ANNO 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai
signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’intero testo
del decreto
legislativo 25 novembre 2016, n. 219 (Attuazione della delega di cui
all’articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, per il riordino delle
funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato
e agricoltura), nonché dell’art. 1, comma 1, lettera a), numeri 1) e 3), lettera b),
numero 2), punto g), e lettera r), numero 1), punti a) ed i), degli artt. 2 e 3, dell’art. 3, commi 1, lettera f), 4 e 10, dell’art. 4 e dell’art. 4,
comma 6, del medesimo decreto, promossi dalle Regioni Puglia, Toscana, Liguria
e Lombardia con ricorsi notificati il 23-24, il 20-24, il 23-24 e il 24-27
gennaio 2017, depositati in cancelleria il 25 e il 30 gennaio e il 2 febbraio
2017 ed iscritti ai nn. 4, 5, 6 e 7 del
registro ricorsi 2017.
Visti gli atti di
costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica
del 7 novembre 2017 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;
uditi gli avvocati Stelio
Mangiameli per la Regione Puglia, Marcello Cecchetti per la Regione Toscana,
Gabriele Pafundi per la Regione Liguria, Ulisse Corea
per la Regione Lombardia e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.–
Le Regioni Puglia, Toscana, Liguria e Lombardia hanno promosso, con quattro
distinti ricorsi (rispettivamente notificati il 23-24 gennaio 2017, il 20-24 gennaio
2017, il 23-24 gennaio 2017 ed il 24-27 gennaio 2017), questioni di legittimità
costituzionale aventi ad oggetto l’intero testo, nonché alcune norme del
decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 (Attuazione della delega di cui
all’articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, per il riordino delle
funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato
e agricoltura).
In
particolare, le prime tre ricorrenti hanno impugnato l’intero testo del d.lgs.
n. 219 del 2016 in riferimento al principio di leale collaborazione (Regioni
Toscana e Liguria), nonché agli artt. 76 della Costituzione
e 10,
comma 1, della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante «Deleghe al Governo in
materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» (Regione Puglia),
ed agli artt. 76
e 77, primo comma, Cost. (Regione Toscana).
Esse
hanno, inoltre, promosso questioni di legittimità costituzionale aventi ad
oggetto specifiche norme del d.lgs. n. 219 del 2016 ed impugnato: l’art. 1,
comma 1, lettera a), numero 1), e
l’art. 3 (recte,
art. 3, comma 1, primo periodo), in riferimento agli artt. 3, 5, 18 Cost.
ed al principio di ragionevolezza (Regione Puglia),
nonché l’art. 1, comma 1, lettera a),
numero 3), in riferimento agli artt. 76 e 77, comma primo, Cost. (Regione Liguria); l’art. 1, comma 1, lettera r), numero 1), punto i), nella parte in cui sostituisce il
comma 10 dell’art. 18 della legge 29 dicembre 1993, n. 580 (Riordinamento delle
camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura), in riferimento all’art. 117, commi terzo e
quarto, Cost. ed al
principio di leale collaborazione (Regione Puglia e Regione Toscana), nonché
all’art. 3 Cost. ed al principio di
ragionevolezza (Regione Puglia) ed all’art. 118 Cost. (Regione Toscana); l’art. 1, comma 1, lettera r), numero 1), punto a), che ha abrogato la lettera c) del comma 1 dell’art. 18 del d.lgs.
n. 580 del 1993, in riferimento agli artt. 3, 117, commi terzo e
quarto, Cost. ed al principio
di ragionevolezza (Regione Puglia); l’art. 3, comma 4, in riferimento agli artt. 76 Cost. e 10,
comma 1, legge n. 124 del 2015 ed al principio di leale collaborazione
(Regione Puglia), agli artt.
117, terzo e quarto comma, Cost., ed al principio
di leale collaborazione (Regioni Toscana e Liguria); l’art. 4, comma 6, in
riferimento all’art.
117, comma quarto, Cost. (Regioni Puglia e
Toscana), nonché agli artt.
3 e 97 Cost. ed ai principi di leale
collaborazione e ragionevolezza (Regione Puglia).
1.1.– La Regione Lombardia ha impugnato:
l’intero testo del d.lgs. n. 219 del 2016, in riferimento agli artt. 5, 117, commi terzo e
quarto, e 120 Cost. ed al principio di leale collaborazione,
deducendo altresì che tale atto normativo violerebbe l’art. 76 Cost., in combinato disposto con gli artt. 5, 117, commi terzo e
quarto, 120 Cost., in relazione all’art.
10, comma 2, della legge n. 124 del 2015, come riformulato dalla eventuale
pronuncia di illegittimità costituzionale di quest’ultima norma che la Regione
chiede alla Corte di adottare in sede di autorimessione,
in riferimento agli artt.
5, 117, commi
terzo e quarto, 120
Cost. ed al principio di
leale collaborazione.
La
Regione Lombardia ha anche sollevato questione di legittimità costituzionale di
specifiche norme del d.lgs. n. 219 del 2016 e, in particolare: ha impugnato:
l’art. 1, comma 1, lettera b), numero
2), punto g), e lettera r), numero 1), punto i), e l’art. 3, comma 10, in riferimento
agli artt. 5, 76, 117, commi terzo e
quarto, 120 Cost. ed al principio di leale
collaborazione; gli artt. 1, 2, 3 e 4, in riferimento agli artt. 76, 117, commi terzo e
quarto, Cost. ed al principio di leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.;
l’art. 3, comma 4, in riferimento al principio di leale collaborazione ed agli artt. 5, 76, 117, commi terzo e
quarto, e 120 Cost.; gli artt. 3, comma 1, lettera f), e 4 in riferimento all’art. 76 Cost., in combinato disposto con l’art. 117 Cost., in relazione all’art.
10, comma 1, lettera g), della legge
n. 124 del 2015.
2.–
L’art. 10 della legge n. 124 del 2015 ha delegato il Governo ad emanare un decreto
legislativo avente ad oggetto la riforma dell’organizzazione, delle funzioni e
del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e
agricoltura, anche mediante la modifica della legge n. 580 del 1993, come
modificata dal decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 23 (Riforma
dell’ordinamento relativo alle camere di commercio, industria, artigianato e
agricoltura, in attuazione dell’articolo 53 della legge 23 luglio 2009, n. 99)
ed il conseguente riordino delle disposizioni che regolano la relativa materia.
2.1.– Tutte le ricorrenti svolgono – in linea
preliminare e generale e con riguardo alle censure concernenti sia l’intero
testo del d.lgs. n. 219 del 2016, sia specifiche disposizioni dello stesso –
considerazioni, sostanzialmente coincidenti, in ordine alla materia cui sarebbe
riconducibile la disciplina delle camere di commercio.
Secondo
la Regione Puglia, la citata legge delega inciderebbe su competenze
amministrative delle Regioni (in particolare, su quelle oggetto degli artt. 37 e
38 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, recante «Conferimento di
funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali,
in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59», che reputa vigenti
anche dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione) e,
comunque, concernerebbe una materia riservata alla competenza legislativa di
tipo residuale (art. 117, comma quarto, Cost.) delle
stesse, essendo le camere di commercio «un interlocutore delle Regioni nell’esercizio
della competenza in materia di promozione delle attività produttive». La
Regione sarebbe dunque legittimata a denunciare la lesione della propria
competenza in detta materia, come affermato dalla sentenza n. 29 del
2016. L’incidenza della disciplina su una materia di competenza regionale
renderebbe ammissibile, di per sé sola, la denuncia della violazione di
parametri costituzionali non compresi nel Titolo V della Parte II della
Costituzione.
Argomentazioni
analoghe sono svolte dalla Regione Toscana, secondo la quale l’oggetto della
disciplina – in particolare, il riordino, l’accorpamento e la riorganizzazione
delle funzioni delle camere di commercio – riguarderebbe attribuzioni regionali
(la promozione dello sviluppo economico locale, il sostegno delle attività
economiche regionali, lo sviluppo della competitività delle imprese
nell’economia regionale, il sostegno all’innovazione per i settori produttivi
regionali, il commercio, la promozione del turismo e del patrimonio culturale,
l’orientamento al lavoro), che sarebbero lese dalla violazione degli artt. 76 e
77, primo comma, Cost. A suo avviso, questa Corte ha
affermato: prima della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione,
che la camera di commercio costituisce «un ente pubblico locale dotato di
autonomia funzionale, che entra a pieno titolo, formandone parte costitutiva,
nel sistema dei poteri locali secondo lo schema dell’art. 118 della
Costituzione, diventando anche potenziale destinatario di deleghe dello Stato e
della Regione» (sentenza
n. 477 del 2000); successivamente, che, «anche quando ha proceduto al
trasferimento alle Regioni di funzioni in materia di camere di commercio, il
legislatore si è sempre preoccupato di garantire che la costituzione dei
consigli camerali fosse disciplinata in maniera omogenea su tutto il territorio
nazionale» (sentenza
n. 374 del 2007), ferma la necessità che l’intervento statale sia
proporzionato all’esigenza di esercizio unitario a livello statale delle
funzioni di cui volta per volta si tratta e sia realizzato previa intesa con le
Regioni.
La
Regione Liguria deduce, analogamente, che la disciplina delle camere di
commercio inciderebbe su numerose materie attribuite dall’art. 117, quarto
comma, Cost. alla competenza
legislativa di tipo residuale delle Regioni, alle quali, già con le riforme riconducibili
al cosiddetto «federalismo amministrativo», sono stati attribuiti numerosi
compiti relativi allo «sviluppo economico ed alle attività produttive» (art. 11
del d.lgs. n. 112 del 1998). Tale scelta sarebbe stata confermata ed
implementata dalla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione,
tenuto conto che le principali materie riferibili all’economia ed alle attività
produttive (agricoltura, industria, artigianato, commercio, turismo) sono state
ascritte alla competenza residuale delle Regioni (a conforto, sono richiamate
le sentenze n.
76 del 2009, n.
94 del 2008, n.
64 del 2007, n.
162 del 2005 e n. 1 del 2004).
In particolare, benché questa Corte abbia precisato che la locuzione «sviluppo
economico» non identifica una materia, ma «costituisce una espressione di
sintesi, meramente descrittiva, che comprende e rinvia ad una pluralità di
materie» e l’art. 117 Cost. «contempla molteplici
materie caratterizzate da una palese connessione con lo sviluppo dell’economia,
le quali sono attribuite sia alla competenza legislativa esclusiva dello Stato,
sia a quella concorrente, sia a quella residuale» (sentenza n. 165 del
2007), sarebbe pacifico che, quando una data disciplina incide su materie
attribuite alla competenza regionale concorrente o residuale, l’esistenza di
esigenze di carattere unitario legittima l’avocazione in sussidiarietà delle
funzioni amministrative (sentenze n. 214 del
2006, n. 383,
n. 270 e n. 242 del 2005)
e della potestà normativa per l’organizzazione delle stesse, ferma la necessità
del rispetto del principio di leale collaborazione, mediante lo strumento
dell’intesa (sentenze
n. 251 del 2016, n. 165 del 2007,
n. 214 del 2006).
Argomenti
in larga misura coincidenti con quelli dianzi sintetizzati sono svolti, infine,
dalla Regione Lombardia, la quale, in punto di legittimazione, ricorda la
giurisprudenza costituzionale secondo cui le Regioni sono legittimate a
denunciare le norme statali lesive di attribuzioni degli enti locali. Inoltre,
anche ritenendo che le camere di commercio non siano enti locali, le stesse
costituiscono, per alcuni aspetti, uno «strumento» per la Regione nella cura
degli interessi della popolazione, nello sviluppo del tessuto
economico-sociale, nello svolgimento di molteplici funzioni rientranti nella
potestà legislativa e amministrativa regionale, e quindi l’illegittimità delle
norme statali che le concerne può ridondare in lesione della competenza
regionale.
3.– Posta tale premessa, tutte le ricorrenti
denunciano, in relazione a profili ed a parametri in parte coincidenti,
l’illegittimità costituzionale dell’intero testo del d.lgs. n. 219 del 2016.
3.1.– Secondo la Regione Puglia, tale atto
normativo violerebbe gli artt. 76 Cost. e 10, comma 1, della legge n. 124 del 2015, perché non
sarebbe stato emanato nel termine stabilito da quest’ultima norma.
Il
citato art. 10, comma 1, ha stabilito che la delega avrebbe dovuto essere esercitata
entro il termine di dodici mesi dall’entrata in vigore della legge n. 124 del
2015 (avvenuta il 28 agosto 2015 dato che detta legge è stata pubblicata il 13
agosto 2015) e, quindi, entro il 28 agosto 2016, come non sarebbe accaduto.
Nella
specie, non sarebbe stata applicabile la proroga del termine prevista dal comma
2 di detta norma e, ad avviso della ricorrente, tale disposizione andrebbe
interpretata ritenendo che la proroga avrebbe potuto operare esclusivamente
qualora il termine per rendere i pareri nella stessa richiamati fosse scaduto
nei trenta giorni anteriori alla scadenza del termine ordinario (28 agosto
2016). Pertanto, sarebbe stato necessario che il termine per rendere i pareri
fosse caduto nel periodo compreso tra il 29 luglio ed il 28 agosto 2016. Non
rileverebbe che la prima deliberazione del Consiglio dei ministri è stata
adottata il 25 agosto 2016 e che la nota con cui è stato richiesto il parere
del Consiglio di Stato è del 26 agosto 2016, poiché, «nell’imminenza della
scadenza, sarebbe stato onere del Governo adottare la massima diligenza,
affinché la richiesta pervenisse in tempo utile per far scattare la proroga» e,
quindi, poiché ciò non sarebbe avvenuto, «il presupposto affinché la proroga
operasse si è verificato tardivamente».
In
contrario, non gioverebbe rilevare che la proroga poteva operare anche se il
termine per rendere il parere cadeva nei trenta giorni successivamente al
termine ordinario stabilito per l’esercizio della delega; la disposizione
andrebbe infatti interpretata «nel senso che comunque il dies a quo da cui contare la scadenza deve rientrare nel termine di
delega ordinario. Il che potrebbe anche comportare che il dies ad quem cada successivamente al termine
di delega ordinario».
Secondo
la Regione Puglia, accogliendo la «interpretazione secondo cui il dies a quo è irrilevante, si arriverebbe al
paradosso che la delega legislativa non avrebbe scadenza, perché in ogni caso
la richiesta di parere tardiva (post 28
agosto 2016) avrebbe un termine successivo alla scadenza della delega e sarebbe
in grado di far scattare "retroattivamente” la proroga» Una tale esegesi
sarebbe elusiva dell’art. 76 Cost. e
trasformerebbe una legittima possibilità di proroga (previamente prevista dal
legislatore) in una censurabile «sanatoria». In definitiva, poiché la proroga
in esame presupponeva che la richiesta di parere avrebbe dovuto pervenire entro
la data di scadenza naturale della delega (28 agosto 2016), il d.lgs. n. 219
del 2016 sarebbe costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 76 Cost.,
ridondante sul riparto delle competenze legislative, fra Stato e Regioni,
tenuto conto delle argomentazioni svolte in linea generale in ordine alla
materia oggetto di tale atto normativo.
L’inosservanza
del termine di esercizio della delega è stata denunciata anche dalla Regione
Toscana, in riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, Cost.
A suo avviso, l’art. 10, comma 2, della legge n. 124 del 2015 avrebbe imposto
di richiedere prima i pareri della Conferenza unificata e del Consiglio di
Stato (da rendere nel termine di quarantacinque giorni), poi quelli delle
Camere. Il Governo, trasmettendo lo schema di decreto legislativo
contestualmente alla Conferenza unificata, al Consiglio di Stato ed alle
Camere, avrebbe violato la scansione stabilita da detta norma, la cui
osservanza condizionava la possibilità della proroga del termine di esercizio
della delega. L’inosservanza dello «iter
di consecutività» dalla stessa previsto comporterebbe il mancato rispetto di tale
termine, in violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost.
e, in considerazione delle deduzioni sopra svolte in
ordine alla materia incisa dal d.lgs. n. 219 del 2016, la lesione di detti
parametri ridonderebbe sulle competenze della Regione.
3.2.– La Regione Toscana deduce l’illegittimità
costituzionale dell’intero testo del d.lgs. n. 219 del 2016 sotto un ulteriore
profilo, sostenendo che violerebbe gli artt. 76 e 77, primo comma, Cost. ed il principio di leale
collaborazione. Le camere di commercio operano in ambiti di competenza
regionale concorrente e residuale e, quindi, a suo avviso, anche in virtù del
principio enunciato dalla sentenza n. 251 del
2016, tale atto normativo avrebbe dovuto essere emanato previa intesa con
la Conferenza Stato-Regioni, non essendo sufficiente, per ritenere rispettato
il principio di leale collaborazione, la previsione del parere della Conferenza
unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281
(Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per
i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano
ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni,
delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie
locali).
Censura
sostanzialmente identica e la violazione del principio di leale collaborazione,
conseguente all’emanazione del d.lgs. n. 219 del 2016, in difetto di previa
intesa, sono state eccepite anche dalla Regione Liguria, richiamando la sentenza n. 251 del
2016 (della quale sono trascritte ampie parti) e la materia incisa dallo
stesso.
3.3.– Secondo la Regione Lombardia, il d.lgs. n.
219 del 2016 violerebbe gli artt. 117, terzo e quarto comma, 5 e 120 Cost., in quanto è stato emanato previa acquisizione del
parere della Conferenza unificata e non dell’intesa. A conforto della censura,
la ricorrente richiama la sentenza n. 374 del
2007 e la circostanza che tale atto normativo inciderebbe su competenze
concorrenti e residuali delle Regioni.
Nella
specie, proprio a causa della previsione della sufficienza del mero parere, lo
Stato ha disatteso in modo unilaterale, immotivato e senza intraprendere
trattative, il parere reso dalla Conferenza unificata il 29 settembre 2016 ed
alcune delle proposte di emendamento (in particolare le proposte numeri 4, 12 e
15, trascritte nel ricorso) allo schema di decreto legislativo, come non
avrebbe potuto invece fare se «fosse stata ab
origine prescritta l’intesa e non il parere». Secondo la ricorrente, il
mancato accoglimento delle proposte di emendamento comporterebbe che «non si è
verificata la condizione alla quale la Conferenza ha imprescindibilmente
collegato il "segno positivo” del parere», da qualificare «come parere
negativo», con conseguente illegittimità del d.lgs. n. 219 del 2016, per violazione
del principio di leale collaborazione e dell’art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
3.3.1.– In subordine, la ricorrente chiede che,
qualora la Corte non accolga la censura concernente l’intero testo del d.lgs.
n. 219 del 2016, dichiari comunque costituzionalmente illegittimi l’art. 1,
comma 1, lettera b), numero 2), punto
g), e lettera r), numero 1), punto i),
e l’art. 3, comma 10, di tale atto normativo, perché formulati in difformità
dal parere negativo reso dalla Conferenza unificata.
3.3.2.– La Regione Lombardia ha, altresì, promosso
questione di legittimità costituzionale dell’intero testo del d.lgs. n. 219 del
2016, in riferimento all’art. 76 Cost., in combinato
disposto con gli artt. 5, 117, commi terzo e quarto, 120 Cost.
ed in relazione all’art. 10, comma 2, della legge n. 124 del 2015, nella
formulazione in tesi risultante dalla dichiarazione di illegittimità
costituzionale di quest’ultima norma, nella parte in cui prevede il parere e
non l’intesa della richiamata Conferenza, pronunciata all’esito del giudizio,
che la Regione chiede alla Corte di promuovere in via di autorimessione,
argomentando in ordine alle ragioni della ipotizzata rilevanza e non manifesta
infondatezza della questione, anche richiamando la sentenza n. 251 del
2016.
4.– La Regione Puglia ha impugnato l’art. 1,
comma 1, lettera a), numero 1), e
l’art. 3 (recte,
art. 3, comma 1, primo periodo) del d.lgs. n. 219 del 2016, in riferimento agli
artt. 3, 5, 18 Cost. ed al
principio di ragionevolezza.
La
prima delle norme impugnate ha sostituito il comma 3 dell’art. 1 della legge n.
580 del 1993; la seconda è stata censurata limitatamente alla prima
proposizione, secondo cui: «Entro il termine di 180 giorni dalla data di
entrata in vigore del presente decreto, l’Unioncamere
trasmette al Ministero dello sviluppo economico una proposta di
rideterminazione delle circoscrizioni territoriali, per ricondurre il numero
complessivo delle camere di commercio entro il limite di 60, tenendo conto dei
seguenti criteri […]».
Secondo
la ricorrente, le camere di commercio rientrano nelle cosiddette autonomie
funzionali, tutelate dall’art. 5 Cost. e, benché svolgano funzioni pubbliche, sarebbero altresì
espressione del libero associazionismo imprenditoriale tutelato dall’art. 18 Cost. A suo avviso, tali parametri sarebbero lesi dalle
norme impugnate, che avrebbero ridotto irragionevolmente il numero delle camere
di commercio, per conseguire un non necessario risparmio di spesa. Esse non
gravano infatti sul bilancio dello Stato, come risulta dall’art. 18 della legge
n. 580 del 1993, che stabilisce quali sono le fonti del finanziamento delle
stesse. Dunque, «non si vede per quale ragione non dovrebbero poter sorgere
spontaneamente o, comunque, secondo criteri più elastici, pur se vigilate da
istituzioni pubbliche». La riduzione del numero delle camere di commercio
sarebbe irragionevole e sproporzionata, mirando a conseguire un presunto
risparmio di spesa rispetto ad un sistema virtuoso, che anzi allevia il
bilancio statale ed è ispirato ad un’autonomia (art. 5 Cost.)
e ad una libertà (art. 18 Cost.) costituzionalmente
tutelate.
4.1.– La Regione Liguria ha impugnato il comma
1, «punto» (recte,
numero) 3 della lettera a) del comma
1 del citato art. 1, in riferimento agli artt. 76 e 77, comma primo, Cost., che ha sostituito il comma 5 dell’art. 1 della legge
n. 580 del 1993, il quale disciplina l’accorpamento delle camere di commercio e
la modifica delle circoscrizioni delle stesse.
Secondo
la ricorrente, l’art. 10 della legge n. 124 del 2015 prevede tra i principi e
criteri direttivi per la ridefinizione delle circoscrizioni territoriali delle
camere di commercio solo «l’accorpamento» di due o più camere di commercio:
quindi, la norma impugnata, aggiungendo «a tale modalità di ridefinizione anche
la "modifica” delle circoscrizioni territoriali», lascerebbe «in tal modo
aperta la possibilità di determinare ‘innovativamente’
i nuovi confini degli enti», incorrendo nel vizio di eccesso di delega.
5.– L’art. 1, comma 1, lettera r), numero 1, punto i), del d.lgs. n. 219 del 2016 ha
sostituito il comma 10 dell’art. 18 della legge n. 580 del 1993 con la seguente
disposizione: «10. Per il finanziamento di programmi e progetti presentati
dalla Camere di commercio, condivisi con le Regioni ed aventi per scopo la
promozione dello sviluppo economico e l’organizzazione di servizi alle imprese,
il Ministro dello sviluppo economico, su richiesta di Unioncamere,
valutata la rilevanza dell’interesse del programma o del progetto nel quadro
delle politiche strategiche nazionali, può autorizzare l’aumento, per gli
esercizi di riferimento, della misura del diritto annuale fino ad un massimo
del venti per cento. Il rapporto sui risultati dei progetti è inviato al Comitato
di cui all’articolo 4-bis».
Tale
norma è stata impugnata in riferimento all’art. 117, commi terzo e quarto, Cost. ed al principio di leale
collaborazione dalla Regione Puglia e dalla Regione Toscana, nonché, dalla
prima, anche in relazione all’art. 3 Cost. ed al principio di ragionevolezza e dalla seconda anche con
riguardo all’art. 118 Cost.
Secondo
la Regione Puglia, la norma sarebbe lesiva dell’autonomia delle camere di
commercio e delle Regioni, in quanto subordina l’implementazione dei progetti concordati
fra detti enti all’avallo ministeriale. Tale controllo sarebbe disarmonico
rispetto all’attuale concezione costituzionale dell’autonomia e non rinverrebbe
fondamento nell’art. 117, comma terzo, Cost. (in particolare, nella competenza dello Stato a dettare i
principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica),
poiché il sistema di finanziamento delle camere di commercio è slegato dalla
finanza erariale. L’art. 117, comma quarto, Cost. ed il principio di leale collaborazione sarebbero lesi, in
quanto l’esercizio della competenza regionale è sottoposta al controllo
ministeriale, mentre l’autonomia presuppone un rapporto paritetico fra gli
enti.
A
suo avviso, la norma impugnata è coordinata irragionevolmente (quindi, in
violazione dell’art. 3 Cost.) con il novellato testo
dell’art. 2, comma 2, lettera g),
della legge n. 580 del 1993. Infatti, se le attività cosiddette aggiuntive
possono essere finanziate soltanto mediante il diritto annuale, sarebbe
«paradossale che si possa provvedere in merito senza l’aumento della loro unica
fonte di finanziamento, né appare proporzionato che la meritevolezza
del progetto (che giustificherebbe l’aumento del diritto annuale) sia
previamente vagliata da un organo governativo». Peraltro, rileverebbe che il
sistema delle camere di commercio è in attivo e di esso la finanza statale si
giova (come indicato nel parere reso dalla Conferenza unificata), sicché
sarebbe ingiustificabile la previsione di un preventivo controllo del suo
«potere impositivo» ed esse, in difetto di una «libera leva» fiscale,
potrebbero non essere in grado di condurre attività promozionali.
5.1.– Secondo la Regione Toscana, la norma in
esame inciderebbe su ambiti di competenza regionale costituzionalmente
garantiti. Il controllo ministeriale, svolto unilateralmente, senza il
coinvolgimento delle Regioni, violerebbe le competenze di queste ultime, in
quanto è preordinato a stabilire la rilevanza dei progetti e l’ammissibilità
del loro finanziamento mediante l’aumento dei diritti annuali e l’esito
negativo dello stesso renderebbe impossibile realizzare il progetto per carenza
di risorse da parte della camera di commercio.
L’apprezzabile
esigenza di contenere i costi a carico delle imprese potrebbe e dovrebbe essere
conseguita mediante il coinvolgimento delle Regioni. La disposizione non
sarebbe rispettosa dei principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale
che, sin dalla sentenza
n. 303 del 2003, ha configurato l’intesa quale modalità essenziale
dell’attrazione in sussidiarietà allo Stato di potestà legislative che l’art.
117 Cost. attribuisce alla
competenza concorrente o residuale delle Regioni (sentenza n. 6 del
2004), precisando che la stessa, in applicazione del canone della leale
collaborazione, deve svilupparsi attraverso trattative, strumentali a superare
le divergenze (sentenza
n. 339 del 2005).
A
suo avviso, l’art. 118 Cost. sarebbe
leso anche perché le camere di commercio sarebbero «enti pubblici locali dotati
di autonomia funzionale, che entrano a pieno titolo, formandone parte
costitutiva, nel sistema dei poteri locali». La Regione, in applicazione del
principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118, ultimo comma, Cost.) deve valorizzare il ruolo di tali enti,
«riconoscendo loro attività amministrative di interesse generale in conformità
al loro ruolo nella società civile», come stabilito anche dall’art. 7 della
legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento
della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3). La norma in
esame violerebbe detto parametro costituzionale, poiché la Regione, in mancanza
di risorse finanziarie sufficienti, sarà costretta a non affidare alla camera
di commercio le attività oggetto del «programma/progetto» per la promozione
dello sviluppo economico e per l’organizzazione di servizi alle imprese.
6.– L’art. 1, comma 1, lettera r), numero 1, punto a), del d.lgs. n. 219 del 2016 ha abrogato la lettera c) del comma 1 dell’art. 18 del d.lgs.
n. 580 del 1993, in virtù del quale al finanziamento ordinario delle camere di
commercio si provvedeva, tra l’altro, mediante «le entrate e i contributi
derivanti da leggi statali, da leggi regionali, da convenzioni o previsti in
relazione alle attribuzioni delle Camere di commercio».
Tale
norma, secondo la Regione Puglia, violerebbe gli artt. 3, 117, commi terzo e
quarto, Cost. ed il principio di ragionevolezza, dato
che, escludendo che le camere di commercio possano giovarsi di finanziamenti
regionali (o erogati da altri enti), in virtù di convenzioni, comprimerebbe
irragionevolmente: l’autonomia regionale, escludendo la possibilità di
incentivare le attività produttive e, comunque, di esercitare le competenze di
cui all’art. 117, commi terzo e quarto, Cost.;
l’autonomia delle camere di commercio, le quali, da un canto non possono fare
ricorso al finanziamento mediante aumento del contributo annuale, in difetto di
autorizzazione ministeriale, dall’altro non possono fruire di finanziamenti
regionali.
Ad avviso della ricorrente, «ciò che,
peraltro, è irragionevole – e, perciò, anche in violazione dell’art. 3 Cost. – rispetto alla disposizione su richiamata» (recte, all’art.
2, comma 2, lettera g, della legge n.
580 del 1993, nel testo sostituito dall’art. 1, comma 1, lettera b, numero 2), del d.lgs. n. 219 del
2016), è che, secondo quest’ultima, «le "attività oggetto di convenzione con le
regioni (...) possono essere finanziate (...) esclusivamente in cofinanziamento
con oneri a carico delle controparti non inferiori al 50 per cento», facendo in
tal modo presumere che sia ammissibile questa fonte di finanziamento. Verosimilmente,
per tale ragione la Conferenza unificata, nel rendere parere sullo schema di
decreto legislativo, con la proposta n. 9, aveva suggerito di mantenere fra le
fonti di finanziamento le entrate derivanti da convenzioni con i soggetti
pubblici e privati.
7.–
L’art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016 disciplina la riduzione del numero delle
camere di commercio mediante accorpamento, razionalizzazioni delle sedi e del
personale e, al comma 4, dispone: «Il Ministro dello sviluppo economico, entro
i sessanta giorni successivi al termine di cui al comma 1, con proprio decreto,
sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano, provvede, tenendo conto della
proposta di cui al comma 1, alla rideterminazione delle circoscrizioni
territoriali, all’istituzione delle nuove camere di commercio, alla
soppressione delle camere interessate dal processo di accorpamento e
razionalizzazione ed alle altre determinazioni conseguenti ai piani di cui ai
commi 2 e 3. Il provvedimento di cui al presente comma è adottato anche in
assenza della proposta di cui al comma 1, ove sia trascorso inutilmente il
termine ivi previsto, applicando a tal fine i medesimi criteri previsti nei
commi 1, 2, 3».
Il
richiamato comma 4 è stato impugnato da tutte le ricorrenti.
7.1.– Secondo la Regione Puglia, l’art. 10,
comma 1, lettera a) (recte, art. 10,
comma 1, lettera b), della legge n.
124 del 2015 disponeva che la «ridefinizione delle circoscrizioni territoriali»
avrebbe dovuto essere realizzata dal decreto legislativo e non autorizzava il
Governo a stabilire «criteri di ridefinizione» ed a rinviare ad un successivo
atto governativo la disciplina della materia. Tale rinvio, da un canto,
integrerebbe un’ulteriore profilo di violazione del termine di esercizio della
delega (oggetto della censura dianzi sintetizzata), in quanto dimostrerebbe che
il Governo non è stato in grado di osservarlo; dall’altro, sottrarrebbe il
profilo di maggiore interesse territoriale (la rideterminazione delle
circoscrizioni delle camere di commercio) al sindacato di questa Corte, tenuto
conto della natura dell’atto che realizza la modifica delle circoscrizioni
territoriali.
7.2.– Sotto un ulteriore profilo, il richiamato
art. 3, comma 4, secondo la Regione Puglia, incidendo su un ambito materiale in
cui si intrecciano competenze legislative statali e regionali, violerebbe il
principio di leale collaborazione, in quanto la norma richiede il mero parere
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonome di Trento e di Bolzano, anziché l’intesa. A conforto della
censura, la ricorrente richiama la sentenza n. 251 del
2016 (di cui riporta ampi stralci) che ha scrutinato altre deleghe previste
dalla legge n. 124 del 2015, nonché le pronunce secondo cui, qualora una data
disciplina coinvolga plurime materie e non sia possibile stabilire la
prevalenza di una di esse, il bilanciamento tra l’esigenza di esercizio
unitario delle competenze e la garanzia delle funzioni costituzionalmente
attribuite alle autonomie deve essere realizzato mediante il ricorso allo
strumento dell’intesa (sentenze n. 65,
n. 21 e n. 1 del 2016, n. 88 del 2014
e n. 139 del
2012), vieppiù tenendo conto della «perdurante assenza di una
trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei
procedimenti legislativi» (sentenza n. 278 del
2010).
Nella
specie, sussisterebbe un intreccio di competenze non risolvibile in base al
criterio di prevalenza, che esigeva la previsione di un adeguato strumento di
leale collaborazione, costituito dall’intesa.
Argomentazioni
in larga misura omologhe sono svolte dalla Regione Toscana, dalla Regione
Liguria e dalla Regione Lombardia che, tuttavia, dalle stesse desumono la
violazione da parte della norma impugnata anche dell’art. 117, commi terzo e
quarto, Cost.
In
particolare, la Regione Toscana rimarca l’inidoneità del parere con riguardo ad
un atto che realizza un profondo riordino di enti operanti anche in materie
regionali. La norma impugnata, ad avviso della Regione Liguria, realizzerebbe
il totale disconoscimento degli interessi regionali in un ambito di attività
(lo «sviluppo economico») interessato da numerose competenze regionali
riconosciute dall’art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
Secondo
la Regione Lombardia, lo stesso legislatore statale è consapevole della
necessità dell’intesa, prevista infatti dall’art. 1, comma l, lettera a), del d.lgs. n. 219 del 2016, per il
caso dell’accorpamento di due o più camere di commercio proposto dai consigli
delle stesse. Sarebbe dunque irragionevole la sufficienza del parere per la
rideterminazione delle circoscrizioni territoriali e la necessità dell’intesa
per l’istituzione delle camere di commercio risultanti dall’accorpamento delle
circoscrizioni territoriali. Pertanto, suo avviso, «- a meno di non voler
ritenere che vi sia una contraddizione interna alla legge rilevante ex art. 3 Cost.
- deve concludersi che nell’art. 3, comma 4, il legislatore sia incorso in un lapsus calami, comunque incostituzionale
alla luce dell’art. 117, commi 3 e 4, e del principio di leale collaborazione».
8.– La Regione Lombardia ha altresì impugnato,
in riferimento all’art. 76 Cost., in combinato
disposto con l’art. 117 Cost., in relazione all’art.
10, comma 1, lettera g), della legge
n. 124 del 2015, gli artt. 3, comma 1, lettera f), e 4 del d.lgs. n. 219 del 2016. La prima disposizione
stabilisce che, nella rideterminazione delle circoscrizioni territoriali delle
camere di commercio, occorreva osservare il criterio della «necessità di tener
conto degli accorpamenti deliberati alla data di entrata in vigore della legge
7 agosto 2015, n. 124, nonché di quelli approvati con i decreti di cui
all’articolo 1, comma 5, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e successive
modificazioni; questi ultimi possono essere assoggettati ad ulteriori o diversi
accorpamenti solo ai fini del rispetto del limite di 60 camere di commercio».
Secondo
la ricorrente, tale ultima disposizione sarebbe in contrasto con l’art. 10,
comma 1, lettera g), della legge n.
124 del 2015 che, imponendo al legislatore delegato la «introduzione di una
disciplina transitoria che tenga conto degli accorpamenti già deliberati alla
data di entrata in vigore della presente legge», indurrebbe a ritenere che
quest’ultimo avrebbe dovuto «prevedere una disciplina transitoria per tutti e
soli gli accorpamenti già deliberati alla data di entrata in vigore della legge
n. 124 del 2015» e la mancata introduzione della stessa integrerebbe il
denunciato vizio di eccesso di delega.
9.–
L’art. 4, comma 6, del d.lgs. n. 219 del 2016 stabilisce: «Una copia dei
provvedimenti conclusivi di procedimenti amministrativi concernenti attività
d’impresa adottati successivamente alla data di entrata in vigore del presente
decreto è inviata, con modalità informatica ovvero telematicamente, a cura dei
responsabili di tali procedimenti, alla camera di commercio nella cui
circoscrizione l’impresa ha sede per il loro inserimento nel fascicolo
informatico d’impresa di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b). Con decreto del Ministro dello
sviluppo economico emanato, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23
agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, entro centottanta giorni dalla
data entrata in vigore del presente decreto, sentite le amministrazioni interessate,
sono individuati, secondo principi di gradualità e sostenibilità, i termini e
le modalità operative di attuazione della disposizione di cui al primo periodo,
nonché le modalità ed i limiti con cui le relative informazioni sono rese
disponibili per i soggetti pubblici e privati interessati».
Tale
norma è stata impugnata dalla Regione Puglia e dalla Regione Toscana, in
riferimento all’art. 117, comma quarto, Cost. e dalla prima anche in relazione agli artt. 3 e 97 Cost. ed ai principi di leale
collaborazione e ragionevolezza.
Secondo
la Regione Puglia, la norma prevede un obbligo di comunicazione indiscriminato
e generalizzato che comporterebbe uno sproporzionato ed irragionevole aggravio
amministrativo, lesivo del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), dell’autonomia organizzativa regionale (art. 117,
comma quarto, Cost.) e dell’art. 97 Cost. Inoltre, la previsione che le modalità di
trasmissione sono stabilite con decreto ministeriale, senza la previa intesa
con la Conferenza Stato-Regioni, violerebbe l’autonomia organizzativa regionale
ed il principio di leale collaborazione.
La
censura della Regione Toscana consiste e si esaurisce nell’affermazione che «le
Regioni hanno propri sistemi informativi per cui è necessario che il decreto
del Ministro dello sviluppo economico, che determina i termini e le modalità
operative di applicazione di tale obbligo, sia emanato previa intesa con le
Regioni e non già solo sentite le medesime, come invece prevede la norma», con
conseguente violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost.,
«per interferenza con l’autonomia organizzativa regionale».
10.– In tutti i giudizi si è costituito il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
10.1.– La difesa dello Stato, in relazione al
ricorso proposto dalla Regione Puglia, ne eccepisce l’inammissibilità nella
parte in cui solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 della
legge n. 124 del 2015. A suo avviso, le norme della legge delega possono e
devono essere impugnate dalla Regione nell’osservanza del termine dell’art. 39
della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento
della Corte costituzionale), qualora il loro contenuto sia sufficientemente
determinato e tale da ledere le competenze regionali, requisiti che
connoterebbero la suindicata norma.
Nel
merito, il resistente sostiene che le camere di commercio, in virtù dell’art. 1
della legge n. 580 del 1993 e dei principi enunciati da questa Corte nella sentenza n. 29 del
2016, sono enti pubblici dotati di autonomia funzionale che svolgono, sulla
base del principio di sussidiarietà, funzioni generali per il sistema delle imprese,
curandone lo sviluppo nell’ambito delle autonomie locali, sulla base di
rapporti convenzionali con le Regioni e con lo Stato. La loro organizzazione e
la disciplina relativa al funzionamento delle stesse rientrerebbe nella
competenza legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., come sarebbe dimostrato dalla
circostanza che l’attribuzione della competenza legislativa esclusiva in
materia di «ordinamento delle camere di commercio» alla Regione autonoma
Trentino-Alto Adige/Südtirol ha richiesto una specifica previsione in tal senso
(artt. 4, numero 8, e 16 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto
1972, n. 670, recante «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige»).
La
riorganizzazione delle camere di commercio realizzata dal d.lgs. n. 219 del
2016 non avrebbe comunque inciso sulle preesistenti competenze delle Regioni,
in quanto avrebbe riguardato esclusivamente una fase successiva, diversa da
quella concernente l’organizzazione e le regole di funzionamento.
Inoltre,
alle camere di commercio sono attribuiti compiti che devono essere disciplinati
in modo omogeneo in ambito nazionale – in particolare, anche le materie oggetto
degli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 219 del 2016 – con conseguente prevalenza della
competenza statale. Ad identica conclusione dovrebbe pervenirsi quanto alla
disciplina recata dall’art. 4, comma 6, del d.lgs. n. 219 del 2016, in quanto
riconducibile alla materia del coordinamento informativo, statistico e
informatico, come sarebbe desumibile dalla sentenza n. 251 del
2016.
Infine,
la disciplina delle camere di commercio concernerebbe, almeno sotto alcuni
aspetti rilevanti, la materia della concorrenza (art. 117, secondo comma,
lettera e, Cost.),
esplicantesi attraverso la tenuta e l’aggiornamento del registro delle imprese.
10.1.1.–
La censura concernente l’art. 1, comma 1, lettera r), punto i), del d.lgs.
n. 219 del 2016, che ha sostituito il comma 10 dell’art. 18 della legge n. 580
del 1993, sarebbe infondata, poiché l’attuale formulazione di quest’ultima
disposizione garantisce l’uniforme disciplina dell’aumento del diritto annuale
camerale su tutto il territorio nazionale, collegandola alla valutazione
ministeriale della rilevanza dell’interesse del programma o progetto, nel
quadro delle politiche strategiche nazionali, tenendo conto della prevalenza
della competenza statale, allo scopo appunto di garantire una disciplina
omogenea in ambito nazionale.
10.1.2.– Non fondate sarebbero altresì le censure
aventi ad oggetto gli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 219 del 2016, che riguardano
aspetti riconducibili alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, siccome
inerenti a profili ordinamentali e informatici che esigono una disciplina
omogenea stabilita a livello centrale. In particolare, in riferimento al citato
art. 4, comma 6, tale conclusione sarebbe confortata dalla sentenza n. 251 del
2016, la quale ha escluso l’illegittimità di una norma di contenuto omologo
a quella in esame (art. 1, comma 1, lettere b,
c, g, della legge n 124 del 2015).
Peraltro,
sotto alcuni profili, la disciplina delle camere di commercio è riconducibile
alla materia «tutela della concorrenza» (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.), che
si esplica anche mediante la tenuta e l’aggiornamento del registro delle
imprese ed un’opportuna perequazione tra i diversi organismi camerali,
utilizzando il meccanismo del diritto annuale e dei diritti di segreteria.
10.1.3.– Relativamente alla censura di violazione
del termine di esercizio della delega, la difesa dello Stato deduce che
l’avverbio «successivamente» utilizzato nell’art. 10, comma 2, della legge n.
124 del 2015 «determina un ordine procedimentale, a rilevanza meramente
interna» e non escludeva la possibilità di richiedere contestualmente i
prescritti pareri, con riserva di rimettere alle Camere quelli formulati da Conferenza
unificata e Consiglio di Stato. Diversamente, sarebbe svuotata di contenuto la
possibilità della proroga, per il caso in cui il termine di sessanta giorni
concesso alle Camere fosse scaduto negli ultimi trenta giorni dei dodici mesi
per l’approvazione del decreto legislativo.
Nelle
specie, è pacifico che le Camere hanno formulato il prescritto parere dopo
avere ricevuto quello espresso da Conferenza unificata e Consiglio di Stato,
con conseguente irrilevanza della contemporanea richiesta dei pareri. Dirimente
nel senso dell’osservanza del termine di esercizio della delega e
dell’operatività dei presupposti della proroga è la constatazione che lo schema
di decreto legislativo è stato inviato al Consiglio di Stato il 26 agosto 2016,
e cioè prima del 28 agosto 2016, così da determinare l’operatività della
proroga.
10.1.4.– La censura concernente l’art. 3, comma 4,
del d.lgs. n. 219 del 2016 non sarebbe fondata, poiché l’invocata autonomia
sarebbe stata rispettata, dato che la norma prevede che la proposta di
rideterminazione delle circoscrizioni deve essere formulata da Unioncamere e deve essere sentita la Conferenza permanente
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano.
La
deduzione concernente la sottrazione dell’atto di rideterminazione delle
circoscrizioni territoriali al controllo di questa Corte deve poi tenere conto
del fatto che la norma stabilisce criteri e modalità di determinazione dei
contenuti della proposta di riorganizzazione e prevede un procedimento
rispettoso delle autonomie coinvolte e del principio di leale collaborazione.
Peraltro, la Conferenza unificata, nel parere sullo schema di decreto
legislativo, dà atto di avere visionato la nota del Ministero dello sviluppo
economico diramata in data 28 settembre 2016 (prot.
N. CSR 4291 P-4.23.2.12), contenente le puntuali osservazioni sulle proposte
emendative elaborate dalle Regioni e dagli enti locali, con l’indicazione di
quelle ritenute condivisibili ed accolte, ad evidente dimostrazione dell’effettivo
coinvolgimento delle regioni nell’iter
decisionale.
10.1.5.– Secondo la difesa dello Stato, sarebbe
inesatto il richiamo della sentenza n. 251 del
2016, poiché in relazione alla riorganizzazione delle camere di commercio
manca l’inestricabile intreccio di competenze statali e regionali, che avrebbe
reso necessaria l’intesa. Il Governo ha, inoltre, recepito parte delle
indicazioni formulate dalla Conferenza unificata e non ha accolto quelle
concernenti la modalità di determinazione della misura del diritto annuale, che
tuttavia ricade nella materia «sistema tributario», di competenza esclusiva
dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.), come affermato da questa Corte
con la sentenza
n. 29 del 2016, con conseguente infondatezza della denunciata violazione
del principio di leale collaborazione.
10.1.6.– L’infondatezza della censura concernente
l’art. 4, comma 6, del d.lgs. n. 219 del 2016 conseguirebbe, secondo il
resistente, alla considerazione che le funzioni inerenti al registro delle
imprese sono riconducibili alle materie «anagrafi» e «ordinamento civile» (art.
117, secondo comma, lettere i ed l, Cost.),
spettanti alla competenza esclusiva dello Stato. Inoltre, la norma prevedrebbe
anche il «coordinamento preventivo con le Regioni mediante il passaggio dalla
Conferenza Stato-Regioni ed il conseguimento del parere da parte della stessa».
10.2.– In riferimento al ricorso della Regione
Toscana, la difesa dello Stato, a conforto del chiesto rigetto, riproduce
sostanzialmente le argomentazioni dianzi sintetizzate nei paragrafi 10.1,
10.1.1., 10.1.2., 10.1.3., 10.1.4., 10.1.5. e 10.1.6.
Inoltre, ha eccepito l’inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale dell’intero testo del d.lgs. n. 219 del 2016, per asserita
violazione del principio di leale collaborazione e degli artt. 76 e 77, primo
comma, Cost., deducendo che non è stato impugnato
l’art. 10 della legge n. 124 del 2015, nell’osservanza del termine dell’art. 39
della legge n. 87 del 1953, come sarebbe stato necessario, poiché i contenuti
normativi della delega erano determinati ed univoci e, quindi, in grado di porre
in luce l’eventuale lesività da parte della norma di competenze regionali.
Ammettere che con l’impugnazione del decreto delegato possa denunciarsi la
norma di delega significherebbe, a suo avviso, permettere l’elusione di detto
termine. Inoltre, i compiti attribuiti alle camere di commercio sarebbero
riconducibili alla competenza legislativa esclusiva dello Stato prevista
dall’art. 117, secondo comma, lettera g),
Cost. e, sotto alcuni
profili a quella della lettera e) di
tale parametro e, comunque, devono essere disciplinati in modo omogeneo a
livello nazionale. Tanto dovrebbe essere affermato anche con riguardo alle
materie oggetto degli artt. 3 e 4 del d.lgs. n. 219 del 2016 e, in particolare
in riferimento al citato art. 4, comma 6, sarebbe richiamabile la sentenza n. 251 del
2016, poiché la disciplina dallo stesso recata sarebbe riconducibile alla
competenza statale nella materia del «coordinamento informativo statistico e
informatico dei dati» (art. 117, secondo comma, lettera r, Cost.).
10.3.– Relativamente alle questioni sollevate
dalla Regione Liguria, il resistente svolge considerazioni in larga misura
coincidenti con quelle sopra riportate nei paragrafi 10.1, 10.1.4, 10.1.5, per
chiedere il rigetto del ricorso proposto dalla predetta.
10.4.– L’Avvocatura generale dello Stato, con
riguardo al ricorso della Regione Lombardia, svolge argomentazioni
sostanzialmente omologhe a quelle sviluppate in riferimento al ricorso della
Regione Puglia, sopra sintetizzate nel paragrafo 10.1, per eccepire
l’inammissibilità delle censure aventi ad oggetto l’art. 10 della legge n. 124
del 2015, perché non impugnato nel termine dell’art. 39 della legge n. 87 del
1953. A suo avviso, sarebbe inoltre inammissibile l’istanza con cui la
ricorrente sollecita questa Corte a sollevare dinanzi a sé, in via di autorimessione, questione di legittimità costituzionale di
detto art. 10, comma 2, trattandosi di richiesta avente carattere elusivo del
suindicato termine.
La
difesa dello Stato insiste, quindi, per il rigetto delle restanti censure sulla
scorta delle argomentazioni dianzi riportate nei paragrafi 10.1, 10.1.4,
10.1.5, 10.1.6. Infine, deduce l’infondatezza della questione avente ad oggetto
gli artt. 3, comma 1, lettera f), e 4
del d.lgs. n. 219 del 2016.
11.– In prossimità dell’udienza pubblica hanno
depositato memorie le Regioni Puglia, Toscana e Lombardia.
11.1.– La Regione Puglia contesta, nella memoria,
che la mancata impugnazione della norma di delega renderebbe inammissibile
l’impugnazione del decreto delegato, dato che quest’ultimo determinerebbe una
novazione della fonte, e contesta la dedotta riconducibilità dell’intera
disciplina recata dal d.lgs. n. 219 del 2016 alla competenza esclusiva dello Stato
prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.
Relativamente
al termine di esercizio della delega, la ricorrente contesta che sia stato
dimostrato che la richiesta di parere al Consiglio di Stato è stata inoltrata
prima del 28 agosto 2016, ritenendo insufficiente a questo scopo l’attestazione
contenuta in detto parere. A suo avviso, sarebbe altresì irrilevante la data di
spedizione della richiesta, dato che al procedimento in esame non sarebbe
applicabile il principio della scissione degli effetti dell’atto.
In
ordine alla questione avente ad oggetto l’art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 219
del 2016, la Regione ribadisce la tesi svolta nel ricorso e deduce che
l’Avvocatura generale neppure avrebbe contrastato la censura subordinata, con
cui essa ha lamentato la mancata previsione dell’acquisizione dell’intesa,
anziché del parere della Conferenza Stato-Regioni, sui decreti di ridefinizione
delle circoscrizioni territoriali.
A
suo avviso, la difesa dello Stato non ha poi svolto nessuna considerazione in
ordine alle censure aventi ad oggetto: l’art. 1, comma 1, lettera a); l’art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016;
l’art. 1, comma 1, lettera r), di
tale atto normativo, nella parte in cui ha abrogato l’art. 18, comma 1, lettera
c), della legge n. 580 del 1993.
Sulla
censura concernente l’art. 1, comma 1, lettera r), numero 1, punto i),
del d.lgs. n. 219 del 2016, la ricorrente sostiene che, anche ritenendo la
disciplina del tributo annuale riconducibile al sistema tributario statale,
comunque sarebbe illegittima una disciplina che realizzerebbe un significativo
depauperamento dell’autonomia funzionale delle camere di commercio.
La
Regione Puglia osserva, infine, che anche riconducendo, come sostenuto dal
resistente, la disciplina dell’art. 4, comma 6, del d.lgs. n. 219 del 2016 alla
materia dell’art. 117, secondo comma, lettera r), Cost., l’obbligo indiscriminato e generalizzato di trasmissione
dei dati sarebbe irragionevole e, appunto per questo, lesivo dell’autonomia
organizzativa regionale (art. 117, quarto comma, Cost.).
11.2.– La Regione Toscana, nella memoria, deduce
che la sentenza
di questa Corte n. 278 del 2010 ha affermato che anche la legge di delega
soggiace al fondamentale canone dell’interpretazione costituzionalmente
conforme. L’interesse della Regione ad impugnarla sussiste dunque soltanto
qualora l’unica esegesi possibile della stessa sia quella che prefigura una
lesione dell’autonomia regionale; nella specie, soltanto il decreto legislativo
avrebbe «reso percepibile ed accertabile l’esistenza in concreto della
lesione». Pertanto, a suo avviso, è infondata l’eccezione dell’Avvocatura
generale dello Stato, con cui questa ha sostenuto l’inammissibilità del
ricorso, per mancata impugnazione della legge delega.
Relativamente
alle censure concernenti l’ordine procedimentale di acquisizione dei pareri
stabilito dall’art. 10 della legge n. 124 del 2015, la ricorrente ne contesta
la rilevanza meramente interna dello stesso e ribadisce che non sarebbe stato
osservato il termine finale di esercizio della delega. A suo avviso, neppure
avrebbe potuto operare la proroga di detto termine prevista dall’art. 10, comma
2, della legge n. 124 del 2015, tenuto conto che la richiesta di parere sullo
schema di decreto delegato sarebbe pervenuta al Consiglio di Stato soltanto il
29 agosto 2016, quindi tardivamente.
In
riferimento alla disciplina del diritto annuale delle camere di commercio, la
ricorrente deduce che la violazione dei parametri costituzionali evocati
conseguirebbe alla circostanza che è stata attribuita soltanto allo Stato la
valutazione della rilevanza del progetto che potrebbe fondare l’incremento del
diritto camerale.
Nella
memoria la ricorrente deduce altresì che la Conferenza unificata aveva
condizionato il parere favorevole al recepimento della proposta n. 12, il cui
mancato accoglimento conforterebbe l’esistenza della denunciata lesione.
La
censura avente ad oggetto l’art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 219 del 2016 sarebbe
poi confortata dal fatto che il decreto del Ministro dello sviluppo economico
dell’8 agosto 2017, recante la rideterminazione delle circoscrizioni
territoriali, esplicita che la Conferenza Stato-Regioni non ha formulato il
parere a seguito del disaccordo su vari punti del testo; quindi, risulterebbe
che proprio a causa della previsione del parere, in luogo dell’intesa, le
Regioni non hanno visto considerate le proprie posizioni.
Inoltre,
la tesi del resistente, secondo cui il richiamo della sentenza n. 251 del
2016 non sarebbe corretto, poiché la materia oggetto della legge delega
spetterebbe alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi
dell’art. 117, secondo comma, lettere e)
e g), Cost., non sarebbe fondata.
A
suo avviso, il mancato accoglimento delle proposte di modifica formulate dalla
Conferenza unificata con il parere reso sullo schema di decreto delegato ai numeri
4 e 15 confermerebbero che il dialogo istituzionale è stato meramente formale
ed inidoneo a garantire le competenze regionali.
In
ordine alla questione avente ad oggetto l’art. 4, comma 6, del d.lgs. n. 219
del 2016, la ricorrente osserva, infine, che la riconducibilità della
disciplina alla competenza legislativa esclusiva dello Stato nelle materie
«anagrafi» e «ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo comma, lettere i) ed l), Cost. non
escluderebbe che la stessa incida anche sull’autonomia organizzativa regionale,
che sarebbe stata lesa. Inoltre, la Conferenza unificata, con la proposta n. 14
del parere reso sullo schema di decreto delegato, aveva fatto presente detta
esigenza che neanche è stata considerata, con conseguente lesione dell’art.
117, quarto comma, Cost., e del principio di leale collaborazione.
11.3.– La Regione Lombardia, nella memoria,
contesta anzitutto la fondatezza dell’eccezione del resistente di
inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 della
legge n. 124 del 2015, per decorso del termine di impugnazione e argomenta
sull’ammissibilità dell’autorimessione, richiamando
alcune pronunce di questa Corte.
La
ricorrente contesta altresì che la disciplina in esame possa essere ricondotta
alla competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia dell’art. 117,
secondo comma, lettera g), Cost., o
comunque ad altre materie previste da detto parametro. Indipendentemente dalla
considerazione che tale deduzione è stata svolta con limitato riferimento alla
regolamentazione del diritto camerale e «della tenuta dei registri» (in
relazione alla quale sarebbe comunque non fondata), la stessa, a suo avviso,
non potrebbe essere, infatti, giudicata atomisticamente, costituendo «un unicum inscindibile» ed interessando
«una pluralità di competenze (legislative ed amministrative) ed interessi
facenti capo a livelli di governo diversi».
La
Regione Lombardia ribadisce, infine, le deduzioni svolte nel ricorso in ordine
alla prospettata necessità di una disciplina transitoria «per tutti e soli gli
accorpamenti già deliberati alla data di entrata in vigore della legge n. 124
del 2015».
Considerato in diritto
1.–
Le Regioni Puglia (reg. ric. n. 4 del 2017), Toscana (reg. ric. n. 5 del 2017),
Liguria (reg. ric. n. 6 del 2017) e Lombardia (reg. ric. n. 7 del 2017) hanno
promosso questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto l’intero
testo del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 219 (Attuazione della delega
di cui all’articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, per il riordino delle
funzioni e del finanziamento delle Camere di commercio, industria, artigianato
e agricoltura), e gli artt. 1, 2, 3 e 4 (censurati da ciascuna ricorrente nei
limiti e nei termini precisati nei paragrafi 1 ed 1.1. del
Ritenuto in fatto) del medesimo
decreto, per violazione degli artt. 3, 5, 18, 76 e 77, primo comma, (questi
ultimi due parametri in relazione all’art. 10, comma 1, della legge 7 agosto
2015, n. 124, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle
amministrazioni pubbliche»), 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 120 della
Costituzione e dei principi di leale collaborazione e di ragionevolezza.
2.– I giudizi, in considerazione della loro
connessione oggettiva, devono essere riuniti, per essere decisi con un’unica
pronuncia.
3.– Preliminarmente, occorre anzitutto
verificare la legittimazione delle ricorrenti ad impugnare disposizioni
concernenti la disciplina delle attività e del funzionamento delle camere di
commercio, dalle stesse sostenuta con argomentazioni in larga misura
coincidenti, volte a dimostrare che tali enti svolgono compiti che riguardano
(ed incidono su) attribuzioni regionali costituzionalmente garantite.
Relativamente
a detto profilo, va ricordato che questa Corte, con la sentenza n. 86 del
2017, ha svolto una diffusa ricognizione dell’evoluzione delle camere di
commercio, offrendone una precisa configurazione, anche alla luce delle riforme
realizzate dal d.lgs. n. 219 del 2016. È dunque opportuno rinviare a detta
sentenza per l’esame, in dettaglio, di tale evoluzione; qui è sufficiente
ribadire che le camere di commercio, fin dalla loro istituzione, hanno assunto
un duplice volto: da un lato, organi di rappresentanza delle categorie
mercantili; dall’altro, strumenti per il perseguimento di politiche pubbliche,
tanto da assumere, agli inizi dello scorso secolo, la natura di enti di diritto
pubblico, dotati di personalità giuridica.
Tale
qualificazione fu mantenuta in prosieguo (con i passaggi e le modalità
descritti nella citata pronuncia), avendole poi la legge 29 dicembre 1993, n.
580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e
agricoltura), configurate quali «enti autonomi di diritto pubblico», stabilendo
che «svolgono, nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza, […]
funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese, curandone lo
sviluppo nell’ambito delle economie locali» (art. 1, comma 1). I successivi
interventi normativi hanno allentato i controlli statali, ma il riferimento
all’ambito locale non è stato ritenuto limitativo dell’attività svolta, né ha
impedito che esse continuino a svolgere funzioni di interesse generale,
necessarie per la tutela dei consumatori e per la promozione di attività
economiche (indicate analiticamente nella sentenza n. 86 del
2017).
La
legge n. 580 del 1993 ha configurato la camera di commercio quale ente pubblico
«che entra a pieno titolo, formandone parte costitutiva, nel sistema dei poteri
locali secondo lo schema dell’art. 118 della Costituzione, diventando anche
potenziale destinatario di deleghe dello Stato e della Regione» (sentenza n. 477 del
2000). Nondimeno, l’art. 1, comma 1, di tale legge (non modificato dal
d.lgs. n. 219 del 2016) «non contempla affatto l’asserita attribuzione a dette
camere della natura di enti locali, ma sancisce che [...] sono enti pubblici
dotati di autonomia funzionale» (sentenza n. 29 del
2016), retti dal principio di sussidiarietà, ai quali sono attribuiti
compiti che, se necessario, possono essere disciplinati in «maniera omogenea in
ambito nazionale» (sentenza n. 374 del
2007).
Le
modifiche da ultimo realizzate con il d.lgs. n. 219 del 2016, benché pregnanti,
non hanno alterato i caratteri fondamentali delle camere di commercio. Infatti,
come questa Corte ha sottolineato, è stata «realizzata una razionalizzazione e
riduzione dei costi del sistema camerale, confermando, tra le altre:
l’attribuzione dei compiti in materia di pubblicità legale e di settore
mediante la tenuta del registro delle imprese; le funzioni specificatamente
previste dalla legge in materia di tutela del consumatore e della fede
pubblica, vigilanza e controllo sulla sicurezza e conformità dei prodotti e
sugli strumenti soggetti alla disciplina della metrologia legale; le competenze
in materia di rilevazione dei prezzi e delle tariffe, rafforzando la vigilanza
da parte del Ministero dello sviluppo economico» (sentenza n. 86 del
2017). Accanto a queste sono stati mantenuti compiti che incidono su
competenze regionali, tenuto conto della perdurante attribuzione, tra le altre
(in via meramente esemplificativa) delle funzioni di sviluppo e promozione del
turismo, di supporto alle imprese, di orientamento al lavoro ed alle
professioni nella parte in cui concernono anche dette competenze (art. 2, comma
2, della legge n. 580 del 1993, nel testo sostituito dall’art. 1, comma 1,
lettera b, numero 2, del d.lgs. n.
219 del 2016).
3.1.– In considerazione di tale configurazione e
tenuto conto delle attività svolte dalle camere di commercio, in relazione alle
stesse non è evocabile, come eccepito dal resistente, la competenza legislativa
esclusiva dello Stato prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost. La
giurisprudenza costituzionale, benché ne abbia negato la natura di enti locali,
ha infatti già affermato «la possibilità per la Regione di denunciare la legge
statale per dedotta violazione di competenze degli enti locali», riconoscendone
dunque la legittimazione ad impugnare norme che le riguardano, quando incidenti
su attribuzioni regionali (sentenza n. 29 del
2016).
Peraltro,
le camere di commercio svolgono compiti che esigono una disciplina omogenea in
ambito nazionale e, come è stato osservato, non compongono un arcipelago di
entità isolate, ma costituiscono i terminali di un sistema unico di dimensioni
nazionali che giustifica l’intervento dello Stato.
Il
catalogo dei compiti da esse espletati (art. 2, comma 2, della legge n. 580 del
1993, nel testo sostituito dall’art. 1, comma 1, lettera b, numero 2, del d.lgs. n. 219 del 2016) rende tuttavia palese che
gli stessi, come sopra precisato, sono riconducibili a competenze sia esclusive
dello Stato, sia concorrenti, sia residuali delle Regioni (negli ambiti
dell’industria, del commercio, dell’artigianato, dell’agricoltura). In
relazione alle norme che le riguardano neppure è quindi possibile evocare, in
astratto ed in linea generale, la competenza esclusiva dello Stato prevista
dall’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost.,
come eccepito dall’Avvocatura generale. Inoltre, queste funzioni talora sono
inestricabilmente intrecciate (soprattutto con riguardo ai profili strutturali
e di funzionamento di detti enti); talaltra sono invece suscettibili di essere
precisamente identificate e distintamente considerate, in riferimento ai
singoli compiti svolti dalle camere di commercio. Può dunque accadere che le
norme aventi ad oggetto la disciplina dei compiti assegnati alle stesse
riguardino materie riconducibili alle competenze esclusive dello Stato, ovvero
anche competenze regionali, secondo quanto sopra precisato.
La
complessità del sistema impone, quindi, di affermare che la legittimazione
delle Regioni ad impugnare norme concernenti la disciplina delle camere di
commercio non può essere affermata o negata in linea generale, poiché è
condizionata all’accertamento che le stesse incidono su competenze regionali
costituzionalmente garantite e non riguardano (come anche può accadere) profili
riconducibili soltanto a competenze esclusive dello Stato.
4.– È alla luce di tale premessa che vanno scrutinate
le questioni sollevate dalle ricorrenti.
5.– Per ragioni di pregiudizialità
logico-giuridica devono essere esaminate anzitutto le censure aventi ad oggetto
l’intero testo del d.lgs. n. 219 del 2016.
5.1.– La Regione Puglia ha impugnato il d.lgs.
n. 219 del 2016, nella sua interezza, per violazione dell’art. 76 Cost., in relazione all’art. 10, comma 1, della legge n.
124 del 2015, deducendo che non sarebbe stato rispettato il termine di dodici
mesi per l’esercizio della delega (scaduto il 28 agosto 2016). A suo avviso,
non sussistevano infatti i presupposti della proroga di detto termine, prevista
dal citato art. 10, comma 2, in virtù del quale sarebbe stato necessario che il
termine per la formulazione dei prescritti pareri cadesse «nei trenta giorni
che precedono la scadenza "ordinaria” della delega».
Non
rileverebbe l’approvazione dello schema di decreto delegato da parte del
Consiglio dei ministri il 25 agosto 2016 e neanche che la nota con cui è stato
richiesto il parere del Consiglio di Stato è del 26 agosto 2016 (circostanza, a
suo avviso, comunque irrilevante, poiché la richiesta è pervenuta allo stesso
il successivo 29 agosto). Il citato art. 10, comma 2, nella parte in cui
stabilisce che la proroga poteva operare «non solo se il termine per il parere
cade nei 30 giorni precedenti la scadenza del termine ordinario di delega, ma
anche se cade successivamente», andrebbe interpretato, a suo avviso, «nel senso
che il dies a quo da cui contare la scadenza deve
rientrare nel termine di delega ordinario», pena la sostanziale elusione del
termine finale.
Secondo
la Regione Toscana, il d.lgs. n. 219 del 2016 violerebbe gli artt. 76 e 77,
primo comma, Cost., in quanto il Governo avrebbe dovuto richiedere prima i
pareri del Consiglio di Stato e della Conferenza unificata (da rendere nel
termine di quarantacinque giorni) e soltanto dopo quello delle Commissioni
parlamentari. I pareri sono stati invece richiesti contestualmente e
l’inosservanza dell’iter di
consecutività stabilito dalla norma di delega avrebbe comportato il mancato
rispetto del termine di esercizio della delega.
5.2.– Le questioni, da esaminare congiuntamente,
perché svolgono argomentazioni in parte coincidenti, sono non fondate.
5.2.1.– Preliminarmente, va dichiarata
inammissibile la censura proposta dalla Regione Toscana nella memoria
depositata in prossimità dell’udienza pubblica, diretta a denunciare una
violazione del termine di esercizio della delega conseguente alla data di
richiesta dei pareri.
Indipendentemente
dalla circostanza che tale censura sostanzialmente coincide con quella
ritualmente proposta dalla Regione Puglia (perciò scrutinata, di seguito, nel
merito, ma con riguardo alla questione sollevata da quest’ultima ricorrente),
la stessa introduce infatti un profilo nuovo rispetto a quello svolto nel
ricorso. Per costante giurisprudenza costituzionale, con tale atto è tuttavia
possibile soltanto prospettare argomenti a sostegno delle questioni così come
sollevate nel ricorso, non anche svolgere deduzioni dirette, come nella specie,
ad ampliare il thema decidendum
fissato con tale ultimo atto (per tutte, sentenza n. 154 del
2017).
5.2.2.– Ancora in linea preliminare, va osservato
che il decreto legislativo in esame ha ad oggetto una disciplina omogenea,
concernendo molteplici profili della struttura delle camere di commercio e
delle attività da queste svolte, ciò che rende ammissibile l’impugnazione
dell’intero testo di tale atto normativo (tra le più recenti e per tutte, sentenza n. 14 del
2017). Secondo questa Corte, le Regioni possono, inoltre, impugnare norme
di decreti delegati anche per violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., sempre
che la stessa ridondi sulle attribuzioni regionali (ex plurimis, sentenze n. 219 del
2013, n. 80
del 2012, n.
33 del 2011).
Nondimeno,
tenuto conto delle considerazioni dianzi svolte, la legittimazione
all’impugnazione e la valutazione della ridondanza, quando il decreto delegato
incida su molteplici competenze attribuite sia allo Stato sia alle Regioni e
nel caso in cui il vizio denunciato risulti sussistente, vanno poi verificate
con riguardo alle singole norme dello stesso, allo scopo di stabilire se e
quali di queste ledano attribuzioni regionali. A tale accertamento non occorre
evidentemente procedere se sia esclusa l’esistenza del vizio, circostanza
ricorrente nel caso in esame, per quanto di seguito precisato.
5.2.3.– Posta tale premessa, va osservato che
l’art. 10, comma 1, della legge n. 124 del 2015 stabiliva: «Il Governo è
delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge […]» (pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale del 13 agosto 2015, n. 187); il termine di esercizio della delega
scadeva dunque il 28 agosto 2016.
Il
citato art. 10, al comma 2, disponeva inoltre che il decreto legislativo
avrebbe dovuto essere adottato «su proposta del Ministro dello sviluppo
economico, di concerto con il Ministro delegato per la semplificazione e la
pubblica amministrazione e con il Ministro dell’economia e delle finanze,
previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e del parere del Consiglio di
Stato, che sono resi nel termine di quarantacinque giorni dalla data di
trasmissione dello schema di decreto legislativo, decorso il quale il Governo
può comunque procedere. Lo schema di decreto legislativo è successivamente
trasmesso alle Camere per l’espressione dei pareri delle Commissioni parlamentari
competenti per materia e per i profili finanziari, che si pronunciano nel
termine di sessanta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale il
decreto legislativo può essere comunque adottato. Se il termine previsto per il
parere cade nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto al
comma 1 o successivamente, la scadenza medesima è prorogata di novanta giorni.
Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette
nuovamente il testo alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali
modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e
motivazione. Le Commissioni competenti per materia possono esprimersi sulle
osservazioni del Governo entro il termine di dieci giorni dalla data della
nuova trasmissione. Decorso tale termine, il decreto può comunque essere
adottato».
La
norma, nonostante una formulazione ed una struttura lessicale oggettivamente
complessa, è comunque chiara nello stabilire che: il termine di esercizio della
delega scadeva il 28 agosto 2016; tale termine era tuttavia prorogato di
novanta giorni, nel caso in cui quello entro il quale avrebbero dovuto essere
resi i prescritti pareri fosse scaduto nei trenta giorni precedenti o
successivi al 28 agosto 2016.
La
sola precisa ed espressa condizione affinché potesse operare la proroga era,
dunque, che la richiesta dei pareri pervenisse alle Commissioni parlamentari
anteriormente alla scadenza del termine di esercizio della delega, poiché ciò
era sufficiente a comportare la scadenza di quello fissato per la formulazione
dei pareri in data successiva al termine finale e, quindi, a rendere operativa
la proroga.
Tanto
risulta accaduto. Lo schema di decreto delegato è stato infatti approvato dal
Consiglio dei ministri il 25 agosto 2016 ed è stato trasmesso alla Presidenza
del Senato ed alla Presidenza della Camera il 26 agosto 2016, come in tal senso
attestato dagli atti parlamentari (aventi valore fidefaciente)
e, in particolare, precisamente indicato nei frontespizi degli atti del Senato
della Repubblica e della Camera dei deputati, relativi appunto all’«Atto del
Governo sottoposto a parere parlamentare» n. 327 (nei quali è espressamente
dato atto dell’avvenuta trasmissione dello stesso alle Presidenze delle due
Camere «il 26 agosto 2016»).
Relativamente
all’ordine nella formulazione della richiesta dei pareri, è corretta la
considerazione svolta dall’Avvocatura generale, secondo cui l’avverbio
«successivamente», contenuto nel citato art. 10, comma 2, scandiva un ordine
procedimentale, in virtù del quale non occorreva richiedere prima i pareri
della Conferenza unificata e del Consiglio di Stato e soltanto all’esito della
formulazione dei medesimi richiedere quelli delle Commissioni parlamentari.
L’adempimento
procedurale imprescindibile era infatti che queste ultime rendessero parere
dopo avere avuto contezza di quelli espressi dagli altri due organi dianzi
indicati. Condizioni perché potesse operare la proroga erano soltanto quelle
costituite: dall’inoltro della richiesta di parere alle Commissioni
parlamentari; dalla circostanza che, in considerazione della data della stessa,
il termine del parere sarebbe scaduto entro quello indicato dalla norma di
delega; dall’essere stato avviato il procedimento anche in relazione a Conferenza
unificata e Consiglio di Stato, in modo da permettere a questi ultimi di
rendere il parere e di garantirne l’acquisizione da parte delle Commissioni
parlamentari entro un tempo in grado di assicurare l’esaurimento del
procedimento.
Tanto
è appunto accaduto, dato che: il 29 settembre 2016 la Conferenza unificata ha
espresso parere favorevole (condizionato all’accoglimento di tre proposte di
emendamento); il 20 ottobre 2016 il Consiglio di Stato, Sezione consultiva per
gli atti normativi, ha espresso il proprio parere favorevole (con
osservazioni); il 3 novembre 2016 le Commissioni 10ª del Senato della
Repubblica e X della Camera dei deputati hanno espresso, entrambe, pareri
favorevoli (con condizioni ed osservazioni).
Peraltro,
va osservato che da tali due ultimi pareri (pure recanti rilievi ed
osservazioni) non emergono dubbi in ordine all’operatività della proroga,
questione della quale neppure vi è traccia nei pareri della Conferenza
unificata e del Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi,
benché questi ultimi due organi abbiano ricevuto la richiesta di parere in data
successiva al 28 agosto 2016. Non rileva, infatti, la puntualizzazione
contenuta nella premessa del parere reso dalla Conferenza unificata sulla
«urgenza a provvedere manifestata dal Governo (considerato che formalmente la
delega è scaduta)». La stessa è infatti riferibile, all’evidenza, all’esigenza
di celerità conseguente al fatto che il parere avrebbe dovuto essere reso nella
fase di proroga del termine, senza che risulti poi posta in discussione
l’esattezza del convincimento in ordine all’operatività di quest’ultima.
Nei
richiamati pareri in data 3 novembre 2016 delle Commissioni 10ª del Senato
della Repubblica e X della Camera dei deputati è, inoltre, dato atto che gli
stessi sono stati formulati avendo avuto contezza dei pareri degli altri due
organi dianzi indicati, a conferma dell’osservanza dell’iter stabilito dalla norma di delega e della circostanza che è
stata garantita l’interlocuzione di tutti gli organi, nell’osservanza delle
precedenze stabilite dalla stessa, assicurando alle Commissioni parlamentari la
conoscenza dei pareri preliminari rispetto a quello che esse dovevano
formulare.
Il
procedimento di adozione del decreto delegato è poi ulteriormente proseguito,
nell’osservanza dell’art. 10 della legge n. 124 del 2015, con la sottoposizione
alle Commissioni 10ª del Senato e X della Camera del testo dello schema
modificato dal Governo e da questi trasmesso (in data 11 novembre 2016 alla
Presidenza del Senato ed alla Presidenza della Camera giusta l’attestazione
recata dagli atti parlamentari) e con la formulazione di parere da parte di
dette Commissioni nelle date, rispettivamente, del 22 e del 17 novembre 2016.
Il
procedimento si è dunque svolto garantendo appieno l’interlocuzione sullo
schema di decreto delegato degli organi chiamati a rendere il parere, con
modalità che hanno consentito alle Commissioni parlamentari di avere conoscenza
di quelli formulati dalla Conferenza unificata e dal Consiglio di Stato,
costituendo questa la condizione ineludibile della legittimità dello stesso.
L’interpretazione
in tal senso accolta neanche poteva comportare, come sostenuto dalla Regione
Puglia, che «la delega non avrebbe [avuto] scadenza». Se condizione della
proroga era che la richiesta di parere doveva pervenire alle Camere prima del
28 agosto 2016 (come appunto avvenuto), una volta che ciò fosse accaduto, era
agevole computare ed identificare il termine finale, perentorio ed
improrogabile, senza che fosse ipotizzabile una sorta di anomala ed impropria
sanatoria.
6.– La Regione Toscana ha altresì impugnato
l’intero testo del d.lgs. n. 219 del 2016, in riferimento agli artt. 76 e 77,
primo comma, Cost. ed al
principio di leale collaborazione. A suo avviso, l’attività delle camere di
commercio incide su materie attribuite alla competenza regionale e, quindi,
anche in virtù del principio enunciato dalla sentenza n. 251 del
2016, il decreto delegato avrebbe dovuto «essere approvato previa intesa
con la Conferenza Stato-Regioni» e non, come accaduto, previo parere della
Conferenza unificata.
Censura
sostanzialmente identica è stata proposta dalla Regione Liguria, che tuttavia,
con argomentazioni sostanzialmente omologhe a quelle svolte dalla Regione
Toscana (sopra riportate) e trascrivendo ampi brani della sentenza n. 251 del
2016, ha denunciato soltanto la violazione del principio di leale
collaborazione.
6.1.– La Regione Lombardia ha promosso questione
di legittimità costituzionale in larga misura omologa, laddove ha dedotto
(nella parte iniziale del punto I.1. del ricorso) che
il d.lgs. n. 219 del 2016 violerebbe gli artt. 117, terzo e quarto comma, Cost., nonché il principio di leale collaborazione di cui
agli artt. 5 e 120 Cost., poiché «è stato adottato
all’esito di un procedimento nel quale l’interlocuzione fra Stato e Regioni […]
si è realizzata nella forma (inadeguata) del mero parere e non già attraverso
l’intesa».
Inoltre,
a suo avviso (secondo quanto sostenuto nel punto II del ricorso), il d.lgs. n.
219 del 2016 violerebbe l’art. 10, comma 2, della legge n. 124 del 2015, nella
parte in cui detta norma stabilisce che il decreto delegato doveva essere
emanato previo parere, anziché previa intesa, in virtù del testo così
risultante dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale di quest’ultima
norma, per violazione dell’art. 76 Cost., in
combinato disposto con gli artt. 5, 117, commi terzo e quarto, e 120 Cost., che questa Corte dovrebbe pronunciare a seguito
dell’autorimessione dinanzi a sé di detta questione,
che la ricorrente ha sollecitato.
6.2.– Le questioni, scrutinabili congiuntamente
nella parte in cui denunciano la violazione del principio di leale
collaborazione, perché sollevate in base a ragioni ed in relazione a profili
sostanzialmente coincidenti, sono non fondate.
6.2.1.– In linea preliminare, la censura con cui la
Regione Toscana, nella memoria illustrativa, sostiene che il principio di leale
collaborazione sarebbe stato leso anche perché «il Governo ha ignorato le tre
proposte di emendamento che le Regioni avevano posto come condizionanti il
parere favorevole sul testo del decreto legislativo» deve essere dichiarata
inammissibile. Con tale prospettazione la ricorrente, in contrasto con il
principio sopra richiamato nel precedente punto 5.2.1.,
ha infatti introdotto un profilo nuovo ed ulteriore rispetto a quello svolto
nel ricorso e, appunto per questo, inammissibile.
6.2.2.– Ancora in linea preliminare, devono essere
dichiarate inammissibili le censure sollevate dalla Regione Lombardia in
riferimento all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost.,
in quanto tale parametro costituzionale non risulta indicato nella delibera
autorizzativa alla proposizione del ricorso. Nei giudizi di legittimità
costituzionale in via principale deve infatti sussistere, a pena
d’inammissibilità, una piena e necessaria corrispondenza tra la deliberazione
con cui l’organo legittimato si determina all’impugnazione ed il contenuto del
ricorso, quanto ad oggetto, profili e parametri (tra le molte, sentenze n. 170
e 154 del 2017),
attesa la natura politica dell’atto di impugnazione (tra le tante, sentenza n. 154 del
2017).
6.2.3.– La questione sollevata dalla Regione
Toscana, in riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, Cost.,
non è fondata, tenuto conto che l’art. 10, comma 2, della legge n. 124 del 2015
stabiliva che il Governo avrebbe dovuto emanare il decreto delegato «previa
acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281», come appunto è accaduto.
Tale
norma è stata dunque osservata, con conseguente inesistenza dell’ipotizzata
violazione della legge delega. L’univoca formulazione di detta disposizione
rende inoltre impossibile un’interpretazione diversa da quella resa chiara
dalla lettera della stessa, che imponeva appunto l’acquisizione del parere
della Conferenza unificata e non dell’intesa della Conferenza Stato-Regioni.
6.2.4.– Le questioni, nella parte in cui
prospettano una violazione del principio di leale collaborazione, in quanto il
d.lgs. n. 219 del 2016 è stato adottato, nell’osservanza della norma di delega,
previo parere della Conferenza unificata anziché previa intesa in Conferenza
Stato-Regioni, necessaria ad avviso dalle ricorrenti, è connotata, in parte, da
profili di novità.
Deve
essere anzitutto escluso che costituiscano precedenti congruenti rispetto ad
essa le pronunce con cui la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto
ammissibile l’impugnazione di norme del decreto delegato, in riferimento
all’art. 76 Cost., qualora la violazione dei principi
e criteri direttivi determini una compressione delle competenze regionali (tra
le altre, sentenze
n. 219 del 2013, n. 178 del 2012,
n. 33 del 2011).
Nel caso in esame non è stata, infatti, denunciata una tale violazione, perché
questa, al contrario, è stata ravvisata dalle ricorrenti proprio
nell’osservanza di detti principi e criteri direttivi, quali fissati dall’art.
10 della legge n. 124 del 2015.
I
principi che consentono di dare corretta soluzione alla questione sono
desumibili della sentenza
n. 251 del 2016, che tuttavia non conducono all’esito sostenuto dalle
ricorrenti.
Questa
sentenza ha, infatti, affermato che, qualora il legislatore delegante
conferisca al Governo il compito di emanare disposizioni che incidano su ambiti
caratterizzati da uno stretto intreccio di materie e competenze statali e
regionali, tale da fare ravvisare nell’intesa la soluzione che meglio incarna
la collaborazione, l’intesa «si impone […] quale cardine della leale
collaborazione anche quando l’attuazione delle disposizioni dettate dal
legislatore statale è rimessa a decreti legislativi delegati, adottati dal
Governo sulla base dell’art. 76 Cost. Tali decreti,
sottoposti a limiti temporali e qualitativi, condizionati quanto alla validità
a tutte le indicazioni contenute non solo nella Costituzione, ma anche, per
volontà di quest’ultima, nella legge di delegazione, finiscono, infatti, con
l’essere attratti nelle procedure di leale collaborazione, in vista del pieno
rispetto del riparto costituzionale delle competenze» (sentenza n. 251 del
2016).
Questa
Corte ha dunque ritenuto ammissibile l’impugnazione della norma di delega, allo
scopo di censurare le modalità di attuazione della leale collaborazione dalla
stessa prevista ed al fine di ottenere che il decreto delegato sia emanato
previa intesa anziché previo parere in sede di Conferenza.
La
affermata immediata impugnabilità della norma di delega, per violazione del
principio di leale collaborazione, rende palese, da un canto, che la lesione
costituisce effetto diretto ed immediato di un vizio della stessa, non del
decreto delegato che ad essa dovrà prestare (ovvero che ha prestato) la dovuta
osservanza; proprio per questo la norma di delega, in parte qua, è stata ritenuta impugnabile prima ancora
dell’adozione del decreto delegato. Dall’altro, dimostra che l’eventuale vizio
del decreto delegato è meramente riflesso e, quindi, la censura di violazione
del principio di leale collaborazione, conseguente all’osservanza della norma
di delega, denuncia in realtà un vizio che concerne direttamente ed
immediatamente la norma di delega.
Pertanto,
sulla scorta dei principi enunciati nella sentenza n. 251 del
2016, va affermato che, quando la legge delega è connotata da un tasso di specificità
e concretezza tale da comportare una lesione dell’interesse della Regione,
poiché essa ha ad oggetto la futura regolamentazione (con il decreto delegato)
di ambiti complessi e caratterizzati da un intreccio di competenze statali e
regionali (come nel caso in esame, per quanto sopra precisato), la Regione può
e deve farlo valere mediante l’impugnazione della norma di delega, ritenuta
appunto ammissibile da detta pronuncia.
Una
diversa soluzione condurrebbe ad una palese, inammissibile, elusione del
termine perentorio di sessanta giorni stabilito dall’art. 127, secondo comma, Cost. (nel testo sostituito
dall’art. 8 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante
«Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione»).
In
contrario, non giova richiamare, come opinano le ricorrenti, il pure pacifico
principio secondo cui è inapplicabile l’istituto dell’acquiescenza nel giudizio
di legittimità costituzionale in via principale (tra le altre, sentenze n. 182
e n. 169 del
2017). Nel caso in esame non si è, infatti, al cospetto di una reiterazione
del contenuto di una precedente disposizione, ovvero della novazione di una
fonte precedente, bensì della mera applicazione di una norma vigente che il
legislatore delegato, come è necessario, si è limitato ad osservare e che
neppure avrebbe potuto disattendere, a meno di incorrere proprio per questo in
un vizio denunciabile ex art. 76 Cost.
Precisi
argomenti a conforto della conclusione qui affermata sono, infine, desumibili
dalla giurisprudenza costituzionale, secondo la quale, quando il vizio della
norma del decreto delegato deriva dall’osservanza della norma di delega, resta
esclusa la censurabilità della stessa e neanche «può
accogliersi la richiesta subordinata della ricorrente, di sollevare questione
di legittimità costituzionale […] della legge di delega, per violazione degli
indicati […] parametri costituzionali, poiché si farebbe luogo in tal modo ad
una inammissibile elusione del termine assegnato alle regioni dall’art. 2 della
legge costituzionale n. 1 del 1948 per la impugnazione delle leggi statali» (sentenza n. 206 del
2001; in senso sostanzialmente analogo è la sentenza n. 46
del 2013 che parimenti ha affermato che la Corte non era «tenuta ad
esaminare» una richiesta di autorimessione della
questione di legittimità costituzionale di una norma diversa da quella
impugnata e per un vizio che, in tesi, poteva rilevare nello scrutinio della
diversa norma, che avrebbe dovuto essere tempestivamente impugnata).
6.2.4.1.– Per tali ultime argomentazioni questa
Corte ritiene di non dovere prendere in considerazione l’istanza di autorimessione proposta dalla Regione Lombardia, sopra
sintetizzata.
7.– La Regione Lombardia ha altresì impugnato
l’intero testo del d.lgs. n. 219 del 2016, per violazione del «principio di
leale collaborazione, in combinato disposto con gli artt. 117», commi terzo e
quarto, Cost (così nella parte conclusiva del punto
I.1. del ricorso, nonché in quella centrale dello
stesso), in quanto il Governo non avrebbe recepito le proposte di modifica
formulate ai numeri 4, 12 e 15 del parere reso il 29 settembre 2016 dalla
Conferenza unificata.
In
ogni caso, a suo avviso, detto vizio, conseguente appunto al mancato
recepimento di dette proposte, inficerebbe almeno gli artt. 1, comma 1, lettera
b), numero 2, punto g), e lettera r), numero 1), punto i),
e 3, comma 10, del d.lgs. n. 219 del 2016 (così nella parte conclusiva del
punto I.1. del ricorso).
7.1.– Le questioni sono inammissibili.
Le
questioni, nei suindicati termini e con riguardo alla ragione del denunciato
vizio, consistente nel mancato recepimento delle proposte di modifica numeri 4,
12 e 15 formulate nel parere reso dalla Conferenza unificata, non risultano
infatti prospettate ed identificate nella delibera della Giunta regionale di
autorizzazione alla proposizione del ricorso e, in virtù del principio sopra
richiamato in ordine alla necessaria corrispondenza tra la delibera ed il
contenuto del ricorso, sono quindi inammissibili.
8.– La Regione Lombardia ha impugnato gli
artt. 1, 2, 3 e 4 del d.lgs. n. 219 del 2016, per violazione degli artt. 76,
117, terzo e quarto comma, Cost., nonché del
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.
8.1.– La questione è inammissibile.
Preliminarmente
è necessario osservare che la questione, in detti precisi termini, è stata
proposta nelle conclusioni del ricorso (al punto i, sub b) e non coincide
appieno con quella promossa nel corso dello stesso (nella parte iniziale del
punto I.1., sopra sintetizzata nel paragrafo 6.1), quanto alle norme impugnate
(nel punto delle conclusioni qui in esame indicate nei soli artt. 1, 2, 3 e 4
del d.lgs. n. 219 del 2016) ed ai parametri costituzionali (soltanto nelle
conclusioni al punto i, sub b, è infatti indicato l’art. 76 Cost.), benchè risulti altrimenti
sostanzialmente coincidente con quella dianzi scrutinata (sintetizzata nel
paragrafo 6.1.), quanto alla denunciata violazione del principio di leale
collaborazione.
Precisato
dunque che la questione sollevata è differente ed ulteriore rispetto a quella
sintetizzata nel paragrafo 6.1., la stessa è
inammissibile per due concorrenti ragioni.
In
primo luogo, perché della stessa, in detti precisi termini e con specifico
riguardo agli artt. 1, 2, 3 e 4 del d.lgs. n. 219 del 2016, non vi è traccia
nella delibera di autorizzazione alla proposizione del ricorso, in violazione
del richiamato principio della corrispondenza tra tali atti.
In
secondo luogo, perché la stessa, in quanto sollevata soltanto nelle conclusioni
del ricorso, è evidentemente carente del supporto argomentativo minimo che deve
connotare il ricorso in via principale (per tutte, sentenza n. 197 del
2017).
9.– Procedendo ulteriormente nello scrutinio
delle questioni aventi ad oggetto singole norme del d.lgs. n. 219 del 2016, va
osservato che la Regione Puglia ha impugnato l’art. 1, comma 1, lettera a), numero 1, e l’art. 3 (recte, art. 3,
comma 1, primo periodo) del d.lgs. n. 219 del 2016, nella parte in cui gli
stessi «prevedono la riduzione del numero delle Camere di commercio da 105 a
non più di 60». A suo avviso, le camere di commercio sarebbero riconducibili
alle cosiddette autonomie funzionali, garantite dall’art. 5 Cost., e costituirebbero
espressione del libero associazionismo imprenditoriale, tutelato dall’art. 18 Cost. Tali parametri sarebbero lesi dalla non ragionevole
(in violazione dell’art. 3 Cost.) riduzione del
numero delle camere di commercio, disposta «per conseguire un presunto
risparmio di spesa» rispetto ad un sistema virtuoso, tenuto peraltro conto che
le stesse neppure gravano sul bilancio dello Stato.
9.1.– La questione è inammissibile.
Il
censurato art. 1, comma 1, lettera a),
numero 1, ha sostituito il comma 3 dell’art. 1 della legge n. 580 del 1993, con
il seguente: «3. Le Camere di commercio operano nelle circoscrizioni
territoriali esistenti, come ridefinite in attuazione dell’articolo 10, comma
1, lettera b), della legge n. 124 del
2015 ed ai sensi del comma 5 del presente articolo, con la presenza di almeno
una camera di commercio in ciascuna regione. Ai fini dell’individuazione della
soglia delle 75.000 imprese e unità locali è considerato il relativo numero
risultante dall’ultima pubblicazione effettuata dal Ministero dello sviluppo
economico ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Ministro dello sviluppo
economico 4 agosto 2011, n. 155».
La
norma reca criteri di ridefinizione delle circoscrizioni territoriali delle camere
di commercio, non concerne il numero complessivo delle stesse e, dunque, in
nessun punto ha costituito oggetto di specifica considerazione e critica, con
conseguente inammissibilità della questione avente ad oggetto la stessa.
La
censura si appunta esclusivamente sull’art. 3 del d.lgs. n. 219 del 2016, che
si compone di undici commi, i quali disciplinano molteplici profili del
procedimento di riduzione del numero delle camere di commercio e, in dettaglio,
stabiliscono: i criteri da osservare nell’accorpamento delle stesse (comma 1,
lettere da a ad f); il procedimento di rideterminazione delle circoscrizioni
territoriali e di accorpamento (commi 2-4); la destinazione del personale in
soprannumero (commi 5-11).
La
questione ha quindi ad oggetto esclusivamente il primo periodo del comma 1 del
citato art. 3, nella parte in cui stabilisce l’obiettivo di «ricondurre il
numero complessivo delle camere di commercio entro il limite di 60».
Delimitata
in detti termini la questione, va ribadito il principio, costantemente
affermato da questa Corte, secondo cui non basta che il ricorso in via
principale identifichi esattamente la questione nei suoi termini normativi,
indicando le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto
di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di
costituzionalità. Occorre infatti che esso sviluppi un’argomentazione a
sostegno dell’impugnazione, necessaria in termini ancora più stringenti che nei
giudizi incidentali (tra le molte, sentenze n. 197,
n. 192, n. 170, n. 169 e n. 81 del 2017).
Secondo
la giurisprudenza costituzionale, le Regioni possono, inoltre, impugnare le
disposizioni di una legge statale facendo valere esclusivamente i profili
attinenti al riparto delle competenze. Esse possono denunciare la violazione di
parametri diversi da quelli che sovrintendono a detto riparto soltanto qualora
la stessa sia potenzialmente idonea a determinare una lesione delle
attribuzioni costituzionali delle Regioni, sempre che motivino sufficientemente
in ordine ai profili di possibile ridondanza della violazione sul riparto di
competenze ed indichino la specifica competenza regionale che si assume lesa
(tra le più recenti, sentenza n. 169 del
2017).
Dando
applicazione e continuità a detti principi, la questione è inammissibile, in
quanto consiste e si risolve nella prospettazione dell’incongruità della
riduzione del numero delle camere di commercio, formulata in modo
sostanzialmente assertivo. Tale conclusione ancora più si impone, in quanto
neppure è approfondito e considerato il dettagliato procedimento stabilito
proprio a salvaguardia delle specificità geo-economiche dei territori. Inoltre,
è stata denunciata la violazione di parametri costituzionali che non
sovrintendono al riparto delle attribuzioni tra Stato e Regioni, senza
adeguatamente argomentare in ordine alla ridondanza della violazione sulle
competenze regionali, con specifico riferimento alla norma in esame.
10.– L’art. 1, comma 1, lettera a), numero 3, del d.lgs. n. 219 del
2016, ha sostituito il comma 5 dell’art. 1 della legge n. 580 del 1993 con il
seguente: «5. I consigli di due o più camere di commercio possono proporre, con
delibera adottata a maggioranza dei due terzi dei componenti, l’accorpamento
delle rispettive circoscrizioni territoriali o le modifiche delle
circoscrizioni stesse. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico,
previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, è istituita la camera di
commercio derivante dall’accorpamento delle circoscrizioni territoriali. Con la
medesima procedura sono approvate le eventuali modifiche delle circoscrizioni
territoriali delle camere di commercio esistenti fermo restando il numero
massimo di 60 e la necessità di mantenere l’equilibrio economico finanziario
per ciascuna delle camere interessate».
Secondo
la Regione Liguria, detta norma violerebbe gli artt. 76 e 77, comma primo, Cost., in
quanto l’art. 10 (recte,
art. 10, comma 1, lettera b) della
legge n. 124 del 2015 prevederebbe tra i principi e
criteri direttivi per la ridefinizione delle circoscrizioni territoriali delle
camere di commercio solo "l’accorpamento” di due o più camere di commercio
esistenti. La norma impugnata, aggiungendo «a tale modalità di ridefinizione
anche la "modifica” delle circoscrizioni territoriali», lascerebbe «aperta la
possibilità di determinare ‘innovativamente’ i nuovi
confini degli enti, ossia consentendo di prescindere in modo anche
significativo dagli esistenti perimetri amministrativi».
10.1.– La questione è inammissibile.
La
censura, risolvendosi nella deduzione dianzi trascritta, è all’evidenza
generica e non corredata da specifiche argomentazioni. L’imprescindibilità di
un’adeguata motivazione della censura si imponeva ancora più, tenuto conto del
criterio direttivo contenuto nell’art. 10, comma 1, lettera b), della legge n. 124 del 2015,
suscettibile di essere interpretato, secondo gli ordinari criteri ermeneutici,
nel senso fatto proprio dal legislatore delegato, nonché della previsione,
nella norma in esame, di un procedimento di modifica delle circoscrizioni
territoriali che si conclude con un decreto del Ministro dello sviluppo
economico, da emanare «previa intesa con la Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano», che garantisce l’attivo coinvolgimento delle Regioni.
11.– Per ragioni d’ordine logico, è opportuno
esaminare la questione avente ad oggetto l’art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 219
del 2016, in quanto anche detta disposizione concerne la disciplina delle
circoscrizioni territoriali delle camere di commercio.
Tale
norma stabilisce: «Il Ministro dello sviluppo economico, entro i sessanta
giorni successivi al termine di cui al comma 1, con proprio decreto, sentita la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano, provvede, tenendo conto della proposta di cui
al comma 1, alla rideterminazione delle circoscrizioni territoriali,
all’istituzione delle nuove camere di commercio, alla soppressione delle camere
interessate dal processo di accorpamento e razionalizzazione ed alle altre
determinazioni conseguenti ai piani di cui ai commi 2 e 3. Il provvedimento di
cui al presente comma è adottato anche in assenza della proposta di cui al
comma 1, ove sia trascorso inutilmente il termine ivi previsto, applicando a
tal fine i medesimi criteri previsti nei commi 1, 2, 3».
11.1.– Tale disposizione è stata impugnata dalla
Regione Puglia, per violazione dell’art. 76 Cost., in
relazione all’art. 10, comma 1, lettera a)
(recte,
art. 10, comma 1, lettera b), della
legge n. 124 del 2015. A suo avviso, quest’ultima norma disponeva che la
«ridefinizione delle circoscrizioni territoriali» avrebbe dovuto essere
realizzata dal decreto legislativo e non avrebbe autorizzato il Governo a
stabilire «criteri di ridefinizione», rinviando ad un successivo atto
governativo l’attuazione della stessa. A suo avviso, detto rinvio realizzerebbe
una violazione del termine di esercizio della delega e dimostrerebbe che il
Governo non è stato in grado di osservarlo, sottraendo altresì tale profilo (di
pregnante interesse per le Regioni) al sindacato di questa Corte.
11.1.1.– La questione non è fondata.
Preliminarmente,
è opportuno osservare che detta censura non è assorbita dalla declaratoria di
illegittimità costituzionale del censurato art. 3, comma 4, di seguito
pronunciata (nel paragrafo 12.1.1.). Con la stessa la Regione Puglia mira
infatti ad ottenere la caducazione della norma in toto, per una ragione preliminare, che in tesi potrebbe
assorbire l’ulteriore questione avente ad oggetto la norma in esame.
La
censura è, altresì, ammissibile poiché la ricorrente ha prospettato la lesione
di competenze ad essa spettanti, argomentando sufficientemente anche in ordine
alla ridondanza dell’asserito vizio.
L’obiettivo
assegnato al legislatore delegato, di procedere alla «ridefinizione» delle
circoscrizioni territoriali, tenuto conto del significato del sostantivo e
della finalità posta dalla norma di delega – che rendeva ineludibile una
ricognizione ed un’istruttoria non compatibile, di regola, con tempi e modi di
un atto normativo (sia pure consistente in un decreto delegato) – consente,
infatti, di interpretare quest’ultima, ritenendo che con essa il Governo sia
stato autorizzato anche a disciplinare un apposito procedimento, volto alla
rideterminazione delle circoscrizioni territoriali delle camere di commercio.
D’altronde,
la legge delega, in parte qua, non
vietava affatto al legislatore delegato di devolvere a fonti secondarie lo
sviluppo delle norme primarie ivi contenute, secondo una modalità in passato
già prevista e giudicata ammissibile da questa Corte (sentenza n. 33 del
2011).
12.– L’art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 219 del
2016 è stato, inoltre, impugnato – in riferimento al principio di leale
collaborazione dalle Regioni Puglia, Toscana, Liguria e Lombardia, nonché, da
queste ultime tre ricorrenti, anche in relazione all’art. 117, commi terzo e
quarto, Cost. – nella parte in cui stabilisce che il
decreto del Ministro dello sviluppo economico previsto da detta norma deve
essere emanato «sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano».
Le
ricorrenti, con argomentazioni in larga misura coincidenti, sostengono che la
norma inciderebbe su un ambito materiale in cui si intrecciano competenze
legislative statali e regionali. La previsione dell’adozione del richiamato
decreto previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, anziché previa
intesa, si porrebbe in contrasto con i principi enunciati nella sentenza n. 251 del
2016 e violerebbe il principio di leale collaborazione.
12.1.– Le censure sono anzitutto ammissibili,
poiché sufficientemente motivate e, quanto al ricorso della Regione Lombardia,
lo sono limitatamente alla denunciata violazione del principio di leale
collaborazione. Nella delibera di autorizzazione alla proposizione del ricorso
non c’è infatti traccia del riferimento all’art. 117, commi terzo e quarto, Cost. e sono, quindi,
inammissibili le censure riferite a detto parametro, siccome proposte in
violazione del più volte richiamato principio di corrispondenza tra il
contenuto di tali atti.
12.1.1.– La questione, nei termini e nei limiti di
seguito precisati, è fondata.
L’intervento
del legislatore statale sul profilo in esame non è di per sé illegittimo,
essendo giustificato dalla finalità di realizzare una razionalizzazione della
dimensione territoriale delle camere di commercio e di perseguire una maggiore
efficienza dell’attività da esse svolta, conseguibile soltanto sulla scorta di
un disegno unitario, elaborato a livello nazionale. Tale ragione
giustificatrice dell’intervento del legislatore statale non esclude tuttavia
che, incidendo l’attività delle camere di commercio su molteplici competenze,
alcune anche regionali, detto obiettivo debba essere conseguito nel rispetto
del principio di leale collaborazione, indispensabile in questo caso a guidare
i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie (ex plurimis, sentenza n. 251 del
2016).
Il
luogo idoneo di espressione della leale collaborazione è stato correttamente
individuato dalla norma nella Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Il modulo
della stessa, tenuto conto delle competenze coinvolte, non può invece essere
costituito dal parere, come stabilito dalla norma, ma va identificato
nell’intesa, contraddistinta da una procedura che consenta lo svolgimento di
genuine trattative e garantisca un reale coinvolgimento. Della necessità
dell’intesa lo stesso legislatore statale si è, peraltro, dimostrato
consapevole allorché, con l’art. 1, comma 1, lettera a), numero 3, del d.lgs. n. 219 del 2016, ha sostituito l’art. 1,
comma 5, della legge n. 580 del 1993, ed ha avuto cura di prevedere appunto
l’intesa per l’istituzione delle camere di commercio risultanti da accorpamento
di quelle preesistenti e per le modifiche delle circoscrizioni territoriali.
Va, pertanto, dichiarato costituzionalmente
illegittimo l’art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 219 del 2016, nella parte in cui
stabilisce che il decreto del Ministro dello sviluppo economico dallo stesso
previsto deve essere adottato «sentita la Conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano»,
anziché previa intesa in detta Conferenza;
13.– La Regione Lombardia ha impugnato gli
artt. 3, comma 1, lettera f), e 4 del
d.lgs. n. 219 del 2016, per violazione dell’art. 76 Cost.,
in relazione all’art. 10, comma 1, lettera g),
della legge n. 124 del 2015.
La
prima delle disposizioni impugnate stabilisce tra i criteri da osservare nella
rideterminazione delle circoscrizioni territoriali delle camere di commercio,
per ricondurre il numero complessivo delle camere di commercio entro il limite
di sessanta 60, quello costituito dalla «necessità di tener conto degli
accorpamenti deliberati alla data di entrata in vigore della legge 7 agosto
2015, n. 124, nonché di quelli approvati con i decreti di cui all’articolo 1,
comma 5, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, e successive modificazioni;
questi ultimi possono essere assoggettati ad ulteriori o diversi accorpamenti
solo ai fini del rispetto del limite di 60 camere di commercio».
La
seconda reca invece le «disposizioni finali e transitorie» del d.lgs. n. 219
del 2016 ed è composta da sei commi, che recano prescrizioni aventi ad oggetto
molteplici e diversificati profili della disciplina del riordino delle funzioni
delle camere di commercio (concernenti la variazione del diritto annuale
camerale, il divieto di assunzione di nuovo personale, la disciplina degli
organi, degli atti di dismissione e razionalizzazione delle partecipazioni
societarie, le modalità di trasmissione alle camere di commercio dei
provvedimenti conclusivi di procedimenti amministrativi concernenti attività
d’impresa).
Il
richiamato art. 10, comma 1, lettera g),
stabilisce tra i principi e criteri direttivi che il legislatore delegato,
nell’adottare il decreto legislativo, avrebbe dovuto osservare quello della
«introduzione di una disciplina transitoria che tenga conto degli accorpamenti
già deliberati alla data di entrata in vigore della presente legge».
Secondo
la ricorrente, «dal raffronto delle previsioni» […] dell’impugnato art. 3,
comma 1, lettera f), e della norma di
delega, risulterebbe che il legislatore delegato sarebbe stato vincolato a
«prevedere una disciplina transitoria per tutti e soli gli accorpamenti già
deliberati alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015». A suo
avviso, «di tale disciplina transitoria, però, non vi è traccia nel decreto»,
con conseguente illegittimità costituzionale delle norme impugnate.
13.1.– La questione è inammissibile.
L’inammissibilità
della questione avente ad oggetto l’art. 4 del d.lgs. n. 219 del 2016 consegue
alla considerazione che detta disposizione non è indicata nella delibera
autorizzativa del ricorso tra quelle oggetto d’impugnazione (tale atto menziona
soltanto il citato art. 3, comma 1, lettera f)
ed è dunque imposta dal dianzi richiamato principio di necessaria
corrispondenza del contenuto di tali atti.
La
questione concernente l’art. 3, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 219 del 2016, siccome l’argomentazione svolta a
conforto della medesima consiste e si risolve nella deduzione dianzi
trascritta, è, all’evidenza, priva del supporto illustrativo minimo a sostegno
dell’impugnazione che, come sopra precisato, deve connotare il ricorso in via
principale, nonché dell’esplicitazione delle ragioni dell’eventuale ridondanza
della violazione del parametro evocato (estraneo a quelli previsti nella Parte
II del Titolo V della Costituzione) sulle attribuzioni regionali.
14.– Le Regioni Puglia e Toscana hanno
impugnato l’art. 1, comma 1, lettera r),
numero 1, punto i), del d.lgs. n. 219
del 2016, il quale ha sostituito il comma 10 dell’art. 18 della legge n. 580
del 1993 con il seguente: «10. Per il finanziamento di programmi e progetti
presentati dalle camere di commercio, condivisi con le Regioni ed aventi per
scopo la promozione dello sviluppo economico e l’organizzazione di servizi alle
imprese, il Ministro dello sviluppo economico, su richiesta di Unioncamere, valutata la rilevanza dell’interesse del
programma o del progetto nel quadro delle politiche strategiche nazionali, può
autorizzare l’aumento, per gli esercizi di riferimento, della misura del
diritto annuale fino ad un massimo del venti per cento. Il rapporto sui
risultati dei progetti è inviato al Comitato di cui all’articolo 4-bis».
Secondo
la Regione Puglia, detta norma violerebbe l’art. 117, commi terzo e quarto, Cost. ed il principio di leale
collaborazione, nonché l’art. 3 Cost. ed il principio di ragionevolezza, in quanto prevederebbe un controllo disarmonico rispetto all’attuale
concezione costituzionale dell’autonomia. La norma, a suo avviso, non sarebbe,
inoltre, coordinata con il novellato testo dell’art. 2, comma 2, lettera g), della legge n. 580 del 1993, che
prevede lo svolgimento da parte delle camere di commercio di attività oggetto
di convenzione con le Regioni ed altri enti pubblici, le quali possono essere
finanziate solo mediante il diritto annuale. Sarebbe dunque «paradossale che si
possa provvedere in merito senza l’aumento della loro unica fonte di
finanziamento, né appare proporzionato che la meritevolezza
del progetto (che giustificherebbe l’aumento del diritto annuale) sia
previamente vagliata da un organo governativo».
Ad
avviso della Regione Toscana, la norma si porrebbe in contrasto con l’art. 117,
commi terzo e quarto, Cost., con il principio di leale collaborazione e con l’art. 118
Cost., poiché inciderebbe su ambiti di competenza
regionale costituzionalmente garantiti, lesi dal controllo ministeriale.
L’esigenza di contenere i costi a carico delle imprese avrebbe dovuto essere
conseguita mediante il coinvolgimento delle Regioni. L’art. 118 Cost. sarebbe infine violato, dal
momento che la Regione, in mancanza di risorse finanziarie sufficienti, sarà
costretta a non affidare alla camera di commercio le attività oggetto del
«programma/progetto» per la promozione dello sviluppo economico e per
l’organizzazione di servizi alle imprese.
14.1.– La questione non è fondata.
Preliminarmente
va dichiarata inammissibile la censura con cui la Regione Toscana ha eccepito
l’illegittimità costituzionale della norma in esame anche perché non sarebbe
stata accolta la richiesta di modifica avanzata dalla Conferenza unificata
nella proposta numero 12 del parere reso sullo schema di decreto delegato. Tale
censura è stata infatti proposta per la prima volta nella memoria illustrativa
e, quindi, in virtù del principio richiamato nel punto 5.2.1.,
è inammissibile.
Nel
merito, va ribadito il principio di recente enunciato da questa Corte,
richiamato dall’Avvocatura generale, secondo cui la disciplina dell’importo del
diritto annuale camerale non concerne il funzionamento delle camere di
commercio, bensì la «misura del diritto camerale»; quindi, è ascrivibile alla
materia del «sistema tributario» (art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.),
spettante alla competenza esclusiva dello Stato (sentenza n. 29 del
2016). È stato infatti sottolineato che il diritto camerale in questione ha
natura di tributo, istituito e regolato per legge dello Stato, «rispetto al
quale la determinazione dell’aggiornamento, della riscossione e della
ripartizione della misura è affidata (ai sensi dell’art. 18, commi 4 e
seguenti, della legge n. 580 del 1993) al Ministro dello sviluppo economico, di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentite l’Unioncamere e le organizzazioni di categoria maggiormente
rappresentative a livello nazionale». La richiamata sentenza ha, inoltre,
precisato che, poiché «il diritto di cui trattasi non è riconducibile
all’autonomia impositiva delle Camere di commercio, dal momento che a tali enti
(estranei alla categoria degli enti locali) è attribuita soltanto la
riscossione della prestazione patrimoniale, va, altresì, escluso che esso possa
essere considerato "tributo locale”».
La
norma di delega (art. 10, comma 1, lettera a,
della legge n. 124 del 2015) stabiliva, inoltre, quale principio e criterio
direttivo quello secondo cui nella determinazione del diritto annuale a carico
delle imprese occorreva tenere conto delle disposizioni di cui all’art. 28 del
decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la
trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari). Tale
norma, che è quella scrutinata dalla richiamata sentenza n. 29 del
2016, stabilendo la progressiva riduzione del diritto annuale, autorizzava
il legislatore delegato ad una scelta coerente con l’obiettivo di formalizzare
un quadro sufficientemente certo relativo alla misura dello stesso, confortando
ulteriormente, anche per quanto precisato nella suindicata pronuncia, la sua
natura di tributo.
Tale
configurazione rende dunque palese che la determinazione della misura del
"diritto annuale camerale” spetta alla competenza esclusiva dello Stato e ciò
conduce ad escludere la violazione denunciata dalle ricorrenti. L’intervento
ministeriale incide infatti soltanto indirettamente sui programmi e progetti
delle camere di commercio, poiché ha quale oggetto la determinazione della
misura di detto diritto, avente la natura dianzi indicata. Peraltro, la Regione
Puglia, nella memoria illustrativa, sostanzialmente dà atto della correttezza
dell’eccezione sollevata dall’Avvocatura generale, ma eccepisce l’illegittimità
della norma, in quanto realizzerebbe un significativo depauperamento
dell’autonomia funzionale delle camere di commercio. Tale censura è però
inammissibile, perché sollevata per la prima volta in detta memoria, a
prescindere dalla incidenza su tale rilievo della perdurante ammissibilità del
finanziamento dei progetti in convenzione (per quanto di seguito osservato
nello scrutinio della questione avente ad oggetto l’art. 1, comma 1, lettera r, numero 1, punto a, del d.lgs. n. 219 del 2016).
15.– La Regione Puglia ha impugnato l’art. 1,
comma 1, lettera r) (recte, art. 1,
comma 1, lettera r, numero 1, punto a, del d.lgs. n. 219 del 2016). Detta
norma ha abrogato la lettera c) del
comma 1 dell’art. 18 della legge n. 580 del 1993, in virtù della quale al
finanziamento delle camere di commercio si provvedeva, tra l’altro, mediante «c) le entrate e i contributi derivanti
da leggi statali, da leggi regionali, da convenzioni o previsti in relazione
alle attribuzioni delle camere di commercio».
Secondo
la ricorrente, la norma violerebbe gli artt. 3, 117, commi terzo e quarto, Cost. ed il principio di ragionevolezza, poiché, escludendo
che le camere di commercio possano fruire di finanziamenti regionali (o erogati
da altri enti), in virtù di convenzioni, comprimerebbe irragionevolmente sia
l’autonomia regionale (a causa dell’impossibilità di incentivare le attività
produttive, pregiudicando l’esercizio delle competenze di cui all’art. 117,
commi terzo e quarto, Cost.), sia l’autonomia delle
camere di commercio (le quali, da un canto non possono fare ricorso al
finanziamento mediante aumento del contributo annuale in difetto di
autorizzazione ministeriale, dall’altro non possono fruire di finanziamenti
regionali).
Ad
avviso della ricorrente, l’abrogazione sarebbe inoltre irragionevole «rispetto
alla disposizione su richiamata» (non indicata, ma da identificare nell’art. 2,
comma 2, lettera g, della legge n.
580 del 1993, nel testo sostituito dall’art. 1, comma 1, lettera b), numero 2, del d.lgs. n. 219 del
2016), «secondo cui le attività oggetto di convenzione con le regioni [...]
possono essere finanziate [...] esclusivamente in cofinanziamento con oneri a
carico delle controparti non inferiori al 50 per cento», facendo in tal modo
presumere «l’ammissibilità di questa fonte di finanziamento».
15.1.– La questione non è fondata, nei termini di
seguito precisati.
La
norma in esame era contenuta, con formulazione identica, nello schema di
decreto delegato approvato dal Governo il 25 agosto 2016 (anche se nell’art. 1,
comma 1, lettera r, numero 1, punto
1.1). La Conferenza unificata, nel parere reso il 29 settembre 2016, con la
proposta numero 9, aveva chiesto (senza peraltro condizionare il parere
all’accoglimento della stessa) che fosse sostituita con la seguente: «c) le entrate derivanti da convenzioni
con soggetti pubblici e privati», prospettando l’esigenza di «mantenere tra le
fonti di finanziamento le entrate derivanti da convenzioni con i soggetti
pubblici e privati», evidentemente preoccupata per la realizzabilità di
determinati progetti.
Preoccupazione
sostanzialmente analoga era stata espressa dalle imprese che, pur dando atto
della perdurante possibilità di attività svolte in convenzioni e cofinanziate
(in virtù dell’art. 2, comma 2, lettera g,
della legge n. 580 del 1993 nel testo novellato dal d.lgs. n. 219 del 2016),
adombravano la prefigurazione di compiti esulanti «dalla logica stretta del
cofinanziamento», che avrebbero potuto rendere difficoltosi i rapporti di
collaborazione anche con le regioni (in tal senso è il documento recante le
"Osservazioni e Proposte” formulate da R.E TE. Imprese Italia, depositato il 5
ottobre 2016, in occasione dell’audizione dinanzi alla Commissione 10° del
Senato della Repubblica).
Tali
preoccupazioni, in buona sostanza, sono state fatte proprie dalla ricorrente,
desumendo dalle stesse il paventato vulnus
di competenze regionali che, tuttavia, alla luce delle considerazioni di
seguito svolte non sussiste.
L’art.
18, comma 1, lettera c), della legge
n. 580 del 1993, nel testo anteriore alla censurata abrogazione, prevedeva una
facoltà di finanziamento delle camere di commercio da parte dello Stato e delle
Regioni generica ed indeterminata, siccome svincolata dalla strumentalità e correlazione
della medesima con specifiche attività svolte dalle stesse.
L’abrogazione
di tale previsione normativa è coerente con una riforma che, tenuto conto
dell’articolazione delle funzioni delle camere di commercio in tre differenti
tipologie (quelle finanziabili al 100 per cento con il diritto annuale e le
altre risorse delle camere; quelle che possono essere oggetto di convenzione,
in regime di cofinanziamento; le attività di mercato), della dianzi richiamata
configurazione di tali enti, della molteplicità dei compiti svolti dalle
medesime (non tutti riferibili a competenze regionali, alcuni svolti in
attività di mercato) e della finalità di razionalizzazione, efficacia ed
efficienza dell’attività dalle stesse svolte, non irragionevolmente ha ritenuto
necessario eliminarla.
Nondimeno,
detta abrogazione va considerata alla luce del novellato art. 2, comma 2, della
legge n. 580 del 1993 che, nel fissare le funzioni svolte dalle camere di
commercio, alla lettera g), dispone:
«ferme restando quelle già in corso o da completare, attività oggetto di
convenzione con le regioni ed altri soggetti pubblici e privati stipulate
compatibilmente con la normativa europea. Dette attività riguardano, tra
l’altro, gli ambiti della digitalizzazione, della qualificazione aziendale e
dei prodotti, del supporto al placement e all’orientamento, della risoluzione alternativa
delle controversie. Le stesse possono essere finanziate con le risorse di cui
all’articolo 18, comma 1, lettera a),
esclusivamente in cofinanziamento con oneri a carico delle controparti non
inferiori al 50 per cento».
La
ricorrente correttamente sostiene che da quest’ultima disposizione è possibile
«dedurre l’ammissibilità» della fonte di finanziamento. La norma, benché
caratterizzata da una formulazione lessicale non limpida, bene può essere
interpretata, in applicazione degli ordinari criteri ermeneutici, ritenendo, in
primo luogo, che il novero delle attività oggetto della stessa è ampio e non
limitato a quelle sole espressamente previste (come è reso chiaro dalla
locuzione «tra l’altro» utilizzata per identificarle). In secondo luogo, la
stessa permette di affermare che il finanziamento di tali attività è possibile
mediante il cosiddetto diritto annuale, ma anche mediante le risorse
eventualmente derivanti dal cofinanziamento, che, secondo la norma, deve
gravare sulle controparti in misura non inferiore al 50 per cento.
Tale
ultima previsione non esclude la possibilità che il finanziamento dell’attività
oggetto della convenzione gravi in toto
sulla controparte (per quanto qui rileva sulla Regione) e consente di
realizzarla senza intaccare le risorse provenienti dal diritto annuale e senza
limitare la facoltà delle Regioni di finanziare determinati progetti, beninteso
se siano riconducibili a competenze alle stesse costituzionalmente attribuite.
Pertanto,
ciò vuole dire che la censurata abrogazione ha eliminato la previsione dei
finanziamenti generici ed indeterminati da parte della Regione; tuttavia, dalla
complessiva disciplina (in particolare, dalla disposizione dianzi indicata) è
desumibile che alla Regione non è impedito di stipulare convenzioni e
concordare progetti inerenti al conseguimento di obiettivi riconducibili alle
proprie attribuzioni costituzionalmente garantite, facendosi carico del finanziamento
degli stessi.
Interpretate
in tal modo le norme in esame, resta escluso che la censurata abrogazione abbia
determinato il vulnus paventato dalla
Regione Puglia.
16.– Le Regioni Puglia e Toscana hanno, infine,
impugnato, in riferimento all’art. 117, comma quarto, Cost.
(entrambe) ed agli artt. 3 e 97 Cost.
ed ai principi di ragionevolezza e leale
collaborazione (la Regione Puglia), l’art. 4, comma 6, del d.lgs. n. 219 del
2016, il quale stabilisce: «6. Una copia dei provvedimenti conclusivi di
procedimenti amministrativi concernenti attività d’impresa adottati
successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto è inviata,
con modalità informatica ovvero telematicamente, a cura dei responsabili di tali
procedimenti, alla camera di commercio nella cui circoscrizione l’impresa ha
sede per il loro inserimento nel fascicolo informatico d’impresa di cui
all’articolo 2, comma 1, lettera b).
Con decreto del Ministro dello sviluppo economico emanato, ai sensi
dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive
modificazioni, entro centottanta giorni dalla data entrata in vigore del
presente decreto, sentite le amministrazioni interessate, sono individuati,
secondo principi di gradualità e sostenibilità, i termini e le modalità
operative di attuazione della disposizione di cui al primo periodo, nonché le
modalità ed i limiti con cui le relative informazioni sono rese disponibili per
i soggetti pubblici e privati interessati».
Secondo
la Regione Puglia, il suindicato obbligo di comunicazione comporterebbe uno
sproporzionato ed irragionevole aggravio amministrativo, lesivo dei principi di
ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di buon andamento
dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), nonché dell’autonomia
organizzativa regionale (art. 117, comma quarto, Cost.).
La fissazione delle modalità operative della disposizione ad opera di un
decreto ministeriale, in difetto della previsione della previa intesa con la
Conferenza Stato-Regioni, aggraverebbe la lesione dell’autonomia organizzativa
regionale e del principio di leale collaborazione.
La
censura della Regione Toscana consiste e si esaurisce nell’affermazione che «le
Regioni hanno propri sistemi informativi per cui è necessario che il decreto del
Ministro dello sviluppo economico, che determina i termini e le modalità
operative di applicazione di tale obbligo, sia emanato previa intesa con le
Regioni e non già solo sentite le medesime, come invece prevede la norma», con
conseguente violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost.,
«per interferenza con l’autonomia organizzativa regionale».
16.1.– Le questioni sono inammissibili.
Le
censure di entrambe le ricorrenti sono formulate in contrasto con i requisiti,
sopra richiamati, che devono connotare l’impugnazione proposta in via
principale. La trascrizione della censura della Regione Toscana è sufficiente
infatti a dimostrare che la stessa consiste in un generico richiamo della norma
impugnata e nell’assertiva deduzione della violazione del parametro costituzionale
evocato, mancando dunque del contenuto argomentativo minimo perché possa essere
scrutinata nel merito. L’ulteriore censura con cui detta ricorrente denuncia
l’illegittimità della norma per mancato recepimento della proposta di modifica
formulata dalla Conferenza unificata, è invece inammissibile, in quanto
sollevata per la prima volta nella memoria illustrativa.
Per
dette ragioni è, altresì, inammissibile la questione sollevata dalla Regione
Puglia che, quanto alla denunciata violazione degli artt. 3 e 97 Cost.,
difetta di un adeguato supporto argomentativo in ordine alla ridondanza di
detta violazione sulle attribuzioni regionali.
L’esigenza
di una adeguata (mancata) argomentazione delle censure ancora più si imponeva,
in quanto la norma in esame prevede la trasmissione dei provvedimenti
concernenti l’attività d’impresa, affinché siano inseriti nel fascicolo
informatico d’impresa (previsto dall’art. 2, comma 1, lettera b, della legge n. 580 del 1993), «in cui
sono raccolti dati relativi alla costituzione, all’avvio ed all’esercizio delle
attività dell’impresa, nonché funzioni di punto unico di accesso telematico in
relazione alle vicende amministrative riguardanti l’attività d’impresa, ove a
ciò delegate su base legale o convenzionale».
La
disposizione costituisce dunque, in via prevalente, espressione della
competenza statale nella materia del «coordinamento informativo statistico e
informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale» (art.
117, secondo comma, lettera r, Cost.). Finalità della stessa è, infatti, di assicurare la
conoscenza delle notizie dell’attività di impresa, che esige procedure e
termini omogenei, in modo da garantirne completezza e tempestività, rispondendo
all’esigenza primaria di offrire ai cittadini garanzie uniformi e certe in
ordine all’accesso ai dati delle imprese. Peraltro, la norma, prevedendo che il
Ministro per lo sviluppo economico, nello stabilire, con decreto, i termini e
le modalità operative di attuazione della disposizione, deve provvedere,
sentite le amministrazioni interessate, garantire un’interlocuzione strumentale
alla ponderazione delle specifiche esigenze organizzative di queste ultime.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4, del decreto legislativo 25
novembre 2016, n. 219 (Attuazione della delega di cui all’articolo 10 della
legge 7 agosto 2015, n. 124, per il riordino delle funzioni e del finanziamento
delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura), nella parte
in cui stabilisce che il decreto del Ministro dello sviluppo economico dallo
stesso previsto deve essere adottato «sentita la Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano», anziché previa intesa con detta Conferenza;
2) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’intero testo del
d.lgs. n. 219 del 2016, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo e quarto
comma, della Costituzione, dalla Regione Lombardia, con il ricorso indicato in
epigrafe;
3) dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’intero testo del
d.lgs. n. 219 del 2016 e promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo e
quarto comma, Cost., nonché al principio di leale collaborazione, per mancato
recepimento delle proposte formulate nel parere reso dalla Conferenza
unificata, dalla Regione Lombardia, con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3 e
4 del d.lgs. n. 219 del 2016, promossa, in riferimento agli artt. 76, 117,
terzo e quarto comma, Cost., nonché al principio di leale collaborazione di cui agli
artt. 5 e 120 Cost., dalla Regione Lombardia, con il
ricorso indicato in epigrafe;
5) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma
1, lettera b), numero 2, punto g), 1, comma 1, lettera r), punto i), e 3, comma 10, del d.lgs. n. 219 del 2016, promossa, in
riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, Cost., nonché al principio
di leale collaborazione, per mancato recepimento delle proposte formulate nel
parere reso dalla Conferenza unificata, dalla Regione Lombardia, con il ricorso
indicato in epigrafe;
6) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1,
lettera a), numero 1, e dell’art. 3,
comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 219 del 2016, promossa, in riferimento
agli artt. 3, 5 e 18 Cost., nonchè al principio di
ragionevolezza, dalla Regione Puglia, con il ricorso indicato in epigrafe;
7) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1,
lettera a), numero 3, del d.lgs. n.
219 del 2016, promossa, in riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, Cost.,
dalla Regione Liguria, con il ricorso indicato in epigrafe;
8) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4,
del d.lgs. n. 219 del 2016, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo e
quarto comma, Cost., dalla Regione Lombardia, con il ricorso indicato in
epigrafe;
9) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma
1, lettera f), e 4 del d.lgs. n. 219
del 2016, promossa, in riferimento all’art. 76 Cost., in relazione all’art.
10, comma 1, lettera g), della legge
7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle
amministrazioni pubbliche), dalla Regione Lombardia, con il ricorso indicato in
epigrafe;
10) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 6,
del d.lgs. n. 219 del 2016, promossa, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117,
comma quarto, Cost., nonché ai principi di ragionevolezza e leale
collaborazione, dalla Regione Puglia, con il ricorso indicato in epigrafe;
11) dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 6,
del d.lgs. n. 219 del 2016, promossa, in riferimento all’art. 117, comma
quarto, Cost., dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in
epigrafe;
12) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’intero testo del
d.lgs. n. 219 del 2016, promossa, in riferimento all’art. 76 Cost., in
relazione all’art. 10, comma 1, della legge n. 124 del 2015, dalla Regione
Puglia, con il ricorso indicato in epigrafe;
13) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’intero testo del
d.lgs. n. 219 del 2016, promossa, in riferimento agli art. 76 e 77, primo
comma, Cost., dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in
epigrafe;
14) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’intero testo del
d.lgs. n. 219 del 2016, promossa, in riferimento agli art. 76 e 77, primo
comma, Cost., nonché al principio di leale collaborazione, dalla
Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
15) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’intero testo del
d.lgs. n. 219 del 2016, promossa, in riferimento al principio di leale
collaborazione, dalla Regione Liguria, con il ricorso indicato in epigrafe;
16) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’intero testo del
d.lgs. n. 219 del 2016, promossa, in riferimento al principio di leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., dalla Regione Lombardia, con il ricorso indicato in
epigrafe;
17) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 4,
del d.lgs. n. 219 del 2016, promossa, in riferimento all’art. 76, Cost., in
relazione all’art. 10, comma 1, lettera b),
della legge n. 124 del 2015, dalla Regione Puglia, con il ricorso indicato in
epigrafe;
18) dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1,
lettera r), numero 1, punto i), del d.lgs. n. 219 del 2016,
promossa, in riferimento agli artt. 3 e 117, terzo e quarto comma, Cost. nonché ai principi di
ragionevolezza e di leale collaborazione, dalla Regione Puglia, con il ricorso
indicato in epigrafe;
19) dichiara non
fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1,
lettera r), numero 1, punto i), del d.lgs. n. 219 del 2016,
promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.,
nonché al principio di leale collaborazione, dalla Regione Toscana, con il
ricorso indicato in epigrafe;
20) dichiara
non fondata, nei termini di cui in motivazione, la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera r), numero 1, punto a),
del d.lgs. n. 219 del 2016, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 117, terzo
e quarto comma, Cost., nonché al principio di ragionevolezza, dalla Regione
Puglia, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
l’8 novembre 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Augusto Antonio BARBERA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13 dicembre 2017.