SENTENZA N. 218
ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, della legge della Regione Veneto 26 marzo 1999, n. 10 (Disciplina dei contenuti e delle procedure di valutazione d’impatto ambientale), promosso dal Consiglio di Stato nel procedimento vertente tra F. D.V. e altri e la Regione Veneto e altri, con ordinanza del 14 aprile 2015, iscritta al n. 199 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2015.
Visti gli atti di costituzione di F. D.V. e altri, della Provincia di Belluno e altra e della Regione Veneto;
udito nell’udienza pubblica del 4 luglio 2017 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;
uditi l’avvocato Matteo Ceruti per F. D.V. ed altri e l’avvocato Alfredo Biagini per la Provincia di Belluno ed altra e per la Regione Veneto.
1.– Con ordinanza del 14 aprile 2015, iscritta al n. 199 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2015, il Consiglio di Stato ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7, comma 2, in relazione all’allegato C4, punto 7, lettera f), della legge della Regione Veneto 26 marzo 1999, n. 10 (Disciplina dei contenuti e delle procedure di valutazione d’impatto ambientale), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, ritenendolo contrastante con l’art. 23, comma 1, lettera c), in relazione all’allegato III, elenco B, punto 7, lettera g), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).
Il Consiglio di Stato riferisce di essere chiamato a decidere in ordine all’appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Veneto, sede di Venezia, che ha rigettato, ritenendolo infondato, il ricorso di F. D.V. e altri avverso gli atti del procedimento di approvazione di una variante, di circa 3,3 km di lunghezza, alla strada provinciale n. 1 della Provincia di Belluno.
2.− Ad avviso del Collegio rimettente la norma regionale censurata, stabilendo la procedura di assoggettamento alla verifica di valutazione di impatto ambientale solo per le strade extraurbane secondarie di lunghezza superiore a 5 chilometri, si porrebbe in contrasto con l’art. 23, comma 1, lettera c), e relativo allegato III, elenco B, punto 7, lettera g), del d.lgs. n. 152 del 2006, che impone di sottoporre alla detta procedura tutti i progetti di strade extraurbane secondarie, a prescindere dalle loro dimensioni, con ciò invadendo illegittimamente la competenza esclusiva del legislatore statale in materia di tutela dell’ambiente stabilita dall’art.117, secondo comma, lettera s), Cost.
Il giudice rimettente evidenzia che la questione di legittimità costituzionale deve considerarsi rilevante poiché, risultando infondati tutti gli altri motivi di appello, «qualora la norma regionale venisse eliminata dall’ordinamento, nella parte non conforme alla norma nazionale, effettivamente sul progetto dovrebbe procedersi, come sostengono gli appellanti, mediante la richiesta di “verifica” all’autorità competente (il c.d. “screening”), al fine di stabilire se l’impatto sull’ambiente, in relazione alle caratteristiche del progetto e alla localizzazione, comporta la necessità dello svolgimento della procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA). Da qui discenderebbe l’illegittimità dei provvedimenti impugnati che in applicazione della norma regionale non hanno sottoposto preventivamente né l’accordo di programma, né il progetto definitivo alla suddetta verifica».
In punto di non manifesta infondatezza, il Consiglio di Stato richiama numerose sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea, a tenore delle quali gli Stati non possono esercitare la propria discrezionalità nell’identificare criteri e soglie di esenzione alla procedura di assoggettamento alla verifica di valutazione di impatto ambientale che siano fondati esclusivamente sulle dimensioni dei progetti, nonché la sentenza n. 93 del 2013 di questa Corte, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli allegati A1, A2, B1 e B2 alla legge della Regione Marche 26 marzo 2012, n. 3, (Disciplina regionale della valutazione di impatto ambientale (VIA) ), nella parte in cui, nell’individuare i criteri per identificare i progetti da sottoporre a VIA regionale o provinciale ed a verifica di assoggettabilità regionale o provinciale, non prevedevano che si dovesse tener conto, caso per caso, di tutti i criteri indicati nell’Allegato III alla direttiva del 13 dicembre 2011, n. 2011/92/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati).
3.– Con memoria depositata in data 2 novembre 2015, si sono costituiti in giudizio F. D.V. e altri, parti appellanti nel giudizio principale, che, con argomenti analoghi a quelli svolti dal Consiglio di Stato nella ordinanza di rimessione, hanno chiesto che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata fondata.
4.– Con memorie distinte, ma di identico contenuto, in data 3 novembre 2015, si sono costituite in giudizio la Regione Veneto, la Provincia di Belluno e la Veneto Strade spa, parti resistenti nel giudizio principale, concludendo per l’inammissibilità ovvero l’infondatezza della questione.
4.1.– Le parti resistenti eccepiscono, in primo luogo, che la norma interposta ritenuta violata non sarebbe, in realtà, conferente al caso, non avendo il Consiglio di Stato considerato che la conferenza di servizi conclusiva del procedimento per l’approvazione del progetto risulta essersi svolta in data 19 luglio 2006, mentre l’entrata in vigore dell’intera parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006 e, quindi, anche del richiamato art. 23, è avvenuta successivamente, in data 31 luglio 2007.
Pertanto, in applicazione del principio tempus regit actum, la normativa statale richiamata dal Consiglio di Stato, in quanto sopravvenuta alla conclusione del procedimento, non sarebbe applicabile al giudizio, conformemente a quanto statuito dal testo originario dell’articolo 52, secondo comma, del d.lgs. n. 152 del 2006, a tenore del quale «[i] procedimenti amministrativi in corso alla data di entrata in vigore della parte seconda del presente decreto, nonché i procedimenti per i quali a tale data sia già stata formalmente presentata istanza introduttiva da parte dell’interessato, si concludono in conformità alle disposizioni ed alle attribuzioni di competenza in vigore all’epoca della presentazione di detta istanza».
Le parti resistenti eccepiscono, inoltre, che il giudice a quo non avrebbe, in ogni caso, fornito una sufficiente motivazione in ordine alla rilevanza della questione, essendosi limitato ad affermare, del tutto genericamente, che, in caso di dichiarata illegittimità costituzionale della disposizione censurata, sarebbe stato possibile annullare i provvedimenti impugnati.
Eccepiscono, infine, che il Consiglio di Stato avrebbe completamente omesso il doveroso tentativo di ricercare un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata.
4.2.– Nel merito, ad avviso delle parti resistenti, la questione sarebbe, comunque, infondata.
Infatti, la disciplina contenuta nella norma regionale impugnata sarebbe coerente rispetto alla normativa statale applicabile, ratione temporis, al procedimento di approvazione dell’opera viaria oggetto del giudizio, da individuare non già nel Codice dell’ambiente, ma nel decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996 (Atto di indirizzo e coordinamento per l’attuazione dell’art. 40, comma 1, della L. 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale).
Più precisamente, l’art. 1, comma 1, del d.P.R. 12 aprile 1996, attribuendo, in via generale, alle Regioni il compito di assicurare che l’esecuzione della procedura di VIA per i progetti indicati negli allegati A e B avvenga nel rispetto delle disposizioni della direttiva del 27 giugno 1985, n. 85/337/CEE (Direttiva del Consiglio concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati), aveva individuato le strade extraurbane secondarie tra le opere per le quali la scelta sull’assoggettamento alla procedura di VIA restava affidata all’apprezzamento discrezionale dell’amministrazione procedente.
Di qui, la conseguente e del tutto legittima previsione da parte della norma regionale censurata di specifici limiti (la lunghezza superiore a 5 chilometri) per l’assoggettamento alla verifica di valutazione di impatto ambientale delle strade extraurbane secondarie.
5.– In data 3 gennaio 2017, F. D.V. e altri, parti appellanti nel giudizio principale, richiamando quanto già illustrato nell’atto di costituzione in giudizio, hanno depositato ulteriore memoria, formulando controdeduzioni ai rilievi esposti dalle difese delle parti resistenti.
6.– Con decreto del 12 gennaio 2017, il Presidente della Corte costituzionale ha disposto il rinvio a nuovo ruolo della discussione del giudizio, fissandone la trattazione, con decreto del 31 gennaio 2017, nell’udienza pubblica del 4 luglio 2017.
1.– Il Consiglio di Stato ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7, comma 2, in relazione all’allegato C4, punto 7, lettera f), della legge della Regione Veneto 26 marzo 1999, n. 10 (Disciplina dei contenuti e delle procedure di valutazione d’impatto ambientale), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
La disposizione censurata prevede l’assoggettamento alla procedura di verifica della valutazione di impatto ambientale dei soli progetti relativi alla realizzazione di strade extraurbane secondarie di lunghezza superiore a 5 km, ponendosi, ad avviso del rimettente, in contrasto con la disciplina statale dell’art. 23, comma 1, lettera c), e relativo allegato III, elenco B, punto 7, lettera g), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), che impone di sottoporre alla detta procedura tutti i progetti di strade extraurbane secondarie, senza consentire alcuna esclusione a priori fondata su criteri meramente dimensionali.
2.− In via preliminare, vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità avanzate dalle parti resistenti nel giudizio principale, costituitesi nel giudizio innanzi alla Corte.
Nessuna di tali eccezioni può trovare accoglimento.
2.1.– Con riferimento alla dedotta inapplicabilità, ratione temporis, nel giudizio a quo, della norma interposta ritenuta violata, va rammentato che, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, la valutazione di rilevanza è riservata al giudice a quo, «potendo la Corte interferire su tale valutazione solo se essa, a prima vista, appare assolutamente priva di fondamento» (così sentenze n. 106 del 2013 e n. 242 del 2011).
Nel caso in questione, invece, il Consiglio di Stato ha operato, nell’ordinanza di rimessione, una dettagliata ricostruzione della successione temporale degli atti del procedimento oggetto del giudizio al fine, appunto, di individuare, in applicazione del principio tempus regit actum, gli esatti termini normativi della questione.
2.2.– Neppure, sotto altro profilo, può ritenersi, come sostenuto dalle parti resistenti, che il rimettente non abbia fornito un’adeguata motivazione in ordine alla rilevanza della questione, essendo sufficiente, a tali fini, che il giudice a quo proponga una motivazione plausibile, «sempreché, dalla descrizione della fattispecie, il carattere pregiudiziale della stessa questione emerga con immediatezza ed evidenza» (così sentenza n. 120 del 2015; nello stesso senso, sentenze n. 201 del 2014 e n. 369 del 1996).
2.3.– Del pari da respingere è l’ulteriore eccezione di inammissibilità, secondo cui il giudice a quo avrebbe omesso il doveroso tentativo di interpretare la disposizione censurata in modo conforme alla Costituzione.
Va, infatti, rilevato che il dato testuale della norma regionale impugnata, che stabilisce l’assoggettamento alla procedura di verifica della valutazione di impatto ambientale per le sole strade extraurbane secondarie di lunghezza superiore a 5 chilometri, è inequivoco e, quindi, tale da non consentire diverse interpretazioni.
3.– Nel merito la questione è fondata.
3.1.– Questa Corte, già nella sentenza n. 407 del 2002, ha ritenuto che la tutela dell’ambiente non possa identificarsi con una materia in senso stretto, dovendosi piuttosto intendere come un valore costituzionalmente protetto, integrante una sorta di «materia trasversale».
La trasversalità della materia implica, di per sé stessa, l’esistenza di «competenze diverse che ben possono essere regionali», con la conseguenza che allo Stato rimane riservato «il potere di fissare standards di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, senza peraltro escludere in questo settore la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali» (così sentenza n. 407 del 2002). Alle Regioni non è, tuttavia, consentito, in nessun caso, di apportare deroghe in peius rispetto ai parametri di tutela dell’ambiente fissati dalla normativa statale.
Ciò, in quanto «le disposizioni legislative statali adottate in tale ambito fungono da limite alla disciplina che le Regioni, anche a statuto speciale, dettano nei settori di loro competenza, essendo ad esse consentito soltanto eventualmente di incrementare i livelli della tutela ambientale, senza però compromettere il punto di equilibrio tra esigenze contrapposte espressamente individuato dalla norma dello Stato» (così sentenza n. 300 del 2013).
Venendo allo specifico thema decidendum, va evidenziato che le disposizioni del Codice dell’ambiente, richiamate dal giudice a quo, stabiliscono che la verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale (c.d. screening, consistente nella procedura finalizzata a valutare, in via preliminare, se un progetto può determinare impatti negativi e significativi sull’ambiente), debba svolgersi sulla base della valutazione congiunta di una serie di elementi relativi alle caratteristiche dei progetti (il cumulo con altri progetti, l’utilizzazione di risorse naturali, le dimensioni, la produzione di rifiuti, l’inquinamento, i disturbi ambientali e il rischio di incidenti), alla loro localizzazione (considerando, quindi, le peculiarità del territorio in cui il progetto si situa) e alle caratteristiche dell’impatto potenziale (la portata, durata o reversibilità del progetto).
A tale procedura di verifica risultano sottoposti tutti i progetti richiamati dal comma 1, lettera c), dell’art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, tra cui, appunto, le strade extraurbane secondarie, specificamente indicate alla lettera g) del punto 7 dell’elenco B dell’allegato III alla parte seconda del detto decreto legislativo.
La previsione dello screening da parte del legislatore statale va ricondotta all’esigenza di sottoporre a detta procedura, in attuazione di quanto previsto sul punto dalla normativa europea, qualsivoglia tipologia di progetto, a prescindere che questo sia di competenza statale o regionale, senza consentire esenzioni a priori e in via generale, fondate esclusivamente su parametri dimensionali.
In questa prospettiva, la Corte ha già avuto modo di evidenziare che «[l]’obbligo di sottoporre il progetto alla procedura di VIA, o, nei casi previsti, alla preliminare verifica di assoggettabilità alla VIA, attiene al valore della tutela ambientale (sentenze n. 225 e n. 234 del 2009), che, nella disciplina statale, costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, livello di tutela uniforme e si impone sull’intero territorio nazionale. La disciplina statale uniforme non consente, per le ragioni sopra esaminate, di introdurre limiti quantitativi all’applicabilità della disciplina, anche se giustificati dalla ritenuta minor rilevanza dell’intervento configurato o dal carattere tecnico dello stesso» (così sentenza n. 127 del 2010).
La disposizione regionale censurata sottopone, invece, a screening solo le strade extraurbane secondarie di dimensioni superiori a 5 chilometri, esentando da tale procedura tutte le strade di dimensioni pari o inferiori, con una statuizione in evidente contrasto con quanto stabilito, anche in attuazione degli obblighi comunitari, dalla disciplina statale.
E, invero, la limitata lunghezza dei percorsi viari esclusi dalla verifica di assoggettabilità non esclude, per ciò solo, la rilevanza di questi ai fini dell’eventuale impatto ambientale, che ben può essere compromesso dalla costruzione di un tratto stradale, ancorché di modeste dimensioni.
3.2.– L’art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, richiamato dal giudice a quo come norma interposta violata, risulta entrato in vigore, insieme a tutta la parte seconda del Codice dell’ambiente, in data 31 luglio 2007.
Ne consegue che l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata deve ritenersi sopravvenuta rispetto al momento della sua originaria entrata in vigore.
In particolare, il contrasto tra la norma del Codice dell’ambiente, espressione della competenza statale in materia di tutela dell’ambiente di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., e la disposizione regionale è insorto, appunto, alla data del 31 luglio 2007.
L’art. 50 del d.lgs. n. 152 del 2006, infatti, stabilendo che «[l]e regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono affinché le disposizioni legislative e regolamentari emanate per adeguare i rispettivi ordinamenti alla parte seconda del presente decreto entrino in vigore entro il termine di centoventi giorni dalla pubblicazione del presente decreto», ha imposto il tempestivo adeguamento degli ordinamenti regionali alla disciplina statale contenuta nella parte seconda del Codice dell’ambiente.
Ciò, allo scopo di consentire che il processo di armonizzazione risultasse già concluso alla data di entrata in vigore della nuova disciplina, fissata, in origine, al compimento del centoventesimo giorno successivo alla pubblicazione del decreto legislativo nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica (così art. 52 del d.lgs. n. 152 del 2006).
In questo senso depone, in modo inequivoco, il testo dell’articolo 52 del d.lgs. n. 152 del 2006 che, nel rinviare al centoventesimo giorno dalla pubblicazione del decreto legislativo la data di entrata in vigore delle disposizioni contenute nella parte seconda, faceva, però, espressamente salvo «quanto disposto dagli articoli 49 e 50», stabilendo, quindi, l’immediata vigenza di queste sole norme.
Pertanto, l’obbligo di adeguamento, a differenza di quanto previsto per le altre disposizioni della parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006, è entrato in vigore immediatamente, alla data del 29 aprile 2006 di scadenza dell’ordinario termine di vacatio legis.
Né, come di seguito chiarito, tale statuizione risulta essere stata modificata in occasione dei successivi rinvii, disposti dal legislatore, dell’entrata in vigore delle norme contenute nella parte seconda del Codice dell’ambiente.
Invero, con una prima disposizione (l’art. 1-septies del decreto-legge 12 maggio 2006, n. 173, recante «Proroga di termini per l’emanazione di atti di natura regolamentare e legislativa», convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2006, n. 228), il legislatore ha provveduto a rinviare al 31 gennaio 2007 la data di entrata in vigore delle dette disposizioni, senza però modificare quanto stabilito dall’art. 50 del d.lgs. n. 152 del 2006.
Successivamente, l’art. 5, comma 2, del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2007, n. 17, nel posticipare ulteriormente al 31 luglio 2007 la data di entrata in vigore delle disposizioni contenute nella parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006 ha espressamente ribadito la salvezza di quanto disposto dall’art. 50 del decreto.
E, cioè, l’immediata vigenza dell’obbligo di adeguamento.
Pertanto, deve ritenersi che il termine assegnato alle Regioni per conformare le rispettive normative alle disposizioni della parte seconda del Codice dell’ambiente fosse già spirato alla data del 31 luglio 2007, che va, quindi, individuata come il momento temporale in cui è insorto il contrasto tra la norma regionale impugnata e il precetto di cui all’art. 23, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 152 del 2006.
Peraltro, in relazione alla norma censurata, la Regione Veneto non si è adoperata per rimuovere la situazione di contrasto neppure successivamente, in occasione della emanazione del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale).
Consegue l’illegittimità costituzionale, sopravvenuta dal 31 luglio 2007, dell’articolo 7, comma 2, della legge della Regione Veneto 26 marzo 1999, n. 10 (Disciplina dei contenuti e delle procedure di valutazione d’impatto ambientale) per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale, a far tempo dal 31 luglio 2007, dell’art. 7 comma 2, della legge della Regione Veneto 26 marzo 1999, n. 10 (Disciplina dei contenuti e delle procedure di valutazione d’impatto ambientale), nella parte in cui esclude dalla procedura di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale le strade extraurbane secondarie di dimensioni pari o inferiori a 5 km.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giulio PROSPERETTI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 ottobre 2017.