Sentenza n. 374 del 2007

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SENTENZA N. 374

ANNO 2007

 

Commenti alla decisione di

 

I. Pio G. Rinaldi, Le camere di commercio nel sistema autonomistico dopo la riforma del Titolo V della Costituzione (per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)

 

II. Fioravante Rinaldi, La Corte annulla l’atto lesivo (concreto), ma il nesso chiesto-pronunciato lascia intatta la competenza in astratto pur essendone rilevata l’incostituzionalità nella motivazione (per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)

 

III. Luca Antonini, Il posizionamento istituzionale delle Camere di commercio dopo la sentenza n. 374 del 2007, per gentile concessione della Rivista telematica Federalismi.it

 

IV. Gaetano Armao, Il seguito (normativo ed amministrativo) alla sentenza della Corte costituzionale 5 novembre 2007, n. 374, per gentile concessione della Rivista telematica Federalismi.it

 

 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                      BILE                                   Presidente

-    Francesco                  AMIRANTE                             Giudice

-    Ugo                          DE SIERVO                               "

-    Paolo                        MADDALENA                           "

-    Alfio                        FINOCCHIARO                         "

-    Alfonso                    QUARANTA                              "

-    Franco                      GALLO                                      "

-    Luigi                        MAZZELLA                               "

-    Gaetano                    SILVESTRI                                "

-    Sabino                      CASSESE                                   "

-    Maria Rita                 SAULLE                                    "

-    Giuseppe                   TESAURO                                  "

-    Paolo Maria               NAPOLITANO                           "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito del decreto del Ministero dello sviluppo economico – Direzione generale per il commercio, le comunicazioni e i servizi, del 27 febbraio 2007, con il quale è stato deciso, ai sensi dell’art. 6 del d.m. 24 luglio 1996, n. 501 (Regolamento di attuazione dell’art. 12, comma 3, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, recante riordino delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura), il ricorso proposto dalla Confcommercio e dalla Confesercenti della Provincia di Imperia avverso il decreto del Presidente della Regione Liguria n. 64 del 27 ottobre 2006, recante: «Determinazione del numero dei rappresentanti nel Consiglio Camerale di Imperia spettante a ciascuna organizzazione imprenditoriale, sindacale e associazione dei consumatori e utenti o loro raggruppamenti», promosso con ricorso della Regione Liguria notificato il 26 aprile 2007, depositato in cancelleria il 9 maggio 2007 ed iscritto al n. 4 del registro conflitti tra enti 2007.

         Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

         udito nell’udienza pubblica del 9 ottobre 2007 il Giudice relatore Luigi Mazzella;

         uditi gli avvocati Barbara Baroli e Orlando Sivieri per la Regione Liguria e l’avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 26 aprile 2007 e depositato in cancelleria il 9 maggio 2007, la Regione Liguria ha proposto, in relazione al decreto del Ministero dello sviluppo economico - Direzione generale per il commercio, le assicurazioni e i servizi, datato 27 febbraio 2007, conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, per violazione dell’art. 9, comma 2, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), e degli artt. 117 e 118 della Costituzione.

         La ricorrente premette che l’art. 5 del decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 24 luglio 1996, n. 501 (Regolamento di attuazione dell’art. 12, comma 3, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, recante riordino delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura), attribuisce al Presidente della Giunta regionale diverse funzioni in materia di rinnovo dei consigli delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura e che il successivo art. 6 prevede che, avverso le determinazioni del Presidente, le organizzazioni imprenditoriali e sindacali e le associazioni dei consumatori che, intendendo partecipare alla ripartizione dei seggi all’interno del consiglio camerale, abbiano fatto pervenire le comunicazioni prescritte dagli artt. 2 e 3 dello stesso d. m. n. 501 del 1996, possano presentare ricorso al Ministero dell’industria (ora: Ministero dello sviluppo economico), che decide nei trenta giorni successivi alla ricezione delle controdeduzioni presentate dalle parti.

         La Regione Liguria aggiunge che, nell’àmbito della procedura di rinnovo del consiglio camerale della camera di commercio di Imperia, il Presidente della Giunta regionale ha emanato in data 27 ottobre 2006 il decreto n. 64 recante: «Determinazione del numero dei rappresentanti nel Consiglio Camerale di Imperia spettante a ciascuna organizzazione imprenditoriale, sindacale e associazione dei consumatori e utenti o loro raggruppamenti». Il successivo 11 dicembre 2006 la Confcommercio e la Confesercenti della Provincia di Imperia hanno notificato alla Regione Liguria il ricorso previsto dall’art. 6 del d. m. n. 501 del 1996, al fine di ottenere l’annullamento e la riforma del citato decreto n. 64, limitatamente ai settori commercio, servizi alle imprese, nautica da diporto e portualità turistica.

         La ricorrente espone quindi che, con nota n. 4090/1985 del 9 gennaio 2007, essa ha rappresentato al Ministero dello sviluppo economico che, a séguito dell’entrata in vigore delle modifiche alla Costituzione introdotte dalla legge cost. n. 3 del 2001, il rimedio del ricorso amministrativo previsto dall’art. 6 del d. m. n. 501 del 1996 era venuto meno e che, conseguentemente, il Ministero era privo di qualunque potere di decidere il gravame.

         Tuttavia il Ministero dello sviluppo economico, con decreto del direttore generale per il commercio, le assicurazioni e i servizi 27 febbraio 2007, ha deciso nel merito il ricorso proposto dalla Confcommercio e dalla Confesercenti della Provincia di Imperia, dichiarandolo fondato in ogni sua parte.

         Tanto premesso in punto di fatto, la Regione Liguria deduce, in primo luogo, la violazione dell’art. 9, comma 2, della legge costituzionale n. 3 del 2001, nella parte in cui ha abrogato l’art. 125, primo comma, della Costituzione, il quale prevedeva il controllo degli atti amministrativi regionali da parte dello Stato.

         Ad avviso della ricorrente, tale abrogazione ha fatto ormai venir meno tutte le ipotesi di controllo statale su atti regionali che non trovino la loro giustificazione in altre norme costituzionali. Deve quindi escludersi la perdurante vigenza del potere di controllo che lo Stato esercitava, ai sensi dell’art. 6 del d. m. n. 501 del 1996, nei confronti delle determinazioni del Presidente della Giunta regionale, considerato che il ricorso previsto da quella disposizione, rientrando nella categoria dei ricorsi amministrativi «gerarchici impropri», sarebbe ascrivibile appunto al sistema dei controlli.

         In secondo luogo, la Regione Liguria deduce che il potere esercitato dallo Stato tramite il decreto direttoriale impugnato confliggerebbe con l’assetto delle competenze delineato dagli artt. 117 e 118 della Costituzione.

         In proposito la ricorrente ricorda che già prima della modifica del titolo V della Costituzione, il legislatore ordinario aveva attribuito alle Regioni un’ampia quota di compiti relativi allo «sviluppo economico», al cui interno l’art. 11, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), colloca espressamente l’ordinamento delle camere di commercio.

         In particolare, sostiene la Regione Liguria, gli artt. 37 e 38 del d. lgs. n. 112 del 1998 hanno eliminato il generale potere statale di «supremazia e di controllo» sulla vita delle camere di commercio, tramite l’abolizione della vigilanza sull’attività di tali enti e del controllo sui loro statuti, bilanci e piante organiche. Quanto al controllo sugli organi camerali, lo stesso d. lgs. n. 112 del 1998 ha attribuito alle Regioni «l’esercizio del controllo sugli organi camerali, in particolare per i casi di mancato funzionamento o costituzione», con la sola esclusione dello scioglimento dei consigli camerali per gravi motivi di ordine pubblico (potere mantenuto ancora allo Stato dall’art. 38, comma 1, lettera e), del medesimo d. lgs. n. 112 del 1998).

         La ricorrente menziona, poi, il parere n. 1451 reso in data 16 maggio 2006 dalla terza sezione del Consiglio di Stato che – nel fornire risposta ad un quesito posto dal Ministero dello sviluppo economico in ordine alla portata delle proprie funzioni nei confronti delle camere di commercio – ha qualificato quelli del Ministero come «poteri residuali», riferendoli esclusivamente alle funzioni elencate dall’art. 38 del d. lgs. n. 112 del 1998, ha affermato che «le norme attribuiscono alla regione il controllo sugli organi camerali» ed ha concluso nel senso che tutto il sistema dei controlli in materia di camere di commercio è ormai incentrato sulle Regioni.

         La Regione Liguria prosegue sostenendo che la riforma del titolo V della Costituzione avrebbe consolidato ed ampliato la scelta a favore della competenza regionale, compiendo il passo ulteriore di attribuire la materia «camere di commercio» alla competenza esclusiva delle Regioni, sulla base della clausola di residualità di cui all’art. 117, quarto comma, della Costituzione. Infatti tutte le materie riferibili allo sviluppo economico ed alle attività produttive (tra cui l’agricoltura, l’industria, l’artigianato, il turismo, il commercio) dovrebbero ritenersi assorbite in tale competenza legislativa regionale.

         Inoltre la natura degli interessi pubblici sottesi all’attività amministrativa regionale svolta dal Presidente della Giunta regionale in forza dell’art. 5 del d. m. n. 501 del 1996 (attività finalizzata ad assicurare il miglior collegamento dell’organo consiliare camerale con il territorio di riferimento ed a garantire che le categorie economiche e le organizzazioni imprenditoriali localizzate all’interno della circoscrizione della camera di commercio siano rappresentate in proporzione alla loro effettiva consistenza) imporrebbe di escludere che le funzioni riguardanti la corretta composizione degli organi rappresentativi delle camere di commercio coinvolgano interessi unitari ed infrazionabili, tali da giustificare un’intromissione statale addirittura integralmente sostitutiva della volontà espressa dalla Regione.

         Infine, a parere della ricorrente, il mantenimento in vita di detto potere statale confliggerebbe con i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza posti dall’art. 118  Cost., non essendo il livello di governo statale quello maggiormente idoneo ad effettuare le valutazioni (o la rivisitazione delle valutazioni) attribuite alle Regioni dall’art. 5 del d. m. n. 501 del 1996. Né, ad avviso della Regione, sarebbero individuabili esigenze di esercizio unitario derivanti dalla dimensione e dalla natura degli interessi da curare.

         La ricorrente ha quindi concluso chiedendo a questa Corte di dichiarare che non spetta allo Stato e, per esso, al Ministero dello sviluppo economico, decidere i ricorsi previsti dall’art. 6 del d. m. n. 501 del 1996 e, per l’effetto, di annullare, previa sospensione dei relativi effetti, il decreto del Ministero dello sviluppo economico - Direzione generale per il commercio, le assicurazione e i servizi, 27 febbraio 2007, con il quale è stato deciso il ricorso proposto dalla Confcommercio della Provincia di Imperia e dalla Confesercenti della Provincia di Imperia avverso il decreto del Presidente della Regione Liguria 27 ottobre 2006, n. 64.

         2. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

         Il resistente ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità del ricorso, deducendo che, poiché la potestà di decidere i ricorsi proposti avverso le determinazioni del Presidente della Giunta regionale in materia di rappresentatività e designazione di componenti dei consigli delle camere di commercio è attribuita allo Stato direttamente dall’art. 6 del d. m. n. 501 del 1996, la Regione Liguria avrebbe dovuto proporre il conflitto avverso quella norma regolamentare nel termine previsto dall’art. 39, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, nella fattispecie decorrente, a tutto voler concedere, dal 9 gennaio 2007, giorno in cui la Regione, avendo avuto contezza del ricorso proposto ai sensi dell’art. 6 del d. m. n. 501 del 1996, aveva iniziato a contrastare la competenza statale a decidere. Pertanto, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, il ricorso per conflitto di attribuzioni, essendo stato notificato solamente il 24 aprile 2007, dovrebbe essere considerato tardivo.

         L’Avvocatura dello Stato ha eccepito, inoltre, l’inammissibilità del ricorso anche per oscurità della pretesa azionata in giudizio e dei termini del conflitto, non essendo chiaro se la Regione rivendichi a sé la competenza a decidere il reclamo di cui all’art. 6 del d. m. n. 501 del 1996, ovvero escluda del tutto l’esperibilità di tale rimedio.

         Nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri nega che sia ravvisabile una violazione dell’art. 9, comma 2, della legge cost. n. 3 del 2001, perché l’abrogazione dell’art. 125, primo comma, Cost., avrebbe determinato esclusivamente il venir meno del controllo sulla legittimità degli atti regionali esercitato dalle commissioni statali, ma non anche di ulteriori tipologie di controllo previste da altre norme di legge o di regolamento.

         Con riferimento alla dedotta violazione degli artt. 117 e 118 Cost., l’Avvocatura dello Stato afferma che le determinazioni adottate dai Presidenti delle Giunte regionali ai sensi dell’art. 5 del d. m. n. 501 del 1996 incidono sull’esercizio del diritto civile delle organizzazioni imprenditoriali di nominare i componenti del primario organo di governo delle camere di commercio che rappresenta, nell’àmbito dei vari settori economici, le volontà, le istanze ed i bisogni delle imprese operanti nel territorio.

         Conseguentemente, ad avviso del resistente, l’oggetto del ricorso non potrebbe essere ricondotto a materie ascritte alla competenza legislativa residuale delle Regioni, bensì a quella prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., trattandosi della necessità di garantire su tutto il territorio nazionale un livello essenziale delle prestazioni concernenti il diritto civile a partecipare all’attività di governo di organismi di rappresentanza del mondo imprenditoriale quali sono le camere di commercio.

         Il Presidente del Consiglio dei ministri contesta, poi, che il mantenimento del potere statale di decidere i ricorsi gerarchici impropri proposti, ai sensi dell’art. 6 del d. m. n. 506 del 1991, avverso le determinazioni dei Presidenti delle Giunte regionali colliderebbe con il principio di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza posto dall’art. 118 della Costituzione. Al contrario, proprio il principio di sussidiarietà imporrebbe l’esigenza di un esercizio unitario delle funzioni amministrative in questione, dovendosi affidare allo Stato la decisione dei ricorsi gerarchici impropri ed evitando, così, il rischio di determinazioni disomogenee del grado di rappresentatività necessario affinché le organizzazioni imprenditoriali possano far parte degli organi di governo delle camere di commercio e le conseguenti inammissibili disparità di trattamento tra organizzazioni imprenditoriali (spesso dotate di un omogeneo livello di rappresentatività su tutto il territorio nazionale), fondate esclusivamente sul diverso àmbito territoriale di operatività.

         Il Presidente del Consiglio dei ministri ha quindi concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, in subordine, respinto perché infondato, previo rigetto dell’istanza di sospensiva.

         3. – In prossimità dell’udienza di discussione la Regione Liguria ha depositato una memoria nella quale ha ribadito le argomentazioni già svolte nel ricorso alle quali ha aggiunto due ulteriori deduzioni.

         In primo luogo, la ricorrente ha precisato di aver impugnato il decreto ministeriale del quale qui si discute anche davanti al giudice amministrativo e che il T.A.R. della Liguria, con ordinanza 2 giugno 2007, ha disposto la sospensione dell’esecutività del provvedimento impugnato.

         In secondo luogo, la Regione ha dedotto che, mentre l’art. 12, comma 3, della legge n. 580 del 1993 (vale a dire la norma in attuazione della quale è stato emanato il d. m. n. 501 del 1996) prevedeva l’emanazione di norme per l’attuazione delle disposizioni relative alla costituzione del consiglio camerale «con particolare riferimento ai tempi, ai criteri e alle modalità relativi alla procedura di designazione dei componenti il consiglio e alle modalità per esperire i ricorsi relativi all’individuazione della rappresentatività delle organizzazioni di cui al comma 1 del presente articolo», il successivo art. 38, comma 2, lettera c), del d.lgs. n. 112 del 1998 stabilisce che lo Stato può emanare «norme di attuazione dell’articolo 12, commi 1 e 2, e dell’articolo 14, comma 1, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, relativi alla costituzione del consiglio camerale e, rispettivamente, della giunta camerale». Pertanto già questa seconda norma, sostitutiva della prima, non prevedendo più, fra i contenuti obbligatori della fonte regolamentare, i ricorsi relativi alla rappresentatività delle organizzazioni imprenditoriali, avrebbe fatto venir meno la vigenza della parte del d. m. n. 501 del 1996 concernente quei ricorsi.

Considerato in diritto

1. – La Regione Liguria ha proposto, in riferimento all’art. 9, comma 2, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), ed agli artt. 117 e 118 della Costituzione, conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, chiedendo a questa Corte di dichiarare che non spetta allo Stato e, per esso, al Ministero dello sviluppo economico, decidere i ricorsi previsti dall’art. 6 del decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 24 luglio 1996, n. 501 (Regolamento di attuazione dell’art. 12, comma 3, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, recante riordino delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura), e di annullare, previa sospensione dei relativi effetti, il decreto del Ministero dello sviluppo economico - Direzione generale per il commercio, le assicurazioni e i servizi, 27 febbraio 2007, con il quale è stato deciso il ricorso proposto dalla Confcommercio della Provincia di Imperia e dalla Confesercenti della Provincia di Imperia avverso il decreto del Presidente della Regione Liguria 27 ottobre 2006, n. 64.

         La ricorrente afferma che l’abrogazione, da parte dell’art. 9, comma 2, della legge cost. n. 3 del 2001, dell’art. 125, primo comma, Cost., deve far considerare ormai venute meno tutte le  ipotesi di controllo statale su atti regionali che, come quella prevista dall’art. 6 del d. m. n. 501 del 1996, non trovino il loro fondamento in altre norme costituzionali.

         Inoltre la Regione Liguria deduce che l’esercizio del potere esercitato dallo Stato tramite il decreto direttoriale impugnato in questa sede confligge con l’assetto di competenze delineato dagli artt. 117 e 118 della Costituzione. Infatti la materia «camere di commercio» dovrebbe ritenersi attribuita alla competenza esclusiva delle Regioni, sulla base della clausola di residualità di cui all’art. 117, quarto comma, della Costituzione, poiché tutte le materie riferibili allo sviluppo economico ed alle attività produttive sarebbero assorbite nella competenza legislativa residuale delle Regioni.

         Infine, il mantenimento del potere statale di decidere i ricorsi previsti dall’art. 6 del d. m. n. 501 del 1996, violerebbe i princípi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza posti dall’art. 118 Cost., non essendo il livello di governo statale quello maggiormente idoneo ad effettuare le valutazioni relative al grado di rappresentatività necessario affinché le organizzazioni imprenditoriali possano far parte degli organi di governo delle camere di commercio.

2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito l’inammissibilità del ricorso perché tardivo e generico.

Entrambi i motivi di inammissibilità sono infondati.

2.1 – La pretesa tardività del ricorso è fatta discendere dal resistente dall’affermazione secondo cui, poiché la potestà di decidere i ricorsi proposti avverso le determinazioni del Presidente della Giunta regionale è attribuita allo Stato direttamente dall’art. 6 del d. m. n. 501 del 1996, la Regione avrebbe dovuto proporre il conflitto avverso quella norma regolamentare nel termine di sessanta giorni, previsto dall’art. 39, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, decorrente dal 9 gennaio 2007, giorno in cui la Regione aveva inviato al Ministero dello sviluppo economico la nota con la quale aveva sostenuto l’intervenuta caducazione della competenza statale a decidere i ricorsi previsti dall’art. 6 del d. m. n. 501 del 1996.

Simili argomentazioni non sono condivisibili, perché lo sconfinamento dello Stato dall’ambito delle proprie attribuzioni – così come configurato dalla stessa ricorrente – si è compiuto non certo nel momento in cui le organizzazioni imprenditoriali hanno proposto il ricorso al Ministero e neppure nel corso del procedimento seguito a quel ricorso, ma solamente quando lo Stato (e, per esso, la direzione generale per il commercio del Ministero dello sviluppo economico) ha emesso il provvedimento con il quale ha ritenuto di poter decidere nel merito il gravame propostogli e, conseguentemente, di dichiararlo fondato, invitando l’autorità regionale ad emendare le proprie originarie determinazioni. Prima dell’emanazione del decreto in questione, non v’era materia di conflitto tra Stato e Regione, proprio perché il primo non aveva ancora compiuto alcun atto che, sconfinando dalle sue attribuzioni, fosse idoneo a ledere quelle della Regione. Ne deriva che il termine di 60 giorni di cui all’art. 39 della legge n. 87 del 1953 non poteva decorrere che dalla data di notificazione del decreto oggi impugnato, vale a dire dal 5 marzo 2007, con la conseguente sicura tempestività del ricorso della Regione, notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 26 aprile 2007.

2.2. – Quanto all’eccezione di genericità, il resistente sostiene che non sarebbe chiaro se la Regione rivendichi a sé la competenza a decidere il ricorso di cui all’art. 6 del d. m. n. 501 del 1996 ovvero escluda del tutto l’esperibilità di quel rimedio.

In proposito si deve osservare che, in realtà, è chiaro l’oggetto del conflitto sollevato dalla Regione: questa sostiene che lo Stato non avrebbe più il potere di decidere eventuali ricorsi contro i provvedimenti del Presidente della Giunta regionale in tema di attribuzione di consiglieri camerali alle varie organizzazioni imprenditoriali e che, pertanto, decidendo il ricorso proposto dalle due organizzazioni di Imperia nel senso di invitare l’autorità regionale a modificare le proprie originarie determinazioni, lo Stato ha invaso le attribuzioni amministrative che in materia debbono essere riconosciute spettanti alla Regione.

3. – Il ricorso è fondato.

Alle camere di commercio sono attribuiti allo stato compiti che richiedono di essere disciplinati in maniera omogenea in ambito nazionale.

Ciò vale, in primo luogo, per la tenuta del registro delle imprese, funzione che deve essere esercitata sulla base di una disciplina uniforme, al fine di realizzare condizioni di mercato caratterizzate da trasparenza e stabilità informativa su tutto il territorio nazionale.

Un’analoga considerazione può essere svolta a proposito dei compiti già di competenza degli uffici metrici provinciali, che l’art. 20 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), ha trasferito alle camere di commercio. Si tratta, infatti, di verifiche sugli strumenti metrici e di attività collegate (quali, ad esempio, la gestione di elenchi o l’accreditamento di laboratori per la verificazione), finalizzate a garantire la correttezza delle misure utilizzate per le transazioni commerciali a tutela della fede pubblica che, ovviamente, deve essere assicurata su tutto il territorio nazionale secondo i medesimi criteri.

Si comprende, pertanto, perché la legge 29 dicembre 1993, n. 580 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura) ed il d. lgs. n. 112 del 1998, pur prevedendo, la prima, un’ampia autonomia a favore delle camere di commercio e, il secondo, l’abrogazione di controlli statali sui loro atti, abbiano però avuto cura di assicurare l’uniformità di disciplina in materia di composizione dei consigli camerali.

Infatti, ricordato che questi ultimi sono rappresentativi delle imprese operanti nel territorio di competenza della singola camera di commercio, è stato previsto che la ripartizione dei consiglieri, tra i vari settori produttivi, è definita dallo statuto della camera di commercio, in applicazione di criteri generali che, secondo la legge n. 580 del 1993, devono essere stabiliti da un regolamento – poi emanato con il d. P. R. 21 settembre 1995, n. 472 (Regolamento di attuazione dell’art. 10 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, concernente i criteri generali per la ripartizione dei consiglieri delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura in rappresentanza dei vari settori economici) – e, secondo il successivo art. 38, comma 3, lettera b), del d. lgs. n. 112 del 1998, debbono essere definiti dalla Conferenza unificata su proposta del Ministero dell’industria. Come si vede, in entrambi i casi si tratta di modalità dirette a realizzare una coerenza interna al sistema camerale in ordine ai criteri di distribuzione dei consiglieri.

         Anche a proposito della costituzione dei consigli camerali (e, cioè, dell’individuazione delle organizzazioni imprenditoriali cui spetta designare i consiglieri), l’ordinamento mira ad assicurare l’uniformità di disciplina di cui s’è detto.

In particolare, l’art. 12, comma 3, della legge n. 580 del 1993 prevedeva al riguardo l’emanazione di un apposito regolamento (appunto il d. m. n. 501 del 1996), mentre l’art. 38, comma 2, lettera c), del d. lgs. n. 112 del 1998 ha stabilito che la disciplina di tale materia continua ad essere di competenza dello Stato, previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni.

Dunque, anche quando ha proceduto al trasferimento alle Regioni di funzioni in materia di camere di commercio, il legislatore si è sempre preoccupato di garantire che la costituzione dei consigli camerali fosse disciplinata in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale. Ciò si spiega considerando che le camere di commercio, da un lato, sono espressione del sistema delle imprese e, dall’altro, svolgono funzioni che richiedono una disciplina uniforme; è quindi necessario, per la funzionalità stessa del sistema camerale nel suo complesso, che l’attribuzione dei consiglieri sia effettuata sulla base di omogenei criteri di valutazione del grado di rappresentatività delle organizzazioni imprenditoriali.

                                                                                                       Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non è possibile affermare che, a séguito della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, non sia consentito allo Stato esercitare la potestà legislativa in materia di ordinamento delle camere di commercio. Questa Corte ha infatti più volte affermato, allorché sia ravvisabile un’esigenza di esercizio unitario a livello statale di determinate funzioni amministrative, che lo Stato è abilitato ad esercitare anche la potestà legislativa, e ciò pure se tali funzioni amministrative siano riconducibili a materie di competenza legislativa regionale concorrente o residuale (v., tra le altre, le sentenze n. 88 del 2007, n. 383, n. 285, n. 270 e n. 242 del 2005, n. 6 del 2004, n. 303 del 2003).

La Corte ha anche precisato, però, che in simili casi l’intervento statale deve essere, tra l’altro, proporzionato all’esigenza di esercizio unitario a livello statale delle funzioni di cui volta per volta si tratta. Sotto questo profilo, può essere considerato congruo il mantenimento della competenza statale ad emanare – previa intesa con le Regioni – norme relative alle modalità di costituzione dei consigli camerali. E’ invece eccessivo - in un contesto in cui comunque è la Regione ad esercitare sia la funzione amministrativa relativa alla determinazione del numero dei rappresentanti la cui designazione spetta a ciascuna organizzazione imprenditoriale, sia quella di controllo e di scioglimento dei consigli medesimi in caso di gravi e persistenti violazioni di legge o di impossibilità di normale funzionamento (art. 37, comma 3, del d. lgs. n. 112 del 1998) - conservare in capo allo Stato un rimedio amministrativo avverso le determinazioni dell’autorità regionale attuative della disciplina posta a livello nazionale.

         In proposito, l’esigenza di uniformità è adeguatamente assicurata, appunto, con la determinazione di criteri di costituzione dei consigli camerali unici su tutto il territorio nazionale, mentre la previsione di un rimedio amministrativo non è essenziale alla realizzazione di quell’obiettivo di necessaria omogeneità. D’altro canto, se, nel caso concreto, l’autorità regionale dovesse violare quei criteri, le organizzazioni imprenditoriali danneggiate avrebbero a disposizione il ricorso all’autorità giurisdizionale.

         Alla luce delle considerazioni che precedono, in accoglimento del ricorso, deve essere dichiarato che non spettava allo Stato e, per esso, al Ministero dello sviluppo economico decidere, ai sensi dell’art. 6 del d.m. n. 501 del 1996, i ricorsi proposti avverso le determinazioni del Presidente della Giunta regionale di cui all’art. 5 del medesimo decreto ministeriale, con la conseguenza che deve essere disposto l’annullamento del decreto del Ministero dello sviluppo economico - Direzione generale per il commercio, le assicurazioni e i servizi 27 febbraio 2007.

         Resta assorbito ogni altro profilo di incostituzionalità.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spettava allo Stato, e per esso al Ministero dello sviluppo economico, decidere, ai sensi dell’art. 6 del decreto del Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato 24 luglio 1996, n. 501 (Regolamento di attuazione dell’art. 12, comma 3, della legge 29 dicembre 1993, n. 580, recante riordino delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura), i ricorsi proposti avverso le determinazioni del Presidente della Giunta regionale di cui all’art. 5 del medesimo decreto ministeriale;

annulla, per l’effetto, il decreto del Ministero dello sviluppo economico - Direzione generale per il commercio, le assicurazioni e i servizi 27 febbraio 2007, con il quale è stato deciso il ricorso proposto dalla Confcommercio della Provincia di Imperia e dalla Confesercenti della Provincia di Imperia avverso il decreto del Presidente della Regione Liguria 27 ottobre 2006, n. 64.

         Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2007.