Sentenza n. 477/2000

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SENTENZA N. 477

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI 

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI

- Franco BILE  

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 15, 16, 19, 21, 22, 25, 27 e 29 della legge regionale del Trentino-Alto Adige 9 agosto 1982, n. 7 (Ordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Trento e di Bolzano); degli artt. 1 e 2 della legge regionale del Trentino-Alto Adige 9 novembre 1983, n. 14 (Modifiche alla legge regionale 9 agosto 1982, n. 7 "Ordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura di Trento e di Bolzano”); degli artt. 3, 4, 6, 8 e 9 della legge regionale del Trentino-Alto Adige 17 ottobre 1988, n. 22 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 9 agosto 1982, n. 7, modificata dalla legge regionale 9 novembre 1983, n. 14, sull’ordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Trento e di Bolzano); degli artt.1, 6, e 11 della legge regionale del Trentino-Alto Adige 22 maggio 1980, n. 8 (Norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Trento e di Bolzano); dell’art.4 della legge regionale del Trentino-Alto Adige 27 novembre 1983, n. 18 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 22 maggio 1980, n. 8, contenente "Norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Trento e di Bolzano”) e degli artt. 2, 5 e 7 della legge regionale del Trentino-Alto Adige 18 giugno 1987, n. 8 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 22 maggio 1980, n. 8 e alla legge regionale 27 novembre 1983, n. 18, recanti norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Trento e di Bolzano), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato l’8 ottobre 1994, depositato in cancelleria il 15 successivo e iscritto al n. 70 del registro ricorsi 1994.

 Visto l’atto di costituzione della Regione Trentino-Alto Adige;

 udito nell’udienza pubblica del 4 luglio 2000 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;

 uditi l’avvocato dello Stato Giovanni Lancia per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Luigi Manzi per la Regione Trentino-Alto Adige. 

Ritenuto in fatto

 1. – Con ricorso notificato l’8 ottobre 1994 e depositato il 15 ottobre 1994, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato, ai sensi dell’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), questione di legittimità costituzionale di molteplici disposizioni della legislazione della Regione Trentino-Alto Adige in materia di camere di commercio.

In particolare, gli artt. 1, 3, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 15, 16, 19, 21, 22, 25, 27, 29, della legge regionale 9 agosto 1982, n. 7 (Ordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura di Trento e di Bolzano), gli artt. 1 e 2 della legge regionale 9 novembre 1983, n. 14 (Modifiche alla legge regionale 9 agosto 1982, n. 7 "Ordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura di Trento e di Bolzano”), che modificano marginalmente gli artt. 7 e 11 della precedente legge regionale, gli artt. 3, 4, 6, 8 e 9 della legge regionale 17 ottobre 1988, n. 22 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 9 agosto 1982, n. 7, modificata dalla legge regionale 9 novembre 1983, n. 14, sull’ordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Trento e di Bolzano), che sostituiscono, rispettivamente, gli artt. 8, 9, 15, 25 e 27 della legge regionale n. 7 del 1982, sono censurati per violazione dell’art. 4, numero 8), dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), non essendo stati adeguati nei termini prescritti ai principi introdotti in materia di camere di commercio dalla legge 29 dicembre 1993, n. 580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura). L’impugnativa è poi estesa agli artt. 1, 6, 11 della legge regionale 22 maggio 1980, n. 8 (Norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Trento e di Bolzano), all’art. 4 della legge regionale 27 novembre 1983, n. 18 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 22 maggio 1980, n. 8, contenente "Norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Trento e di Bolzano”), agli artt. 2, 5, 7 della legge regionale 18 giugno 1987, n. 8 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 22 maggio 1980, n. 8 e alla legge regionale 27 novembre 1983, n. 18, recanti norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Trento e di Bolzano), tutti in materia di stato giuridico del personale delle camere di commercio, in quanto non adeguati ai principi recati dalla legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale) e dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego, a norma dell’articolo 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), richiamati dall’art. 19 della legge n. 580 del 1993.

 Secondo il ricorrente le disposizioni statali che definiscono la struttura delle camere di commercio, ne precisano le funzioni, ne fissano la composizione e il funzionamento, disciplinano il personale, vanno considerate come norme fondamentali di riforma economico-sociale, cui anche le regioni a statuto speciale debbono conformarsi, in quanto le camere stesse, per le funzioni e i poteri riconosciuti loro dall’ordinamento (e in particolare quelli di tenere il registro delle imprese, di costituirsi parte civile nei giudizi relativi ai delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, di promuovere azioni per la repressione della concorrenza sleale) costituiscono strumenti di primario rilievo pubblico. La normativa dettata dalla Regione Trentino-Alto Adige in materia di ordinamento delle camere di commercio non risulterebbe essere stata adeguata ai nuovi principi, secondo quanto disposto dall’art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992.

In particolare vengono avanzate le seguenti censure:

a) l’art. 1 della legge regionale n. 7 del 1982, definendo le camere di commercio "enti locali non territoriali, di diritto pubblico” contrasterebbe con il principio desumibile dall’art. 1, comma 1, della legge n. 580 del 1993, che le qualifica "enti autonomi di diritto pubblico”, mentre il successivo art. 3 della legge statale attribuisce loro potestà statutaria, non contemplata invece dalla legislazione regionale;

b) l’art. 3 della medesima legge regionale contrasterebbe con l’art. 2, commi 3 e 4, della legge n. 580 del 1993, in quanto non prevede, tra le attribuzioni delle camere di commercio, la possibilità di realizzare interventi a favore delle imprese, partecipando agli accordi di programma di cui all’art. 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142, né la possibilità di predisporre e promuovere contratti tra imprese, loro associazioni e associazioni di tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti, né quella di promuovere forme di controllo sulla presenza di clausole inique nei contratti e di esercitare l’azione per la repressione della concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2601 cod. civ.;

c) l’art. 6 della medesima legge regionale, nello stabilire il numero dei componenti del consiglio delle camere di commercio (quarantacinque), e la sua composizione (quattro quinti in rappresentanza degli imprenditori e un quinto in rappresentanza dei liberi professionisti), contrasterebbe con i principi di cui all’art. 10 della legge n. 580 del 1993, che fissa il criterio di proporzionalità tra il numero dei componenti il consiglio e il numero delle imprese iscritte nel registro, nonché il particolare principio di ripartizione dei consiglieri secondo le caratteristiche economiche delle circoscrizioni e di rappresentatività di determinati settori e tipi di impresa, prevedendo, inoltre, la rappresentanza in seno al consiglio delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle associazioni di tutela dei consumatori;

d) di conseguenza, anche l’art. 7 della medesima legge regionale n. 7 del 1982, che prevede che le designazioni per la nomina dei componenti il consiglio siano effettuate dalle associazioni di categoria maggiormente rappresentative nell’ambito delle province nonché dagli ordini professionali, contrasterebbe con i principi di cui all’art. 12 della legge n. 580 del 1993, secondo il quale tali designazioni devono essere effettuate da parte delle organizzazioni rappresentative delle imprese appartenenti agli specifici settori di cui all’art. 10, comma 2 - rispettando, per ciascuno di tali settori, il criterio di proporzionalità della loro rappresentatività in ambito provinciale - nonché delle organizzazioni sindacali e delle associazioni di tutela dei consumatori;

e) l’art. 3 della legge regionale n. 22 del 1988, che sostituisce l’art. 8 della legge regionale n. 7 del 1982, stabilendo i requisiti per la nomina a membro del consiglio, fisserebbe condizioni soggettive più restrittive e comunque diverse da quelle enunciate nell’art. 13, comma 1, della legge n. 580 del 1993;

f) l’art. 9 [recte, 4] della legge n. 22 del 1988, che sostituisce l’art. 9 della legge regionale n. 7 del 1982, concernente le cause di ineleggibilità e di incompatibilità con la carica di membro del consiglio camerale, non sarebbe coerente con i principi di cui all’art. 13, comma 2, della legge n. 580 del 1993 che, alle lettere a), b), d) e), e f), enuncia un numero assai più vasto di cause ostative alla carica di consigliere;

g) conseguentemente, anche l’art. 6 della legge regionale n. 22 del 1988, che sostituisce l’art. 15 della legge regionale n. 7 del 1982, riguardante le cause di decadenza degli organi camerali, non sarebbe in linea con l’art. 13, comma 3, della citata legge statale, recando un’elencazione diversa dei motivi ostativi alla prosecuzione della carica e non contemplando quale causa di decadenza la sopravvenienza delle situazioni di cui alle lettere d), e), e f) dell’art. 13, comma 2; il medesimo art. 6 non prevede inoltre la possibilità di opzione per una delle cariche qualora sopravvengano le situazioni di cui alle lettere a), b) e c) dell’art. 13, comma 2, della legge n. 580 del 1993;

h) l’art. 10 della legge regionale n. 7 del 1982, che individua i compiti del consiglio, detterebbe una disciplina che non è in linea con quanto disposto dall’art. 11 della legge n. 580 del 1993, in quanto non prevede alcuni compiti che la norma statale attribuisce al consiglio, quali la predisposizione e deliberazione dello statuto e delle relative modifiche, e la determinazione degli emolumenti per i componenti degli organi delle camere di commercio;

i) l’art. 11 della medesima legge regionale, concernente la composizione e i compiti della giunta, contrasterebbe poi con i principi di cui all’art. 14 della citata legge statale. Infatti: il comma 1 dell’art. 11 disciplinerebbe la composizione, il numero e la modalità di elezione dei componenti della giunta in maniera difforme da quanto previsto nei commi 1 e 2 dell’art. 14 della legge n. 580; il comma 3 dell’art. 11 disciplinerebbe la nomina del vicepresidente in modo contrastante con quanto è stabilito dall’art. 14, comma 3;

l) l’art. 12 e l’art. 16, comma 2, lettera b), della medesima legge regionale, riguardanti l’elezione e la durata in carica del presidente, non sarebbero conformi all’art. 16, comma 1, della legge n. 580 del 1993;

m) l’art. 13 della medesima legge regionale, relativo alla nomina e ai compiti del collegio dei revisori dei conti, non sarebbe coerente con i principi di cui all’art. 17 della legge n. 580 del 1993 sotto più profili: sia per ciò che attiene all’individuazione dei soggetti deputati alla designazione dei membri, sia per ciò che riguarda i requisiti che devono avere i membri effettivi e i supplenti, sia per ciò che concerne la nomina del presidente, le funzioni di controllo (che la legge statale prevede più penetranti), nonché le connesse responsabilità;

n) l’art. 16 della medesima legge regionale prevede modalità di adozione delle deliberazioni camerali che non sarebbero conformi ai principi stabiliti dall’art. 15 della legge n. 580 del 1993;

o) l’art. 19 della medesima legge regionale non sarebbe in linea con l’art. 18 della legge statale in quanto non prevede la nuova forma di finanziamento che, tra l’altro, indica anche criteri per la determinazione del diritto annuale;

p) l’art. 21 della legge regionale n. 7 del 1982 e l’art. 11 della legge regionale n. 8 del 1980, riguardanti rispettivamente i compiti e la qualifica di segretario generale, non sarebbero conformi ai principi di cui all’art. 20 della legge n. 580 del 1993, che, tra l’altro, al comma 2, disciplina la modalità per le nomine e i requisiti necessari per ricoprire tale carica;

q) l’art. 22 della legge regionale n. 7 del 1982, attinente alle unioni regionali, non sarebbe in linea con l’art. 6 della legge n. 580 del 1993, laddove non prevede la maggioranza dei due terzi dei componenti per la delibera dello statuto disciplinare dell’attività dell’unione regionale;

r) gli artt. 8 e 9 della legge regionale n. 22 del 1988, che sostituiscono rispettivamente gli artt. 25 e 27 della legge regionale n. 7 del 1982, concernenti l’indicazione delle deliberazioni camerali soggette ad approvazione e controllo, contrasterebbero con la legge n. 580 del 1993 in quanto non contemplano tra tali delibere quella indicata nel comma 2 dell’art. 4 di tale legge, relativa alla costituzione di aziende speciali, e inoltre prevedono una procedura di controllo difforme da quella stabilita nell’art. 4, commi 5 e 6;

s) l’art. 29 della legge regionale n. 7 del 1982 non sarebbe conforme ai principi di cui all’art. 5 della legge n. 580 del 1993, in quanto tra i casi di scioglimento del consiglio non prevede quello relativo alla mancata approvazione nei termini del bilancio preventivo e del conto consuntivo [comma 1, lettera c)] e quello relativo alla mancata elezione del presidente [comma 1, lettera d)];

t) l’art. 1 della legge regionale 22 maggio 1980, n. 8, come modificato dalla legge regionale 27 novembre 1983, n. 18 e dalla legge regionale n. 8 del 1987, contrasterebbe con i principi di cui all’art. 19 della legge n. 580 del 1993, che prevede l’applicazione al personale delle camere di commercio delle disposizioni della legge n. 421 del 1992 e del decreto legislativo n. 29 del 1993: la legislazione regionale, infatti, opera un rinvio alla normativa in vigore relativa al personale della Regione Trentino-Alto Adige, che non risulta essere stata adeguata ai principi generali del decreto legislativo n. 29 del 1993 e successive modifiche;

u) in particolare, sarebbe da censurare l’art. 5 della legge regionale n. 8 del 1987, che sostituisce l’art. 6 della legge regionale n. 8 del 1980, il quale prevede la presenza di organi rappresentativi del personale in seno al consiglio per l’organizzazione e il personale, in contrasto con quanto disposto dall’art. 48 del decreto legislativo n. 29 del 1993; così anche l’art. 7 della stessa legge regionale, che sostituisce l’art. 4 della legge regionale n. 8 del 1980 [recte: n. 18 del 1983], e che rimanda all’art. 20 della legge regionale n. 7 del 1982 per la disciplina delle procedure concorsuali, sarebbe illegittimo in quanto fa riferimento a una normativa in contrasto con il decreto legislativo n. 29 del 1993, il quale esclude che possa far parte delle commissioni di concorso un rappresentante del personale.

 2. – Con atto depositato il 7 novembre 1994 si è costituita in giudizio la Regione Trentino-Alto Adige, chiedendo il rigetto del ricorso.

 Con successiva memoria, la difesa della Regione afferma che la sua costituzione in giudizio - avvenuta nel ventesimo giorno dal termine stabilito per il deposito del ricorso, notificato l’8 ottobre - va ritenuta tempestiva, in quanto al procedimento de quo non andrebbe applicato l’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (secondo il quale "la parte convenuta può presentare deduzioni e costituirsi entro venti giorni da quello del deposito del ricorso”), ma, in virtù dell’esplicito richiamo operato dall’art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992, l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per cui, ai sensi dell’art. 25 della stessa legge e dell’art. 3 delle citate norme integrative, la costituzione in giudizio deve avvenire nel termine di venti giorni dalla pubblicazione del ricorso nella Gazzetta Ufficiale.

 Nel merito, la Regione sostiene che la vigente legislazione regionale, emanata nell’esercizio della potestà legislativa primaria in materia di ordinamento delle camere di commercio, ha anticipato la riforma statale, e che le due discipline, statale e regionale, non sono mai state così simili e corrispondenti. Inoltre, essa ritiene che non si possa far derivare dallo svolgimento, da parte delle camere di commercio, di "funzioni di primario livello pubblico” il carattere di norme di principio - vincolanti anche le regioni speciali - della intera normativa statale in materia.

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, a norma dell’art. 2, commi 1 e 2, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino Alto-Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), impugna una serie di disposizioni contenute in leggi della Regione Trentino-Alto Adige, a partire dalla legge regionale 9 agosto 1982, n. 7, per mancato adeguamento ai principi stabiliti dalla legge statale 29 dicembre 1993, n. 580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura), la quale ha sostituito il sistema istituito dal decreto legislativo luogotenenziale 21 settembre 1944, n. 315 (in particolare con la norma transitoria dell’art. 9), a sua volta sostitutivo dei consigli e degli uffici provinciali dell’economia corporativa istituiti con r.d. 20 settembre 1934, n. 2011. Ritiene il ricorrente che il riordino delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura operato con la legge n. 580 del 1993, relativamente alla loro natura giuridica di enti autonomi di diritto pubblico, alle loro funzioni, alla composizione e al funzionamento dei loro organi e alla natura giuridica del loro rapporto col personale dipendente, abbia comportato l’introduzione di norme di principio cui anche la Regione Trentino-Alto Adige deve adeguarsi nell’esercizio della potestà legislativa che le è riconosciuta dall’art. 4, numero 8), dello statuto speciale (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), il quale prevede in materia di "ordinamento delle camere di commercio” una competenza da esercitarsi nel rispetto "delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica”.

Le numerose censure mosse alla legislazione regionale impugnata possono raggrupparsi a seconda che riguardino: a) la natura delle camere di commercio e i loro poteri di autonomia, in particolare statutaria (art. 1 della legge regionale, in relazione all’art. 1, comma 1, della legge statale); b) le loro attribuzioni (art. 3 della legge regionale, in relazione all’art. 2, commi 3 e 4, della legge statale); c) il numero dei componenti il consiglio delle camere di commercio e i criteri della sua composizione, che non comprende, in particolare, la rappresentanza delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle associazioni di tutela dei consumatori (art. 6 della legge regionale, in relazione all’art. 10 della legge dello Stato); d) i criteri di designazione dei consiglieri (art. 7 della legge regionale, in relazione agli artt. 10, comma 2, e 12, della legge dello Stato); e) i requisiti soggettivi per la nomina a consigliere e le cause di ineleggibilità e di decadenza (artt. 8, 9 e 15 della legge regionale, come sostituiti dagli artt. 3, 4 e 6 della legge regionale n. 22 del 1988, in relazione all’art. 13 della legge dello Stato); f) i compiti del consiglio (art. 10 della legge regionale, in riferimento all’art. 11 della legge dello Stato); g) la composizione, il metodo di elezione e i compiti della giunta e l’elezione e la durata in carica del presidente (artt. 11, 12 e 16, comma 2, lettera b), della legge regionale, in relazione agli artt. 14 e 16 della legge dello Stato); h) la struttura, i requisiti dei componenti, il potere di designazione, la nomina del presidente del collegio dei revisori dei conti, nonché la natura del controllo da esso esercitato e le relative responsabilità (art. 13 della legge regionale, in relazione all’art. 17 della legge statale); i) le modalità di adozione delle delibere camerali (art. 16 della legge regionale, rispetto all’art. 15 della legge statale); l) le modalità del finanziamento delle camere, con particolare riferimento al "diritto annuale” a carico delle imprese (art. 19 della legge regionale, rispetto all’art. 18 della legge statale); m) i compiti, la qualifica, le modalità di nomina e i requisiti del segretario generale (art. 21 della legge regionale in questione e art. 11 della legge regionale n. 8 del 1980, rispetto all’art. 20 della legge statale); n) le modalità di adozione dello statuto disciplinare delle attività dell’unione regionale delle camere (art. 22 della legge regionale, rispetto all’art. 6 della legge statale); o) l’ampiezza del controllo sulle delibere delle camere e il procedimento relativo (artt. 25 e 27 della legge regionale, come sostituiti dagli artt. 8 e 9 della legge regionale n. 22 del 1988, rispetto all’art. 4 della legge statale); p) i casi di scioglimento del consiglio camerale (art. 29 della legge regionale, rispetto all’art. 5 della legge statale); q) la disciplina generale del rapporto di impiego del personale dipendente (art. 1 della legge regionale n. 8 del 1980, come sostituito dall’art. 2 della legge regionale n. 8 del 1987, in connessione con la disciplina contenuta nelle leggi regionali n. 18 del 1983 e n. 8 del 1987, rispetto all’art. 19 della legge statale) e, nell’ambito di questo motivo di doglianza, la disciplina del consiglio per l’organizzazione del personale (art. 5 della legge regionale n. 8 del 1987, in relazione a quanto previsto dal decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, richiamato dall’art. 19 della legge n. 580 del 1993) e la normativa in tema di procedure concorsuali (art. 7 della stessa legge regionale n. 8 del 1987, rispetto a quanto previsto dal citato decreto legislativo n. 29 del 1993).

2. – La Regione Trentino-Alto Adige si è costituita in giudizio ma tale costituzione non può ritenersi tempestiva. Poiché il deposito del ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri presso la Corte costituzionale è avvenuto il 15 ottobre 1994, e quello dell’atto di costituzione in giudizio della Regione resistente il 7 novembre 1994, il termine di "venti giorni da quello del deposito del ricorso”, previsto dall’art. 23, ultimo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale con riguardo ai giudizi di legittimità costituzionale in via principale – tra i quali rientrano quelli per "mancato adeguamento” a norma dell’art. 2, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 266 del 1992 – non può ritenersi essere stato rispettato. Di fronte all’inequivoca portata della norma che prevede il termine in questione, termine di carattere perentorio (tra le molte, sentenze nn. 191 del 1980, 72 del 1981, e ordinanza n. 109 del 1975), non vale la tesi della Regione resistente che argomenta la tempestività della sua costituzione in giudizio sulla base della considerazione che tale termine decorrerebbe non già dal deposito del ricorso – come stabilito - ma dal termine "previsto per il deposito” cioè, nel caso di specie, dal 18 ottobre, con la conseguenza che il deposito della memoria di costituzione della Regione resistente sarebbe avvenuto nei venti giorni a tal fine previsti. La lettera della norma esclude la possibilità di tale interpretazione (sentenze nn. 71 del 1982 e 155 del 1985). Alla stregua della normativa vigente, pertanto, la costituzione in giudizio della Regione Trentino-Alto Adige deve essere dichiarata inammissibile.

3. – Nel merito, il ricorso del Presidente del Consiglio è solo parzialmente fondato.

3.1. – La legge n. 580 del 1993, con la quale è stato operato il "riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura”, è il risultato di una gestazione protratta per più legislature, vigente il decreto legislativo luogotenenziale n. 315 del 1944, con il quale si provvide ad abolire il precedente sistema di organizzazione degli interessi economici in ambito provinciale, facente allora capo ai consigli e agli uffici dell’economia corporativa, disciplinati dal r.d. n. 2011 del 1934, adottato dopo che le originarie camere create con la legge 6 luglio 1862, n. 680, erano state abolite dalla legge 18 aprile 1926, n. 731. La soppressione del sistema corporativo portò all’istituzione in ogni capoluogo di provincia di una camera di commercio, industria e agricoltura, ente di diritto pubblico, avente compiti di coordinamento e di rappresentanza degli interessi commerciali, industriali e agricoli della provincia ed esercitante i poteri in precedenza attribuiti ai consigli dell’economia. Le nuove camere, secondo il disegno del decreto legislativo luogotenenziale, avrebbero dovuto essere amministrate da un consiglio, composto ed eletto secondo criteri di rappresentanza degli interessi economici locali, in base a norme da emanarsi con un successivo decreto legislativo (artt. 4 e 8). L’art. 9 prevedeva che, fino all’elezione del consiglio, l’amministrazione delle camere sarebbe stata affidata a una giunta composta da un presidente e da quattro membri nominati - il presidente - dal Ministro per l’industria e il commercio, di concerto col Ministro per l’agricoltura e foreste (e, a norma dell’art. 64 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, col presidente della giunta regionale) e - i quattro membri, da scegliersi uno tra i commercianti, uno tra gli industriali, uno tra gli agricoltori e uno tra i lavoratori (secondo la dizione del secondo comma dell’art. 9) - dal prefetto con l’approvazione del Ministro per l’industria e il commercio.

Non essendo stato emanato il decreto legislativo previsto dall’art. 4 del decreto legislativo luogotenenziale n. 315 del 1944, le camere di commercio, industria e agricoltura furono rette "transitoriamente” per cinquant’anni dalle giunte camerali previste dal citato art. 9, la cui composizione fu successivamente integrata con esponenti di altri settori o figure del mondo produttivo (legge 12 luglio 1951, n. 560 e legge 29 dicembre 1956, n. 1560), ciò che giustificò la denominazione di camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura stabilita dalla legge 26 settembre 1966, n. 792. Rimase così in vita per un lungo arco di tempo una formula organizzativa in cui non solo, secondo tradizione, la funzione rappresentativa e organizzativa degli interessi economici veniva a sommarsi a poteri pubblicistici di carattere amministrativo, ma soprattutto nella quale carattere locale degli interessi e matrice statale degli organi chiamati a rappresentarli convivevano in una figura istituzionale difficilmente definibile. Il sistema venutosi a creare non risultava chiaramente inquadrabile nell’organizzazione dei poteri locali prevista dalla Costituzione nella quale le camere, una volta mantenute in vita, avrebbero dovuto essere inserite, e poneva problemi di coesistenza tra le funzioni regionali e quelle delle camere di commercio negli stessi ambiti di competenza. Nel riordino delle funzioni dello Stato, delle regioni e degli enti locali che portò al d.P.R. n. 616 del 1977, fu stabilito il trasferimento alle regioni delle funzioni amministrative allora esercitate dalle camere di commercio nelle materie trasferite o delegate alle regioni stesse (art. 64, primo comma) ma il nodo della configurazione istituzionale delle camere non fu sciolto. Venne stabilito, ancora una volta in via transitoria, che "le funzioni istituzionali e le restanti funzioni amministrative [sarebbero state] esercitate dalle camere di commercio sulla base della legge di riforma dell’ordinamento camerale e del relativo finanziamento” (art. 64, secondo comma).

La riforma contenuta nella legge n. 580 del 1993, del mancato adeguamento alla quale da parte della legislazione della Regione Trentino-Alto Adige si duole il Presidente del Consiglio dei ministri, ha alle spalle la vicenda così sommariamente ricostruita. Di contro, la Regione Trentino-Alto Adige, disponendo – unica tra tutte le regioni – di una propria potestà legislativa in materia, ha essa stessa delineato nel corso degli anni un proprio ordinamento camerale, facente capo alla legge regionale n. 7 del 1982 (oggetto di successive modificazioni) che ha introdotto rilevanti innovazioni rispetto al sistema previsto dalla legislazione statale allora in vigore, costituita ancora, come si è detto, dalle norme provvisorie contenute nel decreto legislativo luogotenenziale n. 315 del 1944. La Regione, prima, e lo Stato, poi, hanno quindi operato una propria riforma e, nel presente giudizio, si chiede se quella precedente della Regione, per non essere (stata) adeguata a quella successiva dello Stato, sia incostituzionale.

3.2. – Il problema dell’adeguamento della legislazione regionale a quella statale in materia di ordinamento delle camere di commercio si pone nei termini indicati dall’art. 4 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, come problema di coerenza rispetto alle "norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica”.

La nozione di "norme fondamentali di riforma economico-sociale” – che, come la Corte ha numerose volte precisato, deve essere determinata in relazione a indici di valutazione oggettivi, che vincolano lo stesso legislatore, cui non spetta un potere arbitrario di qualificazione in tali termini delle norme che pone (sentenza n. 349 del 1991) – si ricava dall’esigenza di unità sotto il profilo delle scelte politiche fondamentali della Repubblica, alla difesa della quale tale limite è preordinato: dall’esigenza cioè che le grandi scelte riformatrici poste con la legge dello Stato non siano contraddette da orientamenti diversamente ispirati del legislatore regionale. Della necessità di circoscrivere la nozione in questione alle sole leggi effettivamente dotate di contenuto riformatore, per non estenderla a ogni legge genericamente nuova, la giurisprudenza di questa Corte è sempre stata consapevole, avendo costantemente affermato che non qualsiasi modifica legislativa merita la qualificazione di "riforma economico-sociale”, ma solo quelle innovazioni che corrispondono a scelte di "incisiva innovatività” in settori qualificanti la vita sociale e, in particolare, quelle che mirano a strutturare tali settori attraverso istituzioni che, per la natura degli interessi che coinvolgono, non possono che valere su tutto il territorio nazionale (da ultimo, sentenze nn. 406 del 1995 e 352 del 1996).

Alla luce dei criteri anzidetti, non v’è dubbio che la legge n. 580 del 1993 debba ricomprendersi nella categoria delle leggi in questione, le quali vincolano la potestà legislativa della Regione Trentino-Alto Adige alla stregua dell’art. 4 del suo statuto. Rispetto all’indefinibile situazione esistente in precedenza, le camere di commercio sono state riqualificate come "enti autonomi di diritto pubblico che svolgono, nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza, funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese curandone lo sviluppo nell’ambito delle economie locali” (art. 1), e che rappresentano nel proprio consiglio, formato da componenti designati o eletti dalle organizzazioni delle imprese, dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dalle associazioni di tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti, la struttura economica locale (artt. 10 e 12). Si è venuto così a configurare un ente pubblico locale dotato di autonomia funzionale, che entra a pieno titolo, formandone parte costitutiva, nel sistema dei poteri locali secondo lo schema dell’art. 118 della Costituzione, diventando anche potenziale destinatario di deleghe dello Stato e della Regione (art. 2, comma 1). Non c’è dubbio quindi che, per questo suo contenuto, la legge in questione presenta i caratteri della "riforma economico-sociale” alla quale la legislazione regionale deve attenersi.

Il suddetto carattere di "riforma economico-sociale” da riconoscersi alla legge n. 580 del 1993 non significa peraltro che uguale carattere debba essere riconosciuto a tutte le disposizioni della legge dello Stato che determinano la struttura, le funzioni, la composizione e il funzionamento degli organi e disciplinano il rapporto d’impiego del personale delle camere di commercio, con la conseguenza che la legislazione della Regione Trentino-Alto Adige debba conformarsi a esse in ogni loro dettaglio. L’inaccettabilità di tale proposizione – che pare sorreggere una parte delle doglianze prospettate dal Presidente del Consiglio dei ministri - è resa manifesta dalla conseguenza: la normazione regionale si ridurrebbe di fatto a mera esecuzione o, al più, integrazione della legge dello Stato, se questa ne prevedesse lo spazio – ipotesi che, nella specie, nemmeno si verifica, in quanto la legge n. 580 del 1993, per l’attività normativa ulteriore che si rende necessaria ai fini dell’attuazione delle sue prescrizioni, prevede regolamenti governativi e ministeriali. Tutto ciò sarebbe in pieno contrasto con l’ampiezza della potestà legislativa riconosciuta alla Regione dall’art. 4, numero 8), del suo statuto speciale: una potestà che, per la natura dei limiti che incontra, si usa definire di tipo esclusivo, non essendo subordinata, a differenza di altro tipo di potestà legislativa, nemmeno all’ordinario limite dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato.

Il vincolo per la legislazione regionale è invece limitato alle "norme fondamentali” della legge di riforma, cioè a quelle che contengono le opzioni di fondo che costituiscono l’ossatura dell’intervento riformatore: "la qualifica di fondamentale da attribuire alle norme della nuova disciplina può derivare dal costituire esse un elemento coessenziale alla riforma economico-sociale, in quanto la caratterizzano o formano la base del suo sviluppo normativo”; dunque "non tutte le disposizioni, né il loro compiuto tenore letterale, costituiscono ‘norme fondamentali di riforma economico-sociale’ [...] ma solo i nuclei essenziali del contenuto normativo che quelle disposizioni esprimono, per i principi enunciati o da esse desumibili” (sentenza n. 482 del 1995). A questa precisazione è da aggiungere soltanto che partecipano della medesima natura e godono pertanto della medesima protezione costituzionale anche le norme che, pur non svolgendo di per sé la funzione di gettare le basi della nuova disciplina, sono legate a quelle da un rapporto di coessenzialità o di necessaria integrazione, tale che la loro assenza, o la loro contraddizione da parte di altra normativa, finirebbero per pregiudicare il raggiungimento degli obbiettivi riformatori o per modificarne o snaturarne la portata (sentenze nn. 99 del 1987 e 323 del 1998).

4. – Alla stregua di queste precisazioni, si può procedere all’esame delle specifiche doglianze mosse, per "mancato adeguamento” alla legge n. 580 del 1993, contro la legislazione della Regione Trentino-Alto Adige in materia.

4.1. – Un primo gruppo di censure riguarda l’autonomia delle camere, autonomia che, sancita nella legge dello Stato, non lo sarebbe, o non lo sarebbe adeguatamente, nella legge della Regione.

La legge n. 580 del 1993 – a parte i poteri relativi alla tenuta del registro delle imprese di cui all’art. 2188 del codice civile, disciplinati dall’art. 8 – attribuisce alle camere le "funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese” e per la cura dello "sviluppo nell’ambito delle economie locali” (art. 1, comma 1), nonché per il "supporto e la promozione di interessi generali delle imprese” e – fatte salve le competenze delle amministrazioni statali e delle regioni – quelle nelle materie amministrative economiche relative al sistema delle imprese, nelle forme e con gli strumenti, di natura essenzialmente non autoritativa, previsti dall’art. 2.

Tali funzioni si esercitano in un regime qualificato dall’ampiezza della discrezionalità delle scelte consentite, dalla limitazione dei controlli sugli atti e sugli organi e dall’esclusione di poteri di ingerenza (diversi dalla semplice richiesta di riesame) sul merito delle scelte stesse, nonché dal riconoscimento alle camere della potestà statutaria (art. 3). Questa potestà è configurata dalla legge dello Stato in termini assai ampi: essa è da esercitare in conformità ai principi della legge e concerne l’ordinamento e l’organizzazione delle camere, le competenze e le modalità di funzionamento degli organi, la loro composizione per le parti non disciplinate dalla legge [compresa la ripartizione dei consiglieri secondo le caratteristiche economiche della circoscrizione territoriale di competenza (art. 10, comma 2) e la possibilità di sostituire il sistema di designazione e nomina nei consigli previsto dalla legge (art. 12, commi 1-4) con quello dell’elezione (art. 12, comma 5)] e le forme di partecipazione.

Tale regime è compendiato nella definizione delle camere quali "enti autonomi” (art. 1, comma 1), principio informatore della riforma - insieme a quello di rappresentatività del quale si dirà in prosieguo - che, pur nell’ambito della tradizionale struttura delle camere come enti pubblici (ancora art. 1, comma 1) - altro principio fondativo della disciplina - costituisce, per così dire, un riflesso nel loro regime giuridico dell’autonomia dei privati operanti nel sistema delle attività economiche a esse facenti capo.

L’anzidetta definizione legislativa, per il suo carattere di fondamento della nuova disciplina, mentre vale a condurre a unità di ispirazione i singoli aspetti di quest’ultima, si impone come limite (positivo) alla legislazione regionale esclusiva.

Di contro a questa impostazione della legge dello Stato, sta la legislazione della Regione Trentino-Alto Adige. Essa indubbiamente, per molti suoi aspetti, costituisce un’anticipazione della legge di riforma statale nel senso di una disciplina delle camere di maggiore garanzia, rispetto alla situazione risultante dal decreto legislativo luogotenenziale n. 315 del 1944, nei confronti dell’amministrazione, statale o, nel caso del Trentino-Alto Adige, regionale. Ma questa legge, definendo le camere di Trento e di Bolzano "enti locali non territoriali” - definizione generica, compatibile con soluzioni istituzionali negatrici di ogni manifestazione di autonomia e perfino con una configurazione delle camere come enti strumentali di altri enti pubblici - non si spinge fino a riconoscerne il carattere di ente autonomo. C’è dunque su questo punto un contrasto con la legislazione dello Stato: un contrasto non soltanto formale o di parole - poiché si tratta di definizione legislativa non solo descrittiva ma anche normativa - che la Regione, a norma dello statuto e dell’art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992, era tenuta a eliminare adeguandosi alla legislazione dello Stato che la vincola.

Che la legislazione regionale, sul punto dell’autonomia da riconoscersi alle camere, non sia allineata a quella statale risulta specificamente dal fatto che essa non prevede un aspetto che di tale autonomia, secondo quest’ultima, è qualificante, vale a dire la potestà statutaria. Nulla è detto in proposito, in particolare, nell’art. 10 della legge regionale n. 7 del 1982 che definisce i compiti del consiglio camerale. E’ bensì vero che la Regione Trentino-Alto Adige, con l’art. 1 della legge regionale 14 agosto 1999, n. 5 (Norme in materia di ordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Trento e di Bolzano), ha stabilito che i consigli delle camere di Trento e di Bolzano "definiscono, previo esame con le organizzazioni sindacali del personale camerale, i principi fondamentali dell’organizzazione, le strutture organizzative, le modalità di preposizione alle medesime, la dotazione organica complessiva, nell’ambito della dotazione complessiva le dotazioni organiche per le singole qualifiche”. Tale potestà normativa, peraltro, riguardando soltanto aspetti dell’organizzazione amministrativa delle camere, non equivale, né formalmente, né sostanzialmente, a una potestà statutaria e, in particolare, a quella prevista negli artt. 3 e 11 della legge dello Stato.

Pertanto, deve ritenersi l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge regionale n. 7 del 1982, nella parte in cui, definendo la natura delle camere di commercio, manca di qualificarle come enti dotati di autonomia, nonché dell’art. 10 della medesima legge regionale, nella parte in cui, indicando i poteri del consiglio camerale, manca di inserire tra questi l’approvazione dello statuto dell’ente, senza disciplinarne contenuti e procedura conformemente ai principi della legge statale.

4.2. – Altro aspetto fondamentale di principio della disciplina di riforma, chiamato in causa dal ricorso in esame, è la configurazione delle camere non solo come rappresentanti ma, soprattutto, come enti rappresentativi della rete dei soggetti che, secondo la legge, costituiscono la struttura dell’economia provinciale: configurazione che non corrisponde a un’espressa dizione definitoria, analoga a quella che esprime il principio di autonomia, ma che si ricava inequivocabilmente dalla volontà del legislatore, consegnata ai lavori parlamentari relativi alla legge n. 580 del 1993, di differenziare, proprio e innanzitutto su questo punto, il nuovo regime da quello provvisoriamente vigente dal 1944 e, quel che più conta, che risulta dalla disciplina riguardante l’organo su cui fa perno l’organizzazione delle camere. Il carattere rappresentativo del consiglio camerale, organo che esprime gli altri organi di governo - il presidente e la giunta - ed è chiamato ad assumere le deliberazioni principali di competenza delle camere stesse (artt. 1, comma 3, 3, comma 2, e 11), risulta dall’art. 12 della legge, il quale stabilisce che la scelta dei consiglieri avviene tramite designazione da parte dei soggetti da rappresentare (comma 1), ovvero, ove così sia stabilito dallo statuto per i rappresentanti delle categorie produttive, tramite elezione diretta (comma 5).

Ma ente rappresentativo di chi? Il lato sostanziale della rappresentatività, relativo all’individuazione dei soggetti formanti il sistema economico facente capo alle camere, è essenziale quanto quello formale, concernente il principio rappresentativo, relativo al metodo di provvista dei componenti il consiglio (designazione o elezione).

La legge n. 580 del 1993 non si limita a prevedere che i componenti del consiglio sono designati (salva l’ipotesi dell’elezione diretta) dalle imprese appartenenti ai settori dell’agricoltura, dell’artigianato, delle assicurazioni, del commercio, del credito, dell’industria, dei servizi alle imprese, dei trasporti e spedizioni, del turismo e agli altri settori di rilevante interesse per l’economia della circoscrizione provinciale, ma aggiunge altresì una rappresentanza delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle associazioni di tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti (artt. 10, commi 2-7; 12, comma 1). La definizione di questo spettro di soggetti interessati alla rappresentanza qualifica in senso fortemente innovativo la struttura delle camere attuali rispetto a quelle esistenti sotto il regime del decreto legislativo luogotenenziale n. 315 del 1944. Quest’ultimo, quanto alla composizione del consiglio elettivo, rinviava a un decreto legislativo mai emanato e, in attesa, prevedeva una giunta i cui membri erano scelti fra i commercianti, gli industriali, gli agricoltori e i lavoratori (art. 9, comma 2).

La legislazione regionale, sul punto del carattere rappresentativo del consiglio, dopo avere definito le camere enti "a struttura rappresentativa” (art. 1, comma 1, della legge regionale n. 7 del 1982) e avere attribuito loro "funzioni di rappresentanza unitaria delle categorie economiche in esse operanti” (art. 2), stabilisce che i quattro quinti dei componenti il consiglio rappresentano gli imprenditori, ivi compresi i lavoratori autonomi, e un quinto i liberi professionisti (art. 6). Alle nomine si provvede da parte della giunta regionale su designazione delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative nell’ambito della provincia, nonché degli ordini professionali (art. 7, comma 1). Gli specifici settori economici e le categorie professionali da considerarsi ai fini della designazione sono determinati dalla giunta regionale (art. 7, comma 2).

E’ evidente che, su questi aspetti essenziali della materia, la legislazione regionale si discosta dai principi della riforma dello Stato. Nella Regione Trentino-Alto Adige, la determinazione dei soggetti economici rappresentati nelle camere si differenzia, per difetto e per eccesso, rispetto a quanto avviene negli ambiti provinciali delle altre regioni, alterando così il carattere rappresentativo dell’ente, quale stabilito, con norma fondamentale di riforma, dalla legge dello Stato.

A ciò è da aggiungere che la legge regionale attribuisce alla giunta regionale poteri determinanti circa l’individuazione dei settori economici e delle categorie professionali da considerare ai fini della richiesta di designazione dei membri del consiglio (art. 7, comma 3, della legge regionale n. 7 del 1982, come modificato dall’art. 1 della legge regionale n. 14 del 1983), senza prevedere strumenti di partecipazione o tutela dei potenziali interessati (del tipo ad esempio di quelli indicati dall’art. 12, comma 3, della legge n. 580 del 1993) e, soprattutto, senza attribuire agli statuti camerali (come si è visto, non previsti dalla legislazione regionale) la possibilità di definire la ripartizione dei consiglieri in rappresentanza dei diversi settori economici (come invece è fatto dall’art. 10, comma 2, della legge statale). Tutto ciò, oltre a finire per incidere sulla struttura rappresentativa dell’ente, viola altresì il principio di autonomia di cui già si è detto, attribuendo, in Trentino-Alto Adige, all’autorità regionale poteri interferenti con la struttura delle camere sconosciuti altrove.

Anche per questi aspetti attinenti al principio di rappresentatività deve dunque rilevarsi che la Regione Trentino-Alto Adige ha mancato di adeguarsi alla legislazione dello Stato e, pertanto, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 6 e 7 della legge regionale n. 7 del 1982.

5. – Altre censure proposte dal Governo sono invece infondate. Esse muovono dal presupposto che qualunque deviazione dalla specifica disciplina posta dalla legge dello Stato, qualunque disposizione della legge regionale "non in linea” (come si esprime il ricorso) con una corrispondente disposizione della legge statale costituisca un’esorbitanza dai limiti della competenza legislativa della Regione: il che, come detto in precedenza, non è esatto. Nella specie, è questione esclusivamente di rispetto di «norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica» o, se del caso, come il ricorso del Governo si limita ad adombrare, di «armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico dello Stato» (secondo la dizione dell’art. 4 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), cosicché non ogni mancata corrispondenza tra disciplina posta dallo Stato e disciplina posta dalla Regione si risolve di per sé in illegittimità di quest’ultima.

Questa ragione di rigetto delle censure in esame è assorbente rispetto ad altre considerazioni che pur potrebbero valere a contrastare l’interpretazione data dal Governo di questa o quella disposizione di legge regionale (ad esempio l’art. 3 della legge regionale n. 7 del 1982, in tema di attribuzioni e compiti delle camere, l’art. 7, in tema di nomina a membro del consiglio camerale di cittadini comunitari; l’art. 10, in tema di funzioni del consiglio [salvo che, per quanto si è detto, in relazione alla potestà statutaria]; l’art. 19, in tema di finanziamento delle camere con riferimento al cosiddetto «diritto annuale» introdotto dal decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 786, convertito nella legge 28 febbraio 1982, n. 51; l’art. 29 circa i casi di scioglimento del consiglio camerale), delle quali sarebbero invece sostenibili interpretazioni conformi alla legislazione statale.

Non attengono dunque a quel nucleo normativo indisponibile da parte del legislatore regionale (o, comunque, nessun argomento è portato a favore di tale attinenza): a) le disposizioni, nelle parti invocate dal ricorrente, contenute nella legge dello Stato relative alle specifiche attribuzioni delle camere indicate dall’art. 2 (in riferimento all’art. 3 della legge regionale n. 7 del 1982); b) le disposizioni sulla composizione in dettaglio del consiglio, sulla sua costituzione, sui requisiti e le cause ostative per la nomina, sulle cause di decadenza, contenute negli artt. 10, 12, 13 [in riferimento agli artt. 6, 7, 8 (come modificato dall’art. 3 della legge regionale n. 22 del 1988), 9 (come modificato dall’art. 4 della legge regionale n. 22 del 1988), 15 (come modificato dall’art. 6 della legge regionale n. 22 del 1988) della legge regionale n. 7 del 1982], salvo quanto detto sul carattere rappresentativo del consiglio; c) le disposizioni concernenti la specificazione dei compiti del consiglio, contenute nell’art. 11 (in riferimento all’art. 10 della legge regionale n. 7 del 1982), salvo quanto detto a proposito della potestà statutaria; d) le disposizioni relative alla giunta camerale e al presidente contenute negli artt. 14 e 16 (in riferimento agli artt. 11, 12 e 16, comma 2, lettera b), della legge regionale n. 7 del 1982); e) le disposizioni sul collegio dei revisori dei conti, contenute nell’art. 17 (in riferimento all’art. 13 della legge regionale n. 7 del 1982); f) le disposizioni di dettaglio circa le riunioni e le deliberazioni del consiglio, contenute nell’art. 15 (in relazione all’art. 16 della legge regionale n. 7 del 1982); g) le disposizioni sul finanziamento contenute nell’art. 18 (in riferimento all’art. 19 della legge regionale n. 7 del 1982), stante comunque il riferimento che la legge regionale fa – analogamente all’art. 3 del d.P.R. 31 luglio 1978, n. 1017 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige in materia di artigianato, incremento della produzione industriale, cave e torbiere, commercio, fiere e mercati) - alle previsioni delle leggi dello Stato; h) le disposizioni circa il segretario generale contenute nell’art. 20 (in riferimento all’art. 21 della legge regionale n. 7 del 1982, integrato dall’art. 11 della legge regionale n. 8 del 1980); i) la disposizione dell’art. 6 sulle modalità di deliberazione richieste per la creazione dell’unione regionale delle camere (in relazione all’art. 22 della legge regionale n. 7 del 1982, che prevede comunque una procedura di garanzia che si ispira al medesimo principio accolto dalla legge statale); l) le disposizioni dell’art. 4 circa l’ambito e le procedure di controllo delle delibere consiliari (in relazione agli artt. 25 e 27 della legge regionale n. 7 del 1982, sostituiti dagli artt. 8 e 9 della legge regionale n. 22 del 1988); m) le disposizioni dell’art. 5, circa lo scioglimento dei consigli (in relazione all’art. 29 della legge regionale n. 7 del 1982).

6.1. – Quanto alla censura mossa all’art. 1 della legge regionale n. 8 del 1980, sostituito dall’art. 2 della legge regionale n. 8 del 1987, perché, disciplinando lo stato giuridico e il trattamento economico del personale delle camere attraverso un rinvio alla disciplina generale concernente il personale della Regione Trentino-Alto Adige, non renderebbe applicabili le disposizioni della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e del decreto legislativo n. 29 del 1993 secondo quanto previsto dall’art. 19 della legge n. 580 del 1993, essa risulta inammissibile. Della disposizione impugnata il Governo si duole non per il suo contenuto di norma di rinvio, priva di per sé di autonomo contenuto; la sua illegittimità deriverebbe dall’illegittimità delle norme alle quali è operato il rinvio, cioè della disciplina dettata dalla Regione Trentino-Alto Adige per il proprio personale. Senonché, tale illegittimità non è in alcun modo motivata ma è solo apoditticamente affermata, venendo così a mancare un elemento essenziale del ricorso che, come già affermato da questa Corte (sentenza n. 384 del 1999), ne condiziona l’ammissibilità.

In realtà, la censura sollevata rispetto al caso particolare della disciplina dell’impiego dei dipendenti delle camere di commercio rifluisce nella più generale vicenda concernente l’adeguamento di tale disciplina alla normativa statale di riforma contenuta nella legge n. 421 del 1992 e nel decreto legislativo n. 29 del 1993: una vicenda rispetto alla quale – come ricorda il ricorso del Governo – si è inserito anche un ricorso per mancato adeguamento a norma dell’art. 2, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 266 del 1992. Dalla conclusione di essa, per il tramite della norma di rinvio oggetto del presente ricorso, troverà soluzione anche il problema più circoscritto che esso pone rispetto alla disciplina dell’impiego dei dipendenti delle camere di commercio.

6.2. – Infine, sempre con riguardo alla disciplina del rapporto di impiego vigente per le camere di commercio, quanto alla doglianza relativa all’art. 6 della legge regionale n. 8 del 1980 (sostituito dall’art. 5 della legge regionale n. 8 del 1987), in tema di composizione del consiglio per l’organizzazione e il personale, mossa poiché prevede la presenza di rappresentanti del personale, in contrasto con la disciplina dettata dall’art. 48 del decreto legislativo n. 29 del 1993 (decreto richiamato dall’art. 19 della legge n. 580 del 1993), nonché quanto alla difficilmente decifrabile doglianza mossa all’art. 4 della legge regionale n. 18 del 1983 (sostituito dall’art. 7 della legge regionale n. 8 del 1987, ed erroneamente indicato nel ricorso come art. 4 della legge regionale n. 8 del 1980), il quale, rimandando all’art. 20 della legge regionale n. 7 del 1982 la disciplina delle procedure di concorso, farebbe riferimento a una normativa in contrasto con il decreto legislativo n. 29 del 1993, basta rilevare che le disposizioni di tale decreto, contenente la riforma dell’impiego pubblico, costituiscono, per espressa dizione del suo art. 1, comma 3, principi fondamentali ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, non vincolanti di per sé la potestà legislativa della Regione Trentino-Alto Adige nelle materie attribuite alla competenza legislativa prevista dall’art. 4 del suo statuto, tra le quali rientrano tanto quella dell’ordinamento delle camere di commercio (n. 8) quanto quella dell’ordinamento degli uffici regionali e del personale ad essi addetto (n. 1). Riguardo ai principi desumibili dall’art. 2 della legge n. 421 del 1992 (sulla cui base è stato emanato il decreto legislativo n. 29 del 1993), principi che il comma 2 dello stesso art. 2 e l’art. 3 del decreto legislativo n. 29 qualificano come norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica, e quindi vincolanti anche la potestà legislativa della Regione Trentino-Alto Adige prevista dall’art. 4 dello statuto, nulla è dato da essi evincere – né il ricorrente evince – che possa rilevare per sostenere le censure in esame.

Tali questioni debbono pertanto essere dichiarate non fondate.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale delle seguenti disposizioni della legge regionale del Trentino-Alto Adige 9 agosto 1982, n. 7 (Ordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Trento e di Bolzano):

a) art. 1, nella parte in cui determina la natura delle camere di commercio in contrasto con il principio di autonomia, risultante dall’art. 1, comma 1, della legge 29 dicembre 1993, n. 580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura);

b) art. 10, nella parte in cui prevede i compiti del consiglio camerale in contrasto con il principio di autonomia statutaria delle camere, risultante dall’art. 3 della legge n. 580 del 1993, e con il principio della competenza statutaria del consiglio stesso, risultante dall’art. 11 della medesima legge;

c) artt. 6 e 7, nella parte in cui disciplinano la composizione del consiglio camerale in contrasto con il principio di rappresentatività risultante dall’art. 12 della legge n. 580 del 1993;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, 6 e 7 [per le parti non dichiarate incostituzionali], 8, 9, 10 [per la parte non dichiarata incostituzionale], 11, 12, 13, 15, 16, 19, 21, 22, 25, 27, 29 della legge regionale n. 7 del 1982; degli artt. 1 e 2 della legge regionale 9 novembre 1983, n. 14 (Modifiche alla legge regionale 9 agosto 1982, n. 7 "Ordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura di Trento e di Bolzano”); degli artt. 3, 4, 6, 8 e 9 della legge regionale 17 ottobre 1988, n. 22 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 9 agosto 1982, n. 7, modificata dalla legge regionale 9 novembre 1983, n. 14, sull’ordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Trento e di Bolzano); dell’art. 11 della legge regionale 22 maggio 1980, n. 8 (Norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Trento e di Bolzano), sollevate, per violazione dell’art. 4, numero 8), dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), in relazione agli artt. 2, 4, 5, 6, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18 e 20 della legge n. 580 del 1993, con il ricorso indicato in epigrafe;

 3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge regionale n. 8 del 1980, sostituito dall’art. 5 della legge regionale 18 giugno 1987, n. 8 (Modifiche e integrazioni alla legge regionale 22 maggio 1980, n. 8 e alla legge regionale 27 novembre 1983, n. 18, recanti norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Trento e di Bolzano), e dell’art. 4 della legge regionale 27 novembre 1983, n. 18 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 22 maggio 1980, n. 8, contenente "Norme sullo stato giuridico e sul trattamento economico del personale delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Trento e di Bolzano”), sostituito dall’art. 7 della legge regionale n. 8 del 1987, sollevate, in riferimento all’art. 19 della legge n. 580 del 1993, con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge regionale n. 8 del 1980, sostituito dall’art. 2 della legge regionale n. 8 del 1987, sollevata, in riferimento all’art. 19 della legge n. 580 del 1993, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore

Depositata in cancelleria l'8 novembre 2000.