SENTENZA N. 201
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Sabino CASSESE Presidente
- Giuseppe TESAURO Giudice
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 33 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Lecco, nel procedimento vertente tra Iardella Maria Teresa e l’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Lecco con ordinanza dell’8 ottobre 2013, iscritta al n. 11 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2014.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 23 giugno 2014 il Giudice relatore Aldo Carosi.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza dell’8 ottobre 2013 la Commissione tributaria provinciale di Lecco ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 33 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione.
1.1.– Il rimettente solleva la questione di legittimità costituzionale della citata disposizione in quanto, prevedendo per i dirigenti ed i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nel settore finanziario un prelievo addizionale con aliquota del dieci per cento sui compensi variabili erogati sotto forma di bonus o di stock options che eccedono l’importo corrispondente alla parte fissa della retribuzione, violerebbe gli artt. 3 e 53 Cost.
Quanto al primo parametro, il prelievo in questione sarebbe irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini, sottoponendo a maggiore tassazione chi svolge le proprie mansioni con una determinata qualifica in uno specifico settore – quello finanziario – e non chi, rivestendo la medesima qualifica, le svolga in un settore economico diverso. In tal modo si introdurrebbe un’ingiustificata discriminazione in violazione del principio di uguaglianza a parità di reddito.
Inoltre, il prelievo addizionale previsto dalla disposizione censurata contrasterebbe altresì con il principio di capacità contributiva espresso dall’art. 53 Cost., presupposto a cui commisurare il concorso di ciascun soggetto alla spesa pubblica.
1.2.– Il giudice a quo riferisce di essere stato adito da un dirigente di un istituto di credito finanziario italiano che, percependo una retribuzione in parte fissa ed in parte variabile sotto forma di bonus e di stock options in ragione dei risultati raggiunti, dopo aver vanamente chiesto all’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Lecco il rimborso di quanto trattenuto ai sensi dell’art. 33 del d.l. n. 78 del 2010 sulla componente retributiva variabile eccedente l’ammontare di quella fissa, ha agito in giudizio, lamentando l’illegittimità costituzionale della norma.
La questione sarebbe rilevante in quanto il citato art. 33 del d.l. n. 78 del 2010 costituirebbe «unico e immediato paradigma normativo di riferimento per l’eventuale riconoscimento del diritto della ricorrente ad ottenere il rimborso di quanto a tale titolo il sostituto d’imposta ha trattenuto e versato all’Erario», a fronte del rigetto dell’istanza avanzata in tal senso all’amministrazione.
2.– Con atto depositato il 4 marzo 2014, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
2.1.– Sotto il primo profilo, l’intervenuto eccepisce l’insufficiente descrizione della fattispecie da parte del rimettente, che, non precisando l’anno di imposta a cui si riferisce il prelievo dedotto in giudizio né se esso sia stato effettuato ai sensi del comma 1 o del comma 2-bis – introdotto solo dall’art. 23, comma 50-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111 – del censurato art. 33, impedirebbe la verifica della rilevanza della questione. Inoltre, la violazione dell’art. 53 Cost. sarebbe affermata in via apodittica, senza indicazione dei motivi di contrasto con la disposizione censurata.
2.2.– Ad avviso della difesa dello Stato, la questione sarebbe comunque infondata nel merito.
La disposizione, infatti, troverebbe la propria giustificazione nelle decisioni assunte in occasione del G20 tenutosi a Pittsburgh nel 2009, che avrebbe individuato tra le cause della crisi che aveva iniziato a colpire l’economia mondiale la mancanza di responsabilità e la disinvoltura del settore bancario e finanziario, alimentate anche dalle prassi retributive ivi operanti, da riformare nel senso di disincentivare la previsione di remunerazioni variabili, legate a logiche speculative di breve periodo piuttosto che all’effettiva produttività.
L’art. 33 del d.l. n. 78 del 2010 rappresenterebbe, dunque, una misura di carattere straordinario per fronteggiare la crisi economica nell’ambito delle indicazioni fornite dal G20; misura che, ben lungi dall’essere arbitraria, risponderebbe ad un criterio di ragionevolezza – arginando, attraverso la disincentivazione delle menzionate tipologie remunerative, gli effetti economici distorsivi da esse potenzialmente indotti – e non sarebbe ingiustamente discriminatoria, riguardando solo i soggetti che, per il ruolo rivestito, potrebbero incidere sull’andamento dei mercati finanziari secondo logiche speculative in funzione della parte variabile del loro compenso. Da ciò conseguirebbe la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.
Inoltre, secondo l’intervenuto, la disposizione non violerebbe nemmeno l’art. 53 Cost., in quanto la percezione di compensi sotto forma di bonus o stock options sarebbe evidente indice di capacità contributiva.
Considerato in diritto
1.– La Commissione tributaria provinciale di Lecco, con ordinanza dell’8 ottobre 2013, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 33 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione.
In particolare, prevedendo per i dirigenti ed i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nel settore finanziario un prelievo addizionale con aliquota del dieci per cento sui compensi variabili erogati sotto forma di bonus o di stock options che eccedono l’importo corrispondente alla parte fissa della retribuzione, la citata disposizione introdurrebbe un’ingiustificata discriminazione tra chi svolge le proprie mansioni con una determinata qualifica in uno specifico settore (quello «finanziario») e chi, rivestendo la medesima qualifica, le svolga in un settore economico diverso; essa inoltre contrasterebbe con il principio di capacità contributiva, presupposto a cui commisurare il concorso di ciascun soggetto alla spesa pubblica.
2.– Preliminarmente, devono essere disattese le eccezioni d’inammissibilità sollevate dall’Avvocatura dello Stato.
Dalla lettura dell’ordinanza di rimessione emerge in maniera evidente come la questione sollevata riguardi l’art. 33 del d.l. n. 78 del 2010 nel testo risultante a seguito dell’integrazione operata dall’art. 23, comma 50-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria) – convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111 – che vi ha aggiunto il comma 2-bis.
Proprio la chiara indicazione della norma impugnata consente di ritenere implicita nella sua censura l’affermazione che la retribuzione variabile in forma di bonus e stock options assoggettata al prelievo addizionale sia stata corrisposta al dirigente in epoca successiva a quella prevista per la sua applicazione, ossia al 17 luglio 2011.
Infine, il rilievo per cui, «in materia tributaria, l’art. 53 Cost. è espressione particolare del principio di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.» (sentenza n. 142 del 2014) rende sufficiente la motivazione addotta a sostegno della violazione di entrambi i parametri costituzionali.
3.– Nel merito la questione non è fondata.
La disposizione prevede che: «1. In dipendenza delle decisioni assunte in sede di G20 e in considerazione degli effetti economici potenzialmente distorsivi propri delle forme di remunerazione operate sotto forma di bonus e stock options, sui compensi a questo titolo, che eccedono il triplo della parte fissa della retribuzione, attribuiti ai dipendenti che rivestono la qualifica di dirigenti nel settore finanziario nonché ai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nello stesso settore è applicata una aliquota addizionale del 10 per cento. 2. L’addizionale è trattenuta dal sostituto d’imposta al momento di erogazione dei suddetti emolumenti e, per l’accertamento, la riscossione, le sanzioni e il contenzioso, è disciplinata dalle ordinarie disposizioni in materia di imposte sul reddito. 2-bis. Per i compensi di cui al comma 1, le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano sull’ammontare che eccede l’importo corrispondente alla parte fissa della retribuzione».
Come risulta dal suo stesso tenore letterale ed emerge anche dai lavori parlamentari, l’art. 33 censurato consegue alle determinazioni del vertice G20 di Pittsburgh del 2009, che, con riguardo ai problemi afferenti alla crisi economica globale, ha individuato, tra le aree critiche su cui incidere al fine di agevolare la stabilità finanziaria, le modalità retributive recanti l’effetto di incentivare l’assunzione di rischi eccessivi.
Il prelievo aggiuntivo di cui alla norma censurata, peraltro, è stato introdotto in un contesto temporale in cui anche le istituzioni dell’Unione europea vagliavano soluzioni normative volte a tener conto del ruolo svolto nella crisi finanziaria da politiche retributive ritenute capaci di incentivare un’assunzione di rischi eccessiva ed imprudente. Tali iniziative sono culminate, in particolare, nell’adozione della direttiva 26 giugno 2013, n. 2013/36/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE), i cui “considerando” da 62 a 69 si occupano proprio delle politiche di remunerazione e dei rischi collegati alle forme retributive variabili.
Alla luce di tali considerazioni emerge chiaramente la ragione che ha indotto il legislatore a prevedere il prelievo addizionale di cui alla disposizione censurata, ossia l’intento – coerente con il coevo atteggiamento manifestatosi a livello internazionale – di scoraggiare modalità remunerative variabili considerate pericolose per la stabilità finanziaria.
La norma, infatti, inasprendo il prelievo fiscale, rappresenta un disincentivo per le prassi retributive che possono avere l’effetto di condurre all’assunzione di rischi eccessivi di breve termine da parte della categoria di contribuenti sottoposta al prelievo. Questi ultimi, in ragione del tasso di professionalità, della autonomia operativa, del potere decisionale di cui godono e dell’aspirazione a maggiori guadagni personali (per il legame tra l’andamento del titolo da un lato ed il riconoscimento e l’ammontare del beneficio correlato a dette forme di compenso dall’altro), sono in grado di porre in essere attività speculative suscettibili di pregiudicare la stabilità finanziaria. Un rischio di questo genere non ricorre per l’attività degli altri contribuenti che vengono retribuiti in modo analogo ma non hanno la stessa possibilità di incidere, con il loro operato, sulla stabilità dei mercati finanziari.
Pertanto, da un lato, la scelta disincentivante del legislatore è tutt’altro che irragionevole o arbitraria e, dall’altro, non è ingiustificata la limitazione al solo «settore finanziario» della platea dei soggetti passivi sottoposti al prelievo addizionale.
Allo stesso modo, non è arbitraria l’individuazione della componente variabile della retribuzione in forma di bonus o stock options – oltre un certo multiplo del compenso fisso – quale fatto espressivo della capacità contributiva, ossia quale indice che esprime l’idoneità del soggetto passivo all’obbligazione tributaria (sentenza n. 304 del 2013).
Alla luce delle considerazioni che precedono l’art. 33 del d.l. n. 78 del 2010 non contrasta con gli artt. 3 e 53 Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 33 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Lecco con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2014.
F.to:
Sabino CASSESE, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2014.