SENTENZA N. 105
ANNO 2017
Commento alla decisione di
Manuela Salvago
Riflessioni a margine della sentenza n. 105 del 2017
per g.c di Federalismi.it
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Puglia 8 ottobre 2014, n. 41 (Misure di tutela delle aree colpite da xylella fastidiosa), come sostituito dall’art. 1 della legge della Regione Puglia 11 aprile 2016, n. 7, recante «Modifiche alla legge regionale 8 ottobre 2014, n. 41 (Misure di tutela delle aree colpite da xylella fastidiosa)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 10-14 giugno 2016, depositato in cancelleria il 16 giugno 2016 ed iscritto al n. 31 del registro ricorsi 2016.
Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia;
udito nell’udienza pubblica del 4 aprile 2017 il Giudice relatore Giuliano Amato;
uditi l’avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Francesco Saverio Marini per la Regione Puglia.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 10-14 giugno 2016 e depositato il successivo 16 giugno (reg. ric. n. 31 del 2016), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 41, 42, 43, 117, primo e terzo comma, 118 e 120 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Puglia 8 ottobre 2014, n. 41 (Misure di tutela delle aree colpite da xylella fastidiosa), come sostituito dall’art. 1 della legge della Regione Puglia 11 aprile 2016, n. 7, recante «Modifiche alla legge regionale 8 ottobre 2014, n. 41 (Misure di tutela delle aree colpite da xylella fastidiosa)».
La legge regionale n. 7 del 2016 sostituisce interamente l’art. 1 della legge regionale n. 41 del 2014 con il seguente testo:
«1. In tutte le zone territoriali omogenee a destinazione rurale, al fine di garantire la continuità dell’uso agricolo, i terreni interessati da infezione a causa della xylella fastidiosa o complesso disseccamento rapido dell’olivo (co.di.r.o.) e per questo interessati da espianto, abbattimento o spostamento di alberi di olivo, non possono cambiare per i successivi sette anni la tipizzazione urbanistica vigente al momento dell’espianto, abbattimento o spostamento di alberi di olivo, né essere interessati dal rilascio di permessi di costruire in contrasto con la precedente destinazione urbanistica. Di tale divieto è dato atto nei certificati di destinazione urbanistica sulla base di specifiche segnalazioni da parte delle strutture regionali ai sensi e secondo le modalità di cui all’articolo 2.
2. Per il medesimo periodo, nei terreni di cui al comma 1 permane la destinazione urbanistica vigente al momento dell’espianto, abbattimento o spostamento di alberi di olivo, con i relativi indici di edificabilità, restando altresì consentito il miglioramento fondiario e il cambio colturale.
3. È fatta salva la realizzazione di opere pubbliche prive di alternativa localizzativa e necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell’ambiente e per le quali sia stata svolta con esito positivo la valutazione di impatto ambientale (VIA) e ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti:
a) che l’opera autorizzata con procedura VIA abbia un livello di progettazione esecutiva e sia immediatamente cantierabile;
b) che si sia adempiuto a tutte le prescrizioni rivenienti dal provvedimento VIA e che la relativa verifica di ottemperanza sia stata asseverata da tutti gli enti competenti;
c) che l’opera oggetto di autorizzazione sia coerente con ulteriori opere tecnicamente connesse che dovessero risultare necessarie all’esercizio dell’opera stessa, nonché con il contesto produttivo territoriale.».
2.– Secondo la prospettazione della parte ricorrente, le disposizioni impugnate istituirebbero un vincolo di natura urbanistica sulle aree che, per effetto dell’infezione provocata dal batterio della xylella fastidiosa o del complesso del disseccamento rapido dell’olivo (co.di.r.o.), siano interessate dall’espianto, abbattimento o spostamento degli alberi di ulivo. Tali zone, quindi, non potrebbero mutare la destinazione urbanistica vigente al momento dell’espianto per sette anni, né essere interessate dal rilascio di permessi di costruire che siano in contrasto con la preesistente destinazione urbanistica. Nondimeno, la nuova formulazione dell’art. 1 della legge reg. Puglia n. 41 del 2014 reca, al comma 3, una deroga al divieto introdotto dai commi 1 e 2, escludendo da tale divieto «la realizzazione di opere pubbliche prive di alternativa localizzativa e necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell’ambiente e per le quali sia stata svolta con esito positivo la valutazione di impatto ambientale (VIA)». Inoltre, l’opera autorizzata deve avere un livello di progettazione esecutiva ed essere immediatamente cantierabile, coerente con ulteriori opere tecnicamente connesse che dovessero risultare necessarie all’esercizio dell’opera stessa, nonché con il contesto produttivo territoriale. Da ultimo, è necessario che siano state adempiute tutte le prescrizioni rivenienti dal provvedimento di VIA e che la relativa verifica di ottemperanza sia stata asseverata da tutti gli enti competenti.
La disposizione in esame, quindi, presenterebbe una decisa discontinuità con la precedente formulazione dell’art. 1 della legge reg. Puglia n. 41 del 2014, ove si prescriveva – per le sole piante di ulivo monumentale – la destinazione agricola per 15 anni delle aree soggette ad espianto.
Secondo la parte ricorrente, le disposizioni impugnate potrebbero pregiudicare la costruzione delle «infrastrutture gas» di competenza nazionale che interessano la Regione Puglia, con particolare riferimento all’interconnessione tra il metanodotto Trans Adriatic Pipeline (TAP) e la rete nazionale di Snam Rete Gas, nonché alla posa dei metanodotti di interesse nazionale appartenenti alla rete nazionale gasdotti. Il vincolo urbanistico, infatti, sarebbe pienamente operativo per le opere fuori terra, poiché l’attività edificatoria comporta necessariamente un cambiamento della tipizzazione urbanistica, in caso di aree precedentemente agricole, tipizzazione che potrebbe permanere, invece, per le opere interrate.
Ne deriverebbe, pertanto, che la formulazione dell’art. 1 della legge reg. Puglia n. 7 del 2016 ostacolerebbe – di fatto – la realizzazione delle infrastrutture sopra richiamate, qualora queste siano localizzate nelle aree interessate dall’infezione di xylella fastidiosa e dal co.di.r.o.
2.1.– L’Avvocatura generale dello Stato prospetta, innanzi tutto, la violazione dell’art. 3 Cost., poiché le deroghe al vincolo urbanistico posto dalla disposizione impugnata sarebbero previste con riguardo alle «opere pubbliche» e non anche alle opere private di interesse pubblico, che meriterebbero identica disciplina. Ciò impedirebbe, pertanto, la realizzazione d’infrastrutture quali oleodotti, gasdotti, elettrodotti, acquedotti, etc., nelle aree interessate da xylella fastidiosa e co.di.r.o., non trattandosi di opere pubbliche finalizzate alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell’ambiente, ma di opere private, sebbene d’interesse pubblico rilevante.
2.2.– Asserisce altresì l’Avvocatura generale dello Stato che, trattandosi di norme che ricadono nella materia di competenza concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», la potestà legislativa regionale violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. e, in particolare, i principi dettati dal legislatore statale ai commi 7, lettera g), e 8, lettera b), numero 2), dell’art. 1 della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), che «riservano allo Stato, di intesa con la Conferenza unificata, rispettivamente “l’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale con riferimento all’articolazione territoriale delle reti infrastrutturali energetiche dichiarate di interesse nazionale ai sensi delle leggi vigenti” e “l’individuazione della rete nazionale dei gasdotti”». La previsione regionale, in tal modo, costituirebbe un ostacolo alla realizzazione delle infrastrutture energetiche sul territorio regionale, integrando anche una violazione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., poiché, essendo la materia in oggetto tra quelle a competenza concorrente, la potestà legislativa regionale deve esplicarsi all’interno del quadro di riferimento tracciato dal legislatore nazionale e con spirito di collaborazione.
2.3.– La difesa statale lamenta, poi, la violazione dell’art. 118 Cost., relativo al riparto costituzionale delle competenze amministrative, le quali, con riferimento agli impianti oggetto dell’intervento normativo, sono poste dall’art. 29, comma 2, lettera g), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) in capo allo Stato, trattandosi di opere di preminente interesse nazionale per la sicurezza del sistema energetico e degli approvvigionamenti. In tal modo, la competenza statale sarebbe elusa dalla norma regionale, la quale porrebbe un impedimento assoluto all’ottenimento dell’intesa regionale prevista dall’art. 1, comma 8, lettera b), numero 2, della legge n. 239 del 2004, necessaria ai fini della realizzazione delle opere in commento.
A tal proposito, la difesa statale richiama le pronunce di questa Corte che hanno dichiarato l’incostituzionalità di norme regionali che prevedevano l’incompatibilità di determinate infrastrutture con specifiche aree del territorio regionale. In particolare, con riferimento alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», è richiamata la giurisprudenza costituzionale che afferma che «la previsione dell’intesa, imposta dal principio di leale collaborazione, implica che non sia legittima una norma contenente una “drastica previsione” della decisività della volontà di una sola parte, in caso di dissenso, ma che siano invece necessarie idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze» (tra le tante, sentenza n. 165 del 2011).
La norma regionale, quindi, avrebbe l’effetto d’impedire il rilascio della prevista intesa tra Stato e Regione nell’ambito dei procedimenti di autorizzazione delle infrastrutture, in quanto la Regione Puglia sarebbe tenuta, in applicazione della norma regionale, a negare sempre e comunque l’intesa, anche in caso di convergenza tra interesse statale e interesse regionale nella localizzazione e realizzazione degli impianti.
2.4.– Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, infine, le disposizioni impugnate paleserebbero ulteriori profili d’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 41, 42 e 43 Cost., i quali tutelano la libera iniziativa economica e la proprietà privata, nonché dei principi comunitari in materia di libera circolazione delle persone e di stabilimento, e in particolare degli artt. 43 e 49 del «Trattato U.E.» [recte: Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)] e quindi dell’art. 117, primo comma, Cost.
3.– Con memoria depositata in data 22 luglio 2016 si è costituita in giudizio la Regione Puglia, chiedendo che sia dichiarata l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza nel merito, delle questioni di legittimità costituzionale sollevate nel ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri.
3.1.– In via preliminare, la Regione eccepisce la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale formulate in riferimento agli artt. 3, 41, 42, 43, 117, primo comma, e 120 Cost.
Relativamente all’art. 3 Cost., infatti, la difesa statale si limiterebbe ad enunciare le due categorie di opere che sarebbero disciplinate in modo irragionevolmente diverso dalla norma impugnata, omettendo, però, di spiegare le ragioni di tale illegittima disparità di trattamento. L’Avvocatura generale dello Stato, infatti, assumendo apoditticamente l’irragionevolezza della differente disciplina giuridica dettata dal legislatore regionale per le opere pubbliche, da un lato, e per quelle private (ancorché di interesse pubblico), dall’altro, non indicherebbe le ragioni della ritenuta irragionevolezza della diversità di trattamento, con conseguente inammissibilità della censura per carenza assoluta di motivazione (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 254, n. 233, n. 171 e n. 82 del 2015).
Egualmente inammissibili sarebbero le censure relative agli artt. 41, 42 e 43 Cost., nonché all’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento ai citati artt. 43 e 49 del TFUE. Si tratterebbe, infatti, di censure del tutto immotivate e, per quanto concerne il richiamo all’art. 43 del TFUE, anche inconferenti, concernendo tale disposizione la politica agricola comune.
Inammissibili sarebbero, infine, le censure proposte per violazione dell’art. 120 Cost., data la palese inconferenza del parametro, trattandosi di una disposizione costituzionale volta a disciplinare, al secondo e al terzo comma, i poteri sostitutivi straordinari del Governo. Non si comprenderebbe, pertanto, in che modo la disposizione potrebbe venire in rilievo nel caso di specie.
3.2.– Nel merito, la difesa regionale deduce la manifesta infondatezza della censura relativa all’art. 3 Cost., poiché la deroga al vincolo urbanistico introdotta dalla disposizione impugnata non sarebbe connessa tanto alla natura privatistica o pubblicistica dell’opera da realizzare, quanto all’impossibilità di individuare un sito alternativo e alla necessità della salvaguardia della pubblica incolumità e dell’ambiente, oltre che al rispetto degli ulteriori requisiti individuati dalla legge regionale. Requisiti che, in ogni caso, non concernerebbero opere, quali i gasdotti e i metanodotti, poiché, come riconosciuto dalla stessa difesa statale, non sono finalizzate alla «salvaguardia della pubblica incolumità e dell’ambiente».
Manifestamente infondate sarebbero, in ogni caso, anche le censure formulate in riferimento agli artt. 41, 42, 43 Cost. e, in particolare, all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 43 e 49 del TFUE. Non si comprenderebbe, infatti, in che modo la norma regionale impugnata violi i parametri evocati.
3.3.– Altresì infondate sarebbero le censure formulate in riferimento: all’art. 117, terzo comma, Cost., per contrasto con i principi fondamentali di cui all’art. 1, commi 7, lettera g), e 8, lettera b), numero 2), della legge n. 239 del 2004; all’art. 118 Cost., in quanto non sarebbe rispettato il riparto costituzionale delle competenze amministrative e, in particolare, quello previsto dall’art. 29, comma 2, lettera g), del decreto legislativo n. 112 del 1998; all’art. 120 Cost., in quanto la disposizione regionale arrecherebbe un vulnus al principio di leale collaborazione.
3.3.1.– Secondo la difesa regionale, l’intero impianto di tali censure sarebbe frutto di un erroneo presupposto interpretativo. Esse, infatti, sarebbero tutte concentrate esclusivamente sulla rilevanza che la nuova disciplina regionale assume riguardo alla costruzione delle infrastrutture gas di competenza nazionale che interessano la Regione Puglia e sull’esigenza di garantire la correttezza dei procedimenti autorizzatori per la realizzazione degli interventi relativi alla rete nazionale dei gasdotti – tra i quali è specificamente richiamato il metanodotto TAP – con particolare riguardo al raggiungimento dell’intesa tra Stato e Regione prevista dalla normativa nazionale.
Riguardo alla necessità di tale intesa – quale presupposto indispensabile per la legittimità costituzionale dei procedimenti disciplinati dalla legislazione statale – la difesa regionale richiama in particolare la sentenza di questa Corte n. 110 del 2016, in cui si è ribadito che l’art. 52-quinquies del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità (Testo A)», «prevede “la cosiddetta intesa ‘forte’ ai fini della localizzazione e realizzazione delle infrastrutture lineari energetiche quale modulo procedimentale necessario per assicurare l’adeguata partecipazione delle regioni allo svolgimento di procedimenti incidenti su una molteplicità di loro competenze” (sentenza n. 182 del 2013)». La medesima pronuncia afferma espressamente che anche «ai “gasdotti di approvvigionamento di gas dall’estero” è pienamente applicabile il disposto dell’art. 52-quinquies, comma 5, del d.P.R. n. 327 del 2001, che prevede l’adozione, d’intesa con le Regioni, dell’atto conclusivo del procedimento di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di ogni infrastruttura lineare energetica».
Da ciò, argomenta la difesa regionale, deriverebbe l’assunto dell’Avvocatura generale dello Stato per cui la norma regionale impugnata avrebbe l’effetto «di impedire il rilascio della prevista intesa Stato-Regione nell’ambito dei procedimenti di autorizzazione delle infrastrutture, in quanto la Regione Puglia sarebbe tenuta, in applicazione della norma regionale, a negare sempre e comunque l’intesa, anche in caso di convergenza tra interesse statale e interesse regionale nella localizzazione e realizzazione degli impianti».
L’erroneità del presupposto interpretativo delle censure mosse dal ricorrente, secondo la difesa regionale, sarebbe, dunque, palese, poiché il vincolo urbanistico imposto dalle disposizioni impugnate potrebbe operare solo con riferimento alle opere fuori terra e, comunque, andrebbe riferito ai soli terreni interessati da infezione a causa di xylella fastidiosa o co.di.r.o. L’intesa che Stato e Regione sono chiamati a raggiungere nei procedimenti di localizzazione delle infrastrutture in questione, invece, sarebbe un atto di natura politica, che, come tale, ben potrebbe implicare l’impegno delle parti ad adottare ogni ulteriore atto al fine di assicurare l’adempimento degli obblighi assunti con l’intesa medesima, comprese eventuali modifiche al proprio ordinamento legislativo. Inoltre, il comma 8-bis dell’art. 1 della medesima legge n. 239 del 2004, prevedendo uno speciale procedimento in caso di mancato raggiungimento dell’intesa imputabile alla Regione, consentirebbe, in ultima istanza, alla Presidenza del Consiglio dei ministri di provvedere in merito.
3.4.– Riguardo alle specifiche censure, la difesa regionale ritiene priva di fondamento quella di violazione del riparto delle competenze legislative, stabilito dall’art. 117, terzo comma, Cost., con specifico riferimento alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», per contrasto con l’art. 1, commi 7, lettera g), e 8, lettera b), numero 2), della l. n. 239 del 2004, che riservano allo Stato, di intesa con la Conferenza unificata, rispettivamente «l’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale con riferimento all’articolazione delle reti infrastrutturali energetiche dichiarate di interesse nazionale ai sensi delle leggi vigenti» e «l’individuazione della rete nazionale dei gasdotti». Parimenti infondata sarebbe la censura di violazione dell’art. 118 Cost., per contrasto con l’art. 29, comma 2, lettera g), del d.lgs. n. 112 del 1998 – che pone in capo allo Stato le competenze amministrative ed autorizzatorie per gli impianti oggetto dell’intervento normativo, in quanto opere di preminente interesse nazionale per la sicurezza del sistema energetico e degli approvvigionamenti – nonché con l’art. 1, comma 8, lettera b), numero 2), della legge n. 239 del 2004, per l’impedimento che la norma regionale porrebbe al raggiungimento dell’intesa ivi prevista. Secondo la difesa della parte resistente, infatti, la norma impugnata non concernerebbe la competenza concorrente in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», ma quella in materia di «governo del territorio» e, in parte, anche la competenza residuale regionale in materia di «agricoltura». La Regione Puglia, dunque, avrebbe agito all’interno del riparto di competenze legislative sancito dalla Costituzione. L’intreccio con competenze statali, anche avocate al centro in forza del meccanismo della «chiamata in sussidiarietà», nondimeno, comporta il rispetto del principio di leale collaborazione, che, nel caso di specie, troverebbe già adeguata espressione proprio nella necessità del raggiungimento di un’intesa in sede di Conferenza unificata, ai fini dell’esercizio delle funzioni di cui all’art. 1, comma 8, lettera b), numero 2), della legge n. 239 del 2004 (a cui si aggiunge l’intesa con la singola Regione interessata, prevista dall’art. 52-quinquies, comma 2, del d.P.R. n. 327 del 2001, da acquisire ai fini del rilascio di autorizzazioni alla costruzione di gasdotti ed oleodotti): intese rispetto alle quali la norma regionale impugnata non avrebbe effetto ostativo. Questi argomenti renderebbero palesemente infondata anche la denunciata lesione del principio di leale collaborazione.
4.– In prossimità dell’udienza, la Regione Puglia ha depositato memoria nella quale insiste sulle conclusioni già rassegnate nell’atto di costituzione in giudizio. In particolare, la difesa regionale ribadisce la riconducibilità della legge regionale n. 7 del 2016 alle competenze regionali in materia di «governo del territorio» e «agricoltura» (sono richiamate le sentenze n. 16 del 2015, n. 62 del 2013, n. 116 del 2006, n. 282 e n. 12 del 2004), le quali, nel caso di specie, s’intrecciano con ulteriori ambiti attribuiti alla competenza statale in materia energetica, avocati al centro in forza del meccanismo della «chiamata in sussidiarietà». Ancora, la Regione sottolinea come il vincolo urbanistico imposto dalla disposizione di legge regionale, riguardando solo determinate categorie di terreni e applicandosi solo alle opere fuori terra, non sarebbe, come asserisce la difesa statale, tale da portare la Regione a negare «sempre e comunque» la necessaria intesa per la localizzazione delle opere, con conseguente infondatezza dei rilievi governativi.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 41, 42, 43, 117, primo e terzo comma, 118 e 120 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Puglia 8 ottobre 2014, n. 41 (Misure di tutela delle aree colpite da xylella fastidiosa), come sostituito dall’art. 1 della legge della Regione Puglia 11 aprile 2016, n. 7, recante «Modifiche alla legge regionale 8 ottobre 2014, n. 41 (Misure di tutela delle aree colpite da xylella fastidiosa)».
Le disposizioni impugnate istituiscono un vincolo di natura urbanistica sulle aree che, per effetto dell’infezione provocata dal batterio della xylella fastidiosa o del complesso del disseccamento rapido dell’olivo (co.di.r.o.), siano interessate dall’espianto, abbattimento o spostamento degli alberi di ulivo, stabilendo che tali zone non possano mutare la destinazione urbanistica vigente al momento dell’espianto per sette anni, né essere interessate dal rilascio di permessi di costruire che siano in contrasto con la preesistente destinazione urbanistica. Nondimeno, le stesse disposizioni prevedono la possibilità di deroghe a tale vincolo per «la realizzazione di opere pubbliche prive di alternativa localizzativa e necessarie alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell’ambiente e per le quali sia stata svolta con esito positivo la valutazione di impatto ambientale (VIA)». Inoltre, l’opera autorizzata deve avere un livello di progettazione esecutiva ed essere immediatamente cantierabile, coerente con ulteriori opere tecnicamente connesse che dovessero risultare necessarie all’esercizio dell’opera stessa, nonché con il contesto produttivo territoriale ed è necessario che siano state adempiute tutte le prescrizioni rivenienti dal provvedimento di VIA e che la relativa verifica di ottemperanza sia stata asseverata da tutti gli enti competenti.
2.– Secondo la parte ricorrente, le disposizioni impugnate potrebbero pregiudicare la costruzione delle infrastrutture gas di competenza nazionale che interessano la Regione Puglia, con particolare riferimento all’interconnessione tra il metanodotto Trans Adriatic Pipeline (TAP) e la rete nazionale di Snam Rete Gas, nonché alla posa dei metanodotti di interesse nazionale appartenenti alla rete nazionale gasdotti.
2.1.– Una prima censura viene prospettata in relazione all’art. 3 Cost., poiché le deroghe al vincolo urbanistico previste dalla disposizione impugnata sarebbero riferite alle «opere pubbliche» e non anche alle opere private di interesse pubblico, che meriterebbero identica disciplina, con il risultato d’impedire la realizzazione delle infrastrutture quali oleodotti, gasdotti, elettrodotti, acquedotti, e altro, nelle aree interessate.
2.2.– È altresì denunciata la violazione dei principi fondamentali della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., con particolare riferimento ai commi 7, lettera g), e 8, lettera b), numero 2), dell’art. 1 della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), poiché la previsione regionale ostacolerebbe la realizzazione delle infrastrutture energetiche sul territorio regionale, integrando anche una violazione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., in quanto si porrebbe un impedimento assoluto al raggiungimento dell’intesa regionale prevista dall’art. 1, comma 8, lettera b), numero 2), della legge n. 239 del 2004, necessaria ai fini della realizzazione delle opere in discorso.
2.3.– La parte ricorrente denuncia, inoltre, la violazione dell’art. 118 Cost., per contrasto con la disciplina delle competenze amministrative ed autorizzatorie per gli impianti oggetto dell’intervento normativo, riservate allo Stato dall’art. 29, comma 2, lettera g), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59). In applicazione della norma regionale, infatti, la Regione Puglia dovrebbe negare sempre e comunque l’intesa, anche in caso di convergenza tra interesse statale e interesse regionale nella localizzazione e realizzazione degli impianti.
2.4.– Da ultimo, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, sono ravvisabili ulteriori profili d’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 41, 42 e 43 Cost., nonché dell’art. 117, primo comma, Cost., con riferimento agli artt. 43 e 49 del Trattato U.E. [recte: Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)].
3.– Preliminarmente, deve essere dichiarata l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale formulate in riferimento agli artt. 3, 41, 42, 43, 117, primo comma, in relazione agli artt. 43 e 49 TFUE, e 120 Cost.
Questa Corte ha costantemente affermato che costituisce onere del ricorrente identificare esattamente la questione nei suoi termini normativi, indicando le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di costituzionalità (tra le tante, sentenze n. 249 del 2016, n. 233, n. 153 e n. 82 del 2015, n. 259 e n. 39 del 2014), ed esponendo una seppur sintetica argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme impugnate (ex plurimis, sentenze n. 249 del 2016, n. 184 del 2012, n. 119 del 2010).
Del tutto carenti di supporto motivazionale sono le censure relative agli artt. 41, 42 e 43 Cost., poiché non è illustrato alcun argomento riguardo alle modalità con le quali la disposizione regionale impugnata inciderebbe sulla libertà d’iniziativa economica, né in ordine al pregiudizio che essa recherebbe ai principi costituzionali in materia di espropriazione.
Allo stesso modo, immotivata si presenta anche la censura relativa all’art. 117, primo comma, Cost., per violazione degli artt. 43 e 49 del TFUE, in quanto nulla si dice sulle modalità con le quali si verificherebbe la lesione di tali parametri; in particolare, per l’art. 43 del TFUE, si evoca una disposizione che, come evidenziato anche dalla difesa regionale, non appare conferente alla materia in esame.
Appare, altresì, carente di adeguata motivazione la censura relativa all’art. 120 Cost., la cui violazione è evocata in termini meramente assertivi, sebbene possa desumersi un generico collegamento con le censure relative agli altri parametri costituzionali.
Da ultimo, con riferimento alla censura posta in relazione all’art. 3 Cost., l’Avvocatura generale dello Stato si limita a denunciare una disparità di trattamento tra opere pubbliche ed opere private nella disciplina regionale impugnata, senza, tuttavia, svolgere una sufficiente argomentazione riguardo alle ragioni che osterebbero a tale diversità di trattamento. La censura, pertanto, non raggiunge quella soglia minima di chiarezza a cui la giurisprudenza di questa Corte subordina l’ammissibilità delle impugnative in via principale (ex multis, sentenze n. 249 del 2016, n. 39 del 2014, n. 119 del 2010 e n. 139 del 2006).
4.– Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 2, della legge reg. Puglia n. 41 del 2014, come sostituito dall’art. 1 della legge reg. Puglia n. 7 del 2016, per violazione dell’art. 117, terzo comma, e dell’art. 118 Cost.
4.1.– Una ricostruzione dell’ambito materiale del Titolo V della Costituzione, a cui vanno ricondotte le disposizioni impugnate, consente, infatti, di collocarle all’interno delle competenze regionali in materia di «governo del territorio».
Tale materia, come più volte affermato da questa Corte, concerne, in linea di principio, tutto ciò che attiene all’uso del territorio e alla localizzazione di impianti o attività e, dunque, l’insieme delle norme che consentono di identificare e graduare gli interessi in base ai quali possono essere regolati gli usi ammissibili del territorio (tra le tante, sentenze n. 278 e n. 21 del 2010, 237 del 2009, n. 383 e n. 336 del 2005).
Le disposizioni di cui ai primi due commi dell’art. 1 della legge reg. Puglia n. 41 del 2014, come riformulati dalla legge reg. n. 7 del 2016, nel porre un vincolo settennale sui terreni agricoli che abbiano subito espianto di ulivi affetti da xylella o co.di.r.o., infatti, si pongono in linea di continuità con l’originaria previsione legislativa, da un lato estendendo la portata del vincolo, non più limitato ai soli terreni ove vi siano ulivi monumentali, dall’altro lato, riducendone la durata da quindici a sette anni. Per tali profili, dunque, le disposizioni regionali impugnate agiscono all’interno delle competenze regionali in materia di «governo del territorio», limitando la possibilità di edificare su terreni agricoli. In tal senso, quindi, non si palesano contrasti con i parametri costituzionali evocati.
5.– È fondata la questione di legittimità dell’art. 1, comma 3, della legge reg. Puglia n. 41 del 2014, come sostituito dall’art. 1 della legge regionale n. 7 del 2016, in riferimento all’art. 117, terzo comma, e all’art. 118 Cost.
5.1.– Come già affermato da questa Corte, infatti, non tutta la disciplina concernente la programmazione, la progettazione e la realizzazione delle opere o l’esercizio delle attività che, per loro natura, producono un inevitabile impatto sul territorio, può essere ricondotta al «governo del territorio». Ne consegue, che l’ambito materiale a cui ricondurre le competenze relative ad attività che presentano una diretta o indiretta rilevanza in termini di impatto territoriale, va ricercato attraverso la valutazione dell’elemento funzionale; l’interesse riferibile al «governo del territorio» e le connesse competenze non possono assumere carattere di esclusività, dovendo armonizzarsi e coordinarsi con la disciplina posta a tutela di ulteriori interessi differenziati (in tal senso già la sentenza n. 383 del 2005).
Dunque, è alla luce di tale giurisprudenza che deve essere esaminato il comma 3 dell’art. 1 della legge regionale in esame, che introduce talune deroghe al divieto di variazione della destinazione urbanistica. Come riconosciuto dalla stessa difesa regionale, la disposizione impugnata, in tal modo, incide su ulteriori aspetti concernenti gli usi del territorio, introducendo casi specifici nei quali il vincolo urbanistico non opera, investendo per tale profilo ambiti di competenza ulteriori, quale, appunto, il settore energetico.
5.2.– La disposizione regionale include nel suo divieto la realizzazione di opere rientranti di sicuro nella competenza statale, come, tra le altre, le opere energetiche d’interesse strategico nazionale, alle quali si riferisce il ricorso. Inoltre, per le stesse opere la cui realizzazione è, invece, ammessa, si fa riferimento ad interessi, quali l’ambiente, che rientrano nella competenza esclusiva statale, e la pubblica incolumità, la quale certamente investe anche profili, come la sicurezza, attinenti a valutazioni proprie dello Stato. La natura di siffatti interessi, dunque, fa escludere un potere regionale come quello previsto dalla disposizione in esame, che manifesta in tal modo un’esorbitanza dalle competenze legislative della Regione.
Con particolare riferimento alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», non possono non entrare in gioco i principi fondamentali posti dallo Stato, nello specifico con: l’art. 1, comma 7, lettera g), della legge n. 239 del 2004, che riserva allo Stato le funzioni amministrative concernenti «l’identificazione delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale con riferimento all’articolazione territoriale delle reti infrastrutturali energetiche dichiarate di interesse nazionale ai sensi delle leggi vigenti»; l’art. 1, comma 8, lettera b), numero 2), della legge n. 239 del 2004, che attribuisce allo Stato le funzioni inerenti «l’individuazione, di intesa con la Conferenza unificata, della rete nazionale di gasdotti»; l’art. 29, comma 2, lettera g), del decreto legislativo 112 del 1998, che riserva allo Stato le funzioni amministrative concernenti, in particolare, i profili autorizzatori e in materia di gasdotti.
La legge n. 239 del 2004, come sottolineato in più occasioni da questa Corte, anche attraverso il meccanismo della “chiamata in sussidiarietà”, quindi attraverso un modulo procedimentale basato su esigenze d’interesse nazionale, ha «ridefinito in modo unitario e a livello nazionale i procedimenti di localizzazione e realizzazione della rete di oleodotti e gasdotti, nonché dei connessi impianti di compressione a gas, in base alla necessità di riconoscere un ruolo fondamentale agli organi statali nell’esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative, a fronte di esigenze di carattere unitario» (tra le tante, sentenza n. 249 del 2016).
Le norme statali, dunque, costituiscono principi fondamentali per la localizzazione e la realizzazione delle opere d’interesse nazionale, e quindi anche nella materia energetica, «in base all’evidente presupposto della necessità di riconoscere un ruolo fondamentale agli organi statali nell’esercizio delle corrispondenti funzioni amministrative, a fronte di esigenze di carattere unitario», anche in relazione «ai criteri indicati dall’art. 118 Cost. per la allocazione e la disciplina delle funzioni amministrative, nonché al principio di leale collaborazione» (sentenza n. 131 del 2016, nonché sentenze n. 119 del 2014, n. 182 del 2013, n. 383 del 2005).
5.3.– La pluralità di interessi e di competenze che ricorrono nella materia in esame trova la sua composizione nell’intesa, prevista anche per la fase di localizzazione e realizzazione dell’opera ai sensi dall’art. 52-quinquies del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità (Testo A)». Il raggiungimento dell’intesa costituisce lo strumento necessario al fine d’identificare le «linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale con riferimento all’articolazione territoriale delle reti infrastrutturali energetiche dichiarate di interesse nazionale ai sensi delle leggi vigenti, inclusa la rete dei gasdotti» (da ultimo, sentenza n. 249 del 2016), superabile nel caso d’inerzia regionale con le modalità previste dal comma 8-bis dell’art. 1 della legge n. 239 del 2004.
In base a tali presupposti ed anche in ragione del pregiudizio arrecato alla ricerca dell’intesa, questa Corte ha più volte dichiarato l’illegittimità costituzionale di leggi regionali che prevedevano divieti o ponevano vincoli alla localizzazione di impianti energetici in zone diverse da quelle individuate dalla Regione (tra le tante, sentenze n. 249 e n. 154 del 2016, n. 119 del 2014, n. 182 del 2013).
La stessa difesa regionale non nega la connessione delle norme adottate con competenze dello Stato, ma le ritiene salvaguardate poiché non sarebbe pregiudicata l’intesa che lo Stato stesso e la Regione sono chiamati a raggiungere nei procedimenti di localizzazione di queste infrastrutture. L’intesa, infatti, sarebbe atto di natura politica, che impegna le parti ad adottare ogni atto idoneo ad assicurare l’adempimento degli obblighi assunti con l’intesa medesima, comprese eventuali modifiche al proprio ordinamento legislativo, in assenza delle quali lo Stato potrebbe comunque provvedere.
Tali argomentazioni non appaiono persuasive, in primo luogo, perché la disposizione di cui al comma 3 dell’art. 1 della legge impugnata individua fattispecie comunque al fuori delle competenze regionali; in secondo luogo, in quanto l’argomento che ogni legge possa sempre essere modificata qualora necessario prova troppo in un giudizio di legittimità costituzionale sulla medesima legge.
5.4.– Dunque, è proprio il comma 3 della nuova formulazione dell’art. 1 della legge reg. n. 41 del 2014, recante le deroghe al divieto di variazione della destinazione agricola dei terreni, stabilito in via generale dai primi due commi dell’art. 1, a determinare la lesione delle competenze statali. Nel prevedere tali deroghe, infatti, la Regione, eccedendo le proprie competenze, disciplina casi nei quali la realizzazione dell’opera dipende da una valutazione non sua, ma dello Stato.
Il permanere del generale divieto di edificazione su determinati territori regionali, previsto dai commi 1 e 2 dell’art. 1 della legge regionale impugnata, invece, non osta, di per sé, al raggiungimento delle intese necessarie alla localizzazione di opere d’interesse strategico nazionale e, dunque, alla loro realizzazione. Ciò, infatti, discende dalle leggi dello Stato che, come la legge n. 239 del 2004, attribuiscono a quest’ultimo il potere di stabilire, in base all’interesse nazionale e salva l’intesa con le Regioni, la localizzazione e la realizzazione di opere siffatte. Il divieto regionale, perciò, è di per sé inoperante davanti ad opere rientranti in ambiti in cui le competenze amministrative e legislative della Regione sono sovrastate, e quindi limitate, dal predetto potere statuale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, della legge della Regione Puglia 8 ottobre 2014, n. 41 (Misure di tutela delle aree colpite da xylella fastidiosa), come sostituito dall’art. 1 della legge della Regione Puglia 11 aprile 2016, n. 7, recante «Modifiche alla legge regionale 8 ottobre 2014, n. 41 (Misure di tutela delle aree colpite da xylella fastidiosa)»;
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Puglia n. 41 del 2014, come sostituito dall’art. 1 della legge della Regione Puglia n. 7 del 2016, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 3, 41, 42, 43, 117, primo comma, in relazione agli artt. 43 e 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, e 120 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 2, della legge della Regione Puglia n. 41 del 2014, come sostituito dall’art. 1 della legge della Regione Puglia n. 7 del 2016, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 maggio 2017.