SENTENZA N. 188
ANNO 2016
Commento alla decisione di
Gian Paolo Dolso
Prospettive
inedite sui poteri istruttori della Corte costituzionale
per g. c. del Forum di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON
”
- Franco MODUGNO ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 711, 712, 715, 723,
725, 727 e 729, della legge
27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2014), promosso dalla Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia con ricorso notificato il 25 febbraio 2014,
depositato in cancelleria il 3 marzo 2014 ed iscritto
al n. 10 del registro ricorsi 2014.
Visto
l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 14 giugno 2016 il Giudice relatore Aldo Carosi;
uditi l’avvocato Giandomenico Falcon e l’avvocato
dello Stato Wally Ferrante per il Presidente del Consiglio dei ministri.
1.– La
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, con ricorso iscritto al n. 10 del
registro ricorsi dell’anno 2014, impugna, tra l’altro, l’art. 1, commi 711,
712, 715, 723, 725, 727 e 729, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di
stabilità 2014) in riferimento agli artt. 3 e 119, primo, secondo e
quarto comma, della Costituzione, agli artt. 4, numero 1-bis), 48, 49, 51,
secondo comma, 54, 63 e 65 della legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia), in relazione alla normativa di attuazione di cui al
decreto
del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione
dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di
finanza regionale), al decreto
legislativo 2 gennaio 1997, n. 8 (Norme di attuazione dello statuto speciale
per la regione Friuli-Venezia Giulia recanti modifiche ed integrazioni al
D.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114, concernente la finanza regionale), al decreto
legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello statuto speciale
per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti
locali e delle relative circoscrizioni), in relazione al principio di
neutralità finanziaria espresso dall’art. 1, comma 159, della legge
13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2011), nonché in riferimento
ai principi dell’accordo in materia finanziaria e di leale collaborazione.
Il comma
711 stabilisce, tra l’altro, che, «[p]er i comuni
delle regioni a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta e delle
province autonome di Trento e di Bolzano a cui la legge attribuisce competenza
in materia di finanza locale, la compensazione del minor gettito dell’imposta
municipale propria, derivante dai commi 707, lettera c), e 708, avviene
attraverso un minor accantonamento per l’importo di 5,8 milioni di euro a
valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali, ai sensi del comma
17 del citato articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011».
Il comma
712 dispone che, «[a] decorrere dall’anno 2014, per i comuni ricadenti nei
territori delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta, nonché delle
province autonome di Trento e di Bolzano, ai fini di cui al comma 17
dell’articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con
modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 non si tiene conto del
minor gettito da imposta municipale propria derivante dalle disposizioni recate
dal comma 707».
Il comma
715 sostituisce il comma 1 dell’art. 14 del decreto legislativo 14 marzo 2011,
n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale) con il
seguente: «L’imposta municipale propria relativa agli immobili strumentali è
deducibile ai fini della determinazione del reddito di impresa e del reddito
derivante dall’esercizio di arti e professioni nella misura del 20 per cento.
La medesima imposta è indeducibile ai fini dell’imposta regionale sulle
attività produttive».
Il comma
723 statuisce che «Per le somme concernenti gli anni di imposta 2013 e
seguenti, gli enti locali interessati comunicano al Ministero dell’economia e
delle finanze e al Ministero dell’interno gli esiti della procedura del
riversamento di cui al comma 722 al fine delle successive regolazioni, per i
comuni delle regioni a statuto ordinario, della Regione siciliana e della
Regione Sardegna, in sede di Fondo di solidarietà comunale di cui all’articolo
1, comma 380, lettera b), della legge 24 dicembre 2012, n. 228, e, per i comuni
delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta e delle province autonome
di Trento e di Bolzano, in sede di attuazione del comma 17 dell’articolo 13 del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla
legge 22 dicembre 2011, n. 214».
Il comma
725 dispone che: «A decorrere dall’anno di imposta 2012, nel caso in cui sia
stata versata allo Stato, a titolo di imposta municipale propria, una somma
spettante al comune, questo, anche su comunicazione del contribuente, dà
notizia dell’esito dell’istruttoria al Ministero dell’economia e delle finanze
e al Ministero dell’interno il quale effettua le conseguenti regolazioni a
valere sullo stanziamento di apposito capitolo anche di nuova istituzione del
proprio stato di previsione. Relativamente agli anni di imposta 2013 e
successivi, le predette regolazioni sono effettuate, per i comuni delle regioni
a statuto ordinario, della Regione siciliana e della regione Sardegna, in sede
di Fondo di solidarietà comunale di cui all’articolo 1, comma 380, lettera b),
della legge 24 dicembre 2012, n. 228, e, per i comuni delle regioni
Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta e delle province autonome di Trento e di
Bolzano, in sede di attuazione del comma 17 dell’articolo 13 del decreto-legge
6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre
2011, n. 214».
Il comma
727 detta una norma simile per il caso opposto, cioè per il «caso in cui sia
stata versata al comune, a titolo di imposta municipale propria, una somma
spettante allo Stato».
Il comma
729 reca diverse modifiche all’art. l, comma 380, della legge 24 dicembre 2012,
n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato – legge di stabilità 2013) e, tra l’altro, sostituisce la lettera h) dove
si ribadisce che «il comma 17 dell’articolo 13 del decreto-legge n. 201 del
2011 continua ad applicarsi nei soli territori delle regioni Friuli-Venezia
Giulia e Valle d’Aosta e delle province autonome di Trento e di Bolzano».
1.1.– Espone la ricorrente che le disposizioni impugnate recano previsioni
attuative e complementari al meccanismo di riserva del maggior gettito
dell’imposta municipale propria (IMU) applicabili ai Comuni – tra gli altri –
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
Premette la
Regione di aver già impugnato con precedenti ricorsi sia l’art. 13, comma 17,
del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la
crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici) che ha anticipato in
via sperimentale, a decorrere dall’anno 2012, l’istituzione dell’IMU – prevista
dall’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011, sia l’art. 1, comma 380,
lettera f) della legge n. 228 del 2012. In particolare tale lettera f) riserva
allo Stato il gettito dell’IMU previsto dall’art. 13 del d.l.
n. 201 del 2011.
Le
disposizioni impugnate con il presente ricorso, secondo la Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia manterrebbero fermo il meccanismo dell’accantonamento
sulle quote spettanti alla Regione a titolo di compartecipazione ai tributi
erariali, come già previsto dall’art. 13, comma 17, terzo, quarto e quinto
periodo, del d.l. n. 201 del 2011, a sua volta
confermato dall’art. 1, comma 380, lettera h), della legge n. 228 del 2012.
Poiché le
disposizioni impugnate farebbero riferimento agli stessi meccanismi, esse
sarebbero affette dagli stessi vizi denunciati con tali ricorsi. Pertanto la
Regione richiama in questa sede le censure già formulate nei ricorsi iscritti
ai numeri del reg. ric. n. 50 del 2012 e n. 32 del 2013 (non ancora decisi nel
momento di proposizione del presente ricorso).
La Regione
aveva lamentato nei ricorsi richiamati la violazione degli artt. 4, numero
1-bis), 48, 49, 51, secondo comma, 54, 63 e 65 dello statuto nonché l’art. 9
del d.lgs. n. 9 del 1997, in quanto, atteso che l’IMU sostituisce l’IRPEF per
la componente immobiliare e le addizionali regionali o comunali, le
disposizioni impugnate avrebbero attribuito allo Stato risorse di spettanza
regionale o costituenti una componente essenziale della finanza comunale, con
ripercussioni sulla responsabilità regionale in materia (ex artt. 54 dello
statuto e 9 del d.lgs. n. 9 del 1997).
Mediante il
richiamo alla lettera h) del citato comma 380 sarebbe violato altresì il
principio di «neutralità finanziaria» espresso dall’art. 1, comma 159, della
legge n. 220 del 2010 – cui andrebbe riconosciuto valore interpretativo dello
statuto – in quanto le norme impugnate regolerebbero un nuovo tributo,
sostituendolo ad altri preesistenti, con il risultato di spostare risorse dal
sistema regionale allo Stato. Sarebbe poi violato il principio di leale
collaborazione e, in particolare, quello dell’accordo che secondo la ricorrente
dominerebbe le relazioni finanziarie tra lo Stato e le Regioni a statuto
speciale. Secondo la Regione, sia che il meccanismo di cui al citato art. 13,
comma 17, determini l’avocazione allo Stato di risorse di spettanza regionale a
titolo di compartecipazione all’IRPEF per la componente immobiliare e di
addizionali, sia che esso imponga alla Regione di assicurare all’erario il
recupero del maggior gettito con le risorse ad essa affluite in applicazione
delle disposizioni statutarie e di attuazione, sarebbe comunque configurabile
la violazione degli artt. 49 e 51, secondo comma, dello statuto, 4 del d.P.R. n. 114 del 1965 e 6, comma 2, del d.lgs. 2 gennaio
1997, n. 8 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione
Friuli-Venezia Giulia recanti modifiche ed integrazioni al D.P.R. 23 gennaio
1965, n. 114, concernente la finanza regionale). Secondo la ricorrente, la
deroga che la norma pretenderebbe di realizzare ai citati parametri la porrebbe
in contrasto anche con gli artt. 63 e 65 dello statuto. Sarebbe comunque irragionevole
la quantificazione in un importo fisso del recupero che la Regione si vedrebbe
chiamata ad assicurare, stabilita unilateralmente da parte dello Stato, senza
possibilità di conguaglio o rimborso, in contrasto, altresì, con il già evocato
principio consensuale.
Ancora, il
meccanismo di cui al citato art. 13, comma 17, violerebbe gli artt. 48 e 49
dello statuto e l’art. 119, primo, secondo e quarto comma, Cost., infliggendo
un rilevante taglio di risorse al sistema finanziario regionale – ossia quelle rappresentate
dalla componente immobiliare dell’IRPEF, le relative addizionali e la
compensazione dell’esenzione dall’ICI per l’abitazione principale – destinate
al finanziamento delle «funzioni normali» dei comuni, anche in violazione del
principio di «neutralità finanziaria» e del principio consensuale nei rapporti
finanziari tra lo Stato e le Regioni a statuto speciale. Inoltre, risulterebbe
violato l’art. 3 Cost., sia in quanto il meccanismo in
considerazione colpirebbe compartecipazioni ed addizionali di cui solo le
Regioni a statuto speciale disporrebbero, sia perché i Comuni di quelle
ordinarie non perderebbero la compensazione dell’ICI sull’abitazione
principale, confluita nel fondo sperimentale di riequilibrio. Anche
l’accantonamento previsto dall’art. 13, comma 17, del d.l.
n. 201 del 2011 violerebbe l’art. 49 dello statuto, in quanto le risorse
regionali sarebbero previste per essere effettivamente impiegate nello
svolgimento delle funzioni costituzionali. Infine, sarebbe irragionevole la
quantificazione in un importo fisso, senza possibilità di conguaglio o
rimborso, del recupero che la Regione sarebbe chiamata ad assicurare, in
contrasto, altresì, con il già evocato principio consensuale.
2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.
La difesa
erariale deduce l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse in
quanto la Regione non avrebbe dimostrato concretamente in che modo le norme
contestate si traducano in una grave alterazione del rapporto tra i complessivi
bisogni regionali e l’insieme dei mezzi finanziari per farvi fronte (sono
richiamate le sentenze
n. 246 del 2012 e n. 145 del 2008).
Evidenzia
il Presidente del Consiglio che tutti gli enti territoriali sono tenuti al
rispetto degli equilibri generali imposti dalla finanza pubblica e che la Corte
costituzionale (sentenza
n. 26 del 2014) ha ribadito il principio secondo cui a seguito di manovre
di finanza pubblica, poste in essere dal legislatore statale nell’esercizio
della propria competenza esclusiva in materia di «sistema tributario» dello
Stato e «perequazione delle risorse finanziarie» (art. 117, secondo comma,
lettera e), ed anche alla luce della responsabilità internazionale dello Stato
(art. 10 Cost.) e della tutela dell’unità giuridica ed economica (art. 120
Cost.), ben potrebbero anche determinarsi riduzioni nella disponibilità
finanziaria delle Regioni, purché non siano tali da comportare uno squilibrio
incompatibile con le complessive esigenze di spesa regionale. Inoltre, si
evidenzia che la Corte, con la sentenza n. 23 del
2014, ha precisato che il percorso procedurale consensualistico
previsto dall’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in
materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione)
pur ponendo una riserva di competenza alle norme di attuazione degli statuti
speciali per la modifica della disciplina finanziaria degli enti ad autonomia
differenziata, ha il rango di legge ordinaria, ed in quanto tale derogabile da
atto successivo avente la medesima forza normativa.
3.– In data 13 ottobre 2015 la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha
presentato una memoria per l’udienza del 4 novembre 2015.
In
relazione all’eccezione di inammissibilità riferita alla mancata dimostrazione
concreta degli effetti delle norme censurate sul generale equilibrio
finanziario tra esigenze complessive di spese e mezzi con i quali farvi fronte,
obietta la Regione che il ricorso avrebbe, invece, illustrato la rilevante
riduzione della capacità di spesa disposta da talune delle norme impugnate
(segnatamente l’art. 1, commi 427, 429 e 499, lettere b e c della legge n. 147
del 2013), pari a circa il 23 per cento e che, su tale riduzione inciderebbero
ulteriormente anche le norme impugnate. Secondo la Regione, il fatto che si
tratti di disposizioni per la cui impugnazione in seguito vi è stata rinuncia
non priverebbe quanto esposto del suo valore illustrativo del contesto
finanziario di riferimento. In secondo luogo, secondo la ricorrente, proprio la
Corte costituzionale avrebbe già dato atto, nella sentenza n. 155 del
2015, sopravvenuta alla proposizione del presente ricorso, che norme di
riassetto fiscale analoghe a quelle impugnate nel presente giudizio «producono
un risultato incidente sul nucleo del sistema della fiscalità locale in ragione
della sommatoria dei loro effetti e dell’impatto finanziario che realizzano»,
ed ha osservato che «il mancato rispetto del principio di leale collaborazione
ha prodotto una situazione di potenziale squilibrio tra le entrate così
unilateralmente rideterminate ed il fabbisogno di spesa storicamente
consolidato delle autonomie speciali».
Infine,
replica la ricorrente che, in ogni caso, le suddette censure non
richiederebbero nemmeno che la Regione dia una positiva dimostrazione degli
effetti finanziari delle misure, visto che la medesima denuncia non la generica
riduzione di determinati stanziamenti, bensì vizi che sussistono
indipendentemente dalla misura della riduzione, in quanto centrati sulla lesione
delle prerogative statutarie in tema di compartecipazione ai tributi erariali.
Tanto
premesso, evidenzia nella citata memoria la Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia di essere consapevole che tutte le questioni sollevate nei ricorsi
iscritti al reg. ric. n. 50 del 2012 e n. 32 del 2013, proposti avverso
disposizioni analoghe a quelle impugnate, sono state dichiarate inammissibili
dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 155 del
2015, sul rilievo dell’affermata impossibilità, per il giudice
costituzionale, di esercitare una supplenza, «dettando relazioni finanziarie
alternative a quelle adottate dallo Stato in difformità dallo schema
costituzionale precedentemente richiamato, considerato che il compito del
bilanciamento tra i valori contrapposti della tutela delle autonomie speciali e
dell’equilibrio di bilancio grava direttamente sul legislatore, mentre a questa
Corte spetta valutarne a posteriori la correttezza» (sentenza n. 155 del
2015).
Nondimeno,
si prosegue, poiché la citata sentenza n. 155 del
2015 avrebbe riconosciuto la violazione formale e sostanziale del principio
pattizio ad opera di interventi unilaterali dello Stato in deroga alle norme
statutarie, e poiché il protrarsi di tale anomala situazione porrebbe in essere
un ingiustificato sacrificio, al quale «va posto immediato rimedio», la Regione
ipotizza che si possa accedere ad una sentenza di accoglimento pro futuro, che
dichiari l’illegittimità costituzionale delle norme impugnate e le annulli a
far data da un momento successivo all’entrata in vigore della legge (in
ipotesi, a partire dall’esercizio finanziario 2016).
4.– In
esito all’udienza del 4 novembre 2015 questa Corte ha emesso ordinanza
istruttoria così formulata: «ritenuto […] che con la sentenza n. 155 del
2015, sopravvenuta al ricorso in discussione, questa Corte si è espressa su
analoghe questioni (afferenti all’art. 13, comma 17, del d.l.
n. 201 del 2011 e all’art. 1, comma 380, della legge n. 228 del 2012),
affermando «che il procedimento legislativo unilaterale adottato dallo Stato
non è [stato] rispettoso del principio di leale collaborazione come espresso
dall’art. 27, che prevede "una permanente interlocuzione […] tra lo Stato e le
autonomie speciali per quanto attiene ai profili perequativi e finanziari del
federalismo fiscale [...] secondo il principio di leale collaborazione” (sentenza n. 201 del
2010), dettando a tal fine un percorso di indefettibili relazioni
bilaterali e multilaterali» e che "[n]el descritto
contesto […] la dialettica degli interessi in rilievo non può limitarsi al
confronto bilaterale in quanto, se è vero che le autonomie speciali sono
caratterizzate anche da una specialità interna al loro genere e che quest’ultima
può comprimere diversi criteri qualitativi e quantitativi di attribuzione delle
risorse fiscali, le categorie economico-finanziarie di riferimento per un
eventuale processo di riequilibrio devono essere necessariamente omogenee ed il
più possibile condivise, in modo da perseguire un armonico processo di
composizione, idoneo a mantenere gli standard funzionali già raggiunti, senza
pregiudicare i bilanci pubblici con una pressione fiscale e di spesa non
tollerabile per la collettività intesa nel suo complesso”; che, tuttavia, le
questioni in quella sede scrutinate sono state ritenute inammissibili a causa
della "impossibilità per questa Corte di esercitare una supplenza, dettando
relazioni finanziarie alternative a quelle adottate dallo Stato in difformità
dallo schema costituzionale precedentemente richiamato, considerato che il
compito del bilanciamento tra i valori contrapposti della tutela delle
autonomie speciali e dell’equilibrio di bilancio grava direttamente sul
legislatore, mentre a questa Corte spetta valutarne a posteriori la
correttezza”; che nella medesima pronuncia la Corte ha evidenziato che
"L’indefettibile urgenza che l’ordinamento si doti di disposizioni legislative
idonee ad assicurare l’armonizzazione di tale dialettico contesto, se non
consente di superare – per le ragioni già esposte – la ritenuta inammissibilità
delle questioni, in quanto non pregiudica la "priorità di valutazione da parte
del legislatore sulla congruità dei mezzi per raggiungere un fine
costituzionalmente necessario” (sentenza n. 23 del
2013), impone [...] di sottolineare l’esigenza che le parti, e lo Stato in
particolare, diano tempestiva soluzione al problema individuato nella presente
pronuncia attraverso un comportamento leale in sede pattizia, concretamente
diretto ad assicurare regole appropriate per il futuro. Ciò nel rispetto dei
vincoli di sistema, assicurando in tal modo un ottimale riparto delle risorse
fiscali”; che la Regione ricorrente, attraverso la memoria presentata in
prossimità dell’udienza e le deduzioni orali della propria difesa, ha chiesto
che ai principi della citata pronuncia venga conferita effettività attraverso
l’accoglimento del ricorso, tenuto anche conto che le norme in questa sede
impugnate consoliderebbero la già riscontrata lesione delle prerogative
regionali. Considerato che le norme censurate appaiono inscindibilmente
collegate, sotto il profilo degli effetti sulle relazioni finanziarie tra Stato
e Regione ricorrente, a quelle precedentemente esaminate con la sentenza n. 155 del
2015, e che la loro invocata lesività deve essere valutata sia in
riferimento al profilo del procedimento legislativo seguito, sia a quello
sostanziale relativo alla tutela dell’autonomia finanziaria della Regione
stessa, anche in relazione al dedotto carattere "stabilizzante” – per effetto
delle norme succedutesi nell’ultimo triennio – della lesione lamentata; che, ai
fini della decisione delle questioni, così come prospettate dalla ricorrente e
in ragione del loro inscindibile legame con le disposizioni impugnate con i
precedenti ricorsi n. 50 del 2012 e n. 32 del 2013, è necessario che questa
Corte acquisisca dalle amministrazioni interessate analitiche informazioni e
una compiuta documentazione sull’eventuale avvio delle procedure negoziate
finalizzate a rideterminare il riassetto della fiscalità territoriale; che tali
acquisizioni istruttorie debbano riguardare anche l’individuazione e la
quantificazione degli effetti prodotti dalle norme censurate in combinato con
quelle impugnate attraverso i precedenti ricorsi, nonché gli effetti
quantitativi prodotti dall’applicazione delle predette disposizioni. Ciò anche
in relazione alle modalità temporali di acquisizione del gettito di competenza
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e al loro impatto sulla finanza
regionale […] dispone che entro sessanta giorni dalla comunicazione
dell’ordinanza, il Presidente del Consiglio dei ministri, anche per il tramite
del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro dell’interno, e la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia forniscano informazioni e producano: a)
notizie circa l’eventuale avvio dei procedimenti pattizi individuati con la sentenza n. 155 del
2015. In particolare, si intende conoscere se siano in fase di discussione
davanti alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
Province autonome di Trento e di Bolzano criteri per attuare nei confronti
delle Regioni a statuto speciale l’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e, in
sede bilaterale, con riguardo alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, se
si sia provveduto ad individuare criteri per assicurare il bilanciamento dei
principi di neutralità, proporzionalità e solidarietà nell’ambito del nuovo
regime di fiscalità territoriale introdotto a partire dall’esercizio 2012; b)
in caso di avvio delle procedure di consultazione di cui alla lettera a), la
relativa documentazione; c) l’entità del gettito IRPEF di spettanza della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, distintamente per ciascun esercizio
finanziario, nel quadriennio 2011-2014 con evidenziazione degli eventuali
scostamenti tra somme giuridicamente accertate e somme effettivamente
"riversate” dallo Stato alla Regione. Nel prospetto comparativo saranno
indicate le scadenze temporali di versamento antecedenti e successive
all’esercizio 2012; d) l’entità degli accantonamenti e delle riserve,
distintamente per ciascun esercizio finanziario, posti in essere nel triennio
2012-2014 per effetto dell’art. 1, comma 711, della legge n. 147 del 2013 e
delle disposizioni che lo hanno preceduto (in particolare dell’art. 13, comma
17, del d.l. n. 201 del 2011 e dell’art. 1, comma
380, della legge n. 228 del 2012), nonché le modalità tecniche e procedimentali
che li hanno caratterizzati; e) con riferimento all’art. 1, comma 712, della
legge n. 147 del 2013, e alle disposizioni che lo hanno preceduto (in
particolare all’art. 13, comma 17, del d.l. n. 201
del 2011 ed all’art. 1, comma 380, della legge n. 228 del 2012), l’entità del
minor gettito fiscale registratosi nei Comuni friulani nel triennio 2012-2014,
distintamente per ciascun esercizio finanziario; f) gli effetti diretti ed
indiretti indotti nel triennio 2012-2014, distintamente per ciascun esercizio
finanziario, dall’art. 1, comma 729, della legge n. 147 del 2013 e dalle
disposizioni che lo hanno preceduto (in particolare dall’art. 13, comma 17, del
d.l. n. 201 del 2011, e dall’art. 1, comma 380, della
legge n. 228 del 2012) sulla finanza dei Comuni friulani nonché le modalità
tecniche e procedimentali che regolano l’attribuzione di fondi agli enti locali
friulani dopo la riforma del regime dei trasferimenti; g) l’incidenza degli
effetti complessivamente determinati dalla riforma fiscale attuativa della
legge n. 42 del 2009 sul totale delle entrate tributarie regionali accertate
nell’esercizio antecedente alla riforma» (ordinanza del 26 novembre 2015).
5.– In data 26 gennaio 2016 sia la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia che
la Presidenza del Consiglio hanno depositato rispettivamente una relazione
illustrativa ed una memoria difensiva unitamente a varia documentazione. Una
ulteriore memoria è stata depositata in data 26 maggio 2016 dalla ricorrente.
5.1.– Lo
Stato, nella propria memoria, evidenzia: che l’accantonamento di un importo
pari al maggior gettito frutto della nuova tassazione immobiliare (IMU), a
valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali di spettanza delle
autonomie speciali interessate, sarebbe disposto in via provvisoria, nelle more
della definizione delle procedure di cui all’art. 27 della legge n. 42 del
2009, al fine di salvaguardare gli equilibri di finanza pubblica; che esso non
determinerebbe alcuna ricaduta sugli equilibri finanziari delle autonomie
stesse in quanto la Regione potrebbe a sua volta provvedere al recupero delle
maggiori entrate da tassazione immobiliare nei confronti dei propri Comuni,
potendo così assicurare la neutralità finanziaria dell’operazione; che tanto
concernerebbe in particolare il meccanismo previsto dall’art. 1, comma 729,
della legge n. 147 del 2013, che prevede che il comma 17 dell’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 continua ad applicarsi nei soli
territori delle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta e delle
Province autonome di Trento e di Bolzano e che, secondo la difesa erariale,
tiene conto delle prerogative statutarie in materia di finanza locale attribuite,
alle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta e alle Province
autonome di Trento e di Bolzano e sarebbe finanziariamente neutrale per gli
enti territoriali interessati. In particolare, il recupero effettuato dallo
Stato mediante gli accantonamenti a valere sulle spettanze della Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia equivarrebbe all’extragettito
IMU riconosciuto ai suoi enti locali. A fronte degli accantonamenti subiti,
pertanto, la Regione potrebbe rivalersi nei confronti dei propri Comuni con le
modalità che ritiene più opportune stante la sua competenza in materia di
finanza locale. Nel caso di riduzione dei trasferimenti regionali ai Comuni in
misura corrispondente all’accantonamento subito, l’effetto finanziario
complessivo sarebbe perfettamente neutrale per la Regione. Rammenta che in
particolare la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, con apposite leggi
regionali avrebbe disposto il recupero al bilancio regionale degli
accantonamenti 2013, 2014 e 2015 a valere sui trasferimenti ordinari spettanti
ai Comuni.
La
Presidenza del Consiglio rappresenta, peraltro, che «l’ultimo accordo pattizio
sottoscritto tra lo Stato e la Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, recante
la disciplina delle reciproche relazioni finanziarie per gli anni 2014, 2015,
2016 e 2017, è stato sottoscritto in data 23 ottobre 2014, ed è, quindi,
antecedente alla sentenza
della Corte costituzionale n. 155 del 2015, non riguardando, oltretutto, gli
accantonamenti connessi alla riforma della tassazione immobiliare» e che «ad
oggi, non risultano avviati procedimenti pattizi volti ad individuare i criteri
per assicurare il bilanciamento dei principi di neutralità, proporzionalità e
solidarietà nell’ambito del nuovo regime di fiscalità territoriale introdotto a
partire dall’esercizio 2012».
Precisa
inoltre la Presidenza del Consiglio che il gettito di spettanza statutaria
dell’IRPEF e delle addizionali su redditi fondiari relativi ad immobili non
locati risulta escluso dall’accantonamento di cui al citato comma 17 dell’art.
13 del d.l. n. 201 del 2011 e che il fondo di
solidarietà comunale è alimentato unicamente dai Comuni delle Regioni a statuto
ordinario e delle Regioni autonome siciliana e Sardegna, che beneficiano del
riparto dello stesso e non dagli enti locali della ricorrente.
Relativamente
ai dati finanziari richiesti rinvia ai chiarimenti forniti dalla competente
Struttura di gestione dell’Agenzia delle Entrate, secondo la quale
l’attribuzione diretta alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia delle
entrate riscosse tramite modello F24 avviene secondo le disposizioni del
decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 17 ottobre 2008 (Attuazione
del decreto legislativo 31 luglio 2007, n. 137, recante: «Disposizioni in
materia di finanza regionale del Friuli-Venezia Giulia»). In particolare, la
Struttura di gestione, dopo aver ricevuto la rendicontazione dagli intermediari
del sistema F24 (banche, poste e agenti della riscossione) dei versamenti e
delle compensazioni effettuati dai contribuenti, attribuirebbe alla Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia le entrate erariali ad essa spettanti, con
riferimento alle operazioni avvenute nel territorio della Regione stessa (art.
3 del d.m. 17 ottobre 2008). La tempistica di
attribuzione delle entrate alla Regione sarebbe allineata a quella applicata
per la generalità delle entrate riscosse tramite modello F24, ivi comprese le
entrate destinate al bilancio dello Stato. In particolare, tenuto conto della
tempistica di rendicontazione degli intermediari del sistema F24,
l’attribuzione delle entrate spettanti alla Regione avverrebbe entro 7 giorni
lavorativi dal momento in cui il contribuente ha materialmente effettuato il
versamento tramite modello F24. Le entrate accertate in capo alla Regione
sarebbero pari all’importo dei versamenti effettuati dai contribuenti; rispetto
alle entrate accertate, gli importi materialmente "riversati” alla Regione
sarebbero calcolati al netto dei crediti compensati dai contribuenti.
Secondo la
difesa erariale i "riversamenti” sarebbero effettuati anche al netto di altre
poste negative a carico della Regione; in particolare, si tratterebbe delle
seguenti fattispecie: a) delle somme anticipate dallo Stato per il pagamento dei
rimborsi in conto fiscale erogati ai contribuenti fiscalmente domiciliati nella
Regione (art. 4 del d.m. 17 ottobre 2008) e del
conguaglio a carico della Regione in relazione al gettito delle accise sui
carburanti per autotrazione (art. 7 del d.m. 17 ottobre
2008); b) delle entrate erariali riservate allo Stato in forza di specifiche
disposizioni legislative, che, nelle more dell’emanazione dei relativi
provvedimenti attuativi, sono state attribuite alla Regione e pertanto devono
essere recuperate per il successivo riversamento all’entrata del bilancio dello
Stato; c) delle somme da recuperare a titolo di concorso della Regione alle
manovre di finanza pubblica (cosiddetti accantonamenti), in base a specifiche
disposizioni legislative.
Con
riferimento all’entità degli accantonamenti e delle riserve, la Presidenza del
Consiglio di seguito riferisce che gli importi degli accantonamenti per ciascun
esercizio finanziario compreso nel triennio 2012-2014 per la Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia sarebbero pari ad euro 73.027.450,06 per l’anno 2012,
euro 83.913.991,99 per l’anno 2013 ed euro 144.155.582,14 euro (che include
anche un conguaglio relativo ad anni precedenti pari a 1.308.002, 72 euro) per
l’anno 2014.
Osserva poi
che l’attuazione dell’art. 1, comma 711, della legge n. 147 del 2013 avrebbe,
di fatto, comportato, a decorrere dall’anno 2014, un minor accantonamento per
la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia correlato all’agevolazione IMU per i
terreni agricoli posseduti e condotti da imprenditori agricoli professionali e
coltivatori diretti iscritti alla previdenza agricola e all’esenzione IMU per i
fabbricati rurali. Tale minor accantonamento per la ricorrente è quantificato
in circa 5,8 milioni di euro su base annua.
In
particolare, per quanto concerne le modalità tecniche, evidenzia che, nel 2012,
l’accantonamento fu disposto secondo criteri di stima del gettito IMU (ad
aliquota e detrazioni di base) al netto del gettito riferito ai tributi
sostituiti dall’IMU stessa, ovvero ICI e IRPEF (e addizionali) sui redditi
fondiari di beni non locati.
Negli anni
successivi la determinazione dell’accantonamento avrebbe tenuto conto di
ulteriori modifiche normative che avrebbero variato i criteri di stima del
gettito IMU su base comunale, sia per effetto di agevolazioni ed esenzioni (e
con conseguenti minori accantonamenti a favore della Regione correlati al minor
gettito IMU) sia per ulteriori modifiche tra le quali, in particolare, quelle
connesse alla variazione della riserva erariale IMU a decorrere dall’anno 2013
previste dall’art. 1, comma 380, della legge n. 228 del 2012.
Le stime
effettuate si baserebbero su criteri metodologici condivisi in sede di tavolo
tecnico della finanza locale con l’Associazione nazionale dei Comuni italiani
(ANCI).
Quanto alla
riduzione di base imponibile IMU, la disposizione avrebbe trovato in concreto
applicazione solamente per l’IMU relativo all’abitazione principale. Ai fini
del comma 712 citato, non si sarebbe tenuto conto del maggior gettito TASI, ad
aliquota di base, su tutti gli immobili; in particolare, per quanto concerne la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, si evidenzia che nell’ambito
dell’accantonamento per l’anno 2014 è stato considerato un gettito IMU relativo
all’abitazione principale, calcolato ad aliquota base, di 94,1 milioni di euro.
In assenza della previsione normativa in esame, sarebbe stata considerata per
il complesso dei Comuni friulani la stima del gettito TASI, ad aliquota di
base, su tutti gli immobili pari a 84,8 milioni di euro con una differenza di
circa 9,3 milioni di euro.
Relativamente
all’incidenza degli effetti complessivamente determinati dalla riforma fiscale
attuativa della legge n. 42 del 2009 sul totale delle entrate tributarie
regionali accertate nell’esercizio antecedente alla riforma, si osserva che gli
accantonamenti operati sarebbero di esigua entità rispetto al totale delle
entrate derivanti da tributi propri della Regione e dalle compartecipazioni ai
tributi erariali (ammontanti nel rendiconto 2014 a circa 4,8 miliardi di euro)
e sarebbero neutralizzati – o neutralizzabili – da una minore spesa per
trasferimenti a Comuni.
5.2.– La
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, nella nota depositata a corredo della
documentazione prodotta, conferma il mancato avvio del procedimento diretto
all’attuazione dell’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e l’assenza di
approfondimenti in seno alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, benché nel suo ambito
sia incardinato il Tavolo di confronto tra il Governo e le Regioni a Statuto
speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, istituito con il decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri 6 agosto 2009. Evidenzia la
ricorrente che il protocollo di intesa sottoscritto tra lo Stato e la Regione
il 23 ottobre 2014 ha definito un quadro stabile e certo di contributi alla
finanza pubblica posti a carico della Regione nell’intervallo 2014-2017, ma non
ha trattato il tema degli effetti dell’introduzione dell’Imposta municipale e
della riforma della fiscalità territoriale sulle relazioni finanziarie tra
Stato e Regione. Riferisce inoltre di aver attivato la procedura per
l’adeguamento e aggiornamento delle disposizioni attuative previste dal d.lgs.
n. 8 del 1997 e dal d.lgs. n. 9 del 1997. La Commissione paritetica avrebbe
recentemente espresso parere favorevole sullo schema di norme di attuazione
proposte dalla Regione in materia ed avrebbe richiesto ai Ministeri di
esprimere i pareri di competenza.
Sul punto
non vi sarebbero riscontri da parte del Governo. Gli accertamenti del
rendiconto regionale in tema di entrate fiscali sarebbero unicamente
commisurati ai versamenti erariali comunicati periodicamente dall’Agenzia delle
entrate (art. 5 del d.m. 17 ottobre 2008), sicché la
Regione disporrebbe dei soli dati relativi ai versamenti erariali, ma non di
quelli delle dichiarazioni di imposta che contengono le informazioni di maggior
dettaglio sull’obbligazione tributaria. La Regione precisa di aver
contabilizzato in ogni caso le proprie entrate da compartecipazione ai tributi
erariali al lordo dei prelievi operati dall’Agenzia delle entrate. I
riversamenti (ovvero gli accantonamenti) operati dall’Agenzia delle entrate per
conto dello Stato in base alla vigente legislazione (ivi compresi quelli
previsti dall’art. 13, comma 17, del d.l. n. 201 del
2011 e dalle successive norme adottate nella stessa materia) sono imputati "per
cassa” e pertanto non sarebbe possibile per la Regione sapere in che misura
essi siano riferibili all’IRPEF o ad altre compartecipazioni erariali.
Annualmente, con apposite comunicazioni, il Ministero dell’economia e delle
finanze (MEF) indica l’importo degli accantonamenti a carico della Regione in
base alla legislazione vigente, ma senza dare tuttavia separata evidenza degli
effetti riconducibili a ciascuna di esse sul prelievo complessivo.
La
ricorrente, per quanto concerne gli accantonamenti di cui all’art. 13, comma
17, del d.l. n. 201 del 2011, lamenta che i criteri
di quantificazione siano stati approvati dalla Conferenza Stato-Città e
autonomie locali e siano stati oggetto di un apposito confronto tra il
Ministero e l’ANCI (come chiarito dallo Stato nelle sue risposte) ma che da
tale contraddittorio preventivo la Regione sia stata esclusa, sebbene tale riforma
abbia prodotto rilevanti effetti sulle compartecipazioni di spettanza
regionale. Si duole ulteriormente che, nonostante la dichiarata disponibilità
del MEF al confronto e all’analisi delle criticità riscontrate
nell’applicazione dei criteri di quantificazione del gettito IMU adottati, gli
importi di stima del gettito ICI ed IMU sarebbero stati individuati in via
unilaterale dal Ministero, sulla base di criteri prevalentemente statistici,
mentre le operazioni di neutralizzazione sarebbero state condizionate dalla
necessità di rispettare le coperture finanziarie previste all’art. 13, comma
17, ultimo periodo, del d.l. n. 201 del 2011 e delle
successive norme adottate in materia. Si sarebbe fatto conseguentemente ricorso
ad operazioni cosiddette di "riproporzionamento”,
dirette cioè a distribuire la variazione tra dati effettivi e dati stimati,
sottraendo in questo modo al sistema regionale risorse maggiori.
La Regione
sostiene quindi di versare in una situazione di deficit informativo,
ulteriormente aggravato dalle continue e ripetute modifiche effettuate nella
materia da parte del legislatore statale, che costantemente incidono sulla
quantificazione degli effetti finanziari della riforma.
Ciò
premesso, con le approssimazioni che secondo la medesima le deriverebbero dal
predetto deficit informativo, la Regione rappresenta le pretese incongruenze
delle quantificazioni ministeriali in riscontro al quesito formulato da questa
Corte.
Evidenzia
che lo Stato ha quantificato l’ICI in base ad una operazione di stima (che si
baserebbe in parte su dati ricavati dai conti consuntivi dei Comuni relativi
all’esercizio 2009 e 2010 ed in altra parte sul dato ISTAT utilizzato per la
quantificazione della copertura finanziaria del d.l.
n. 201 del 2011) e che avrebbe condotto ad una sottostima del gettito dell’ICI
rispetto al valore che risulta ufficialmente dai conti consuntivi degli enti.
In relazione agli effetti indiretti, osserva la Regione che il processo di
neutralizzazione finanziaria, che coinvolge tre livelli di governo, per importi
variabili di anno in anno, renderebbe comunque difficile la programmazione
finanziaria degli enti coinvolti e l’esercizio della governance della Regione
nella materia.
Sostiene la
ricorrente che l’incidenza percentuale degli accantonamenti sulle entrate
tributarie della Regione varierebbe nel 2014 tra il 15 ed il 18 per cento, a
seconda che si consideri o meno nel calcolo l’accantonamento previsto dall’art.
13, comma 17, del d.l. n. 201 del 2011.
6.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha depositato in data 24 maggio
2016 una ulteriore memoria. Evidenzia in tale atto che l’assenza di iniziative
concertate dirette all’attuazione dell’art. 27 della legge n. 42 del 2009
sarebbe stata direttamente confermata anche dalla Presidenza del Consiglio dei
ministri nella propria memoria del 26 gennaio 2016. Infatti, si prosegue, il
Presidente del Consiglio avrebbe riconosciuto che l’ultimo accordo pattizio
sottoscritto tra lo Stato e la Regione sarebbe costituito dal Protocollo di
intesa del 23 ottobre 2014, il quale riguarda i contributi alla finanza
pubblica posti a carico della Regione nell’intervallo 2014-2017 e quindi
rimarrebbe estraneo alla materia degli accantonamenti previsti dalla riforma
della finanza territoriale. Tale procedura negoziata sarebbe comunque anteriore
alla sentenza n.
155 del 2015 della Corte costituzionale.
Più in
generale, la ricorrente pone in evidenza che la memoria della Presidenza del
Consiglio si limita a ricordare e a documentare l’attivazione di un tavolo di
confronto. A tale organo, tuttavia, l’Avvocatura generale dello Stato nega –
richiamando la sentenza
n. 201 del 2010 di questa Corte – ogni possibilità di partecipare ai
procedimenti di produzione normativa.
La Regione
osserva che l’assenza di iniziative concrete per l’attuazione del federalismo
fiscale nelle Regioni ad autonomia speciale – iniziative il cui avvio, secondo
quanto sottolinea la Presidenza del Consiglio dei ministri, spetterebbe
unilateralmente ad organi dello Stato – pur dopo il monito contenuto nella sentenza n. 155 del
2015 perpetuerebbe le lesioni denunciate nel ricorso introduttivo, dal
momento che stabilizzerebbe sine die discipline che solo nella loro
provvisorietà potevano trovare una ragione, sia pure di ordine "fattuale” più
che costituzionale.
Anche con
specifico riferimento alla riforma della finanza locale evidenzia la ricorrente
che la Presidenza del Consiglio dei ministri ammette che «ad oggi non risultano
avviati i procedimenti pattizi volti ad individuare i criteri per assicurare il
bilanciamento dei principi di neutralità, proporzionalità e solidarietà», e
dunque i procedimenti evocati come costituzionalmente necessari con la sentenza n. 155 del
2015.
Sottolinea
inoltre – confermando quanto allegato e documentato nella produzione
istruttoria del 26 gennaio 2016 – che sarebbero tuttora bloccate le procedure
per l’adeguamento e l’aggiornamento delle disposizioni attuative dello statuto
speciale, necessarie dopo la revisione delle norme statutarie in materia
finanziaria operata dalla legge n. 220 del 2010, secondo quanto previsto
dall’art. 63, secondo comma, dello statuto medesimo. In sede di Commissione
paritetica la proposta di decreto legislativo elaborata dalla Regione è stata
illustrata incontrando, tuttavia, da parte dei rappresentanti del MEF presenti
all’incontro, una rigidità formale e una posizione di chiusura. Nemmeno le
controdeduzioni dell’Amministrazione regionale avrebbero superato tale
posizione del MEF. A fronte di tale situazione la Regione avrebbe formalmente
richiesto la convocazione del Tavolo di confronto di cui all’art. 27 della
legge n. 42 del 2009. Alla richiesta della Regione è seguito, in data 24
febbraio 2016, un incontro tra la Presidente della Regione e il Sottosegretario
alla Presidenza del Consiglio con il Ministro per gli affari regionali,
finalizzato a riavviare le negoziazioni tra lo Stato e la Regione in materia
finanziaria.
Secondo la
ricorrente l’inerzia dello Stato nel dare avvio alle procedure negoziali
regolato dal citato art. 27, oltre ad essere in sé incompatibile con il
principio di leale collaborazione (rispetto alla Regione, ma anche rispetto
alla Corte costituzionale, in riferimento alle statuizioni contenute nella sentenza n. 155 del
2015) e con il principio pattizio, confermerebbe l’illegittimità
costituzionale delle norme censurate nel ricorso, in quanto renderebbe evidente
che esse affidano alla sola discrezionalità del Governo la durata del vincolo
posto alla Regione e confermerebbe quel carattere stabile delle disposizioni
impugnate che le renderebbe incompatibili con la Costituzione, come sarebbe già
stato accertato dalla predetta sentenza n. 155.
In altri
termini, secondo la ricorrente, lo Stato, non avviando la negoziazione,
impedirebbe il verificarsi della condizione risolutiva prefigurata dallo stesso
legislatore che ha introdotto il sistema degli accantonamenti.
Ne
deriverebbe, in questa prospettiva, che la caducazione delle norme impugnate
apparirebbe a questo punto doverosa, quanto meno pro futuro, secondo quanto
dedotto nella precedente memoria difensiva. In proposito, la Regione richiama
la deliberazione della Corte dei conti, sezione di controllo per il
Friuli-Venezia Giulia, n. 95/2015/PARI, relativa al rendiconto generale del
2014, la quale, dopo aver ricordato – in relazione all’esercizio precedente –
l’esistenza di «variabili ingovernabili dalla Regione», dipendenti dalle
«misure di finanza pubblica statale che, con contenuti finanziari talvolta non
immediatamente quantificabili, producevano effetti diretti sull’ammontare delle
compartecipazioni regionali, condizionando la programmazione», ha individuato «ulteriori
variabili ingovernabili, o quanto meno imprevedibili, connesse al sistema
normativo di quantificazione e riscossione del gettito tributario spettante
alla Regione e quindi, in ultima analisi, costituenti una concreta espressione
della declinazione sul piano operativo dell’autonomia finanziaria della
specialità regionale fondata sul sistema delle compartecipazioni al gettito dei
tributi erariali».
Osserva poi
la ricorrente che il deficit informativo di cui soffrirebbe la Regione e
l’assenza di adeguati flussi di dati dallo Stato alla Regione, confermerebbe la
lesione del principio di leale collaborazione e del principio pattizio, e
dell’autonomia finanziaria, anche sul versante della certezza delle entrate e
della programmazione della spesa e che nelle risposte fornite dallo Stato
secondo la ricorrente si troverebbe conferma che la quantificazione delle
entrate da compartecipazione risponderebbe di fatto ad un criterio di cassa più
che al criterio di competenza proprio della contabilità finanziaria. La Regione
avrebbe notizia della consistenza delle sue entrate solo il mese successivo
all’avvenuta ripartizione del gettito effettuata dalla Struttura di gestione
dell’Agenzia delle entrate. Tanto porrebbe strutturalmente la Regione in una
situazione di difficoltà nella propria programmazione finanziaria: l’ente
ricaverebbe, infatti, gli elementi predittivi dell’andamento delle proprie
entrate statutarie unicamente dai dati dei versamenti dei contribuenti, che
sarebbero disponibili solo dopo l’avvenuto riversamento da parte della
Struttura di gestione e, inoltre, privi di sufficiente dettaglio informativo.
Infatti, si prosegue, i dati trasmessi dal Ministero dell’economia e delle
finanze riguardano soltanto i dati di versamento (contenuti nei modelli F24) e
non le dichiarazioni tributarie rese dai soggetti fiscalmente residenti sul
territorio regionale, e tali dati sono trasmessi nella forma rielaborata dalla
Struttura di gestione, non in forma analitica e unitamente alle rendicontazioni
degli intermediari finanziari concessionari della riscossione. In questo modo,
sostiene la Regione di rimanere all’oscuro dei dati primari venendo così a
trovarsi in un rapporto di mera dipendenza informativa dallo Stato.
Tale
situazione sarebbe aggravata, secondo la ricorrente, dal meccanismo degli
accantonamenti, la cui misura verrebbe comunicata alla Regione con note
trasmesse nella parte finale dell’esercizio (analogamente a quanto avviene per
l’adozione degli strumenti attuativi delle clausole di riserva del maggior gettito
all’erario previste dalla vigente legislazione).
La Regione
riferisce di prendere atto del rilievo della Presidenza del Consiglio, secondo
cui i Comuni del Friuli-Venezia Giulia non partecipano al fondo di solidarietà
regionale, perché questo non è alimentato dai Comuni di tale Regione speciale
(e dunque ad essi non sarebbe applicabile l’art. 1, comma 380, lettera b, della
legge n. 228 del 2012, già impugnato in via cautelativa dalla Regione con il
ricorso n. 32 del 2013, sul presupposto che esso potesse applicarsi anche ai
Comuni del Friuli-Venezia Giulia). Rimarrebbe però – secondo la medesima – il
fatto che l’extragettito è incamerato dallo Stato e
non dalla Regione, cui – si sostiene – spetterebbe per statuto ai sensi
dell’art. 51, secondo comma.
Sul piano
delle metodologie e sulle modalità procedimentali (punto d della ordinanza
istruttoria del 26 novembre 2015), la Regione lamenta che il MEF non avrebbe
mai condiviso la base dei dati utilizzata per le stime di gettito, ma solo
comunicato i risultati delle stime secondo moduli aggregati.
Viene poi
sottolineata una divergenza tra le risultanze della Regione e le
quantificazioni fornite dallo Stato relativamente al gettito IRPEF di spettanza
della Regione per il periodo 2011-2014 in importi significativamente superiori
poiché i dati fomiti dalla Presidenza del Consiglio non sarebbero omogenei
rispetto a quelli forniti dalla Regione, dal momento che i primi
comprenderebbero voci relative ad entrate che non sono nella disponibilità
effettiva della Regione oppure non sarebbero coinvolte dall’effetto sostitutivo
dell’IMU rispetto all’IRPEF (come avverrebbe, ad esempio, nel caso delle
ritenute sulle pensioni erogate fuori Regione a soggetti residenti sul
territorio regionale). In secondo luogo, il dato dello Stato terrebbe conto
delle compensazioni in conto fiscale e dei rimborsi di imposta e dunque di una
quota di compartecipazione in concreto non versata alla Regione. L’entrata
relativa a compensazioni e rimborsi troverebbe corrispondenza contabile in una spesa
di pari importo che, attraverso il meccanismo contabile del cosiddetto
"pagamento con commutazione in entrata”, sarebbe utilizzata per rappresentare
il gettito regionale al lordo delle spettanze oggetto di compensazione.
Secondo la
ricorrente, dalla documentazione prodotta dallo Stato si troverebbero quindi
conferme della violazione del principio di neutralità finanziaria sancito
dall’art. 1, comma 159, della legge n. 220 del 2010. Espone al riguardo che,
secondo la prospettazione del Presidente del Consiglio dei ministri, lo Stato
avrebbe diminuito la misura dell’accantonamento derivante dall’extragettito IMU rispetto all’ICI anche degli importi
derivanti dalla riduzione della compartecipazione sull’IRPEF, dall’addizionale
regionale e comunale all’IRPEF sostituito dall’IMU, nonché del valore stimato
delle misure diminutive del gettito IMU, come quelle di cui ai commi 707,
lettera c), e 708, cui si riferisce il comma 711 qui impugnato. L’extragettito dell’IMU rispetto al gettito dell’ICI non
sarebbe calcolato su dati effettivi, bensì su stime congetturali, come
confermerebbe la stessa Presidenza del Consiglio nella memoria illustrativa. In
particolare esso sarebbe sovradimensionato, perché il MEF avrebbe
significativamente sottostimato il precedente gettito effettivo dell’ICI,
indefettibile termine di paragone. Secondo la Regione tale sovrastima dell’extragettito dell’IMU rappresenterebbe un drenaggio
permanente, in quanto la sottostima del gettito di riferimento si
riverbererebbe sul calcolo dell’accantonamento per tutte le annualità
successive.
Lamenta
ulteriormente la ricorrente che per il calcolo degli accantonamenti debba poi
considerarsi la presenza dei cosiddetti "riproporzionamenti”,
dettati dall’esigenza dello Stato di assicurare, a posteriori, la copertura
finanziaria prevista, dato il vincolo di invarianza delle risorse disponibili.
Si evidenzia che tali operazioni sono state concretamente effettuate in due
occasioni, con riferimento ai valori corrispondenti all’ICI ed all’IMU. La
dimensione economica delle suddette operazioni sarebbe data dalla differenza
tra i dati iniziali considerati ai fini del calcolo dell’accantonamento e
quelli effettivamente considerati successivamente ai "riproporzionamenti”,
(euro 1.947.770 per l’ICI e euro 1.410.087 per l’IMU). I valori risultanti
avrebbero quindi aggravato l’accantonamento sulle spettanze regionali a danno,
pertanto, del Friuli-Venezia Giulia e senza alcuna forma di confronto
bilaterale con la Regione. L’ammontare così riproporzionato, che continua ad
essere applicato al Friuli-Venezia Giulia, non sarebbe quindi stato recuperato
con conguagli e continuerebbe a produrre effetti finanziari negativi per il
bilancio regionale.
Ribadisce
ulteriormente la ricorrente la violazione dell’art. 51, secondo comma, dello
statuto speciale in quanto l’extragettito rispetto ai
tributi sostituiti, frutto dell’aumento della pressione fiscale derivante dalle
imposte locali, dovrebbe affluire al bilancio regionale e non a quello statale,
esattamente come l’aumento della imposizione IRPEF e degli altri tributi, per i
quali è prevista la compartecipazione regionale dall’art. 49 dello statuto.
Infine,
secondo la ricorrente, troverebbe altresì conferma nelle deduzioni statali la
denunciata lesività del comma 712, in quanto la riduzione della base imponibile
IMU in seguito alla esenzione dell’abitazione principale non sarebbe
equivalente al gettito della TASI, come emerge dagli stessi dati forniti
dall’Avvocatura erariale. Dai dati leggibili nella memoria della Presidenza del
Consiglio dei ministri risulterebbe per il Friuli-Venezia Giulia una differenza
pari a circa 9,3 milioni di euro, nel senso cioè che la TASI produce un gettito
inferiore di tale importo rispetto al gettito teorico dell’IMU sulla prima
casa. Qualora i conteggi relativi all’IMU relativa all’abitazione principale
per l’anno 2014, esposti nella nota dell’Avvocatura dello Stato, fossero quindi
presi a riferimento per la quantificazione dell’accantonamento, si
verificherebbe una penalizzazione aggiuntiva (quantificabile in 9,3 milioni di
euro) rispetto a quella già derivante dall’utilizzo del dato riferito al
gettito ICI dell’anno 2010 anziché a quello del gettito ICI dell’anno 2011.
1.– Con
ricorso iscritto al n. 10 del registro ricorsi del 2014, la Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia ha proposto, tra le altre, questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 1, commi 711, 712, 715, 723, 725, 727 e 729, della
legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2014), in riferimento agli artt.
4, numero 1-bis), 48, 49, 51, secondo comma, 54, 63 e 65 della legge
costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia), in relazione alla normativa di attuazione di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di
attuazione dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in
materia di finanza regionale), al decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 8
(Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia
Giulia recanti modifiche ed integrazioni al D.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114,
concernente la finanza regionale), al decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9
(Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia
Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative
circoscrizioni), in relazione al principio di neutralità finanziaria previsto
dall’art. 1, comma 159, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di
stabilità 2011), nonché in riferimento agli artt. 3 e 119, primo, secondo e
quarto comma, Cost. ed ai principi dell’accordo in
materia finanziaria e di leale collaborazione.
Le norme
impugnate sono state censurate con riguardo agli effetti complessivi prodotti
dalle stesse sulla finanza regionale in correlazione a precedenti disposizioni:
in particolare l’art. 1, comma 729, consoliderebbe gli effetti prodotti dall’art.
13, comma 17, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti
per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), e dall’art.
1, comma 380, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità
2013), precedentemente impugnati dalla stessa Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia con i ricorsi rispettivamente iscritti nel registro ricorsi al n. 50 del
2012 ed al n. 32 del 2013. Tali questioni sono state dichiarate inammissibili
da questa Corte con la sentenza n. 155 del
2015, ma – secondo la Regione – proprio la motivazione di detta sentenza
rafforzerebbe la fondatezza delle censure formulate in questa sede.
1.1.– La ricorrente deduce la violazione del procedimento consensuale per le
modifiche alla fiscalità delle Regioni a statuto speciale e dei loro Comuni
previsto dall’art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in
materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della
Costituzione), che è espressamente richiamato nell’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011, il quale ha anticipato al 2012
l’applicazione dell’imposta municipale propria (IMU). Ad avviso della Regione,
tutte le norme impugnate violerebbero il principio dell’accordo che regolerebbe
i rapporti fra Stato ed autonomie speciali in materia finanziaria, come
affermato più volte da questa Corte (si richiamano le sentenze n. 133 del
2010, n. 74
del 2009, n.
82 del 2007, n.
353 del 2004, n.
98 del 2000 e n.
39 del 1984).
Secondo la
ricorrente, sarebbe ulteriormente violato lo statuto di autonomia perché le
norme impugnate, con riguardo alla disciplina della finanza comunale,
inciderebbero su una materia statutariamente attribuita alla competenza
legislativa regionale. Vengono poi censurate le modalità di sostituzione della
componente immobiliare dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF),
e delle addizionali dovute in relazione ai redditi fondiari concernenti i beni
non locati e dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), in quanto
produrrebbero una complessiva riduzione delle risorse di natura fiscale
spettanti alla Regione, a beneficio dello Stato. Ciò sia mediante meccanismi di
recupero ed accantonamento a carico della Regione, sia in modo indiretto,
attraverso i conferimenti – a carico dei Comuni friulani – al Fondo di
solidarietà comunale, alla cui ripartizione questi ultimi non parteciperebbero.
Secondo la
ricorrente, ulteriormente lesivo per le finanze regionali sarebbe il prelievo
di risorse a favore dello Stato attraverso stime apodittiche, in ogni caso
svincolate dalla doverosa correzione in sede di accertamento del gettito, e ciò
ridonderebbe in senso pregiudizievole sull’autonomia finanziaria in riferimento
all’art. 119 Cost. ed alle norme statutarie invocate,
verificandosi la sottrazione di una componente essenziale sia per la finanza
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, sia per quella dei suoi Comuni.
Le norme impugnate, oltre ad inasprire ulteriormente la sottrazione del gettito
fiscale di spettanza della Regione e dei propri Comuni, renderebbero stabile il
vulnus all’autonomia finanziaria in ragione dell’abolizione di qualsiasi limite
temporale alla loro applicazione. Ciò sarebbe ulteriormente in contrasto con il
principio di leale collaborazione e con il principio consensuale, ispiratori
dei rapporti tra Stato ed autonomie speciali; inoltre non sarebbe assicurata
«la neutralità finanziaria [in quanto le disposizioni contestate] regolano un
nuovo tributo, sostituendolo a tributi preesistenti, con il risultato di
spostare risorse dal sistema regionale allo Stato».
Sotto il
profilo dell’art. 3 Cost., la ricorrente lamenta la
violazione del principio di parità di trattamento tra le diverse Regioni e tra
i Comuni delle stesse, in quanto quelli friulani non beneficerebbero della
ripartizione del Fondo di solidarietà comunale, pur contribuendo ad esso.
Sotto il
profilo del buon andamento di cui all’art. 97 Cost.,
il depauperamento del sistema regionale rappresenterebbe una violazione
dell’autonomia finanziaria della Regione e dei suoi Comuni, perché produrrebbe
incertezza sulle risorse disponibili ed impossibilità di un’adeguata
programmazione delle diverse funzioni.
La Regione
deduce ulteriormente e specificamente: a) l’illegittimità dell’art. 1, comma
711, della legge n. 147 del 2013, in quanto, incidendo (seppur in senso
riduttivo) sul meccanismo di accantonamento di fondi – che già la ricorrente
ritiene costituzionalmente illegittimo – confermerebbe ulteriormente la natura
"sottrattiva” e lesiva dell’accantonamento stesso, che il medesimo legislatore
statale considererebbe non un regime di temporanea indisponibilità ma una vera
e propria posta passiva; b) l’illegittimità costituzionale del successivo comma
712, in quanto tale disposizione dovrebbe essere interpretata nel senso di non
tener conto, ai fini dell’accantonamento, del minor gettito derivante dalle
disposizioni recate dal comma 707. In tal caso, secondo la Regione, sarebbe
palese l’irragionevolezza di una disposizione la quale stabilisce che la misura
dell’accantonamento debba restare costante nonostante il maggior gettito
dell’IMU dei Comuni abbia subito una diminuzione. Secondo la ricorrente,
inoltre, entrambi i commi da ultimo menzionati aggraverebbero la lesione del
principio di neutralità finanziaria, in quanto si fonderebbero su meri dati di
stima e non terrebbero in considerazione il gettito di tutti i tributi
introdotti o soppressi dalla riforma, e dunque anche il gettito della tassa sui
servizi indivisibili (TASI) e dell’IMU sull’abitazione principale, e neppure
l’effetto indiretto della novella sul gettito degli altri tributi del sistema
regionale come la contrazione del gettito dell’imposta sul reddito delle
società (IRES) e dell’IRPEF (per effetto di quanto disposto dal successivo
comma 715).
1.2.– Secondo l’Avvocatura generale dello Stato il ricorso sarebbe inammissibile
per carenza di interesse, in quanto l’ente ricorrente lamenterebbe un vulnus
alle proprie prerogative finanziarie senza dimostrare in concreto come le norme
contestate si traducano nella denunciata alterazione del rapporto tra
complessivi bisogni regionali e mezzi finanziari necessari a farvi fronte.
Viene
altresì eccepita l’infondatezza delle questioni, dal momento che i meccanismi
di regolazione finanziaria previsti dalla norma introduttiva dell’IMU e dalle
successive disposizioni modificative oggetto del ricorso, pur riflettendosi
inevitabilmente sulla finanza regionale, rappresenterebbero il necessario e
doveroso contributo all’azione generale di risanamento, cui sarebbero chiamati
a concorrere tutti i livelli di governo. Le norme impugnate rientrerebbero nel
quadro degli interventi necessari al rispetto degli equilibri generali, cui
tutti gli enti devono partecipare, e si porrebbero quali principi di
«coordinamento della finanza pubblica» la cui ratio deriverebbe dal particolare
momento congiunturale.
1.3.–
All’esito dell’udienza pubblica del 4 novembre 2015 questa Corte, con ordinanza
del 26 novembre 2015, ha disposto incombenti istruttori, chiedendo alle parti
una serie di informazioni e di documenti, così articolata: a) notizie circa
l’eventuale avvio dei procedimenti pattizi individuati con la sentenza n. 155 del
2015; b) in caso di avvio degli stessi, la relativa documentazione; c)
l’entità del gettito dell’IRPEF di spettanza della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, distintamente per ciascun esercizio finanziario, nel
quadriennio 2011-2014, con evidenziazione degli eventuali scostamenti tra somme
giuridicamente accertate e somme effettivamente "riversate” dallo Stato alla
Regione. Ciò limitatamente all’indicazione delle scadenze temporali di
versamento antecedenti e successive all’esercizio 2012; d) l’entità degli
accantonamenti e delle riserve, distintamente per ciascun esercizio
finanziario, posti in essere nel triennio 2012-2014 per effetto dell’art. 1,
comma 711, della legge n. 147 del 2013 e delle disposizioni che lo hanno
preceduto (in particolare, dell’art. 13, comma 17, del d.l.
n. 201 del 2011 e dell’art. 1, comma 380, della legge n. 228 del 2012), nonché
le modalità tecniche e procedimentali che li hanno caratterizzati; e) con
riferimento all’art. 1, comma 712, della legge n. 147 del 2013 ed alle
disposizioni che lo hanno preceduto (in particolare, all’art. 13, comma 17, del
d.l. n. 201 del 2011 ed all’art. 1, comma 380, della
legge n. 228 del 2012), l’entità del minor gettito fiscale registratosi nei
Comuni friulani nel triennio 2012-2014, distintamente per ciascun esercizio
finanziario; f) gli effetti diretti ed indiretti indotti nel triennio
2012-2014, distintamente per ciascun esercizio finanziario, dall’art. 1, comma
729, della legge n. 147 del 2013 e dalle disposizioni che lo hanno preceduto
(in particolare, dall’art. 13, comma 17, del d.l. n.
201 del 2011 e dall’art. 1, comma 380, della legge n. 228 del 2012) sulla
finanza dei Comuni friulani nonché le modalità tecniche e procedimentali che
regolano l’attribuzione di fondi agli enti locali friulani dopo la riforma del
regime dei trasferimenti; g) l’incidenza degli effetti complessivamente
determinati dalla riforma fiscale attuativa della legge n. 42 del 2009 sul
totale delle entrate tributarie regionali accertate nell’esercizio antecedente
alla riforma.
2.– Le risposte fornite dalle parti in ordine alla citata istruttoria hanno
posto in rilievo dati concordanti oppure complementari e sostanzialmente
compatibili. È la loro lettura che continua a differenziare le due posizioni
processuali ed in particolare: il giudizio sulla mancata previsione normativa
della procedura pattizia e della sua doverosità (l’Avvocatura generale dello
Stato ammette l’omesso avvio, rivendicando tuttavia – a differenza della
Regione – la legittimità di tale mancata previsione); la valutazione in tema di
neutralità della manovra; l’esistenza di dati analitici sui quali basare la
procedura pattizia.
Risulta
quindi opportuno sintetizzare il contenuto delle risposte ottenute
nell’assolvimento degli incombenti disposti e mettere in rilievo i punti di
dissenso con particolare riguardo alle censure formulate dalla Regione.
2.1.– Tra i dati concordanti vi è quello della mancata previsione normativa e
del mancato avvio dei procedimenti pattizi volti ad individuare, in conformità
all’art. 27 della legge n. 42 del 2009, la fissazione dei criteri di riparto
definitivo del gettito fiscale come rideterminato dalla riforma della fiscalità
territoriale.
La Regione
precisa inoltre che sarebbero tuttora bloccate le procedure – necessarie ai
sensi dell’art. 63, secondo comma, dello statuto medesimo, dopo la revisione
delle norme statutarie in materia finanziaria operata dalla legge n. 220 del
2010 – per l’adeguamento e l’aggiornamento delle disposizioni attuative dello
statuto speciale.
2.2.– Per quel che riguarda i dati relativi all’entità ed alle scadenze
temporali delle operazioni di versamento e verifica del gettito dell’IRPEF di
spettanza della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, le risposte fornite
dalle parti sono diverse ma sostanzialmente complementari.
L’Avvocatura
generale dello Stato precisa che il Fondo di solidarietà comunale viene
alimentato unicamente dai Comuni delle Regioni a statuto ordinario e da quelli
delle Regioni autonome siciliana e Sardegna, enti che beneficiano del riparto a
differenza di quelli delle altre autonomie speciali.
I
versamenti statali sarebbero tempestivi (sette giorni lavorativi) sulla base
delle cifre risultanti dalla sommatoria dei modelli F24 utilizzati dai
contribuenti. I dati sintetici relativi alla descritta operazione sono stati
forniti dallo Stato.
La Regione
sostiene che gli accantonamenti sarebbero effettuati non sui dati effettivi del
gettito, bensì su stime congetturali, come confermato dallo stesso Presidente
del Consiglio dei ministri nella memoria illustrativa: gli importi di stima del
gettito dell’ICI e dell’IMU sarebbero individuati in via unilaterale dal
Ministero dell’economia e delle finanze, sulla base di criteri prevalentemente
statistici, mentre le operazioni di "neutralizzazione”, che dovrebbero dare
definitività alle relazioni finanziarie tra le parti, sarebbero effettuate in
via unilaterale dal Ministero stesso per "riproporzionare” la variazione tra
dati effettivi e dati stimati, sottraendo in questo modo al sistema regionale
buona parte delle risorse ad esso spettanti. A tal proposito la Regione
sostiene di versare in una situazione di deficit informativo, che non le
consente di verificare la misura e la correttezza degli accantonamenti operati
dall’Agenzia delle entrate: essi sarebbero imputati con un mero criterio di
cassa sulla base del riscosso attraverso i modelli F24, di modo che non sarebbe
consentito all’ente territoriale di sapere in che misura gli stessi siano
riferibili all’IRPEF o ad altri tributi erariali oggetto di compartecipazione.
Le stime
contenute nelle disposizioni impugnate avrebbero un vizio genetico derivante
dalla grave sottovalutazione del precedente gettito effettivo dell’ICI,
indefettibile termine di paragone per verificare la neutralità finanziaria
delle compensazioni previste dalla riforma. A ciò sarebbe correlata la
sovrastima del maggior gettito dell’IMU, la quale altererebbe ulteriormente la
forbice differenziale, riverberandosi sul calcolo dell’accantonamento per tutte
le annualità successive.
Nel
prendere atto che il gettito in contestazione non rifluisce nel Fondo di
solidarietà comunale, la ricorrente ribadisce che il relativo ammontare,
peraltro a suo avviso sovradimensionato, viene percepito dallo Stato e non può
alimentare il fondo con il quale la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
finanzia i trasferimenti ai propri enti territoriali.
2.3.– Per quel che riguarda l’entità degli accantonamenti nel triennio
2012-2014, l’Avvocatura generale dello Stato precisa che gli stessi sono così
articolati: euro 73.027.450,06 nel 2012; euro 83.913.991,99 nel 2013; euro
144.155.582,14 (ammontare che include anche un conguaglio relativo ad anni
precedenti e pari ad euro 1.308.002, 72) nel 2014.
L’Avvocatura
generale dello Stato si sofferma sulla tecnica estimatoria utilizzata,
affermando che le valutazioni effettuate si baserebbero su criteri metodologici
condivisi in sede di tavolo tecnico della finanza locale con l’Associazione
nazionale dei Comuni italiani (ANCI), che avrebbe la rappresentanza negoziale
dei Comuni d’Italia.
La Regione
sottolinea come dalla risposta dello Stato si evinca che i criteri di
quantificazione degli importi degli accantonamenti sono stati approvati dalla
Conferenza Stato-Città e autonomie locali dopo apposito confronto tra il
Ministero dell’economia e delle finanze e l’ANCI. Da tale contraddittorio
sarebbero state completamente pretermessi la Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia ed i Comuni del suo territorio.
La
ricorrente evidenzia, inoltre, che sussisterebbe divergenza tra le risultanze
del proprio bilancio e le quantificazioni fornite dallo Stato relativamente al
gettito dell’IRPEF di spettanza della Regione per il periodo 2011-2014. Gli
importi comunicati dal Presidente del Consiglio sarebbero significativamente
superiori, dal momento che essi comprenderebbero voci relative ad entrate che
non sarebbero nella disponibilità effettiva della Regione oppure non
riguarderebbero il profilo compensativo IMU-IRPEF.
Secondo la
ricorrente, la denunciata lesività dell’art. 1, comma 712, della legge n. 147
del 2013 troverebbe conferma nelle deduzioni statali, in quanto la riduzione
del gettito dell’IMU in seguito all’esenzione relativa all’abitazione
principale non sarebbe equivalente al gettito della TASI. Ciò emergerebbe dagli
stessi dati forniti dalla difesa erariale: dalla tabella 3C riportata nella
memoria del Presidente del Consiglio dei ministri risulterebbe per la Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia una differenza pari a circa euro 9.300.000,00,
nel senso che la TASI produrrebbe un gettito inferiore di tale importo rispetto
al gettito teorico dell’IMU sull’abitazione principale. Qualora i conteggi
esposti dall’Avvocatura generale dello Stato fossero presi a riferimento per la
quantificazione dell’accantonamento, si verificherebbe dunque una
penalizzazione aggiuntiva quantificabile nel citato importo.
2.4.–
Quanto all’entità del minor gettito fiscale registratosi nei Comuni friulani
nel triennio 2012-2014 per ciascun esercizio finanziario ed agli effetti
diretti ed indiretti indotti nel triennio 2012-2014 per ciascun esercizio
finanziario dall’art. 1, comma 729, della legge n. 147 del 2013, nonché alle
modalità tecniche e procedimentali che regolano l’attribuzione di fondi agli
enti locali friulani dopo la riforma del regime dei trasferimenti, le parti non
hanno fornito determinazioni finanziarie esaustive, pur dissentendo sulla
neutralità dell’operazione: l’Avvocatura generale dello Stato, riferendosi al
complesso delle autonomie speciali, afferma che il minor gettito dell’IMU
sarebbe sostanzialmente equivalente a quello relativo alla TASI, mentre la
Regione, proprio prendendo spunto dall’indeterminatezza analitica della
risposta dell’Avvocatura generale, riferisce di non essere in possesso degli
strumenti informativi necessari a dare una puntuale e completa risposta al
quesito posto da questa Corte. Così, in ordine all’impatto sul regime dei
trasferimenti, l’Avvocatura generale dello Stato afferma la sostanziale
neutralità, per i bilanci degli enti locali interessati, delle operazioni
fiscali in contestazione, mentre la Regione, pur dichiarando di non essere in
possesso degli strumenti informativi necessari per dare una puntuale e completa
risposta in termini quantitativi al quesito istruttorio, asserisce che, per effetto
della manovra stessa, ha dovuto provvedere ad assegnazioni integrative
straordinarie ai Comuni per compensare la minore disponibilità finanziaria,
dipendente dal gettito accantonato dallo Stato, tenendo conto dei trasferimenti
storici corrisposti agli enti locali.
2.5.– Per
quel che riguarda gli effetti complessivamente determinati dalla riforma
fiscale attuativa della legge n. 42 del 2009 sul totale delle entrate
tributarie regionali accertate nell’esercizio ad essa antecedente, l’Avvocatura
generale dello Stato afferma che le misure di cui all’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 non avrebbero avuto alcun impatto
sulle entrate tributarie regionali, in quanto gli accantonamenti operati
sarebbero neutralizzati da una minore spesa per trasferimenti ai Comuni, nei
confronti dei quali la ricorrente potrebbe recuperare la minore entrata da
accantonamento. L’attuazione dell’art. 13, comma 17, del d.l.
n. 201 del 2011 non avrebbe pertanto avuto incidenza alcuna sugli equilibri di
bilancio della Regione.
Al contrario,
quest’ultima sostiene che gli accantonamenti complessivi previsti ai fini del
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica nel quadriennio 2011-2014
inciderebbero sul totale delle entrate tributarie della Regione in una misura
variabile tra il quindici ed il diciotto per cento.
3.– Per inquadrare appieno le questioni sollevate nel presente giudizio
occorre ricostruire l’evoluzione del quadro normativo che ha determinato la
stabilizzazione dell’accantonamento a carico della Regione ricorrente e la
mancata compensazione delle risorse finanziarie sottratte alla fiscalità
territoriale in contrasto con la riforma della stessa, la quale, come noto,
prende le mosse dalla legge n. 42 del 2009.
Ai fini che
qui interessano l’art. 27 di detta legge dispone, al comma 1, – per quel che
riguarda le Regioni a statuto speciale e le Province autonome – che «1. […] nel
rispetto degli statuti speciali, concorrono al conseguimento degli obiettivi di
perequazione e di solidarietà ed all’esercizio dei diritti e doveri da essi
derivanti […] secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei
rispettivi statuti […]. 2. Le norme di attuazione di cui al comma 1 tengono
conto della dimensione della finanza delle predette regioni e province autonome
rispetto alla finanza pubblica complessiva, delle funzioni da esse
effettivamente esercitate e dei relativi oneri, anche in considerazione degli
svantaggi strutturali permanenti, ove ricorrano, dei costi dell’insularità e
dei livelli di reddito pro capite che caratterizzano i rispettivi territori o
parte di essi, rispetto a quelli corrispondentemente sostenuti per le medesime
funzioni dallo Stato, dal complesso delle regioni e, per le regioni e province
autonome che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, dagli enti
locali. Le medesime norme di attuazione disciplinano altresì le specifiche
modalità attraverso le quali lo Stato assicura il conseguimento degli obiettivi
costituzionali di perequazione e di solidarietà per le regioni a statuto
speciale i cui livelli di reddito pro capite siano inferiori alla media
nazionale, ferma restando la copertura del fabbisogno standard per il
finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della
Costituzione, conformemente a quanto previsto dall’articolo 8, comma 1, lettera
b), della presente legge. 3. […] Inoltre, le predette norme, per la parte di
propria competenza […] b) definiscono i princìpi fondamentali di coordinamento
del sistema tributario con riferimento alla potestà legislativa attribuita dai
rispettivi statuti alle regioni a statuto speciale e alle province autonome in
materia di tributi regionali, provinciali e locali […]. 7. Al fine di
assicurare il rispetto delle norme fondamentali della presente legge e dei
princìpi che da essa derivano, nel rispetto delle peculiarità di ciascuna
regione a statuto speciale e di ciascuna provincia autonoma, è istituito presso
la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione del principio di leale
collaborazione, un tavolo di confronto tra il Governo e ciascuna regione a
statuto speciale e ciascuna provincia autonoma, costituito dai Ministri per i
rapporti con le regioni, per le riforme per il federalismo, per la
semplificazione normativa, dell’economia e delle finanze e per le politiche
europee nonché dai Presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province
autonome. Il tavolo individua linee guida, indirizzi e strumenti per assicurare
il concorso delle regioni a statuto speciale e delle province autonome agli
obiettivi di perequazione e di solidarietà e per valutare la congruità delle
attribuzioni finanziarie ulteriori intervenute successivamente all’entrata in
vigore degli statuti, verificandone la coerenza con i princìpi di cui alla
presente legge e con i nuovi assetti della finanza pubblica […]».
Sulla base
di tali presupposti normativi, l’art. 2 del decreto legislativo 14 marzo 2011,
n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), emanato in
attuazione della delega contenuta nella legge n. 42 del 2009, ha attribuito ai
Comuni, con decorrenza dal 2011, il gettito o quote del gettito derivante,
relativamente agli immobili ubicati nel loro territorio, dei seguenti tributi:
a) imposta di registro ed imposta di bollo; b) imposte ipotecaria e catastale;
c) imposta sul reddito delle persone fisiche, in relazione ai redditi fondiari,
escluso il reddito agrario; d) imposta di registro ed imposta di bollo sui
contratti di locazione relativi ad immobili; e) tributi speciali catastali; f)
tasse ipotecarie; g) cedolare secca sugli affitti. Inoltre, il successivo art.
14 di detto decreto, ai commi 2 e 3, ha prescritto: «2. Al fine di assicurare
la neutralità finanziaria del presente decreto, nei confronti delle regioni a
statuto speciale il presente decreto si applica nel rispetto dei rispettivi
statuti e in conformità con le procedure previste dall’articolo 27 della citata
legge n. 42 del 2009, e in particolare: a) nei casi in cui, in base alla
legislazione vigente, alle regioni a statuto speciale spetta una
compartecipazione al gettito dell’imposta sul reddito delle persone fisiche
ovvero al gettito degli altri tributi erariali, questa si intende riferita
anche al gettito della cedolare secca di cui all’articolo 3; b) sono stabilite
la decorrenza e le modalità di applicazione delle disposizioni di cui
all’articolo 2 nei confronti dei comuni ubicati nelle regioni a statuto
speciale, nonché le percentuali delle compartecipazioni di cui alla lettera a);
con riferimento all’imposta municipale propria di cui all’articolo 8 si tiene
conto anche dei tributi da essa sostituiti. 3. Nelle regioni a statuto speciale
e nelle province autonome che esercitano le funzioni in materia di finanza
locale, le modalità di applicazione delle disposizioni relative alle imposte
comunali istituite con il presente decreto sono stabilite dalle predette
autonomie speciali in conformità con i rispettivi statuti e le relative norme
di attuazione; per gli enti locali ubicati nelle medesime regioni e province
autonome non trova applicazione quanto previsto dall’articolo 2, commi da 1 a
8; alle predette regioni e province autonome spettano le devoluzioni e le
compartecipazioni al gettito delle entrate tributarie erariali previste dal
presente decreto nelle misure e con le modalità definite dai rispettivi statuti
speciali e dalle relative norme di attuazione per i medesimi tributi erariali o
per quelli da essi sostituiti».
Occorre infine
rammentare che l’art. 63, quarto comma, dello statuto della Regione autonoma
Friuli Venezia-Giulia disciplina, accanto alle ordinarie procedure di modifica
previste dalla Costituzione, il procedimento finalizzato all’accordo per la
modifica delle sole norme statutarie in materia.
Dalla legge
n. 42 del 2009, dal decreto attuativo in tema di federalismo fiscale municipale
e dallo statuto di autonomia si evincono alcuni principi cardine della riforma
tributaria afferente alle autonomie speciali ed in particolare alla Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia: «a) conferma del metodo pattizio quale
strumento indefettibile, anche sotto il profilo procedurale, nella disciplina
delle relazioni finanziarie tra Stato e autonomie speciali; b) principio di
neutralità nella rideterminazione delle attribuzioni fiscali alle autonomie
speciali da attuare secondo il canone della leale collaborazione; c) finalità
di razionalizzazione e perequazione del meccanismo rideterminativo
del riparto fiscale; d) criterio guida della "sostituzione” dei tributi per
assicurare il nuovo riparto della fiscalità territoriale. In definitiva, si
tratta di criteri guida per realizzare il necessario bilanciamento tra le
ragioni di salvaguardia delle autonomie speciali, quelle di realizzazione del
federalismo solidale e quelle di tutela degli equilibri di bilancio, intesi
questi ultimi come riferiti sia alle singole autonomie che al sistema della
finanza pubblica allargata» (sentenza n. 155 del
2015).
L’art. 1,
comma 157, della legge n. 220 del 2010 ha integrato – con la procedura speciale
prevista dall’art. 63, quarto comma, dello statuto – l’art. 51 dello stesso,
inserendo tra l’altro il seguente secondo comma: «Il gettito relativo a tributi
propri e a compartecipazioni e addizionali su tributi erariali che le leggi
dello Stato attribuiscano agli enti locali spetta alla Regione con riferimento
agli enti locali del proprio territorio, ferma restando la neutralità
finanziaria per il bilancio dello Stato».
Il
successivo comma 159 di detto articolo ha previsto che «[q]ualora
con i decreti legislativi di attuazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, siano
istituite sul territorio nazionale nuove forme di imposizione, in sostituzione
totale o parziale di tributi vigenti, con le procedure previste dall’articolo
27 della medesima legge n. 42 del 2009, è rivisto l’ordinamento finanziario
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia al fine di assicurare la
neutralità finanziaria dei predetti decreti nei confronti dei vari livelli di
governo».
La cornice
costituzionale delle regole riguardanti il riparto del gettito fiscale tra lo
Stato e i livelli di governo territoriale della Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia prevede una procedura pattizia semplificata per la modifica dello
statuto, utile sia per assicurare la più ampia razionalizzazione delle
relazioni finanziarie in materia fiscale, come disposto dall’art. 27 della
legge n. 42 del 2009 e dall’art. 14 del d.lgs. n. 23 del 2011, sia per
un’ipotesi più limitata di assestamento – secondo il combinato dei richiamati
commi 157 e 159 dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010 – finalizzata alla
semplice neutralità finanziaria della riforma fiscale nei riguardi di tutti i
diversi livelli di governo.
Indipendentemente
dalla possibilità di ricorrere ad una rideterminazione più complessa secondo i
plurimi criteri dell’art. 27 della legge n. 42 del 2009 o a quella più semplice
basata sul solo criterio della neutralità finanziaria, quel che risulta di
tutta evidenza è che l’epilogo della riforma afferente al riparto del gettito
fiscale non può che passare – in alternativa all’ordinaria procedura di
revisione costituzionale dello statuto – attraverso il procedimento negoziato
dell’accordo.
3.1.– Per spiegare l’evoluzione legislativa della riforma della fiscalità
territoriale occorre poi rammentare la diversa posizione, nella materia della
finanza degli enti locali, delle Regioni a statuto ordinario e delle Regioni
siciliana e Sardegna rispetto alle altre autonomie speciali, tra cui la stessa
ricorrente.
In
particolare, per i Comuni ubicati nel territorio di queste ultime l’art. 13,
comma 17, del d.l. n. 201 del 2011 ha previsto che
l’acquisizione al bilancio dello Stato del maggior gettito stimato dell’IMU
avvenga attraverso le procedure previste dall’art. 27 della legge n. 42 del
2009, e che fino all’emanazione delle norme di attuazione richiamate dal citato
art. 27, un importo pari a detto maggior gettito venga accantonato a valere
sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali.
La legge n.
214 del 2011, di conversione del suddetto decreto-legge, ha introdotto l’ultimo
periodo del comma 17, il quale stabilisce che «l’importo complessivo della
riduzione del recupero [afferente alle suddette autonomie speciali] risulta
pari per l’anno 2012 a 1.627 milioni di euro, per l’anno 2013 a 1.762,4 milioni
di euro e per l’anno 2014 a 2.162 milioni di euro».
La legge n.
228 del 2012 ha previsto all’art. 1, comma 380, lettera h), che il comma 17
dell’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011 continui ad
applicarsi nei soli territori delle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e
Valle d’Aosta e delle Province autonome di Trento e di Bolzano.
L’impugnato
art. 1, comma 729, della legge n. 147 del 2013 ha infine modificato l’art. 1,
comma 380, lettera h), della legge n. 228 del 2012, in particolare consolidando
la prescrizione dell’art. 13, comma 17, del d.l. n.
201 del 2011 nei territori delle autonomie speciali da ultimo menzionate.
Tale
disposizione, attraverso il complesso riferimento alle precedenti, è venuta
così a perpetuare l’istituto dell’accantonamento in assenza di qualsiasi
scadenza temporale che ne prevedesse quanto meno la definitiva determinazione.
È proprio su tale stabilizzazione che si concentrano le censure della
ricorrente.
4.– Alla luce di quanto premesso, le censure rivolte all’art. 1, comma 729,
della legge n. 147 del 2013 sono fondate in riferimento agli artt. 49, 51,
secondo comma, e 63, quarto comma, dello statuto della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia ed al principio di leale collaborazione.
Dalla
relazione della norma impugnata con quelle precedenti e dall’istruttoria
conseguente all’ordinanza di questa Corte del 26 novembre 2015 emergono infatti
plurimi elementi di contrasto con i suddetti parametri costituzionali: a) il
comma 729 non contempla il contraddittorio e l’accordo come procedimenti
necessari per la definizione del nuovo riparto della fiscalità territoriale
conseguente alla riforma; b) la norma impugnata non configura l’accantonamento
come istituto provvisorio suscettibile di rideterminazione, nel senso già
precisato da questa Corte con la sentenza n. 77 del
2015; c) non è stato rispettato il principio di neutralità degli effetti
della riforma nell’ambito delle relazioni finanziarie tra Stato e Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia; d) la norma impugnata non prevede l’ostensibilità dei dati analitici di composizione del
gettito, necessari per compiere le operazioni di conguaglio, stabilizzare e
mettere a regime le entrate fiscali della Regione e dei propri enti locali.
4.1.– La
violazione del principio dell’accordo emerge confrontando la disposizione
impugnata con il combinato delle norme contenute nell’art. 49 dello statuto
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, che prevede le compartecipazioni
regionali ai tributi erariali, nel successivo art. 51, secondo comma, il quale
stabilisce la spettanza alla Regione di compartecipazioni ed addizionali su
tributi erariali che le leggi dello Stato attribuiscono agli enti locali del
proprio territorio, e nell’art. 63, quarto comma, del medesimo statuto, il
quale prevede il metodo dell’accordo, nonché nell’art. 1, comma 159, della
legge n. 220 del 2010, volto ad assicurare la neutralità finanziaria correlata
a nuove forme di imposizione in sostituzione di tributi vigenti.
È stato già
precisato da questa Corte (sentenza n. 19 del
2015) che lo strumento dell’accordo serve a conciliare, nel loro complesso,
punti controversi o indefiniti, anche attraverso la modulazione progressiva
delle regole di evoluzione dei flussi finanziari, soprattutto quando queste
sono fortemente influenzate dalle tendenze di fondo dell’economia e da incisive
riforme di tipo fiscale, così da presentare scarti previsionali rilevanti in
ragione delle traiettorie assunte da dinamiche molto complesse, le quali
possono essere assoggettate – solo dopo una fase di sperimentazione – ad una
regolamentazione chiara e stabile nell’ambito delle relazioni tra Stato ed ente
territoriale. Ne consegue che «il contenuto degli accordi, oltre che la
riduzione dei programmi in rapporto al concorso della Regione interessata ad
obiettivi di finanza pubblica, può e deve riguardare anche altri profili di
natura contabile quali, a titolo esemplificativo, le fonti di entrata fiscale,
la cui compartecipazione sia quantitativamente controversa, l’accollo di rischi
di andamenti difformi tra dati previsionali ed effettivo gettito dei tributi,
le garanzie di finanziamento integrale di spese essenziali, la ricognizione
globale o parziale dei rapporti finanziari tra i due livelli di governo e di
adeguatezza delle risorse rispetto alle funzioni svolte o di nuova
attribuzione, la verifica di congruità di dati e basi informative finanziarie e
tributarie, eventualmente conciliandole quando risultino palesemente difformi
[…]. Il principio dell’accordo non implica un vincolo di risultato, bensì di
metodo (sentenza
n. 379 del 1992). Ciò significa che le parti devono porre in essere un
confronto realmente orientato al superiore interesse pubblico di conciliare,
nei limiti del possibile, l’autonomia finanziaria della Regione con [gli
indefettibili vincoli di finanza pubblica]» (sentenza n. 19 del
2015).
Proprio
l’esigenza di questa specificazione in itinere, originata da fenomeni obiettivi
della finanza pubblica che si impongono, ex ante ed ex post, al processo
decisionale normativo, deve essere conciliata attraverso il metodo dell’accordo
con i principi costituzionali inerenti al rapporto tra lo Stato e le autonomie
speciali. L’espressione di tale esigenza si rinviene, tra l’altro, nel già
richiamato art. 1, comma 159, della legge n. 220 del 2010.
La
definizione in contraddittorio dei criteri per il riparto della fiscalità
territoriale non impedisce certamente allo Stato di adottare determinazioni
normative unilaterali come quella dell’accantonamento: quest’ultimo deve essere
tuttavia inteso come rimedio provvisorio per assicurare una corretta fase di
"sperimentazione finanziaria”, indispensabile per realizzare un neutrale
trapasso al nuovo sistema tributario definito dalla riforma. È evidente che
aver reso definitivo l’accantonamento dopo due anni di sperimentazione, in
relazione ai quali ben poteva essere svolto in contraddittorio un confronto tra
le stime previsionali e l’effettivo andamento del gettito per fissare in via
definitiva il neutrale riparto delle entrate fiscali attraverso la modifica
semplificata dello statuto e delle relative norme di attuazione, determina
l’illegittimità della disposizione impugnata con riferimento al modello
previsto dagli evocati parametri.
L’indefettibilità
costituzionale del meccanismo dell’accordo assorbe qualsiasi considerazione
circa la questione, controversa tra le parti, concernente la composizione della
Conferenza Stato-Città e autonomie locali, la quale avrebbe negoziato con il
Ministero dell’economia e delle finanze e con l’ANCI la quantificazione degli
accantonamenti in assenza della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.
4.2.– Quanto alla illegittimità della stabilizzazione dell’accantonamento senza
un previo contraddittorio tra le parti, rileva il profilo funzionale di tale
istituto nell’ambito della legislazione statale afferente alle relazioni
finanziarie tra Stato e autonomie speciali.
È stato a
tal proposito affermato da questa Corte che «[p]er
mezzo dell’accantonamento […], poste attive che permangono nella titolarità
della Regione, cui infatti spettano in forza degli statuti e della normativa di
attuazione (sentenza
n. 23 del 2014), sono sottratte a un’immediata disponibilità per obbligare
l’autonomia speciale a ridurre di un importo corrispondente il livello delle
spese. Una volta chiarito che il contributo imposto a tal fine alle ricorrenti
è legittimo, si deve concludere che l’accantonamento transitorio delle quote di
compartecipazione, in attesa che sopraggiungano le norme di attuazione cui
rinvia l’art. 27 della legge n. 42 del 2009, costituisce il mezzo procedurale
con il quale le autonomie speciali, anziché essere private definitivamente di
quanto loro compete, partecipano al risanamento delle finanze pubbliche,
impiegando a tal fine le risorse che lo Stato trattiene. Le quote accantonate
rimangono, in tal modo, nella titolarità della Regione e sono strumentali
all’assolvimento di un compito legittimamente gravante sul sistema regionale» (sentenza n. 77 del
2015).
In
sostanza, l’accantonamento ha natura intrinsecamente provvisoria e la sua
utilizzazione si giustifica solo con riguardo a quelle situazioni che per
obiettive difficoltà non possono essere definite contestualmente alla redazione
dei bilanci di previsione. Esso si differenzia dall’istituto del contributo
delle autonomie speciali – come definito nella sentenza n. 19 del
2015 – per il raggiungimento degli obiettivi del patto di stabilità,
previsti dagli ordinamenti nazionale e comunitario, proprio per il carattere di
necessaria temporaneità (anche il contributo diretto finalizzato ad assicurare
il rispetto del patto di stabilità e dei vincoli di finanza pubblica può essere
rideterminato attraverso il procedimento pattizio, ma ciò avviene soltanto in
via ipotetica: sul punto ancora sentenza n. 19 del
2015), strettamente correlato a situazioni di innovazione normativa che presentano
una complessità analitica obiettiva e non si prestano a definizioni istantanee
finanziariamente univoche.
Le esposte
considerazioni mettono in luce l’indissolubile collegamento, in termini
dinamici, dell’accantonamento con l’accordo, nel quale viene depositato
l’epilogo delle complesse transazioni ispirate al leale contraddittorio tra lo
Stato e le autonomie speciali.
Solo il
fallimento di reiterate trattative può giustificare, pur sempre nel rispetto
degli statuti e dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, una
composizione normativa unilaterale da parte dello Stato, mentre analogo
risultato non è possibile perseguire indirettamente, rendendo stabile una
disciplina intrinsecamente provvisoria.
4.3.–
Quanto alla violazione del principio di neutralità degli effetti fiscali della
riforma sulle relazioni finanziarie tra Stato e Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia, occorre preliminarmente precisare che il legislatore statale avrebbe
potuto scegliere, indifferentemente, un percorso di integrale
"rideterminazione” secondo i criteri previsti dall’art. 27 della legge n. 42
del 2009 e dall’art. 14 del d.lgs. n. 23 del 2011 oppure scegliere il criterio
minimale della neutralità fissato dal combinato dei commi 157 e 159 dell’art. 1
della l. n. 220 del 2010; in entrambi i casi, tuttavia, solo attraverso il
procedimento pattizio dell’accordo. Al contrario, esso ha proceduto in via
unilaterale mediante la stabilizzazione dell’accantonamento, determinato su
base esclusivamente estimatoria. Avendo la ricorrente richiamato il criterio di
neutralità previsto dal combinato dei suddetti commi 157 e 159, è in relazione
a questi ultimi che deve essere dichiarata la illegittimità costituzionale
della disposizione impugnata.
Quanto alla
sussistenza per la ricorrente della lesione di carattere finanziario e del
conseguente pregiudizio per la programmazione regionale, non può essere
condivisa l’eccezione dell’Avvocatura generale dello Stato secondo cui vi
sarebbe carenza di interesse all’impugnativa, in quanto la Regione lamenterebbe
un vulnus alle proprie prerogative finanziarie senza dimostrare in concreto
come le norme contestate si traducano nella denunciata alterazione del rapporto
tra complessivi bisogni regionali e mezzi finanziari necessari a farvi fronte.
Innanzitutto,
valgono a provare tale lesione gli accertamenti compiuti, in sede di
parificazione del rendiconto regionale 2014, dalla Corte dei conti, sezione
regionale di controllo per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, la quale
ha rilevato anomalie nei meccanismi di accreditamento delle entrate tributarie
della Regione, sottolineando il perdurare (rispetto all’esercizio 2013
egualmente inciso) «di "variabili ingovernabili dalla Regione” dipendenti dalle
misure di finanza pubblica statale che, con contenuti finanziari talvolta non
immediatamente quantificabili, producevano effetti diretti sull’ammontare delle
compartecipazioni regionali, condizionando la programmazione [nonché
l’esistenza di] ulteriori variabili ingovernabili, o quanto meno imprevedibili,
connesse al sistema normativo di quantificazione e riscossione del gettito
tributario spettante alla Regione […]. Per tale motivo anche le vicende
connesse al tempo e al luogo del mero versamento delle imposte (ad es. anticipi
delle scadenze di pagamento, mobilità dei contribuenti versanti) influiscono
direttamente sulla quantificazione del gettito annuale spettante alla Regione»
(delibera n. 95 del 2015).
Ciò risulta
pregiudizievole non solo sotto il profilo meramente finanziario, ma anche sotto
quello della corretta programmazione, poiché rimane incerta per l’intero
esercizio finanziario la quantificazione delle risorse sulla base delle quali
determinare l’attuazione delle politiche regionali. Osserva in proposito la
Corte dei conti nella succitata delibera che «l’accertamento delle entrate non
opera in conformità alla nozione giuridica propria della contabilità
finanziaria, bensì esprime le "somme finalizzate” e cioè l’importo
dell’effettivo accredito sul conto di tesoreria della Regione delle somme
ripartite e cioè incassate».
Inoltre,
dagli stessi dati comunicati dall’Avvocatura generale dello Stato, in
ottemperanza alla richiesta istruttoria di questa Corte, appare una progressiva
espansione nel triennio 2012-2014 degli accantonamenti a carico della Regione:
euro 73.027.450,06 nel 2012; euro 83.913.991,99 nel 2013; euro 144.155.582,14
nel 2014. Indipendentemente dalle plurime variabili che incidono su tali
quantificazioni, la progressione degli incrementi appare inequivocabile sintomo
dell’accentuata contrazione delle risorse fiscali a disposizione della Regione
in assenza di qualsiasi meccanismo compensativo fondato su accertamenti in
contraddittorio con lo Stato.
È da
sottolineare, poi, come il Presidente del Consiglio dei ministri non risponda
alla censura regionale, secondo cui le stime contenute nelle disposizioni
impugnate avrebbero un vizio genetico derivante dalla grave sottovalutazione
del precedente gettito effettivo dell’ICI, indefettibile termine di paragone
per verificare la neutralità finanziaria delle compensazioni previste dalla
riforma. A ciò sarebbe correlata la sovrastima del maggior gettito dell’IMU, la
quale altererebbe ulteriormente la forbice differenziale, riverberandosi sul
calcolo dell’accantonamento per tutte le annualità successive. Malgrado le
puntuali richieste istruttorie in proposito formulate da questa Corte, non vi è
traccia nella risposta dell’Avvocatura generale dello Stato di informazioni e
quantificazioni finanziarie circa il problema sollevato dalla ricorrente in
ordine al mancato rispetto della neutralità finanziaria.
Peraltro,
non può essere accolta neppure l’ulteriore eccezione del Presidente del
Consiglio secondo cui la Regione potrebbe recuperare il gettito fiscale
accantonato dallo Stato attraverso una speculare riduzione dei trasferimenti ai
Comuni friulani. Occorre in proposito ricordare che la finanza degli enti
locali si basa su tributi propri ma anche su trasferimenti, i quali nel caso
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia – a differenza di quel che avviene
per i Comuni delle Regioni a statuto ordinario e per quelli della Regione
siciliana e della Regione Sardegna – vengono somministrati dalla stessa Regione
(cosiddetti "trasferimenti istituzionali”), in conformità a quanto previsto dal
proprio statuto. Ne consegue che, dovendosi effettuare la pretesa compensazione
sui predetti trasferimenti, sarebbe violata la neutralità finanziaria
complessiva dell’operazione ai danni degli enti locali friulani, i quali non
potrebbero a loro volta compensare la riduzione dei trasferimenti con il
maggior gettito dell’IMU, che per legge è attribuito allo Stato.
4.4.–
L’art. 1, comma 729, della legge n. 167 del 2013 viene altresì a collidere con
le richiamate disposizioni statutarie e con il principio di leale collaborazione
sotto un ulteriore profilo: ossia per la mancata previsione di una corretta
condivisione, da parte dello Stato, dei dati analitici necessari ad effettuare
in contraddittorio le compensazioni indispensabili ad assicurare la neutralità
della riforma fiscale nelle relazioni finanziarie tra Stato ed enti
territoriali della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ed, eventualmente, le
altre operazioni di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 finalizzate alla
razionalizzazione delle risorse tributarie assegnate alla medesima Regione ed
ai propri enti locali.
È utile
ricordare come il sistema tributario regionale sia caratterizzato, quasi per
intero, dall’eteronomia della struttura dei tributi (propri derivati,
addizionali, compartecipazioni al gettito di quelli erariali) e dalla
centralizzazione dei meccanismi di riscossione e riparto tra gli enti
territoriali, soluzioni giustificate dall’interrelazione con più parametri
costituzionali di primaria importanza, tra i quali spiccano il coordinamento
della finanza pubblica ed il rispetto dei vincoli comunitari ex art. 117, primo
comma, Cost., e come tale "supremazia normativa” sia giustificata sul piano
funzionale da inderogabili istanze unitarie che permeano la Costituzione.
Tuttavia, aggiungere a questa fondamentale prerogativa del legislatore statale
anche l’esonero per lo Stato dall’obbligo di rendere ostensibili e
confrontabili i dati necessari per una corretta attuazione del precetto
costituzionale, inerente alla salvaguardia delle risorse spettanti
all’autonomia speciale, costituisce un’ingiustificata compressione
dell’autonomia stessa.
Con
riguardo alla fattispecie normativa in esame può dunque dirsi che il
legislatore statale, durante l’ampio percorso di attuazione della riforma
fiscale previsto dalla legge n. 42 del 2009, abbia prima fissato regole
costituzionalmente corrette afferenti ai meccanismi di funzionamento delle
relazioni finanziarie tra lo Stato e le autonomie territoriali in materia
tributaria ma, successivamente, abbia determinato un quadro opaco ed
autoreferenziale per quel che concerne le dinamiche applicative del riparto del
gettito.
Questa
inadeguata traduzione del modello costituzionale nel meccanismo giuridico, che
lo avrebbe dovuto in concreto attuare, viene a pregiudicare – attraverso la
mancata previsione dell’obbligo di produrre adeguate informazioni finanziarie
da parte dello Stato – la possibilità di un consapevole contraddittorio,
finalizzato ad assicurare la cura di interessi generali quali l’equilibrio dei
reciproci bilanci, la corretta definizione delle responsabilità politiche dei
vari livelli di governo in relazione alle scelte e alle risorse effettivamente
assegnate e la sostenibilità degli interventi pubblici in relazione alle
possibili utilizzazioni alternative delle risorse contestate, nel tessuto
organizzativo delle amministrazioni concretamente interessate al riparto del
gettito fiscale.
Pur dovendo
necessariamente utilizzare metodologie di stima preventiva, la pianificazione
di detto riparto (conseguente alla riforma) tra i diversi livelli di governo
territoriale rimane un fenomeno intrinsecamente giuridico e costituzionalmente
rilevante. In quanto tale, riguarda anche gli interessi delle diverse
collettività locali coinvolte, le quali hanno diritto ad un’informazione chiara
e trasparente sull’utilizzazione del prelievo obbligatorio e sulla imputabilità
delle scelte politiche sottese al suo impiego.
È opportuno
in proposito ricordare che l’art. 1 della legge n. 42 del 2009 declina
l’autonomia degli enti territoriali come finalizzata a garantire «i principi di
solidarietà e di coesione sociale [nonché] la massima responsabilizzazione [di
detti enti] e l’effettività e la trasparenza del controllo democratico nei
confronti degli eletti». La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ed i propri
enti territoriali sono comunità esponenziali del pluralismo sociale, nella
cornice di una Repubblica una e indivisibile, tale anche in ragione del pluralismo
istituzionale e delle istanze di autonomia che ne caratterizzano il tessuto
democratico. In tale contesto, la chiarezza e la trasparenza dei rapporti tra
prelievo tributario e suo impiego per le politiche regionali diventano un
corredo indefettibile affinché tale esponenzialità si
esplichi con connotati concreti.
Se i citati
principi sono riferibili al prelievo tributario in generale, essi sono ancor
più stringenti con riguardo alla disciplina del meccanismo dell’accantonamento,
il quale comporta un sacrificio preventivo della fiscalità territoriale in
attesa della definitiva attuazione del parametro normativo, una volta che siano
disponibili con chiarezza i dati necessari per il conguaglio tra lo Stato e la
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia del gettito proveniente dalle diverse
tipologie tributarie interessate dalla riforma.
5.– In riferimento agli stessi parametri considerati per l’art. 1, comma 729,
della legge n. 147 del 2013, anche le censure rivolte al comma 711 del medesimo
articolo sono fondate.
La norma
prevede che la compensazione del minor gettito dell’IMU, derivante dai
precedenti commi 707, lettera c), e 708, avvenga attraverso un minor
accantonamento delle quote di compartecipazione regionali ai tributi erariali.
Dall’illegittimità del predetto meccanismo di accantonamento, affermata in
relazione al comma 729, deriva che le operazioni di marginale rideterminazione
quantitativa come quella prevista dalla disposizione in esame non possano
essere preservate.
6.– Sono altresì fondate in riferimento ai richiamati parametri anche le
questioni sollevate nei confronti dell’art. 1, comma 712, della legge n. 147
del 2013.
Con
riguardo all’IMU sull’abitazione principale lo Stato ha comunque determinato
l’accantonamento, sostituendo tale mancato gettito con quello della TASI. Per
l’esercizio finanziario 2014 quest’ultimo tributo non ha fornito un provento
equivalente a quello presunto dell’IMU, determinando quindi una maggiore
riduzione ai danni della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia di oltre euro
9.300.000,00. Dalla precedente enunciazione di illegittimità costituzionale nei
confronti del comma 729 e dall’acclarato inserimento della norma in esame nel
meccanismo degli accantonamenti deriva pertanto anche l’illegittimità del comma
712.
7.– In ordine alle dichiarate illegittimità sono necessarie alcune
precisazioni circa gli effetti dalle stesse prodotti sul meccanismo
dell’accantonamento. Quest’ultimo, proprio in base al principio dell’equilibrio
dinamico del bilancio, verrà meno a far data dalla pubblicazione della presente
sentenza, fermo restando tuttavia che per i decorsi esercizi gli accantonamenti
effettuati in via preventiva dovranno essere conciliati con i dati del gettito
fiscale accertato, restituendo alla Regione ricorrente le somme trattenute in
eccedenza.
La stessa
ricorrente – consapevole della complessità della situazione finanziaria
sedimentatasi a seguito della mancata compensazione degli accantonamenti –
chiede in via subordinata la cessazione dell’accantonamento a far data dal
giorno della pubblicazione della eventuale sentenza di accoglimento a
condizione che lo Stato proceda in contraddittorio alle necessarie
compensazioni per il periodo intercorso dalla data di entrata in vigore del
primo accantonamento (esercizio 2012), assicurandone la relativa copertura
finanziaria nell’esercizio di effettuazione di tale compensazione. A ben
vedere, con riguardo alla particolare situazione in esame, tale effetto risulta
naturale conseguenza della specificità delle relazioni finanziarie tra Stato e
Regioni e del carattere di continuità dei bilanci pubblici, che consente
rimodulazioni dei rapporti debitori e creditori tra Stato ed autonomie
territoriali anche in esercizi successivi alla loro scadenza.
E ciò è
coerente con quanto questa Corte ha già avuto occasione di sottolineare con
riguardo all’inscindibile connessione tra il principio dell’equilibrio dinamico
del bilancio ed il carattere di continuità degli esercizi finanziari, il quale
ne risulta naturale declinazione essendo «essenziale per garantire nel tempo
l’equilibrio economico, finanziario e patrimoniale» (sentenza n. 155 del
2015), anche attraverso appropriate rimodulazioni dei rapporti fra Stato ed
autonomie speciali «con riguardo ai decorsi esercizi» (sentenza n. 155 del
2015).
D’altronde,
il principio dell’equilibrio dinamico, «[e]ssendo
strettamente connesso [a quello] di continuità del bilancio, essenziale per
garantire nel tempo l’equilibrio economico, finanziario e patrimoniale, […] può
essere applicato anche ai fini della tutela della finanza pubblica allargata,
consentendo in sede pattizia di rimodulare in modo più appropriato le relazioni
finanziarie anche con riguardo ai decorsi esercizi» (sentenza n. 155 del
2015).
Peraltro,
scrutinando una diversa fattispecie di natura tributaria proposta in via
incidentale, questa Corte ha affermato che il legislatore deve provvedere
tempestivamente «al fine di rispettare il vincolo costituzionale
dell’equilibrio di bilancio, anche in senso dinamico (sentenze n. 40 del
2014, n. 266
del 2013, n.
250 del 2013, n.
213 del 2008, n.
384 del 1991 e n. 1 del 1966),
[…] ciò anche eventualmente rimediando ai rilevati vizi della disciplina
tributaria in esame» (sentenza n. 10 del
2015).
8.– Restano assorbite le ulteriori censure rivolte all’art. 1, commi 711, 712
e 729, della legge n. 147 del 2013. Va inoltre precisato che la dichiarazione
d’illegittimità costituzionale delle suddette disposizioni, «essendo fondata
sugli evocati parametri statutari [e sul principio di leale collaborazione tra
le parti in causa] ha efficacia, con riguardo all’applicazione di dette norme,
limitatamente all[a] Region[e]
autonom[a] Friuli-Venezia Giulia» (sentenza n. 39 del
2014).
9.– La questione di costituzionalità dell’art. 1, comma 723, della legge n.
147 del 2013 non è fondata in riferimento a tutti i parametri invocati dalla
ricorrente.
La
disposizione si limita ad introdurre a carico di tutti gli enti locali un mero
obbligo di comunicazione, senza che il meccanismo di riparto del gettito
fiscale venga modificato o alterato da tale disposizione. Inoltre, laddove tale
comma richiama l’art. 1, comma 380, lettera b), della legge n. 228 del 2012, si
appalesa l’infondatezza dell’impugnazione per erroneità del presupposto
interpretativo, dacché è stato confermato che esso non trova applicazione per
l’autonomia speciale ricorrente.
10.– Anche le censure rivolte ai successivi commi 725 e 727 del medesimo
articolo non sono fondate.
Le due
disposizioni disciplinano rispettivamente il caso in cui sia stata versata allo
Stato, a titolo di IMU, una somma spettante al Comune ed il caso opposto di
indebito versamento a quest’ultimo, dettando prescrizioni per la comunicazione
degli errori e le modalità con cui porvi rimedio. Per la Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia è previsto che la "regolazione” avvenga nell’ambito
dell’attuazione degli accantonamenti. I due commi non contengono nel loro
precetto principale alcuna previsione lesiva e si limitano a rimettere la fase
della "regolazione” concreta alla sede dell’accantonamento. Una volta rimosso
il meccanismo degli accantonamenti, la "regolazione” avverrà semplicemente in
altro modo, senza alcun pregiudizio per le finanze regionali.
11.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 715, della
legge n. 147 del 2013 è inammissibile.
Con
riferimento alla norma di specie difetta ogni specifico percorso argomentativo
a suffragio della dedotta illegittimità, non essendo sufficiente il generico
rinvio al precedente ricorso, deciso nel senso della inammissibilità con la sentenza n. 155 del
2015 di questa Corte. Per tale ragione la censura, genericamente proposta
nei confronti della citata disposizione, deve essere dichiarata inammissibile
per carenza di motivazione (ex multis, sentenza n. 220 del
2013).
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità
costituzionale promosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con il
ricorso indicato in epigrafe,
1)
dichiara, con gli effetti di cui in motivazione, l’illegittimità costituzionale
dell’art. 1, commi 711, 712 e 729, della legge 27 dicembre 2013, n. 147
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– legge di stabilità 2014), nella parte in cui si applica alla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia;
2) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 723,
725 e 727, della legge n. 147 del 2013, promosse dalla Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, in riferimento agli artt. 4, numero 1-bis), 48, 49, 51,
secondo comma, 54, 63 e 65 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1
(Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), in relazione alla
normativa di attuazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23
gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione
Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale), al decreto legislativo
2 gennaio 1997, n. 8 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione
Friuli-Venezia Giulia recanti modifiche ed integrazioni al D.P.R. 23 gennaio
1965, n. 114, concernente la finanza regionale), al decreto legislativo 2
gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione
Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle
relative circoscrizioni), in relazione al principio di neutralità finanziaria
previsto dall’art. 1, comma 159, della legge 13 dicembre 2010, n. 220
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
– legge di stabilità 2011), nonché in riferimento agli artt. 3 e 119, primo,
secondo e quarto comma, Cost. ed ai principi dell’accordo
in materia finanziaria e di leale collaborazione, con il ricorso indicato in
epigrafe;
3) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma
715, della legge n. 147 del 2013, promossa, in riferimento ai medesimi
parametri di cui al punto precedente, dalla Regione autonoma Friuli-Venezia
Giulia con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso
in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14
giugno 2016.
F.to:
Paolo
GROSSI, Presidente
Aldo
CAROSI, Redattore
Roberto
MILANA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria il 20 luglio 2016.