Sentenza n. 163/2000

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SENTENZA N. 163

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo  MEZZANOTTE

- Guido  NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco  BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 237 (Modifica della disciplina in materia di servizi autonomi di cassa degli uffici finanziari), promossi con ordinanze emesse il 16 febbraio e il 4 marzo 1998 (n. 2 ordinanze), il 22 ed il 16 marzo 1999 dal Pretore di Padova, rispettivamente iscritte ai nn. 122, 128, 133, 595 e 596 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 11 e 43, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 22 marzo 2000 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di procedimenti esecutivi promossi per il recupero di somme dovute all’erario a titolo di sanzioni penali pecuniarie e spese di giustizia, il Pretore di Padova, con cinque ordinanze di identico contenuto, emesse in data 16 febbraio 1998, 4 marzo 1998, 16 marzo 1999 e 22 marzo 1999, ha sollevato - in riferimento all'articolo 76 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 237 (Modifica della disciplina in materia di servizi autonomi di cassa degli uffici finanziari), «nella parte in cui prevede che l'intera riscossione coattiva delle sanzioni penali pecuniarie e delle spese di giustizia e non il solo materiale pagamento delle stesse avvenga a mezzo del concessionario della riscossione dei tributi».

1.1         - Premette il rimettente di essere chiamato a decidere questioni insorte nel corso di procedimenti esecutivi promossi da diversi uffici del campione penale per il recupero di somme dovute all’erario a titolo di pene pecuniarie e spese di giustizia e di ritenere necessario accertare, in via pregiudiziale, la legittimazione dei suddetti uffici ad agire esecutivamente sui beni dei debitori.

In proposito, afferma il rimettente, la riscossione delle pene pecuniarie e delle spese di giustizia, sia per la fase del pagamento che per quella della riscossione coattiva, risulta inequivocamente attribuita dal decreto legislativo n. 237 del 1997 e dalle circolari illustrative del Ministero della giustizia e del Ministero delle finanze alla competenza esclusiva del concessionario del servizio di riscossione dei tributi, con eliminazione di ogni attribuzione all’Ufficio del registro e di ogni competenza esecutiva agli uffici del campione penale.

Ma proprio siffatta disciplina, contenuta nel citato decreto legislativo, eccede, ad avviso dello stesso giudice, i limiti stabiliti dalla norma delegante contenuta nell’art. 3, comma 138, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), violando, in tal modo, l’art. 76 Cost.

Il legislatore, infatti, nel delegare il Governo ad emanare decreti legislativi finalizzati ad eliminare i servizi autonomi di cassa degli uffici finanziari, aveva provveduto a fissare i seguenti principi e criteri direttivi: a) «razionalizzare il sistema di riscossione delle imposte indirette e delle altre entrate affidando ai concessionari della riscossione ¼¼ gli adempimenti svolti in materia dai servizi di cassa degli uffici del Ministero delle finanze ed armonizzandoli alla procedura di funzionamento del conto fiscale», b) «apportare le conseguenti modifiche agli adempimenti posti a carico dei contribuenti, dei concessionari della riscossione, ¼¼ e degli uffici finanziari dalla vigente normativa».

Secondo quanto ritenuto dal rimettente, l'attribuzione della riscossione delle pene pecuniarie e delle spese di giustizia ai concessionari del servizio di riscossione dei tributi, veniva, pertanto, a rappresentare, nella legge delega, una mera conseguenza della soppressione delle attribuzioni dell'Ufficio del registro.

Sennonché, sotto la previgente disciplina, le attribuzioni di tale ufficio erano limitate al materiale pagamento delle somme, mentre la potestà esecutiva relativamente alle pene pecuniarie ed alle spese di giustizia penali era, ai sensi del regio decreto 23 dicembre 1865, n. 2701, di competenza esclusiva dei cancellieri.

Sarebbe, quindi, evidente come sia stata attribuita al concessionario anche una potestà di competenza dei cancellieri e, quindi, una funzione aggiuntiva a quella in precedenza riconosciuta all'Ufficio del registro. Ne deriverebbe la violazione dell’art. 76 della Costituzione, poiché il conferimento di tale funzione non potrebbe ritenersi autorizzato dal criterio direttivo di cui al punto a) dell’art. 3, comma 138, della legge n. 662 del 1996.

Né, d'altro canto, aggiunge il rimettente, potrebbe soccorrere il punto b) della stessa norma.

Sebbene siffatta disposizione attribuisca al Governo la potestà di «apportare le conseguenti modiche agli adempimenti posti a carico ¼¼¼ dei concessionari¼¼ e degli uffici finanziari», il giudice a quo dubita che tale previsione possa intendersi in senso così lato da ricomprendere anche l'attività esecutiva e di riscossione delle sanzioni penali e delle spese di giustizia.

La dizione testuale della norma «¼ conseguenti modifiche ¼», sostiene il rimettente, è, infatti, riferibile solo a quelle «variazioni della normativa o delle materie coinvolte che siano necessarie, utili o anche solo opportune ma che, in ogni caso, coinvolgano aspetti meramente accessori, collaterali o, comunque, strumentali rispetto all'obiettivo designato».

Mentre le conseguenze delle nuove competenze attribuite al concessionario in materia di riscossione delle pene pecuniarie e delle spese di giustizia sarebbero di notevole rilievo, tant'è che costui:

a) una volta riscosse le somme sarebbe tenuto a comunicare alla cancelleria l'avvenuta esazione delle pene pecuniarie (o comunque l'eventuale sopravvenienza di cause estintive) affinché si possa procedere alla compilazione dei fogli complementari;

b) su richiesta della magistratura di sorveglianza dovrebbe rilasciare il certificato di pagate spese ai fini della riabilitazione;

c) dovrebbe, anche se soggetto privato, richiedere al procuratore della Repubblica la conversione della pena pecuniaria e l'applicazione delle cause di estinzione della pena;

d) dovrebbe eseguire i provvedimenti di cumulo disposti dal pubblico ministero.

Sul piano normativo, poi, dovrebbe ritenersi implicitamente abrogato l'art. 460, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui è previsto che copia del decreto penale è notificata con il "precetto", poiché quest'ultimo resterebbe sostituito dall'avviso di mora che spetta al concessionario.

Si tratterebbe, pertanto, conclude il rimettente, di una modifica, non legittimata dalla legge delega, con la creazione di un nuovo soggetto istituzionale, di natura privata, quale «abituale interlocutore per gli organi istituzionali».

1.2 - La questione viene, infine, ritenuta rilevante, poiché dalla sua risoluzione dipende la legittimazione processuale degli uffici del campione penale nei giudizi a quibus.

2. - E’ intervenuto nei giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la restituzione degli atti al giudice rimettente per una nuova valutazione della rilevanza della questione di legittimità, ovvero, per la dichiarazione di inammissibilità o infondatezza della questione stessa.

 Rileva l’Avvocatura come la restituzione degli atti al giudice a quo sia resa necessaria dalle innovazioni legislative successive alle prime tre ordinanze di rimessione ed in primo luogo dalle modifiche ed integrazioni apportate all’art. 3 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 237, dall’art. 1 del decreto legislativo 19 novembre 1998, n. 422 (Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 9 luglio 1997, n. 237 e n. 241, 4 dicembre 1997, n. 460, 15 dicembre 1997, n. 446, e 18 dicembre 1997, n. 472), il quale ha sostituito alle parole «dall’ufficio finanziario competente» le parole «dall’ufficio dell’ente creditore».

 Sempre dal citato decreto legislativo n. 422 del 1998 è stato introdotto, osserva l’Avvocatura, l’art. 16-bis a norma del quale vengono fatti salvi «gli effetti degli atti amministrativi e di esecuzione compiuti dal 1° gennaio 1998».

 A completare il quadro delle innovazioni legislative la stessa difesa richiama, infine, il decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo a norma dell’art. 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337), il cui art. 17 ha previsto la riscossione mediante ruolo di tutte le entrate dello Stato.

 La questione, poi, dovrebbe, ad avviso dell’Avvocatura, essere dichiarata inammissibile mancando, nelle due ultime ordinanze, una adeguata motivazione della sua rilevanza sotto il profilo della descrizione della fattispecie sottoposta alla valutazione del giudice a quo.

 Nel merito la censura di incostituzionalità sarebbe, sempre ad avviso dell’Avvocatura, infondata.

 Ed invero, nell'ambito dei principi e criteri direttivi fissati dalla legge delega, quello di cui al punto b) dell'art. 3, comma 138, della legge n. 662 del 1996, avrebbe in sostanza accordato al legislatore delegato un ampio margine di intervento in ordine agli adempimenti posti a carico dei vari soggetti operanti nell'intera procedura di riscossione in conseguenza della soppressione dei servizi autonomi di cassa degli uffici finanziari.

 Con la conseguenza che la attribuzione ai concessionari della competenza anche in materia di esecuzione coattiva non solo non sarebbe preclusa dalla legge delega, ma sarebbe imposta dal criterio direttivo di cui al punto a) dell'art. 3, comma 138, laddove viene prevista la razionalizzazione dell'intero sistema di riscossione delle imposte indirette e delle altre entrate.

 Va infine osservato che se lo Stato, attraverso l'atto di concessione amministrativa, si è spogliato, a favore del concessionario, dell'esercizio della funzione di riscossione delle entrate di propria competenza, è altrettanto indubitabile che ha conservato la titolarità della funzione stessa.

 Pertanto, conclude l'Avvocatura, la normativa denunciata non sembra affatto, come affermato dal rimettente, avere la portata «di una autentica rivoluzione con la creazione, ex nihilo, di un nuovo soggetto istituzionale, di natura privata, quale abituale interlocutore per gli organi giurisdizionali».

Considerato in diritto

1.- I giudizi hanno ad oggetto questioni identiche e vanno perciò riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2.- Il Pretore di Padova dubita - in riferimento all’art. 76 della Costituzione - della legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 237 (Modifica della disciplina in materia di servizi autonomi di cassa degli uffici finanziari).

Ad avviso del rimettente, la disposizione denunciata, «nella parte in cui prevede che l'intera riscossione coattiva delle sanzioni penali pecuniarie e delle spese di giustizia e non il solo materiale pagamento delle stesse avvenga a mezzo del concessionario della riscossione dei tributi», violerebbe il criterio direttivo fissato dall’art. 3, comma 138, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) e, conseguentemente, l’art. 76 della Costituzione.

3.- Preliminarmente va escluso che le innovazioni introdotte nella materia in esame dai decreti legislativi 19 novembre 1998, n. 422 e 26 febbraio 1999, n. 46, debbano comportare, come invece ritiene l’Avvocatura dello Stato, un riesame della rilevanza della questione da parte del giudice a quo.

Quest’ultimo, infatti, ha già preso in considerazione, in due ordinanze, il decreto legislativo n. 422 del 1998 ritenendolo privo di rilevanza ai fini della risoluzione della questione di legittimità. E tanto basta, attesa la sostanziale identità di tutte le ordinanze, per rendere, nella specie, del tutto superflua una nuova valutazione al riguardo.

Il decreto legislativo n. 46 del 1999, che ha previsto la riscossione mediante ruolo di tutte le entrate dello Stato e, dunque, anche di quelle oggetto dei giudizi a quibus, non potrebbe, poi, in alcun modo legittimare la restituzione degli atti al giudice a quo in quanto, ai sensi dell’art. 36, comma 9, del decreto, la relativa disciplina non è applicabile alle procedure esecutive in corso, le quali continuano ad essere regolate dalle disposizioni anteriormente vigenti.

Deve essere, anche, disattesa l’eccezione di inammissibilità della questione sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato sotto il profilo dell’assenza o dell’insufficienza della motivazione della sua rilevanza.

Il rimettente ha, infatti, sollevato la questione per la asserita necessità dell’accertamento della legittimazione processuale in capo agli uffici procedenti.

Motivazione di per sé non implausibile e che non può essere, perciò, censurata in sede di controllo esterno sul giudizio di rilevanza espresso dall’ordinanza di rimessione (sentenze n. 179 e n. 148 del 1999).

Mentre, contrariamente a quanto affermato dall’Avvocatura, del tutto esaustiva risulta la descrizione delle fattispecie oggetto dei singoli procedimenti esecutivi e l’indicazione, pur se indiretta, delle date di inizio dei procedimenti stessi.

4. - Nel merito la questione non é fondata.

4.1 - La violazione dell’art. 76 Cost. viene denunciata dal rimettente sotto il profilo dell’eccesso di delega per avere il decreto impugnato accordato ai concessionari del servizio di riscossione dei tributi, in assenza di qualunque previsione della legge delega, la potestà per la riscossione coattiva delle pene pecuniarie e delle spese di giustizia.

In proposito, va anzitutto ribadita la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui la delega legislativa non elimina ogni discrezionalità del legislatore delegato, i cui margini risultano più o meno ampi a seconda del grado di specificità dei principi e criteri direttivi fissati dal legislatore delegante.

E deve essere altresì evidenziata la affermazione, egualmente costante, di questa Corte secondo cui per valutare di volta in volta se il legislatore delegato abbia ecceduto tali - più o meno ampi - margini di discrezionalità, occorre individuare la ratio della delega, per verificare se la norma delegata sia ad essa rispondente.

  Ora, non appare contestabile come la legge n. 662 del 1996, in conformità a quanto risulta dal testo sub a) dell’art. 3, comma 138, persegua lo scopo della «razionalizzazione del sistema di riscossione delle imposte indirette e delle altre entrate». E ciò del resto in perfetta rispondenza al titolo stesso della legge, espresso, appunto, nei termini di «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica».

Su tale base, occorre allora verificare se la norma impugnata, accordando ai concessionari del servizio di riscossione dei tributi anche la potestà esecutiva per la riscossione delle pene pecuniarie e delle spese di giustizia, risponda all’esigenza di razionalizzazione del sistema di riscossione delle entrate complessivamente considerato. E la risposta non può non essere affermativa, attesa l’evidente necessità di unificare in un solo soggetto, e precisamente nel concessionario, sia la funzione di "cassiere" che la potestà di riscossione coattiva delle sanzioni pecuniarie e delle spese di giustizia.

Con conseguente cessazione, per tale ultimo aspetto, delle funzioni del cancelliere quale "agente delle finanze" di cui all’art. 205 della Tariffa penale (approvata con regio decreto 23 dicembre 1865, n. 2701).

Può, quindi, dirsi che la scelta del legislatore delegato, essendo diretta ad attuare un espresso criterio direttivo contenuto nella legge di delega, non ha ecceduto i margini lasciati al legislatore delegato e non vìola, dunque, l’art. 76 Cost.

L’eccesso di delega non potrebbe, neppure, fondarsi sulla circostanza, evocata dal rimettente, che la potestà esecutiva dei concessionari del servizio di riscossione dei tributi richiederebbe modificazioni particolarmente rilevanti della normativa vigente e, dunque, tali da non poter essere ricomprese tra quelle, puramente marginali, che il Governo è autorizzato ad apportare in base al criterio direttivo enunciato al punto b) dell’art. 3, comma 138, della legge n. 662 del 1996.

La lettura immotivatamente restrittiva che in tal modo si propone del citato criterio direttivo non risulta, infatti, confortata né dalla lettera né dalla ratio dello stesso che fa espresso ed inequivoco riferimento a tutte quelle modifiche, marginali o meno, rese necessarie dalle nuove funzioni attribuite ai concessionari che comprendono anche la potestà esecutiva in materia di sanzioni pecuniarie e spese di giustizia.

Sicché, anche sotto tale aspetto, la questione va dichiarata infondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 237 (Modifica della disciplina in materia di servizi autonomi di cassa degli uffici finanziari), sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dal Pretore di Padova con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 maggio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Depositata in cancelleria il 31 maggio 2000.