sentenza n. 236 del
2004).
Specifiche norme di
attuazione statutaria – e, in particolare, l’art. 2 del d.lgs. 16 marzo 1992,
n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige
concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e
provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento) –
prevedono, inoltre, che la legislazione regionale e provinciale deve essere
adeguata unicamente ai principi e norme costituenti, limiti indicati dagli
artt. 4 e 5 dello statuto, recati da atto legislativo dello Stato, entro i sei
mesi successivi alla pubblicazione dell’atto medesimo nella Gazzetta Ufficiale
o nel più ampio termine da esso stabilito e che, nel frattempo, restano
applicabili le disposizioni legislative regionali e provinciali preesistenti.
Si tratta di previsione di «rango parastatutario» e,
comunque sia, sovraordinato alla legislazione ordinaria, alla quale la
giurisprudenza costituzionale ha costantemente riconosciuto valore di parametro
costituzionale nel giudizio in via principale (sono citate le sentenze n. 191 del 2017,
n. 380 del 1997
e n. 356 del
1994).
Secondo quanto
chiarito dalla Corte costituzionale (è citata la sentenza n. 380 del
1997), la citata disposizione statutaria vieta al legislatore statale –
salvo che negli ambiti in cui il comma 4 del medesimo art. 2 fa salva
l’immediata applicabilità delle leggi statali (leggi costituzionali e atti
legislativi nelle materie in cui alla Provincia è attribuita delega di funzioni
statali o potestà legislativa integrativa) – di riconoscere alle norme da esso
dettate nelle materie di competenza provinciale immediata e diretta
applicabilità, prevalente su quella della legislazione provinciale
preesistente. Le norme di attuazione garantiscono, in tal modo, alla Provincia
uno spazio temporale per procedere all’adeguamento della propria legislazione
ai vincoli che, in forza dello statuto, discendano dalle nuove leggi statali.
Ciò comporterebbe
l’illegittimità dell’art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, in forza del
quale le Province autonome debbono adeguare la loro disciplina in materia di
VIA entro il termine perentorio di centoventi giorni dall’entrata in vigore del
medesimo decreto.
Nell’esercizio delle
potestà statutarie, la Provincia autonoma di Bolzano ha provveduto a
disciplinare con proprie leggi e regolamenti anche la procedura di VIA (legge
della Provincia autonoma di Bolzano 5 aprile 2007, n. 2, recante «Valutazione
ambientale per piani e progetti»; decreto del Presidente della Giunta
provinciale 26 marzo 1999, n. 15, recante «Regolamento relativo alla
valutazione dell’impatto ambientale»; decreto del Presidente della Provincia 7
agosto 2002, n. 27, recante «Modifica dell’Allegato II della legge provinciale
24 luglio 1998, n. 7, "Valutazione dell’impatto ambientale”»). È, inoltre,
attualmente in trattazione presso il Consiglio provinciali il disegno di legge
provinciale n. 135/17-XV, recante «Valutazione ambientale per piani e
progetti», finalizzato a dare attuazione a plurime direttive europee.
Sarebbe, pertanto,
evidente come la disciplina statale in questione leda l’assetto statutario,
costituendo esercizio della funzione legislativa dello Stato nelle materie di
loro competenza. Ciò, anche perché essa non prevede una adeguata formula di
"cedevolezza”, come è richiesto per i provvedimenti sostitutivi (art. 41, in
relazione all’art. 40, comma 3, della legge n. 234 del 2012), limitandosi ad
operare solo «un blando rinvio al predetto articolo 41, in relazione ai poteri
sostitutivi dello Stato».
La normativa recata
dal decreto legislativo censurato non potrebbe determinare neppure
l’abrogazione, decorso un certo termine, della preesistente normativa della
Provincia autonoma ricorrente, dovendo quest’ultima essere, nel caso di mancato
adeguamento ai nuovi vincoli, eventualmente impugnata dal Governo davanti alla
Corte costituzionale, secondo quanto previsto dall’art. 2, comma 2, del d.lgs.
n. 266 del 1992: laddove invece, ai sensi dell’art. 23, comma 4, del d.lgs. n.
104 del 2017, la "inidoneità” delle disposizioni previgenti della Provincia
autonoma legittimerebbe tout court l’esercizio dei poteri sostitutivi statali,
con conseguente abrogazione delle norme preesistenti.
27.6.– Nel confronto con la direttiva
2014/52/UE, il decreto legislativo in questione violerebbe anche con il «principio di legalità,
in relazione ai vincoli derivanti dall’Unione europea (art. 117, primo comma, Cost.)». Il decreto legislativo è, infatti, «un atto
governativo ed incontra i limiti imposti dalla legge, in senso formale, come
atto parlamentare che lo autorizza, nonché dalla direttiva che attua»: sicché
«non può legittimamente vincolare le autonomie territoriali al di là di quanto
discende dagli obblighi derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea».
27.7.– Le disposizioni censurate
violerebbero, altresì, il principio di ragionevolezza, e quindi gli artt. 3 e 97 Cost.,
non essendo giustificato uno spostamento così massiccio di competenze dalle
Regioni allo Stato in funzione di un miglioramento della qualità del
procedimento, della semplificazione e della maggiore efficienza. Non si
comprenderebbe, infatti, come una gestione accentrata e unitaria a livello
statale possa essere più efficiente di una decentrata e diversificate nelle
varie autonomie territoriali.
Anche la violazione
del principio di ragionevolezza verrebbe ad incidere sulla preesistente
normativa di attuazione delle direttive europee adottata dalla Provincia
ricorrente, di cui il d.lgs. n. 266 del 1992 garantisce la continuità,
riflettendosi quindi sulla disciplina costituzionale e statutaria di riparto
delle competenze tra lo Stato e le Province autonome.
Da ultimo,
risulterebbe violato anche l’art. 4 del d.lgs.
n. 266 del 1992, che esclude, in via generale, che la legge possa
attribuire ad organi statali l’esercizio di funzioni amministrative nelle
materie di competenza statutaria.
27.8.– Per la ricorrente sarebbero
illegittime, in subordine, alcune disposizioni del d.lgs. n. 104 del 2017, ove
applicabili alle province autonome: l’art. 8 che sostituisce l’art. 19 del
d.lgs. n. 152 del 2006; l’art. 16, comma l, che sostituisce l’art. 27 del
d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto non prevede un coinvolgimento delle province
autonome; l’art. 16, comma 2, che introduce l’art. 27-bis nel d.lgs. n. 152 del
2006; l’art. 24 che modifica l’art. 14 della legge n. 241 del 1990.
Per effetto del
richiamo agli artt. da «19 a 26 e da 27-bis a 29», contenuto nel comma 7
dell’art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, sarebbero lesive delle competenze
provinciali le norme che definiscono regole di procedimento «di estremo
dettaglio e termini perentori», sia per il procedimento di verifica di
assoggettabilità a VIA di competenza regionale (art. 19 del d.lgs. n. 152 del
2006, come introdotto dall’art. 8 del d.lgs. n. 104 del 2017), sia per il
procedimento finalizzato al rilascio del provvedimento autorizzatorio
unico regionale (art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, come introdotto
dall’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017). Il carattere di estremo
dettaglio delle disposizioni statali sarebbe irragionevole e sproporzionato, in
contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., rispetto allo scopo della semplificazione procedimentale.
Le disposizioni sul
provvedimento autorizzatorio unico regionale ed il
relativo procedimento di VIA di competenza regionale, lasciando alle Province
autonome soltanto la disciplina delle forme e delle modalità di consultazione
del pubblico (art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, come introdotto dall’art.
16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017), nonché la definizione a livello
statale della disciplina procedimentale con norme di dettaglio, si porrebbero
in contrasto con norme statutarie sulla potestà legislativa e amministrativa in
materia di ordinamento degli uffici e del personale (art. 8, n. 1, e art. 16
dello statuto speciale).
27.9.– La ricorrente dubita, inoltre,
della legittimità costituzionale dell’art. 24 del d.lgs. n. 104 del 2017, che,
nell’ambito della disciplina del procedimento amministrativo per la VIA di
competenza regionale, prevedrebbe il ricorso alla Conferenza di servizi con
modalità sincrona. Tale disposto, se riferito anche alle Province autonome,
sarebbe costituzionalmente illegittimo per contrasto con la competenza in
materia di ordinamento degli uffici, considerato che la disposizione statale
modificherebbe l’art. 29 della legge n. 241 del 1990, la quale conterrebbe una
disposizione di salvaguardia dell’autonomia speciale.
La disciplina del
procedimento per l’adozione del provvedimento unico in materia ambientale di
competenza statale (art. 27 del d.lgs. n. 152 del 2006, come introdotto dall’art.
16, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017) sarebbe illegittima perché non
prevedrebbe alcuna forma di collaborazione con le Regioni e le Province
autonome, contrastando con quanto richiesto dalla giurisprudenza di questa
Corte (richiamata la sentenza n. 303 del
2003), quando lo Stato attragga in sussidiarietà funzioni amministrative
anche in materie che ricadono negli ambiti di competenza concorrente o
residuale delle Regioni e delle Province autonome (ai sensi dell’art. 117, commi terzo e
quarto, Cost., in combinato con l’art. 10 legge cost. n. 3 del 2001 e dello statuto speciale).
27.10.– La forma di partecipazione
prevista (nuovo art. 27, commi 4 e 5) sarebbe «debole», in quanto la posizione
della ricorrente resterebbe assorbita da quella prevalente della Conferenza di
servizi (art. 14-ter della legge n. 241 del 1990, richiamato nel comma 8 del
nuovo art. 27), in assenza di rimedi specifici per le amministrazioni
dissenzienti nella stessa legge organica sul procedimento amministrativo (art.
14-quinquies della legge n. 241 del 1990).
La ricorrente censura
le predette disposizioni, anche considerato che non risultano accolte le
richieste formulate dalla Provincia autonoma di Bolzano in sede di espressione
del preventivo parere prescritto della Conferenza Stato-Regioni, nella seduta
del 4 maggio 2017, con cui si chiedeva di sopprimere i riferimenti espressi
alle Province autonome contenuti nello schema di decreto legislativo e di
integrarlo con una apposita disposizione di salvaguardia delle norme statutarie
e di attuazione statutaria, anche con riferimento al previsto potere
sostitutivo statale per il caso di inattività nel recepimento delle direttive
UE. Le disposizioni impugnate, introducendo, verosimilmente anche con
riferimento alla Provincia autonoma di Bolzano, una disciplina vincolante in
materie in cui la stessa ha potestà legislativa, regolamentare ed
amministrativa proprie, che la ricorrente avrebbe già esercitato,
comprimerebbero illegittimamente le prerogative riconosciute alla stessa.
28.– Si è costituito, con atto
depositato il 20 ottobre 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il
ricorso sia dichiarato infondato.
28.1.– Quanto alla censura di
violazione dell’art. 76 Cost., per tardività
dell’esercizio della delega legislativa, essa risulterebbe inammissibile,
stante la mancata corrispondenza tra il rilievo formulato (che varrebbe a
travolgere l’intero decreto legislativo) e il petitum,
limitandosi la Provincia ricorrente a richiedere la declaratoria di illegittimità
costituzionale di singole previsioni del decreto stesso.
Nel merito, la
censura risulterebbe, comunque sia, infondata.
La legge di delega
n. 114 del 2015 (entrata in vigore il 15 agosto 2015) individua il termine per l’attuazione
della direttiva sulla VIA per relationem, ossia
mediante rinvio all’art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012. Tale ultima
disposizione è stata, però, oggetto di modifica ad opera della legge n. 115 del
2015 (entrata in vigore il 18 agosto 2015, e dunque in data successiva alla
legge di delega di cui si discute), per effetto della quale il Governo adotta i
decreti legislativi entro il termine di quattro mesi – e non più due mesi, come
nella versione originaria – antecedenti a quello di recepimento indicato in
ciascuna delle direttive.
La tesi della
ricorrente, secondo la quale quello contenuto nella legge n. 114 del 2015
sarebbe un rinvio mobile, esteso a tutte le modifiche subite dalla fonte
richiamata, non potrebbe essere condiviso. Secondo la giurisprudenza
costituzionale, infatti, i rinvii assumono carattere recettizio non solo ove la
norma rinviante li qualifichi espressamente come tali, ma anche quando tale
natura sia deducibile da elementi univoci e concludenti: elementi riscontrabili
nel caso di specie.
In secondo luogo, vi
sarebbe almeno un caso nel quale la pretesa di applicare retroattivamente la
modifica in discorso, con conseguente abbreviazione del termine, avrebbe
prodotto la scadenza di una delega ancora in corso. Ciò sarebbe avvenuto, in
specie, con riferimento alla delega per l’attuazione della direttiva
2012/29/UE, non ancora esercitata al momento dell’entrata in vigore della legge
n. 115 del 2015. Posto che il termine di recepimento della direttiva era
fissato al 16 novembre 2015, opinando nel senso prospettato dalla ricorrente il
termine per l’esercizio della delega sarebbe passato dal 16 settembre al 16
luglio 2015, e, dunque, a data addirittura antecedente alla novella di cui alla
stessa legge n. 115 del 2015. Effetto, questo, paradossale e illogico, in
quanto atto a determinare il venir meno dello stesso potere delegato di
attuazione della direttiva, con grave pregiudizio per la tempestività che è
richiesta nell’adempimento degli obblighi sovranazionali. Sarebbe palese l’assoluta
irragionevolezza di un tale esito, per il quale l’abbreviazione dei termini per
l’attuazione delle direttive – verosimilmente disposta per favorirne il pronto
recepimento – conseguirebbe un effetto esattamente opposto.
Una volta, peraltro,
che si sia stabilito il carattere recettizio del rinvio operato dalla delega
per l’attuazione della direttiva 2012/29/UE, alla medesima conclusione dovrebbe
ovviamente pervenirsi per tutte le deleghe antecedenti all’entrata in vigore
della legge n. 115 del 2015, compresa quella di cui si discute, la quale
sarebbe stata, pertanto, esercitata entro i termini previsti dalla legge di
delegazione.
28.2.– La seconda censura di
violazione dell’art. 76 Cost., per mancato rispetto
dei principi e criteri direttivi dettati dalla legge di delegazione in tema di
semplificazione e coordinamento, risulterebbe parimente inammissibile per la
genericità delle deduzioni della ricorrente, riferite in modo unitario e
indifferenziato all’intero decreto legislativo, senza che sia consentito
individuare le specifiche legislative della Provincia autonoma che
risulterebbero lese.
Nel merito, la
censura sarebbe infondata per ragioni analoghe a quelle esposte in relazione
alla similare questione promossa dalla Regione Puglia (reg. ric. n. 65 del
2017).
28.3.– Anche la terza censura
generale, concernente la violazione del principio di leale collaborazione nel
procedimento di adozione del decreto legislativo, risulterebbe inammissibile,
non essendo indicate le norme del decreto che si assumerebbero lesive delle
prerogative statutarie.
Nel merito, la
censura sarebbe infondata. Premesso che, in quanto "trasversale” e
"prevalente”, la normativa statale in materia di tutela dell’ambiente si impone
integralmente nei confronti delle amministrazioni territoriali, l’Avvocatura
generale dello Stato formula considerazioni analoghe a quelle svolte in
relazione al ricorso della Regione Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste (reg. ric. n. 63 del 2017), riguardo al fatto
che la ricorrente – nel richiamare la sentenza n. 251 del
2016 della Corte costituzionale – avrebbe confuso il paradigma
giurisprudenziale dell’«intreccio» di competenze, non pertinente al caso di
specie, con quello della semplice «incidenza» delle norme dello Stato su
funzioni delle amministrazioni locali, che naturalmente caratterizza le materie
"trasversali”.
Quanto al mancato
recepimento delle proposte emendative avanzate dalle Regioni e dalle Province
autonome in sede di espressione del parere – peraltro non obbligatorio – della
Conferenza Stato-Regioni, l’Avvocatura ribadisce come nella relazione
illustrativa dello schema di decreto delegato si dia puntuale conto delle
ragioni del loro mancato accoglimento.
28.4.– La quarta censura generale,
relativa all’asserito mancato rispetto del principio di sussidiarietà e delle
regole che disciplinano la chiamata in sussidiarietà, sarebbe di nuovo
inammissibile per genericità, risultando priva di supporto argomentativo.
Nel merito, anche
tale censura si baserebbe sull’erroneo presupposto che la disciplina in materia
di VIA sia riconducibile a una pluralità di materie, anche di competenza
provinciale, quando essa invece si colloca nella competenza esclusiva dello
Stato sulla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
Andrebbe, dunque,
escluso che il legislatore delegato fosse tenuto all’intesa con le Regioni e le
Province autonome, in quanto tale modulo procedurale è richiesto dalla
giurisprudenza costituzionale in relazione alla chiamata in sussidiarietà,
peraltro con riferimento alle modalità di esercizio della funzione
amministrativa e non al procedimento di formazione dell’atto legislativo.
28.5.– Priva di ogni fondamento
sarebbe, poi, la censura di violazione dell’art. 19-bis del d.P.R.
n. 381 del 1974.
Tale disposizione
prevede che le Province autonome di Trento e di Bolzano applichino la normativa
provinciale in materia di VIA in riferimento alle sole funzioni delegate dallo
Stato, diverse e ulteriori rispetto a quelle statutariamente garantite, con
l’obiettivo di ammettere anche in relazione ad esse la legislazione
provinciale. Trattandosi, dunque, di previsione che fonda in capo alla
Provincia una competenza legislativa praeter statutum, essa non può valere in rapporto a funzioni
diverse da quelle alle quali si riferisce.
D’altra parte, il
d.lgs. n. 104 del 2017 circoscrive gli spazi disponibili al legislatore
provinciale in materia di VIA, ma non li azzera, con la conseguenza che
l’invocata norma di attuazione risulta comunque sia rispettata.
28.6.– Quanto
all’assunto della Provincia ricorrente, secondo il quale le disposizioni
impugnate violerebbero la propria competenza a dare immediata attuazione alle
direttive europee nelle materie provinciali, sarebbe decisivo, in senso
contrario, ancora una volta, il rilievo della sicura riconducibilità della disciplina
della VIA alla competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela
dell’ambiente e – con riguardo alla regolamentazione del procedimento
amministrativo – anche a quella in materia di livelli essenziali delle
prestazioni (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.)
Affatto inconferente
risulterebbe, di conseguenza, il richiamo all’art. 41 della legge n. 234 del
2012, in forza del quale la disciplina statale deve caratterizzarsi come
cedevole solo qualora lo Stato abbia esercitato il potere sostitutivo previsto
dall’art. 117, quinto comma, Cost.: laddove, invece, nel caso in esame, lo Stato ha inteso
attuare la direttiva europea in un ambito di propria esclusiva spettanza.
28.7.– Con riguardo
alla questione che investe l’art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017,
censurato sul rilievo che la normativa statale non potrebbe determinare
l’abrogazione della preesistente normativa della Provincia autonoma, il
resistente osserva, in contrario, come la circostanza che la Provincia abbia
già disciplinato la materia della VIA non impedisca allo Stato di intervenire
nuovamente, dettando, in attuazione della direttiva europea e nell’esercizio
delle sue competenze esclusive, regole procedimentali vincolanti che consentano
l’uniforme svolgimento del procedimento di VIA su tutto il territorio
nazionale.
Anche a questo
proposito, varrebbe altresì il rilievo che gli spazi rimessi al legislatore
provinciale, se pure ridimensionati, non vengono però azzerati, potendo le
Regioni e le Province autonome intervenire con proprie leggi e regolamenti al
fine di disciplinare gli aspetti indicati dall’art. 7-bis, comma 8, del d.lgs.
n. 152 del 2006, come introdotto dall’art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017.
Improprio sarebbe,
inoltre, il richiamo della ricorrente alla clausola di salvaguardia prevista
dall’art. 35-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, la quale, da un lato, ha ad
oggetto tutte le previsioni del codice dell’ambiente, e non solo quelle
relative ai procedimenti di VIA; dall’altro, mira a far salve le competenze delle
autonomie speciali statutariamente fondate. Essa non sarebbe, dunque,
riferibile alla disciplina della VIA, riconducibile alla competenza esclusiva
dello Stato.
28.8.– Quanto alla denunciata
violazione, con riferimento alla direttiva 2014/52/UE, del principio di
legalità «in relazione ai vincoli derivanti dall’Unione europea (art. 117,
primo comma, Cost.), la censura sarebbe
inammissibile, non essendo stati puntualmente individuati né il parametro della
direttiva violato, né la disposizione del decreto legislativo che
determinerebbe la violazione.
Nel merito, il
d.lgs. n. 104 del 2017 risulterebbe, in ogni caso, pienamente conforme alla
direttiva e alla legge delega, caratterizzata da principi e criteri direttivi
che circoscrivono adeguatamente la materia e gli obiettivi del decreto
delegato, dovendosi comunque sia riconoscere al Governo un margine di
discrezionalità tecnica, in difetto del quale non sarebbe neppure più utile il
ricorso allo schema della delegazione legislativa.
28.9.– Le ulteriori censure generali
della Provincia autonoma di Bolzano, intese a denunciare la violazione degli
artt. 3 e 97 Cost., e dell’art. 4 del d.lgs. n. 266
del 1992, sarebbero inammissibili, non essendo state puntualmente individuate
le norme statali oggetto di impugnazione.
Le censure riferite
agli artt. 3 e 97 Cost., sarebbero altresì inammissibili per la loro genericità,
non avendo la ricorrente precisato quali siano le funzioni amministrative nelle
materie di competenza statutaria compresse dalla legislazione statale, né le
motivazioni che renderebbero irragionevole la riallocazione delle competenze
legislative in materia di VIA.
Nel merito, le
censure risulterebbero infondate per le considerazioni già addotte in relazione
alla censura intesa a lamentare l’indebito spostamento di competenze dalle
Regione e Province autonome allo Stato.
Egualmente infondata
sarebbe la censura di violazione dell’art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992, nella
parte in cui vieta di attribuire ad organi statali l’esercizio di funzioni
amministrative nelle materie di competenza della Regione o delle Province
autonome: ipotesi che non ricorrerebbe nella specie, dal momento che – come più
volte osservato – la disciplina della VIA ricade nell’ambito della competenza
esclusiva dello Stato.
28.10.– Le considerazioni dinanzi
esposte varrebbero a dimostrare l’infondatezza anche delle censure riferite
singolarmente agli artt. 5, comma 1, 22, commi 1, 2, 3 e 4, e 23, commi 1 e 4,
del d.lgs. n. 104 del 2017.
Tali censure
sarebbero, prima ancora, inammissibili per la loro genericità, non essendo
esattamente individuate le norme dello statuto speciale che sarebbero lese.
28.11.– L’Avvocatura eccepisce altresì
l’inammissibilità della censura dell’art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006,
introdotto dall’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017, che contesta la
disciplina statale sul provvedimento unico regionale in materia di VIA, nella
parte in cui si riferisce genericamente a parametri già evocati, senza chiarire
con esattezza quali sarebbero le norme statutarie violate in relazione al vizio
specifico.
Essa sarebbe
infondata, anche per la parte riferita alle disposizioni dello statuto speciale
relative alla competenza provinciale sulla propria organizzazione interna.
Ribadisce
l’Avvocatura che la disciplina in tema di VIA rientrerebbe nella competenza
esclusiva dello Stato sulla tutela dell’ambiente e, per quanto concerne il
procedimento di VIA regionale, in quella, parimenti esclusiva, sui livelli
essenziali delle prestazioni. Di conseguenza, non si realizzerebbe alcuna
espropriazione delle competenze provinciali.
28.12.– Infondata sarebbe anche la
censura dell’art. 16, comma l, che ha modificato l’art. 27 del d.lgs. n. 152
del 2006, introducendo il provvedimento autorizzatorio
unico statale, il quale non consentirebbe un idoneo coinvolgimento delle
Regioni e delle Province autonome.
Non si
verificherebbe nel caso di specie una chiamata in sussidiarietà, venendo in
considerazione, in materia di VIA, solo competenze statali di tipo esclusivo.
Del pari, nessuna violazione del principio di leale collaborazione
discenderebbe dal meccanismo delle posizioni prevalenti, previsto come criterio
decisionale della conferenza di servizi in modalità asincrona nel quadro del
procedimento autorizzatorio unico statale. Tale
modalità, infatti, rappresenterebbe un ragionevole punto di equilibrio tra
l’esigenza di garantire la posizione delle amministrazioni che partecipano alla
conferenza e quella di assicurare la conclusione entro i termini perentori di
un procedimento di competenza dello Stato.
28.12.1.– Infondati sarebbero poi i dubbi
formulati dalla Provincia ricorrente a proposito dell’applicabilità dei rimedi,
previsti dalla legge n. 241 del 1990, per le amministrazioni dissenzienti.
Osserva la difesa
statale che il rinvio dell’art. 27 del d.lgs. n. 152 del 2006 all’art. 14-ter
della legge n. 241 del 1990, non escluderebbe il richiamo e il rinvio agli
artt. 14-quater e 14-quinquies, che sarebbe implicito.
Non si
riscontrerebbe alcuna violazione del principio di leale collaborazione nel
procedimento unico ambientale di competenza statale, che determinerebbe «un
efficiente coordinamento delle amministrazioni statali e locali coinvolte a
vario titolo nella realizzazione del progetto», anche attraverso
l’applicazione, ove necessario, del rimedio per le amministrazioni dissenzienti
(art. 14-quinques).
28.13.– Inammissibile, infine, sarebbe
la censura relativa all’art. 24 del d.lgs. n. 104 del 2017, per mancanza
assoluta di argomentazioni a sostegno.
29.– La Provincia autonoma di
Bolzano ha depositato memoria, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
29.1.– La Provincia
ritiene infondate le eccezioni di inammissibilità delle censure di
incostituzionalità, per genericità e carenza di adeguata motivazione, formulate
dall’Avvocatura generale dello Stato, rilevando come nel ricorso introduttivo
siano stati individuati specificamente i trasferimenti di competenze operati
per effetto del decreto legislativo impugnato e le singole norme che si hanno
disposti, indicando altresì, con argomentazioni tutt’altro che sintetiche, i
diversi profili di illegittimità in rapporto a una specifica serie di norme sia
della Costituzione, sia dello statuto di autonomia e delle relative
disposizioni di attuazione.
In particolare, nel
ricorso introduttivo sarebbero stati individuati specificamente i trasferimenti
di competenza operati per effetto del decreto legislativo impugnato
29.2.– Per quanto attiene, poi, alla
censura di violazione dell’art. 76 Cost., per
tardività dell’esercizio della delega legislativa, la censura non sarebbe
affatto inammissibile, posto che l’interesse della Provincia è di quello di far
caducare le disposizioni del d.lgs. n. 104 del 2017 invasive delle proprie
competenze legislative e amministrative.
Nel merito, la
Provincia ribadisce che il rinvio all’art. 31, comma 1, della legge n. 234 del
2012, operato dall’art. 1, comma 2, della legge n. 114 del 2015 al fine di
individuare il termine per l’esercizio della delega, deve ritenersi di
carattere mobile, e dunque comprensivo anche delle modifiche apportate alla
norma richiamata dall’art. 29, comma 1, lettera b), della successiva legge n.
115 del 2015.
29.3.– In relazione, poi, alla dedotta
violazione dell’art. 76 Cost., per mancato rispetto
dei principi di delega, contrariamente a quanto sostenuto dall’Avvocatura
generale dello Stato, il massiccio spostamento delle competenze dalle Regioni e
Province autonome allo Stato, disposto dal legislatore delegato, non potrebbe
ritenersi compreso in alcuno dei criteri fissati dall’art. 14 della legge n.
114 del 2015.
Tali competenze
statutarie non potrebbero considerarsi circoscritte dalla competenza in materia
di ambiente attribuita allo Stato con la legge cost.
n. 3 del 2001, la quale, in virtù del suo art. 10, non ha ristretto lo spazio
di autonomia spettanti agli enti ad autonomia differenziata in virtù dello
statuto speciale, come chiarito anche dalla giurisprudenza costituzionale (è
riportata la sentenza
n. 212 del 2017). Proprio per questo, la nuova ripartizione delle
competenze in materia di VIA, anziché rispondere al generale principio di
delega di cui all’art. 32, comma l, lettera g), della legge n. 234 del 2012,
come vorrebbe l’Avvocatura, lo violerebbe in modo evidente.
29.4.– Stante, quindi, la
configurabilità di un intreccio di materie, e non di una semplice «incidenza»,
sarebbe altrettanto evidente come nel procedimento di adozione del decreto
legislativo siano stati violati sia il principio di leale collaborazione – non
essendosi il Governo adeguato ai rilievi, né avendo cercato un’intesa, benché
vi fosse tenuto – sia il principio di sussidiarietà.
29.5.– In tale
prospettiva, sussisterebbe indubbiamente anche la violazione della norma di
attuazione allo Statuto speciale di autonomia di cui all’art. 7 del d.P.R. n. 526 del 1987, ora «consacrata» dall’art. 117,
quinto comma, Cost., che riconosce alla ricorrente
Provincia il potere di dare immediata attuazione alle direttive dell’Unione
europea nelle materie di propria competenza, salvo adeguarsi, nei limiti
previsti dallo Statuto speciale di autonomia, alle leggi statali di attuazione
dei predetti atti dell’Unione europea.
Sarebbe, pertanto,
tutt’altro che inconferente il richiamo all’art. 41 della legge n. 234 del
2012, ove si consideri che le disposizioni impugnate vengono a sovrapporsi e a
condizionare la disciplina provinciale, recando una disciplina che non ha i
caratteri della suppletività e della cedevolezza
richiesti per la finalità sostitutiva di cui al predetto articolo.
29.6.– La normativa statale non
potrebbe determinare l’abrogazione, neppure tacitamente e in via di fatto,
della normativa provinciale preesistente, stante la specifica norma di
attuazione statutaria di cui al citato art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992.
A questo riguardo,
la Provincia segnala che, nelle more, è entrata in vigore la legge provinciale
13 ottobre 2017, n. 17 (Valutazione ambientale per piani, programmi e
progetti), con la quale è stata data attuazione a tre direttive dell’Unione
europea, tra cui la direttiva 2011/92/UE, modificata dalla direttiva
2014/52/UE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati
progetti pubblici e privati, nonché alla Parte seconda del d.lgs. n. 152 del
2006. Tale legge disciplina i diversi procedimenti di valutazione ambientale a
livello provinciale, tenendo conto anche delle modifiche apportate dal d.lgs.
n. 104 del 2017, in discussione, entro i limiti prescritti dall’art. 2 del
d.lgs. n. 266 del 1992. La ricorrente dà, peraltro, atto che il Presidente del
Consiglio dei ministri ha proposto questioni di legittimità costituzionale di
alcune disposizioni della citata legge provinciale.
Considerato in diritto
1.– Con i ricorsi
indicati in epigrafe, le Regioni a statuto ordinario Lombardia, Puglia, Abruzzo,
Veneto e Calabria, le Regioni a statuto speciale Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Friuli-Venezia
Giulia e Sardegna, e le due Province autonome di Trento e di Bolzano hanno
promosso, in riferimento a plurimi parametri costituzionali e statutari,
questioni di legittimità costituzionale dell’intero decreto legislativo 16
giugno 2017, n. 104 (Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva
2011/92/UE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati
progetti pubblici e privati, ai sensi degli artt. 1 e 14 della legge 9 luglio
2015, n. 114), o di sue singole disposizioni.
Il decreto
legislativo impugnato è stato adottato sulla base della delega legislativa
conferita dagli artt. 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114 (Delega al
Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti
dell’Unione europea - Legge di delegazione europea 2014), al fine di dare
attuazione alla direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del
16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione
dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati. Nel
conferire al Governo la delega legislativa per l’attuazione della direttiva, il
legislatore delegante, per un verso, ha fatto rinvio a talune disposizioni
della legge 24 dicembre 2012, n. 234, recante «Norme generali sulla
partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e
delle politiche dell’Unione europea» (da ora in poi, anche: legge quadro
europea), e, per altro verso, ha stabilito specifici principi e criteri
direttivi.
Sulla base delle
norme di delega, il decreto legislativo impugnato ha realizzato un’ampia
riforma della disciplina delle procedure di valutazione di impatto ambientale
(VIA) e di verifica di assoggettabilità a VIA contenuta nel decreto legislativo
3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale» (da ora in poi,
anche: cod. ambiente). Le doglianze delle ricorrenti traggono origine dal
rilievo che le modifiche operate hanno comportato un riassetto – nel segno di
una marcata e, in assunto, illegittima centralizzazione – delle competenze,
tanto normative quanto amministrative, dello Stato e delle Regioni nella materia
considerata.
2.– In considerazione della
identità, anche solo parziale, delle norme impugnate e delle censure proposte,
i giudizi devono essere riuniti per essere trattati congiuntamente e decisi con
un’unica pronuncia.
3.– Devono essere prioritariamente
scrutinate, per ragioni di pregiudizialità logico-giuridica, le questioni di
legittimità costituzionale dell’intero decreto legislativo, promosse da alcune
delle ricorrenti. Queste ultime hanno chiaramente ed esaustivamente indicato le
competenze regionali o provinciali asseritamente
incise dall’atto impugnato, con ciò assolvendo l’onere di motivare circa la
ridondanza del vizio di eccesso di delega sulle loro attribuzioni
costituzionalmente garantite.
3.1.– La Regione Puglia e la Provincia
autonoma di Trento assumono che il decreto legislativo sarebbe stato adottato
in violazione dell’art. 76 della Costituzione (e anche dell’art. 77, secondo la
Provincia autonoma di Trento), per tardivo esercizio della delega.
Analoga censura, pur
se formalmente rivolta ai soli artt. 5, comma 1 – nella parte in cui introduce
l’art. 7-bis, commi 2, 3, 7, 8 e 9, nel d.lgs. n. 152 del 2006 –, 22, commi 1,
2, 3 e 4, e 23, commi 1 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, è altresì proposta
dalla Provincia autonoma di Bolzano.
Le ricorrenti
osservano che l’art. 1, comma 2, della legge n. 114 del 2015 ha individuato il
termine per l’esercizio della delega mediante rinvio all’art. 31, comma 1,
della legge n. 234 del 2012. Tale disposizione, nel testo vigente al momento dell’entrata
in vigore della legge di delega, prevedeva che i decreti legislativi per
l’attuazione delle direttive europee dovessero essere adottati entro i due mesi
antecedenti il termine di recepimento della direttiva da attuare. La direttiva
2014/52/UE doveva essere recepita entro il 16 maggio 2017 e, pertanto, il
termine per l’esercizio della delega sarebbe scaduto il 16 marzo 2017.
Successivamente
all’entrata in vigore della legge delega, l’art. 29 della legge 29 luglio 2015,
n. 115 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti
dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea - Legge europea 2014), ha
modificato la disposizione oggetto del rinvio (l’art. 31, comma 1, della legge
n. 234 del 2012), prevedendo che i decreti legislativi di attuazione delle
direttive devono essere adottati entro i quattro mesi antecedenti il termine di
recepimento della direttiva.
Secondo le
ricorrenti, il Governo era tenuto al rispetto di questo diverso e più ristretto
termine. Il rinvio operato dalla legge delega andrebbe inteso, infatti, come
rinvio mobile, e non già come rinvio fisso o recettizio. Il rinvio fisso
potrebbe essere ravvisato – per ripetuta affermazione di questa Corte (è
richiamata, in particolare, la sentenza n. 258 del
2014) – solo in presenza di una volontà espressa del legislatore, ovvero di
elementi «univoci e concludenti», non riscontrabili nella specie.
Il termine di
esercizio della delega sarebbe scaduto, perciò, il 16 gennaio 2017, con
conseguente tardività del decreto delegato, emanato invece il 16 giugno 2017.
3.1.1.– Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
eccepito l’inammissibilità delle questioni promosse dalla Provincia autonoma di
Bolzano, stante la mancata corrispondenza tra le censure (che varrebbero a
travolgere l’intero decreto legislativo) e il petitum,
limitandosi la Provincia ricorrente a richiedere la declaratoria di
illegittimità costituzionale di singole disposizioni del decreto.
L’eccezione non è
fondata.
La ricorrente ha
ritenuto di impugnare le sole disposizioni che reputa lesive delle proprie
competenze costituzionalmente garantite. La circostanza che il vizio lamentato
potrebbe determinare, in ipotesi, l’illegittimità costituzionale non solo delle
disposizioni censurate, ma del decreto legislativo nella sua interezza, non
vale – contrariamente a quanto sostenuto dal resistente – a rendere dovuta,
pena la sua inammissibilità, l’impugnazione dell’intero atto normativo.
3.1.2.– Nel merito, le questioni non
sono fondate.
L’Avvocatura dello
Stato ha correttamente rilevato, infatti, che interpretare quale rinvio mobile
il rinvio all’art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, operato dalla
legge delega, si porrebbe in contrasto con il principio generale di
irretroattività delle leggi di cui all’art. 11 delle disposizioni preliminari
al codice civile, il quale impone di ritenere che il "nuovo” termine per
l’esercizio delle deleghe di attuazione della normativa europea si applica alle
sole deleghe legislative conferite successivamente alla modifica del richiamato
art. 31, comma 1.
Non giova opporre,
come fanno invece le ricorrenti, che il principio di irretroattività vale solo
per le norme sostanziali, mentre nella specie si tratterebbe di una norma
procedimentale, soggetta al principio tempus regit actum. Di là da ogni
considerazione sul fatto che la norma che fissa il termine entro cui esercitare
la delega non è meramente procedimentale, perché determina quel «tempo
limitato» (art. 76 Cost.) durante il quale il Governo
ha il potere di esercitare in via eccezionale una funzione, quella legislativa,
che ordinariamente spetta alle Camere, deve escludersi, salvo espressa
indicazione di segno contrario, che la modifica – in senso abbreviativo – del
termine per l’esercizio di un potere o di una facoltà possa applicarsi in
confronto a poteri e facoltà già insorti e rispetto ai quali sta decorrendo il
termine originario: il che è precisamente la situazione del caso di specie,
essendo la legge delega entrata in vigore prima della modifica all’art. 31,
comma 1, della legge n. 234 del 2012. Una diversa soluzione rischierebbe di
produrre, d’altra parte, risultati illogicamente penalizzanti, potendo
determinare – in assenza di un’univoca manifestazione in tal senso da parte del
titolare della funzione legislativa – il radicale azzeramento del potere del
delegato.
L’interpretazione
del rinvio in esame quale rinvio fisso, d’altronde, è quella che risponde
all’esigenza che il legislatore delegante determini il «tempo limitato» entro
cui può essere esercitata la delega «in uno qualunque dei modi che consentano
di individuare, in via diretta, o anche indirettamente con l’indicazione di un
evento futuro ma certo, il momento iniziale e quello finale del termine» (sentenza n. 163 del
1963). Se, infatti, il potere del Governo di esercizio della funzione
legislativa ex art. 76 Cost. deve
essere temporalmente delimitato dalla legge delega, l’individuazione certa del
termine ottenuta attraverso il rinvio ad una disposizione di carattere generale
(quale il procedimento, ed i relativi termini, delineato dalla legge n. 234 del
2012) non può considerarsi modificata, in mancanza di una espressa volontà del
legislatore delegante, in caso di intervento normativo sulla disposizione
oggetto del rinvio. La necessità che il termine per l’esercizio della delega
sia definito, pur se indirettamente determinato, rende obbligata, dunque,
l’opzione ermeneutica secondo cui l’art. 1, comma 2, della legge n. 114 del
2015 è disposizione recante un rinvio fisso: così interpretata la norma di
delega, infatti, il delegante ha individuato con certezza il «tempo limitato»
di cui all’art. 76 Cost., senza, peraltro, che ciò
gli impedisca, in un momento successivo, di intervenire espressamente, a delega
aperta, per rideterminare, con altrettanta certezza, il momento finale del
termine.
3.2.– La Provincia autonoma di Trento
(e la Regione Puglia, ma soltanto nella memoria illustrativa, il che rende
inammissibile la questione da questa promossa) ritiene che, anche a voler
considerare fisso il rinvio di cui all’art. 1, comma 2, della legge n. 114 del
2015, il decreto legislativo sarebbe stato del pari adottato tardivamente.
Come si è già visto,
infatti, il termine per l’esercizio della delega sarebbe scaduto il 16 marzo 2017.
In tale stessa data, il Governo ha trasmesso lo schema di decreto legislativo
alle Camere, perché, secondo quanto prescritto dall’art. 1, comma 3, della
legge delega, venisse espresso il parere dei competenti organi parlamentari:
parere, questo, che doveva essere reso entro quaranta giorni dalla trasmissione
(art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012). A opinione del Governo, si
sarebbe in tal modo determinata la condizione prevista dal medesimo art. 31,
comma 3, per la proroga di tre mesi (id est: dal 16 marzo 2017 al 16 giugno
2017) del termine per l’esercizio della delega: ai sensi del citato art. 31,
comma 3, infatti, se il termine per rendere il parere parlamentare cade entro i
trenta giorni antecedenti la scadenza dei termini di delega o, come nel caso di
specie, successivamente a tale scadenza, quest’ultima è, per l’appunto,
prorogata di tre mesi. In ragione di tale slittamento del termine, pertanto, la
delega sarebbe stata esercitata tempestivamente, dal momento che il d.lgs n. 104 del 2017 è stato emanato il 16 giugno 2017 (ed
è alla data di emanazione che, ai sensi dell’art. 14, comma 2, della legge 23
agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento
della Presidenza del Consiglio dei Ministri», deve farsi riferimento per
verificare il rispetto del requisito del «tempo limitato»).
La Provincia
autonoma di Trento, tuttavia, sostiene che nel caso di specie non poteva
trovare applicazione l’art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012, poiché
l’art. 1, comma 2, della legge delega, nell’individuare i termini per il suo
esercizio, fa espressamente rinvio al solo comma 1 di tale art. 31, e non anche
al successivo comma 3, il quale appunto prevede l’ipotesi della proroga. Il
Governo, pertanto, avrebbe potuto esercitare la delega, invariabilmente, entro
il 16 marzo 2017 e, conseguentemente, l’emanazione del decreto legislativo
sarebbe avvenuta fuori termine.
3.2.1.– La questione non è fondata.
Come è correttamente
rilevato dall’Avvocatura dello Stato, l’art. 1, comma 1, della legge n. 114 del
2015 testualmente delegava il Governo ad esercitare la funzione legislativa
«secondo le procedure, i princìpi e i criteri direttivi di cui agli articoli 31
e 32» della legge n. 234 del 2012. L’espresso richiamo alle procedure non può
che riferirsi all’intero art. 31 – la cui rubrica precisamente recita
«Procedure per l’esercizio delle deleghe legislative conferite al Governo con
la legge di delegazione europea» – e, dunque, anche al comma 3, il quale,
d’altro canto, non fa altro che prescrivere la procedura da seguire per
l’acquisizione dei previsti pareri sullo schema di decreto legislativo.
Nella memoria
illustrativa, la Provincia autonoma di Trento ha escluso la praticabilità di
tale opzione ermeneutica, sostenendo che la fissazione del termine per
l’esercizio della delega sarebbe contenuta in una norma speciale, quale sarebbe
l’art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012. È sufficiente rilevare, in
senso contrario a quanto affermato dalla ricorrente, che la disposizione pone,
invece, una norma generale relativa all’individuazione del termine per
l’attuazione, tramite decreto legislativo, della normativa europea, come del
pari è generale la norma che prevede, al ricorrere di determinati sviluppi
procedimentali nell’esercizio del potere delegato, lo slittamento di detto
termine.
Né varrebbe
sostenere – come pure la Provincia autonoma di Trento fa nella memoria
illustrativa – che sarebbe contraddittorio attribuire all’art. 1, comma 2,
della legge delega ora valore recettizio, nella determinazione del termine per
l’esercizio del potere delegato, ora valore mobile, quanto al meccanismo per la
sua eventuale proroga. Tale disposizione di delega viene in considerazione,
infatti, per la sola individuazione del termine per l’adozione del decreto
legislativo, tramite il rinvio fisso all’art. 31, comma 1, della legge n. 234
del 2012; l’applicabilità delle procedure complessivamente previste dal
medesimo art. 31 – ivi compresa, ove ne ricorrano i presupposti procedimentali,
l’operatività della proroga del termine – è prodotta, invece, dal comma 1
dell’art. 1 della legge delega, a nulla rilevando, dunque, la qualifica di
rinvio recettizio da riconoscere al successivo comma 2. E ciò, a tacer del
fatto che l’art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012, comunque sia, è
ancora oggi vigente nella sua formulazione originaria.
3.3.– La Provincia autonoma di Trento
impugna l’intero decreto legislativo anche sotto altro profilo.
La ricorrente
osserva che l’art. 1, comma 3, della legge delega prevedeva che lo schema di
decreto fosse trasmesso alle Commissioni parlamentari «dopo l’acquisizione
degli altri pareri previsti dalla legge». Nella specie, quindi, il Governo
avrebbe dovuto provvedere a tale trasmissione solo dopo aver acquisito il
parere della Conferenza Stato-Regioni, prescritto dall’art. 2, comma 3, del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle
attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le
materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei
comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), per gli schemi di
decreto legislativo «nelle materie di competenza delle regioni o delle province
autonome»: materie sicuramente incise dalla nuova disciplina della VIA.
Il Governo, invece,
ha trasmesso lo schema alla Conferenza Stato-Regioni e alle Commissioni
parlamentari, per i rispettivi pareri, lo stesso giorno (16 marzo 2017). Tale
espediente sarebbe servito a "lucrare” indebitamente la proroga del termine di
esercizio della delega di cui si è detto, dando luogo, perciò, ad un «abuso di
procedimento» in violazione dell’art. 76 Cost. e, inoltre, eludendo il termine di recepimento previsto
dalla direttiva europea, con conseguente violazione anche dell’art. 117, primo
comma, Cost. In subordine, la ricorrente ritiene sia
stato altresì violato il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120,
secondo comma, Cost., poiché l’inversione dell’ordine dei pareri avrebbe
impedito alle Commissioni parlamentari di prendere cognizione delle posizioni
delle Regioni e Province autonome e di esprimersi sulle relative osservazioni.
3.3.1.– Deve essere
disattesa, anzitutto, la tesi difensiva dell’Avvocatura dello Stato, secondo la
quale, nella specie, non sarebbe stato obbligatorio acquisire il parere della
Conferenza Stato-Regioni, posto che – per costante giurisprudenza
costituzionale – la disciplina della VIA non rientrerebbe nelle competenze regionali,
ma nella materia della tutela dell’ambiente, di competenza statale esclusiva,
con conseguente difetto del presupposto di operatività del citato art. 2, comma
3, del d.lgs. n. 281 del 1997.
Va osservato,
infatti, che tale ultima disposizione non può essere riferita ai decreti
legislativi che intendano invadere competenze regionali esclusive, i quali,
ovviamente, sarebbero di per sé costituzionalmente illegittimi. Come ha
correttamente osservato la ricorrente, la necessità di acquisire il parere, obbligatoriamente
previsto dall’appena citato decreto legislativo, sussiste, invece, ogni
qualvolta lo Stato, esercitando competenze normative proprie in materie di cui
all’art. 117, secondo comma, Cost., oppure stabilendo principi fondamentali in materie di cui
all’art. 117, terzo comma, Cost., interferisce con
ambiti di competenza regionale.
E non può esservi
dubbio che, a fronte di una materia trasversale quale la «tutela
dell’ambiente», per di più allorché si detti la disciplina della VIA, possa
determinarsi una interferenza con ambiti di competenza regionale. D’altronde,
come attesta la relazione allo schema di decreto legislativo, lo stesso Governo
ha inteso come obbligatorio il parere della Conferenza Stato-Regioni. E ciò
appare evidentemente assorbire qualsiasi diversa tesi avanzata, in astratto,
dall’Avvocatura dello Stato.
3.3.2.– Le questioni sono, comunque
sia, non fondate.
3.3.3.– Movendo dalla questione
proposta in riferimento all’art. 76 Cost., deve
rilevarsi che questa Corte ne ha già scrutinato una analoga, del pari promossa
in base all’assunto che il decreto legislativo impugnato fosse stato adottato
in violazione della scansione procedimentale, in ordine alla richiesta dei
pareri, prescritta dalla disposizione di delega, con ciò facendo scattare lo
slittamento del termine per l’esercizio della delega, pure allora
normativamente previsto.
Si è affermato, in
quella occasione, per un verso, che, al fine di rispettare la norma di delega,
«[l]’adempimento procedurale imprescindibile» era che le Commissioni
parlamentari «rendessero parere dopo avere avuto contezza di quelli espressi»
dagli altri organi coinvolti nel procedimento; per un altro, che, le condizioni
per l’operatività della proroga del termine per l’esercizio della delega erano
costituite dalla trasmissione della richiesta di parere alle Commissioni
parlamentari, dalla circostanza che il termine per rendere tale parere sarebbe
scaduto entro il lasso di tempo indicato dalla norma di delega e, infine,
dall’essere stato avviato il procedimento anche in relazione agli altri organi
coinvolti per volontà del legislatore delegante, «in modo da permettere a
questi ultimi di rendere il parere e di garantirne l’acquisizione da parte
delle Commissioni parlamentari entro un tempo in grado di assicurare
l’esaurimento del procedimento» (sentenza n. 261 del
2017).
L’art. 1, comma 3,
della legge n. 114 del 2015, norma interposta nel presente giudizio di
legittimità costituzionale, è ispirato alla medesima ratio. L’odierna
disposizione delegante, infatti, prescrivendo che la trasmissione alle
Commissioni parlamentari dello schema di decreto avvenisse una volta acquisiti
gli altri pareri previsti dalla legge, ha imposto che tali Commissioni,
articolazione interna del soggetto titolare della funzione legislativa, fossero
sentite e si esprimessero per ultime sullo schema di decreto, in modo da
rendere il proprio parere potendo tenere in considerazione le osservazioni
contenute negli «altri pareri previsti dalla legge».
Emerge chiaramente,
dall’esame degli sviluppi procedimentali successivi alla trasmissione dello
schema di decreto legislativo a tutti gli organi chiamati a esprimere parere
(avvenuta il 16 marzo 2017, come attestato dagli atti parlamentari), che la
ratio della norma di delega è stata rispettata, poiché le Commissioni
parlamentari hanno reso il proprio parere avendo contezza di quello
precedentemente espresso dalla Conferenza Stato-Regioni. Difatti: il 4 maggio
2017 quest’ultima ha reso parere favorevole, con condizioni; le Commissioni
VIII (Ambiente) e XIV (Politiche dell’Unione europea) della Camera dei
deputati, successivamente alla formale trasmissione del parere della Conferenza
Stato-Regioni, hanno espresso il proprio parere, rispettivamente, il 10 maggio
e il 17 maggio 2017; infine, la XIII Commissione del Senato della Repubblica
(Territorio, ambiente, beni ambientali) ha espresso il proprio parere il 16
maggio 2017, dopo aver ricevuto il parere della Conferenza Stato-Regioni, e,
per di più, aver sentito, nel corso di una audizione informale il 9 maggio
2017, i rappresentanti di detta Conferenza.
Va rilevato, a
conferma della piena «interlocuzione sullo schema di decreto delegato degli
organi chiamati a rendere il parere» (sentenza n. 261 del
2017), come questi ultimi si siano tutti espressi oltre i termini
indirettamente prescritti dalla legge delega: la Conferenza Stato-Regioni, ai
sensi dell’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 281 del 1997, avrebbe dovuto rendere
il parere entro venti giorni dalla trasmissione dello schema di decreto e,
dunque, non oltre il 5 aprile 2017; le Commissioni parlamentari, dal canto
loro, disponevano, ai sensi dell’art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012,
richiamato dall’art. 1, comma 1, della legge delega, di quaranta giorni, sempre
a far data dalla trasmissione, e, pertanto, si sarebbero dovute esprimere non
oltre il 25 aprile 2017. Nonostante l’avvenuta decorrenza dei termini, del
resto ordinatori, il Governo, invece di procedere con l’adozione del decreto
legislativo e con la trasmissione del medesimo al Presidente della Repubblica
per la sua emanazione, secondo quanto consentitogli dal richiamato art. 31,
comma 3, ha opportunamente deciso di attendere l’espressione dei pareri.
Il complessivo
procedimento, pertanto, si è svolto con modalità che hanno consentito alle
Commissioni parlamentari di avere conoscenza – condizione ineludibile, questa,
per la legittimità del procedimento di adozione del decreto legislativo – del
parere espresso dalla Conferenza Stato-Regioni. Ciò che, peraltro, è
sufficiente per considerare non fondata la questione, promossa in via
subordinata e basata su un’asserita inversione dei pareri, per violazione del
principio di leale collaborazione.
La circostanza che
il procedimento di adozione del decreto legislativo sia avvenuto nel rispetto
della ratio della norma di delega, dunque senza l’«abuso
di procedimento» denunciato dalla ricorrente, esclude altresì che la
contestuale trasmissione dello schema a Commissioni parlamentari e Conferenza Stato-Regioni
sia valsa soltanto a ottenere indebitamente lo slittamento del termine per
l’esercizio della delega. Tale slittamento, che ha consentito l’emanazione del
decreto legislativo il 16 giugno 2017, si è verificato, difatti, in ragione
della sussistenza delle condizioni previste dalla delega: trasmissione dello
schema di decreto alle Commissioni parlamentari entro il termine per
l’esercizio del potere delegato; coinvolgimento, entro quel medesimo termine,
anche della Conferenza Stato-Regioni; infine, scadenza del termine per rendere
il parere da parte degli organi parlamentari in data successiva a quella entro
cui si sarebbe dovuto procedere all’emanazione del decreto legislativo.
3.3.4.– Non fondata è, poi, la
questione in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost.,
la cui violazione sarebbe stata in ipotesi determinata dall’emanazione del
decreto legislativo oltre il termine per il recepimento della direttiva. È
sufficiente rilevare, in proposito, come il suo accoglimento aggraverebbe il
vulnus al parametro costituzionale evocato, poiché l’annullamento dell’intero
decreto legislativo renderebbe lo Stato italiano responsabile per il mancato
recepimento della direttiva 2014/52/UE.
3.4.– La Regione Puglia impugna
l’intero decreto legislativo, lamentando sia stato adottato in contrasto con il
principio di leale collaborazione, in quanto, incidendo la disciplina da esso
recata su un intreccio di materie di competenza statale e regionale, la sua
adozione avrebbe dovuto essere preceduta dall’intesa con le Regioni,
conformemente a quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 251 del
2016.
Censure di identico
tenore sono svolte da tutte le altre ricorrenti in rapporto non all’intero
decreto legislativo, ma a singole disposizioni del decreto impugnato.
3.4.1.– Le ricorrenti ritengono che il
principio della previa intesa derivi direttamente dalla Costituzione e debba,
pertanto, trovare applicazione anche in assenza di espresse previsioni della
legge delega.
La Regione Valle
d’Aosta/Vallée d’Aoste e la
Regione Puglia, inoltre, chiedono a questa Corte – qualora ritenga che l’intesa
debba essere prevista a monte dal legislatore delegante – di sollevare innanzi
a sé stessa questione di legittimità costituzionale della legge delega n. 114
del 2015.
3.4.2.– In relazione ad alcuni dei
ricorsi, il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito in via
preliminare l’inammissibilità delle censure, in quanto non precedute dalla
tempestiva impugnazione, in parte qua, della legge delega. Impugnazione la cui esperibilità è, peraltro, contestata dalle ricorrenti nelle
memorie illustrative, sull’assunto che i principi e criteri direttivi della
legge n. 114 del 2015 non presenterebbero quel tasso di specificità e
concretezza atto a rendere immediatamente percepibile l’invasione delle
competenze regionali.
3.4.3.– L’eccezione di inammissibilità
è fondata.
Questa Corte ha già
affermato che, alla luce dei principi desumibili dalla sentenza n. 251 del
2016, la norma di delega può essere impugnata «allo scopo di censurare le
modalità di attuazione della leale collaborazione dalla stessa prevista ed al
fine di ottenere che il decreto delegato sia emanato previa intesa» (sentenza n. 261 del
2017). Dall’immediata impugnabilità della norma di delega, per violazione
del principio di leale collaborazione, deriva, per un verso, che «la lesione
costituisce effetto diretto ed immediato di un vizio della stessa, non del
decreto delegato» e, per un altro, che l’eventuale vizio del decreto delegato
è, dunque, meramente riflesso, con la conseguenza che la censura di violazione
del principio di leale collaborazione «denuncia in realtà un vizio che concerne
direttamente ed immediatamente la norma di delega» (sentenza n. 261 del
2017).
La mancata
impugnazione della legge delega non può essere impropriamente surrogata, per le
ragioni anzidette, dalle questioni di legittimità proposte negli odierni
giudizi, le quali, pertanto, vanno dichiarate inammissibili. Tali ultime
argomentazioni valgono altresì a escludere che questa Corte possa prendere in
considerazione l’istanza di autorimessione sulla
legge delega, proposta dalla Regione Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste e dalla Regione Puglia (sentenza n. 261 del
2017).
4.– Al fine di procedere allo
scrutinio delle questioni di legittimità costituzionale promosse avverso le
singole disposizioni del decreto legislativo impugnato, è necessario premettere
un esame del contenuto normativo della direttiva 2014/52/UE e della legge
delega n. 114 del 2015, nonché una ricostruzione dell’ambito materiale sul quale
interviene il d.lgs. n. 104 del 2017.
5.– Come già anticipato, il d.lgs.
n. 104 del 2017 ha realizzato un ampio intervento di riforma delle procedure di
valutazione di impatto ambientale, già puntualmente disciplinate dal cod.
ambiente sulla scorta degli impulsi derivanti dal diritto sovranazionale sin
dalla direttiva 85/337/CEE del Consiglio del 27 giugno 1985, concernente la
valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati.
5.1.– Si tratta di un settore ove
l’intervento europeo si è manifestato in tutta la sua evidenza, in nome di
finalità e obiettivi che hanno sviluppato in senso progressivo le stesse norme
costituzionali, prive, sino alla riforma del Titolo V della Parte II della
Costituzione, di significativi riferimenti al valore ambientale, se si esclude
il cenno al paesaggio di cui all’art. 9 Cost.
Come questa Corte ha
avuto modo di affermare in una risalente decisione riguardante il "prototipo”
della VIA, la normativa interna di recepimento della direttiva 85/337/CEE ha
dato, per la prima volta, «riconoscimento specifico alla salvaguardia
dell’ambiente come diritto fondamentale della persona ed interesse fondamentale
della collettività» (sentenza n. 210 del
1987). L’emersione dell’ambiente quale bene giuridico complesso, insieme
situazione soggettiva e interesse obiettivo della collettività, ha reso
necessaria la creazione di «istituti giuridici per la sua protezione»,
nell’ottica di «una concezione unitaria […] comprensiva di tutte le risorse
naturali e culturali» del Paese. In altri termini, l’ambiente esprime valori
che «la Costituzione prevede e garantisce (artt. 9 e 32 Cost.),
alla stregua dei quali, le [relative] norme di previsione abbisognano di una
sempre più moderna interpretazione» (sentenza n. 210 del
1987).
5.2.– La VIA ha, dunque, una duplice
valenza: istituto comunitariamente necessitato, essa ha rappresentato, sin
dalle sue origini, uno strumento per individuare, descrivere e valutare gli
effetti di un’attività antropica sulle componenti ambientali e, di conseguenza,
sulla stessa salute umana, in una prospettiva di sviluppo e garanzia dei valori
costituzionali. Descritta dall’art. 5 cod. ambiente, la VIA ha giuridicamente
una struttura anfibia: per un verso, conserva una dimensione partecipativa e
informativa, volta a coinvolgere e a fare emergere nel procedimento
amministrativo i diversi interessi sottesi alla realizzazione di un’opera ad
impatto ambientale; per un altro, possiede una funzione autorizzatoria
rispetto al singolo progetto esaminato.
5.3.– Il d.lgs. n. 104 del 2017 si
inserisce in tale contesto. Esso declina nell’ordinamento italiano le
innovazioni apportate dalla direttiva 2014/52/UE che modifica la direttiva
2011/92/UE.
5.3.1.– La novella sovranazionale è
incentrata, anzitutto, sull’obiettivo di migliorare la qualità della procedura
di valutazione dell’impatto ambientale, allineandola ai principi della
regolamentazione intelligente, e cioè della regolazione diretta a semplificare
le procedure e a ridurre gli oneri amministrativi implicati nella realizzazione
dell’opera. In coerenza con questi obiettivi, la direttiva si propone di
promuovere l’integrazione delle valutazioni dell’impatto ambientale nelle
procedure nazionali (considerando n. 21), realizzando procedure coordinate e/o
comuni nel caso in cui la valutazione risulti contemporaneamente dalla
direttiva in oggetto e da altre direttive europee in materia ambientale
(considerando n. 37). Essa si preoccupa di potenziare l’accesso del pubblico
alle informazioni ambientali anche mediante la pubblicazione del progetto e
delle osservazioni in formato elettronico (considerando n. 18) e di prevedere
l’eventuale esonero dalle procedure per progetti, o parti di progetti,
destinati a scopo di difesa nazionale oppure aventi quale unica finalità la risposta
alle emergenze che riguardano la protezione civile (considerando n. 19 e n.
20).
La direttiva,
inoltre, impone agli Stati membri di assicurare trasparenza e responsabilità,
documentando le proprie decisioni e considerando i risultati delle consultazioni
effettuate e delle pertinenti informazioni raccolte, adattando e chiarendo i
criteri di selezione per stabilire quali progetti sottoporre a VIA, richiedendo
altresì di precisare il contenuto della determinazione successiva alla verifica
di assoggettabilità a VIA, in particolare in caso non sia richiesta una
valutazione dell’impatto (considerando n. 29).
Infine, la direttiva
invita gli Stati membri a garantire che il processo decisionale si svolga
«entro un lasso di tempo ragionevole», in funzione della natura, complessità e
ubicazione del progetto nonché delle sue dimensioni (considerando n. 36) e a
determinare, in piena autonomia, sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive
da applicare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate ai
sensi della direttiva (considerando n. 38).
5.3.2.– Questi
principi sono stati in parte riprodotti dalla legge delega n. 114 del 2015, la
quale ha stabilito, all’art. 14, che il Governo avrebbe dovuto realizzare la
«semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di
valutazione di impatto ambientale anche in relazione al coordinamento e
all’integrazione con altre procedure volte al rilascio di pareri e
autorizzazioni a carattere ambientale»; rafforzare la «qualità della procedura
di valutazione di impatto ambientale, allineando tale procedura ai princìpi
della regolamentazione intelligente (smart regulation) e della coerenza e delle sinergie con altre
normative e politiche europee e nazionali», e revisionare il sistema
sanzionatorio «al fine di definire sanzioni efficaci, proporzionate e
dissuasive e di consentire una maggiore efficacia nella prevenzione delle
violazioni». Nell’intervento di riforma, infine, l’esecutivo avrebbe dovuto
prevedere «la destinazione dei proventi derivanti dalle sanzioni amministrative
per finalità connesse al potenziamento delle attività di vigilanza, prevenzione
e monitoraggio ambientale, alla verifica del rispetto delle condizioni previste
nel procedimento di valutazione ambientale, nonché alla protezione sanitaria
della popolazione in caso di incidenti o calamità naturali».
5.3.3.– In attuazione della delega, è
stato emanato il d.lgs. n. 104 del 2017, impugnato dalle ricorrenti. Tale atto
ha riallocato in capo allo Stato alcuni procedimenti in materia di VIA in
precedenza assegnati alle Regioni e ha disciplinato nuovamente, nella sua
interezza, la procedura di verifica di assoggettabilità a VIA e la VIA,
introducendo altresì significative innovazioni, quali il provvedimento unico in
materia ambientale (facoltativo per i procedimenti di competenza statale,
obbligatorio per le Regioni).
6.– Alla luce di tali premesse,
emerge ictu oculi come la materia su cui insiste il
decreto legislativo impugnato sia riconducibile, in via prevalente, alla
competenza esclusiva dello Stato in tema di tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.).
Questa Corte ha in più occasioni affermato che «[l]’obbligo di sottoporre il
progetto alla procedura di VIA o, nei casi previsti, alla preliminare verifica
di assoggettabilità a VIA, rientra nella materia della "tutela ambientale”»
altresì precisando che esso rappresenta «nella disciplina statale, anche in
attuazione degli obblighi comunitari, un livello di protezione uniforme che si
impone sull’intero territorio nazionale, pur nella concorrenza di altre materie
di competenza regionale» (sentenze n. 232 del 2017
e n. 215 del
2015; nello stesso senso, le sentenze n. 234 e n. 225 del
2009).
6.1.– La VIA, dunque, rappresenta lo
strumento necessario a garantire una tutela unitaria e non frazionata del bene
ambiente. Per costante giurisprudenza di questa Corte, la tutela dell’ambiente
non è configurabile «come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta
e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia
inestricabilmente con altri interessi e competenze». L’ambiente è un valore
«costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia
"trasversale”, in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben
possono essere regionali, spettando [però] allo Stato le determinazioni che
rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio
nazionale» (sentenza
n. 407 del 2002; nello stesso senso, più recentemente, le sentenze n. 66 del 2018,
n. 218 e n. 212 del
2017, n. 210 del
2016). In tal caso, la disciplina statale nella materia della tutela
dell’ambiente «"viene a funzionare come un limite alla disciplina che le
Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza”,
salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più
elevata nell’esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che
concorrano con quella dell’ambiente» (sentenza n. 199 del
2014; nello stesso senso, le sentenze n. 246 e n. 145 del
2013, n. 67 del
2010, n. 104
del 2008 e n.
378 del 2007).
La trasversalità
della tutela ambientale implica una connaturale intersezione delle competenze
regionali, attraversate, per così dire, dalle finalità di salvaguardia insite
nella materia-obiettivo.
6.2.– Quanto appena
detto, utile a inquadrare l’ambito materiale interessato dalla disciplina, deve
essere ulteriormente specificato con riferimento agli enti ad autonomia
differenziata: in relazione a questi ultimi, la competenza esclusiva dello
Stato in materia ambientale deve essere necessariamente contemperata con lo
spazio di autonomia spettante in virtù dello statuto speciale (sentenze n. 212 del 2017,
n. 51 del 2016,
n. 233 del 2013
e n. 357 del
2010).
6.2.1.– Non può escludersi che, nel
caso di specie, vista la molteplicità di ambiti materiali toccati
dall’intervento statale, comunque funzionalizzato, nel suo insieme, ad offrire
una efficace, territorialmente non frazionabile, tutela ambientale, possano
venire in rilievo alcune delle competenze disciplinate dagli statuti speciali.
Ciò nonostante, va rilevato che tutti gli statuti speciali delle ricorrenti
annoverano, tra i limiti alle competenze statutariamente previste, le norme
statali di riforma economico-sociale e gli obblighi internazionali (artt. 4 e 8
del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante
«Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige»; art. 2 della legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 4, recante «Statuto speciale per la Valle d’Aosta»; art. 4
della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, recante «Statuto speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia»; art. 3 della legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 3, recante «Statuto speciale per la Sardegna»).
Con riferimento alle
norme fondamentali di riforma economico-sociale, anche recentemente questa
Corte ha preteso «dalle regioni speciali (e dalle due province autonome) il
rispetto di prescrizioni legislative statali di carattere generale incidenti su
materie assoggettate dagli statuti al regime della competenza legislativa piena
o primaria» (sentenza
n. 229 del 2017). In particolare, il legislatore statale conserva il potere
di vincolare la potestà legislativa primaria della Regione speciale attraverso
leggi qualificabili come "riforme economico-sociali”: «e ciò anche sulla base
[…] del titolo di competenza legislativa nella materia "tutela dell’ambiente,
dell’ecosistema e dei beni culturali”, di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera s), della Costituzione, comprensiva tanto della tutela del paesaggio
quanto della tutela dei beni ambientali o culturali; con la conseguenza che le
norme fondamentali contenute negli atti legislativi statali emanati in tale
materia potranno continuare ad imporsi al necessario rispetto […] degli enti ad
autonomia differenziata nell’esercizio delle proprie competenze» (sentenza n. 229 del
2017; nello stesso senso, le sentenze n. 212 del 2017,
n. 233 del 2010,
n. 164 del 2009,
n. 51 del 2006
e n. 536 del
2002).
6.2.2.– Non vi è dubbio che la
normativa censurata può essere ascritta a tale categoria: le norme fondamentali
di riforma economico-sociale sono tali, infatti, per il loro «contenuto
riformatore» e per la loro «attinenza a settori o beni della vita
economico-sociale di rilevante importanza» (sentenza n. 229 del
2017). Gli interessi sottesi alla disciplina, che postulano una uniformità
di trattamento sull’intero territorio nazionale (sentenze n. 170 del 2001,
n. 477 del 2000
e n. 323 del
1998; da ultimo, anche sentenza n. 229 del
2017), assieme allo stretto rapporto di strumentalità che, nel caso de quo,
le disposizioni intrattengono con il valore ambientale, bene di rango
costituzionale che trova proprio nella valutazione di impatto ambientale un
imprescindibile strumento di salvaguardia, concorrono a qualificare come norme
fondamentali di riforma economico-sociale quelle recate dal decreto legislativo
censurato. Con l’ovvia precisazione che quest’ultima è qualificazione che non
può essere attribuita, immediatamente ed indistintamente, a tutte le
disposizioni di tale decreto legislativo, ma deve essere valutata di volta in
volta, alla luce della loro ratio, potendo risultare censurabili «qualora siano
eccedenti o comunque incongruenti rispetto alla finalità complessiva della
legge» (sentenza
n. 212 del 2017).
6.2.3.– Peraltro, in forza della sua
diretta derivazione europea, la normativa censurata deve rispettare anche i
relativi vincoli, riconducibili al limite degli obblighi internazionali
previsto dagli statuti speciali.
7.– Tutto ciò premesso, possono
essere scrutinate le questioni di legittimità costituzionale promosse nei
confronti di singole disposizioni del decreto legislativo.
8.– Per ragioni di pregiudizialità
logico-giuridica, devono essere prioritariamente prese in esame le questioni,
promosse in riferimento all’art. 76 Cost., fondate su
censure dall’analogo, quando non del tutto identico, tenore argomentativo.
Le dieci ricorrenti,
infatti, impugnano plurime disposizioni del d.lgs. n. 104 del 2017 lamentando
che sono state adottate in eccesso di delega, posto che il profondo riassetto
delle competenze, in materia di VIA, tra Stato e Regioni, operato dal
legislatore delegato, non troverebbe alcuna base di legittimazione, né nella
legge di delegazione, né nella direttiva europea che il Governo era chiamato ad
attuare.
In particolare, è
impugnato l’art. 3, che modifica l’art. 6 cod. ambiente, il quale definisce
l’oggetto delle procedure di valutazione ambientale strategica (VAS), di VIA,
di verifica di assoggettabilità a VIA e di autorizzazione integrata ambientale
(AIA). Alcune ricorrenti (Regione Lombardia, Regione Puglia, Regione Abruzzo,
Regione Veneto, Regione autonoma Sardegna e Regione Calabria) si concentrano,
più nel dettaglio, sull’art. 3, comma 1, lettera g), il quale consente al
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto
con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di esonerare
dalla procedura di impatto ambientale progetti o parti di progetti aventi quale
unico obiettivo la difesa nazionale o la risposta alle emergenze che riguardano
la protezione civile, qualora ritenga che l’applicazione della disciplina possa
pregiudicare i suddetti obiettivi. Viene censurato anche l’art. 3, comma 1,
lettera h), il quale dispone che il Ministro dell’ambiente, in casi eccezionali
e previo parere del Ministro dei beni culturali, possa esentare in tutto o in
parte un progetto specifico dalla procedura di VIA.
Oggetto di ricorso è
anche l’art. 4, il quale novella l’art. 7 cod. ambiente, che – a seguito dello
"scorporo” da esso delle disposizioni relative alla VIA (ora allocate nel nuovo
art. 7-bis) – regola le competenze in materia di VAS e di AIA.
Censurato è altresì l’art.
5, il quale, inserendo nel cod. ambiente il sopra richiamato art. 7-bis,
ridisegna la distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni in materia di
VIA e di verifica di assoggettabilità a VIA, sul piano tanto normativo quanto
amministrativo. In particolare, la nuova disciplina ripartisce i progetti tra
lo Stato e le Regioni tramite rinvio agli Allegati (II e II-bis, per la
competenza statale, e III e IV, per la competenza regionale), alla Parte
seconda cod. ambiente (commi 2 e 3 del nuovo art. 7-bis), imponendo alle
Regioni e alle Province autonome di assicurare che le procedure di loro
competenza siano svolte in conformità al medesimo cod. ambiente (come
modificato dal d.lgs. n. 104 del 2017), oltre che alla normativa europea.
Le ricorrenti considerano
poi viziati per eccesso di delega l’art. 12, nella parte in cui sostituisce
l’art. 23, comma 4, secondo periodo, cod. ambiente (trasmissione, a tutti gli
enti potenzialmente interessati, della documentazione richiesta al proponente
ai fini della VIA); l’art. 13, nella parte in cui sostituisce l’art. 24, comma
3, secondo periodo, del medesimo decreto (il quale stabilisce il termine di
sessanta giorni per la presentazione di osservazioni e pareri da parte della
amministrazioni potenzialmente interessate a fronte di modifiche o integrazioni
apportate al progetto ad opera del proponente); l’art. 14, sia nella parte in
cui sostituisce l’art. 25, comma 1, primo periodo, cod. ambiente (concernente
la valutazione di impatto ambientale compiuta tenendo conto dei pareri degli
enti potenzialmente interessati), sia nella parte in cui, sostituendo il
contenuto normativo dell’art. 25 del d.lgs. n. 152 del 2006, nei provvedimenti
di VIA di competenza statale non richiede più il previo parere della Regione
interessata. Inoltre, sono censurati gli artt. 8, 14, 16 e 17 del d.lgs. n. 104
del 2017, laddove prevedono il coinvolgimento del Ministro dei beni culturali e
non della Regione interessata per gli interventi di VIA statale da realizzare
nel territorio regionale.
È impugnato anche
l’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017, introduttivo dell’art. 27-bis
cod. ambiente, il quale disciplina il provvedimento unico regionale. Ai sensi
di tale disposizione, nei procedimenti di VIA per i quali è competente la
Regione, il relativo provvedimento, finalizzato al rilascio di tutti i
provvedimenti altrimenti denominati, viene rilasciato a seguito di apposita
conferenza di servizi convocata in modalità sincrona ai sensi dell’art. 14-ter
della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).
Impugnati, infine,
sono l’art. 22, commi 1, 2, 3 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, che modifica gli
Allegati al cod. ambiente recanti gli elenchi dei progetti di competenza
statale o regionale, riallocando in capo allo Stato una significativa aliquota
di tipologie progettuali, e l’art. 26, comma 1, lettera a), del medesimo
decreto, il quale si limita a disporre le correlative abrogazioni.
8.1.– Ad avviso delle ricorrenti, le
disposizioni censurate, che rendono manifesta l’innovatività del complessivo
intervento di riforma, non sarebbero consentite dai principi e criteri
direttivi dettati dall’art. 14 della legge delega, inerenti alla
«semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione» delle procedure di VIA,
al rafforzamento della loro qualità, alla revisione e razionalizzazione del
sistema sanzionatorio e alla destinazione dei proventi delle sanzioni
amministrative. Nessuno di tali criteri, sostengono le ricorrenti, avrebbe
autorizzato il legislatore delegato ad intervenire sul riparto delle
attribuzioni tra i diversi livelli istituzionali, segnatamente nella direzione
di una marcata attrazione delle competenze verso il centro. D’altra parte, a
fronte di deleghe al riassetto o al riordino, l’esercizio di poteri innovativi
potrebbe ritenersi ammissibile soltanto nel caso in cui siano stabiliti
principi e criteri direttivi idonei a circoscrivere la discrezionalità del
legislatore delegato (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 50 del 2014,
n. 162 e n. 80 del 2012
e n. 293 del
2010).
Tanto meno, poi,
l’intervento in questione potrebbe trovare fondamento nei principi e criteri
direttivi generali della legge quadro europea, richiamati dall’art. 1, comma 1,
della legge delega n. 114 del 2015. L’art. 32, comma 1, lettera g), della
suddetta legge quadro prevede, al contrario, che, quando si verifichino
sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse, debbano essere
rispettati i «principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale
collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali».
La direttiva
2014/52/UE, dal canto suo, non esprimerebbe alcuna opzione in punto di
competenza accentrata o decentrata, riconoscendo che gli Stati membri
dispongono di varie possibilità per l’attuazione dei relativi obiettivi.
8.2.– In via preliminare, va respinta
l’eccezione di inammissibilità, sollevata dalla difesa statale con riferimento
al ricorso della Provincia autonoma di Bolzano, per genericità delle censure e
mancata indicazione delle competenze legislative asseritamente
lese dall’intervento normativo in oggetto.
I termini delle
questioni di legittimità costituzionale prospettate sono infatti identificati
con sufficiente precisione, risultando soddisfatto l’onere, gravante sulla
ricorrente, di individuazione delle disposizioni impugnate, dei parametri
evocati e delle ragioni delle violazioni lamentate, secondo quanto
costantemente richiesto da questa Corte (ex plurimis,
sentenza n. 103 del
2018, sentenze n. 247, n. 245 e n. 231 del
2017).
8.3.– Tutte le ricorrenti hanno
adeguatamente motivato in ordine alla ridondanza del vizio di eccesso di delega
sulle loro competenze, emergendo indiscutibilmente, dai loro ricorsi, quali tra
queste sarebbero illegittimamente incise dalle disposizioni impugnate.
8.4.– Le questioni, tuttavia, non
sono fondate.
8.4.1.– Deve escludersi, innanzitutto,
che la legge n. 114 del 2015 rientri nel novero delle deleghe di mero riassetto
o riordino, in ragione delle quali, per costante giurisprudenza di questa
Corte, i poteri del legislatore delegato di introduzione di soluzioni
sostanzialmente innovative rispetto alla previgente disciplina normativa devono
considerarsi circoscritti entro limiti puntuali.
Va rilevato,
infatti, che i principi e criteri direttivi della odierna delega, di cui si è
già detto e sui quali a breve si tornerà, necessariamente integrati con le
indicazioni recate dalla direttiva europea da attuare, prefiguravano, al
contrario, una complessiva riforma – ben oltre, dunque, il mero riassetto privo
di innovazioni – di un settore strategico per la tutela ambientale quale è la
VIA. D’altronde, l’attuazione di una direttiva dell’Unione europea, per di più
modificativa di una precedente, non può non implicare l’adozione di misure
normative innovative, volte a realizzare, nell’ordinamento interno, le finalità
e agli obiettivi posti a livello europeo.
8.4.2.– Per quel che
concerne lo scrutinio del supposto contrasto con i principi e criteri direttivi
della delega o con i principi espressi dalla direttiva europea, va ricordato
che la giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che «la legge
delega, fondamento e limite del potere legislativo delegato, non deve contenere
enunciazioni troppo generali o comunque inidonee a indirizzare l’attività
normativa del legislatore delegato, ma ben può essere abbastanza ampia da
preservare un margine di discrezionalità, e un corrispondente spazio, entro il
quale il Governo possa agevolmente svolgere la propria attività di
"riempimento” normativo, la quale è pur sempre esercizio delegato di una
funzione "legislativa”» (sentenza n. 104 del
2017). In questo quadro, la valutazione di conformità del decreto
legislativo alla sua legge delega «richiede un confronto tra gli esiti di due
processi ermeneutici paralleli: l’uno, relativo alle norme che determinano
l’oggetto, i principi ed i criteri direttivi indicati dalla delega, da svolgere
tenendo conto del complessivo contesto in cui si collocano ed individuando le
ragioni e le finalità poste a fondamento della legge di delegazione; l’altro,
relativo alle norme poste dal legislatore delegato, da interpretarsi nel
significato compatibile con i principi ed i criteri direttivi della delega» (sentenza n. 250 del
2016).
Quando si tratti,
poi, di dare attuazione, per il mezzo del binomio legge di delega-decreto
legislativo, alla normativa europea, si è affermato, altrettanto costantemente,
che «i principi che quest’ultima esprime si aggiungono a quelli dettati dal
legislatore nazionale e assumono valore di parametro interposto, potendo
autonomamente giustificare l’intervento del legislatore delegato» (sentenze n. 210 del 2015
e n. 134 del
2013; nello stesso senso, la sentenza n. 32 del
2005).
8.4.3.– Nella specie, obiettivo della
direttiva – come si è ampiamente già visto – è quello di migliorare la qualità
della procedura di VIA, allineandola ai principi della «regolamentazione
intelligente», diretta a semplificare le procedure e a ridurre gli oneri amministrativi
(considerando n. 6), facendo sì che le procedure stesse possano svolgersi entro
un lasso di tempo ragionevole (considerando n. 36).
La legge delega, in
conformità alla direttiva, ha indicato, in particolare, la semplificazione, armonizzazione
e razionalizzazione delle procedure di VIA, nonché il rafforzamento della loro
qualità, quali principi e criteri direttivi cui doveva dar seguito il Governo.
La modifica, posta
in essere dalle disposizioni impugnate, della distribuzione delle competenze
tra Stato e Regioni in materia di VIA e dei relativi procedimenti non è certo
estranea alla ratio della delega. Come si spiega nella relazione di
accompagnamento allo schema di decreto legislativo trasmesso alle Camere, la
strategia adottata si giustifica con l’esigenza di rendere omogenea su tutto il
territorio nazionale l’applicazione delle nuove regole, in modo da recepire
fedelmente la direttiva, che reca una disciplina piuttosto dettagliata,
superando la pregressa situazione di frammentazione e contraddittorietà della
regolamentazione, dovuta alle diversificate discipline regionali:
frammentazione cui erano imputabili le criticità riscontrate nella gestione
delle procedure, generatrice anche di una preoccupante dilatazione dei loro
tempi di definizione.
Vero è che la
"centralizzazione” delle competenze non era specificamente imposta né dalla
legge delega né dalla direttiva – la quale si riferisce genericamente
all’«autorità competente» in materia di VIA, prendendo atto delle diverse
possibilità che gli Stati membri hanno per la sua attuazione – ma la soluzione
prescelta dal legislatore delegato è frutto legittimo dell’esercizio di quel
margine di discrezionalità riconosciuto al Governo per raggiungere gli
obiettivi posti dalla direttiva e dalla legge delega. Ciò non significa –
ovviamente – che l’odierna conformazione della disciplina in tema di VIA, per
il solo fatto di non essere stata adottata in eccesso di delega, sia per ciò
solo rispettosa delle competenze regionali costituzionalmente garantite:
questa, infatti, è valutazione di tutt’altro tenore, che va condotta alla
stregua di parametri diversi da quelli concernenti la conformità delle
disposizioni impugnate alla delega legislativa.
8.4.4.– Neppure
colgono nel segno alcune delle ricorrenti quando sostengono che la disciplina
impugnata sarebbe in contrasto, in particolare, con il principio e criterio
direttivo di cui all’art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012,
richiamato dalla legge delega: principio che avrebbe imposto al Governo, nei
casi in cui si verifichino «sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni
diverse», di individuare procedure rispettose dei «principi di sussidiarietà,
differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione» e delle «competenze delle
regioni e degli altri enti territoriali».
Come rilevato
dall’Avvocatura generale dello Stato, proprio il richiamo del delegante ai
principi di sussidiarietà e adeguatezza, lungi dal cristallizzare e rendere
immodificabile dal legislatore delegato il pregresso assetto di competenze,
imponeva al Governo di verificare, alla luce dell’esperienza maturata, se
l’assetto stesso fosse conforme ai principi evocati e di eventualmente
apportarvi, all’esito, le opportune modificazioni, in quell’ottica di
semplificazione e razionalizzazione complessivamente richiesta dalla legge
delega.
Al riguardo, va anzi
osservato come, alla luce dei puntuali rilievi posti in luce nella relazione di
accompagnamento dello schema di decreto delegato, fosse evidente che era
proprio la consistente varietà di discipline e sovrapposizioni di competenze ad
aver determinato in misura rilevante, oltre ad una incongrua varietà di
disposizioni procedimentali, una consistente e intollerabile dilatazione dei
tempi di definizione delle procedure, specie nei casi di maggior complessità
sul versante dell’impatto ambientale. Il che, evidentemente, oltre a
compromettere gli opposti obiettivi perseguiti dalla nuova direttiva europea,
poneva in discussione anche gli interessi dei vari soggetti coinvolti nelle
procedure.
8.4.5.– Infine, sono inammissibili le
questioni di legittimità, prospettate dalla sola Provincia autonoma di Bolzano,
concernenti la violazione del principio e criterio direttivo dettato dall’art.
32, comma 1, lettera c), della legge n. 234 del 2012.
Tale norma, infatti,
prevede che gli atti di recepimento delle direttive UE non possono prevedere
l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli
minimi richiesti dalle direttive stesse. La ricorrente, però, si limita a
richiamare il divieto imposto dal legislatore delegante, senza indicare né
quali sarebbero i livelli minimi di regolazione stabiliti dalla direttiva, né
per quali ragioni le disposizioni impugnate li avrebbero, in ipotesi, resi più
gravosi.
9.– Per quanto concerne lo
scrutinio delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale, promosse con
riferimento ai parametri relativi alla distribuzione costituzionale delle
competenze, esso verrà condotto, in ragione delle diverse condizioni di autonomia
costituzionalmente garantite, esaminando dapprima quelle promosse dalle Regioni
a statuto ordinario e, successivamente, quelle proposte dalle Regioni a statuto
speciale.
10.– Le Regioni Lombardia, Puglia,
Abruzzo, Veneto e Calabria hanno impugnato l’art. 3, comma 1, lettera g), del
d.lgs. n. 104 del 2017, nella parte in cui consente al Ministro dell’ambiente
di esonerare dalle procedure di VIA, in tutto o in parte, progetti predisposti
per rispondere ad emergenze di protezione civile.
Sarebbero violati gli
artt. 3, 5, 32, 97, 117, terzo comma, 118 e 120 Cost., con censure in larga
parte sovrapponibili. In particolare, le ricorrenti lamentano una compressione
delle competenze concorrenti in materia di protezione civile e di tutela della
salute. Data la concorrenza di competenze, vi sarebbe una lesione del principio
di leale collaborazione, perché la norma impugnata non avrebbe previsto la
necessaria intesa con la Regione sul cui territorio dovrebbe essere realizzato
il progetto. Sarebbe violato, poi, l’art. 3 Cost. –
in alcuni ricorsi evocato in combinato disposto con l’art. 97 Cost. – per mancanza di proporzionalità e rispondenza
logica rispetto alle finalità dichiarate dell’intervento normativo. Infine, vi
sarebbe violazione dell’art. 118 Cost., sub specie di illegittima compressione delle competenze
amministrative affidate alle cure degli enti regionali.
La sola Regione
Puglia censura anche, in combinato disposto con l’art. 3, comma 1, lettera g),
l’art. 18, comma 3, dello stesso decreto legislativo, il quale disciplina la
cosiddetta VIA postuma, nella parte in cui autorizza la continuazione
dell’attività nonostante l’acclarata violazione dei termini di valutazione
ambientale, per violazione degli artt. 3, 9, 24 e 97 Cost.
In parte qua, il decreto consentirebbe attività, potenzialmente lesive per
l’ambiente, entro un termine non specificato in via legislativa.
10.1.– In via preliminare, va
dichiarata l’inammissibilità delle questioni promosse dalla Regione Puglia, sul
combinato disposto di cui sopra, per difetto di motivazione in ordine alla
ridondanza dei vizi evocati su proprie competenze, accogliendo, sul punto,
l’eccezione avanzata dalla difesa statale.
Questa Corte ha
costantemente affermato (da ultimo, sentenze n. 78 del 2018,
n. 13 del 2017,
n. 287, n. 251 e n. 244 del
2016) che le Regioni possono evocare parametri di legittimità costituzionale
diversi da quelli che sovrintendono al riparto di competenze fra Stato e
Regioni solo a due condizioni: quando la violazione denunciata sia
potenzialmente idonea a riverberarsi sulle attribuzioni regionali
costituzionalmente garantite (sentenze n. 8 del 2013 e
n. 199 del 2012)
e quando le Regioni ricorrenti abbiano sufficientemente motivato in ordine alla
ridondanza della lamentata illegittimità costituzionale sul riparto di
competenze, indicando la specifica competenza che risulterebbe offesa e
argomentando adeguatamente in proposito (sentenze n. 65 e n. 29 del 2016,
n. 251, n. 189, n. 153, n. 140, n. 89 e n. 13 del
2015). Le questioni prospettate con riferimento all’impugnazione dell’art. 18,
comma 3, del d.lgs. n. 104 del 2017 non soddisfano nessuna delle due
condizioni, prive come sono di qualsiasi riferimento alla specifica competenza
legislativa che si assume violata e risultando impossibile, dunque, individuare
la potenziale lesione delle attribuzioni regionali costituzionalmente
garantite.
Di qui
l’inammissibilità delle questioni.
10.2.– Le restanti questioni,
sollevate sull’art. 3, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 104 del 2017, non
sono fondate.
La norma impugnata
riproduce quanto stabilito dalla disciplina europea, la quale, all’art. 1,
paragrafo 3, della direttiva 2011/92/UE, modificata dalla più recente direttiva
2014/52/UE, stabilisce che «[g]li Stati membri possono decidere, dopo una
valutazione caso per caso e se così disposto dalla normativa nazionale, di non
applicare la presente direttiva a progetti, o parti di progetti, aventi quale
unico obiettivo la difesa o a progetti aventi quali unico obiettivo la risposta
alle emergenze che riguardano la protezione civile, qualora ritengano che la
sua applicazione possa pregiudicare tali obiettivi».
Inserendosi nel
margine di discrezionalità lasciato aperto dalla direttiva, la normativa
nazionale ha previsto che sia lo Stato a decidere, di volta in volta, se
abbassare gli standard di tutela ambientale, laddove necessario a fronteggiare
un fatto emergenziale. Non a caso, questa Corte ha già affermato che «non è
inibito allo Stato, nell’esercizio di una scelta libera del legislatore
nazionale, prevedere in modo non irragionevole l’esclusione della suddetta
valutazione di impatto ambientale per opere di particolare rilievo quali quelle
destinate alla protezione civile» (sentenza n. 234 del
2009).
Di qui la non
fondatezza delle censure promosse in relazione agli artt. 3 e 97 Cost.
10.2.1.– L’attribuzione allo Stato del
potere di esonero non è incongruente con la necessità di garantire l’uniformità
della protezione ambientale. La disposizione impugnata interseca senz’altro la
materia della protezione civile, ma prevale, nel caso di specie, la competenza
esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., stante l’esigenza di
garantire uniformemente sul territorio nazionale, pur in ragione di particolari
emergenze, i livelli di protezione ambientale.
10.2.2.– Priva di fondamento è altresì
la censura di violazione del principio di leale collaborazione, principio
salvaguardato, a monte, attraverso il coinvolgimento della Conferenza
Stato-Regioni, chiamata ad esprimere il parere sullo schema di decreto
legislativo che annoverava tale norma. Deve essere sottolineato, poi, in linea
con quanto sostenuto dall’Avvocatura generale dello Stato, che la leale
collaborazione è salvaguardata anche a "valle” del procedimento amministrativo.
La delibera dello stato di emergenza, infatti, viene decisa, dal Consiglio dei
ministri previa intesa con la Regione interessata, secondo quanto previsto
dall’art. 24 del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 (Codice della
protezione civile), che riproduce sul punto quanto stabiliva l’art. 5 della
legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della
protezione civile). Alla luce di un inquadramento sistematico della norma, ben
può dirsi che la decisione di esonero dalla VIA dovrà succedere alla decisione di
realizzare interventi di protezione civile concertati con gli enti territoriali
interessati.
11.– La Regione Veneto ha impugnato
anche l’art. 3, comma 1, lettera h), il quale ha sostituito il comma 11
dell’art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, prevedendo, come si è già visto, che il
Ministro dell’ambiente, in casi eccezionali e previo parere del Ministro dei
beni e delle attività culturali e del turismo, possa esentare in tutto o in
parte un progetto specifico dalla procedura di VIA. In tali casi, il Ministero
deve esaminare se sia opportuna un’altra forma di valutazione; mette a
disposizione del pubblico coinvolto tutte le informazioni raccolte con le
eventuali altre forme di valutazione e le ragioni per cui è stata concessa
l’esenzione; informa la Commissione europea dei motivi che giustificano
l’esenzione fornendo le informazioni acquisite.
Ad avviso della
ricorrente sarebbero violati gli artt. 3, 97, 117, terzo comma, 118 Cost. e il principio di leale
collaborazione. La disposizione sarebbe irragionevole e porterebbe un vulnus al
principio di legalità, perché consentirebbe al Ministro, a sua discrezione, di
privare un progetto della valutazione di impatto ambientale. Essa
rappresenterebbe un grimaldello in grado di alterare il sistema di riparto
delle competenze esistenti tra Stato e Regione in materia di VIA, senza che sia
prevista alcuna forma di partecipazione, decisoria o istruttoria, da parte
delle Regioni, con conseguente violazione degli artt. 118 e 120 Cost.
11.1.– Le questioni di legittimità
costituzionale promosse dalla Regione Veneto non sono fondate.
La censurata
disposizione ricalca il tenore letterale della normativa europea (art. 2,
paragrafo 4, direttiva 2011/92/UE, come rivista dalla direttiva 2014/52/UE),
ponendo in capo al vertice dell’amministrazione centrale la scelta di derogare
ai livelli di tutela ambientale e attribuendo, in modo non irragionevole, allo
Stato la responsabilità politico-amministrativa di esonerare specifici progetti
di fronte alla Commissione europea.
D’altronde, dal
punto di vista interno, questa opzione trova coerente giustificazione nella
necessaria uniformità della protezione ambientale, così evitando un esiziale
frazionamento delle esigenze di tutela. La prevalenza della finalità ambientale
consente, anche in questo caso, di respingere le censure relative alla asserita
violazione delle competenze regionali.
12.– Le Regioni Lombardia, Abruzzo,
Calabria e Veneto impugnano, in forma sostanzialmente cumulativa, gli artt. 5,
22, commi da 1 a 4, e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017. I primi due articoli –
come si è già visto – riguardano i criteri di riparto delle competenze tra
Stato e Regioni in tema di VIA e di assoggettabilità a VIA, con rimodulazione
contenutistica degli appositi Allegati alla Parte seconda cod. ambiente, e dai
quali, in buona sostanza, si desume – rispetto al previgente regime –
l’allocazione in capo allo Stato di una non trascurabile quantità di tipologie
progettuali per le quali la VIA e la verifica di relativa assoggettabilità
passano dalla competenza normativa e amministrativa delle Regioni a quella
dello Stato. L’art. 26 dispone le corrispondenti e conseguenziali abrogazioni
delle previgenti disposizioni, espressamente reputate incompatibili con la
nuova disciplina in tema di allocazione delle competenze.
12.1.– Le Regioni ricorrenti lamentano
che la nuova disciplina recata dalle disposizioni impugnate violi l’art. 117,
terzo e quarto comma, Cost., in quanto sarebbero
illegittimamente incise le loro competenze ivi previste. Altresì violato
sarebbe l’art. 118 Cost., in quanto risulterebbero ridimensionate le competenze
amministrative regionali e quelle già conferite dalla Regione agli enti locali,
prescindendo da ogni valutazione sull’adeguatezza, o meno, del livello
istituzionale coinvolto, con conseguente violazione anche del principio di
leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
Le sole Regioni
Lombardia e Abruzzo sostengono che l’impugnato art. 5 sia in contrasto anche
con l’art. 3 Cost. in quanto, per un verso, sarebbe irragionevole
la diversità di disciplina prevista per la VAS e la VIA, dal momento che per la
prima l’art. 7 cod. ambiente, come modificato dall’art. 7 del d.lgs. n. 104 del
2017, ha confermato la competenza legislativa ed amministrativa delle Regioni e
delle Province autonome; per un altro verso, risulterebbe del pari
irragionevole che, in particolare attraverso i commi 7 e 8 del nuovo art. 7-bis
del medesimo codice, risulti preclusa la possibilità per le Regioni di
stabilire livelli di tutela dell’ambiente più elevati rispetto alla disciplina
statale.
12.2.– Preliminarmente, deve essere
rigettata l’eccezione di inammissibilità, per genericità e carenza di
motivazione, delle questioni di legittimità costituzionale aventi per oggetto
gli artt. 22 e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017. Secondo il Presidente del
Consiglio dei ministri, le ricorrenti avrebbero dovuto individuare i progetti
la cui sottrazione alla VIA regionale determinerebbe violazione dell’art. 118 Cost.,
così come avrebbero dovuto adeguatamente motivare circa l’adeguatezza del
livello regionale allo svolgimento della relativa funzione amministrativa.
I ricorsi passano in
analitica rassegna le previsioni novellate dalle quali emerge l’allocazione di
funzioni in capo allo Stato: la violazione dell’art. 118 Cost.
risiederebbe proprio in tale circostanza, ovverosia
nel fatto che vengono ridimensionate le competenze amministrative regionali e
quelle a suo tempo conferite, prescindendo da valutazioni sulla adeguatezza o
meno del livello istituzionale coinvolto, violando anche il principio di leale
collaborazione. Le Regioni, dunque, si assumono lese dalla sottrazione di
competenze a lungo esercitate, e tanto basta a ritenere sufficientemente
motivate le censure di costituzionalità in relazione agli evocati parametri
costituzionali.
12.3.– Nel merito, le questioni di
legittimità costituzionale proposte in riferimento all’art. 117, terzo e quarto
comma, Cost. non sono
fondate.
Non può esservi
dubbio, infatti, sulla riconducibilità delle disposizioni impugnate alla
potestà esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente» e
«dell’ecosistema». Esse modificano, come si è visto, i criteri di riparto delle
competenze tra Stato e Regioni in tema di VIA e di assoggettabilità a VIA
(artt. 5 e 22) e determinano espressamente l’abrogazione delle previgenti
disposizioni reputate incompatibili (art. 26). Si tratta, detto altrimenti, del
"cuore” della disciplina, poiché sono precisamente le norme impugnate quelle
che – in attuazione degli obiettivi, posti dalla direttiva e dalla delega, di
«semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di
valutazione di impatto ambientale» e di «rafforzamento della qualità della
procedura di valutazione di impatto ambientale» – determinano un tendenziale
allineamento dei diversi schemi e modelli procedimentali, assegnando allo Stato
l’apprezzamento dell’impatto sulla tutela dell’ambiente dei progetti reputati
più significativi e, così, evitando la polverizzazione e differenziazione delle
competenze che caratterizzava il previgente sistema. Fattore, quest’ultimo, che
aveva originato sovrapposizione e moltiplicazione di interventi, oltre che
normative differenziate le quali, accanto a diluizioni temporali reputate
inaccettabili (puntualmente poste in evidenza dal Governo nella relazione
illustrativa dello schema di decreto oggi all’esame di questa Corte),
inducevano a deprecabili fenomeni di «delocalizzazione dei progetti verso aree
geografiche a basso livello di regolazione ambientale».
La unitarietà e
allocazione presso lo Stato delle procedure coinvolgenti progetti a maggior
impatto ha, dunque, risposto ad una esigenza di razionalizzazione e
standardizzazione funzionale all’incremento della qualità della risposta ai
diversi interessi coinvolti, con il correlato obiettivo di realizzare un
elevato livello di protezione del bene ambientale.
Gli argomenti sinora
esposti valgono, altresì, a considerare non fondate le censure proposte in
riferimento agli artt. 5, 118 e 120 Cost.
12.4.– In relazione alle questioni di
legittimità costituzionale aventi per oggetto il solo art. 5 del d.lgs. n. 104
del 2017, le Regioni ricorrenti hanno adeguatamente motivato in ordine alla
ridondanza su loro competenze della lamentata violazione dell’art. 3 Cost.
12.4.1. – Nel
merito, tuttavia, le censure non sono fondate.
Non può considerarsi
irragionevole la scelta del legislatore statale, titolare della competenza
esclusiva nella materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», di
predisporre due discipline differenziate per istituti, quali la VIA e la VAS,
che, pur essendo entrambi istituti «che valutano in concreto e preventivamente
la "sostenibilità ambientale”» (sentenza n. 225 del
2009), presentano, ad ogni modo, peculiarità che li mantengono distinti: la
VIA, difatti, svolge una funzione autorizzatoria
rispetto al singolo progetto ad impatto ambientale, mentre la VAS si inserisce
nella funzione di pianificazione, proponendo un esame degli effetti che può
avere sull’ambiente l’attuazione di previsioni contenute in piani e programmi.
La disposizione
censurata, a dispetto di quanto sostenuto dalle ricorrenti, non esclude,
inoltre, che le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano possano,
nell’esercizio delle proprie competenze legislative, stabilire livelli di
tutela dell’ambiente più elevati di quelli previsti dalla normativa statale. Le
previsioni di cui ai commi 7 e 8 del nuovo art. 7-bis cod. ambiente, le quali
dispongono che le competenze regionali siano esercitate «in conformità» alla
normativa europea e alle disposizioni del medesimo decreto, non sono tali da
impedire una normativa regionale che – salva l’inderogabilità, espressamente
stabilita, dei termini procedimentali massimi di cui agli artt. 19 e 27-bis
dello stesso cod. ambiente – garantisca maggiormente la salvaguardia
dell’ambiente. Di qui, pertanto, l’infondatezza, anche sotto questo profilo,
delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento all’art.
3 Cost.
13.– Le Regioni Lombardia, Abruzzo e
Calabria impugnano l’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017, introduttivo
dell’art. 27-bis cod. ambiente, il quale disciplina il provvedimento unico
regionale, per violazione degli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, Cost. e del principio di leale
collaborazione. Ai sensi di tale disposizione, come già messo in evidenza, nei
procedimenti di VIA per i quali è competente la Regione, il relativo
provvedimento, che comprende tutti i provvedimenti altrimenti denominati
necessari alla realizzazione del progetto, viene rilasciato a seguito di
apposita conferenza di servizi convocata in modalità sincrona ai sensi
dell’art. 14-ter della legge n. 241 del 1990.
Ad avviso delle
ricorrenti (in particolare, della Regione Calabria), sarebbe violato il
principio di leale collaborazione, perché lo schema di decreto legislativo
inviato alla Conferenza Stato-Regioni sarebbe stato privo della disposizione in
esame, così da non rendere edotte le Regioni circa la rilevante innovazione
normativa. Sarebbe altresì violato l’art. 3 Cost.: l’obbligatorietà del
provvedimento unico regionale sarebbe causa di irragionevole disparità di
trattamento rispetto alle procedure di VIA di competenza statale, per le quali
non è previsto il provvedimento unico, salvo specifica richiesta del
proponente. Inoltre, il provvedimento unico regionale sarebbe disciplinato da
una normativa eccessivamente dettagliata, che non lascerebbe alcuno spazio al
legislatore regionale.
Secondo la Regione
Abruzzo, poi, l’introduzione di un provvedimento unico regionale sarebbe
illogica, anche in considerazione del fatto che a livello statale il
provvedimento unico non opera d’ufficio, ma su richiesta del proponente.
Il procedimento
delineato sarebbe altresì lesivo del principio di buon andamento ex art. 97 Cost.,
perché non vi sarebbe alcun coordinamento con altri procedimenti, essendo
attribuito ad un’unica autorità, priva di competenze tecniche, il relativo
potere amministrativo.
Nella sola rubrica
del motivo di ricorso, la Regione Calabria indica, quale disposizione
impugnata, anche l’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017, che disciplina
il provvedimento unico ambientale nei procedimenti di competenza statale, senza
tuttavia dedicarvi alcuna argomentazione.
La Regione Puglia,
infine, contesta la legittimità costituzionale dell’art. 14 del d.lgs. n. 104
del 2017, nella parte in cui, sostituendo l’art. 25 cod. ambiente, nei
provvedimenti di VIA statale non richiede più il previo parere della Regione
interessata (comma 2). Sarebbe di conseguenza violato il principio di leale
collaborazione.
13.1.– In via preliminare, va
dichiarata l’inammissibilità delle questioni, sollevate dalla Regione Calabria,
relative all’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017, perché le censure
sono assolutamente prive di supporto argomentativo.
13.2.– Tutte le ricorrenti, invece,
hanno adeguatamente motivato in relazione alla ridondanza del vizio di
irragionevolezza e dell’asserita lesione del principio del buon andamento in
relazione a loro competenze legislative potenzialmente lese dalla disposizione
impugnata.
13.3.– Nel merito, tuttavia, le
questioni non sono fondate.
L’impugnato art. 16,
comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017 è perfettamente coerente con la normativa
sovranazionale, la quale non solo prevede la semplificazione delle procedure in
materia di VIA, ma dispone anche che gli Stati membri prevedano procedure
coordinate e comuni, nel caso in cui la valutazione risulti contemporaneamente
dalla direttiva 2011/92/UE, come modificata dalla direttiva 2014/52/UE, e dalle
altre direttive europee in materia ambientale ad essa collegate. Inoltre,
l’art. 1, paragrafo 1), della direttiva 2014/52/UE stabilisce nel dettaglio un
iter procedurale che trova sostanziale riproduzione nella disposizione
censurata.
La disciplina del
provvedimento unico regionale, in coerenza con la delega conferita dal
Parlamento, è finalizzata a semplificare, razionalizzare e velocizzare la VIA
regionale, nella prospettiva di migliorare l’efficacia dell’azione delle
amministrazioni a diverso titolo coinvolte nella realizzazione del progetto.
È appena il caso di
notare, peraltro, come la norma censurata non comporti alcun assorbimento dei
singoli titoli autorizzatori necessari alla
realizzazione dell’opera. Il provvedimento unico non sostituisce i diversi
provvedimenti emessi all’esito dei procedimenti amministrativi, di competenza
eventualmente anche regionale, che possono interessare la realizzazione del
progetto, ma li ricomprende nella determinazione che conclude la conferenza di
servizi (comma 7, del nuovo art. 27-bis cod. ambiente, introdotto dall’art. 16,
comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017). Esso ha, dunque, una natura per così dire
unitaria, includendo in un unico atto i singoli titoli abilitativi emessi a
seguito della conferenza di servizi che, come noto, riunisce in unica sede
decisoria le diverse amministrazioni competenti. Secondo una ipotesi già
prevista dal decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127 (Norme per il riordino
della disciplina in materia di conferenze di servizi, in attuazione
dell’articolo 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124) e ora disciplinata dall’art.
24 del decreto legislativo censurato, il provvedimento unico regionale non è
quindi un atto sostitutivo, bensì comprensivo delle altre autorizzazioni
necessarie alla realizzazione del progetto.
Evidente, allora, la
riconducibilità della disposizione alla competenza esclusiva in materia
ambientale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Per le medesime ragioni, non è fondata la questione
relativa all’art. 97 Cost.
Né può sostenersi
che il decreto legislativo censurato abbia realizzato una disparità di
trattamento tra Stato e Regioni, come lamentato dalla Regione Calabria, avendo
previsto solo per i procedimenti regionali l’obbligo del provvedimento unico,
mentre per i procedimenti di competenza statale spetta al proponente la scelta
di avvalersi di tale strumento. Appartiene, infatti, alla discrezionalità del
legislatore statale, nell’esercizio della sua competenza esclusiva, anche in
considerazione delle particolari dimensioni e del rilievo dei progetti da autorizzare
a sé riservati, la modulazione dell’innovativo procedimento di VIA.
La pretesa
violazione della leale collaborazione, anch’essa lamentata dalla Regione
Calabria, è, di là da ogni altra considerazione, priva di riscontro fattuale:
il provvedimento unico era già contenuto nell’art. 24 dello schema di decreto
legislativo, che andava a sostituire il comma 4 dell’art. 14 della legge n. 241
del 1990. Su sollecitazione della Conferenza Stato-Regioni, il Governo ha solo
provveduto ad inserire un’autonoma disposizione su procedimento e provvedimento
unico, lasciando, nell’art. 24, l’individuazione della conferenza di servizi
come sede deputata all’acquisizione degli altri provvedimenti necessari alla
realizzazione del progetto.
13.4.– Del pari non fondata è la
questione, sollevata dalla Regione Puglia, in ordine all’art. 14 del d.lgs. n.
104 del 2017. Non sussiste, infatti, la violazione del principio di leale
collaborazione, perché, coinvolta la Regione a monte in sede di Conferenza
Stato-Regioni, la riconducibilità della disciplina alla tutela ambientale rende
non doverose ulteriori forme di coinvolgimento delle Regioni a valle,
nell’ambito del procedimento amministrativo che ricade nella competenza
esclusiva dello Stato.
14.– Le Regioni Lombardia, Abruzzo,
Veneto e Calabria impugnano l’art. 21 del d.lgs. n. 104 del 2017, che
sostituisce il comma 1 dell’art. 33 cod. ambiente, concernente la
determinazione delle tariffe a carico di coloro che propongono progetti, piani
o programmi da sottoporre a verifica.
In via generale, la
disciplina contenuta nel citato art. 33 è finalizzata a porre a carico del
proponente gli oneri complessivi per lo svolgimento di tutte le attività e di
tutti gli adempimenti necessari ai fini della valutazione dei progetti oggetto delle
domande di autorizzazione.
Nella versione
antecedente alla novella del 2017, la disposizione demandava, al comma 1, a un
decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di
concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro
dell’economia e delle finanze, la determinazione – sulla base di quanto
previsto dall’art. 9 del d.P.R. 14 maggio 2007, n. 90
(Regolamento per il riordino degli organismi operanti presso il Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, a norma dell’articolo
29 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni,
dalla legge 4 agosto 2006, n. 248) – delle «tariffe da applicare ai proponenti
per la copertura dei costi sopportati dall’autorità competente per
l’organizzazione e lo svolgimento delle attività istruttorie, di monitoraggio e
controllo previste dal presente decreto». Il comma 2 dell’art. 33 del d.lgs. n.
152 del 2006, invece, è rimasto inalterato e riconosce alle Regioni e alle
Province autonome di Trento e di Bolzano la possibilità di determinare «proprie
modalità di quantificazione e corresponsione degli oneri da porre in capo ai
proponenti».
L’art. 21 del d.lgs.
n. 104 del 2017 ha sostituito, come detto, unicamente il comma 1 del citato art.
33. Di là dalla diversa articolazione sintattica, la nuova disposizione
continua a demandare la determinazione delle tariffe – peraltro, con più
specifico riferimento alla copertura dei costi delle procedure di
assoggettabilità a VIA, di VIA e di VAS (anziché genericamente alle procedure
previste dal cod. ambiente) – a un decreto del Ministro dell’ambiente, di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze. In luogo del pregresso
richiamo all’art. 9 del d.P.R. n. 90 del 2017, si
stabilisce che la determinazione debba aver luogo «sulla base del costo
effettivo del servizio».
14.1.– Le censure delle quattro
ricorrenti si incentrano sul mancato coinvolgimento delle Regioni nella
determinazione delle tariffe: coinvolgimento da ritenere necessario, essendo
quest’ultima basata su un elemento – il «costo effettivo del servizio» – la cui
quantificazione non potrebbe prescindere da un confronto con tutte le autorità
competenti in materia di VIA (e dunque anche con le Regioni).
Tale mancato
coinvolgimento renderebbe la disposizione impugnata in contrasto con il
principio di leale collaborazione e con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e
118 Cost., in quanto le norme censurate
comprimerebbero il potere della Regione di individuare le migliori condizioni
di esercizio delle funzioni di propria competenza, secondo i principi di
sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, nonché lederebbero l’autonomia
legislativa della Regione in materia di organizzazione e la sua autonomia
amministrativa.
La sola Regione Veneto,
infine, lamenta la violazione di ulteriori tre parametri: l’art. 119 Cost., per lesione dell’autonomia finanziaria delle
Regioni, posto che le valutazioni amministrative e finanziarie in materia di
VIA verrebbero ad essere condizionate dalla remuneratività
delle tariffe stabilite unilateralmente dallo Stato; l’art. 3 Cost., stante l’irragionevolezza di una disciplina che
«attribuisce una competenza decisoria ad un soggetto, senza prevedere adeguati
apporti istruttori da parte delle altre autorità competenti a disciplinare il
relativo procedimento e i suoi aspetti organizzatori»; infine, l’art. 97 Cost., in quanto la partecipazione delle Regioni al
processo decisionale, potendo comportare semplificazioni procedurali, potrebbe
determinare risparmi di spesa, con la conseguenza che la mancanza di tale
partecipazione finirebbe per tradursi anche in un inutile aggravio di spese in
violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione.
14.2.– Anche in relazione alle
questioni ora in esame, le ricorrenti hanno adeguatamente motivato in punto di
ridondanza, su loro attribuzioni, della violazione di parametri non attinenti
al riparto delle competenze.
14.3.– Nel merito, tuttavia, le
questioni non sono fondate, nei limiti e nei termini che seguono.
La norma censurata,
incidendo sul solo comma 1 dell’art. 33 del d.lgs. n. 152 del 2006, ha inteso
modificare la disciplina per la determinazione delle tariffe per le procedure
di verifica di assoggettabilità a VIA, di VIA e di VAS di competenza statale.
Come ha rilevato l’Avvocatura generale dello Stato, la circostanza che sia
stata lasciata inalterata, invece, la previsione del successivo comma 2, non
può avere altra valenza che quella di mantenere in capo alle Regioni e alle
Province autonome il potere di stabilire un proprio regime tariffario,
relativamente alle medesime procedure di loro competenza.
È soltanto
necessario che le Regioni, nel determinare le tariffe, rispettino il criterio
generale, introdotto dal legislatore delegato, della commisurazione degli oneri
al «costo effettivo del servizio»: criterio che, sebbene enunciato al comma 1,
ha tuttavia portata generale, anche perché sintonico alla ratio complessiva
dell’art. 33 cod. ambiente, la quale, come già accennato, è quella di porre a carico
dei proponenti gli oneri economici connessi allo svolgimento delle valutazioni
e delle verifiche a tutela dell’ambiente.
Le doglianze
relative al mancato coinvolgimento delle Regioni nella quantificazione di tale
onere non ha, dunque, ragion d’essere, poiché l’opzione ermeneutica
costituzionalmente imposta comporta che, per le procedure di loro competenza,
le Regioni e le Province autonome, non solo sono coinvolte, ma sono titolari
della potestà di determinazione delle tariffe.
15.– Le Regioni Lombardia, Abruzzo e
Calabria impugnano l’art. 27 del d.lgs. n. 104 del 2017, recante la clausola di
invarianza finanziaria. Il comma 1 di tale disposizione stabilisce che
«[d]all’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori
oneri a carico della finanza pubblica»; il comma 2 prescrive che «[f]ermo il
disposto di cui all’articolo 21» – relativo, come si è appena visto, alle
tariffe da applicare ai proponenti per la copertura dei costi delle procedure
di verifica di assoggettabilità a VIA, di VIA e di VAS – «le attività di cui al
presente decreto sono svolte con le risorse umane, strumentali e finanziarie
disponibili a legislazione vigente».
15.1.– Tutte e tre le ricorrenti
denunciano la violazione dell’art. 76 Cost.,
assumendo che la disposizione impugnata si pone in contrasto con l’art. 1,
comma 4, della legge delega n. 114 del 2015, che prevede la possibilità di
riconoscere risorse in relazione a spese non contemplate dalle leggi vigenti e
che non riguardino l’attività ordinaria delle amministrazioni, nei limiti
occorrenti per l’adeguamento alla direttiva europea.
La sola Regione
Calabria denuncia, altresì, la violazione dell’art. 81 Cost., assumendo che, nella
specie, la clausola di invarianza finanziaria risulterebbe «palesemente aleatoria»,
posto che le modifiche alle procedure di VIA implicherebbero nuovi oneri a
carico dell’autorità competente per effetto degli ulteriori adempimenti
procedurali previsti, «con presumibili esigenze di risorse aggiuntive».
Le Regioni Lombardia
e Abruzzo lamentano ulteriormente, a loro volta, la violazione degli artt. 117,
terzo comma, e 118 Cost. Il d.lgs. n. 104 del 2017
avrebbe, infatti, imposto alle Regioni nuovi adempimenti, con conseguenti nuovi
oneri, intervenendo anche su materie di competenza concorrente, senza alcuna
previsione finanziaria e imponendo, anzi, il «blocco delle risorse».
15.2.– L’Avvocatura generale dello
Stato ha eccepito l’inammissibilità di tutte le questioni, per genericità e
difetto di motivazione in punto di violazione dei parametri costituzionali
evocati.
L’eccezione è
fondata.
Le ricorrenti
sostengono che la nuova disciplina posta dal d.lgs. n. 104 del 2017 ha
determinato un incremento di adempimenti procedimentali a loro carico, ma,
oltre a non precisare quali sarebbero tali nuovi adempimenti, neppure
identificano puntualmente i maggiori oneri economici che ne deriverebbero.
Le evocate censure,
peraltro, finiscono per rivelarsi anche contraddittorie rispetto alla doglianza
principale delle stesse ricorrenti, ovvero l’avvenuta contrazione, ad opera del
decreto legislativo impugnato, delle competenze regionali in materia di VIA. A
una tale contrazione, infatti, dovrebbe logicamente conseguire un decremento, e
non già un incremento, delle esigenze finanziarie delle Regioni, sicché tanto
più sarebbe stata necessaria la specifica indicazione dei lamentati maggiori
oneri economici.
16.– Scrutinate e decise le
questioni sollevate dalle Regioni a statuto ordinario, è ora possibile
affrontare le censure proposte dagli enti ad autonomia differenziata.
17.– Le Regioni autonome Valle
d’Aosta/Vallée d’Aoste,
Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, e le Province autonome di Trento e di Bolzano
impugnano, sotto vari profili, gli artt. 5, 22 e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017,
i quali, come si è già visto, modificano le competenze in tema di VIA e di
assoggettabilità a VIA.
17.1.– Le Regioni Friuli-Venezia
Giulia e Sardegna, con argomentazioni pressoché identiche, lamentano la
violazione, da parte delle disposizioni censurate, di norme dei rispettivi
statuti speciali attributive di competenze, nonché dell’art. 117, secondo e
terzo comma, Cost.
La Regione Valle
d’Aosta/Vallée d’Aoste
censura i soli artt. 5 e 22, commi 1, 2, 3 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, in
riferimento a diversi parametri del proprio statuto speciale, in combinato
disposto con l’art. 117, primo e terzo comma, Cost.,
in quanto sarebbero state sottratte competenze ad essa spettanti, nonché in
riferimento agli artt. 3, 97 e 118 Cost., poiché la
nuova disciplina, avendo adottato criteri privi di valore sintomatico riguardo
alla dimensione regionale o sovraregionale dell’intervento, non risponderebbe
ad alcun canone di razionalità, ma soltanto a «un’ispirazione tutoria e
centralistica fine a sé stessa», così disattendendo anche i principi di buon
andamento e sussidiarietà.
17.1.1.– Le questioni non sono fondate.
Si è già posto in
luce come, in linea di principio e salva la valutazione da condurre sulle
singole norme, il decreto legislativo impugnato, adottato nella materia «tutela
dell’ambiente» e «dell’ecosistema», debba essere ascritto alla categoria delle
norme fondamentali di riforma economico-sociale, in quanto tale capace di
condizionare e limitare anche le competenze statutariamente attribuite alle
Regioni speciali e alle Province autonome.
Tale qualificazione
indubbiamente deve essere attribuita al censurato art. 5, che, lo si è già
diffusamente rilevato, costituisce il nucleo essenziale della riforma,
realizzata dal legislatore statale, in tema di VIA e di assoggettabilità a VIA,
istituti chiave per la tutela dell’ambiente, la quale necessita di un livello
di protezione uniforme sul territorio nazionale. L’art. 22 è strettamente
connesso con la disciplina posta dall’art. 5, poiché detta le modifiche agli
Allegati alla Parte seconda cod. ambiente conseguenti alla rivisitazione delle
competenze di cui al novellato art. 7-bis del medesimo codice. L’art. 26, per
conto suo, dispone l’espressa abrogazione della previgente disciplina.
Inoltre, come pure
si è già posto in evidenza, la profonda rivisitazione delle competenze in
materia è diretta conseguenza dell’attuazione degli obiettivi posti dalla
direttiva dell’Unione europea, sicché la normativa impugnata è altresì da
ricondurre al limite degli obblighi europei, che pure condiziona le competenze
statutarie.
Quanto, invece, alle
censure, proposte dalla Regione Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste, per violazione degli artt. 3, 97 e 118 Cost., va
rilevato che le opzioni del legislatore statale in materia non necessariamente
devono rimanere ancorate a criteri meramente territoriali, potendo ritenersi
preferibile ripartire le competenze, nel perseguimento degli obiettivi di
salvaguardia ambientale, in base all’intensità di impatto sull’ambiente che un
determinato progetto può presentare.
17.2.– La Provincia
autonoma di Trento impugna gli artt. 5, 22, commi 1, 2, 3 e 4, e 26, comma 1,
lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017 in riferimento a diversi parametri dello
statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e relative norme di
attuazione, in quanto sarebbero state sottratte competenze ad essa spettanti,
nonché in riferimento: a) agli artt. 117, terzo, quarto e quinto comma, e 120,
secondo comma, Cost., per come attuato dalla legge n.
234 del 2012, nonché in riferimento all’art. 7 del d.P.R.
19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino Alto-Adige ed alle
province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del
Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), disponendo la Provincia
autonoma del potere di dare diretta attuazione alle direttive dell’Unione
europea, nelle materie di propria competenza, con la conseguenza che le norme
censurate verrebbero a sovrapporsi e condizionare la disciplina provinciale,
senza presentare i caratteri di suppletività e
cedevolezza richiesti per la funzione sostitutiva di cui all’art. 41, comma 1,
della legge n. 234 del 2012; b) in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., per violazione dei principi di ragionevolezza e
difetto di proporzionalità, in quanto verrebbero introdotte norme di dettaglio
che costringono la legislazione provinciale ad un grado di uniformità eccessivo
rispetto al fine di attuare la direttiva europea e che non consentono alle
autonomie speciali di tenere conto delle proprie peculiarità istituzionali, in
tal modo rivelandosi fonte di cattiva amministrazione.
La Provincia
autonoma di Bolzano impugna soltanto gli artt. 5, comma 1, e 22, commi 1, 2, 3
e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, in riferimento a diversi parametri dello
statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e relative norme di
attuazione, in quanto sarebbero state sottratte competenze ad essa spettanti,
nonché in riferimento: a) all’art. 118 Cost., per
violazione del principio di sussidiarietà e delle regole che disciplinano la
chiamata in sussidiarietà; b) all’art. 117, quinto comma, Cost.
e agli artt. 7 e 8 del d.P.R. n. 526 del 1987, che
riconoscono alle Province autonome il potere di dare diretta attuazione alle
direttive dell’Unione europea nelle materie di loro competenza; c) all’art.
117, primo comma, Cost., in correlazione alla
direttiva 2014/52/UE, non potendo il decreto legislativo «vincolare le
autonomie territoriali al di là di quanto discende dagli obblighi derivanti
dall’ordinamento dell’Unione europea»; d) agli artt. 3 e 97 Cost.,
per contrasto con il principio di ragionevolezza, non essendo giustificato uno
spostamento così massiccio di competenze dalle Regioni allo Stato in funzione
di un miglioramento della qualità del procedimento, della semplificazione e
della maggiore efficienza, non comprendendosi come una gestione accentrata e
unitaria a livello statale possa essere più efficiente di una decentrata e
diversificata nelle varie autonomie territoriali; e) all’art. 4 del d.lgs. n.
266 del 1992, che esclude, in via generale, che la legge possa attribuire ad
organi statali l’esercizio di funzioni amministrative nelle materie
statutariamente di competenza delle Province autonome.
17.2.1.– In via preliminare, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l’inammissibilità delle
questioni di legittimità proposte, dalla Provincia autonoma di Trento, in
riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., per genericità e
apoditticità degli argomenti addotti.
L’eccezione è
fondata.
La ricorrente non ha
adeguatamente chiarito quali sarebbero le proprie peculiarità istituzionali
limitate dalla disciplina impugnata, la quale avrebbe l’effetto di
compromettere il buon andamento dell’attività amministrativa. Le argomentazioni
spese sul punto, inoltre, non sono sufficienti neppure a motivare la ridondanza
su competenze provinciali della supposta violazione dei parametri
costituzionali evocati.
17.2.2.– Nel merito, le residue
questioni non sono fondate.
Le disposizioni
impugnate, come si è già posto in luce, sono state adottate nella materia di
competenza esclusiva statale «tutela dell’ambiente» e «dell’ecosistema» e
devono essere qualificate quali norme di riforma economico-sociale, capaci di
limitare le competenze statutariamente attribuite alle Province autonome. Ne
consegue che non viene in considerazione la potestà di queste ultime di dare
diretta attuazione, nelle materie di loro competenza, alle direttive
dell’Unione europea, né si verte in un caso di chiamata in sussidiarietà, né,
ancora, trova applicazione l’art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992.
Non sussiste, poi,
la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., lamentata dalla Provincia autonoma di Bolzano, in quanto
le disposizioni impugnate, lo si è già rilevato, sono attuative degli obblighi
derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea e non pongono a
carico delle autonomie alcun vincolo ulteriore rispetto a tali obblighi.
Neppure fondata è,
infine, la questione proposta dalla medesima Provincia autonoma di Bolzano in
relazione agli artt. 3 e 97 Cost. A prescindere da
ogni valutazione circa la corretta evocazione a parametro di quest’ultima
disposizione costituzionale, insistendo la censura soltanto sulla
ragionevolezza della scelta di accentramento delle competenze, deve ribadirsi
quanto si è già osservato: il legislatore statale, nel rivisitare le competenze
in materia di VIA e di assoggettabilità a VIA, non doveva prendere in
considerazione criteri meramente territoriali, in quanto gli obiettivi di
salvaguardia ambientale, che ha ritenuto di perseguire attraverso una migliore
qualità ed efficienza dei procedimenti, ben giustificavano l’adozione di un
criterio orientato alla valutazione dell’intensità di impatto ambientale che i
singoli progetti, di là dall’allocazione geografica, possono presentare.
18.– Le Province autonome di Trento
e Bolzano censurano gli artt. 8, 16, commi 1 e 2, e 24 del d.lgs. n. 104 del
2017, nella parte in cui siano da considerarsi ad esse applicabili.
18.1.– L’art. 8, sostitutivo dell’art.
19 cod. ambiente, pone una nuova disciplina delle modalità di svolgimento del
procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA, secondo una serie di
articolati passaggi procedurali.
Nel caso in cui
venga stabilito di non sottoporre il progetto a VIA, l’autorità deve motivare
tenendo conto delle eventuali osservazioni del Ministro dei beni e delle
attività culturali e del turismo.
Secondo le Province
autonome, detto art. 8 porrebbe una disciplina estremamente dettagliata del
procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA, dalle modalità di trasmissione
dello studio preliminare alle modalità di pubblicazione, alla istruttoria, ai
termini del procedimento, ai modi, ai tempi e ai limiti delle possibilità di
interlocuzione con gli interessati. Stesso discorso varrebbe per il comma 2
dell’art. 16 del d.lgs. n. 104 del 2017, introduttivo, come si è visto, del
provvedimento unico regionale, il quale recherebbe una disciplina – ugualmente
analitica e minuziosa – del procedimento di VIA di competenza regionale.
Secondo la Provincia autonoma di Bolzano, tali disposizioni si porrebbero in
irrimediabile contrasto con la normativa comunitaria, così violando i vincoli
derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea.
18.2.– Analoghe censure sono riferite
anche all’art. 24 del decreto legislativo impugnato, che sostituisce il comma 4
dell’art. 14 della legge n. 241 del 1990, affidando alla conferenza di servizi,
convocata in modalità sincrona ai sensi dell’art. 14-ter della medesima legge,
l’adozione di tutti provvedimenti legati alla procedura di VIA.
Tali disposizioni si
porrebbero in contrasto con una serie di competenze legislative proprie
(primarie e concorrenti) riconosciute alle Province autonome dallo statuto reg.
Trentino-Alto Adige.
In particolare, la
disciplina statale contrasterebbe con l’art. 8, comma 1, dello statuto, che
assegna una generale potestà primaria di auto-organizzazione alla Provincia
autonoma, comprensiva del procedimento di valutazione di impatto ambientale, e
con l’art. 16 di detto statuto, che affida alle Province autonome le funzioni
amministrative corrispondenti alle competenze legislative, oltre che con la
«tutela della salute», spettante alle ricorrenti in virtù del combinato
disposto dell’art. 117, terzo comma, Cost. e dell’art. 10 della legge cost.
n. 3 del 2001.
Inoltre, la
competenza delle Province autonome in materia di disciplina del procedimento di
VIA sarebbe espressamente riconosciuta dalla normativa di attuazione dello
statuto speciale (art. 19-bis del d.P.R. 22 marzo
1974, n. 381, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per la
regione Trentino Alto-Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche»). Ai
sensi di tale norma, per le opere soltanto delegate dallo Stato, le Province
autonome di Trento e di Bolzano, per il rispettivo territorio, possono
applicare la normativa provinciale in materia di organizzazione degli uffici,
di contabilità, di attività contrattuale, di lavori pubblici e di valutazione
di impatto ambientale.
Le competenze
statutarie non potrebbero essere limitate dalla competenza statale in materia
di tutela dell’ambiente ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
essendo un tale effetto precluso dalla clausola di maggior favore sancita
dall’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
Sarebbero violati,
inoltre, gli artt. 117, quinto comma, e 120, secondo comma, Cost.
Le Province autonome disporrebbero, infatti, del potere di dare immediata
attuazione alle direttive comunitarie nelle materie di propria competenza fin
dall’entrata in vigore dell’art. 7 del d.P.R. n. 526
del 1987, di attuazione dello statuto, potere che è stato esteso alle materie
di competenza concorrente dall’art. 9, commi 1 e 2, della legge 9 marzo 1989,
n. 86 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo
comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari). Tale
potere sarebbe ora previsto, in via generale, dall’art. 117, quinto comma, Cost., la
cui legge di attuazione – la n. 234 del 2012 – tiene fermo, per le Regioni a
statuto speciale e per le Province autonome, «quanto previsto nei rispettivi
statuti speciali e nelle relative norme di attuazione» (art. 59).
Sarebbe leso,
inoltre, il principio di ragionevolezza e proporzionalità, ex artt. 3 e 97 Cost., in
quanto la disciplina impugnata vincolerebbe le Province autonome ad uniformarsi
a norme dettagliate che costringerebbero la legislazione regionale e
provinciale ad un grado di uniformità eccessiva rispetto al fine attuare la
direttiva europea. Vi sarebbe, inoltre, la violazione dell’art. 2 del d.lgs. n.
266 del 1992, che vieta la sostituzione di discipline statali alle discipline
provinciali, prevedendo invece un dovere di adeguamento di queste ultime,
limitato dalle regole statutarie e presidiato dalla Corte costituzionale.
18.3.– Le Province autonome hanno
impugnato anche l’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017, il quale ha
sostituito l’art. 27 cod. ambiente.
Tale disposizione
introduce il provvedimento unico statale in materia ambientale. Viene cioè
previsto che, su iniziativa del proponente, per i procedimenti di cui è
competente l’amministrazione statale sia adottato un provvedimento autorizzatorio inclusivo di ulteriori titoli abilitativi,
specificamente individuati dal decreto stesso.
18.4.– La Provincia autonoma di Trento
ritiene che il provvedimento unico statale, che comprende il rilascio di alcuni
titoli tra i quali l’autorizzazione in materia di scarichi nel sottosuolo,
l’autorizzazione paesaggistica, culturale e quella riguardante il vincolo
idrogeologico, invaderebbe le competenze legislative e amministrative della
ricorrente. Inoltre, la disposizione sarebbe illegittima nella parte in cui
richiama l’art. 14-ter della legge n. 241 del 1990, scegliendo così il modulo
procedimentale della conferenza di servizi con modalità sincrona, senza
rinviare anche all’art. 14-quinquies, che regola i rimedi in caso di dissenso
tra amministrazioni procedenti. Anche la Provincia autonoma di Bolzano censura
la disposizione, nella parte in cui non consentirebbe un idoneo coinvolgimento
delle Regioni e delle Province autonome, secondo quanto prescritto dalla
giurisprudenza costituzionale in tema di chiamata in sussidiarietà.
18.5.– La Regione autonoma Valle
d’Aosta/Vallée d’Aoste ha
impugnato, a sua volta, gli artt. 16, comma 2, e 24 del d.lgs. n. 104 del 2017.
Secondo la ricorrente, tali disposizioni contrasterebbero con le competenze
legislative riconosciute dallo statuto valdostano, oltre che con gli artt. 3,
5, 97, 117, primo e terzo comma, 118 e 120 Cost., anche in relazione
all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
La pretesa del
legislatore statale di disciplinare dal centro e in modo uguale per tutto il
suolo nazionale la VIA regionale, senza tenere in alcuna considerazione le
specificità locali, sarebbe manifestamente irragionevole e contraria ai
principi di buon andamento (art. 97 Cost.),
sussidiarietà e differenziazione (art. 118 Cost.).
18.6.– Devono essere rigettate,
preliminarmente, alcune eccezioni avanzate dalla difesa statale. In
particolare, raggiungono la soglia minima di chiarezza e completezza argomentativa
le censure proposte dalla Provincia autonoma di Bolzano relative alla
violazione del principio di sussidiarietà e alla lesione del principio di
legalità in relazione ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia
all’Unione europea.
Analogamente, devono
essere respinte le eccezioni di inammissibilità avanzate dalla difesa statale
in merito alle censure delle Province autonome relative ai principi di
ragionevolezza e proporzionalità ex artt. 3 e 97 Cost.
Le ricorrenti, al contrario, hanno posto in evidenza con sufficiente precisione
i prospettati vizi di illegittimità costituzionale e hanno adeguatamente
dimostrato la ridondanza delle violazioni di disposizioni costituzionali
estranee al Titolo V della Parte II della Costituzione sulle competenze
costituzionalmente garantite.
18.7.– Le questioni di legittimità
costituzionale, promosse dalle Province autonome, riguardanti l’art. 8 del
d.lgs. n. 104 del 2017, che disciplina il procedimento di verifica di
assoggettabilità a VIA, non sono fondate.
La norma impugnata
non risulta incongruente o eccedente rispetto alla ratio complessiva della
riforma. Per alcuni aspetti, peraltro, essa è direttamente riproduttiva della
direttiva 2014/52/UE, normativa che fa riferimento alla necessità che la domanda,
adeguatamente pubblicizzata, del proponente evidenzi i punti chiave del
progetto (considerando n. 26; art. 1, paragrafo 4), ai criteri che l’autorità
competente deve seguire per l’esclusione di un progetto dalla VIA (considerando
n. 28 e n. 29; art. 1, paragrafo 4, Allegato III) e alla necessità di
concludere il procedimento entro un termine complessivo di 90 giorni. Anche la
possibilità di sospendere i termini per ragioni eccezionali trova una diretta
copertura sovranazionale (art. 1, paragrafo 4).
Come questa Corte ha
già affermato in relazione alla prima attuazione nazionale della disciplina
comunitaria sulla VIA (legge 8 luglio 1986, n. 349, recante «Istituzione del
Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale»), con riferimento
proprio a un ricorso presentato dalla Provincia autonoma di Bolzano, la mancata
attuazione della direttiva sull’intero territorio nazionale esporrebbe lo Stato
italiano al rischio di una procedura di infrazione per violazione del diritto
sovranazionale.
La nuova procedura
relativa alla verifica di assoggettabilità a VIA si inserisce nel complessivo
intervento di riforma realizzato dal legislatore statale in attuazione degli
obblighi europei, che le Province autonome sono tenute a rispettare.
D’altro canto,
l’eventuale accoglimento delle questioni, con conseguente effetto di ritenere
non applicabile la norma (o anche solo parti di essa), rischierebbe non solo di
minare la ratio complessiva della riforma, ma anche la sua organicità, causando
un inammissibile frazionamento di una disciplina strettamente connessa alla
tutela ambientale. Per tale ragione, questa Corte ha attribuito il rango di
norma di riforma economico-sociale non solo a norme-principio, cioè a precetti
vaghi e indeterminati, ma anche, e più in generale, a tutte le norme «che
rispondano complessivamente ad un interesse unitario ed esigano, pertanto,
un’attuazione su tutto il territorio nazionale» (sentenza n. 1033
del 1988; in termini analoghi, più recentemente, sentenze n. 229 e n. 212 del 2017,
n. 170 del 2001,
n. 477 del 2000
e n. 323 del
1998). In altri termini, a rilevare è che i principi fondamentali di
riforma, ancorché «non espressamente enunciati, poss[a]no
anche essere desunti dalla disciplina di dettaglio, che ad essi si ispira o che
necessariamente li implica e presuppone. Nel contesto di una incisiva riforma,
la qualifica di fondamentale da attribuire alle norme della nuova disciplina
può derivare dal costituire esse un elemento coessenziale alla riforma
economico-sociale, in quanto la caratterizzano o formano la base del suo
sviluppo normativo» (sentenza n. 482 del
1995).
La nozione di norma
fondamentale rifugge, infatti, da operazioni ontologiche di catalogazione,
legate al grado di indeterminatezza lessicale della disposizione per
accogliere, di converso, una qualificazione funzionale e teleologica, connessa
al rapporto di strumentalità con la ratio complessiva della riforma.
La disposizione
censurata non produce, dunque, alcuna lesione delle competenze legislative
delle Province autonome, costituendo, al tempo stesso, attuazione degli
obblighi sovranazionali e norma fondamentale di riforma economico-sociale nella
materia «tutela dell’ambiente» e «dell’ecosistema».
Conseguentemente,
non vi è violazione del potere, attribuito alle Province autonome, di dare
attuazione alla normativa europea nelle materie di loro competenza.
Non sono fondate,
poi, le censure relative alla violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del
1992, posto che la norma impugnata rientra a pieno titolo tra le norme cui le
Province autonome sono tenute a conformarsi.
18.8.– Alla luce di tali
considerazioni, anche le questioni, promosse dalla Regione autonoma Valle
d’Aosta/Vallée d’Aoste e
dalle Province autonome sugli artt. 16, comma 2, e 24 del d.lgs. n. 104 del
2017, devono dichiararsi non fondate. Come già visto, la prima disposizione
disciplina il procedimento unico regionale, finalizzato all’adozione del
provvedimento unico; la seconda, sostitutiva dell’art. 14, comma 4, della legge
n. 241 del 1990, stabilisce che «tutte le autorizzazioni, intese, concessioni,
licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari
alla realizzazione e all’esercizio del medesimo progetto, vengono acquisiti
nell’ambito di apposita conferenza di servizi, convocata in modalità sincrona
ai sensi dell’articolo 14-ter, secondo quanto previsto dall’articolo 27-bis del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152».
Le norme impugnate
attengono al nucleo centrale di una riforma volta a semplificare,
razionalizzare e velocizzare la valutazione di impatto ambientale regionale,
inserendo in un provvedimento unico, adottato in conferenza di servizi, tutte
le autorizzazioni necessarie alla realizzazione dell’opera. Come già visto, la
determinazione della conferenza di servizi non assorbe i singoli titoli autorizzatori, ma li ricomprende, elencandoli. La decisione
di concedere i titoli abilitativi è assunta sulla base del provvedimento di VIA
successivo alla determinazione della conferenza di servizi (comma 7, del nuovo
art. 27-bis, introdotto dall’art. 16, comma 2, del censurato d.lgs. n. 104 del
2017), e non sostituisce le altre autorizzazioni necessarie alla realizzazione
del progetto.
Da ciò deriva,
quindi, la non fondatezza delle censure avanzate dalle Province autonome e
dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste con riferimento alle competenze legislative
statutariamente previste. Queste, infatti, devono essere esercitate nei limiti
degli obblighi internazionali e delle norme fondamentali di riforma economico-sociale,
come previsto dall’art. 2 dello statuto reg. Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste e dagli artt. 4, 5, 8 e 9 dello statuto reg.
Trentino-Alto Adige. Peraltro, il procedimento di VIA e le funzioni
amministrative ad esso connesse non sono riconducibili sic et simpliciter ad
alcuna specifica attribuzione degli enti ad autonomia differenziata, ma sono
strumentali all’inveramento del bene ambientale, valore di rango costituzionale
tutelato anche dalla normativa europea.
Per le medesime
ragioni, il complessivo intervento di riforma non è in contrasto con gli artt.
3 e 97 Cost., stante la non frazionabilità della tutela dell’ambiente
sull’intero territorio nazionale. A tale riguardo, non può dirsi, come invece
sostengono le ricorrenti, che le norme impugnate siano eccessivamente
dettagliate. Osta a tale conclusione quanto si è già detto sulla portata delle
norme fondamentali di riforma economico-sociale. In tale ambito, infatti, ciò
che rileva è il nesso che la prescrizione normativa intrattiene con la ratio complessiva
della riforma.
In ogni caso, non
potrebbe essere evocata, a supporto della fondatezza delle questioni, la sentenza n. 212 del
2017, con cui questa Corte ha disposto l’inapplicabilità alle Province
autonome di alcune norme della legge 28 giugno 2016, n. 132 (Istituzione del
Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente e disciplina
dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) in materia
di agenzie regionali e provinciali per l’ambiente, pronuncia richiamata a più riprese
nelle memorie illustrative depositate dalle ricorrenti.
La menzionata
decisione ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di disposizioni statali
volte a disciplinare i requisiti di selezione dei direttori generali delle
agenzie e le modalità di organizzazione del personale e delle funzioni interne
delle agenzie provinciali, norme eccedenti la finalità ambientale del
complessivo disegno predisposto dallo Stato. Le disposizioni invadevano,
infatti, la competenza primaria delle Province autonome in materia di
ordinamento degli uffici e del personale (art. 8, n. 1, statuto reg.
Trentino-Alto Adige).
Nulla di tutto
questo avviene, invece, nel caso di specie, ove le norme censurate disciplinano
il procedimento e le funzioni amministrative preordinate alla miglior tutela
del bene ambientale e al contemperamento degli interessi pubblici e privati che
vengono in gioco nella procedura di VIA.
Di qui, la non
fondatezza delle questioni concernenti gli artt. 16, comma 2, e 24 del d.lgs.
n. 104 del 2017.
18.9.– Le questioni, promosse dalle
Province autonome, riguardanti l’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017,
non sono fondate.
La disposizione
impugnata, che sostituisce l’art. 27 cod. ambiente, rappresenta diretta
attuazione della direttiva 2014/52/UE, la quale sollecita procedure coordinate
e comuni nel caso in cui la procedura di VIA incroci altri provvedimenti autorizzatori previsti dalla normativa europea (art. 2,
paragrafo 3), richiedendo agli Stati di adoperarsi perché, in tali frangenti,
sia adottato un unico provvedimento.
Anche il
provvedimento unico in materia di VIA statale fa parte del nucleo della
complessiva riforma delle procedure di impatto ambientale, in coerenza con le
esigenze di semplificazione e razionalizzazione poste dalla normativa
sovranazionale.
Inoltre, come posto
in evidenza dall’Avvocatura dello Stato, il provvedimento unico ambientale non
realizza alcuna surroga o espropriazione delle competenze delle amministrazioni
provinciali. Rinviando l’assunzione del provvedimento alla conferenza di
servizi in forma simultanea con modalità sincrona, la disciplina individua un
modulo procedimentale che coinvolge al massimo grado le amministrazioni
interessate. Queste, infatti, sono chiamate a presentare la propria posizione
in relazione ai procedimenti sui quali decide la conferenza, organo che
delibera all’unanimità o sulla base delle cosiddette posizioni prevalenti delle
amministrazioni partecipanti (art. 14-ter, comma 7, e art. 14-quater, comma 4,
della legge n. 241 del 1990). Nel provvedimento unico confluiscono i «titoli
abilitativi» indicati dal decreto legislativo (comma 8 dell’art. 27 cod.
ambiente, come novellato dall’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017), a
conferma della natura comprensiva, e non meramente sostituiva, del
provvedimento in esame.
D’altronde, come
riconosciuto dalla difesa statale, asseverando l’auspicio della difesa
trentina, il richiamo all’art. 14-ter della legge n. 241 del 1990 richiede che
si applichino i rimedi per le amministrazioni dissenzienti. Il rinvio a tale
disposizione implica necessariamente l’applicazione degli artt. 14-quater e
14-quinquies della medesima legge, in base alla concatenazione di rinvii
normativi presupposta e avallata dalla disposizione censurata.
In tal senso, nel
caso in cui non si raggiungesse l’unanimità in conferenza di servizi, la
decisione conclusiva del procedimento unico sarebbe presa sulla base delle
posizioni prevalenti, in virtù del peso specifico, valutato e ponderato
dall’amministrazione procedente, che ciascuna amministrazione partecipante
possiede in relazione agli interessi pubblici di cui è portatrice. Tale
procedura, se evita stasi ed eccessivi rallentamenti nei processi decisionali,
consente altresì alle amministrazioni in disaccordo di manifestare il proprio
dissenso, sospendendo l’efficacia della decisione e attivando i rimedi previsti
dall’art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990.
La disposizione da
ultimo menzionata prevede, in caso di mancato accordo, una reiterazione delle
riunioni della conferenza di servizi, in vista del raggiungimento di una
posizione comune. Nell’eventualità in cui i dissensi permangano, la questione è
posta all’ordine del giorno della prima riunione del Consiglio dei ministri
successiva alla scadenza del termine previsto per raggiungere l’intesa. Alla
riunione del Consiglio dei ministri partecipano anche i Presidenti delle
Regioni o delle Province autonome interessate.
È appena il caso di
precisare come non vi sia alcuna chiamata in sussidiarietà, come pure sostenuto
dalla Provincia autonoma di Bolzano. Tale istituto, come correttamente messo in
luce dalla difesa statale, presuppone che l’intervento legislativo attragga
funzioni in materie di competenze regionali o provinciali. Nulla di tutto ciò è
avvenuto nel caso di specie, poiché lo Stato ha esercitato la propria
competenza esclusiva in materia di ambiente, la cui disciplina condiziona gli
ordinamenti provinciali in virtù dei limiti degli obblighi internazionali e
delle norme fondamentali di riforma.
19.– La sola Provincia autonoma di
Bolzano impugna il comma 1 dell’art. 23 del d.lgs. n. 104 del 2017, recante le
«[d]isposizioni transitorie e finali».
La norma in
questione stabilisce che le disposizioni del medesimo d.lgs. n. 104 del 2017
«si applicano ai procedimenti di verifica di assoggettabilità a VIA e ai
procedimenti di VIA avviati dal 16 maggio 2017»: dunque, a partire da una data
anteriore a quella di entrata in vigore del decreto (21 luglio 2017).
Secondo la
ricorrente, essa, prevedendo un’applicazione retroattiva delle disposizioni del
decreto, si porrebbe in palese contrasto con l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del
1992, il quale, da un lato, stabilisce che «la legislazione regionale e
provinciale deve essere adeguata ai principi e norme costituenti limiti
indicati dagli articoli 4 e 5 dello statuto speciale e recati da atto
legislativo dello Stato entro i sei mesi successivi alla pubblicazione
dell’atto medesimo nella Gazzetta Ufficiale» e, dall’altro, nell’escludere la
diretta applicabilità della nuova disciplina statale, prevede, una volta
decorso tale termine, la possibilità d’impugnazione davanti a questa Corte
della legislazione che non sia stata adeguata.
19.1.– La questione è fondata.
Si è già più volte rilevato
che la nuova disciplina posta dal d.lgs. n. 104 del 2017 comporta un limite
alle competenze legislative degli enti ad autonomia differenziata, in quanto
recante norme fondamentali di riforma economico-sociale oltre che derivanti da
obblighi europei.
Il richiamato art. 2
del d.lgs. n. 266 del 1992 prevede, per la Regione Trentino-Alto Adige e le due
Province autonome di Trento e di Bolzano, uno speciale meccanismo di
adeguamento della legislazione regionale e provinciale alle nuove norme,
introdotte con atto legislativo statale, che dettino limiti alle competenze
statutariamente previste. In particolare, come si è visto, tale norma di
attuazione statutaria prevede che gli enti territoriali adeguino la propria
legislazione entro sei mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale
dell’atto legislativo statale, restando applicabili le disposizioni
preesistenti fino al loro adeguamento o, in mancanza di quest’ultimo, sino al
loro annullamento da parte di questa Corte, su ricorso del Governo.
La norma censurata,
nel prevedere l’applicabilità, non solo immediata, ma addirittura a ritroso,
della nuova disciplina statale in materia di VIA e di assoggettabilità a VIA,
senza alcuna eccezione, si pone dunque in contrasto con le garanzie accordate
dalla norma di attuazione, correttamente evocata a parametro di legittimità
costituzionale (sentenze n. 212 e n. 191 del
2017, n. 121
e n. 28 del
2014).
Non vale opporre,
come ha fatto il Presidente del Consiglio dei ministri, che l’applicazione
retroattiva del d.lgs. n. 104 del 2017 risponde all’esigenza di garantire una
piena e tempestiva attuazione della direttiva 2014/52/UE, collegandosi quindi
al dovere, incombente sul legislatore nazionale, di adempiere prontamente agli
obblighi sovranazionali. In caso di mancato adeguamento della normativa
regionale e provinciale alla direttiva europea, lo Stato – oltre al potere
d’impugnativa previsto dalla norma di attuazione – può, infatti, esercitare il
potere sostitutivo previsto dall’art. 117, quinto comma, Cost.
L’art. 23, comma 1,
del d.lgs. n. 104 del 2017, dunque, deve essere dichiarato costituzionalmente
illegittimo, nella parte in cui non contempla una clausola di salvaguardia che
consenta alle Province autonome di Trento e Bolzano di adeguare la propria
legislazione alle norme in esso contenute, secondo la procedura di cui all’art.
2 del d.lgs. n. 266 del 1992.
20.– La Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e le Province
autonome di Trento e di Bolzano impugnano anche il comma 4 dell’art. 23 del
d.lgs. n. 104 del 2017, che regola l’esercizio del potere sostitutivo dello
Stato in ordine all’adeguamento degli ordinamenti delle Regioni e delle
Province autonome prefigurato dall’art. 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152 del
2006, aggiunto dall’art. 5, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 104 del 2017.
La norma impugnata
prevede che le Regioni e le Province autonome adeguino i propri ordinamenti,
esercitando le potestà normative di cui al citato art. 7-bis, comma 8, «entro
il termine perentorio di centoventi giorni dall’entrata in vigore» del d.lgs.
n. 104 del 2017. Essa altresì prevede che, decorso tale termine, «in assenza di
disposizioni regionali o provinciali vigenti idonee allo scopo, si applicano i
poteri sostitutivi di cui all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione,
secondo quanto previsto dagli articoli 41 e 43 della legge 24 dicembre 2012, n.
234».
20.1.– La Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste reputa la norma de
qua in contrasto con plurime norme del proprio statuto speciale, oltre che con
gli artt. 3, 5, 117, primo, terzo e quinto comma, 118 e 120 Cost.,
anche in relazione all’art. 10 della legge cost. n. 3
del 2001.
Secondo la
ricorrente, la disposizione violerebbe tutti i parametri costituzionali evocati
in ragione dell’assoluta genericità e vaghezza del presupposto al quale è
connessa l’attivazione del potere sostitutivo dello Stato: vale a dire, il
difetto di "idoneità allo scopo” delle norme regionali e provinciali adottate
in forza del nuovo art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente.
Inoltre, tale ultima
disposizione si riferirebbe a funzioni tutte a esercizio eventuale e
facoltativo, di modo che in relazione ad esse non potrebbe essere esercitato il
potere sostitutivo dello Stato, il quale secondo la giurisprudenza
costituzionale può essere attivato solo in caso di mancata adozione di atti
vincolati nell’an.
20.1.1.– Le questioni non sono fondate.
L’art. 23, comma 4,
del d.lgs. n. 104 del 2017 richiama espressamente l’art. 117, quinto comma, Cost.,
che prevede il potere sostitutivo dello Stato nei casi di inadempienza delle
Regioni e delle Province autonome nell’attuazione del diritto dell’Unione
europea nelle materie di loro competenza. Sulla base di una piana
interpretazione letterale e sistematica della disposizione impugnata,
l’obiettivo dell’intervento sostitutivo – in caso di inidoneità allo scopo
delle norme regionali e provinciali – può pertanto essere individuato,
conformemente a quanto sostiene l’Avvocatura dello Stato, nell’esigenza di
evitare che carenze organizzative a livello regionale o provinciale compromettano
la piena attuazione della direttiva 2014/52/UE.
L’art. 7-bis, comma
8, cod. ambiente prevede espressamente che le Regioni e le Province autonome
disciplinino «l’organizzazione e le modalità di esercizio delle funzioni
amministrative ad esse attribuite in materia di VIA». Per questa parte, la
disposizione chiama gli enti territoriali allo svolgimento d’una funzione
vincolata nell’an, sicché il potere sostitutivo
previsto dalla norma impugnata non va incontro alle censure di costituzionalità
mosse dalla ricorrente.
20.2.– La Provincia
autonoma di Trento lamenta che la norma impugnata, qualificando il termine di
adeguamento come «perentorio», precluda definitivamente alla Provincia
l’esercizio della potestà normativa una volta che il termine sia spirato: il
che sarebbe in contrasto con gli artt. 8 e 9 dello statuto speciale, con l’art.
117, quinto comma, Cost., come attuato dall’art. 41
della legge n. 234 del 2012, e con l’art. 120, secondo comma, Cost., i quali, invece, pongono il principio per cui la
sostituzione deve avere carattere suppletivo.
20.2.1.– Le questioni non sono fondate.
L’art. 41 della
legge n. 234 del 2012 – richiamato dalla norma censurata e dunque, com’è
naturale che sia in ragione della sua natura di disposizione a carattere
generale, applicabile in caso di esercizio del potere sostitutivo ora in
discorso – prevede espressamente che i provvedimenti statali di attuazione
degli atti dell’Unione europea, da un lato, «perdono comunque efficacia dalla
data di entrata in vigore dei provvedimenti di attuazione di ciascuna regione e
provincia autonoma» e, dall’altro, debbono recare «l’esplicita indicazione
della natura sostitutiva del potere esercitato e del carattere cedevole delle
disposizioni in essi contenute». Ciò tanto basta a escludere il risultato
ermeneutico cui giunge la ricorrente.
20.3.– La Provincia autonoma di Trento
ritiene illegittimo l’art. 23, comma 4, del d.lgs n.
104 del 2017 anche nella parte in cui stabilisce che, decorso il termine
«perentorio», si applicano i poteri sostitutivi di cui all’art. 117, quinto
comma, Cost. Ove tale disposizione fosse intesa come
diretta a consentire l’utilizzo del potere sostitutivo per introdurre una
disciplina di adeguamento al decreto legislativo, e non soltanto alla direttiva
europea, la previsione considerata verrebbe a collidere, infatti, con l’art. 8
del d.P.R. n. 526 del 1987, il quale prevede
l’esercizio del potere in discorso solo nel caso di «accertata inattività degli
organi regionali e provinciali che comporti inadempimento agli obblighi
comunitari» e, comunque sia, previa concessione di un ulteriore termine alla
Regione o alla Provincia autonoma.
20.3.1.– La questione non è fondata.
Come già ricordato,
la disposizione impugnata regola l’esercizio del potere sostitutivo dello Stato
in confronto alle potestà normative delle Regioni e delle Province autonome di
cui all’art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente (aggiunto dall’art. 5, comma 1, del
d.lgs. n. 104 del 2017).
Vero è che, ai sensi
dell’art. 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, le potestà legislative
devono essere esercitate dalle Regioni e dalle Province autonome «in conformità
alla legislazione europea e nel rispetto di quanto previsto nel […] decreto»
medesimo. Tuttavia, poiché il potere sostitutivo, come già messo in luce, può
essere esercitato nel solo caso in cui carenze organizzative a livello
regionale o provinciale compromettano la piena attuazione della direttiva
2014/52/UE, la mancata osservanza della normativa statale potrà sì rilevare
quale presupposto legittimante l’intervento sostitutivo, ma solo e soltanto
qualora si traduca in un difetto di conformità alla direttiva europea.
Quanto alla
necessità che il Governo, prima di esercitare il potere sostitutivo, assegni
alla Regione o alla Provincia «un congruo termine per provvedere», coglie nel
segno la difesa dello Stato quando osserva che il censurato art. 23, comma 4,
richiamando l’art. 43 della legge n. 234 del 2012, rende operante il meccanismo
di "diffida” previsto dal comma 2 di tale articolo tramite il richiamo all’art.
8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento
dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3).
20.4.– Le Province autonome di Trento
e di Bolzano, infine, denunciano il contrasto della norma impugnata con il già
ricordato meccanismo di adeguamento della legislazione provinciale di cui
all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992. Si censura, in particolare, che il
termine previsto dalla norma impugnata, pari a 120 giorni, sia più breve di
quello stabilito dalla citata norma di attuazione statutaria, pari invece a sei
mesi.
20.4.1.– La questione è fondata.
Come si è già
rilevato, l’art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017 prescrive il
necessario adeguamento delle legislazioni regionali e provinciali alla nuova
disciplina introdotta dalla direttiva 2014/52/UE e dal medesimo decreto per
mezzo dell’esercizio della potestà normativa di cui al citato art. 7-bis cod.
ambiente. Disposizione, quest’ultima, che, come si è già visto, richiede agli
enti territoriali di disciplinare, in particolare, «l’organizzazione e le
modalità di esercizio delle funzioni amministrative ad esse attribuite in
materia di VIA».
Si tratta, pertanto,
di un onere di adeguamento della propria legislazione che, per quel che
riguarda le Province autonome di Trento e di Bolzano, può essere assolto
secondo i termini dettati dall’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992. La
disposizione impugnata – lì dove invece prevede, anche in riferimento a tali
enti territoriali, che l’adeguamento deve avvenire entro centoventi giorni
dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 104 del 2017 – si pone dunque in contrasto
con la richiamata norma di attuazione statutaria, che prevede il diverso e più
ampio termine di sei mesi, e va conseguentemente dichiarata illegittima
limitatamente a tale parte.
21.– Le Regioni
autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna impugnano l’art. 12, nella parte in
cui sostituisce l’art. 23, comma 4, secondo periodo, cod. ambiente (ai sensi
del quale deve essere data comunicazione, a tutti gli enti potenzialmente
interessati, dell’avvenuta pubblicazione, sul sito web dell’autorità
competente, della documentazione richiesta al proponente ai fini della VIA);
l’art. 13, nella parte in cui sostituisce l’art. 24, comma 3, secondo periodo,
del medesimo cod. ambiente (il quale stabilisce il termine di sessanta giorni
per la presentazione di osservazioni e pareri da parte delle amministrazioni
potenzialmente interessate a fronte di modifiche o integrazioni apportate al
progetto ad opera del proponente); l’art. 14, nella parte in cui sostituisce
l’art. 25, comma 1, primo periodo (valutazione di impatto ambientale compiuta
tenendo conto dei pareri degli enti potenzialmente interessati), cod. ambiente.
In via generale, le
ricorrenti ritengono che, stando alla lettera delle disposizioni, nella
procedura di VIA statale l’amministrazione centrale potrà escludere, a sua
arbitraria discrezione, la Regione interessata, coinvolgendo esclusivamente gli
enti locali o ritenendo irrilevante la partecipazione regionale.
Sotto tale profilo,
le ricorrenti lamentano anzitutto la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.,
atteso che il legislatore statale ha disatteso un obbligo sancito dal diritto
europeo, al quale è vincolato dalla predetta disposizione costituzionale.
Vi sarebbe poi la
violazione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica
amministrazione, ex artt. 3 e 97 Cost., atteso che il legislatore statale, lungi dall’individuare
in astratto gli enti da consultare, avrebbe lasciato l’amministrazione statale
domina dell’intero procedimento e arbitra del coinvolgimento o meno degli enti
da informare.
Infine, la
disciplina della VIA realizzerebbe un intreccio di competenze statali e
regionali, riconosciute dagli statuti di autonomia e dall’art. 117, terzo
comma, Cost., applicabile alle Regioni a statuto speciale ai sensi
dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, con
conseguente compressione della sfera di autonomia riconosciute alle ricorrenti.
Per le medesime ragioni,
sarebbe poi illegittimo l’art. 24, comma 5, cod. ambiente, come novellato
dall’art. 13 del d.lgs. n. 104 del 2017, nella parte in cui rimette alla
discrezionalità dell’amministrazione dello Stato la richiesta di un supplemento
di parere da parte delle altre amministrazioni consultate. Vi sarebbe un
illegittimo esercizio della competenza legislativa statale in materia di
«tutela dell’ambiente», ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., e
la violazione dei principi di ragionevolezza, buon andamento e leale
collaborazione tra Stato e Regione (artt. 3, 5, 97, 117 e 118 Cost.). Tali violazioni determinerebbero un’illegittima
compressione dell’autonomia regionale, nei già citati ambiti materiali di
competenza legislativa primaria e concorrente delle Regioni.
21.1.– Le censure non sono fondate.
In primo luogo, deve
essere smentito l’assunto delle ricorrenti secondo cui la disciplina della VIA
realizzerebbe un intreccio inestricabile di materie. Se è vero, infatti, che
sono sicuramente incise competenze regionali, come è insito nella natura
trasversale della materia «tutela dell’ambiente» e «dell’ecosistema»,
l’intervento statale ha un complessivo e prevalente intento di riforma di un
procedimento funzionale alla salvaguardia ambientale. Se a questo si aggiunge
l’origine sovranazionale della relativa disciplina, è allora evidente come
anche con riguardo alle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna la
normativa possa essere pienamente ricondotta alle clausole limitative previste
dagli statuti speciali degli obblighi internazionali e delle norme fondamentali
di riforma economico-sociale.
Lo stesso criterio
dell’interesse potenziale, fatto proprio dalla disciplina impugnata ai fini
dell’individuazione degli enti da coinvolgere nel procedimento di VIA statale,
è mutuato dalla disciplina sovranazionale. L’art. 6, paragrafo 1, della
direttiva 2011/92/UE, come modificato dalla direttiva 2014/52/UE, stabilisce:
«[g]li Stati membri adottano le misure necessarie affinché le autorità che
possono essere interessate al progetto, per la loro specifica responsabilità in
materia di ambiente o in virtù delle loro competenze locali o regionali,
abbiano la possibilità di esprimere il loro parere sulle informazioni fornite
dal committente e sulla domanda di autorizzazione, tenendo conto, ove
opportuno, dei casi di cui all’articolo 8 bis, paragrafo 3. A tal fine, gli
Stati membri designano le autorità da consultare, in generale o caso per caso.
Queste autorità ricevono le informazioni raccolte a norma dell’articolo 5. Le
modalità della consultazione sono fissate dagli Stati membri».
Tale disposizione
concorre a realizzare uno degli obiettivi della nuova disciplina di VIA, e cioè
la più ampia partecipazione delle istituzioni e del pubblico al processo
decisionale. In tal senso, i censurati artt. 12, 13 e 14, laddove fanno
riferimento agli enti territoriali potenzialmente interessati e alle altre
amministrazioni competenti, mirano a declinare, nell’ordinamento interno, il
principio della più ampia partecipazione possibile richiesto dalla normativa
sovranazionale (sugli obblighi di trasmissione agli enti territoriali della
domanda e della documentazione del procedimento di VIA come obbligo
comunitariamente necessario, sentenza n. 234 del
2009). Nell’ottica di valorizzare gli obblighi informativi in tema di VIA,
peraltro, si muove già da tempo la giurisprudenza costituzionale, che ha
ritenuto tali obblighi inderogabili dalle Regioni, proprio per il nesso di
strumentalità tra questi ultimi e il principio della più ampia partecipazione
possibile da parte dei soggetti interessati (sentenze n. 178 e n. 93 del 2013
e n. 227 del
2011).
È, dunque, errato il
presupposto interpretativo da cui muovono le ricorrenti: le norme impugnate,
nel riferirsi, a diverso titolo, agli «enti territorialmente interessati e
comunque competenti ad esprimersi sulla realizzazione del progetto», non
lasciano all’amministrazione statale alcuna scelta discrezionale nella
trasmissione dei progetti, dovendo questa necessariamente coinvolgere anche le
Regioni nel cui territorio saranno realizzati gli interventi. Di conseguenza,
anche le censure, sollevate con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.,
non sono fondate.
Non va dimenticato
inoltre, come correttamente posto in evidenza dalla difesa statale, che, nei
procedimenti relativi a VIA di competenza dello Stato, l’art. 6 del d.lgs. n.
104 del 2017 prevede, per i procedimenti per i quali sia riconosciuto un
concorrente interesse regionale, la designazione, da parte delle Regioni (e
delle Province autonome) interessate dal progetto, di un proprio rappresentante
nella Commissione tecnica di verifica di impatto ambientale insediata presso il
Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. In tal senso,
non solo le Regioni sono pienamente coinvolte nello stadio iniziale, di
instaurazione della procedura, ma anche nella fase istruttoria finalizzata
all’adozione del provvedimento finale.
Per le medesime
ragioni deve ritenersi non fondata l’ulteriore censura relativa all’art. 24,
comma 5, cod. ambiente, come novellato dall’art. 13 del d.lgs. n. 104 del 2017,
nella parte in cui rimetterebbe alla discrezionalità dell’amministrazione dello
Stato la richiesta di un supplemento di parere da parte delle altre
amministrazioni consultate. La norma, infatti, non esclude in radice nuove
osservazioni da parte degli enti territoriali, che invece saranno convolti
tutte le volte in cui le integrazioni progettuali abbiano una portata
innovativa rispetto all’originaria proposta.
22.– Ad avviso delle Regioni
autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, sarebbero altresì illegittimi gli
artt. 3, 5, 8, 9, 12, 13, 14, 16, 17, 22 e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017, per
violazione del principio di leale collaborazione, desumibile dagli artt. 5, 117
e 118 Cost., in combinato disposto con le competenze
statutarie, perché il decreto, oltre a non essere stato preceduto dall’intesa,
non avrebbe accolto le proposte emendative avanzate in sede di Conferenza
Stato-Regioni.
22.1.– Inammissibili, per le ragioni
già esposte, le censure circa la mancata previa intesa, non sono fondate le
questioni relative alla violazione del principio di leale collaborazione per il
mancato recepimento, da parte del Governo, delle indicazioni espresse nel
parere favorevole condizionato adottato dalla Conferenza Stato-Regioni.
Il Governo, infatti,
non era obbligato a recepire tutte le richieste avanzate dalle Regioni in
Conferenza permanente. La formula del parere non richiede quella reiterazione
delle trattative finalizzate al raggiungimento dell’accordo che questa Corte
richiede, invece, nelle ipotesi di intreccio inestricabile di competenze o di
chiamata in sussidiarietà (ex plurimis, sentenze n. 74 del 2018,
n. 251 e n. 1 del 2016).
D’altro canto, va pure rilevato che il Governo non ha mostrato, in concreto, un
atteggiamento di radicale preclusione rispetto alle esigenze regionali, come
mostra l’accettazione di parte delle indicazioni emerse in Conferenza (con
riguardo, ad esempio, alla consultazione pubblica in materia di verifica di
assoggettabilità a VIA o all’inserimento, a seguito di apposito coordinamento
normativo, del procedimento unico regionale in materia ambientale nel corpo
cod. ambiente).
23.– La Regione autonoma Sardegna ha
impugnato, inoltre, gli artt. 3, comma 1, lettere g) e h), 8, 14, 16 e 17 del
d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione del principio di leale collaborazione ex
artt. 5, 117 e 118 Cost., dell’art. 3 della legge cost. n. 3 del 1948, dell’art. 6 del decreto del Presidente
della Repubblica 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello
Statuto speciale della regione autonoma della Sardegna) e degli artt. 3, 97 e
117 Cost.
Le norme impugnate
sarebbero illegittime per aver previsto il coinvolgimento del Ministro dei beni
e delle attività culturali e del turismo e non della Regione autonoma Sardegna,
per gli interventi di VIA statale da realizzare nel territorio sardo.
Tale censura
varrebbe per l’esonero dei progetti che hanno come unico fine quello della
difesa nazionale o quello di rispondere ad emergenze di protezione civile, che
deve avvenire di concerto con il Ministro dei beni culturali (art. 3, comma 1,
lettera g); per l’esonero, in casi eccezionali, di progetti specifici, previo
parere del Ministro dei beni culturali (art. 3, comma 1, lettera h); per l’art.
8 del d.lgs. n. 104 del 2017, che sostituisce l’art. 19, comma 8, cod.
ambiente, nella parte in cui prevede che, nella procedura di verifica di
assoggettabilità a VIA, qualora si ritenga di non assoggettare il progetto a
VIA, il Ministro dell’ambiente, tenendo conto delle osservazioni del Ministro
dei beni culturali, specifica le condizioni ambientali necessarie a evitare o
prevenire quelli che potrebbero altrimenti rappresentare impatti ambientali
significativi; per l’art. 14, che sostituisce l’art. 25 cod. ambiente in relazione
all’adozione dei provvedimenti di VIA statale, da adottare previa acquisizione
del concerto con il Ministro dei beni culturali; per l’art. 16, comma 1, nella
parte in cui introduce nell’art. 27, comma 8, cod. ambiente il provvedimento
unico statale, adottato dal Ministero dell’ambiente di concerto con il Ministro
dei beni culturali; per l’art. 17, che sostituisce l’art. 28, comma 2, cod.
ambiente, nella parte in cui stabilisce che l’autorità competente, in
collaborazione con il Ministero dei beni culturali per i profili di competenza,
verifica l’ottemperanza delle condizioni ambientali di cui al comma 1 al fine
di identificare tempestivamente gli impatti ambientali significativi e negativi
imprevisti e di adottare le opportune misure correttive.
La Regione Sardegna
ha censurato, infine, l’art. 3, comma 1, lettera g) del d.lgs. n. 104 del 2017,
nella parte in cui consente al Ministro dell’ambiente di esonerare dalla
procedura di VIA specifici progetti che hanno come unico obiettivo la risposta
da emergenze di protezione civile. Tale disposizione sarebbe invasiva della
competenza concorrente in materia di protezione civile ex art. 117, comma
terzo, Cost., da riconoscere alla Regione autonoma in virtù della
clausola di maggior favore prevista dall’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
23.1.– Le questioni di legittimità
costituzionale non sono fondate.
Le censure relative
all’intero art. 3, comma 1, lettera g), relative all’esonero in caso di
progetti che rispondono ad emergenze di protezione civile, sono destituite di
fondamento per ragioni analoghe a quanto già esposto con riferimento ai ricorsi
delle Regioni Lombardia, Puglia, Abruzzo, Veneto e Calabria.
Deve ribadirsi che
la disposizione non è incongruente rispetto alla finalità complessiva della
riforma, volta a fornire uno standard uniforme di tutela ambientale, e dunque a
concentrare, in capo al vertice dell’apparato statale, la scelta dell’esonero
in caso di emergenze che rendono necessari interventi di protezione civile.
Non può neanche sostenersi
che la disposizione abbia violato il principio di leale collaborazione, posto
che la Conferenza Stato-Regioni è stata chiamata ad esprimere il parere sullo
schema di decreto legislativo che già annoverava tale norme.
Come già
argomentato, la leale collaborazione viene salvaguardata anche a "valle” del
procedimento amministrativo, alla luce di un inquadramento sistematico della
norma: la delibera dello stato di emergenza viene infatti decisa dal Consiglio
dei ministri, ai sensi dell’art. 24 del d.lgs. n. 1 del 2018 (che riproduce sul
punto quanto stabiliva l’art. 5 della legge n. 225 del 1992), previa intesa con
la Regione interessata. L’esonero da VIA deve dunque logicamente succedere alla
decisione di realizzare interventi di protezione civile concertati con gli enti
territoriali interessati.
Anche le censure
relative agli artt. 3, comma 1, lettera h), 8, 14, 16 e 17 del d.lgs. n. 104
del 2017, non sono fondate. Quanto all’asserita violazione delle norme
statutarie, è insita in una fondamentale riforma in materia ambientale la
compressione delle competenze regionali. I limiti delle norme di riforma
economico-sociale e degli obblighi internazionali hanno proprio questo scopo:
consentire che norme statali sprigionino efficacia precettiva anche nell’ambito
degli ordinamenti degli enti ad autonomia differenziata. Ciò che conta è, come
più volte ribadito, che non vi sia una sostanziale incoerenza con lo scopo
complessivo della riforma o con gli obblighi europei.
Quanto alla supposta
violazione del principio di leale collaborazione, la finalità riformatrice in
materia di tutela ambientale rende non costituzionalmente necessitato il
coinvolgimento della Regione quando si tratti di progetti di competenza dello
Stato.
LA CORTE
COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, del decreto legislativo
16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo
e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE,
concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti
pubblici e privati, ai sensi degli artt. 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n.
114), nella parte in cui non contempla una clausola di salvaguardia che
consenta alle Province autonome di Trento e di Bolzano di adeguare la propria
legislazione alle norme in esso contenute, secondo la procedura di cui all’art.
2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra gli
atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà
statale di indirizzo e coordinamento);
2) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del
2017, nella parte in cui prevede che le Province autonome di Trento e di
Bolzano adeguino i propri ordinamenti entro il termine di «centoventi giorni»
anziché entro quello di sei mesi dall’entrata in vigore del medesimo decreto
legislativo;
3) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’intero d.lgs. n.
104 del 2017, promossa, in riferimento all’art. 120 della Costituzione, dalla
Regione Puglia con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, 5, 8,
9, 12, 13, 16, 17, 22 e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento
al principio di leale collaborazione, dalle Regioni autonome Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Friuli-Venezia
Giulia e Sardegna, dalle Regioni Veneto e Calabria e dalle Province autonome di
Trento e di Bolzano con i ricorsi indicati in epigrafe;
5) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 3,
in combinato disposto con l’art. 3, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 104 del
2017, promosse, in riferimento agli artt. 3, 9, 24 e 97 Cost., dalla Regione Puglia
con il ricorso indicato in epigrafe;
6) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1,
del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 5, 76, 117, 118
e 120 Cost.,
dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;
7) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 27 del
d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 76, 81, 117, terzo
comma, e 118 Cost., dalle Regioni Lombardia, Abruzzo e Calabria con i ricorsi
indicati in epigrafe;
8) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma
1, 22, commi 1, 2, 3 e 4, e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in
riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso
indicato in epigrafe;
9) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma
l, 8, 16, commi l e 2, 22, commi l, 2, 3 e 4, 23, commi l e 4, e 24 del d.lgs.
n. 104 del 2017, promosse, in riferimento all’art. 76 Cost., dalla Provincia
autonoma di Bolzano con il ricorso indicato in epigrafe;
10) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’intero d.lgs. n. 104
del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 76, 77 e 117, primo comma, Cost.,
dalla Regione Puglia e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano con i
ricorsi indicati in epigrafe;
11) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, 4, 5, 8, 12,
13, 14, 16, 17, 22 e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento
all’art. 76 Cost., dalle Regioni autonome Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, dalle
Regioni Lombardia, Abruzzo, Puglia, Veneto e Calabria e dalle Province autonome
di Trento e di Bolzano con i ricorsi indicati in epigrafe;
12) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1,
lettera g), del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 3,
5, 32, 97, 117, terzo comma, 118 e 120 Cost., nonché al principio di leale collaborazione, dalle
Regioni Lombardia, Puglia, Abruzzo, Veneto e Calabria con i ricorsi indicati in
epigrafe;
13) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1,
lettera h), del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 3,
97, 117, terzo comma, e 118 Cost., nonché al principio di leale collaborazione, dalla
Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;
14) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, 22, commi 1,
2, 3 e 4, e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt.
3, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., nonché al principio di leale collaborazione di cui agli
artt. 5 e 120 Cost., dalle Regioni Lombardia,
Abruzzo, Calabria e Veneto con i ricorsi indicati in epigrafe;
15) dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 del d.lgs. n.
104 del 2017, promossa, in riferimento al principio di leale collaborazione,
dalla Regione Puglia con il ricorso indicato in epigrafe;
16) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, del
d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, terzo
comma, Cost., nonché del principio di leale collaborazione, dalle
Regioni Lombardia, Abruzzo e Calabria con i ricorsi indicati in epigrafe;
17) dichiara non
fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 21 del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in
riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost.,
nonché al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Lombardia, Abruzzo,
Veneto e Calabria con i ricorsi indicati in epigrafe;
18) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 22, commi 1,
2, 3 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 2,
primo comma, lettere a), d), f) e m), 3 e 4 della legge costituzionale 26
febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), nonché agli artt.
3, 97, 117, primo e terzo comma, e 118, Cost., anche
in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), dalla Regione
autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste
con il ricorso indicato in epigrafe;
19) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, 22 e 26 del
d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 4 e 5 della legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia), nonché agli artt. 117, secondo e terzo comma, Cost.,
dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con il ricorso indicato in
epigrafe;
20) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, 22 e 26 del
d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 4 della legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna),
nonché agli artt. 117, secondo e terzo comma, Cost., dalla Regione
autonoma Sardegna con il ricorso indicato in epigrafe;
21) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, 22, commi 1,
2, 3 e 4, e 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in
riferimento agli artt. 8, numeri 1), 3), 5), 6), 11), 13), 14), 16), 17), 18),
20) e 21), 9, numeri 3), 9) e 10), e 16 del d.P.R. 31
agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino Alto-Adige), all’art. 19-bis
del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione
dello statuto speciale per la Regione Trentino Alto-Adige in materia di
urbanistica ed opere pubbliche), all’art. 7 del d.P.R.
19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino-Alto Adige ed alle
province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del
Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), agli artt. 117, terzo,
quarto e quinto comma, anche in relazione all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, 118 e 120, secondo comma, Cost.,
dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso indicato in epigrafe;
22) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 1, e
22, commi 1, 2, 3 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento
agli artt. 8, numeri 3), 5), 6), 9), 11), 13), 16), 17), 18), 20), 21) e 24),
9, numeri 3), 9) e 10), e 16 del d.P.R. n. 670 del
1972, all’art. 19-bis del d.P.R. n. 381 del 1974,
agli artt. 7 e 8 del d.P.R. n. 526 del 1987, all’art.
4 del d.lgs. n. 266 del 1992, nonché agli artt. 3, 97, 117, primo, terzo,
quarto e quinto comma, Cost., anche in relazione
all’art. 10 della legge. cost.
n. 3 del 2001, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in
epigrafe;
23) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8, 16, commi 1 e
2, e 24 del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 8,
numeri 1), 3), 5), 6), 11), 13), 16), 17), 18), 20), 21) e 9, numeri 3), 9) e
10) del d.P.R. n. 670 del 1972, all’art. 19-bis del d.P.R. n. 381 del 1974, all’art. 7 del d.P.R.
n. 526 del 1987, all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, agli artt. 3, 97, 117,
primo e quinto comma, e 120, secondo comma, Cost.,
anche in relazione all’art. 10 della legge cost. n. 3
del 2001, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano, con i ricorsi
indicati in epigrafe;
24) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 16, comma 2, e
24 del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 2, primo
comma, lettere a), d), f) e m), 3 e 4 della legge cost.
n. 4 del 1948, nonché agli artt. 3, 5, 97, 117, primo e terzo comma, 118 e 120 Cost.,
anche in relazione all’art. 10 della legge cost. n. 3
del 2001, dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste, con il ricorso indicato in epigrafe;
25) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 4, del
d.lgs. n. 104 del 2017, promosse – in riferimento all’art. 2, primo comma,
lettere a), d), f) e m) della legge cost. n. 4 del
1948, nonché agli artt. 3, 5, 117, primo, terzo e quarto comma, 118 e 120 Cost.,
anche in relazione all’art. 10 della legge cost. n. 3
del 2001 – dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée
d’Aoste, con il ricorso indicato in epigrafe;
26) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 4, del d.lgs.
n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 8 e 9 del d.P.R. n. 670 del 1972, all’art. 8 del d.P.R.
n. 526 del 1987, nonché agli artt. 117, quinto comma, e 120, secondo comma, Cost.,
dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe;
27) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 12, 13 e 14 del
d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 4, numeri 6), 9),
10), 11), 12), 13), e 5, numeri 7), 10), 12), 14), 16), 20) e 22) della legge cost. n. 1 del 1963, nonché agli artt. 3, 5, 97 e 117,
primo comma, Cost., anche in relazione all’art. 1, comma 6, lettera a), della
direttiva 2014/52/UE, e agli artt. 117, secondo comma, lettera s), e terzo
comma, e 118 Cost., anche in relazione all’art. 10
della legge cost. n. 3 del 2001, promosse dalla
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, con il ricorso indicato in epigrafe;
28) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, 12, 13, 14,
22 e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 4 e 5
della legge cost. n. 1 del 1963, nonché agli artt. 5,
117 e 118 Cost. e al
principio di leale collaborazione, dalla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia, con il ricorso indicato in epigrafe;
29) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 12, 13 e 14 del
d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 3 e 4 della legge cost. n. 3 del 1948, nonché agli artt. 5, 97 e 117, primo
comma, Cost., anche in relazione all’art. 1, comma 6, lettera a), della
direttiva 2014/52/UE, e agli artt. 117, secondo comma, lettera s), e terzo
comma, e 118 Cost., anche in relazione all’art. 10
della legge cost. n. 3 del 2001, promosse dalla
Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe;
30) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, 5, 12, 13,
14, 22 e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 3 e
4 della legge cost. n. 3 del 1948, nonché agli artt.
5, 117 e 118 Cost. e al
principio di leale collaborazione, dalla Regione autonoma Sardegna, con il
ricorso indicato in epigrafe;
31) dichiara non
fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1,
lettere g) e h), 8, 14, 16 e 17 del d.lgs. n. 104 del 2017, promosse, in
riferimento all’art. 3 della legge cost. n. 3 del
1948, all’art. 6 del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480
(Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma della
Sardegna), agli artt. 3, 97 e 117 Cost, anche in
riferimento all’art. 10 della legge cost. n. 3 del
2001, nonché al principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5, 117 e
118 Cost.,
dalla Regione autonoma Sardegna, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno
2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI,
Presidente
Franco MODUGNO –
Augusto Antonio BARBERA, Redattori
Roberto MILANA,
Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 14 novembre 2018.