ANNO
2017
Commenti alla decisione di
I. Luca Antonini, La
Corte costituzionale a difesa dell’autonomia finanziaria: il bilancio è un bene
pubblico e l’equilibrio di bilancio non si persegue con tecnicismi contabili
espropriativi, per g.c. della Rivista AIC
II. Francesco Sucameli,
"Patto
di stabilità”, principi costituzionali ed attuazione politica: la legge di
bilancio 2019 e l’art. 9 della l. n. 243/2012 attraverso il prisma della
giurisprudenza del Giudice delle leggi, per g.c.
di Federalismi.it
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI
Presidente
- Giorgio LATTANZI
Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de
PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettere b), ed e), della legge
12 agosto 2016, n. 164 (Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in
materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali),
promossi dalle Province autonome di Bolzano e di Trento, dalle Regioni autonome
Trentino-Alto Adige/Südtirol e
Friuli-Venezia Giulia e dalla Regione Veneto con ricorsi notificati il 27
ottobre-2 novembre (Provincia autonoma di Bolzano), il 28 ottobre (Provincia
autonoma di Trento, Regioni autonome
Trentino-Alto Adige/Südtirol e
Friuli-Venezia Giulia) e il 28 ottobre-2 novembre 2016 (Regione Veneto), depositati in cancelleria, rispettivamente,
il 31 ottobre, il 4 e il 7 novembre 2016 e iscritti ai nn. 68,
69,
70,
71
e 74
del registro ricorsi 2016.
Visti gli atti di costituzione del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’11
ottobre 2017 il Giudice relatore Aldo Carosi;
uditi gli avvocati Renate Von Guggenberg per la Provincia autonoma di Bolzano, Giandomenico
Falcon per la Provincia autonoma di Trento e per le Regioni autonome
Trentino-Alto Adige/Südtirol e
Friuli-Venezia Giulia, Ezio Zanon per la Regione Veneto e l’avvocato dello
Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il
27 ottobre – 2 novembre 2016 e depositato il successivo 31 ottobre (reg. ric.
n. 68 del 2016), la Provincia autonoma di Bolzano ha impugnato, tra gli altri,
l’art. 1, comma 1, lettera b), della
legge 12 agosto 2016, n. 164 (Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243 in
materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali), in
riferimento agli artt. 16, 79, 80, 81, 83, 84 e 104 del d.P.R.
31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol), agli artt. 16, 17 e 18
del decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello Statuto speciale
per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale),
nonché agli artt. 81,
97, secondo comma,
117, terzo comma,
e 119 della
Costituzione.
La ricorrente premette il
contenuto della legge impugnata e, in particolare, dell’art. 1, comma 1,
lettera b), con il quale viene introdotto, nell’art. 9 della legge 24 dicembre
2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di
bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), il comma
1-bis.
Nel delineare il quadro
normativo delle proprie prerogative e competenze, la Provincia autonoma di
Bolzano evidenzia che sia la legge n. 243 del 2012 che la legge oggetto
dell’impugnativa, che la modifica, sarebbero state emanate ai sensi dell’art.
81, sesto comma, Cost., come sostituito dall’art. 1 della legge costituzionale
20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella
Carta costituzionale), che, tra l’altro, demanda a una legge approvata a
maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei
principi definiti con legge costituzionale, l’attuazione del principio del
pareggio di bilancio.
Con la riforma attuata dalla
legge cost. n. 1 del 2012 sarebbe stato, difatti, conferito il valore di
principi costituzionali alle regole relative alla copertura finanziaria delle
leggi ed alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche
amministrazioni, in modo da garantire comunque l’equilibrio tra le entrate e le
spese.
Tuttavia, diverse disposizioni
della legge n. 164 del 2016 presenterebbero profili di contrasto con la
disciplina statutaria in materia di equilibrio dei bilanci e di concorso alla
sostenibilità del debito pubblico da parte della Regione autonoma Trentino-Alto
Adige/Südtirol
e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, oltre a ledere specifiche
competenze della Provincia ricorrente, e comprimerebbero fortemente
l’autonomia, anche finanziaria, concessa alla stessa in forza dello statuto
speciale e delle relative norme di attuazione; essa colliderebbero inoltre con
le leggi costituzionali 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della
parte seconda della Costituzione) e n. 1 del 2012, oltre a contrastare con i
principi di cui agli artt. 3, 81, 97, secondo comma, 117, commi terzo, quinto e
sesto, 119 e 120 Cost., nonché con il «principio pattizio/consensualistico»
e quello della leale collaborazione.
Le norme statutarie, difatti,
attribuirebbero alla Provincia autonoma di Bolzano la potestà legislativa
esclusiva (artt. 8 e 9), e la corrispondente potestà amministrativa, in materia
di finanza locale, nonché il coordinamento della finanza pubblica provinciale
che comprende quella locale (artt. 16, 79, 80 e 81, commi 3 e 4, dello statuto
speciale e artt. 17 e 18 del d.lgs. n. 268 del 1992).
Inoltre, ai sensi dell’art.
54, numeri 2) e 5) dello statuto speciale, spetterebbe alla Giunta provinciale
la deliberazione dei regolamenti sulle materie devolute alla potestà
regolamentare delle Province, nonché la vigilanza e la tutela sulle amministrazioni
comunali, sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, sui consorzi
e sugli altri enti o istituti locali, compresa la facoltà di sospensione e
scioglimento dei loro organi in base alla legge, nonché la nomina di commissari
in detti casi ed in quelli in cui le amministrazioni non sono in grado per
qualsiasi motivo di funzionare.
Detto sistema, fondato sullo
statuto speciale, continua ad operare nonostante la riforma costituzionale del
2001, dal momento che la suddetta riforma non restringe la sfera di autonomia
già spettante alle Province autonome per statuto. L’art. 10 della legge cost.
n. 3 del 2001 stabilisce, difatti, che le disposizioni in essa contenute si
applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome di Trento
e di Bolzano per le sole parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie
rispetto a quelle ad esse già attribuite.
In forza del Titolo VI dello
statuto speciale, la Provincia autonoma di Bolzano godrebbe di una particolare
autonomia in materia finanziaria, rafforzata dalla previsione di un meccanismo
peculiare per la modifica delle disposizioni recate dal medesimo Titolo VI, che
ammette l’intervento del legislatore statale con legge ordinaria solo in
presenza di una preventiva intesa con la Regione autonoma e le Province
autonome, in applicazione dell’art. 104 dello stesso statuto speciale. Con il
cosiddetto "Accordo di Milano” del 30 novembre 2009, la Regione autonoma
Trentino-Alto Adige/Südtirol e le
Province autonome di Trento e di Bolzano hanno concordato con il Governo la
modificazione del Titolo VI dello statuto di autonomia, secondo la menzionata
procedura rinforzata. La predetta intesa avrebbe introdotto, ai sensi dell’art.
2, commi da 106 a 126, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2010)», un nuovo sistema di relazioni finanziarie con lo Stato,
anche in attuazione del processo di riforma in senso federalista contenuto
nella legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo
fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione).
Successivamente sarebbe
intervenuto l’accordo del 15 ottobre 2014, cosiddetto "patto di garanzia”, tra
lo Stato, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di Trento e di Bolzano, il quale
avrebbe portato all’ulteriore modificazione del Titolo VI dello statuto di
autonomia, stipulato secondo la procedura rinforzata prevista dal menzionato
art. 104. Tale ultima intesa, recepita con legge 23 dicembre 2014, n. 190,
recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (legge di stabilità 2015)», avrebbe ulteriormente rinnovato, ai
sensi dell’art. l, commi da 407 a 413, della medesima legge, il sistema di
relazioni finanziarie con lo Stato.
Sarebbe espressamente previsto
che nei confronti della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, delle Province autonome di
Trento e di Bolzano, e degli enti appartenenti al sistema territoriale
regionale integrato, non sarebbero applicabili disposizioni statali che
prevedono obblighi, oneri, accantonamenti, riserve all’erario o concorsi
comunque denominati, ivi inclusi quelli afferenti al patto di stabilità
interno, diversi da quelli previsti dal Titolo VI dello statuto speciale di
autonomia; che sarebbero la Regione e le Province autonome sopra indicate a
provvedere, per sé e per gli enti del sistema territoriale regionale integrato
di rispettiva competenza, alle finalità di coordinamento della finanza pubblica
contenute in specifiche disposizioni statali, adeguando, ai sensi dell’art. 2
del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello
Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti
legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale
di indirizzo e coordinamento), la propria legislazione ai principi dello
statuto di autonomia, nelle materie individuate dal medesimo statuto; che,
conseguentemente, dovrebbero essere adottate autonome misure di
razionalizzazione e contenimento della spesa, anche orientate alla riduzione
del debito pubblico, idonee ad assicurare il rispetto delle dinamiche della
spesa aggregata delle amministrazioni pubbliche del territorio nazionale, in
coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, e, per converso, non dovrebbero
essere applicate le misure adottate per le Regioni e per gli altri enti nel
restante territorio nazionale.
In particolare, l’art. 79
dello statuto speciale, nel definire i termini e le modalità del concorso, da
parte del sistema territoriale regionale integrato – costituito dalla Regione,
dalle Province autonome e dagli enti locali, dai propri enti e organismi
strumentali pubblici e privati e da quelli degli enti locali, dalle aziende
sanitarie, dalle università, incluse quelle non statali di cui all’art. 17,
comma 120, della legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per lo
snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di
controllo), dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e
dagli altri enti od organismi a ordinamento regionale o provinciale finanziati
dalle stesse in via ordinaria − al conseguimento degli obiettivi di
finanza pubblica, di perequazione e di solidarietà e all’esercizio dei diritti
e dei doveri dagli stessi derivanti, nonché all’osservanza dei vincoli
economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea,
stabilirebbe che detto concorso avvenga nel rispetto dell’equilibrio dei
relativi bilanci ai sensi della legge n. 243 del 2012, con la precisazione che
tali misure possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista
dall’art. l04 dello stesso statuto speciale, e che fino alla loro eventuale
modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica
(comma 2). Fermo restando il coordinamento della finanza pubblica da parte
dello Stato ai sensi dell’art. 117 Cost., il comma 3 dell’art. 79 indicato
stabilirebbe inoltre che sono le Province autonome a provvedere al coordinamento
della finanza pubblica provinciale, nei confronti degli enti del loro
territorio facenti parte del sistema territoriale regionale integrato; e che,
al fine di conseguire gli obiettivi in termini di saldo netto da finanziare
previsti in capo alla Regione autonoma e alle Province autonome ai sensi dello
stesso articolo, spetterebbe a queste ultime definire i concorsi e gli obblighi
nei confronti degli enti del sistema territoriale integrato di rispettiva
competenza; che sarebbero sempre le Province autonome a vigilare sul
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti del
sistema territoriale integrato di rispettiva competenza; e che, ai soli fini
del monitoraggio dei saldi di finanza pubblica, comunicherebbero al Ministero dell’economia
e delle finanze gli obiettivi fissati e i risultati conseguiti.
L’art. 80, comma 1, del
medesimo statuto speciale, da ultimo sostituito dall’art. 1, comma 518, della
legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)»,
attribuirebbe, poi, alle Province autonome la potestà legislativa primaria,
anziché concorrente, in materia di finanza locale, potestà da esercitarsi,
secondo il comma 4, nel rispetto dell’art. 4 dello stesso statuto e dei vincoli
derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.
L’art. 81, comma 2, dello
statuto speciale prevedrebbe inoltre che, allo scopo di adeguare le finanze dei
Comuni al raggiungimento delle finalità ed all’esercizio delle funzioni
stabilite dalle leggi, le Province autonome corrispondono ai Comuni stessi
idonei mezzi finanziari da concordare tra il Presidente della relativa
Provincia autonoma ed una rappresentanza unitaria dei rispettivi Comuni.
Infine, l’art. 83 del medesimo
statuto prevedrebbe che la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, le Province autonome di Trento
e di Bolzano ed i Comuni hanno un proprio bilancio per l’esercizio finanziario
e che la medesima Regione e le medesime Province adeguano la propria normativa
alla legislazione dello Stato in materia di armonizzazione dei bilanci
pubblici. Nella normativa di attuazione statutaria, alle Province autonome
sarebbe attribuita la potestà di emanare norme in materia di bilanci, di
rendiconti, di amministrazione del patrimonio e di contratti delle medesime e
degli enti da esse dipendenti (art. 16 del d.lgs. n. 268 del 1992); dette norme
di attuazione conterrebbero inoltre specifiche disposizioni per quanto attiene
all’attribuzione e all’esercizio delle funzioni in materia di finanza locale da
parte delle Province autonome (artt. 17, 18, e 19).
Nel contesto normativo così
descritto, si collocherebbe il regime dei rapporti finanziari tra Stato e
autonomie speciali, dominato dal principio dell’accordo e dal principio di
consensualità (sono richiamate, da ultimo, le sentenze n. 28 del
2016 e n.
133 del 2010, nonché le sentenze n. 82 del 2007, n. 353 del 2004,
n. 98 del 2000
e n. 39 del 1984),
definito, per quanto riguarda la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di
Trento e di Bolzano, dagli artt. 103, 104 e 107 dello statuto di autonomia.
La ricorrente ha, infine,
richiamato gli artt. 2, 3 e 4 del d.lgs. n. 266 del 1992 che disciplinano,
rispettivamente, i rapporti tra atti legislativi statali e leggi regionali e
provinciali, la potestà statale di indirizzo e coordinamento e l’attribuzione
di funzioni amministrative ad organi statali.
1.1.– Ciò premesso,
nell’ambito delle norme che definiscono l’equilibrio dei bilanci, ai fini
dell’applicazione del nuovo obiettivo di saldo non negativo in termini di
competenza, l’art. 1, comma 1, lettera b),
della legge n. 164 del 2016, che introduce nell’art. 9 della legge n. 243 del
2012 il comma 1-bis, identifica le
entrate finali come quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di
bilancio previsto dal d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di
armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni,
degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della
legge 5 maggio 2009, n. 42), e le spese finali come quelle ascrivibili ai
titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema di bilancio; inoltre esso prevederebbe, per
gli anni 2017-2019, l’introduzione del fondo pluriennale vincolato di entrata e
di spesa, con la legge di bilancio, compatibilmente con gli obiettivi di
finanza pubblica e su base triennale; nonché, a decorrere dall’esercizio 2020,
l’inclusione del medesimo fondo, finanziato dalle entrate finali, tra le
entrate e le spese finali.
A tale riguardo, argomenta la
Provincia ricorrente, la legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
stabilità 2016)» aveva già previsto il fondo pluriennale vincolato
limitatamente all’anno 2016 (art. 1, comma 711, secondo periodo), con
conseguente esclusione per gli anni successivi.
La disposizione impugnata
consente, invece, anche per il triennio 2017-2019 l’inclusione del fondo
pluriennale vincolato, subordinandone tuttavia la possibilità alle previsioni
della legge di bilancio ed alla sua compatibilità con gli obiettivi di finanza
pubblica.
Peraltro, la nuova
formulazione non sarebbe risolutiva della questione di legittimità
costituzionale già sollevata dalla medesima Provincia autonoma avverso il predetto comma 711 dell’art. 1 della legge di stabilità
2016.
Premesse le motivazioni che
avevano reso necessario impugnare con altro ricorso pendente presso la Corte,
tra gli altri, l’evocato art. 1, comma 709, della legge di stabilità 2016 ‒
che prescrive anche alle Province autonome il rispetto di tutte le disposizioni
contenute nei commi da 707 a 734 della stessa legge, anziché solamente dei
principi desumibili dai predetti commi, nonché delle disposizioni che si
riferiscono espressamente alle province autonome (contenute nei commi 723,
lettera a, terzo periodo, e 730) −
nonché il comma 711, secondo periodo – il quale, limitatamente all’anno 2016,
considera nelle entrate e nelle spese finali in termini di competenza il fondo
pluriennale vincolato –; e tenuto conto di esse, la Provincia ricorrente svolge
le seguenti osservazioni.
Il fondo pluriennale vincolato
è una posta di bilancio introdotta dalla nuova disciplina in materia di
armonizzazione dei sistemi contabili di cui al d.lgs. n. 118 del 2011, che
trova applicazione anche nella Provincia autonoma di Bolzano nel 2016. Esso
rappresenta lo strumento per reimputare su esercizi
successivi spese già impegnate ma non ancora giunte a scadenza. Trattandosi di spese già impegnate su
esercizi precedenti, esse risultano finanziariamente già coperte con le entrate
di detti esercizi, anche in considerazione del fatto che il bilancio della
Provincia autonoma di Bolzano è sempre stato approvato in equilibrio.
L’introduzione di restrizioni
all’utilizzo del fondo pluriennale vincolato per il periodo 2017-2019, nonché
la possibilità, dal 2020, di iscrivere il fondo pluriennale vincolato di
entrata e di spesa solo per la parte finanziata da entrate finali, si
sostanzierebbe nella limitazione o nella impossibilità, a decorrere dal 2017,
di utilizzare fondi già destinati negli esercizi precedenti al finanziamento di
spese oggetto di riprogrammazione, con conseguente necessità di utilizzare a
loro copertura nuove entrate dell’anno sul quale vengono riprogrammate le
spese, che diversamente avrebbero potuto essere altrimenti impiegate per nuovi
interventi.
Sarebbe dunque evidente che
attraverso un meccanismo contabile si concretizza una violazione dei principi
di autonomia finanziaria e di bilancio contenuti nel Titolo VI dello statuto
speciale e, in particolare, del principio di autonomia finanziaria dal lato
della spesa.
Questo principio,
espressamente enunciato dall’art. 119, primo comma, Cost., è implicito nello
statuto di autonomia, dal momento che le risorse di cui agli artt. 69 e
seguenti di detto statuto sono assegnate alle Province autonome, senza vincolo
di destinazione, per far fronte alle funzioni alla stessa attribuite, e in cui
le limitazioni possibili sono esaustivamente disciplinate dal successivo art.
79.
Risulterebbero inoltre violati
i principi statutari che riconoscono una particolare autonomia di bilancio
(artt. 83 e 84) e la normativa di attuazione statutaria che attribuisce alle
Province autonome la potestà di emanare norme in materia di bilanci, di rendiconti,
di amministrazione del patrimonio e di contratti (art. 16 del d.lgs. n. 268 del
1992).
Per quanto attiene inoltre al
rapporto tra la Provincia autonoma di Bolzano e gli enti locali, la nuova
previsione statale incide anche sulla potestà legislativa esclusiva e sulla
corrispondente potestà amministrativa, in materia di finanza locale; nonché
interferisce con la funzione attribuita alla medesima di coordinamento della
finanza pubblica provinciale, che comprende la finanza locale (artt. 16, 79, 80
e 81 dello statuto speciale; artt. 17 e 18 del d.lgs. n. 268 del 1992).
Peraltro, la norma censurata
approvata con legge rinforzata, contiene una previsione che rinvia ad una
successiva legge ordinaria (legge di bilancio per gli anni dal 2017 al 2019),
che non richiederebbe una maggioranza qualificata per essere approvata, in
violazione dell’art. 81 Cost. e della legge cost. n. 1 del 2012.
Risulterebbe infine leso il
principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97, comma
secondo, Cost., in quanto verrebbe preclusa la realizzazione dei programmi di
investimento per i quali i fondi vengono accantonati nel fondo vincolato di
entrata.
2.− Con
memoria depositata il 9 dicembre 2016, il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è
costituito nel presente giudizio, concludendo per il rigetto del ricorso.
2.1.− Con
specifico riferimento all’art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164 del 2016,
l’Avvocatura generale dello Stato chiarisce che, nello specificare al primo
periodo quali sono le entrate finali e le spese finali che rientrano nel
computo del saldo di finanza pubblica indicato nell’art. 9, comma 1, della
legge n. 243 del 2012, la norma censurata prevederebbe una iniziale fase transitoria
per gli anni 2017-2019, durante la quale spetta alla legge di bilancio disporre
l’introduzione del fondo pluriennale vincolato nel calcolo del citato saldo,
compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica e su base triennale. A
decorrere dall’esercizio finanziario 2020 è prevista quindi l’inclusione
strutturale nel saldo di finanza pubblica del fondo pluriennale vincolato di
entrata e di spesa.
Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, il testo originario
dell’art. 9, comma l, della legge 243 del 2012 – in base al quale i bilanci
delle Regioni, dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane e delle
Province autonome di Trento e di Bolzano si considerano in equilibrio quando,
sia nella fase di previsione che di rendiconto, registrano: a) un saldo non
negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate finali e le spese
finali; b) un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le
entrate correnti e le spese correnti, incluse le quote di capitale delle rate
di ammortamento dei prestiti – delineava un sistema di vincoli di finanza
pubblica più stringente di quello risultante a seguito della norma impugnata,
in quanto non comprendeva l’utilizzo del fondo pluriennale vincolato tra le
voci di entrata e di spesa che costituivano l’equilibrio di bilancio.
Con l’Accordo sottoscritto il 15 ottobre 2014 fra il Governo, la Regione
autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol
e le Province autonome di Trento e di Bolzano, recepito dall’art. l, comma 407,
della legge n. 190 del 2014, i suddetti enti si sono impegnati a conseguire il
riequilibrio di bilancio previsto dall’art. 9 della legge n. 243 del 2012,
recepito mediante la modifica dell’art. 79 del d.P.R. n. 670 del 1972. Per
effetto di detta modifica, il comma 4-quater
dell’art. 79 dello statuto di autonomia dispone, infatti, che, a decorrere dal
2016, la Regione autonoma e le Province autonome conseguono il pareggio di
bilancio come definito dall’art. 9 citato.
Il medesimo comma 407 ha introdotto il comma 4-octies nell’art. 79 dello statuto speciale che ha obbligato la
Regione e le Province autonome «a recepire con propria legge da emanare entro
il 31 dicembre 2014, mediante rinvio formale recettizio, le disposizioni in
materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio
delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi, previste dal decreto
legislativo 23 giugno 2011, n. 118», che disciplina anche il fondo pluriennale.
Sarebbe pertanto evidente come la normativa impugnata, semplificando la
definizione di equilibrio di bilancio e consentendo l’utilizzo del fondo
pluriennale vincolato, abbia reso il sistema dei vincoli di finanza pubblica
più favorevole agli enti territoriali.
2.2.− Peraltro, con riferimento alla disciplina transitoria per il
triennio 2017-2019, andrebbe evidenziato che la legge n. 243 del 2012, allo
scopo di attuare il principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81,
sesto comma, Cost., detta disposizioni programmatiche e di principio che, per
loro natura, non incidono in maniera diretta sulle situazioni giuridiche
soggettive, essendo a tal fine richiesta l’intermediazione di una successiva
norma per la regolazione degli aspetti finanziari ed operativi direttamente
connessi alla loro applicazione. Al momento della stesura della legge
impugnata, tra l’altro, non si disponeva di elementi informativi puntuali che
consentissero di valutare il reale impatto sulla finanza pubblica, in termini
di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni, dell’inserimento a
regime del fondo pluriennale vincolato negli equilibri di bilancio; pertanto il
rinvio alla legge di bilancio deve essere interpretato, sul piano sostanziale,
come impegno del legislatore a individuare la copertura di detto fondo nel
triennio 2017-2019, fermo restando l’inserimento di tale strumento contabile ai
fini del pareggio di bilancio, mentre, sul piano formale, è stato necessario,
in un’ottica prudenziale, provvedere a rinviare alla legge di bilancio
2017-2019 la gestione del periodo transitorio nel quale si sarebbero potuti
valutare e coprire gli effetti dell’inclusione del fondo in parola negli
equilibri di bilancio.
In particolare, al fine di valutare in concreto gli effetti sui saldi di
finanza pubblica della predetta inclusione e di provvedere alla relativa copertura,
si sarebbe reso necessario acquisire sia i dati definitivi del monitoraggio
degli andamenti di finanza pubblica di cui all’art.1, comma 719, della legge n.
208 del 2015, che i dati del monitoraggio degli andamenti dei bandi di gara
completi delle informazioni riferite allo sviluppo teorico delle opere (stato
di avanzamento dei lavori) e degli andamenti delle entrate finali:
l’acquisizione di tali informazioni, avvenuta solo a decorrere del mese di
agosto 2016, avrebbe difatti consentito di avere un quadro più preciso della
operatività del fondo pluriennale vincolato e delle dinamiche del comportamento
aggregato degli enti.
Alla luce delle precedenti considerazioni, sarebbe ragionevole, secondo il
Presidente del Consiglio dei ministri, che l’interazione di tali fattori e il
loro bilanciamento trovino composizione con la legge di bilancio che provvede a
recepirne gli effetti coordinandoli con gli obiettivi di finanza pubblica, in
funzione del rispetto degli impegni assunti in sede comunitaria.
2.3.− Tanto premesso, andrebbe ancora
valutata l’ammissibilità del ricorso in considerazione dell’impatto,
asseritamente peggiorativo, sul regime previgente.
In realtà, come dianzi illustrato, il vincolo del pareggio di bilancio,
secondo la precedente versione dell’art. 9, richiamata nello statuto speciale,
oltre ad essere più complesso (prevedendo, come illustrato, obblighi di
pareggio anche in termini di cassa e in termini di saldo corrente), sarebbe
stato più stringente rispetto a quello risultante in seguito alla modifica
operata con la norma impugnata, dal momento che l’inclusione del fondo
pluriennale vincolato tra gli aggregati rilevanti ai fini dell’unico saldo
finale di competenza – operata con legge di bilancio per il primo triennio di
applicazione della legge n. 243 del 2012, stante la necessità di rinvenire
idonea copertura finanziaria; e a regime a decorrere dal 2020 − favorisce
la programmazione degli investimenti e, in generale, la gestione di tutte le
spese a valenza pluriennale.
Peraltro, andrebbe considerato che il disegno di legge di bilancio 2017
prevedrebbe, per il triennio 2017-2019, la copertura finanziaria degli effetti
connessi all’inserimento del fondo, di entrata e di spesa, al netto della quota
riveniente da indebitamento, ai fini della determinazione dell’equilibrio
finale di competenza di cui all’art. 9 della legge n. 243 del 2012. Inoltre,
specificatamente per la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e per le Province autonome di
Trento e Bolzano, il medesimo disegno di legge di bilancio prevede che il
predetto fondo, come sopra determinato, rilevi anche ai fini della
determinazione del saldo di competenza mista «eurocompatibile» di cui all’art. l, commi 454 e
seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità
2013», tenuto conto che per gli anni 2017 e 2018, per i predetti enti,
permangono i vincoli del patto di stabilità interno (ed il correlato regime
sanzionatorio) in attuazione del citato Accordo sottoscritto con lo Stato il 5
ottobre 2014.
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, tali circostanze
determinerebbero la cessazione della materia del contendere una volta che la
legge di bilancio per il 2017 entrerà in vigore.
Quanto sin qui esposto, inoltre, determinerebbe l’inammissibilità del
ricorso, per assenza del requisito della necessaria lesività della norma
impugnata.
2.4.− Infine, riguardo alla lamentata violazione dei principi di
autonomia finanziaria e di bilancio contenuti nello statuto speciale (ed, in
particolare, del principio di autonomia finanziaria dal lato della spesa),
l’Avvocatura generale dello Stato evidenzia che la sentenza n. 88 del
2014 ha affermato la legittimità costituzionale delle norme che limitano i
margini di manovra finanziaria degli enti territoriali, ivi comprese le
autonomie speciali, in attuazione delle disposizioni costituzionali sul
principio di equilibrio di bilancio e sulle relative norme attuative
esplicitate nella legge n. 243 del 2012, proprio in forza del diretto legame
tra legge rinforzata e legge cost. n. 1 del 2012.
L’introduzione nella Costituzione del principio dell’equilibrio di bilancio
rappresenterebbe difatti lo strumento per assicurare, tenendo conto
dell’andamento ciclico dell’economia, il pareggio del conto economico delle
pubbliche amministrazioni, rilevante al fine del rispetto dei livelli di
indebitamento e di debito pubblico indicati dal Patto di stabilità e crescita
in attuazione dell’ordinamento comunitario.
Detta riforma − che impone vincoli non solo allo Stato, ma anche a
tutte le pubbliche amministrazioni che concorrono al bilancio consolidato, nel
rispetto degli impegni assunti in sede sovranazionale − poggia pertanto
anche sui principi di solidarietà e di uguaglianza nonché sugli artt. 5, 11,
117, primo comma, 119 e 120 Cost.
3.− Con distinti
ricorsi, notificati il 28 ottobre 2016 e depositati il successivo 4 novembre,
anche la Provincia autonoma di Trento (r. ric. n. 69 del 2016) e la Regione
autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol (r. ric. n. 70 del
2016), hanno impugnato, tra gli altri, l’art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164 del 2016.
La Provincia
autonoma di Trento ha dedotto la violazione degli
artt. 8, 16, 79, 104, dello statuto
speciale nonché degli artt. 3, 97, secondo comma, 117, terzo comma, 119, 120 Cost., anche in combinato disposto con l’art.
10 della legge
cost. 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della
Costituzione).
La Regione autonoma
Trentino-Alto Adige ha, a sua volta, dedotto la lesione degli artt. 4, 16, 79 e
84 dello statuto
speciale, nonché degli artt. 3, 97, secondo comma, 117, terzo comma, 119 e 120, anche in
combinato disposto con l’art. 10 della legge
cost. n. 3 del 2001.
Premesso il contenuto della
legge impugnata e, in particolare, della disposizione in esame, le ricorrenti
precisano di censurarne esclusivamente il secondo e terzo periodo, nella parte
in cui pongono limiti temporali, procedurali e materiali per l’utilizzo del
fondo pluriennale di bilancio con motivazioni analoghe a quelle svolte nel
ricorso della Provincia autonoma di Bolzano.
Rammentano, a riguardo, che il
fondo pluriennale vincolato è una posta di bilancio che è stata introdotta in
esecuzione dei principi statali di armonizzazione dei bilanci pubblici dettati
dal d.lgs. n. 118 del 2011 ed è costituito da risorse già accertate e già
impegnate in esercizi precedenti, ma destinate al finanziamento di obbligazioni
passive dell’ente che diventeranno esigibili in esercizi successivi a quello in
cui è accertata l’entrata: esso, dunque, rappresenta un saldo finanziario a
garanzia della copertura di spese imputate ad esercizi successivi a quello in
corso e configura lo strumento tecnico per ricollocare su tali esercizi spese già
impegnate, relativamente alle quali sussiste un’obbligazione giuridicamente
perfezionata (e quindi un vincolo ad effettuare i relativi pagamenti), che,
tuttavia, giungeranno a scadenza negli esercizi sui quali vengono reimputate le spese. Tale reimputazione
sarebbe obbligatoria ai sensi del d.lgs. n. 118 del 2011.
Trattandosi di spese già
impegnate su esercizi precedenti, esse risulterebbero finanziariamente già
coperte con le entrate di detti esercizi. Al riguardo, andrebbe tenuto conto
anche del fatto che, in particolare, il bilancio della Provincia autonoma di
Trento è sempre stato approvato in equilibrio.
Proprio per questa ragione, le
regole dell’armonizzazione prevederebbero che l’operazione di reimputazione delle spese sia accompagnata da quella delle
relative entrate sui medesimi esercizi finanziari attraverso il fondo
pluriennale, alimentato con le risorse degli anni in cui erano state impegnate
le spese.
Già la legge n. 208 del 2015,
ad avviso della ricorrente, aveva previsto il fondo pluriennale vincolato
limitatamente all’anno 2016 (art. 1, comma 711, secondo periodo), con
conseguente esclusione per gli anni successivi: tale esclusione è stata
impugnata dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso iscritto al n. 20
del 2016.
La nuova norma consente ora
anche per il triennio 2017-2019 l’inclusione del fondo pluriennale vincolato ai
fini dell’equilibrio di bilancio, subordinando però questa eventualità a
successive previsioni della legge di bilancio, e dunque ad una decisione
unilaterale dello Stato, e comunque alla sua compatibilità con gli obiettivi di
finanza pubblica. A partire dall’esercizio 2020, la norma impugnata consente
l’inclusione di tale fondo tra le entrate e le spese finali, ma solo nella
parte in cui il fondo è finanziato con le entrate finali.
Tali limitazioni si
tradurrebbero nel condizionamento della possibilità di utilizzare i fondi già
destinati negli esercizi precedenti al finanziamento delle spese programmate, e
ciò determinerebbe, secondo la ricorrente, la necessità che per la copertura di
tali spese debbano essere utilizzate nuove entrate dell’anno sul quale vengono
sostenute le spese: nuove entrate che diversamente avrebbero potuto essere
impiegate per diversi interventi.
Dette restrizioni, a partire
dal 2017, determinerebbero un congelamento delle risorse pur disponibili, la
cui utilizzazione era già stata programmata, al di fuori delle limitazioni
imposte dalla regola del saldo non negativo di cui all’art. 9 della legge n.
243 del 2012, comportando innanzitutto una lesione della autonomia finanziaria della Provincia autonoma e della
Regione autonoma ricorrente sul versante della spesa.
Tale principio sarebbe,
difatti, immanente nello statuto speciale, dal momento che le risorse di cui
agli artt. 70 e seguenti sono attribuite alla Regione autonoma e alle Province
autonome per far fronte alle funzioni loro assegnate e le possibili limitazioni
sono disciplinate esclusivamente dal successivo art. 79. In ogni caso,
l’autonomia sul versante della spesa è espressamente enunciata dall’art. 119,
primo comma, Cost., che viene in rilievo nel presente giudizio in combinazione
con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, in quanto più favorevole.
D’altronde, la disposizione in
esame non potrebbe essere giustificata dalle esigenze dell’equilibrio di
bilancio.
Infatti, sebbene il medesimo
art. 119, primo comma, Cost., faccia salvo il «rispetto dell’equilibrio dei
relativi bilanci» e impegni le Regioni a concorrere «ad assicurare l’osservanza
dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione
europea», detti valori non sono messi a rischio dall’utilizzo delle proprie
risorse programmate per le spese pluriennali.
Al contrario, sarebbe proprio
la limitazione all’utilizzazione del fondo appositamente programmato per spese
già impegnate, e che diventeranno esigibili negli esercizi successivi, a
determinare un rischio per l’equilibrio del bilancio, giacché tale ostacolo
comporterebbe la necessità di trovare altrove una copertura per tali spese,
corrispondente ad obbligazioni giuridicamente vincolanti già assunte.
Sotto tale profilo,
risulterebbe poi violato il principio di buon andamento dell’amministrazione di
cui all’art. 97, secondo comma, Cost., in quanto, se non si rinvenisse anno per
anno una nuova idonea copertura per le obbligazioni già assunte, verrebbe
preclusa la realizzazione dei programmi di investimento per i quali i fondi
sono accantonati nel fondo vincolato di entrata.
Parimenti leso sarebbe il
principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3, primo comma, Cost., dal momento
che le ricorrenti − che pur disporrebbero delle risorse necessarie al
finanziamento di un investimento pluriennale – non potrebbero avere la certezza
di poterlo onorare negli anni successivi, poiché è loro precluso contare sulle
somme appositamente accantonate; la Provincia autonoma, inoltre, sarebbe
indotta, in virtù di una disposizione legislativa, a rendersi inadempiente a
fronte di obbligazioni legittimamente assunte e in origine dotate di piena
copertura finanziaria.
Sarebbe inoltre evidente la
ridondanza di tale violazione sull’esercizio di competenze costituzionalmente
riservate alla Regione autonoma e alla Provincia autonoma ricorrenti come, ad
esempio, le funzioni legislative ed amministrative che richiedono l’adozione di
programmi di spesa, quali, per la Provincia autonoma: a) tra le competenze
primarie, (art. 8, numeri 10, 17, 19, 25, 26, 27, 28 e art. 16, o se più
favorevoli le analoghe competenze residuali ex
art. 117, quarto comma, Cost., in combinazione con l’art. 10 della legge cost.
n. 3 del 2001), l’edilizia pubblica; la viabilità, acquedotti e lavori pubblici
di interesse provinciali; l’assunzione diretta di servizi pubblici e loro
gestione a mezzo di aziende speciali; l’assistenza e beneficenza pubblica; la
scuola materna e l’assistenza scolastica; l’edilizia scolastica; b) per le
competenze legislative concorrenti, l’igiene e sanità (o, se più favorevole, la
tutela della salute ex art.117, terzo
comma, Cost., combinato con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001); per la
Regione autonoma: a) tra le competenze primarie (artt. 4, numeri 1,4,6,10 e,
per le competenze amministrative, art. 16 dello statuto speciale), il personale
regionale, le espropriazioni per pubblica utilità non riguardanti opere a
carico prevalente e diretto dello Stato o materie di competenza provinciale, i
servizi antincendi, i contributi di miglioria in relazione ad opere pubbliche
eseguite dagli altri enti pubblici compresi nell’ambito del territorio
regionale; b) tra le competenze integrative (art. 6 dello statuto speciale), la
previdenza e le assicurazioni sociali.
Peraltro, ad avviso delle
ricorrenti, tali limitazioni alla computabilità del fondo pluriennale vincolato
sarebbero incostituzionali anche laddove dovessero ritenersi funzionali e
strumentali alla sostenibilità del debito pubblico, sia sulla base dei
parametri costituzionali (art. 5, comma 2, lettera c, della legge cost. n. 1
del 2012; principi di eguaglianza, ragionevolezza e leale collaborazione), sia
di quelli statutari.
4.‒ Con memorie depositate il 7 dicembre 2016, il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, si è costituito svolgendo le
medesime argomentazioni di cui al ricorso n. 68 del 2016.
5.− Con ricorso notificato il 28 ottobre
2016 e depositato il 4 novembre 2016, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
ha impugnato il medesimo art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164 del 2016, per violazione degli artt. 4, 8,
48, 49, 51, 63 e 65 dello statuto speciale approvato con legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia) nonché delle relative norme
di attuazione; degli artt. 3, 81, 97, primo comma, 117, terzo e quarto
comma, e 119,
primo, secondo e sesto comma, Cost., anche in riferimento all’art. 10 della
legge
cost. n. 3 del 2001; nonché dell’art. 5, comma 2, lettera c) della legge
cost. n. 1 del 2012.
5.1.− Dopo aver premesso
il contenuto della legge censurata e, in particolare, dell’art. 1, comma 1,
lettera b), della legge n. 164 del
2016, che ha introdotto l’art. 9, comma 1-bis,
della legge n. 243 del 2012, la Regione autonoma ne impugna, innanzitutto il
primo periodo.
Esso individua, ai fini
dell’equilibrio di bilancio, le entrate finali come quelle ascrivibili ai
titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio previsto dal d.lgs. n.118 del
2011, vale a dire le entrate correnti di natura tributaria, contributiva e
perequativa (Titolo 1); trasferimenti correnti (Titolo 2); entrate
extratributarie (Titolo 3); entrate in conto capitale (Titolo 4); entrate da
riduzione di attività finanziarie (Titolo 5).
La ricorrente osserva che tra
le entrate finali che possono essere prese in considerazione ai fini
dell’equilibrio di bilancio non è menzionato l’eventuale avanzo dell’esercizio
precedente.
L’omessa menzione di tale
posta di bilancio è oggetto della odierna impugnazione.
La Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia dubita, difatti, che la mancata espressa menzione
dell’eventuale avanzo di amministrazione possa essere intesa nel senso di
divieto di utilizzazione, nel calcolo del bilancio in equilibrio, dell’avanzo
di amministrazione dell’esercizio precedente. Tale ipotesi interpretativa
potrebbe ritenersi confermata, sul piano sistematico, da quanto dispone l’art.
2, comma 1, lettera a), della
medesima legge n. 164 del 2015 – parimenti impugnato dalla ricorrente con
diversa censura – che parrebbe consentire l’utilizzo degli avanzi di
amministrazione soltanto sulla base di intese concluse in ambito regionale.
Nel caso venisse fornita
un’interpretazione in tal senso, la Regione ricorrente lamenta ingenti effetti
negativi, dal momento che essa vanta la presenza di grandi gruppi societari e,
di conseguenza, un’estrema variabilità dell’entrate, costituite,
principalmente, dalla compartecipazione ai tributi erariali.
Detta variabilità non sarebbe
prevedibile dalla Regione, né programmabile ex
ante, dal momento che essa ha contezza della entità della compartecipazione
di sua spettanza solo a versamento avvenuto, secondo quanto previsto dalle
norme di attuazione dello statuto speciale.
La combinazione delle regole
costituzionali sulla finanza regionale con la particolare composizione dei
soggetti passivi d’imposta, che rende mutevole la massa imponibile, e con i
meccanismi di trasmissioni dei dati normativamente previsti comporta la
fisiologica formazione di avanzi di bilancio (o disavanzi), i quali dovrebbero
trovare la necessaria corrispondenza tra le voci di entrata dell’anno seguente
utili ai fini del pareggio di bilancio. Diversamente, la disposizione sarebbe,
ad avviso della Regione ricorrente, lesiva della propria autonomia finanziaria
ed illegittima sotto diversi profili.
In primo luogo, l’avanzo di
amministrazione dell’esercizio precedente, una volta che sia stato accertato e
rappresentato nei rendiconti, costituisce un elemento patrimoniale della
Regione autonoma, che la norma impugnata renderebbe indisponibile − se
non e alle condizioni di cui all’art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 164 del 2016, oggetto di separata impugnazione −
generando una situazione equivalente alla sottrazione materiale di risorse,
analoga alla previsione di una riserva all’erario o di un accantonamento di
entrata a valere sulle quote di tributi erariali di spettanza regionale.
La disposizione sarebbe dunque
lesiva delle norme dello statuto speciale nelle quali è fondata la sua
autonomia finanziaria, e dunque delle norme contenute nel Titolo IV, e, in
particolare, dell’art. 48, che costruisce la finanza dell’ente come una finanza
propria della Regione autonoma; dell’art. 49, che attribuisce alla Regione
autonoma quote dei tributi erariali; dell’art. 51, che individua le altre
entrate della Regione autonoma; dell’art. 63, ultimo comma, che consente
modifiche alle norme predette solo con il procedimento negoziato ivi previsto.
Sarebbero inoltre violate
anche le corrispondenti norme sull’autonomia finanziaria e patrimoniale della
Regione autonoma contenute nell’art. 119, commi primo, secondo e sesto, Cost.,
anche in combinazione con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, ove più
favorevole.
La sottrazione materiale di
risorse risulterebbe lesiva anche del principio dell’accordo, in applicazione
del metodo pattizio che regola i rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia: principio sotteso agli artt. 63 e 65 (in
tema di procedura negoziata per l’approvazione delle norme di attuazione) dello
statuto speciale, nonché alle norme di attuazione contenute nel d.P.R. 23
gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale), nel decreto legislativo
2 gennaio 1997, n. 8 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione
Friuli-Venezia Giulia recanti modifiche ed integrazioni al d.P.R. 23 gennaio
1965, n. 114, concernente la finanza regionale); nel decreto legislativo 31
luglio 2007, n. 137 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale), e ribadito,
con riferimento a tutte le Regioni a statuto speciale, dall’art. 27 della legge
n. 42 del 2009.
D’altro canto, la disposizione
impugnata non potrebbe essere nemmeno giustificata con le esigenze della
solidarietà nazionale menzionate dall’art. 48 dello statuto, o con le esigenze
di concorso della Regione autonoma alla sostenibilità del debito del complesso
delle pubbliche amministrazioni, menzionate dagli artt. 81, sesto comma, e 97,
primo comma, Cost., nonché dall’art. 5, comma 2, della legge cost. n. 1 del
2012.
Qualora, difatti, l’avanzo di
amministrazione venisse «sterilizzato» ai fini dell’equilibrio del bilancio
regionale allo scopo di essere poi riversato e contabilizzato nel conto
consolidato delle amministrazioni pubbliche, ai fini della rendicontazione
europea, ciò violerebbe molteplici parametri costituzionali.
Sarebbe violato, anzitutto, il
principio per cui l’equilibrio complessivo deve risultare dalla sommatoria di
bilanci in equilibrio e non dalla somma algebrica di bilanci in disavanzo e
bilanci in attivo: la possibilità di compensazioni, del resto, è consentita
soltanto nei limiti di cui all’art. 10 della legge n. 243 del 2012, in
relazione alle operazioni di investimento.
Tale principio si ricava dagli
artt. 81, primo comma, 119, primo comma, Cost., e 97, primo comma, Cost., che
la Regione autonoma sarebbe legittimata a far valere sia perché l’equilibrio
dei rispettivi bilanci è considerato una sorta di garanzia reciproca che tutti
i livelli di Governo mutuamente si prestano, sia perché la considerazione
dell’equilibrio di bilancio come un equilibrio complessivo, creato anche
attraverso la sterilizzazione degli avanzi di amministrazione, ha un ovvio impatto
sull’autonomia finanziaria della medesima Regione, la quale si vede
impossibilitata ad utilizzare ai fini del pareggio il saldo favorevole
realizzato a consuntivo dell’esercizio precedente.
In secondo luogo, sarebbe
violato anche il principio di veridicità e di trasparenza dei bilanci e di
responsabilità politica per gli stessi, implicito, oltre che nel richiamato
art. 81 Cost., nelle norme statutarie che riservano al Consiglio regionale
l’approvazione dei bilanci (artt. 7 e 25, commi primo e quarto). Ed infatti,
l’organo rappresentativo, che risponde al corpo elettorale, si troverebbe a
dover approvare un bilancio non trasparente e non veritiero, perché l’avanzo
degli esercizi precedenti, pur registrato nelle scritture contabili della
Regione autonoma, non sarebbe utilizzabile ai fini del pareggio di bilancio, ma
imputato al consolidamento dei conti della pubblica amministrazione.
L’elettore verrebbe così
privato della possibilità di comprendere l’effettivo andamento della finanza
regionale e di valutare corrispondentemente l’operato degli amministratori e
dei rappresentanti eletti, in base a quanto già statuito da questa Corte nella sentenza n. 188 del
2016.
In terzo luogo, sarebbe violato
anche il principio sotteso all’art. 5, comma 2, lettera c), della legge costituzionale n. 1 del 2012, che vuole
appositamente regolate le modalità attraverso le quali i Comuni, le Province,
le Città metropolitane, le Regioni e le Province autonome di Trento e di
Bolzano concorrono alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche
amministrazioni, in quanto non potrebbe considerarsi regolazione quello che è
solo un effetto indiretto di una regola contabile, non a caso contenuta in una
disposizione che non si occupa del concorso degli enti territoriali alla
sostenibilità del debito pubblico.
Sotto tale profilo
risulterebbero inoltre violati il principio di ragionevolezza ed il principio
di eguaglianza, poiché la norma produce effetti del tutto casuali e non
correlati da un’autentica "capacità contributiva” dell’ente, dal momento che la
presenza di un avanzo di amministrazione non è di per sé sintomatica di una
situazione finanziaria dell’ente realmente buona, né significa che l’avanzo
possa essere contabilizzato a servizio del debito consolidato delle
amministrazioni pubbliche.
Questo rilievo di
irragionevolezza sarebbe confermato dal fatto che la norma impugnata si pone in
contrasto con la logica interna del sistema delineato dalla legge rinforzata n.
243 del 2012, che configura, all’art. 3, comma 2, il pareggio di bilancio come
un obiettivo di medio termine.
La Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia sarebbe, difatti, ostacolata nel raggiungimento di questo
obiettivo dalla permanente sottrazione alla propria disponibilità delle risorse
che pure statutariamente le spettano, ma che non potrebbe ragionevolmente
riuscire a impiegare nell’anno di riscossione per la struttura stessa del
meccanismo della riscossione.
Sarebbe infine evidente la
ridondanza di detta violazione sull’esercizio di competenze costituzionalmente
riservate alla Regione ricorrente, quali, ad esempio, le funzioni legislative
ed amministrative che richiedono l’approvazione di spese e l’erogazione di
fondi; quali: a) tra le competenze primarie (artt. 4 e 8 dello statuto
speciale, o se più favorevoli le analoghe competenze residuali ex art. 117, quarto comma, Cost., in
combinazione con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001), agricoltura e
foreste, bonifiche, ordinamento delle minime unità culturali e ricomposizione
fondiaria, irrigazione, opere di miglioramento agrario e fondiario, zootecnia,
ittica, economia montana, corpo forestale; viabilità, acquedotti e lavori
pubblici di interesse locale e regionale; turismo e industria alberghiera;
trasporti su funivie e linee automobilistiche, tranviarie e filoviarie, di
interesse regionale; acque minerali e termali; istituzioni culturali,
ricreative e sportive; musei e biblioteche di interesse locale e regionale; b)
per le competenze legislative concorrenti, l’igiene e sanità (o, se più
favorevole, la tutela della salute ex
articoli 117, terzo comma, Cost., in combinazione con l’art. 10 della legge
cost. n. 3 del 2001).
5.2.−
Vengono, inoltre, impugnati il secondo ed il terzo periodo della disposizione
in esame, concernenti la limitazione all’utilizzo del fondo pluriennale
vincolato, con motivazioni analoghe ai precedenti ricorsi.
Riguardo ai
parametri propri della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia è dedotta, in particolare, la violazione
degli artt. 48 (sul carattere proprio della finanza regionale), 49 (sulla
spettanza delle quote di tributi erariali) e 51 (sulle altre entrate regionali)
dello statuto speciale, dal momento che l’attribuzione alla Regione autonoma di
determinate entrate implica che di esse l’ente possa disporne; nonché la
violazione dell’art. 119, primo comma, Cost., che espressamente sancisce
l’autonomia di spesa, invocato in combinazione con l’art. 10 della legge cost.
n. 3 del 2001, se più favorevole.
Quanto alla
ridondanza sull’esercizio di competenze costituzionalmente riservate alla
Regione autonoma, richiamato quanto dedotto al punto che precede, e in
particolare, in relazione alle competenze che normalmente richiedono l’adozione
di programmi di spesa, verrebbero, specificamente, in rilievo le competenze in
materia di viabilità o di lavori pubblici di interesse locale e regionale, di
trasporti di interesse regionale e di sanità.
6.− Con
memoria depositata il 7 dicembre 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito nel presente
giudizio, concludendo per l’inammissibilità o comunque per l’infondatezza del
ricorso.
6.1.− Per quanto concerne specificamente la censura
attinente l’omessa menzione dell’avanzo di amministrazione tra le entrate
finali rilevanti nell’equilibrio di bilancio e nella conseguente impossibilità
di utilizzare il proprio avanzo di amministrazione ai fini del pareggio di
bilancio, rammenta che già il testo originario della legge n. 243 del 2012,
emanata nell’esercizio della delega contenuta nella legge costituzionale n. l
del 2012, avente ad oggetto la declinazione delle «norme fondamentali e i
criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei
bilanci», aveva provveduto ad individuare i saldi rilevanti ai fini
dell’equilibrio di bilancio.
Le voci di bilancio che concorrono alla formazione delle entrate finali e
delle spese finali risultano dagli schemi di contabilità regionale previsti dal
d.lgs. n. 118 del 2011; in particolare gli allegati 9 e 10 di tale decreto
riportano gli schemi, rispettivamente, del bilancio di previsione e del
rendiconto di gestione.
In tale ambito, il quadro generale riassuntivo evidenzia che le entrate
finali sono la somma dei Titoli I, II, III, IV e V, mentre le spese finali sono
la somma dei Titoli I, II, e III.
Dal combinato disposto dell’originario art. 9, comma 1, della legge n. 243
del 2012, che definiva l’equilibrio di bilancio, e degli allegati 9 e 10 al
d.lgs. n. 118 del 2011, risulterebbe che l’avanzo di amministrazione non
risultava ricompreso fra le voci di entrata che costituivano gli equilibri di
bilancio, declinati attraverso il rispetto dei quattro saldi.
Tale articolazione del vincolo previsto dalla legge n. 243 del 2012 – che
non include né il risultato d’amministrazione dell’anno precedente né il fondo
pluriennale vincolato – risponderebbe all’esigenza di coordinare le regole di
finanza pubblica cui sono sottoposti gli enti territoriali con le regole
europee della competenza economica, secondo cui gli avanzi di amministrazione
realizzati in esercizi precedenti non sono conteggiati ai fini del conto
consolidato delle amministrazioni pubbliche utilizzato per la verifica del
rispetto dei vincoli europei.
Ne consegue che l’eventuale avanzo non può essere imputato al
consolidamento dei conti delle amministrazioni pubbliche pur restando nella
piena disponibilità degli enti.
Le censure sarebbero, dunque, innanzitutto inammissibili, in quanto
l’esclusione dell’avanzo di amministrazione dell’esercizio precedente dalle
poste utili ai fini dell’equilibrio di bilancio non è un effetto della norma
impugnata, che si limita a ribadire tale disciplina, ma discende dalle
previgenti disposizioni.
Sarebbero comunque infondate le doglianze concernenti la compressione
dell’autonomia finanziaria sollevate in relazione agli artt. 48, 49, 51 e 63
dello statuto speciale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, dal
momento che le regole di finanza pubblica sono connotate da una generalità non
derogabile in favore di singoli enti.
Le segnalate difficoltà della Regione autonoma nel raggiungimento
dell’equilibrio, dovute alla variabilità delle proprie entrate compartecipate,
non potrebbero, difatti, trovare soluzione nell’ambito delle regole generali di
finanza pubblica, bensì attraverso l’introduzione di meccanismi correttivi
nell’attribuzione alla Regione autonoma del gettito da compartecipazione ai
tributi erariali, ovvero attraverso una modifica statutaria che sancisca il
passaggio dal gettito riscosso al gettito maturato, vale a dire
all’attribuzione del gettito il cui presupposto di imposta si verifica nel
territorio della Regione autonoma, come già avvenuto per le altre Regioni a
statuto speciale.
Peraltro, andrebbe evidenziato che le nuove regole di finanza pubblica
introdotte con la legge n. 164 del 2016 avrebbero un effetto migliorativo del
quadro previgente in quanto ampliano, attraverso gli strumenti di flessibilità
previsti dalla nuova versione dell’art. 10 della legge n. 243 del 2012, le
facoltà di spesa degli enti territoriali consentendo agli stessi l’utilizzo del
risultato di amministrazione degli esercizi precedenti per finanziare
operazioni di investimento non solo nel rispetto del proprio saldo, ma anche attraverso
le intese concluse in ambito regionale (comma 3) o mediante la partecipazione
ai patti di solidarietà nazionali (comma 4).
Ciò al fine di incentivare le spese di investimento favorendo il pieno
utilizzo della capacita di spesa degli enti.
Anche sotto tale profilo parrebbe mancare il requisito della sostanziale
lesività.
6.2.− In relazione al secondo e al terzo periodo della disposizione
impugnata, concernenti la limitazione all’utilizzo del fondo pluriennale
vincolato, sono svolte le medesime difese dei ricorsi n. 68, 69 e 70.
7.− Infine, con ricorso notificato il 28 ottobre - 2 novembre 2016 e
depositato il successivo 7 novembre la Regione Veneto ha impugnato, in
riferimento agli artt. 5 e 114 Cost. «e mediatamente» agli artt. 117-120 Cost.,
l’art. 1, comma 1, lettera e), della legge n. 164 del 2016, che attribuisce alla legge dello Stato la
determinazione di premi e di sanzioni da applicare alle Regioni, ai Comuni,
alle Province, alle Città metropolitane e alle Province autonome di Trento e di
Bolzano, in relazione alle disposizioni di cui all’art. 9 della legge n. 243
del 2012, dirette a disciplinare l’equilibrio dei bilanci delle Regioni e degli
enti locali.
Secondo la Regione Veneto, nel rinnovato quadro costituzionale che prevede
a carico di tutti gli enti l’obbligo di assicurare l’equilibrio di bilancio e
la sostenibilità del debito pubblico, la competenza esclusiva dello Stato in
materia di armonizzazione dei bilanci pubblici, nonché l’osservanza dei vincoli
economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea, il
rapporto tra lo Stato e le autonomie territoriali costituzionalmente
riconosciute, non potrebbe reputarsi alterato al punto tale da ritenere che le
Regioni e gli altri enti locali «siano sottoposti ad una disciplina pedagogica
da parte dello Stato, legittimato a castigare e ricompensare la loro condotta».
L’art. 114 Cost., difatti, disegnerebbe un’architettura istituzionale che
riconosce pari dignità a tutte le articolazioni della Repubblica.
Al contrario, «la previsione di "premi” e "sanzioni”, dal sapore
"paternalista”», si fonderebbe su un regime di relazioni tra l’amministrazione
dello Stato e gli enti territoriali non paritetico, né rispettoso della
autonoma responsabilità alla quale anche i secondi sono tenuti.
Inoltre, tale impostazione produrrebbe effetti in danno del cittadino, in
ragione del solo fatto di risiedere in un dato ambito territoriale.
Se, difatti, come affermato da questa Corte, «i margini costituzionalmente
tutelati dell’autonomia finanziaria e organizzativa della Regione si riducono,
quando essa ha trasgredito agli obblighi legittimamente imposti dalla
legislazione dello Stato, al fine di garantire la tenuta della finanza pubblica
allargata» (sentenze
n. 219 del 2013; nello stesso senso è richiamata la sentenza n. 155 del
2011), tuttavia, tale compressione dell’autonomia decisionale degli enti
territoriali non giustificherebbe la previsione di un sistema
premiale/sanzionatorio. Esso dovrebbe, invece, limitarsi esclusivamente a
«contromisure compensative o sostitutive che non determinino un danno per il
cittadino, ma scindano la sanzione sulla responsabilità politica e/o
amministrativa dall’interesse che ha la collettività di beneficiare dello
stesso trattamento e delle stesse risorse su tutto il territorio nazionale».
Infine, il richiamo al principio di proporzionalità, previsto, peraltro,
impropriamente anche con riguardo al rapporto tra premi e sanzioni e non solo
tra sanzioni e violazioni, non sarebbe in grado di modificare la natura di
detto sistema premiale/sanzionatorio.
7.1.‒ Il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, si è costituito con memoria depositata il 7 dicembre 2016
e ha dedotto, a riguardo, l’infondatezza della censura in quanto sembra
attribuire rilievo determinante alla terminologia utilizzata dal legislatore
statale più che al contenuto sostanziale della nuova disposizione introdotta.
In particolare, la ricorrente non avrebbe
considerato che la disposizione impugnata avrebbe, innanzitutto, una finalità
di garanzia per gli enti territoriali, attraverso l’introduzione del principio
di proporzionalità nella determinazione delle sanzioni e dei premi. Essa
assolverebbe, inoltre, ad una finalità di miglioramento della situazione
finanziaria degli enti territoriali, attraverso l’introduzione della lettera c), che destina i proventi delle sanzioni
al finanziamento di premi a favore degli enti del medesimo comparto che hanno
rispettato i propri obiettivi.
Ha quindi concluso quindi per il rigetto
del ricorso.
8.‒ Con memorie depositate in prossimità dell’udienza pubblica tutte le
ricorrenti hanno replicato alle deduzioni del Presidente del Consiglio dei
ministri.
8.1.‒ In particolare, la Provincia autonoma di Bolzano
evidenzia che, contrariamente all’assunto della difesa erariale, secondo il
quale le nuove disposizioni favorirebbero la programmazione degli investimenti
e, in generale, la gestione di tutte le spese a valenza pluriennale, le
disposizioni impugnate avrebbero posto limiti per l’utilizzo del fondo
pluriennale vincolato, in virtù dei quali si verificherebbe, a partire dal
2017, un congelamento delle risorse pur disponibili, la cui utilizzazione era
già stata programmata, al di fuori delle limitazioni imposte dalla regola del
saldo non negativo di cui all’art. 9 della legge n. 243 del 2012.
8.2.‒ La Provincia autonoma di
Trento e la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, a loro volta, contestano innanzitutto l’eccezione di
inammissibilità del ricorso per difetto di lesività delle norme impugnate in
quanto basata su due assunti entrambi non fondati: quello secondo il quale,
prima delle modifiche introdotte dalla legge n. 164 del 2016, l’art. 9 della
legge n. 243 del 2012 non consentiva l’utilizzazione del fondo pluriennale
vincolato e quello per cui l’impugnazione della Provincia autonoma sarebbe
diretta a contestare una norma favorevole che consentirebbe espressamente
l’utilizzazione del fondo pluriennale vincolato.
Al contrario, l’art. 9 della legge n. 243
del 2012 non avrebbe impedito all’ente di utilizzare il proprio fondo
pluriennale vincolato, in quanto, prima della sua modifica ad opera dell’art. l
della legge n. 164 del 2016, esso non definiva le entrate finali e le uscite
finali e, soprattutto, non poneva limiti all’utilizzo del fondo pluriennale
vincolato.
Peraltro, non sarebbe oggetto di
contestazione la norma che prevede l’utilizzabilità del fondo ai fini
dell’equilibrio di bilancio, bensì solamente le limitazioni di ordine
materiale, temporale e procedurale che il legislatore ha apposto a tale
utilizzo.
Le ricorrenti contestano inoltre l’assenza
di interesse a ricorrere, secondo quanto ritiene l’Avvocatura generale dello
Stato allegando una supposta "natura programmatica” o "di principio” delle
disposizioni impugnate: al contrario le norme contenute nell’art. 9, comma l-bis, della legge n. 243 del 2012
avrebbero fin da subito inibito l’utilizzo ‒ ai fini dell’equilibrio di
bilancio ‒ del predetto fondo, la cui considerazione (agli stessi fini) è
stata possibile soltanto con l’approvazione della legge di bilancio 2017.
Osserva al riguardo che la norma impugnata
consente alla legge di bilancio di compiere di volta e in volta la valutazione
dell’utilizzabilità del fondo pluriennale vincolato: nulla escluderebbe,
dunque, che nelle prossime leggi di bilancio, avvalendosi della autorizzazione
ad esso conferita, il legislatore ordinario muti il proprio indirizzo ed
escluda tale possibilità, anche con riferimento al 2018 o al 2019.
Diversamente, qualora fosse accolta la
censura sollevata dalla Provincia autonoma sulla legge rinforzata, il fondo
pluriennale vincolato cesserebbe di essere una posta di bilancio di cui il
legislatore statale potrebbe liberamente disporre, includendola od escludendola
dal computo degli aggregati significativi agli effetti dell’equilibrio di
bilancio secondo valutazioni occasionali di politica finanziaria.
8.3.‒ Anche la Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia ritiene che l’eccezione di inammissibilità del ricorso
per difetto di lesività delle norme impugnate sia infondata, in quanto si basa
sull’erronea premessa per cui il testo previgente dell’art. 9 della legge n.
243 del 2012 avrebbe precluso l’utilizzo dell’avanzo di amministrazione ai fini
dell’equilibrio di bilancio.
Osserva, inoltre, che, se anche le
disposizioni censurate fossero ritenute migliorative dell’assetto precedente,
ciò non farebbe venire meno l’interesse ad impugnare (è in proposito richiamata
la sentenza n.
222 del 2013).
Nel merito, la Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia contesta l’argomento per cui le regole di finanza
pubblica sarebbero necessariamente connotate da generalità, in quanto esso
negherebbe un carattere essenziale della specialità regionale e, in
particolare, per quanto concerne le regole sull’avanzo di amministrazione, esso
sarebbe smentito proprio in relazione alle regole sugli usi dell’avanzo di
amministrazione contenute nell’art. 10 della legge n. 243 del 2012, di cui la
Regione ricorrente ha impugnato il novellato comma 3.
8.4.‒ La Regione Veneto ribadisce,
infine, che la previsione di un mero sistema premiale-sanzionatorio non
determinerebbe alcun effetto di garanzia né di miglioramento della situazione
finanziaria degli enti territoriali ma aggraverebbe la condizione degli enti in
difficoltà a vantaggio degli altri perché determinerebbe una penalizzazione
destinata a risolversi a danno del cittadino.
Inoltre, la sanzione sarebbe ingiusta e
irrazionale, in quanto colpirebbe gli enti che, ai sensi dell’art. 9 della
legge n. 243 del 2012, presentano un "saldo negativo” tra le entrate e le spese
finali, a prescindere da una "colpa” e sul «semplice presupposto oggettivo del
fatto di "inadempimento”». Le norme impugnate avrebbero invece dovuto prevedere
misure compensative o sostitutive, idonee a garantire il ripianamento e non
certo ad aggravare la «deficienza finanziario-contabile» degli enti
inadempienti che finirebbe per accrescere il divario esistente tra enti
territoriali.
Considerato
in diritto
1.– La Provincia autonoma di Bolzano (r. ric. n. 68 del 2016) ha promosso
questione di legittimità costituzionale, tra le altre, dell’art. 1, comma 1,
lettera b), della legge 12 agosto
2016, n. 164 (Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243 in materia di
equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali), che introduce
nell’art. 9 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione
del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma,
della Costituzione), il comma 1-bis,
in riferimento agli artt. 16, 79, 80, 81, 83 e 84 del d.P.R. 31 agosto 1972, n.
670 (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol), e all’art. 16 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n.
268 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in
materia di finanza regionale e provinciale), nonché agli artt. 81, 97, secondo
comma, 117, terzo comma, e 119 della Costituzione.
La disposizione di nuova introduzione prevede
che «Ai fini dell’applicazione del comma 1, le entrate finali sono quelle
ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio previsto dal
decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e le spese finali sono quelle ascrivibili
ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema di bilancio. Per gli anni 2017-2019, con
la legge di bilancio, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica e
su base triennale, è prevista l’introduzione del fondo pluriennale vincolato,
di entrata e di spesa. A decorrere dall’esercizio 2020, tra le entrate e le
spese finali è incluso il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa,
finanziato dalle entrate finali».
Le norme statutarie attribuirebbero alla
Provincia autonoma di Bolzano la potestà legislativa esclusiva (artt. 8 e 9), e
la corrispondente potestà amministrativa, in materia di finanza locale, nonché
il coordinamento della finanza pubblica provinciale che comprende la finanza
locale.
L’accordo del 15 ottobre 2014, cosiddetto "patto
di garanzia”, tra lo Stato, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di
Trento e di Bolzano prevederebbe che nei confronti della Regione e delle
Province autonome e degli enti appartenenti al sistema territoriale regionale
integrato non siano applicabili disposizioni statali che prevedono obblighi,
oneri, accantonamenti, riserve all’erario o concorsi comunque denominati, ivi
inclusi quelli afferenti al patto di stabilità interno, diversi da quelli
previsti dal Titolo VI dello statuto speciale di autonomia.
Il fondo pluriennale vincolato sarebbe una posta
di bilancio introdotta dalla nuova disciplina in materia di armonizzazione dei
sistemi contabili di cui al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in
materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio
delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5
maggio 2009, n. 42), che troverebbe applicazione anche nella Provincia autonoma di Bolzano
nel 2016. Esso rappresenterebbe lo strumento per reimputare
su esercizi successivi spese già impegnate ma non ancora giunte a scadenza.
Trattandosi di spese già impegnate su esercizi precedenti, esse risulterebbero
finanziariamente già coperte con le entrate di detti esercizi, anche in
considerazione del fatto che il bilancio della Provincia autonoma di Bolzano è
sempre stato approvato in equilibrio. Secondo la ricorrente, l’introduzione di
restrizioni all’utilizzo del citato fondo per il periodo 2017-2019, nonché la
possibilità, dal 2020, di iscrivere il fondo pluriennale vincolato di entrata e
di spesa solo per la parte finanziata da entrate finali, si sostanzierebbe
nella limitazione o nell’impossibilità, a decorrere dal 2017, di utilizzare
risorse già destinate negli esercizi precedenti al finanziamento di spese
oggetto di riprogrammazione, con conseguente necessità di utilizzare a loro
copertura nuove entrate dell’anno sul quale vengono riprogrammate le spese, che
diversamente avrebbero potuto essere altrimenti impiegate per nuovi interventi,
con conseguente lesione dei principi di cui agli artt. 81 e 119 Cost.
Attraverso il descritto meccanismo contabile si
concretizzerebbe una violazione dei principi di autonomia finanziaria e di
bilancio contenuti nel Titolo VI dello statuto e, in particolare, del principio
di autonomia finanziaria dal lato della spesa.
Risulterebbe infine leso il principio di buon
andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97, secondo comma, Cost., in
quanto verrebbe preclusa la realizzazione dei programmi di investimento per i
quali le risorse vengono accantonati nel fondo pluriennale vincolato di
entrata.
1.1.‒ Costituendosi in giudizio, il
Presidente del Consiglio dei ministri deduce che l’art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164 del 2016, nello
specificare al primo periodo quali sono le entrate finali e le spese finali che
rientrano nel computo del saldo di finanza pubblica indicato nell’art. 9, comma
1, della legge n. 243 del 2012 prevederebbe un’iniziale fase transitoria per
gli anni 2017-2019, durante la quale spetterebbe alla legge di bilancio
disporre l’introduzione del fondo pluriennale vincolato nel calcolo del citato
saldo, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica e su base
triennale. A decorrere dall’esercizio finanziario 2020 sarebbe quindi prevista
l’inclusione strutturale nel saldo di finanza pubblica del fondo pluriennale
vincolato di entrata e di spesa.
Sarebbe pertanto evidente come la normativa
impugnata, semplificando la definizione di equilibrio di bilancio e consentendo
l’utilizzo del fondo pluriennale vincolato, abbia reso il sistema dei vincoli
di finanza pubblica più favorevole agli enti territoriali.
Al momento della stesura della legge impugnata,
tra l’altro, non si disponeva di elementi informativi puntuali che
consentissero di valutare il reale impatto sulla finanza pubblica, in termini
di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni, dell’inserimento a
regime del fondo pluriennale vincolato negli equilibri di bilancio; pertanto,
il rinvio alla legge di bilancio dovrebbe essere interpretato, sul piano
sostanziale, come impegno del legislatore a individuare la copertura di detto
fondo nel triennio 2017-2019, fermo restando l’inserimento di tale strumento
contabile ai fini del pareggio di bilancio, mentre, sul piano formale, sarebbe
stato necessario, in un’ottica prudenziale, provvedere a rinviare alla legge di
bilancio 2017-2019 la gestione del periodo transitorio nel quale si sarebbero
potuti valutare e coprire gli effetti dell’inclusione del fondo in parola negli
equilibri di bilancio.
2.– Anche la Provincia autonoma di Trento (r.
ric. n. 69 del 2016) e la Regione autonoma Trentino Alto Adige/Südtirol (r. ric. n. 70 del 2016) hanno
promosso questioni di legittimità costituzionale, tra le altre, del medesimo
art. 1, comma 1, lettera b), e, in
particolare, del secondo e del terzo periodo, in riferimento, la prima
ricorrente, agli artt. 8, 16, 79 e 104 del d.P.R. n. 670 del 1972, nonché agli
artt. 3, 97, secondo comma, 117, terzo comma, 119 e 120 Cost., anche in combinato
disposto con l’art. 10 della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3; la seconda ricorrente in riferimento agli artt. 4, 16, 79 e 84 del
medesimo statuto di autonomia, nonché agli artt. 3, 97, secondo comma, 117,
terzo comma, 119 e 120 Cost., anche in combinato disposto con l’art. 10 della legge
cost. 18 ottobre 2001, n. 3.
Le ricorrenti precisano di censurare
esclusivamente il secondo e il terzo periodo della disposizione, nella parte in
cui pongono limiti temporali, procedurali e materiali per l’utilizzo del fondo
pluriennale di bilancio, con motivazioni analoghe a quelle svolte dalla Provincia autonoma di Bolzano
nel ricorso da essa proposto.
Rammentano, al riguardo, che il fondo
pluriennale vincolato è una posta di bilancio che è stata introdotta in
esecuzione dei principi statali di armonizzazione dei bilanci pubblici dettati
dal d.lgs. n. 118 del 2011 e sarebbe costituito da risorse già accertate e già
impegnate in esercizi precedenti, ma destinate al finanziamento di obbligazioni
passive dell’ente che diventeranno esigibili in esercizi successivi a quello in
cui è accertata l’entrata: esso, dunque, rappresenterebbe un saldo finanziario
a garanzia della copertura di spese imputate a esercizi successivi a quello in
corso e configurerebbe lo strumento tecnico per ricollocare su tali esercizi
spese già impegnate, relativamente alle quali sussiste un’obbligazione
giuridicamente perfezionata (e quindi un vincolo a effettuare i relativi
pagamenti), che, tuttavia, giungeranno a scadenza negli esercizi sui quali
vengono reimputate le spese. Tale reimputazione
sarebbe obbligatoria ai sensi del d.lgs. n. 118 del 2011.
Trattandosi di spese già impegnate su esercizi
precedenti, esse risulterebbero finanziariamente già coperte con le entrate di
detti esercizi. Al riguardo, andrebbe tenuto conto anche del fatto che, in
particolare, il bilancio della Provincia autonoma di Trento sarebbe sempre
stato approvato in equilibrio.
Proprio per questa ragione, le regole
dell’armonizzazione prevederebbero che l’operazione di reimputazione
delle spese sia accompagnata da quella delle relative entrate sui medesimi
esercizi finanziari attraverso il fondo pluriennale, alimentato con le risorse
degli anni in cui sono state impegnate le spese.
Le esposte limitazioni si tradurrebbero nel
condizionamento della possibilità di utilizzare le risorse già destinate negli
esercizi precedenti al finanziamento delle spese programmate, e ciò
determinerebbe, secondo la ricorrente, la necessità che per la copertura di
tali spese debbano essere utilizzate nuove entrate dell’anno sul quale vengono
sostenute le spese: nuove entrate che diversamente avrebbero potuto essere
impiegate per diversi interventi.
Dette restrizioni, a partire dal 2017,
determinerebbero un congelamento delle risorse pur disponibili, la cui
utilizzazione sarebbe già stata programmata, al di fuori delle limitazioni
imposte dalla regola del saldo non negativo di cui all’art. 9 della legge n.
243 del 2012, comportando innanzitutto una lesione della autonomia finanziaria
della Provincia autonoma e della Regione autonoma sul versante della spesa.
Tale principio sarebbe, difatti, immanente nello statuto, dal momento che le
risorse di cui agli artt. 70 e seguenti sarebbero attribuite alla Regione
autonoma e alle Province autonome per far fronte alle funzioni loro assegnate,
e le possibili limitazioni sarebbero disciplinate esclusivamente dal successivo
art. 79. In ogni caso, sarebbe lesa l’autonomia sul versante della spesa, che è
espressamente enunciata dall’art. 119, primo comma, Cost., evocato a parametro
in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. Al
contrario, sarebbe proprio la limitazione all’utilizzazione del fondo
appositamente programmato per spese già impegnate – e che diventeranno
esigibili negli esercizi successivi – a determinare un rischio per l’equilibrio
del bilancio, giacché tale ostacolo comporterebbe la necessità di reperire
altrove una copertura per tali spese, corrispondente a obbligazioni
giuridicamente vincolanti già assunte.
Sotto tale profilo, risulterebbe poi violato il
principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97, secondo
comma, Cost., in quanto, se non si rinvenisse anno per anno una nuova idonea
copertura per le obbligazioni già insorte, verrebbe preclusa la realizzazione
dei programmi di investimento per i quali le risorse sono accantonate nel fondo
vincolato di entrata.
Parimenti leso sarebbe il principio di
ragionevolezza, di cui all’art. 3, primo comma, Cost., dal momento che le
ricorrenti − pur disponendo dei fondi necessari al finanziamento di un
investimento pluriennale – non potrebbero avere la certezza di poterlo
supportare negli anni successivi, poiché sarebbe loro precluso di disporre
delle somme appositamente accantonate; la Provincia autonoma di Trento,
inoltre, sarebbe indotta, in virtù di una disposizione legislativa, a rendersi
inadempiente a fronte di obbligazioni legittimamente assunte e in origine
dotate di piena copertura finanziaria.
Sarebbe inoltre evidente la ridondanza di tale
violazione sull’esercizio di competenze costituzionalmente riservate alla
Regione autonoma e alla Provincia autonoma con riferimento ai parametri
statutari e alle norme contenute nel titolo V della Costituzione richiamati nei
ricorsi.
Peraltro, ad avviso delle ricorrenti, tali
limitazioni alla computabilità del fondo pluriennale vincolato sarebbero
incostituzionali anche laddove dovessero ritenersi funzionali e strumentali
alla sostenibilità del debito pubblico, sia sulla base dei parametri
costituzionali (art. 5, comma 2, lettera c,
della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, recante «Introduzione del
principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale»; principi di eguaglianza, ragionevolezza e leale collaborazione), sia
di quelli statutari.
2.1.‒ Costituendosi in giudizio, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha svolto argomentazioni difensive del
medesimo tenore di quelle sviluppate nei confronti del ricorso iscritto al r.
ric. n. 68 del 2016.
3.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha
promosso questioni di legittimità costituzionale, tra le altre, dello stesso
art. 1, comma 1, lettera b), della
legge n. 164 del 2016, primo periodo, ove inteso nel senso di divieto di
utilizzazione, nel calcolo del bilancio in equilibrio, dell’avanzo di
amministrazione dell’esercizio precedente, nonché degli ulteriori periodi del
medesimo articolo, in riferimento agli artt. 4, 8, 48, 49, 51, 63 e 65 della
legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia
Giulia), e agli artt. 3, 81, 97, 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., anche
in riferimento all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.
Dopo aver premesso il contenuto della legge n.
164 del 2016 e, in particolare, dell’art. 1, comma 1, lettera b), ivi contenuto, la Regione autonoma
ne impugna, innanzitutto, il primo periodo. Esso individuerebbe, ai fini
dell’equilibrio di bilancio, le entrate finali come quelle ascrivibili ai
titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio previsto dal d.lgs. n. 118 del
2011, vale a dire le entrate correnti di natura tributaria, contributiva e
perequativa (titolo 1); i trasferimenti correnti (titolo 2); le entrate
extratributarie (titolo 3); le entrate in conto capitale (titolo 4); le entrate
da riduzione di attività finanziarie (titolo 5).
La ricorrente osserva che tra le entrate finali
che possono essere prese in considerazione ai fini dell’equilibrio di bilancio
non è menzionato l’eventuale avanzo dell’esercizio precedente. L’omessa
menzione di tale posta di bilancio è oggetto di censura.
La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia,
infatti, dubita che la mancata espressa menzione dell’eventuale avanzo di
amministrazione possa essere intesa nel senso di divieto di utilizzazione, nel
calcolo del bilancio in equilibrio, dell’avanzo di amministrazione
dell’esercizio precedente. Tale ipotesi interpretativa potrebbe ritenersi
confermata, sul piano sistematico, da quanto dispone l’art. 2, comma 1, lettera
a), della medesima legge n. 164 del
2016 – parimenti impugnato dalla ricorrente con distinta e autonoma censura –
che parrebbe consentire l’utilizzo degli avanzi di amministrazione soltanto
sulla base di intese concluse in ambito regionale.
Nel caso di un’interpretazione in tal senso, la
Regione autonoma lamenta ingenti effetti negativi, dal momento che essa vanta
la presenza sul proprio territorio di grandi gruppi societari e, di
conseguenza, un’estrema variabilità delle entrate, costituite, principalmente,
dalla compartecipazione ai tributi erariali. Detta variabilità non sarebbe
prevedibile dalla Regione autonoma, né programmabile ex ante, dal momento che essa avrebbe contezza dell’entità della
compartecipazione di sua spettanza solo a versamento avvenuto, secondo quanto
previsto dalle norme di attuazione dello statuto speciale.
La combinazione delle regole costituzionali
sulla finanza regionale con la particolare composizione della platea dei
soggettivi passivi d’imposta, che rende mutevole la massa imponibile, e con i
meccanismi di trasmissione dei dati normativamente previsti, comporterebbe la
fisiologica formazione di avanzi (o disavanzi) di bilancio, i quali dovrebbero
trovare la necessaria corrispondenza tra le voci di entrata dell’anno seguente
utili ai fini del pareggio.
Diversamente, la disposizione sarebbe, ad avviso
della Regione autonoma, lesiva della propria autonomia finanziaria e
illegittima sotto diversi profili.
In primo luogo, l’avanzo di amministrazione
dell’esercizio precedente, una volta accertato e rappresentato nei rendiconti,
costituirebbe un elemento patrimoniale della Regione autonoma, che la norma
impugnata renderebbe indisponibile − se non e alle condizioni di cui
all’art. 2, comma 1, lettera a),
della legge n. 164 del 2016, oggetto di separata impugnazione − generando
una situazione equivalente alla sottrazione materiale di risorse, analoga alla
previsione di una riserva all’erario o di un accantonamento di entrata a valere
sulle quote di tributi erariali di spettanza regionale. La disposizione sarebbe
dunque lesiva delle norme dello statuto speciale nelle quali è fondata la sua
autonomia finanziaria e, quindi, delle norme contenute nel Titolo IV dello
statuto, contrastando con: l’art. 48, che definisce la finanza dell’ente come
una finanza propria della Regione; l’art. 49, che le attribuisce quote dei
tributi erariali; l’art. 51, che individua le altre entrate della Regione
autonoma; l’art. 63, ultimo comma, che consente modifiche alle norme predette
solo con il procedimento negoziato ivi previsto.
Sarebbero, inoltre, violate anche le corrispondenti
norme sull’autonomia finanziaria e patrimoniale della Regione autonoma
contenute nell’art. 119, primo, secondo e sesto comma, Cost., anche in
combinazione con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, ove più favorevoli.
La sottrazione materiale di risorse risulterebbe
inoltre lesiva del principio dell’accordo – sotteso agli artt. 63 e 65 dello
statuto speciale – in applicazione del metodo pattizio che regola i rapporti
finanziari tra lo Stato e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
Qualora, difatti, l’avanzo di amministrazione
venisse "sterilizzato” ai fini dell’equilibrio del bilancio regionale allo
scopo di essere poi riversato e contabilizzato nel conto consolidato delle
amministrazioni pubbliche ai fini della rendicontazione europea, ciò
contrasterebbe con molteplici parametri costituzionali.
Sarebbe violato, anzitutto, il principio per cui
l’equilibrio complessivo deve risultare dalla sommatoria di bilanci in
equilibrio e non dalla somma algebrica di bilanci in disavanzo e bilanci in
attivo: la possibilità di compensazioni, del resto, sarebbe consentita soltanto
nei limiti di cui all’art. 10 della legge n. 243 del 2012, in relazione alle
operazioni di investimento. Tale principio si ricaverebbe dagli artt. 81, primo
comma, 119, primo comma, e 97, primo comma, Cost., che la Regione autonoma
sarebbe legittimata a far valere sia perché l’equilibrio dei rispettivi bilanci
sarebbe considerato una sorta di garanzia reciproca che tutti i livelli di
governo mutuamente si prestano; sia perché la considerazione dell’equilibrio di
bilancio come complessivo, creato anche attraverso la sterilizzazione degli
avanzi di amministrazione, avrebbe un ovvio impatto sull’autonomia finanziaria
della Regione, la quale si vedrebbe impossibilitata a utilizzare ai fini del
pareggio il saldo favorevole realizzato a consuntivo dell’esercizio precedente.
In secondo luogo, sarebbe violato anche il
principio di veridicità e di trasparenza dei bilanci e di responsabilità
politica per gli stessi, implicito, oltre che nel richiamato art. 81 Cost.,
nelle norme statutarie che riservano al Consiglio regionale l’approvazione dei
bilanci (artt. 7 e 25, commi primo e quarto, dello statuto speciale). E
infatti, l’organo rappresentativo, che risponde al corpo elettorale, si troverebbe
a dover approvare un bilancio non trasparente e non veritiero, perché l’avanzo
degli esercizi precedenti, pur registrato nelle scritture contabili della
Regione, non sarebbe utilizzabile ai fini del pareggio di bilancio, ma imputato
al consolidamento dei conti della pubblica amministrazione. L’elettore verrebbe
così privato della possibilità di comprendere l’effettivo andamento della
finanza regionale e di valutare corrispondentemente l’operato degli
amministratori e dei rappresentanti eletti, in base a quanto già statuito da
questa Corte nella sentenza n. 188 del
2016.
In terzo luogo, sarebbe violato anche il
principio sotteso all’art. 5, comma 2, lettera c), della legge cost. n. 1 del 2012, che vuole appositamente
regolate le modalità attraverso le quali i Comuni, le Province, le Città
metropolitane, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano
concorrono alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni,
in quanto non potrebbe considerarsi regolazione quello che sarebbe solo un
effetto indiretto di una regola contabile, non a caso contenuta in una
disposizione che non si occuperebbe del concorso degli enti territoriali alla
sostenibilità del debito pubblico.
Sotto tale profilo risulterebbero inoltre
violati il principio di ragionevolezza e il principio di eguaglianza, poiché la
norma produrrebbe effetti del tutto casuali e non correlati a un’autentica
"capacità contributiva” dell’ente, dal momento che la presenza di un avanzo di
amministrazione non sarebbe di per sé sintomatica di una sana gestione
finanziaria, ben potendo essere l’avanzo contabilizzato a servizio del debito
consolidato delle amministrazioni pubbliche.
Vengono, inoltre, impugnati il secondo ed il
terzo periodo dell’art. 1, comma 1, lettera b),
della legge n. 164 del 2016, concernenti la limitazione all’utilizzo del fondo
pluriennale vincolato, con motivazioni analoghe a quelle dei ricorsi
precedentemente descritti.
3.1.– Costituendosi in giudizio, il Presidente
del Consiglio dei ministri ha chiesto che il ricorso venga dichiarato
inammissibile o, comunque, infondato.
Per quanto concerne specificamente la censura
attinente all’omessa menzione dell’avanzo di amministrazione tra le entrate
finali rilevanti nell’equilibrio di bilancio e alla conseguente impossibilità
di utilizzare il proprio avanzo di amministrazione ai fini del pareggio di
bilancio, il resistente rammenta che già il testo originario della legge n. 243
del 2012, adottata nell’esercizio della delega contenuta nella legge cost. n. l
del 2012, avente ad oggetto la declinazione delle «norme fondamentali e i
criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei
bilanci», aveva provveduto a individuare i saldi rilevanti ai fini
dell’equilibrio di bilancio.
Dal combinato disposto dell’originario art. 9,
comma 1, della legge n. 243 del 2012, che definiva l’equilibrio di bilancio, e
degli allegati 9 e 10 al d.lgs. n. 118 del 2011, risulterebbe che l’avanzo di
amministrazione non era ricompreso fra le voci di entrata che costituivano gli
equilibri di bilancio, declinati attraverso il rispetto dei saldi.
Le segnalate difficoltà della Regione autonoma
nel raggiungimento dell’equilibrio, dovute alla variabilità delle entrate da
essa compartecipate, non potrebbero, difatti, trovare soluzione nell’ambito
delle regole generali di finanza pubblica, bensì attraverso l’introduzione di
meccanismi correttivi nell’attribuzione alla Regione autonoma del gettito da
compartecipazione ai tributi erariali, ovvero attraverso una modifica
statutaria che sancisca il passaggio dal gettito riscosso al gettito maturato
nel territorio della Regione, come già avvenuto per le altre Regioni a statuto
speciale.
Peraltro, le nuove regole di finanza pubblica
introdotte con la legge n. 164 del 2016 in esame avrebbero un effetto
migliorativo del quadro previgente, in quanto amplierebbero, attraverso gli
strumenti di flessibilità previsti dalla nuova versione dell’art. 10 della
legge n. 243 del 2012, le facoltà di spesa degli enti territoriali, consentendo
agli stessi l’utilizzo del risultato di amministrazione degli esercizi
precedenti per finanziare operazioni di investimento non solo nel rispetto del
proprio saldo, ma anche attraverso le intese concluse in ambito regionale
(comma 3) o mediante la partecipazione ai patti di solidarietà nazionali (comma
4). Ciò al fine di incentivare le spese di investimento, favorendo il pieno
utilizzo della capacità di spesa degli enti. Anche sotto tale profilo parrebbe
mancare il requisito della sostanziale lesività.
In relazione al secondo e al terzo periodo della
disposizione impugnata, concernenti la limitazione all’utilizzo del fondo
pluriennale vincolato, sono svolte le medesime difese articolate in riferimento
ai ricorsi iscritti al r. ric. n. 68, n. 69 e n. 70 del 2016.
4.– Infine, la Regione Veneto (r. ric. n. 74 del
2016) ha promosso questione di legittimità costituzionale, tra le altre,
dell’art. 1, comma 1, lettera e),
della medesima legge n. 164 del 2016, in riferimento agli artt. 5 e 114 Cost.
«e mediatamente» agli artt. Da 117 a 120 Cost.
Secondo la ricorrente – nel rinnovato quadro
costituzionale, che prevede a carico di tutti gli enti l’obbligo di assicurare
l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico, la competenza
esclusiva dello Stato in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici, nonché
l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento
dell’Unione europea – il rapporto tra lo Stato e le autonomie territoriali
costituzionalmente riconosciute non potrebbe reputarsi alterato al punto tale
da ritenere che le Regioni e gli enti locali «siano sottoposti ad una
disciplina pedagogica da parte dello Stato, legittimato a castigare e
ricompensare la loro condotta».
L’art. 114 Cost., difatti, disegnerebbe
un’architettura istituzionale che riconosce pari dignità a tutte le
articolazioni della Repubblica. Al contrario, «la previsione di "premi”e "sanzioni”, dal sapore
"paternalista”», si fonderebbe su un regime di relazioni tra l’amministrazione
dello Stato e gli enti territoriali non paritetico, né rispettoso della
autonoma responsabilità alla quale anche i secondi sono tenuti.
Inoltre, tale impostazione produrrebbe effetti
in danno del cittadino, in ragione del solo fatto di risiedere in un dato
ambito territoriale. Se, difatti, «i margini costituzionalmente tutelati
dell’autonomia finanziaria e organizzativa della Regione si riducono, quando
essa ha trasgredito agli obblighi legittimamente imposti dalla legislazione
dello Stato, al fine di garantire la tenuta della finanza pubblica allargata»
(si citano le sentenze
n. 219 del 2013 e n. 155 del 2011),
tuttavia, tale compressione dell’autonomia decisionale degli enti territoriali
non giustificherebbe la previsione di un sistema premiale/sanzionatorio. Esso
dovrebbe, invece, limitarsi esclusivamente a «contromisure compensative o sostitutive
che non determinino un danno per il cittadino, ma scindano la sanzione sulla
responsabilità politica e/o amministrativa dall’interesse che ha la
collettività di beneficiare dello stesso trattamento e delle stesse risorse su
tutto il territorio nazionale».
Infine, il richiamo al principio di
proporzionalità, previsto, peraltro, impropriamente anche con riguardo al
rapporto tra premi e sanzioni e non solo tra sanzioni e violazioni, non sarebbe
in grado di modificare la natura di detto sistema premiale/sanzionatorio.
4.1.– Costituendosi in giudizio, il Presidente
del Consiglio dei ministri ha dedotto l’infondatezza della censura, che
sembrerebbe attribuire rilievo determinante alla terminologia utilizzata dal
legislatore statale più che al contenuto sostanziale della nuova disposizione
introdotta.
5.− Deve essere rimessa a separata
pronuncia la decisione sull’impugnazione di altre disposizioni della legge n.
164 del 2016, proposta nei medesimi ricorsi.
5.1.– Le questioni di legittimità costituzionale
qui considerate hanno ad oggetto il medesimo articolo di legge e sono basate su
censure in larga parte analoghe ed è quindi opportuna la riunione dei relativi
giudizi ai fini di una decisione congiunta.
6.– Vanno preliminarmente disattese le eccezioni
di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato nei confronti
dei ricorsi presentati dalle Regioni a statuto speciale Trentino Aldo Adige/Südtirol e Friuli-Venezia Giulia e dalle
Province autonome di Trento e di Bolzano. Secondo il resistente essi non
metterebbero sufficientemente in luce la pretesa lesione e il nesso logico con
i parametri costituzionali evocati. Al contrario, emerge dalla lettura dei
ricorsi e dalla sostanziale coincidenza della maggior parte delle doglianze che
le ricorrenti lamentano – alcune anche attraverso un’articolazione ipotetica
delle censure – un effetto lesivo degli equilibri di bilancio dei singoli enti
territoriali e della propria autonomia costituzionalmente garantita, che
deriverebbe dallo strumentale collegamento di regole contabili realizzato dalle
norme impugnate.
7.– Le questioni possono essere sintetizzate in
relazione ai tre diversi periodi di cui si compone la norma impugnata: a) il primo periodo – secondo la
prospettazione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia – avrebbe l’effetto
indiretto di "espropriare” l’avanzo di amministrazione all’ente territoriale
che lo ha realizzato per acquisirlo a obiettivi di finanza pubblica da
realizzare in ambito regionale; b)
con argomentazioni sostanzialmente analoghe, tutte le autonomie speciali
ricorrenti deducono poi che il secondo e il terzo periodo, attraverso uno
strumentale collegamento con lo schema di bilancio armonizzato, impedirebbero
la naturale utilizzazione del fondo pluriennale vincolato, trasformandolo di
fatto in un indebito contributo dell’ente territoriale agli obiettivi di
finanza pubblica. In tal modo, un istituto nato per la mera esposizione
contabile delle diacronie inerenti alla gestione di competenza e di cassa dei
programmi aventi valenza pluriennale sarebbe conformato dalle norme impugnate
in un’indebita intrusione negli equilibri finanziari dell’ente territoriale, ponendo in essere una patente violazione della sua autonomia
finanziaria e del correlato buon andamento della programmazione.
Avendo tutte le questioni sollevate l’intento di
salvaguardare la disponibilità dell’avanzo di amministrazione e del fondo
pluriennale vincolato secondo le rispettive discipline, una diversa
interpretazione delle disposizioni impugnate che escluda il preteso significato
ablativo le renderebbe, per ciò stesso, infondate.
8.– Tanto premesso, la questione sollevata dalla
Regione autonoma Friuli Venezia Giulia nei confronti
del primo periodo dell’art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164 del 2016 non è fondata nei termini di
seguito specificati.
Essa si basa, come detto, sul convincimento che
la norma impugnata comporti la preclusione a utilizzare l’avanzo di
amministrazione "libero”, al netto dei fondi vincolati, accantonati e destinati
di cui all’art. 42 del d.lgs. n. 118 del 2011, pur dopo il suo accertamento
nelle forme di legge.
In vero, non si può disconoscere che detta
interpretazione trovi un qualche supporto nell’oscura formulazione della norma
e nelle stesse difese del Presidente del Consiglio dei ministri, che oscillano
tra la rivendicazione della neutralità finanziaria delle disposizioni impugnate
– e la conseguente carenza di interesse della ricorrente – e l’affermazione
della doverosa sottoposizione delle autonomie agli obblighi di contribuzione al
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica.
Tale soluzione esegetica risulta, per diversi
motivi, non conforme ai parametri costituzionali invocati dalla ricorrente.
È tuttavia possibile un’interpretazione adeguatrice della disposizione in questione, in grado di
escludere tale contrasto.
Nel caso di specie – per una molteplice serie di
ragioni appresso indicate – l’interpretazione non può che essere quella secondo
cui l’avanzo di amministrazione rimane nella disponibilità dell’ente che lo
realizza. E ciò comporta l’infondatezza delle censure in riferimento a tutti i
parametri invocati, poiché esse si basano sulla opposta soluzione ermeneutica.
8.1.– La doglianza della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia si fonda su due elementi indiziari: da un lato, l’assenza
dell’avanzo di amministrazione tra le cosiddette "entrate finali” enumerate
nell’impugnato art. 1, comma 1, lettera b),
della legge n. 164 del 2016; dall’altro, il collegamento della suddetta norma
con il successivo art. 2, comma 1, lettera a)
– oggetto di separata censura nel ricorso, ma non sottoposto a scrutinio nel
presente giudizio – il quale sottrarrebbe agli enti territoriali la piena
disponibilità dei risultati di amministrazione positivi.
L’art. 1, comma 1, lettera b), primo periodo, stabilisce che «Ai fini dell’applicazione del
comma 1, le entrate finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5
dello schema di bilancio previsto dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n.
118, e le spese finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo
schema di bilancio», non includendo in tali poste l’avanzo di amministrazione;
mentre il citato art. 2, comma 1, lettera a),
stabilendo che «le operazioni di indebitamento di cui al comma 2 e le
operazioni di investimento realizzate attraverso l’utilizzo dei risultati di
amministrazione degli esercizi precedenti sono effettuate sulla base di
apposite intese concluse in ambito regionale che garantiscano, per l’anno di
riferimento, il rispetto del saldo di cui all’articolo 9, comma 1, del
complesso degli enti territoriali della regione interessata, compresa la
medesima regione», destinerebbe i risultati positivi di amministrazione a
"spazi finanziari” diversi dalla diretta utilizzazione spettante
all’amministrazione che li realizza.
Dal combinato delle richiamate disposizioni la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia deduce che anche l’avanzo "libero” di
amministrazione sarebbe assoggettato a vincoli di spesa inerenti a obiettivi di
finanza pubblica da realizzare su base regionale.
All’interpretazione letterale della ricorrente
si deve preferire tuttavia una lettura conforme a Costituzione delle norme
contestate, secondo cui gli enti territoriali in avanzo di amministrazione
hanno la mera facoltà – e non l’obbligo – di mettere a disposizione delle
politiche regionali di investimento una parte o l’intero avanzo. È infatti
nella piena disponibilità dell’ente titolare dell’avanzo partecipare o meno
alle intese in ambito regionale. Solo in caso di libero esercizio di tale
opzione l’ente può destinare l’avanzo all’incremento degli spazi finanziari
regionali.
Ove, viceversa, tale opzione solidaristica non
sia ritenuta utile dall’ente titolare dell’avanzo, in capo allo stesso permane
la disponibilità del suo impiego.
Diversi e concordanti elementi esegetici
corroborano questa opzione interpretativa.
8.2.– Anzitutto, la mancata previsione
dell’avanzo di amministrazione tra le entrate disponibili deriva dal fatto che
la norma contestata è riferita al momento di redazione del bilancio di
previsione, mentre l’accertamento del risultato di amministrazione dell’anno precedente
avviene a esercizio inoltrato con l’approvazione del rendiconto. Solo dopo
l’eventuale accertamento del risultato positivo, la risorsa può essere iscritta
in bilancio con apposita variazione in entrata e in uscita (con destinazione
che – salvo casi eccezionali – dovrebbe essere rivolta a spese di
investimento).
È evidente che la mancata iscrizione dell’avanzo
di amministrazione nel bilancio di previsione deriva dalla fisiologia temporale
della gestione contabile e dal collegato principio di copertura della spesa,
secondo cui qualsiasi intervento può essere realizzato solo dopo l’accertamento
dell’esistenza della correlata risorsa.
Proprio in ossequio al principio della previa
copertura, questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima l’applicazione
dell’avanzo presunto al bilancio di previsione regionale (sentenze n. 279 del
2016, n. 250
e n. 266 del
2013 e n.
192 del 2012). A ben vedere, di tale principio il primo periodo dell’art. 1
costituisce mero corollario, poiché all’inizio dell’esercizio finanziario il
risultato di quello precedente non può essere accertato nelle forme di legge.
8.3.– Un’interpretazione vincolante del
"conferimento” dell’avanzo verrebbe poi a costituire una contribuzione a carico
del titolare dell’avanzo stesso in favore delle esigenze della finanza pubblica
allargata, senza che ne sussistano gli estremi.
Sul punto, è da condividere l’assunto della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, la quale osserva che «l’avanzo di
amministrazione dell’esercizio precedente, una volta che sia stato
[correttamente] accertato e rappresentato nei rendiconti, [diventa] un elemento
patrimoniale della Regione, che la norma impugnata, secondo quanto qui
prospettato, renderebbe indisponibile da parte dell’ente […], generando una
situazione equivalente alla sottrazione materiale di risorse, analoga alla
previsione di una riserva all’erario o di un accantonamento di entrata a valere
sulle quote di tributi erariali di spettanza regionale».
Ove si interpretasse la disposizione come
imposizione di impiego dell’avanzo di amministrazione, l’operazione
normativamente imposta si verrebbe a configurare come un contributo ai vincoli
di finanza pubblica senza averne i necessari requisiti e presupposti tra i
quali è opportuno ricordare: a) la
previa quantificazione; b) la
proporzionalità rispetto alle condizioni economico-finanziarie dell’ente
assoggettato; c) il puntuale
collegamento alla manovra di finanza pubblica realizzata dallo Stato (sentenze n. 188 del
2016, n. 155
e n. 19 del 2015).
Questa Corte ha ritenuto che una determinazione
unilaterale dello Stato, comunque provvisoria, di tale contribuzione è
ammissibile solo quando la tempistica della manovra di finanza pubblica non
consenta un previo contraddittorio e una piena concertazione con le autonomie
interessate (sentenza
n. 19 del 2015). Tale straordinaria misura deve essere prevista in modo
chiaro, trasparente, imparziale e proporzionato al fine di consentire che i
sacrifici siano equamente ripartiti tra le comunità territoriali interessate e
che gli amministratori di dette comunità abbiano riferimenti attendibili per
l’ottimale impiego delle risorse effettivamente a disposizione dopo l’eventuale
conferimento del contributo. Il principio risulta, tra l’altro, espresso
nell’art. 5, comma 2, lettera c),
della legge cost. n. 1 del 2012, il quale dispone che «[l]a legge di cui al
comma 1 disciplina altresì: […] le modalità attraverso le quali i Comuni, le
Province, le Città metropolitane, le Regioni e le Province autonome di Trento e
di Bolzano concorrono alla sostenibilità del debito del complesso delle
pubbliche amministrazioni».
8.4.– A ben vedere, l’impiego dell’avanzo quale
contributo ai vincoli di finanza pubblica come ipotizzato dalla Regione
ricorrente sarebbe intrinsecamente contrario anche ai principi di eguaglianza e
proporzionalità nella determinazione del sacrificio posto a carico dei singoli
enti, poiché la sua dimensione sarebbe del tutto casuale e legata all’episodico
concatenarsi delle varie dinamiche dei singoli bilanci. Sotto tale profilo
sarebbe altresì irragionevole, perché verrebbe a costituire una immotivata
penalizzazione finanziaria per le gestioni virtuose, atteso che la
realizzazione di un risultato positivo – salvo il caso di gravi carenze nella
prestazione dei servizi alla collettività – è di regola indice di una condotta
virtuosa dell’ente territoriale.
8.5.– Vi è, infine, un ulteriore e decisivo
elemento interpretativo che si ricava direttamente dalla vigente formulazione
dell’art. 97 Cost., parametro evocato dalla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia. Invero, la disposizione costituzionale prevede, dopo la riforma, che
per tutte le pubbliche amministrazioni l’equilibrio dei rispettivi bilanci sia
prodromico al buon andamento e all’imparzialità dell’azione amministrativa. La
seconda parte del primo comma di tale articolo contempla poi la partecipazione
delle amministrazioni stesse alla «sostenibilità del debito pubblico» (tra le
altre, sentenza
n. 60 del 2013).
In relazione alla fattispecie in esame non è
possibile, per i motivi precedentemente esposti, configurare la norma impugnata
come un contributo alla sostenibilità.
Rimane, invece, ai fini interpretativi di tale
disposizione, un doveroso riferimento alla prima parte del primo comma
dell’art. 97 Cost., poiché il risultato di amministrazione è parte integrante,
anzi coefficiente necessario, della qualificazione del concetto di «equilibrio
dei bilanci».
Nell’articolazione teleologica del precetto
costituzionale, la quale può essere tradotta, sotto il profilo dinamico, nella
continua ricerca degli equilibri – la materia finanziaria è "viva” e sottoposta
a una notevole quantità di variabili che non consentono, se non casualmente, il
raggiungimento e il mantenimento di una situazione stabile e definitiva
–,quello che viene in rilievo nel presente ragionamento, cioè l’equilibrio di
bilancio ex post, corrisponde
all’assenza di un disavanzo al termine dell’esercizio finanziario. E tuttavia
il buon andamento presuppone anche che al positivo risultato finanziario faccia
riscontro una corretta e ottimale erogazione dei servizi e delle prestazioni
sociali rese alla collettività.
Sotto tale profilo, il miglior rapporto tra
equilibrio del bilancio e buon andamento dell’azione amministrativa risiede in
un armonico perseguimento delle finalità pubbliche attraverso il minor impiego
possibile delle risorse acquisite mediante i contributi e il prelievo fiscale;
in sostanza, un ottimale rapporto tra efficienza ed equità.
8.6.– Alla luce di tali considerazioni, l’avanzo
di amministrazione non può essere oggetto di "prelievo forzoso” attraverso
indirette prescrizioni tecniche come quelle impugnate dalla ricorrente.
In definitiva, risulta con chiarezza dalle
considerazioni precedenti che l’avanzo di amministrazione, una volta accertato
nelle forme di legge, è nella disponibilità dell’ente che lo realizza, secondo
quanto precedentemente precisato.
9.– Anche le questioni sollevate da tutte le
autonomie speciali ricorrenti nei confronti dell’art. 1, comma 1, lettera b), secondo e terzo periodo, della legge
n. 164 del 2016, inerenti all’utilizzazione del fondo pluriennale vincolato,
sono infondate nei termini di seguito precisati.
Le censure riguardano la pretesa illegittimità
delle limitazioni previste dalla norma impugnata all’utilizzazione, a partire
dall’esercizio 2017, delle risorse già destinate negli esercizi precedenti al
finanziamento delle spese programmate e – a tal fine – inserite nel fondo
pluriennale vincolato. Dette censure si basano su una lettura integrata dei
commi 1 e 1-bis dell’art. 9 della
legge n. 243 del 2012, come modificati dall’art. 1, comma 1, lettere a) e b),
della legge n. 164 del 2016. Il comma 1-bis
fisserebbe il contenuto delle entrate e delle spese finali del bilancio di
previsione, precludendo per alcune annualità l’inclusione del fondo pluriennale
vincolato, mentre il citato comma 1 stabilirebbe l’ancoraggio di tali titoli di
entrata e di spesa al concetto di equilibrio di bilancio. Detta relazione
verrebbe a sottrarre, in favore di pretesi vincoli di finanza pubblica assunti
dallo Stato, alcune risorse già impegnate – in relazione a obbligazioni
passive, indefettibili nei modi, nelle quantità e nei tempi già fissati – per
programmi e investimenti approvati e finanziariamente coperti negli esercizi
precedenti.
In tal modo il fondo pluriennale vincolato,
anziché funzionare come garanzia conservativa di risorse non erogate ma
vincolate nel fine, subirebbe un’eterogenesi strumentale agli equilibri della
finanza pubblica allargata, al contempo provocando una scopertura sopravveniente
di iniziative già approvate e, in ragione di ciò, un conseguente squilibrio per
il bilancio dell’ente territoriale investito dalla contestata novella
legislativa.
L’art. 9, comma 1-bis, della legge n. 243 del 2012 stabilisce che, «[a]i fini dell’applicazione del comma 1, le entrate
finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di
bilancio previsto dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e le spese
finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema di
bilancio. Per gli anni 2017-2019, con la legge di bilancio, compatibilmente con
gli obiettivi di finanza pubblica e su base triennale, è prevista
l’introduzione del fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa. A
decorrere dall’esercizio 2020, tra le entrate e le spese finali è incluso il
fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate
finali». Il comma 1 dispone che «[i]I bilanci delle regioni, dei comuni, delle
province, delle Città metropolitane e delle province autonome di Trento e di
Bolzano si considerano in equilibrio quando, sia nella fase di previsione che
di rendiconto, conseguono un saldo non negativo, in termini di competenza, tra
le entrate finali e le spese finali, come eventualmente modificato ai sensi
dell’articolo 10».
Le censure, in buona parte coincidenti, possono
essere così sintetizzate: a)
violazione di specifiche norme statutarie; b)
lesione degli equilibri dei propri bilanci e di quelli degli enti territoriali
operanti sul proprio territorio; c)
violazione del principio di copertura delle spese aventi valenza pluriennale,
di cui all’art. 81 Cost.; d)
violazione del principio di buon andamento, con particolare riferimento al
principio di programmazione; e)
necessità che per la copertura delle spese pluriennali debbano essere
utilizzate nuove risorse inerenti all’esercizio sul quale ricadono le scadenze
temporali dei relativi pagamenti; f)
incisione della potestà legislativa esclusiva e della corrispondente potestà
amministrativa in materia di finanza locale; g) lesione dei principi di ragionevolezza, di eguaglianza e di
leale collaborazione; h) violazione
del principio della riserva di legge sotto il profilo del rinvio alla legge
ordinaria senza rispetto del procedimento previsto per quella rinforzata.
Così raggruppate, tutte le censure mirano a
caducare le norme che inciderebbero sulla fisiologica gestione del fondo
pluriennale vincolato. Le ricorrenti, infatti, non contestano le disposizioni
del d.lgs. n. 118 del 2011 che disegnano una disciplina unitaria di detto
fondo, bensì le varianti a loro dire imposte dalle disposizioni impugnate. Di
tal che la non fondatezza di tale assunto interpretativo inficia tutte le predette censure.
In linea generale, occorre riconoscere che la
complessa formulazione delle disposizioni impugnate e le difese svolte dal
Presidente del Consiglio dei ministri sono idonee a ingenerare il dubbio che
esse si configurino effettivamente come prescrittive di contribuzioni vincolate
alla realizzazione di obiettivi generali della finanza pubblica allargata. Per
quanto in seguito specificato, le disposizioni impugnate sarebbero però in
contrasto con i parametri costituzionali evocati dalle ricorrenti se non se ne
offrisse una lettura alternativa, costituzionalmente orientata.
A quest’ultima soluzione si deve accedere,
interpretando le norme nel senso che le disposizioni impugnate non alterano la
struttura e la gestione temporale del fondo pluriennale vincolato. Ne consegue
che – contrariamente a quanto lamentato dalle ricorrenti – accertamenti,
impegni, obbligazioni attive e passive rimangono rappresentati e gestiti in
bilancio secondo quanto programmato a suo tempo dall’ente territoriale.
Pertanto, l’iscrizione o meno nei titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dell’entrata e nei
titoli 1, 2 e 3 della spesa deve essere intesa in senso meramente
tecnico-contabile, quale criterio armonizzato per il consolidamento dei conti
nazionali. Tale aggregazione contabile non incide né quantitativamente né
temporalmente sulle risorse legittimamente accantonate per la copertura di
programmi, impegni e obbligazioni passive concordate negli esercizi anteriori
alle scadenze del fondo pluriennale vincolato.
Riportando la lettura di tali disposizioni alla
loro finalità di aggregazione macroeconomica, vengono a cadere tutti i pretesi
pregiudizi per le finanze delle autonomie ricorrenti. Queste ultime, unitamente
agli altri enti territoriali, mantengono, infatti, la piena facoltà di gestire secundum legem il
fondo pluriennale vincolato, indipendentemente dalla sua collocazione nei
contestati titoli di bilancio.
Al contrario, pur non implausibile nella sua
formulazione letterale, l’interpretazione della disposizione suggerita dalle
ricorrenti – e sostanzialmente avallata dalla stessa Avvocatura generale dello
Stato – risulta costituzionalmente non conforme per le molteplici ragioni di
seguito specificate, che corroborano l’opzione ermeneutica adeguatrice
precedentemente enunciata, atteso che, secondo quanto precisato, viene
garantita l’utilizzazione del fondo pluriennale vincolato per gli obiettivi e
le scadenze programmati nel tempo dai singoli enti territoriali.
9.1.– Anzitutto, l’interpretazione adeguatrice è conforme alla ratio dell’istituto del fondo pluriennale vincolato, il quale è
finalizzato a gestire in modo coerente e funzionale l’introduzione, nella
contabilità degli enti territoriali, della cosiddetta "competenza rinforzata”.
Detto principio trova disciplina nel d.lgs. n. 118 del 2011, allegato 1, punto
16, il quale prescrive che «[t]utte le obbligazioni
giuridicamente perfezionate attive e passive, che danno luogo a entrate e spese
per l’ente, devono essere registrate nelle scritture contabili quando
l’obbligazione è perfezionata, con imputazione all’esercizio in cui
l’obbligazione viene a scadenza. È, in ogni caso, fatta salva la piena
copertura finanziaria degli impegni di spesa giuridicamente assunti a
prescindere dall’esercizio finanziario in cui gli stessi sono imputati.
L’accertamento costituisce la fase dell’entrata con la quale si perfeziona un
diritto di credito relativo ad una riscossione da realizzare e si imputa
contabilmente all’esercizio finanziario nel quale il diritto di credito viene a
scadenza».
Per assicurare tale impostazione diacronica
degli accertamenti, degli impegni e delle correlate transazioni finanziarie,
l’art. 3 del d.lgs. n. 118 del 2011 prevede che «[… a]l
fine di dare attuazione al principio contabile generale della competenza
finanziaria enunciato nell’allegato 1, gli enti di cui al comma 1 provvedono,
annualmente, al riaccertamento dei residui attivi e passivi, verificando, ai
fini del rendiconto, le ragioni del loro mantenimento. […] Le entrate e le
spese accertate e impegnate non esigibili nell’esercizio considerato, sono
immediatamente reimputate all’esercizio in cui sono
esigibili. La reimputazione degli impegni è
effettuata incrementando, di pari importo, il fondo pluriennale di spesa, al
fine di consentire, nell’entrata degli esercizi successivi, l’iscrizione del
fondo pluriennale vincolato a copertura delle spese reimputate.
[…] Al fine di dare attuazione al principio contabile generale della competenza
finanziaria enunciato nell’allegato 1 al presente decreto, gli enti di cui al
comma 1, a decorrere dall’anno 2015, iscrivono negli schemi di bilancio di cui
all’art. 11, comma 1, lettere a) e b), il fondo per la copertura degli
impegni pluriennali derivanti da obbligazioni sorte negli esercizi precedenti,
di seguito denominato fondo pluriennale vincolato, costituito: a) in entrata,
da due voci riguardanti la parte corrente e il conto capitale del fondo, per un
importo corrispondente alla sommatoria degli impegni assunti negli esercizi
precedenti ed imputati sia all’esercizio considerato sia agli esercizi
successivi, finanziati da risorse accertate negli esercizi precedenti, determinato
secondo le modalità indicate nel principio applicato della programmazione, di
cui all’allegato 4/1; b) nella spesa, da una voce denominata "fondo pluriennale
vincolato”, per ciascuna unità di voto riguardante spese a carattere
pluriennale e distintamente per ciascun titolo di spesa. Il fondo è determinato
per un importo pari alle spese che si prevede di impegnare nel corso del primo
anno considerato nel bilancio, con imputazione agli esercizi successivi e alle
spese già impegnate negli esercizi precedenti con imputazione agli esercizi
successivi a quello considerato. La copertura della quota del fondo pluriennale
vincolato riguardante le spese impegnate negli esercizi precedenti è costituita
dal fondo pluriennale iscritto in entrata, mentre la copertura della quota del
fondo pluriennale vincolato riguardante le spese che si prevede di impegnare
nell’esercizio di riferimento con imputazione agli esercizi successivi, è
costituita dalle entrate che si prevede di accertare nel corso dell’esercizio
di riferimento».
Si può dire che, così espressa, la
qualificazione normativa del fondo pluriennale vincolato costituisce una
definizione identitaria univoca dell’istituto, la cui disciplina è
assolutamente astretta dalla finalità di conservare la copertura delle spese
pluriennali. Ciò comporta che nessuna disposizione – ancorché contenuta nella
legge rinforzata – ne possa implicare un’eterogenesi semantica e funzionale
senza violare l’art. 81 della Costituzione.
Pertanto, dall’analitica definizione normativa
del fondo pluriennale vincolato, si ricava che la norma censurata non può
essere interpretata come modificativa della copertura delle obbligazioni e
degli impegni legittimamente assunti dall’ente territoriale cui corrisponde il
vincolo del fondo pluriennale,"naturalmente”
finalizzato a conservare le risorse necessarie per onorare le relative scadenze
finanziarie.
L’esposta interpretazione adeguatrice
viene confermata da ulteriori e convergenti elementi ermeneutici che depongono a contrario rispetto all’assunto delle
ricorrenti.
9.2.– Occorre considerare, in riferimento
all’ambito nazionale e a quello dell’Unione europea, che gli equilibri
finanziari custoditi dallo Stato con riguardo al bilancio, inteso come
documento espressivo dell’intera finanza pubblica allargata, sono
ontologicamente diversi da quelli prescritti per le pubbliche amministrazioni uti singulae.
Questi ultimi si configurano sostanzialmente come situazione dinamica di
bilanciamento tra componenti attive e passive dei singoli bilanci, mentre i
primi sono entità macroeconomiche alla cui equilibrata corrispondenza gli enti
del settore pubblico allargato concorrono pro
quota attraverso regole chiare e predefinite in relazione all’andamento dei
cicli economici e alla situazione del debito pubblico. Deve essere condiviso
l’assunto della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, secondo cui
«l’equilibrio dei rispettivi bilanci [costituisce] una sorta di garanzia
reciproca che tutti i livelli di governo mutualmente si prestano».
In proposito, è opportuno ricordare – come già
precedentemente precisato – che la nuova formulazione del primo comma dell’art.
97 Cost. riguarda per la prima parte gli equilibri dei singoli enti, mentre la
seconda afferisce alla doverosa contribuzione di questi ultimi al comune
obiettivo macroeconomico di assicurare la sostenibilità del debito nazionale.
Il primo precetto si sostanzia nel divieto – per
ciascun ente – di previsioni di disavanzo economico e nella continua ricerca
dell’equilibrio tendenziale nella gestione finanziaria, in relazione alle
dinamiche interne ed esterne che caratterizzano l’attuazione concreta delle
politiche di bilancio. Il secondo comporta la contribuzione di ciascuna
amministrazione al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica nazionali
ed europei, assicurando a tal fine risorse e specifici comportamenti
finanziari. Oltre ai canoni di ragionevolezza, la contribuzione deve essere
improntata a trasparenza, proporzionalità e previa quantificazione. Ciò con
particolare riguardo agli enti territoriali la cui autonomia finanziaria può
subire limitazioni, ma nel rispetto dei principi costituzionali e in
particolare di quelli contenuti nel Titolo V della Costituzione.
Le disposizioni impugnate non possiedono
connotati idonei alla loro qualificazione nei termini precedentemente
precisati, dal momento che non contengono previsione, stima, quantificazione e
modalità della pretesa contribuzione agli obiettivi di finanza pubblica.
9.3.– L’interpretazione delle ricorrenti non
risulta neppure in linea con i precetti di copertura e di equilibrio contenuti
nell’art. 81 Cost. Il bilancio non può considerarsi in equilibrio in assenza di
copertura delle spese impegnate e degli oneri derivanti da obbligazioni già
perfezionate. Tale copertura avviene attraverso l’accantonamento e il
conseguente vincolo giuridico posto su cespiti appropriati.
La ventilata possibilità che il vincolo
autorizzatorio all’esecuzione di tali spese – nella fattispecie contenuto nel
fondo pluriennale vincolato – possa essere rimosso ex lege, costringendo l’ente territoriale a trovare nuove coperture
o a rendersi inadempiente, è un’opzione ermeneutica che entra in diretta
collisione con i precetti contenuti nell’art. 81 Cost. Neppure la legge
rinforzata potrebbe introdurre una statuizione di tal genere: quest’ultima
colliderebbe con il principio di previa e costante copertura della spesa dal
momento dell’autorizzazione fino a quello dell’erogazione.
In definitiva, la disciplina degli equilibri
economico-finanziari del bilancio di competenza non può prescindere dai profili
giuridici inerenti alla gestione dei cespiti attivi e passivi e, di
conseguenza, al risultato di amministrazione, nella cui determinazione non
possono confluire partite contabili aleatorie o di incerta realizzazione. Ove
fosse condivisa la lettura delle ricorrenti, il concetto di equilibrio dei
singoli bilanci pubblici sarebbe sottomesso a una serie di potenziali variabili
normative che metterebbero in crisi non solo l’equilibrio patrimoniale
dell’ente, ma la sua stessa immagine di soggetto operante sul mercato in
qualità di committente.
È evidente che per tutelare l’affidabilità di
soggetto pagatore dell’amministrazione occorre assicurare che la previa
copertura della relativa spesa sia "giuridicamente valida”, cioè sorretta da
tutte le garanzie a favore dei crediti, ivi compresa l’intangibilità della
provvista a suo tempo accantonata per onorarli. Anche in questo caso
l’interpretazione adeguatrice è sorretta dal rilievo
che le contestate disposizioni non contemplano né un blocco degli impegni e dei
pagamenti contenuti nel fondo pluriennale vincolato né una loro copertura
alternativa.
9.4.– Sotto il profilo ermeneutico è rilevante
anche il richiamo dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 114
del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e alle direttive
europee del 29 giugno 2000, n. 2000/35/CE (Direttiva del Parlamento europeo e
del Consiglio relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle
transazioni commerciali) – recepita dal decreto legislativo 9 ottobre 2002, n.
231 (Attuazione della direttiva 2000/35/UE relativa alla lotta contro i ritardi
di pagamento nelle transazioni commerciali) – e 16 febbraio 2011, n. 2011/7/UE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro i
ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali-rifusione) – recepita dal
decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192 (Modifiche al decreto legislativo 9
ottobre 2002, n. 231, per l’integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE
relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni
commerciali, a norma dell’articolo 10, comma 1, della legge 11 novembre 2011,
n. 180) – che ne hanno dato attuazione ai fini della garanzia del corretto
svolgimento delle transazioni stesse.
Il principio contenuto nel richiamato art. 114
del TFUE e nelle direttive n. 2000/35/CE (che aveva dettato una rigorosa
disciplina della decorrenza degli interessi moratori alla scadenza del termine
pattuito o di quello legale) e n. 2011/7/UE (che ha stabilito in materia misure
ancora più incisive) ha comportato un’azione di forte contrasto al fenomeno del
ritardo nei pagamenti afferenti alle transazioni commerciali.
I ritardi nei pagamenti sono considerati
dall’Unione europea come causa di gravi pregiudizi per la gestione finanziaria
delle singole imprese, in quanto ne compromettono competitività e redditività.
Considerato che alle amministrazioni pubbliche
fa capo un volume considerevole di tali transazioni e delle relative
disfunzioni, che pregiudicano le imprese in quanto «il creditore deve ricorrere
ad un finanziamento esterno a causa di ritardi nei pagamenti [e che] il rischio
di tali effetti negativi aumenta considerevolmente nei periodi di recessione
economica, quando l’accesso al finanziamento diventa più difficile» (terzo
considerando della direttiva n. 2011/7/UE), la Commissione europea ha
fortemente incrementato negli ultimi anni la vigilanza sulle prassi nazionali
non in linea con la cosiddetta "cultura dei pagamenti rapidi”.
Se, attraverso la puntuale attuazione delle
richiamate direttive, l’Italia ha ottemperato all’adeguamento della propria
legislazione, altrettanto non può dirsi in tema di gestione amministrativa dei
pagamenti, nell’ambito della quale gli sforzi del legislatore nazionale sono
stati costanti ma non ancora tali da raggiungere pienamente l’obiettivo
europeo.
Ed è proprio sotto questo profilo che la non
corretta interpretazione delle disposizioni impugnate costituirebbe un grave
passo indietro nel tempestivo adempimento delle obbligazioni passive.
È opportuno a tal proposito ricordare che la
Commissione europea, il 18 giugno 2014, ha notificato all’Italia una messa in mora
ai sensi dell’art 258 del TFUE per violazione degli artt. 2, 4 e 7 della
direttiva n. 2011/7/UE (Procedura di infrazione n. 2014/2143). Secondo la
Commissione europea esisteva un’evidente discrepanza tra le disposizioni
recepite e il concreto andamento delle attività contrattuali delle
amministrazioni nazionali e, in particolare, degli enti territoriali.
Il legislatore nazionale, proprio per porre
riparo alla perdurante prassi illegittima, aveva già adottato il decreto-legge
8 aprile 2013, n. 35 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica
amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di
tributi degli enti locali), convertito,
con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, per consentire agli enti incapaci di provvedere tempestivamente ai
pagamenti di usufruire delle liquidità necessarie per ovviare alle ricorrenti
censure europee sui ritardi (sulla natura delle anticipazioni di liquidità, sentenze n. 89 del
2017 e 181
del 2015). Ad oggi, parte delle anticipazioni di liquidità stanziate con il
suddetto d.legge n. 35 del
2013 sono ancora in corso di utilizzazione da parte degli enti locali in
ritardo con i pagamenti.
Se l’art. 1, comma 1, lettera b) della legge n. 164 del 2016 fosse
interpretato nel senso proposto dalle ricorrenti, il conseguente pregiudizio
all’adempimento delle obbligazioni passive verrebbe a riprodurre i lamentati
inconvenienti e a pregiudicare il piano di contrasto al richiamato fenomeno
disfunzionale. Ciò senza considerare l’effetto negativo sulla coerenza della
legislazione nazionale in materia, che diventerebbe particolarmente
contraddittoria.
Al contrario, la già esposta interpretazione adeguatrice comporta l’assoluta neutralità delle
disposizioni impugnate e la conseguente possibilità di utilizzare il fondo
pluriennale vincolato alle scadenze e per gli importi programmati.
9.5.– Un ultimo conforto esegetico – in
riferimento ai ricorsi della Regione autonoma Trentino Alto
Adige/Südtirol e delle
Province autonome di Trento e di Bolzano – può essere ricavato dallo stesso
Statuto speciale. Nel Titolo VI dello statuto speciale, dedicato alla finanza
della Regione autonoma e delle Province autonome, modificato con le leggi 23
dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato «8legge finanziaria 2010)», e 23 dicembre
2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», adottate sulla base di
specifici accordi in virtù dell’art. 104 dello statuto speciale, è prevista una
puntuale regolazione del concorso della Regione autonoma e delle Province
autonome agli oneri del debito pubblico.
In particolare, poiché i commi 4-bis e 4-ter
dell’art. 79 dello statuto speciale regolano specificamente il concorso della
Regione autonoma e delle Province autonome al pagamento degli oneri del debito
pubblico e sono stati introdotti dall’art. 1, comma 407, della legge n. 190 del
2014, in epoca successiva alla legge cost. n. 1 del 2012, «si deve ritenere che
[la norma impugnata], non potendo discostarsi dalle prime in quanto di rango sottordinato, debba essere intes[a],
in base al criterio dell’interpretazione adeguatrice,
nel senso che ess[a] non incide, né sulla misura, né
sulle modalità del concorso della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province
autonome alla riduzione del debito pubblico e parimenti nel senso che tale
concorso resta quello stabilito dalle norme statutarie citate». (sentenza n. 237 del
2017).
Peraltro, l’art. 79, comma 4,
primo periodo, dello Statuto speciale, così come modificato, «espressamente
esclude l’applicabilità alla Regione, alle Province e gli enti appartenenti al
sistema territoriale regionale di meccanismi di concorso alla riduzione del
debito pubblico tramite versamenti a un fondo statale (segnatamente esclude che
siano loro applicabili disposizioni statali che prevedono "obblighi, oneri,
accantonamenti, riserve all’erario o concorsi comunque denominati, ivi inclusi
quelli afferenti il patto di stabilità interno, diversi da quelli previsti dal
presente titolo”)» (sentenza n. 237 del
2017).
9.6.– In definitiva, l’art. 1, comma 1, lettera b), secondo e terzo periodo, della legge
n. 164 del 2016, deve essere inteso nel senso che il fondo pluriennale
vincolato continua a essere strutturato in modo tale che accertamenti, impegni,
obbligazioni attive e passive sono rappresentate e gestite in bilancio secondo
i richiamati canoni basilari dell’istituto. L’iscrizione o meno nei titoli 1,
2, 3, 4 e 5 dell’entrata e nei titoli 1, 2 e 3 della spesa deve essere intesa
in senso tecnico-contabile, come criterio matematico armonizzato ai fini del
consolidamento dei conti nazionali, mentre devono ritenersi inalterate e
intangibili le risorse legittimamente accantonate per la copertura di
programmi, impegni e obbligazioni passive concordate negli esercizi anteriori
alla scadenza.
Gli aggregati in discussione – è bene ricordarlo
– non esauriscono la consistenza del bilancio degli enti territoriali per cui,
ove non specificamente ivi inserito, il fondo pluriennale vincolato può trovare
allocazione e gestione conforme in diversa partita contabile. In proposito è
utile considerare che, se gli schemi armonizzati sono attuazione di quel
processo sincretico afferente all’interdipendenza dei parametri costituzionali
di natura finanziaria (sentenza n. 184 del
2016), è implausibile che la loro mutevole articolazione possa indurre,
ancorché attraverso una legge rinforzata, la novazione di tale complesso quadro
costituzionale.
Come già specificato, se le disposizioni
impugnate fossero interpretate come fonte di contribuzione ai vincoli di
finanza pubblica, esse sarebbero illegittime in riferimento a entrambi i
precetti dell’art. 97, primo comma, Cost.: da un lato, lederebbero l’equilibrio
di bilancio del singolo ente attraverso la modifica ex lege di programmi ed obbligazioni già assunte; dall’altro,
baserebbero la manovra di finanza pubblica su elementi incerti e aleatori,
quali i risparmi fondati su entità economiche in fieri come il fondo pluriennale vincolato.
Al contrario, riportando la lettura di tali
disposizioni alla mera specificazione di aggregati economico-finanziari senza
alcun effetto precettivo sul quadro normativo di riferimento, non si verifica
alcuno dei lamentati pregiudizi per gli enti territoriali. Questi ultimi
mantengono, infatti, la piena facoltà di gestire, secondo l’art. 42 del d.lgs.
n. 118 del 2011, il fondo pluriennale vincolato, indipendentemente dalla sua
collocazione nei contestati titoli di bilancio.
10.– Questa Corte non ignora il pericolo che
l’accentuarsi della complessità tecnica della legislazione in materia
finanziaria possa determinare effetti non in linea con il dettato
costituzionale e creare delle zone d’ombra in grado di rendere ardua la
giustiziabilità di disposizioni non conformi a Costituzione. In ogni caso, è
concreto il rischio che un tale modo di legiferare pregiudichi la trasparenza
in riferimento al rapporto tra politiche di bilancio, responsabilità politica
delle strategie finanziarie e accessibilità alle informazioni da parte delle
collettività amministrate.
Proprio a tutela del corretto esercizio del
mandato elettorale questa Corte ha affermato che «Occorre ricordare che il
bilancio è un "bene pubblico” nel senso che è funzionale a sintetizzare e
rendere certe le scelte dell’ente territoriale, sia in ordine all’acquisizione
delle entrate, sia alla individuazione degli interventi attuativi delle
politiche pubbliche, onere inderogabile per chi è chiamato ad amministrare una
determinata collettività ed a sottoporsi al giudizio finale afferente al
confronto tra il programmato ed il realizzato. […] Il carattere funzionale del
bilancio preventivo e di quello successivo, alla cui mancata approvazione, non
a caso, l’ordinamento collega il venir meno del consenso della rappresentanza
democratica, presuppone quali caratteri inscindibili la chiarezza, la
significatività, la specificazione degli interventi attuativi delle politiche
pubbliche. Sotto tale profilo, i moduli standardizzati dell’armonizzazione dei
bilanci, i quali devono innanzitutto servire a rendere omogenee, ai fini del
consolidamento dei conti e della loro reciproca confrontabilità, le contabilità
dell’universo delle pubbliche amministrazioni, così articolato e variegato in
relazione alle missioni perseguite, non sono idonei, di per sé, ad illustrare
le peculiarità dei programmi, delle loro procedure attuative,
dell’organizzazione con cui vengono perseguiti, della rendicontazione di quanto
realizzato. Le sofisticate tecniche di standardizzazione, indispensabili per i controlli
della finanza pubblica ma caratterizzate dalla difficile accessibilità
informativa per il cittadino di media diligenza, devono essere pertanto
integrate da esposizioni incisive e divulgative circa il rapporto tra il
mandato elettorale e la gestione delle risorse destinate alle pubbliche
finalità» (sentenza n. 184 del 2016).
La necessità di assicurare un profilo
divulgativo delle finalità perseguite e dei contenuti normativi riguarda anche
lo Stato e detto profilo deve sempre corredare la tecnicità degli enunciati in subiecta materia, per rappresentare in
modo comprensibile «le qualità e le quantità di relazione tra le risorse
disponibili e gli obiettivi in concreto programmati al fine di delineare un
quadro omogeneo, puntuale, completo e trasparente della complessa
interdipendenza tra i fattori economici e quelli socio-politici connaturati e
conseguenti alle scelte effettuate» (ancora sentenza n. 184 del
2016).
In relazione al concreto pericolo di
reiterazione di situazioni di problematica compatibilità della legislazione in
materia finanziaria con il dettato costituzionale, è opportuno che il
legislatore adotti una trasparenza divulgativa a corredo degli enunciati di più
complessa interpretazione e attuazione, poiché non potrebbe ritenersi
consentito un abuso della "tecnicità contabile” finalizzato a creare indiretti
effetti novativi sulla disciplina specificativa dei principi costituzionali di
natura finanziaria e di quelli ad essi legati da un rapporto di
interdipendenza.
11.– La Regione Veneto, infine, impugna l’art.
1, comma 1, lettera e), della
medesima legge n. 164 del 2016, che attribuisce alla legge dello Stato la
determinazione di premi e di sanzioni da applicare alle Regioni, ai Comuni,
alle Province, alle Città metropolitane e alle Province autonome di Trento e di
Bolzano, in riferimento agli artt. 5 e 114 Cost. «e mediatamente» agli artt.
117, 118, 119 e 120 Cost.
Secondo la Regione ricorrente, la previsione di
«"premi” e "sanzioni”, dal sapore "paternalista”», si fonderebbe su una
concezione delle relazioni tra l’amministrazione dello Stato e gli enti
territoriali non paritetica, né rispettosa dell’autonomia costituzionalmente
garantita e costituirebbe un grave pregiudizio anche per il cittadino, che
sarebbe penalizzato per il solo fatto di risiedere in un dato ambito
territoriale.
11.1.– La questione è inammissibile.
La disposizione impugnata, nel sostituire il
previgente comma 4 dell’art. 9 della legge n. 243 del 2012, demanda alla legge
dello Stato la definizione dei premi e delle sanzioni da applicare alle
Regioni, ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Province
autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione delle disposizioni di cui al
medesimo articolo. Prevede, inoltre, che detta legge si attenga ai princìpi di
proporzionalità fra premi e sanzioni e tra queste ultime e le violazioni; e che
i proventi delle sanzioni siano destinati a favore dei premi agli enti del
medesimo comparto che hanno rispettato i propri obiettivi.
Parimenti, il testo originario dell’art. 9 della
legge n. 243 del 2012 prevedeva che con legge dello Stato venissero definite le
sanzioni da applicare nel caso di mancato conseguimento dell’equilibrio
gestionale.
La legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di
previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per
il triennio 2017-2019), ha, quindi, dato attuazione alla disposizione summenzionata.
La censura non consente di comprendere
l’effettiva lesione delle prerogative regionali, né risulta ancorata ai
parametri evocati, risolvendosi la motivazione nella doglianza del "tono
paternalista” della previsione e nella violazione della posizione paritaria
degli enti stabilita dall’art. 114 Cost. Peraltro, la paventata incidenza
pregiudizievole sulla propria autonomia sarebbe componente connaturata al
carattere premiale-sanzionatorio delle misure adottate, in relazione alle quali
non viene contestata la competenza dello Stato a disciplinare gli effetti del
conseguimento o del mancato conseguimento dell’equilibrio di bilancio.
Neppure risulta adeguatamente sviluppata la
censura in termini di equità fiscale, perché non viene spiegato per quale
motivo il contribuente veneto sarebbe pregiudicato dal meccanismo premiale.
In definitiva, le censure contenute nel ricorso
non raggiungono quella soglia minima – non emendabile nella memoria integrativa
(ordinanza n.
168 del 2016) – di completezza e chiarezza a cui la giurisprudenza di
questa Corte subordina l’ammissibilità delle impugnative in via principale (ex multis, sentenze n. 105 del
2017, n. 249
del 2016, n.
39 del 2014, n.
119 del 2010 e n. 139 del 2006).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle
altre questioni di legittimità costituzionale promosse nei confronti della
legge 12 agosto 2016, n. 164 (Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243 in
materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali);
riuniti i
giudizi,
1)
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera b), primo periodo, della legge 12 agosto 2016, n. 164 (Modifiche
alla legge 24 dicembre 2012, n. 243 in materia di equilibrio dei bilanci delle
regioni e degli enti locali), che introduce nell’art. 9 della legge 24 dicembre
2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di
bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), il comma
1-bis, promossa, in riferimento agli
artt. 3, 81, 97, 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., anche in combinato
disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché in
riferimento agli artt. 4, 8, 48, 49, 51, 63 e 65 della legge costituzionale 31
gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia),
dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con il ricorso indicato in
epigrafe;
2)
dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera b), secondo e terzo periodo, della medesima legge n. 164 del 2016,
promosse, dalla Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento agli artt. 81,
97, secondo comma, 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, nonché agli
artt. 16, 79, 80, 81, 83 e 84 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol), e all’art. 16 del decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello Statuto speciale
per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), con
il ricorso indicato in epigrafe; dalla Provincia autonoma di Trento, in
riferimento agli artt. 3, 97, secondo comma, 117, terzo comma, 119 e 120 Cost.,
anche in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, agli
artt. 8, 16, 79 e 104 del d.P.R. n. 670 del 1972, con il ricorso indicato in
epigrafe; dalla Regione autonoma Trentino Alto Adige/Südtirol, in riferimento agli artt. 3,
97, secondo comma, 117, terzo comma, 119 e 120 Cost., anche in combinato
disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, nonché agli artt. 4,
16, 79 e 84 del d.P.R. n. 670 del 1972, con il ricorso indicato in epigrafe;
dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in riferimento agli artt. 3, 81,
97, 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., anche in combinato disposto con
l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, nonché agli artt. 4, 8, 48, 49, 51,
63 e 65 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia), con il ricorso indicato in epigrafe;
3)
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art.
1, comma 1, lettera e), della
medesima legge n. 164 del 2016, promossa, in riferimento agli artt. 5 e 114
Cost., «e mediatamente» agli artt. 117-120 Cost., dalla Regione Veneto con il
ricorso in epigrafe indicato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 ottobre 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 29
novembre 2017.